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Storia del Cristianesimo: Gesù e le Origini del Cristianesimo, Sintesi del corso di Storia

TeologiaStoria del cristianesimo anticoStoria della religione

Questo libro di Potestà e Vian fornisce una ricca e approfondita analisi della figura di Gesù e dell'inizio del cristianesimo. la vita di Gesù, dalla sua nascita fino alla sua morte e resurrezione, attraverso le fonti principali, ovvero i vangeli e altri testi dei primi cristiani. Inoltre, il libro discute della predicazione del Regno di Dio da parte di Gesù, della sua morte e della fede nella resurrezione, e della memoria e presenza di Gesù nella 'cena del Signore'. Inoltre, vengono trattate le strategie missionarie di Paolo, le differenze tra le comunità di Gerusalemme e quelle a cui sono indirizzate le lettere di Paolo, e la distinzione tra la Legge mosaica e la Legge messianica.

Cosa imparerai

  • Che fonti principali vengono utilizzate per conoscere Gesù?
  • Come Gesù viene celebrato nella 'cena del Signore'?
  • Come Gesù predicava il Regno di Dio?
  • Come differiscono le comunità di Gerusalemme e quelle a cui sono indirizzate le lettere di Paolo?
  • Come è descritta la morte di Gesù e la fede nella sua resurrezione?

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 18/01/2022

ijjou-berdaouz
ijjou-berdaouz 🇮🇹

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Scarica Storia del Cristianesimo: Gesù e le Origini del Cristianesimo e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! Gian Luca Potestà, Giovanni Vian, Storia del Cristianismo, Il Mulino, Bologna 2010. Gesù e le origini del cristianesimo 1-Gesù di Nazareth | vangeli e altri testi dei primi cristiani costituiscono le principali fonti per la conoscenza di Gesù, nato durante il regno giudaico di Erode e scomparso sotto Ponzio Pilato; procuratore romano per la Giudea fra il 26 e il 36, la data della morte di Gesù va riportata intorno al 30. Le fonti cristiane delle origini non appartengono al genere delle cronache o delle storie. Furono infatti prodotte sul fondamento della fede nella resurrezione di Gesù e si proponevano di suscitare fede in lui e nel suo messaggio salvifico. Le prime testimonianze si concentrano su alcuni passaggi decisivi della sua vita e furono trasmesse dapprima oralmente lungo vie a noi ignote; nel corso del tempo le memorie furono fissate per iscritto, in modi differenti in relazione alla cultura degli autori e ai profili delle comunità cui erano destinate. Dal Il secolo si accesero dispute sui testi da considerarsi divinamente ispirati; la selezione di alcuni testi portò alla formazione di un “canone” biblico cristiano (cioè un elenco di testi cui si riconobbe lo statuto di depositari della rivelazione divina). Dalla seconda metà del XVIII secolo si è cercato di distinguere il “Gesù della storia” dal Cristo della dogmatica; talvolta si è affermata la convinzione che il “Gesù della storia” fosse come tale irrecuperabile, ma in altre fasi è prevalso maggiore ottimismo. Fino a un recente passato, nella ricerca su Gesù le linee erano dettate dalla teologia che condizionava l’esegesi delle fonti. Progressivamente la ricerca storica si è svincolata da precomprensioni dogmatiche; dalla seconda metà del Novecento si sono poi affermate prospettive legate all’antropologia culturale e religiosa, con specifica attenzione allo studio delle istituzioni delle mentalità e delle forme rituali degli ambienti giudaici in cui vissero Gesù e i suoi compagni. Mentre in passato insisteva sulla diversità e sull’alterità del messaggio di Gesù rispetto della Torah negli ultimi decenni sono emerse convinzioni opposte, tendenti a ridurre l’originalità dell’insegnamento del maestro (Rabbi) di Nazareth rispetto alla pluralità di esperienze e dottrine giudaiche diffuse allora nell’area del Mediterraneo. La questione è importante: dal rilievo attribuito alla novità e specificità dell'esperienza di Gesù dipende in ultima analisi l’effettivo inizio del cristianesimo. Alcuni lo pongono all'indomani della resurrezione, altri nel Il secolo, in quanto solo allora esso avrebbe assunto un profilo chiaramente distinto e contrapposto rispetto alle altre manifestazione di “giudaismo comune”. Le più antiche rappresentazioni conservatesi di Gesù crocifisso indicano che almeno chi stava fuori dalla comunità tendeva a considerarla polemicamente come semplice espressione della tradizione religiosa e culturale giudaica una significativa testimonianza è un graffito degli inizi del III secolo ritrovato sul Platino a Roma. Esso raffigura un crocifisso con testa di animale accanto ad una persona: Alessameno adora Dio, dunque, Alessameno viene preso in giro perché adora il crocifisso, Gesù, rappresentato con un’enorme testa di asino. 2- Predicazione del Regno e scelta dei dodici Le convinzioni di Gesù sono sintetizzata nel Padre nostro. La preghiera si richiama a precedenti modi espressivi presenti nella bibbia ebraica. Gesù si rivolge fiduciosamente a Dio Padre; invoca la venuta del suo Regno, si abbandona alla sua volontà, gli chiede pane quotidiano e remissione dei debiti, impegna i discepoli a condannare ai propri debitori; invoca liberazione dalla tentazione e dal male. Richiesta di penitenza e invocazione del Regno improntavano la predicazione di un altro maestro, cui Gesù fu vicino: Giovanni, detto il Battista per la sua pratica di battezzare per immersione nelle acque del Giordano. per Giovanni la purificazione da ciò che è maligno e impuro dipendeva da una somma di elementi: vita ascetica e rigorosa, comportamenti retti, pratica del battesimo. Quest'ultimo, compiuto nell’acqua corrente del fiume, segnava la conclusione di un percorso purificatore. Gesù iniziò il suo percorso pubblico sotto il segno di Giovanni, facendosi battezzare da lui. L’invocazione fondamentale del Padre nostro pone appunto il perdono fra gli uomini in diretto rapporto con il perdono di Dio, Padre buono. Gesù predica l’imminenza del Regno. In un certo senso esso è presente: è la Signoria di Dio sul mondo. Il suo annuncio del Regno è dunque squisitamente teologico. Come tale non coincide con le attese, diffuse nella società giudaica, di restaurazione politica e nazionale del regno di Davide. Nella memoria giudaica, la crisi del regno di Davide era iniziata con la successiva rottura tra le sue dodici tribù, avvenuta a seguito del conflitto tra il nipote Roboamo e il rivale Geroboamo. Il primo era rimasto a Gerusalemme, capitale del regno di Giuda con due tribù, le sole fedeli a Jahwè, il Dio della tradizione patriarcale. Il secondo si era spostato a Nord con le altre 12. Lì avevano creato il regno di israele e praticato i culti idolatrici. | regni divisi erano stati poi abbattuti da assiri e babilonesi. A seguito del ritorno di giudei da Babilonia a Gerusalemme, il tempio era stato ricostruito e si era nuovamente formata un’entità giudaica, che aveva poi dovuto lottare per la sopravvivenza. Fra i discepoli, Gesù ne sceglie dodici, il numero delle tribù di Israele prima della divisione: sono gli apostoli, coloro cioè che sono inviati perché sia restaurata la casa di Israele, non come entità politica-nazionale, ma come unità religiosa, che riconosca l’unico vero Dio. La loro missione è dunque riportare a Dio “le pecore perdute della casa d'Israele”. Come indica il Padre nostro, Gesù secolo. Gli Atti degli Apostoli e le sue lettere affermano che nello stesso periodo altri nazorei compirono autonome missioni in Asia Minore e in Grecia, con stili e prospettive diverse. Paolo si rivolse ai giudei accostandoli nei pressi delle sinagoghe e in occasione di culto. Gli Atti lo presentano come destinato da Dio a evangelizzare i giudei della diaspora. La loro evangelizzazione non dette i risultati sperati, come attesta indirettamente l’aspra invettiva contenuta nella lettera più antica, che li accusa di aver “ucciso il signore Gesù e i profeti” e preannuncia l’”ira” di Dio su di loro. Il primo viaggio di Paolo fu con Barnaba, anche egli giudeo, originario di Cipro, già membro della comunità di Gerusalemme e dirigente di quella di Antiochia. Le doti di mediatore di Barnaba controbilanciavano l’irruenza di Paolo. Fermandosi nelle città, vi costituivano Ekklesiai. Il termine greco Ekklesia significa “adunanza” , “assemblea”, viene naturale tradurlo con “chiesa”, ma occorre tenere ben presente che dal punto di vista istituzionale e giuridico le Ekklesiai di Paolo presentano assetti molto diversi da quelli della chiesa dei secolo successivi. Il secondo viaggio, prima con Sila e poi con Timoteo, lo portò fino ad Atene e quindi a Corinto. Durante il terzo si fermò per oltre due anni a Efeso, ma dovette fuggirne per una sommossa contro di lui. Ripassò in Grecia e ritornò infine a Gerusalemme. Organizzatore e viaggiatore instancabile, viaggiava per annunciare Gesù, avviare o visitare comunità precedentemente create, raccogliere offerte per quella di Gerusalemme. Nell'impegno missionario, cui si dichiara contento di aver dato vita, lo slancio evangelizzatore risulta quasi sempre connesso a un'attitudine polemica. Su tutti i fronti: contro altri predicatori di Gesù, contro i giudei insensibili all'annuncio, contro i giudeocristiani fossilizzati nell'osservanza rigorosa dei precetti della Legge, contro gli ateniesi che, in occasione del suo sermone nell’Areopago, lo derisero o se ne andarono, al sentirlo parlare di resurrezione. AI termine del terzo viaggio fu accusato a Gerusalemme di avere introdotto un greco nel Tempio. Aggredito dai giudei osservanti, fu arrestato e condotto a Cesarea, sede dei procuratori romani, per esservi processato. Avendo fatto ricorso a Roma, vi fu trasferito verso il 61. Vi trascorsi due anni di arresti domiciliari, in attesa del verdetto definitivo. Secondo una traduzione autorevole risalente al | secolo, a Roma fu messo a morte, come Pietro, e L’ furono entrambi sepolti. Paolo fu un instancabile missionario e organizzatore, teologo di eccezionale acutezza e densità, tra i più autorevoli della storia del cristianesimo. Questi aspetti sono documentati nelle lettere, scritte a distanza di anni l’una dall’altra per destinatari diversi e per ragioni contingenti. Delle quattordici attribuitegli anticamente, sette attualmente ritenute di sicuro autentiche: la Prima Lettera ai Tessalonicesi, la Prima e la Seconda Lettera ai Corinzi, la Lettera a Filemone e le Lettere ai Galati, ai Filippesi e ai Romani. La paternità di altre è discussa (Seconda ai Tessalonicesi, Efesini, Colossesi), altre ancora sono ritenute opera di discepoli più o meno vicini a lui (Lettera ai Tito, Prima e Seconda lettera a Timoteo). Queste ultime tre sono destinate a capi di Ekklesiai e affrontano questioni concrete. In quanto contenenti direttive e disposizioni di comportamento rivolte al gregge dei credenti, dal XVIII secolo si è soliti chiamare “pastorali”. Quanto alla Lettera agli ebrei, la prima sulla cui autenticità si ebbero buddi, senz'altro non è di Paolo. Dalle lettere si desume che ne scrisse anche altre, andate perdute: la Prima Lettera ai Corinzi accenna a una precedente lettera loro rivolta; la Lettera ai Colossesi accenna a una lettera ai Laodicesi. 6- Parusìa: memoria e presenza di Gesù nella “cena del Signore” Per comprendere i contenuti delle lettere di Polo si deve tener conto, pertanto, delle sue strategie missionarie, delle questioni che gli venivano poste e cui voleva rispondere, dei destinatari cui si rivolgeva. Già la più antica della raccolta, la Prima Lettera ai Tessalonicesi, inviata tra il 50 e il 51, tratta della parusìa, cioè della “presenza” di Gesù che, crocifisso e risorto, si manifesterà di nuovo nella pienezza della gloria in un tempo assolutamente imminente, tanto prossimo da coinvolgere 2noi in vita alla venuta del Signore”. Per Poalo, la memoria di Gesù e l'attesa della parusìa vanno celebrate innanzitutto nella “cena del Signore”. La più antica e circostanziata testimonianza al riguardo si trova nella Prima Lettera ai Corinizi. Gli atti compiuti da Gesù durante il pasto serale consumato con i discepoli il giorno prima di essere crocifisso vanno considerati istituivi di un rituale, come tale osservarsi rigorosamente. Esso prevede la presentazione del pane e del vino, la recita di una preghiera di ringraziamento e lode a Dio, secondo il costume giudaico della cena pasquale (“dopo aver reso grazie”: in greco, Eucaristhésas, da cui poi il termine Eucaristia, indicante la celebrazione nel suo complesso); la frazione del pane, l’invito a mangiarlo e a bere vino, cioè a nutrirsi della carne e del sangue di Gesù morto e risorto. Dalle istruzioni di Paolo si arguisce che a Cortino la memoria liturgica dell’ultima cena veniva celebrata in una casa privata. Stando agli Atti, i credenti di Gerusalemme si riunivano in assemblea in luoghi non meglio determinati. Spezzavano il pane in case private “il primo giorno della settimana”, cioè nel giorno successivo al sabato in memoria del giorno della resurrezione di Gesù. Paolo lascia intendere che la “cena del Signore” è tale in quanto il Risorto è misteriosamente presente in essa. Paolo attribuisce a Gesù il titolo di “Signore” la sua dottrina fa perno sulla fede della signoria sul mondo da parte del risorto, come si legge nella Pima Lettera ai Corinzi, la fede in lui comporta quella nella resurrezione. 7- Carismi e autorità secondo Paolo Le forme di vita delle comunità di Gerusalemme e della comunità cui sono indirizzate le lettere di Paolo errano diverse da quella praticata da Gesù e dai suoi compagni: mentre questi avevano condotto vita comune itinerante, le prime Ekklesiai sono stanziali, formate da uomini e donne generalmente residenti in un luogo determinato, ciascuna a casa propria. Paolo accosta uomini e donne di livelli sciali differenti, anche di rango elevato. La Prima Lettera ai Corinzi presenta una Ekklesia percorsa da tensioni e conflitti, poiché alcuni, convinti di aver ricevuto un proprio crisma profetico, tendono a precaricare sugli altri. Paolo afferma che il per sé tutti i carismi vanno valorizzati, in quanto si tratta di dono dello Spirito divino, seguiti al conferimento del battesimo. La Ekklesia di Cortino deve essere per lui un corpo, in cui ciascun membro riconosca e valorizzi l'apporto degli altri, evitando disfunzioni, sofferenze e tratture. 8- La salvezza per mezzo della fede e la scelta divina in virtù della grazia Paolo affronta in diverse lettere la questione della novità che la fede nel Risorto comporta rispetto alla fede nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe e alla legge consegnata a Mosè. Con quest’ultima ha un rapporto ambivalente. Un passo della Prima Lettera ai Corinzi distingue due tipi di Legge: quella mosaica, rispetto a cui Paolo afferma di essere “sotto Legge di Dio”, e quella messianica, per cui “pur non essendo senza la Legge di Dio”, è “nella Legge di Cristo”. Paolo annovera la Legge fra le “benedizioni” ricevute da Israele, ma la considera in una prospettiva nuova, “spirituale” e non “carnale”: la vera circoncisone si realizza infatti nel cuore, secondo lo spirito e non secondo la lettera. La questione per lui fondamentale è come sia possibile uscire dal peccato e avere da Dio salva la vita. Ciò non può dipendere dalle opere richieste dalla Legge, che non bastano per rendere giusti. È la giustizia divina a giustificare gli uomini per mezzo della fede in Gesù. I membri della Ekklesia di Roma provenivano in parte dal giudaismo, ma per lo più dovevano essere gentili di origine. La Lettera ai Romani lascia intravedere tensioni fra due componenti. Paolo evita i toni pesantemente antigiudaici della Prima Lettera ai Tessalonicesi; ragionando sulla coerenza del piano divino, si chiede come mai la discendenza di Israele, per quanto popolo eletto e quindi depositario delle promesse di salvezza, si ostini a non riconoscere che queste si sono compiute in Gesù: il suo rifiuto di accogliere l'annuncio rimetteva in discussione l’alleanza, il patto Vangelo di Matteo potrebbe essere stato scritto poco prima di tale data in quanto presenta l'evento come imminente; Matteo e Luca mostrano di aver già sotto gli occhi l'avvenuta rovina della città, per questo motivo i testi potrebbero essere stati scritti in una data posteriore al 70. Paolo presenta Gesù come “il Signore”. | sinottici lo indicano ora come il “Messia” (figura di liberatore e redentore atteso dal popolo, sul modello del patriarca Giuseppe e del re Davide), ora come il “figlio dell’uomo” o “figlio di Dio”: termini che mostrano differenti consapevolezze e comprensioni del mistero della sua identità. Dal punto di vista storico, la pluralità delle formule si spiega tenendo conto dei loro significati nella cultura giudaica del tempo. 11- Il “Vangelo di Giovanni” Il Vangelo di Giovanni si distacca dai precedenti dal punto di vista della genesi e della dottrina. Il prologo rappresenta un passaggio fondamentale per il ripensamento della figura di Gesù. Giovanni lo presenta come il Logos, il Verbo (cioè la Parola divina) che “era in principio presso Dio” e per mezzo del quale “tutto è stato fatto” e senza il quale “nulla è stato fatto di ciò che esiste”. Ebrei ritenevano che la funzione mediatrice fra Dio e il creato svolta dalla Sapienza divina avesse assunto forme storicamente visibili nella Legge. Da parte sua Giovanni afferma invece che la Sapienza creatrice è il Verbo che, pur non perdendo le prerogative divine, “si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”, rivelando la sua gloria in Gesù Cristo. Come manifestazione terrena della Sapienza di Dio, Gesù ha rimpiazzato la Legge. La presa di distanza dal giudaismo è dimostrata anche dalla polemica di Giovanni contro il Tempio: Gesù spiega alla Samaritana che, da quando il divino e entrato nel mondo attraverso di lui, l'adorazione di Dio non è più riservata a santuari, spazi e luoghi sacri. Il padre può essere ormai adorato ovunque. Per Giovanni il Regno è già presente nella storia. Per entrarvi, non resta che seguire il Verbo incarnato e risalire con lui alla dimensione divina da cui è sceso. Lo stile del cristianesimo giovanneo è reso peculiare da questa cifra: il cristiano sa di non essere “del mondo”, in quanto la sua patria è divina. Allo stato attuale, il Vangelo di Giovanni viene riportato tra la fine del | e gli inizi del II secolo. Questo dato cronologico rende difficile che l’autore possa essere Giovanni Battista, cui è attribuito. Si deve piuttosto pensare che il nome di Giovanni indichi non l’autore ma il capostipite della tradizione dottrinale fissatasi in quel testo. 12- “Il Vangelo di Tommaso” Dagli inizi del II secolo circolavano diversi altri Vangeli attribuiti ad apostoli. Occorrerebbe considerarli uno per uno, per risalire, tenendo conto delle testimonianze che riportano, a circostanze e ambienti di produzione. Nella maggior parte dei casi il nome dell’evangelista apposto a sigillo di un testo evangelico mirava a dare autorevolezza a esso e ad accreditare il prestigio della comunità presso cui quel testo si era affermato. Il più significativo dal punto di vista dottrinale è il Vangelo di Tommaso, una cui versione copta fu ritrovata nel 1945. Attualmente datato tra la fine del | e gli inizi del Il secolo, presenta significativi punti di contatto con la Fonte Q. Tommaso presenta centoquattordici Lòghia di Gesù, privi di una cornice narrativa: detti “segreti” destinati a una circolazione esoterica e iniziatica. Almeno in parte sono attualmente ritenuti espressivi del suo insegnamento autentico. Tema principale è il mistero del Regno, realtà che sfugge a qualsiasi previsione, che irrompe all'improvviso e all’improvviso svanisce. Il Vangelo di Tommaso presenta punti di contatto con Giovanni soprattutto nel sottolineare la presenza del divino come luce e cita vera del mondo.
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