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riassunto procedura penale, Sintesi del corso di Diritto Civile

Civile - Civile

Tipologia: Sintesi del corso

2014/2015

Caricato il 12/04/2015

Mangione01
Mangione01 🇮🇹

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Scarica riassunto procedura penale e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Civile solo su Docsity! Procedura penale versione 1.1 (6/1/2015) 1 Sommario - introduzione (pag. 5) - sistemi processuali (pag. 6) - principi costituzionali riguardanti il processo penale (pag. 9) - organizzazione della magistratura giudicante penale (pag. 13) - competenza (pag. 15) - incompetenza (pag. 16) - conflitti (pag. 18) - riunione e separazione di processi (pag. 18) - cause personali d’estromissione del giudice (pag. 19) - rimessione del processo (pag. 19) - pubblico ministero (pag. 22) - obbligatorio esercizio dell’azione penale (pag. 23) - competenza del p.m. (pag. 24) - nascita e caratteristiche generali del nuovo c.p.p. (pag. 25) - interventi di modifica sul c.p.p. del 1988 (pag. 27) - articolo 111 Cost. (pag. 30) - contraddittorio (pag. 31) - personaggi del giudizio (pag. 35) - parti del giudizio (pag. 36) - p.m. (pag. 36) - imputato (pag. 37) - parte civile (pag. 37) - rapporti fra azione civile e azione civile in sede penale (pag. 37) - responsabile civile (pag. 38) - civilmente obbligato per la pena pecuniaria (pag. 39) - indagini preliminari (pag. 40) - termini finali delle indagini (pag. 41) - indagini preliminari della polizia giudiziaria (pag. 42) - atti di indagine della p.g. (pag. 44) - giudice per le indagini preliminari (pag. 45) - segreto (pag. 47) - istituti che informano l’indagato di essere sotto indagine (pag. 49) - incidente probatorio (pag. 51) - attività del difensore durante le indagini (pag. 55) - procedimenti in camera di consiglio (art. 127 c.p.p.) (pag. 60) - archiviazione (pag. 60) - riapertura delle indagini (pag. 62) - esercizio dell’azione penale (pag. 63) - presupposti di validità dell’azione penale (condizioni di procedibilità) (pag. 64) - immediata declaratoria di cause di non punibilità (art. 129 c.p.p.) (pag. 64) - misure cautelari (pag. 66) - misure precautelari (pag. 66) - presupposti delle misure cautelari (pag. 68) - criteri di scelta delle misure cautelari (pag. 69) - misure cautelari personali (pag. 70) - procedimento applicativo delle misure cautelari (pag. 71) - impugnazioni cautelari (pag. 72) - misure cautelari reali (pag. 73) - udienza preliminare (pag. 74) - integrazione probatoria nella udienza preliminare (pag. 75) versione 1.1 (6/1/2015) 2 Introduzione La procedura penale è regolata da norme seguendo certe forme, infatti il processo penale è molto formale, tanto da provocare fenomeni liturgici e rituali. Le regole formali nella procedura servono a due cose: - l’idea di processo rievoca l’idea di un cammino, di una sequela di atti formali che hanno lo scopo di ricostruire un evento del passato (la commissione o meno di un reato) → le norme formali (e anche molti soggetti del processo) servono a indirizzare questo cammino - il giudice può essere accomunato a uno storico: entrambi devono ricostruire il passato - invero le norme formali ostacolano la ricostruzione del fatto storico più di quanto non la aiutino - nel processo penale si adopera la forza per conoscere il passato (cosa che non accade negli altri mezzi di conoscenza della storia) - questo uso della forza si rivede in due momenti: - alla fine del processo con la sentenza penale (il diritto penale non esiste senza il processo penale) - durante il processo con il necessario uso della violenza per conoscere il reato, che di solito è un fatto che rimane nascosto (si arriva alla violazione di diritti costituzionalmente garantiti) - le procedure formali servono a limitare questo uso della forza Queste due funzioni della norma processuale stanno in un rapporto complicato, perché a volte si coordinano (es.: art. 526 c.p.p. aiuta la funzione di scoperta della storia e la necessaria civiltà per condannare uno, che almeno deve essere interrogato) e altre volte no, boicottando la scoperta del fatto storico (es. art. 266 c.p.p. che vieta l’uso delle intercettazioni per alcuni reati). In Italia si ha la scuola classica di Francesco Carrara che aveva elaborato la teoria dualistica (il processo penale tende a due fini: la scoperta della storia e la limitazione dell’uso della forza).
 Altra scuola è quella positiva, che diventerà poi la dottrina fascista, che proponeva una teoria unitaria: il fine della procedura è uno solo, la difesa della società (Arturo Rocco descrive il processo con parole che caratterizzano la pena: il processo diventa esso stesso pena). Sul piano storico ci sono stati due conflitti: - uno sincronico: fra la legge e la magistratura - spesso la giurisprudenza del processo penale ha atteggiamenti anti-formalisti e cerca di allontanarsi dalle forme e dalle regole, perché la giurisprudenza si carica del peso della funzione della scoperta dell’esistenza del reato e questo avviene molto spesso attraverso lo scardinamento dei limiti rituali (molto vero oggi, con la magistratura che vede la legge come limite e non come faro) - uno diacronico: fra garantismo e emergenza - si vede in molti altri ordinamenti (come quello statunitense dopo l’11 settembre) ed è alla fine l’altalena fra gli interessi dell’individuo e quelli dell’autorità - Calamandrei: “il processo penale è una rete che contiene l’opinione sociale: nei periodi di pace la rete tiene, nei periodi di emergenza le idee vendicative e giustizialiste traboccano dalla rete” In ogni norma penale si devono rivedere queste due anime: la necessità di scoprire quello che è successo e la necessità di farlo in modo civile.
 versione 1.1 (6/1/2015) 5 Sistemi processuali I sistemi inquisitorio e accusatorio hanno le fondamenta nel diritto romano ma si affermano nel 1200. Si deve prima guardare al sistema germanico - l’azione penale era privata (l’azione era esercitata dai privati) e i processi si svolgevano in una sorta di gara che le parti (entrambe private) facevano davanti a un giudice spettatore che doveva registrare la regolarità della gara e del risultato - si usavano metodi che davano risultati senza valore logico (i duelli, il giuramento, le ordalie; hai vinto il duello? → dio è con te, quindi vincerai il processo): in certi casi questo sistema non dava un risultato chiaro, perciò era necessario una terza figura che decidesse chi fosse il vincitore. Nel 1200 il sistema cambia mosso da tre spinte: - il diffondersi delle eresie - la (relativa) espansione commerciale con il conseguente brigantaggio - la riscoperta delle fonti antiche a Bologna. Questi tre fattori si combinano e fanno sì che non basti più l’azione penale privata ma serva una macchina più funzionante e che non sia più accettabile concepire il processo senza il raggiungimento di un risultato conoscitivo razionale: nascono così il processo inquisitorio e accusatorio. sistema inquisitorio - nasce nell’Europa continentale, quando nel 1215 c’è un concilio laterano che vieta ai preti di accreditare le ordalie: questo è l’inizio convenzionale del processo inquisitorio - la principale caratteristica è la ricerca quasi ossessiva della verità, di una verità storica (per fermare le eresie) Figura centrale è l’inquisitore - l’inquisitore inizia l’inchiesta d’ufficio o su denuncia - prima fase è l’inquisitio generalis, dove si valuta la fondatezza della notizia di reato e si svolgono i primi accertamenti sull’identità del reo - seconda fase è l’inquisitio specialis che si dirigeva verso un soggetto preciso: l’inquisito veniva interrogato sotto giuramento senza sapere l’addebito o le prove, non c’era dibattimento, alla fine l’inquisitore decideva lui stesso la causa o trasmetteva gli atti a un collegio perché decidesse - caratteristiche del processo inquisitorio - accusatore e giudice sono ruoli che si fondono nell’inquisitore; le funzioni di accusa e di giudizio sono unite sull’inquisitore - l’inquisitore è un organo diverso dall’arbitro del processo germanico, perché è organo attivo e agente - l’inquisito è del tutto sottomesso e non ha diritti difensivi - la carcerazione preventiva è fisiologica e ha lo scopo di cercare la verità - non c’è contraddittorio - c’è molta scrittura e la trattazione è tendenzialmente segreta sistema accusatorio - nasce nel mondo anglosassone ed è agli antipodi dell’inquisitorio - caratteristiche del processo accusatorio - accusa e giudizio sono separate: accusatore e accusato devono persuadere un terzo. - qualcuno considera l’accusatorio una specie di applicazione del principio della separazione dei poteri - la carcerazione preventiva è eccezionale in pendenza di giudizio e comunque può essere disposta solo per esigenze processuali versione 1.1 (6/1/2015) 6 - c’è il contraddittorio - la trattazione è principalmente orale e nella pubblicità del processo - storicamente il sistema accusatorio prevede una giuria, fatta da comuni cittadini e punta a un giudizio razionale ma comunque collegato al sistema delle ordalie: il principio della gara rimane, c’è un forte formalismo e il giudice è poco coinvolto (governa l’andamento del processo) Storicamente è difficile trovare un sistema accusatorio o inquisitorio puro. Elementi importanti per capire quale sistema processuale un codice vuole creare: - non ci può essere contestualità tra reato e giudizio (il giudizio è sempre successivo al fatto): la fase che prepara il giudizio (l’indagine) che peso ha nel giudizio? - modello inquisitorio: tutto quello che è raccolto prima del giudizio può essere usato nella decisione - modello accusatorio: tutto quello che è stato raccolto prima del giudizio vale zero se non è riassunto durante il giudizio nel contraddittorio o in altro modo ammesso dalla legge (nel nostro sistema: fascicolo per il dibattimento, norme sulle letture dibattimentale, norme sulle contestazione dell’esame dei testimoni e delle parti) - quanto il sistema è formale e disposto a concedere deroghe alla forma - modello inquisitorio: l’inquisitore ha facoltà violare le norme formali per le imputazioni atroci - modello accusatorio: il giudice deve sempre avere rispetto delle forme perché sono garanzia per il corretto svolgimento del processo e soprattuto per l’imputato - correttezza del procedimento nei confronti dell’imputato - modello inquisitorio: il procedimento penale è scorretto nei confronti dell’imputato (es: lettura del foglio bianco e poi faccia stupita, tortura anche psicologica) perché si deve cercare una verità storica, quindi si deve fare di tutto per raggiungerla - modello accusatorio: il procedimento penale tutela innanzitutto le parti e i loro diritti e questo si ottiene attraverso il rispetto delle regole; si cerca comunque una verità che però è interna al processo - il rapporto tra potere e cittadino è più civile; il magistra non è nemica dell’imputato sistema misto - storia del modello misto - tutto inizia con la Rivoluzione francese: i rivoluzionari immediatamente riscrivono le regole sulla procedura penale già nel 1791 - i rivoluzionari importano nel continente il sistema accusatorio e disegnano la forma più pura di processo accusatorio che ci sia mai stata: accusa penale privata, difesa garantita fin dai primi istanti del procedimento, rigidissima separazione tra indagini e dibattimento, rigidissima oralità (quasi ingenua, es.: era vietato verbalizzare le testimonianze), dibattimento pubblico; arrivano istituti che non spariranno più: primo di tutti il dibattimento - nel 1808 il sistema cambia con il code d’instruction criminél di Napoleone, anche se già negli anni prima il sistema era stato cambiato in senso reazionario - Napoleone vuole demolire il sistema rivoluzionario ma capisce di non poterlo eliminare del tutto, quindi ha l’intuizione di fondere il sistema accusatorio e inquisitorio: prevede quindi un processo a due fasi, il processo misto o bi-fasico - prima fase: istruzione (inquisitoria, segreta, non pubblica e senza l’accusato, pieni poteri di accertamento) - seconda fase: dibattimento (pubblico, orale, dialettico) - il processo bi-fasico è l’archetipo di tutti i sistemi giudiziari d’Europa - il c.p.p. italiano del 1930 dà vita ad un sistema misto, armonizzando pregi e difetti dei due modelli versione 1.1 (6/1/2015) 7 art. 14 Cost. (inviolabilità del domicilio) - Il domicilio è inviolabile. - il domicilio è la proiezione spaziale della persona - Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale. - riserva di legge e giurisdizione: sono possibili compressioni dell’inviolabilità del dominio con la garanzia del meccanismo della convalida - vengono vietate le ispezioni, le perquisizioni e i sequestri, ma non c’è la formula aperta del “né ogni altra restrizione” che c’è all’art. 13 Cost. - l’art. 14 Cost. protegge anche la riservatezza delle attività domiciliari, ma per il modo in cui è scritto sono permesse tutte le compressioni che non sono ispezione, perquisizioni o sequestro (la Corte cost. le autorizza perché nel ’47 non era immaginabile il progresso della scienza, quindi l’elenco che l’art. 14 Cost. dà non è tassativo) - Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali. art. 15 Cost. (inviolabilità della libertà e della segretezza delle comunicazioni) - La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. - le comunicazioni protette dall’art. 15 Cost. devono essere riservate (es.: non si applica a un comizio) - La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge. - riserva di legge e giurisdizione - non sono permessi alla polizia interventi limitativi o provvisori autonomi, nemmeno con la convalida successiva del magistrato - la libertà delle comunicazioni è più protetta della libertà personale - questa scelta forte dell’art. 15 Cost. (dà alla segretezza delle comunicazioni una tutela maggiore di quella data al domicilio e alla libertà personale) ha varie giustificazioni: - dopo il Fascismo la libertà delle comunicazioni era sentita come molto importante - le tecniche di compressione dei diritti sono diverse: gli atti che incidono sulla libertà personale o domiciliare sono palesi, quelli sulle comunicazioni no (dato che non so di essere intercettato, non ho mezzi immediati per difendermi) - le limitazioni sulla segretezza delle comunicazioni involvono anche soggetti terzi, estranei al processo Problemi comuni degli art. 13, 14 e 15 Cost.: - sono valide le prove ottenute in violazione di questi articoli? la dottrina maggioritaria dice no (pag. 143) - quando la Costituzione parla di autorità giudiziaria, basta un p.m. o ci vuole un giudice? alcuni dicono che ci voglia un giudice (per garantire), la maggioranza dice che quando la Costituzione pretende l’intervento dell’autorità giudiziaria basta l’intervento di un p.m. - in alcuni casi, per scelta del legislatore, deve intervenire per forza il giudice, specialmente in materia di provvedimenti cautelare e di intercettazioni telefoniche (ci vuole un giudice salvo casi urgenti con successiva convalida) - comunque il c.p.p. sposa l’idea che anche il p.m. sia parte dell’autorità giudiziaria art. 24 comma 2 Cost. (diritto di difesa) - La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. versione 1.1 (6/1/2015) 10 - la difesa è l’insieme di attività che servono a far valere nel procedimento i diritti e gli interessi di tutte le parti private - anche la parte civile ha diritto alla difesa, ma questa è un difesa di tipo diverso perché è quasi un’accusa - la difesa è un prodotto del legislatore (non esiste prima del legislatore; mentre il corpo esiste prima del legislatore) ed è quest’ultimo a plasmare le norme sulla difesa: anche la difesa, però, è definita come inviolabile e quindi c’è un cortocircuito - l’art. 24 Cost. è in definitiva una norma debole, perché molto è lasciato alla discrezionalità di legislatore e della Corte cost. (oggi si può guardare all’art. 111 Cost.) - la difesa è sia un diritto che una garanzia - diritto dell’imputato: serve a tutelare la persona dell’imputato - garanzia della fondatezza dell’accusa, così che sia utile per il processo grazie alla stimolazione del contraddittorio - il diritto di difesa ha due facce - autodifesa: per l’imputato è molto forte, è un diritto non un dovere - si può procedere in assenza dell’imputato solo se l’assenza dipende da una sua scelta o se l’imputato è assente senza motivo: istituti dell’assenza e della contumacia - capacità processuale dell’imputato - esiste quando l’imputato è in grado di partecipare coscientemente al processo (deve comprendere che lo stanno processando, capire che si trova in un giudizio) - art. 70 c.p.p.: se è dubbia la capacità processuale dell’imputato, il giudice dispone perizia - art. 71 c.p.p.: se la perizia dà esito negativo, il processo viene sospeso perché l’imputato non può esercitare il suo diritto all’autodifesa - si possono compiere solo gli atti urgenti e gli atti di ricerca delle prove che prosciolgono l’imputato - ogni 6 mesi vengono svolti nuovi accertamenti (creando anche gli eterni giudicabili, perché durante la sospensione anche la prescrizione è interrotta) - l’autodifesa può prevalere sulla difesa tecnica - art. 99.2 c.p.p.: l’imputato può in sempre togliere efficacia agli atti del difensore - difesa tecnica - nel processo inquisitorio e misto: il difensore deve ragionare su prove formate da altri, quindi deve essere bravo a parlare e parlare molto anche perché è disarmato per la sostanziale scorrettezza del processo - nel processo accusatorio: la difesa ha più poteri e quindi ha più responsabilità - art. 99.1 c.p.p: il difensore ha le facoltà e i diritti che la legge riconosce all’imputato, tranne per gli atti personalissimi (atti in cui serve l’imputato o una procura speciale) - art. 103 c.p.p.: a garanzia della libertà del difensore ci sono regole più severe per certe attività istruttorie che toccano un difensore - art. 104 c.p.p.: nel corso delle indagini preliminari, per eccezionali ragioni di cautela e con l’autorizzazione del giudice, l’imputato non può avere il diritto di parlare col difensore per 5 giorni - art. 106 c.p.p., incompatibilità del difensore: se la tesi difensiva di un imputato nuoce alla posizione di un altro imputato, il difensore non può essere lo stesso per entrambi - il giudice dispone che per uno dei due sia trovato un difensore d’ufficio - la difesa è un diritto, ma anche un obbligo: c.d. difesa d’ufficio - se l’imputato non vuole farsi difendere non può nulla, perché la difesa ha anche una dimensione pubblicistica (il difensore è una garanzia di regolarità del processo) (poi nel tuo processo non puoi essere pienamente lucido) versione 1.1 (6/1/2015) 11 - l’autorità procedente non può designare il difensore d’ufficio, che viene oggi scelto da un computer fra gli avvocati di un certo collegio locale - art. 97.4 c.p.p.: se un difensore c’è ma non è reperibile si nomina un sostituto, che il giudice può scegliere mentre il p.m. deve chiedere al consiglio dell’ordine degli avvocati - altro aspetto del diritto di difesa è il nemo tenetur se detegere: nessuno può essere obbligato a smascherarsi, ad imputarsi - quindi l’imputato ha diritto a non collaborare con l’autorità giudiziaria (esiste infatti il diritto di non rispondere, art. 64.3.b c.p.p.) - secondo alcuni non vale solo per le dichiarazioni dell’imputato ma per tutti i suoi comportamenti art. 27.2 Cost. (presunzione di innocenza) - è una regola di trattamento (l’imputato non può essere trattato come un colpevole) e una regola di giudizio (le prove non permettono sempre di fare piena luce, quindi si dovrebbe ricorrere al non liquet che però è vietato nel processo penale corrente, perciò si giudica sulla base della presunzione di innocenza) - nel dubbio si proscioglie, anche quando la colpevolezza dell’imputato è più probabile della sua innocenza (art. 530.2 e .3 e 533 c.p.p.) - in sede civile è diverso perché basta la plausibilità della tesi di una parte - il rischio della prova mancata cade sul p.m. (anche se ci sono poteri istruttori del giudice) - fondamento della presunzione di innocenza - concezione psicologico-statistica: è più probabile che l’imputato sia innocente (non accolta) - concezione normativa: in base a un paragone di valori, per l’ordinamento è più grave condannare un innocente che prosciogliere un colpevole - si condanna solo quando la colpevolezza (e l’esistenza del reato, il nesso, etc) è provata al di là di ogni ragionevole dubbio (art. 533 c.p.p.) - il c.p.p. ha abolito la formula di proscioglimento “per insufficienza di prove”, cioè “ti assolvo perché non ce l’ho fatta a incastrarti” - oggi: se resta incerto che il fatto non sussiste, si è comunque assolti perché il fatto non sussiste 
 versione 1.1 (6/1/2015) 12 giurisdizione - serve a smistare i casi tra giudici ordinari e speciali competenza - è interna ai rami della giurisdizione - in materia penale esiste: - competenza per materia (verticale, tra uffici di grado diverso) - quale tipo di giudice deve giudicare - si applicano - criterio qualitativo (in base al tipo di reato; “questo reato appartiene alla competenza del tribunale”) - criterio quantitativo (in base ai livelli edittali) - criterio soggettivo (in base al tipo di imputato; per individuare la competenza del tribunale dei minori) - oggi si cerca di limitare i casi di collegialità ma così si mina una importante garanzia (più si è meno si sbaglia e la collegialità è uno scudo contro le pressioni visto che non si sa chi ha deciso come) - competenza per territorio (orizzontale, tra uffici dello stesso grado in luoghi diversi) - il giudice di quale luogo deve giudicare - è determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato (criterio generale) - nel luogo di consumazione è più facile raccogliere le prove e c’è un interesse di giustizia - ci sono poi varie regole derogatorie al criterio generale: - se dal reato deriva la morte di un individuo → è competente il giudice del luogo in cui è avvenuta l’azione o l’omissione letale (es.: il luogo in cui il soggetto viene accoltellato e non il luogo della morte) - se si tratta di reato permanente (la condotta deve prolungarsi nel tempo perché sia consumato, es.: sequestro di persona) → è competente il giudice del luogo in cui inizia la consumazione - se si tratta di tentativo → è competente il giudice in cui è commesso l’ultimo atto della serie di atti idonei e non equivoci diretti a commettere il delitto - ci sono poi regole suppletive (che sono successive l’una all’altra) - se nessuna delle regole suppletive funziona → è competente l’ufficio giudiziario dove c’è stato il p.m. che per primo ha fatto iniziare le indagini (si inverte l’ordine delle cose) - ulteriori regole derogatorie: - se un magistrato è coinvolto (sia come indagato che come offeso) e il giudice competente è uno del suo stesso distretto → la competenza spetta a un giudice di un distretto diverso da quello di appartenenza del magistrato coinvolto (si segue la tabella allegata all’art. 1 disp. att. c.p.p.) - (es.: un giudice di Bologna viene accoltellato a Ferrara, il processo si fa ad Ancona) - per i procedimenti sulla criminalità organizzata (art. 51.3-bis c.p.p.), di cui si occupa la procura distrettuale antimafia - per le IP e la UP è competente il GIP presso il tribunale del capoluogo del distretto - per il dibattimento è competente il giudice di ordinaria competenza - la convalida delle misure precautelari (disposte dalla polizia e di durata massima di 48 ore con convalida entro le 48 successive, si tratta di arresto in flagranza e fermo di indiziato) è di competenza del GIP del luogo in cui è avvenuto l’arresto o il fermo versione 1.1 (6/1/2015) 15 - competenza per connessione - si ha quando ci sono più reati e quindi più procedimenti che possono essere trattati assieme e che in parte coincidono (non è possibile deciderne uno senza decidere un frammento dell’altro) - casi di connessione (art. 12 c.p.p.) - lett. a) c’è concorso, cooperazione (nei reati colposi) o quando più persone hanno tenuto condotte indipendenti che hanno determinato l’evento - lett. b) quando c’è concorso formale (una condotta, più reati) o quando c’è reato continuato (più azioni volte a realizzare un unico disegno criminoso) - lett. c) quando c’è un nesso teleologico o consequenziale (alcuni reati sono commessi per eseguire o occultare altri reati) - per molto tempo erano descritte in termini poco tassativi - nel vecchio c.p.p. gli effetti della connessione sulla competenza operavano solo se c’era la riunione dei procedimenti (che era fatta a discrezione del tribunale a cui competeva il reato più grave) → violazione del principio della precostituzione del giudice - nel nuovo c.p.p. la connessione diventa un criterio autonomo di determinazione della competenza, quindi non è più agganciata alla riunione dei procedimenti - i due procedimenti connessi vanno sempre davanti allo stesso giudice, che poi sceglierà se riunirli o trattarli separatamente (bisognerebbe sempre riunire, perché altrimenti cosa serve spostare in ogni caso la competenza?) - per individuare il giudice competente in base alla connessione - prima su usa il criterio qualitativo: i procedimenti vanno davanti al giudice competente per il reato più grave (si usa il criterio qualitativo) - se non basta, si usa il criterio quantitativo: i procedimenti vanno davanti al giudice competente per il reato con la pena più grave o in alternativa quello commesso per primo - per i procedimenti davanti al giudice di pace ci sono meno casi di connessione - se l’imputazione per il reato principale cade, ma quella del reato satellite rimane, come si fa? il p.m. potrebbe avere il potere di spostare la sede del processo inventandosi un’imputazione che poi farà cadere - competenza funzionale - di genesi giurisprudenziale - materia, territorio e connessione permettono di individuare il giudice che emanerà la sentenza dibattimentale, ma il processo penale ha anche altre componenti - la competenza funzionale permette di individuare quale giudice si deve occupare di ciascuna fase di un processo - si può così distinguere tra un giudice di primo e uno di secondo grado; tra GIP, GUP e giudice del dibattimento, etc; ognuno dei quali ha competenza solo per un segmento del processo - ogni giudice deve prima di tutto controllare se è competente - la Cassazione ha il compito di decidere le questioni di competenza - l’incompetenza si ha quando il giudice interviene in violazione alle regole di competenza (può quindi essere incompetenza per territorio, per materia, etc) - l’incompetenza è una forma sui generis di invalidità (teoria di Camon) - nelle indagini preliminari può esserci incompetenza, la quale viene dichiarata dal GIP (art. 22 c.p.p.) - l’ordinanza di incompetenza produce effetti limitatamente al provvedimento richiesto, quindi il p.m. non è obbligato a trasferire l’indagine (se il p.m. chiede versione 1.1 (6/1/2015) 16 un’intercettazione a Bologna e il GIP non gliela concede perché è incompetente, il p.m. non è obbligato a trasferire l’indagine alla sede competente) - è spesso vero che il GIP, quando decide, non conosce bene il procedimento (magari perché il p.m. non gli comunica tutti gli atti) → il legislatore dà poca rilevanza alle decisioni del GIP - nel processo (che inizia quando il p.m. formula l’accusa, alla conclusione delle indagini preliminari) - art. 20 c.p.p.: difetto di giurisdizione → rilevabile in ogni stato e grado del giudizio - incompetenza per materia - art. 21.1 c.p.p.: in difetto: il giudice “inferiore” si appropria di un reato per cui è competente un giudice “superiore” (es.: il giudice di pace si occupa di un reato della corte d’assise) → rilevabile in ogni stato e grado del processo - in eccesso: il giudice “superiore” si appropria di un reato di un giudice “inferiore” - se sarebbe competente il giudice di pace → rilevabile in ogni stato e grado del processo (perché il procedimento davanti il GdP è tutto particolare) - art. 23.2 c.p.p.: se sarebbe competente un giudice togato (es.: corte d’assise procede per un caso del tribunale) → rilevabile entro il termine per le questioni preliminari (è meno grave perché ci sono molte più garanzie: organo collegiale, etc) - art. 21.2 c.p.p.: incompetenza per territorio → rilevabile prima della conclusione della UP, se non accolta può essere risollevata entro il termine per le questioni preliminari (se sollevata entro i termini, può essere riproposta nei gradi successivi) - l’incompetenza per territorio nasce dopo il termine delle indagini preliminari → solo se l’incompetenza è materialmente eccepibile solo dopo la scadenza del termine, si ha una specie di rimessione in termini - art. 21.3 c.p.p.: incompetenza per connessione → come incompetenza per territorio - incompetenza funzionale → di solito viene assimilata alla incompetenza per materia in difetto (rilevabile in ogni stato e grado del processo) - forma e effetti della dichiarazione di incompetenza - nelle IP: il GIP dichiara con ordinanza (che ha effetto solo per il provvedimento richiesto) l’incompetenza e trasmette gli atti al p.m. che aveva chiesto l’atto - nel processo di primo grado: il giudice dichiara con sentenza la propria incompetenza e trasmette gli atti al p.m. presso il giudice competente - nel processo di appello - viene rilevata un’incompetenza per materia in difetto, per territorio o per connessione → il giudice d’appello annulla la sentenza di primo grado e trasmette gli atti al p.m. presso il giudice di primo grado competente - viene rilevata un’incompetenza per materia in eccesso → il giudice d’appello decide comunque nel merito anche se l’incompetenza è stata rilevata coi motivi d’appello - nel processo di cassazione - incompetenza per materia in difetto dichiarabile anche d’ufficio - incompetenza per territorio o per connessione solo se eccepite nei motivi di ricorso - errore nella composizione del tribunale (collegiale o monocratico) - il tribunale monocratico è la regola, di solito, per i reati con meno di 10 anni di reclusione - viene di solito trattata come l’incompetenza per territorio - è una soluzione truffa, perché in verità si tratta di una incompetenza per materia versione 1.1 (6/1/2015) 17 - “processo di merito” esclude la possibilità di spostare il giudizio di legittimità davanti alla Cassazione (ovviamente, c’è una sola Corte di cassazione) - quando gravi situazioni locali tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili… - deve trattarsi di un rischio locale (perché altrimenti non avrebbe senso spostare il processo) ed esterno al processo - pregiudicano la libera determinazione delle persone che partecipano al processo o la sicurezza e l’incolumità pubblica… - si tratta dell’ordine pubblico processuale (sicurezza etc) e della libertà morale delle persone che partecipano al processo - o determinano motivi di legittimo sospetto… - aggiunto dalla legge Cirami (l. 248/2002), ma è una formula oscura perché non si capisce cosa sia il legittimo sospetto (e va in contrasto con la necessità di meccanismi automatici per l’individuazione della competenza) - le tesi principali su cosa sia il legittimo sospetto sono due: - 1) il legittimo sospetto abbassa il presupposto probatorio necessario per accogliere le domanda di remissione: i presupposti sono quelli di prima (libera determinazione o sicurezza) ma prima bisognava dimostrarlo, con la Cirami basta il legittimo sospetto che ci siano i due presupposti - 2) il legittimo sospetto è un terzo presupposto per la remissione: legittimo sospetto dell’imparzialità dell’ufficio giudicante, quindi qualsiasi ragione va bene - la Corte di cassazione, su richiesta delle parti principali del processo o del procuratore generale presso la corte d’appello, giudica sulla richiesta - il giudice di rimessione è individuato in base alle tabelle di spostamento di cui all’art. 1 disp. att. c.p.p. - art. 47 c.p.p.: effetti della richiesta di remissione (cosa succede al procedimento in corso tra la presentazione della domanda e la decisione della Cassazione) - la domanda di remissione può essere fondata (quindi si dovrebbe sospendere il processo) o del tutto dilatoria (quindi si dovrebbe continuare il processo, in attesa della decisione della Cassazione) - con il sistema del 1988, il processo va avanti a meno che non sia discrezionalmente sospeso (dal giudice): in ogni caso il giudice non può pronunciare la sentenza di chiusura - inconveniente: si poteva arrivare alla prescrizione del reato a forza di fare domande di remissione → nel 1996 la Consulta dichiara incostituzionale l’art. 47 c.p.p. nella parte in cui vieta al giudice di pronunciare sentenza - la legge Cirami riforma questo sistema introducendo un meccanismo complicato di sospensioni del processo, alcune facoltative, altre doverose - sospensioni facoltative: possono essere disposte sia dal giudice procedente (quello che riceve la domanda di rimessione) che dalla Cassazione se c’è un fumus boni iuris della richiesta di remissione - sospensione semi-obbligatoria - riguarda solo la fase finale del giudizio o della UP (non si può emettere il provvedimento di chiusura della fase) - scatta solo quando il presidente della Corte di cassazione, dopo aver sommariamente valutato la domanda di rimessione, non vede una ragione probabile di inammissibilità della remissione (come la manifesta infondatezza) e quindi non invia la domanda alla VII sezione (che giudica la apparente manifesta infondatezza, dunque la manda a una delle prime 6 sezioni) - se manda la richiesta alla VII sezione (perché probabilmente la domanda di emissione è manifestamente infondata o inammissibile) il processo continua versione 1.1 (6/1/2015) 20 - con la sospensione del processo si sospendono anche i termini di prescrizione e i termini di durata massima della custodia cautelare - oggi il sistema pregiudica l’imputato che giustamente chiede la remissione - se la domanda viene accolta il processo va a finire automaticamente al giudice competente a decidere i processi in cui è coinvolto un magistrato (si segue la tabella dell’art. 1 disp. att. c.p.p.) - davanti al nuovo giudice le parti possono chiedere la riassunzione delle prove già assunte, ma le prove già assunte rimangono valide versione 1.1 (6/1/2015) 21 Pubblico ministero art. 109 Cost.: L’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria. - l’esecutivo non è minimamente coinvolto nell’uso della polizia fatto dalla magistratura - la polizia giudiziaria è quella parte della polizia che interviene dopo il compimento di un reato col compito di accertarlo - la polizia di sicurezza interviene prima e tenta di evitarlo, ha meno poteri coercitivi - con questa formulazione dell’art. 109 Cost. la polizia è soggetta funzionalmente alla magistratura ma gerarchicamente è soggetta all’esecutivo (c.d. doppia dipendenza della polizia) → c’è il chiaro problema per i poliziotti di dover indagare, al caso, sul loro datore di lavoro - con la l. 517/1955 si cerca di eliminare il problema: il più alto ufficiale di polizia di un territorio non può essere eliminato senza il consenso dell’autorità giudiziaria. - il nuovo codice crea una nuova articolazione della polizia giudiziaria: vengono istituite le sezioni di polizia giudiziaria presso ogni procura della Repubblica (art. 56 c.p.p.) - vi entra solo chi è scelto nominativamente dal procuratore della repubblica o dal procuratore generale presso la corte d’appello - chi è addetto alla sezione di p.g. non può essere trasferito o esonerato anche temporaneamente senza il nulla-osta del procuratore della Repubblica - gli ordini sono dati direttamente dal p.m. all’agente di p.g. (gli ordini dati ai servizi di p.g., l’altra articolazione della polizia, sono mediati) Il pubblico ministero promuove la repressione dei reati, inizia ed esercita l’azione penale (art. 73 e 74 ord. giud.) Esistono due modelli agli antipodi: - accentramento: burocratizzazione di tipo gerarchico ed esclusivo dell’ufficio del p.m., che viene integrato nell’apparato amministrativo dello Stato - diffusione: sparpagliamento degli uffici del p.m. sul territorio così da dare la piena azione penale al popolo (es.: il p.m. eletto dai cittadini). Con la rivoluzione francese nasce il concetto di giustizia amministrata per il popolo e dal popolo: vengono istituite le giurie e l’elezione popolare dell’accusatore. Con Napoleone il sistema vira decisamente verso l’accentramento: il p.m. è un commissario governativo che rappresenta il governo presso i giudici, il tutto legato da una forte gerarchia (nasce il concetto di sostituto procuratore all’interno del processo, così da fare vedere la struttura gerarchica all’interno dell’ufficio di accusa). Il sistema napoleonico viene importato in Italia nel 1858 dalla legge Rattazzi: il p.m. è il rappresentante del potere esecutivo presso l’autorità giudiziaria e opera sotto la direzione del ministro. Questo è l’assetto, più o meno, fino al 1946: al vertice c’è il ministro della giustizia, sotto c’è il procuratore generale presso la corte d’appello, il cui ufficio è composto del procuratore generale (che è il capo) e dai sostituti. Ancora sotto c’è la procura (della Repubblica), che è composta dal procuratore della Repubblica e i sostituti procuratori. Il tutto in un sistema gerarchico, dove deleghe e avocazioni erano possibili in ogni momento. Nel 1946 viene varata la legge Togliatti che interviene sull’art. 69 dell’ordinamento giudiziario: il p.m. esercita sotto la vigilanza (non più la direzione) del ministro della giustizia le funzioni che la legge gli attribuisce - → sparisce la funzione dirigenziale del ministro della giustizia, quindi egli non è più il capo dell’ordinamento e il sistema ha ora tanti vertici quanti sono le procure generali presso la corte d’appello - → ogni singolo vertice non ha investitura e responsabilità politiche versione 1.1 (6/1/2015) 22 Nascita e caratteristiche generali del nuovo c.p.p. Il codice Rocco sopravvive fine al 1988, sebbene modificato da vari interventi. Nel 1955 c’è un forte riforma (vengono modificati 200 articoli), il cui filone di intervento più importante riguarda l’istruttoria e consiste nell’aprire varchi di luce in una fase che era del tutto segreta. Con la Repubblica si inaugura una stagione di interpolazioni che porterà a smarrire la chiarezza e la comprensibilità della procedura penale (non è chiaro il sistema). Secondo difetto: allargare i casi in cui il difensore può partecipare all’istruzione non è un gran rimedio, perché rallenta e imbroglia il meccanismo ma non è una vera garanzia, perché il difensore è garante ma non protagonista. Siamo, tra il 1930 e il 1988, nella stagione del garantismo inquisitorio (vecchio sistema, nuove garanzie; è una civilizzazione del codice Rocco). Il codice del 1988 nasce per l’insoddisfazione a cui porta il garantismo inquisitorio. Il nuovo codice di procedura penale è contenuto nel d.P.R. 447/1988, nella legge delega datata 1987 c’è scritto che il nuovo c.p.p. deve attuare il sistema accusatorio. Il c.p.p. del 1988 articola il procedimento penale di primo grado in tre fasi: - indagini preliminari - scompare il giudice istruttore, che per alcuni aspetti era giudice e per altri accusatore - c’è il giudice per le indagini preliminari (GIP), che differisce dal giudice istruttore principalmente perché non deve cercare le prove - le prove sono cercate dal p.m. e dalla polizia giudiziaria (“il p.m. dirige le indagini”) - il p.m. non ha più i poteri paragiurisdizionali del p.m. del codice Rocco (in materia di misure cautelari e precautelari personali), i quali vanno al GIP - art. 326 c.p.p.: le indagini preliminari servono per le determinazioni inerenti all’esercizio della azione penale (cioè servono per permettere al p.m. di scegliere, alla fine delle indagini, se incriminare o chiedere l’archiviazione) - le indagini non servono a formare la prova, non sono un’istruzione (l’istruzione è oggi all’interno del dibattimento) - il p.m. comunque deve raccogliere il materiale per decidere se andare a processo o no e questo procedimento è simile all’istruzione - per differenziarli da quelli dibattimentali, il c.p.p. chiama in modo diverso e dà un regime giuridico diverso agli atti che hanno la struttura della prova dibattimentale ma che vengono raccolti prima dell’istruzione (c.d. atti omologhi) - visto che le indagini preliminari contano meno dell’istruzione, si possono alleviare le forme e le garanzie durante questa fase (quindi in alcuni casi il nuovo c.p.p. è meno garantista del codice Rocco) - alla fine delle indagini il p.m. può chiedere al GIP l’archiviazione o esercitare l’azione penale (incriminando l’indagato, che diventa imputato) - udienza preliminare - questa fase si apre dopo la formulazione dell’imputazione (quindi se il p.m. decide di andare a processo) - è un filtro delle imputazioni azzardate, un primo controllo giurisdizionale sulla fondatezza dell’imputazione e sulla possibilità di sostenere l’accusa in giudizio - è un’occasione per scegliere riti alternativi (patteggiamento, rito abbreviato e sospensione del processo per messa alla prova) - il processo accusatorio è lungo e costoso, principalmente perché le prove raccolte nelle indagini non hanno il valore di prova nel dibattimento → il sistema non può sopportare che tutti i processi vadano a giudizio → è conveniente smistare molti processi verso un rito alternativo - alla fine dell’udienza preliminare versione 1.1 (6/1/2015) 25 - se l’imputazione non regge (non c’è materia per il giudizio) → sentenza di non luogo a procedere (risparmiamo tempo e fatica) (art. 425 c.p.p.) - se l’imputazione regge → decreto che dispone il giudizio (si apre il giudizio) - il GUP esamina il materiale raccolto nelle indagini preliminari e procede alla formazione dei due fascicoli - il fascicolo per il dibattimento (che potrà essere visto dal giudice del dibattimento) (art. 431 c.p.p.) - contiene: atti assunti in incidente probatorio, atti irripetibili, atti presi all’estero con rogatoria, atti relativi alla procedibilità dell’azione penale e all’esercizio dell’azione civile, certificato del casellario giudiziale e corpo del reato - il fascicolo del p.m. (che potrà essere usato dalle parti e contiene il grosso del materiale raccolto) - giudizio (composto da fase pre-dibattimentale, dibattimento e fase post-dibattimentale) - il cuore è l’istruzione dibattimentale (dove si formano le prove) - nel contraddittorio delle parti, sotto il governo del giudice, si forma il materiale conoscitivo che permette di decidere - principio di separazione delle fasi: il materiale raccolto nelle indagini preliminari non può essere usato nel dibattimento; di più: il giudice del dibattimento non dovrebbe nemmeno conoscerlo (grazie al sistema del doppio fascicolo) - ci sono però delle eccezioni al principio di separazione delle fasi (il giudice del dibattimento può usare il materiale raccolto nelle indagini preliminari): - atti originariamente irripetibili (es.: atti a sorpresa, come la perquisizione) - letture dibattimentali (lettura in dibattimento di verbali di prove raccolte fuori dal dibattimento) - contestazioni basate sugli atti delle indagini durante l’esame dibattimentale dei testimoni e delle parti private - in questi casi il p.m. rimane istruttore, come nel 1930 - l’idea di riservare al dibattimento l’istruzione delle prove poneva un problema: le prove effimere (non durature), quelle informazioni che o vengono raccolte in modo definitivo nelle indagini preliminari o non possono più essere formate (es.: il testimone prossimo alla morte) - per risolvere il problema c’è l’incidente probatorio (art. 392 c.p.p.) - permette l’uso del metodo dibattimentale all’interno delle indagini preliminari, così da anticipare l’assunzione della prova con le garanzie del dibattimento Tutto questo sistema è stato terremotato nei venti anni successivi (circa 1016 modifiche). Per procedimento il codice del 1988 intende l’intera sequela del rito (dall’acquisizione della notizia di reato fino al giudicato). Per processo in senso stretto si intende quella sequenza di atti che è destinata a sfociare in una res iudicata. Questa sequenza parte dall’imputazione, cioè dalla fine delle indagini preliminari. Qualche volta il codice adopera male questa distinzione (es. art. 21.2 c.p.p.) 
 versione 1.1 (6/1/2015) 26 Interventi di modifica nei primi venti anni del nuovo c.p.p. Il sistema del 1988 dura pochissimo, nonostante l’accoglimento positivo della dottrina. Va notato che già Nobili disse che si dava troppo poco conto alle IP nonostante si facciano cose importanti in quella fase (es. le misure cautelari), e che questa svalutazione poteva portare a serie conseguenze. Infatti già nel 1992 il sistema originario viene quasi completamente smantellato, grazie alla concomitanza di tre eventi: - 1) il c.p.p. non viene accettato dalla magistratura, che lo tempesta di questioni di legittimità costituzionale (questioni sollevate sul codice Rocco: 645 in 33 anni, questioni sul codice attuale: 1148 in 17 anni) - il principale punto contestato è il principio di separazione delle indagini preliminari dall’istruzione dibattimentale (perché atti assunti legittimamente non possono essere usati nel dibattimento?) (grazie al cazzo, non è la stessa cosa) - su quest’onda la Consulta emana tre decisioni - sentenza 24/1992 - la testimonianza indiretta (testimonianza di una testimonianza) della polizia, che il c.p.p. vietava, viene permessa sulla base del principio di uguaglianza (abrogato l’art. 195.4 c.p.p., che invero era una norma ancillare alla separazione delle fasi) - prima rottura del principio di separazione tra le fasi, perché si può far testimoniare il poliziotto che durante la fase preliminare ha raccolto la testimonianza del testimone che non vuole/non può partecipare alla fase istruttoria - nel 2001 il divieto è stato ripristinato - sentenza 255/1992 - i fatti usati come contestazioni nell’esame testimoniale (art. 500 c.p.p.) (es.: nelle indagini preliminari dicesti che egli era biondo, in dibattimento dici che è calvo! te lo contesto!) non potevano costituire prova, potevano solamente essere usati per stabilire la credibilità della persona esaminata - la consulta crea il principio di non dispersione dei mezzi di prova (creato trasformando in principio tutte le eccezioni alla separazione delle fasi) - se compiuti legittimamente, anche gli atti delle IP recuperati in dibattimento con la contestazione hanno valore di prova - le dichiarazioni rese nelle indagini e ripescate con le contestazioni hanno ora lo stesso valore delle prove dibattimentali - oggi, di nuovo, servono solo a valutare l’attendibilità del testimone - prima diagnosi: in Italia il cammino dall’inquisitorio all’accusatorio è lungo e difficile, il cammino inverso è velocissimo (le prove testimoniali raccolte nelle indagini entrano, o con la contestazione o con la testimonianza indiretta del poliziotto, nel dibattimento e non c’è nemmeno un giudice dell’istruzione) - sentenza 254/1992 - vedi dopo (sulle modalità di recupero delle dichiarazioni dell’IRCC) - 2) stragi di Capaci e di Via d’Amelio - d.l. 306/1992 (decretone Scotti-Martelli): interviene su vari articoli del c.p.p. in modo reazionario introducendo molti casi in cui la prova si forma fuori dal contraddittorio - art. 190-bis c.p.p.: nei processi di mafia, quando una delle parti chiede di sentire un testimone o un pentito e questi ha già parlato in un altro processo, il giudice ammette la testimonianza solo se la ritiene assolutamente necessaria (deroga all’art. 190 c.p.p., diritto alla prova) (oggi è rimasto ma è stato cambiato) - art. 500 c.p.p., introduzione del comma 2-bis che rende possibile la contestazione al teste muto: si possono recuperare le dichiarazioni rese nelle indagini quando il teste si rifiuta o omette di rispondere (prima si poteva contestare solo al teste che versione 1.1 (6/1/2015) 27 Articolo 111 Cost. L’articolo è stato modificato nel 1999 per le ragioni di cui sopra; parliamo ora della parte vecchia, gli odierni commi 6 e 7 (che erano i commi 1 e 2) - art. 111 Cost. comma 6: tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati - funzioni dell’obbligo di motivazione - serve a creare e valutare la responsabilità del giudice - serve ai cittadini di controllare lo svolgimento della funzione giurisdizionale - serve all’imputato per permettergli di capire l’imputazione e per comunicargli le ragioni che portano alla condanna - art. 111 Cost. comma 7: contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale si può ricorrere per Cassazione per violazione di legge - il ricorso serve per scopi nomofilattici, che sono espressione di equità - il diritto all’appello non è previsto in costituzione, infatti spesso si parla di eliminarlo - tesi contro l’appello in generale: - è un lusso che non ci si può permettere; meglio un grado fatto molto bene (come direbbe il sistema accusatorio) o un primo grado fatto male e le garanzie nell’appello (come direbbe il sistema inquisitorio): oggi il sistema unisce le due cose - è contraddittorio prevedere un giudizio di primo grado orale e immediato per poi dare l’ultima parola al giudice d’appello che non vede testimoni, non assume prove, etc. - tesi contro l’appello del p.m. - è sufficiente il primo grado, l’appello del p.m. contro le sentenze di proscioglimento è vessatorio art. 111 Cost. riformato dalla legge cost. 2/1999 Una riforma nata male perché doveva essere approvata “di corsa” ma alla fine moderna e ben fatta. Il lessico è poco tecnico e volontariamente vago. art. 111 Cost. comma 1 - La giurisdizione si attua mediante il giusto processo - traduzione del legislatore di processe equitable e dew process of law - secondo alcuni non ha un effettivo valore precettivo; è un omaggio ad una tradizione nobile ma alla fine il processo giusto è quello che realizza le specifiche garanzie dei commi successive dell’art. 111 Cost. - secondo altri si deve dare valore a “giusto processo”, così come fa la Corte EDU (i diritti dei processati vanno sacrificati il minimo indispensabile) (è quasi un ritorno agli ideali del giusnaturalismo) - questa seconda tesi porta al paradosso che la riforma dell’art. 111 Cost. nasce per legare le mani alla Consulta, ma usando una formula ampia si danno Corte ampi margini di manovra - regolato dalla legge. - riserva di legge che in questa norma ha un significato dubbio - certamente si riferisce al tipo fonte (il processo deve essere regolato dalla legge parlamentare) - ma può anche significare - divieto per la Consulta di sentenze manipolative del c.p.p. - deve essere lasciato poco spazio alla discrezionalità degli organi giudicati (la legge di procedura penale deve essere tassativa) - la legge deve predeterminare tutti i poteri del giudice, ma non tutti i poteri del giudice sono uguali: nei poteri relativi al governo del processo si può concedere discrezionalità, su quelli che possono incidere sull’esito del processo no versione 1.1 (6/1/2015) 30 art. 111 Cost. comma 2 - Ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti - è un’accezione debole di contraddittorio: si allude alla contrapposizione dialettica fra le parti (non riguarda la formazione della prova in contraddittorio, come dice il c. 4) - in condizione di parità - non è necessario che le parti siano in posizioni assolutamente identiche - sono ammesse anche disparità di trattamento tra le parti (molto spesso ammesse dalla Costituzione stessa, specialmente in materia di diritti inviolabili) purché ci sia un sostanziale equilibrio tra le parti soprattutto in materia di prove e purché le disuguaglianze siano giustificate - davanti ad un giudice terzo ed imparziale. - terzietà: è un aspetto oggettivo, di ordinamento giudiziario - il giudice non deve essere vicino o affine al p.m. (ci vorrebbe la separazione delle carriere) - imparzialità: è un aspetto soggettivo - la decisione deve essere immune da pregiudizi - ci si deve basare sul principio della domanda (e oggi da noi la domanda iniziale spetta, quasi sempre, solo al p.m.) (il principio della domanda arriva fino all’impossibilità per il giudice di interrogare le parti nell’esame incrociato) - La legge ne assicura la ragionevole durata. - l’art. 6 CEDU prevede il diritto alla ragionevole durata come un diritto soggettivo dell’imputato (una specie di estrinsecazione del diritto di difesa) - l’art. 111.2 Cost. è configurato invece come una garanzia oggettiva, dell’ordinamento (quindi può essere usata anche contro l’imputato, ad es. togliendogli il diritto alla prova per favorire la ragionevole durata) - la Consulta sostiene che la durata ragionevole è quella del processo giusto, quindi non si possono amputare diritti per fare in fretta I commi dal 3 in poi dell’art. 111 Cost. contengono direttive del giusto processo che riguardano solo il processo penale: ruotano tutti attorno al concetto di contraddittorio. Il termine contraddittorio esiste nel linguaggio comune e intende una discussione pubblica tra persone che sostengono opinioni contrarie al fine di convincere un terzo. Nella procedura penale significa circa questa cosa, perché le parti hanno il fine di persuadere il giudice. Il contraddittorio va protetto perché - è un diritto dell’individuo (dimensione soggettiva), che serve a verificare l’accusa in contraddittorio con le parti così da proteggere l’accusato e la sua dignità - si intravede un legame tra la forma di Stato e la forma del processo, quindi il contraddittorio è quasi un segnale del liberalismo dello Stato - negli stati democratici il contraddittorio è ritenuto così tanto importante che nei “processi a parte unica” viene creata una parte artificiale così da creare il contraddittorio (per es.: nei processi civilistici di interdizione è necessario un p.m. che faccia da contraddittore) - è un metodo (dimensione oggettiva), uno strumento che garantisce il corretto accertamento processuale - la prova non è mai una rappresentazione oggettiva di un fatto, ma è molto condizionata da fattori soggettivi dato che, essendo la prova la ricostruzione di un fatto, ne altera le caratteristiche ricostruendolo (si applica alla verità il principio di indeterminazione di Heisenberg) - il giudice fa parte del processo di accertamento, e mentre procede alla ricostruzione del fatto, altera il fatto stesso versione 1.1 (6/1/2015) 31 - nel mondo del probabile la verità non è raggiungibile se si ignorano le opinioni degli altri - Calamandrei: la verità è un oggetto tridimensionale che si può percepire del tutto solo girandogli attorno, quindi ascoltando tutte le versioni possibili si può raggiungere una forma probabile di verità - fare attenzione a - non collegare all’accertamento della verità la presenza delle parti: ciò che è utile alla formazione della verità è lo scontro fra le parti (le quali vogliono vincere il processo, non trovare la verità, ma in questo modo permettono di ritrovare il vero) - non creare un processo di classe: proprio perché il contraddittorio valorizza le parti, un processo in contraddittorio funziona quando funzionano le parti (il p.m. deve studiare bene il processo, l’avvocato deve essere preparato e ben pagato) A lungo si rintracciava il contraddittorio nell’art. 24.2 Cost. (diritto alla difesa) ma c’erano due limiti: - si dimenticava che il contraddittorio, dato che è anche un metodo, serve anche al p.m. (non solo all’imputato) - l’art. 24 Cost. è una norma vaga poiché non protegge una situazione di fatto ma una situazione di diritto (la difesa esiste nella misura in cui il legislatore la fa esistere) Proprio perché scontenti della forma di contraddittorio data dalla Cassazione e dalla Consulta, si è arrivati alla riforma dell’art. 111 Cost. art. 111 Cost. comma 3 (requisiti per il funzionamento del contraddittorio) - la persona accusata dev’essere nel minor tempo possibile informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico - l’atto di accusa è la prima forma di garanzia, perché permette all’imputato di sapere cosa deve contraddire - “accusa” è usato in senso ampio e atecnico - “natura dell’accusa”: nomen iuris che il c.p. dà a quel fatto storico (le norme che si assumono violate) - “motivi dell’accusa”: fatti materiali addebitati all’imputato - l’art. 521 c.p.p.: la qualifica giuridica del fatto può essere cambiata dal giudice direttamente in sentenza (es.: si fa un processo per corruzione ma in sentenza si condanna per concussione) - questa disposizione non è conforme con la CEDU e col nuovo art. 111 Cost. perché l’imputato si difende sulla norma che lo incrimina e poi si vede cambiata la denominazione del fatto nella condanna senza avere una tempestiva notizia del cambio di imputazione e una possibilità di difendersi - “nel più breve tempo possibile”: vale la scelta italiana di informare l’indagato solo con l’avviso di fine indagini o, a volte, con l’informazione di garanzia? - la persona accusata deve disporre del tempo necessario per preparare la propria difesa - formula generica a cui si può collegare principalmente l’insieme degli avvertimenti all’imputato (es: quelli contenuti nell’avviso di conclusione delle indagini) - si ricollega alla ragionevole durata del processo - l’imputato deve avere la facoltà davanti al giudice di interrogare o fare interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico; chiamare persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e acquisire ogni mezzo di prova a suo favore - viene sancito il diritto alla prova - in verità si possono introdurre tutte le prove che sono utili al processo, non quelle che lo rallentano senza dare un reale contributo probatorio → non sono illegittimi i poteri del giudice di vagliare l’ammissione delle prove versione 1.1 (6/1/2015) 32 Personaggi del giudizio persona offesa - è la vittima del reato, il titolare dell’interesse giuridico leso dal reato - se è deceduta a causa del reato, le sue facoltà sono esercitate dai prossimi congiunti - non è una parte ma un soggetto del procedimento - con il c.p.p. del 1988 viene eretta a soggetto e viene riempita di diritti mentre nel precedente codice era molto emarginata, con pochi diritti - nelle indagini preliminari la persona offesa ha molti diritti (art. 90 c.p.p.) - es: ricevere l’informazione di garanzia o l’avviso degli accertamenti tecnici irripetibili, può chiedere al p.m. che chieda l’incidente probatorio; se nell’incidente probatorio si assumono dichiarazioni ha il diritto di assistere; può opporsi alla richiesta di archiviazione e chiedere di svolgere nuove indagini; di recente sono cresciuti i diritti in materia cautelare - concluse le indagini preliminari la persona offesa ha sempre meno diritti - può costituirsi parte civile e in questo modo ha i diritti tipici della parte - se non lo fa diventa un soggetto debole che non ha i poteri tipici della parte (non agisce, non impugna, non conduce gli esami diretti, non ha un vero diritto alla prova) - le rimangono le facoltà dell’art. 90 c.p.p.: presentare memorie, indicare elementi di prova, chiedere al p.m. di impugnare (art. 572 c.p.p.) enti esponenziali - sono gli enti rappresentativi degli interessi giuridici collettivi del tipo di quelli lesi dal reato - sono simili alla persona offesa → hanno gli stessi diritti e poteri della persona offesa (art. 91 c.p.p.) (c.d. accusatore privato sussidiario) - sono soggetti del procedimento e non parti - perché possano esercitare le prerogative della persona offesa, devono intervenire nel processo (art. 93 c.p.p.) - l’intervento era stato pensato come metodo alternativo alla costituzione degli enti come parti civili (frequentissima sotto il codice abrogato) - rimane comunque il problema delle eccessive costituzioni di parte civile degli enti esponenziali - requisiti per poter intervenire nel processo - non devono avere scopo di lucro - anteriormente alla commissione del reato siano stati riconosciuti loro, in forza di una legge, fini di tutela degli interessi violati dal reato - la persona offesa dia il suo assenso (ad un solo ente) - art. 94 c.p.p.: possono intervenire nel procedimento fino all’accertamento della costituzione delle parti (termine di cui all’art. 484 c.p.p.) Le parti (a differenza dei soggetti) sono quelle rispetto alle quali è emessa la decisione, sono cioè “toccate” dalla sentenza (la polizia, la persona offesa e gli enti esponenziali non sono toccati dalla sentenza). Stare in giudizio significa esercitare i poteri della parte - le parti necessarie sono parti e stanno in giudizio principalmente per conto loro - le parti eventuali sono parti ma stanno in giudizio col ministero di un difensore (è necessario il difensore, altrimenti non si hanno poteri) (art. 100 c.p.p.) versione 1.1 (6/1/2015) 35 Le parti sono: - necessarie - p.m. - è sia parte sia soggetto pubblico - il p.m. esercita le sue funzioni sotto la vigilanza (non più la direzione) del ministro della giustizia → ha una posizione di indipendenza esterna rispetto agli altri poteri costituzionali (infatti gode delle stesse garanzie di indipendenza dei magistrati) - è prima di tutto titolare del potere di esercizio dell’azione penale (art. 50 c.p.p.) - l’obbligo di esercizio dell’azione penale ha come unico limite la richiesta di archiviazione (il p.m. esercita l’azione penale quando non deve chiedere l’archiviazione) - l’art. 405 c.p.p. indica tutti i modi di esercizio dell’azione penale e l’art. 60 c.p.p. dà la qualifica di imputato al soggetto colpito da una imputazione - i criteri di distribuzione del lavoro fra i p.m. tentano di evitare concorrenze (art. 51 c.p.p.) - l’unico controllo ormai rimasto al procuratore generale presso la corte d’appello sul lavoro dei p.m. presso il tribunale è l’avocazione - automatica (art. 372 c.p.p.) - se è impossibile provvedere alla tempestiva sostituzione di un procuratore presso il tribunale a seguito di astensione o incompatibilità - se il procuratore capo presso il tribunale non sostituisce tempestivamente un magistrato incompatibile o che si sarebbe dovuto astenere - se entro i termini di conclusione delle IP, il p.m. presso il tribunale non esercita l’azione penale o non chiede l’archiviazione - se il p.m. presso il tribunale non svolge correttamente i suoi compiti di coordinamento investigativo - discrezionale - se il GIP fissa l’udienza in camera di consiglio perché non accoglie una richiesta di archiviazione o accoglie l’opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione (art. 412 c.p.p.) - se è richiesta dall’indagato o dalla persona offesa se il p.m. non esercita l’azione penale o non chiede l’archiviazione (art. 413 c.p.p.) - se il GUP ordina ulteriori indagini (art. 421-bis c.p.p.) - contrasti fra uffici del p.m. - se nessuno si accorge del contrasto, non ci sono conseguenze - contrasti negativi (art. 54 c.p.p.) - se un p.m. ritiene che la competenza a conoscere un reato spetti a un giudice diverso da quello presso il quale egli esercita le funzioni, trasmette tempestivamente gli atti al p.m. presso il giudice competente - se p.m. destinatario ritiene non sussistere la competenza, il contrasto negativo è risolto dal procuratore generale presso al corte d’appello (da quello presso la Cassazione se il contrasto è inter-distrettuale) - contrasti positivi (art. 54-bis c.p.p.) - se due p.m. ritengono di avere legittimazione a indagare sullo stesso fatto storico e sulla stessa persona, uno dei due invia richiesta all’altro di trasmissione degli atti di indagine - se l’altro p.m. dissente, il conflitto positivo va davanti al PGCAP (o quello della Cassazione, se il contrasto è inter-distrettuale) - prima della designazione fatta dal PGCAP, uno dei due uffici può desistere ed inviare gli atti all’altro p.m. (→ risoluzione anticipata del contrasto) versione 1.1 (6/1/2015) 36 - l’indagato può controllare il corretto insediamento delle indagini (art. 54- quater c.p.p.) e attivare il meccanismo ordinario di soluzione del conflitto - contrasti su IP di criminalità organizzata (art. 54-ter c.p.p.) - se contrasto inter-distrettuale → decide il PG Cassazione sentito il procuratore nazionale antimafia - se contrasto interno al distretto (fra DDA e procura della Repubblica) → decide il PGCAP dopo aver informato il procuratore nazionale antimafia - imputato - assume la qualità di imputato la persona formalmente individuata nell’atto di esercizio dell’azione penale, che le attribuisce un certo fatto storico (art. 60 c.p.p.) - l’assunzione avviene spesso in uno stato avanzato del procedimento - perde la qualità di imputato chi ne è liberato ad opera di una sentenza o di un atto ad essa equiparabile (art. 60.2 c.p.p.) - riassume la qualità di imputato chi è colpito dalla revoca della sentenza di non luogo a procedere o dal decreto di citazione per il giudizio di revisione - art. 61 c.p.p.: sono riconosciute alla persona sottoposta alle indagini i diritti e le garanzie attribuite all’imputato - è indagato il soggetto indicato nella notizia qualificata di reato - eventuali - parte civile - art. 74 c.p.p.: dal reato nascono responsabilità penali ma anche obbligazioni civili (obbligo di restituzione e obbligo di risarcimento del danno, art. 185 c.p.) - chi afferma l’esistenza di queste obbligazioni nel processo penale è la parte civile - la parte civile, formalmente, innesta una causa civile all’interno del processo penale (con la costituzione di parte civile si sdoppia la re iudicanda) - la parte civile, sostanzialmente, è più di un attore civilistico - il giudice risponde alla domanda della parte civile solo se condanna l’imputato (art. 538 c.p.p., altrimenti non decide sulla domanda; non è una norma scontata perché spesso sussiste la responsabilità civile e non quella penale) → la re iudicanda penale è pregiudiziale rispetto a quella civile → la parte civile è molto interessata all’esito del giudizio → in pratica la parte civile è un piccolo p.m., perché sostanzialmente chiede la condanna penale (anche se formalmente vuole solo dei soldi) - alcune delle competenze del p.m. sono spesso esercitate dalla parte civile - si crea uno squilibrio nel contraddittorio a sfavore dell’imputato, perché il p.m. è uno solo, gli avvocati della parte civile sono tanti (es.: processo a Schettino) - la costituzione di parte civile - può avvenire solo dopo la chiusura delle IP per partecipare all’UP - non può avvenire prima dell’esercizio dell’azione penale - non può avvenire oltre il termine di cui all’art. 484 c.p.p. (accertamento della regolare costituzione delle parti nell’udienza dibattimentale) - conviene alla parte civile costituirsi prima del dibattimento perché così può depositare le liste testimoniali (massimo 7 giorni prima dell’udienza dibatt.) - le altre parti possono protestare la costituzione delle parte civile (art. 80 c.p.p.) - il giudice decide con ordinanza di escludere la parte civile dal processo, anche d’ufficio (art. 81 c.p.p.) - la parte civile può revocare la costituzione (art. 82 c.p.p.) - rapporti fra azione civile e azione civile in sede penale - il codice abrogato incentivava le costituzioni di parte civile mentre scoraggiava le azioni civili indipendenti versione 1.1 (6/1/2015) 37 Indagini preliminari - il momento che segna l’inizio delle indagini preliminari è l’acquisizione della notizia di reato, che è un’informazione sugli elementi essenziali di un ipotetico reato - bastano gli elementi oggettivi del reato - art. 220 disp. att. c.p.p.: se durante verifiche di carattere amministrativo (ispezioni o vigilanze) emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova sono compiuti secondo le disposizioni del c.p.p. - → la notizia di reato è lo spartiacque oltre il quale si avvia il procedimento penale, regolato dalle norme del c.p.p. - acquisizione della notizia di reato (art. 330 c.p.p.) - il p.m. e la polizia giudiziaria prendono notizia dei reati di propria iniziativa e ricevono le notizie presentate o trasmesse - → esistono le notizie di reato ricevute e le notizie di reato ricercate - problemi di questa fase preliminare alle indagini preliminari: - il p.m. che ricerca un reato è difficile da conciliare con l’obbligatorietà dell’azione penale: la notizia ricevuta è per definizione perfettamente compatibile con l’obbligatorietà dell’azione penale e quindi per principio di uguaglianza - ma quando è il p.m. che avvia le ricerche delle notizie di reato, chi lo guida? chi assicura che le sue mosse siano coerenti col principio di uguaglianza? - il p.m. può fare qualcosa prima delle indagini preliminari (cercare la notizia di reato) e in questa attività preliminare alle indagini preliminari non possono essere compiuti atti che comportano compressioni di diritti - notizie di reato - inqualificate: non disciplinate dalla legge - vanno comunque iscritte nel registro delle notizie di reato - qualificate: disciplinate dalla legge (non sono atti processuali → non seguono la disciplina sulla redazione degli atti) - denuncia - è la segnalazione di un reato procedibile d’ufficio indirizzata al p.m. o alla p.g. da una qualsiasi persona fisica - i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio hanno il dovere di denuncia per iscritto e senza ritardo (art. 331 c.p.p.) - art. 332 c.p.p.: la denuncia di provenienza pubblica deve indicare un serie di elementi utili a dare completezza alla notizia di reato (elementi essenziali del fatto, fonti di prova già note, etc) - i privati hanno obbligo di denuncia solo in casi eccezionali (es.: quando si ha notizia di un sequestro di persona) (art. 333 c.p.p.) - il difensore non ha mai l’obbligo di denunciare i reati di cui è venuto a conoscenza durante il suo lavoro - può essere presentata personalmente o per procuratore speciale, al p.m. o alla p.g., oralmente o per iscritto - quanto ai contenuti, si può applicare per analogia l’art. 332 c.p.p. - art. 333 c.p.p.: è vietato fare uso di denunce anonime (quelle di cui non si conosce il denunciante) - è possibile usarle quando la denuncia anonima costituisce corpo di reato o quando proviene comunque dall’imputato - referto (art. 334 c.p.p.) - denuncia che va presentata obbligatoriamente entro 48 ore da chi, esercitando una professione sanitaria, abbia prestato la propria assistenza od opera in un caso che presenta i caratteri di un delitto procedibile d’ufficio - non va presentata quando esporrebbe l’assistito a procedimento penale versione 1.1 (6/1/2015) 40 - querela, istanza o richiesta (purché non sia già stata acquisita in altro modo la notizia di reato) - art. 335 c.p.p.: appena il p.m. ha gli estremi della notizia di reato deve iscriverla nel registro delle notizie di reato e, contestualmente o dal momento in cui risulta, il nome della persona a cui il reato è attribuito - dal momento dell’iscrizione della notizia di reato decorrono alcuni termini - altri decorrono dall’iscrizione del nome dell’indagato nel registro delle notizie di reato: il principale di questi è il termine di durata delle indagini preliminari (poi alcuni valgono per i riti speciali) - quello che si deve fare nelle indagini non è regolato dalla legge, ma l’inizio e la fine sono fissati: l’inizio è l’iscrizione e la fine è l’esercizio dell’azione penale o la richiesta di archiviazione - secondo Cordero il termine finale nelle indagini è stupido, perché si obbliga il p.m. ad adempiere a un dovere d’ufficio dandogli dei limiti di tempo - secondo Lozzi e Nobili questi termini sono legati all’idea di fondo di costruire un processo basato sul sistema accusatorio, che ha bisogno di indagini brevi perché: - Lozzi: se il dibattimento arriva dopo molto tempo, il dibattimento non può essere orale (la gente si scorda) - Nobili: più le indagini si appesantiscono, più ciò che è fatto vuole entrare nel dibattimento - questa spiegazione è ormai debole: oggi le indagini durano molto e la Consulta ha addirittura fissato il principio di necessaria completezza delle indagini (soprattuto perché oggi molto spesso il processo è definito alla UP con patteggiamento o giudizio abbreviato) - oggi la ratio dell’istituto è la limitazione temporale della qualifica di indagato, i diritti del quale vengono spesso compressi - due problemi circa l’obbligo di iscrizione della notizia di reato: - in certi casi non è facile individuare il momento in cui viene acquisita la notizia di reato - se il p.m. non iscrive la notizia di reato nel momento in cui ne ha gli estremi - è una cosa che succede sempre, perché gli uffici sono oberati di arretrato - secondo la dottrina, il giudice dovrebbe far decorrere il termine finale delle IP dal momento in cui il p.m. avrebbe dovuto iscriverla - secondo la giurisprudenza, i termini decorrono dal momento dell’iscrizione seppure tardiva (magari il p.m. avrà una sanzione disciplinare) - termini finali delle indagini preliminari - 6 mesi dall’iscrizione del nome dell’indagato nel registro (art. 405.2 c.p.p.) - 12 mesi per certi reati - art. 405.2 c.p.p.: i termini possono essere prorogati di 6 mesi anche più volte, ad opera del GIP su richiesta del p.m. - si segue un principio di gradualità - la prima proroga è concessa per giusta causa (art. 406.1 c.p.p.) - le proroghe successive sono concesse per particolare difficoltà o per impossibilità oggettiva di concludere le indagini (art. 406.2 c.p.p.) - il procedimento di proroga è simile a quello di archiviazione, può essere - ordinario (sulla richiesta di proroga c’è un contraddittorio cartolare) - art. 406.3 c.p.p.: la richiesta di proroga viene notificata alla persona offesa se lo ha chiesto e all’indagato, i quali possono presentare memorie - se il GIP ritiene allo stato degli atti di non concedere la proroga, fissa un’udienza in camera di consiglio, dove sente le parti e con ordinanza decide se concedere la proroga o meno (l’ordinanza non è impugnabile) - speciale versione 1.1 (6/1/2015) 41 - per i reati dell’art. 51.3-bis e 407.2 c.p.p., senza contraddittorio né informazione alle parti diverse dal p.m. - se il GIP non concede la proroga, impone al p.m. un termine entro cui deve scegliere se chiedere l’archiviazione o esercitare l’azione penale - la scadenza ultima e invalicabile è di 18 mesi (per alcuni reati, come quelli di mafia, è 24 mesi) - se il p.m. viola la scadenza ed esercita l’azione penale solo a termini scaduti, l’esercizio dell’azione penale (e il processo) è valido - gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine non possono essere utilizzati nel processo se vanno contro all’indagato (art. 407.3 c.p.p.) - se gli atti fatti dopo la scadenza sono a favore dell’indagato possono essere usati nel processo indagini preliminari svolte dalla polizia giudiziaria - le indagini della p.g. si svolgono - prima del reperimento della notizia di reato (la ricercano) - fra il reperimento e la comunicazione al p.m. - dopo la comunicazione della notizia di reato al p.m. (art. 327 c.p.p.; c.d. attività autonoma di indagine) - dopo che il p.m. ha assunto la direzione delle indagini - la p.g. deve compiere gli atti di indagini ad essa specificamente delegati dal p.m. (art. 370.2 c.p.p.; c.d attività delegata di indagine) - la p.g. deve eseguire le direttive investigative impartite dal p.m. (art. 348 c.p.p.; c.d. attività guidata di indagine) - la p.g. può compiere tutti gli atti di indagine necessari per accertare i reati o richieste da elementi emersi successivamente (art. 348 c.p.p.; c.d. attività parallela di indagine) (il p.m. va tempestivamente informato) - le indagini della p.g. possono anche essere atipiche, ma devono rispettare i dettami dell’art. 189 c.p.p. (idoneità ad assicurare l’accertamento dei fatti e pregiudizio per la libertà morale della persona) - rapporti tra p.m. e polizia giudiziaria - esistono due modelli - modello inglese: il public prosecutor non compie le indagini, che sono un lavoro esclusivo della polizia - il p.m. è per certi aspetti un consulente legale e per altri un controllore legale della polizia. - modello statunitense: il district attorney compie le indagini in prima persona, anche subentrando alla polizia - in Italia il modello è confuso - il sistema del 1988 era vicino al modello statunitense: il p.m. era dominus delle IP, infatti: - art. 327 c.p.p. nel 1988: il p.m. dirige le indagini e dispone direttamente della polizia giudiziaria - art. 370 c.p.p. nel 1988: il p.m. compie personalmente ogni attività di indagine, può avvalersi della p.g. per il compimento di indagini e di atti specificamente delegati, fra i quali non possono essere compresi l’interrogatorio dell’indagato e i confronti col medesimo - si vede come alcuni atti particolarmente delicati devono essere compiuti dal p.m. - art. 347 c.p.p. nel 1988: entro 48 ore dall’acquisizione della notizia di reato, la polizia deve riferire per iscritto al p.m. - il momento della comunicazione costituiva il momento di inizio delle indagini del p.m. (e il termine è veramente breve) versione 1.1 (6/1/2015) 42 Giudice per le indagini preliminari - è creato nel 1988, prima esisteva il giudice istruttore che svolgeva l’istruzione - il nuovo c.p.p. affida le indagini preliminari al p.m. e quindi è necessario un organo di garanzia e non di conduzione delle indagini - art. 328.1 c.p.p.: il GIP interviene nei casi previsti dalla legge (quindi ha una competenza tassativa) sulle richieste del p.m., dell’indagato, della persona offesa (→ interviene solo su domanda; non ha quasi mai poteri d’ufficio) - può essere definitivo un “giudice dell’affaccio”, che si affaccia sulle indagini e poi si ritira, non le governa - art. 328.1-bis e .1-quater c.p.p.: quando l’indagine viene attratta verso il capoluogo del distretto (quindi è un reato della procura distrettuale antimafia), anche il GIP diventa quello del capoluogo del distretto - i poteri del GIP possono essere divisi in tre categorie - funzioni di garanzia - il c.p.p. individua quegli atti che di più incidono sulle libertà dell’indagato (misure cautelari; intercettazioni; ispezioni, perquisizioni e sequestri che toccato un difensore; prelievo di campioni biologici) e li affida al GIP (o in casi eccezionali al p.m. ma con necessità di convalida) - eppure ci sono molti atti che incidono sui diritti dell’indagato che non sono di competenza del GIP → secondo alcuni si deve fare leva sui principi di parità fra le parti e di difesa - funzioni di controllo - non sono su un singolo atto ma su tutta l’attività di indagine - proroga delle IP - concessione dell’archiviazione (che in Italia deve essere un potere del giudice) - riapertura delle IP già chiuse - funzioni di decisione - decisioni sul merito - la re iudicanda è decisa dal GIP nei riti speciali (patteggiamento, giudizio abbreviato e procedimento per decreto) - decisioni sul processo - nell’udienza preliminare decide se fare procedere il processo (decr. disp. giud. o sentenza di non luogo a procedere) - può revocare una sentenza di non luogo a procedere - l’organo GIP segue l’udienza preliminare, ma la persona fisica deve essere un giudice diverso da quello che ha emesso provvedimenti durante le IP - problemi del GIP - 1) quali atti vanno trasmessi dal p.m. al GIP quando il primo gli chiede un provvedimento? - il c.p.p. non dà una risposta univoca - a) per alcuni atti (come la richiesta di archiviazione) il p.m. deve trasmettere al GIP tutto il fascicolo delle indagini preliminari - b) per altri atti (come la richiesta di misure cautelari personali) il p.m. può non trasmettere al GIP tutti gli atti del fascicolo - art. 291 c.p.p.: il p.m. deve trasmettere gli elementi su cui la richiesta si fonda, nonché dal 1995 tutti gli elementi a favore dell’imputato: il p.m. ha potere di selezione sugli atti a carico (→ la ratio sta nel fatto che anche l’imputato viene a conoscenza degli atti trasmessi al GIP, quindi è meglio non farli sapere) - c) per certi atti (es. intercettazioni) il p.m. non deve trasmettere nessun atto al GIP - il p.m. può selezionare quali atti mandare versione 1.1 (6/1/2015) 45 - art. 22 c.p.p:: la dichiarazione di incompetenza del GIP non vincola il p.m. - questa norma nasce dal fatto che il GIP non padroneggia bene le IP - 2) molto spesso il GIP decide fuori dal contraddittorio (es.: in materia cautelare) o in un contraddittorio imperfetto, dove a volte non c’è uno dei contraddittori (es.: udienza di convalida delle misure precautelari in cui il p.m. può anche non partecipare → si concretizza il rischio che il GIP prenda il posto del p.m.) - 3) in alcune situazioni manca una figura del GIP quale il garante del diritto alla prova - oggi sono due: incidente probatorio e sequestro quando il p.m. non vuole disporlo dopo averne ricevuto richiesta (deve inviare gli atti al GIP) - il legislatore del 1988 odia il giudice istruttore e quindi non dà al GIP poteri istruttori, ma sbaglia: il vero problema del giudice istruttore non è che le assumeva, ma che andava a cercare le prove, sposando una tesi inquisitoria e quindi abbandonando l’imparzialità - nel 2000 viene creato un sistema di indagini difensive, in cui è il difensore che indaga per l’assistito, così da colmare la mancanza di strumenti probatori nelle IP per l’indagato
 versione 1.1 (6/1/2015) 46 Segreto - interno: obbligo di escludere i soggetti interni al procedimento (imputato e difensore) dalla conoscenza dello svolgimento delle indagini (protegge il buon andamento delle indagini) - è quello che il codice chiama segreto - per violarlo basta la comunicazione di un atto al singolo - può essere violato una sola volta - nei sistemi inquisitori e misti è tutelato al massimo - nel c.p.p. del 1988 il segreto investigativo è più tutelato che il segreto istruttorio nel codice Rocco - disciplina statica - gli atti di indagine si dividono, in base alla conoscenza che ne ha l’indagato, in cinque categorie - 1) atti che l’imputato conosce perché li vive in prima persona - es.: ispezione personale - 2) atti ai quali il difensore ha il dovere di partecipare (a pena di invalidità) - es.: interrogatorio condotto dalla polizia su delega del p.m. (art. 370 c.p.p.) - 3) atti ai quali il difensore ha il diritto di partecipare con il diritto ad essere preventivamente avvertito (art. 364 c.p.p.) - es.: interrogatorio condotto dal p.m. - 4) atti ai quali il difensore ha il diritto di partecipare senza il diritto ad essere preventivamente avvertito (art. 365 c.p.p.) - c.d. atti a sorpresa, es.: perquisizione - 5) tutti gli altri atti di indagine (che sono segreti) - es.: tutte le testimonianze o l’identikit - art. 329.1 c.p.p.: tutti gli atti svolti durante le indagini sono segreti fino a che l’imputato non ne possa avere conoscenza (cioè fino a quando non diventano di un tipo da 1 a 4) - al più tardi alla chiusura delle indagini preliminari deve cadere il segreto interno (c.d. discovery) - invero la l. Carotti ha anticipato il momento di caduta del segreto interno all’avviso di chiusura delle indagini, art. 415-bis c.p.p. - disciplina dinamica (manovre correttive) - secretazione di atti non segreti - prolunga l’obbligo del segreto al di là dei limiti generali, a discapito dell’indagato - è fatta dal p.m., che è una delle parti in causa (sarebbe stato meglio se fatto dal giudice) - art. 329.3 c.p.p.: quando gli atti non sono più segreti, in caso di necessità per la prosecuzione delle indagini, il p.m. può - secretare singoli atti quando la conoscenza dell’atto può ostacolare altre indagini o quando l’imputato acconsente alla continuazione del segreto (ma la seconda è da ubriachi) - vietare di pubblicare il contenuto di singoli atti o notizie (blocca l’effetto dell’art. 114.7 c.p.p.) - in alcuni casi c’è un controllo successivo dal giudice - desecretazione di atti segreti - art. 392.2 c.p.p.: il p.m. può, in deroga all’art. 114 c.p.p., consentire la pubblicazione di singoli atti o parti di essi (il normale atto che viene desecretato è l’identikit) - esterno: obbligo di escludere soggetti esterni al procedimento dalla conoscenza di atti interni (è posto a tutela di una pluralità di valori) - è quello che il codice chiama divieto di pubblicazione versione 1.1 (6/1/2015) 47 - la norma è disposta a pena di nullità degli atti successivi - avviso all’indagato di conclusione delle indagini preliminari (art. 415-bis c.p.p., norma Dash, “più bianco non si può”) - serve nei casi in cui la persona interessata non chiede informazioni alla procura o non vengono compiuti atti garantiti (con invio dell’informazione di garanzia) - ha una funzione di civiltà: prima di incriminare qualcuno gli si deve dare la possibilità di parlare - comma 1: prima della scadenza del termine per la chiusura delle IP, anche se prorogato - l’avviso non va inviato quando si chiede la proroga, ma alla scadenza del termine finale - il p.m. fa notificare l’avviso di conclusione delle indagini se non deve formulare la richiesta di archiviazione del caso - comma 2: l’avviso contiene la sommaria enunciazione del fatto oggetto di indagini - alla fine delle indagini (e col p.m. che ha scelto di procedere verso il processo) si dovrebbe già dare un’enunciazione completa del fatto - e se nell’imputazione il fatto è diverso da quello scritto nell’avviso di conclusione delle indagini? - l’avviso contiene anche l’informazione che il fascicolo delle indagini preliminari si trova presso la segreteria del p.m. e che l’indagato e il difensore possono prenderne visione ed estrarne copia - questo è il momento della discovery - comma 3: da questo momento scattano diritti per l’indagato, che entro 20 giorni può - presentare memorie - presentare atti di indagini difensive - chiedere al p.m. il compimento di ulteriori atti di indagine - presentarsi per rilasciare dichiarazioni - chiedere di essere sottoposto all’interrogatorio (solo in questo caso il p.m. deve procedere, negli altri può evitare di compiere l’interrogatorio) - comma 4: se il p.m. dispone nuove indagini a seguito della richiesta dell’indagato, queste non devono durare più di 30 giorni dalla richiesta - il termine può essere prorogato una sola volta dal GIP su richiesta del p.m. per non più di 60 giorni - comma 5: gli atti di indagine compiuti dal p.m. a seguito della richiesta dell’indagato dopo la ricezione dell’avviso di conclusione delle indagini sono validi purché compiuti entro il nuovo termine dato dal comma 4 versione 1.1 (6/1/2015) 50 Incidente probatorio - è figlio della filosofia per cui le prove nascono e si formano nel dibattimento - si pone però il problema delle prove effimere, che vanno assunte altrimenti non saranno più assumibili in dibattimento - l’incidente probatorio è una parentesi giurisdizionale e un frammento del dibattimento nelle indagini: si forma con le regole del giudizio una prova che sarà usata in dibattimento - è una deroga al principio dell’immediatezza, perché la prova si forma davanti al GIP e non davanti al giudice del dibattimento - è una sorta di misura cautelare, perché tutela il diritto ad avere una prova che potrebbe svanire - il legislatore tiene “rigidi” i casi di incidente probatorio perché ha il timore che il GIP diventi un giudice istruttore attraverso l’incidente probatorio (ma il rischio è minimo, perché il GIP forma le prove, non le va a cercare) - casi in cui può essere chiesto l’incidente probatorio (art. 392 c.p.p.) - incidenti probatori subordinati a presupposti - lett. a): assunzione della testimonianza quando c’è fondato motivo di ritenere che la testimonianza non potrà essere assunta in dibattimento per infermità o per altro grave impedimento - lett. b): assunzione della testimonianza quando c’è fondato motivo di ritenere che il testimone sia in futuro intimidito, minacciato o corrotto per deporre il falso o non deporre - dal 1992 al 1999 non aveva senso l’incidente, perché in un modo o nell’altro la testimonianza resa nelle IP poteva essere fatta entrare nel giudizio - lett. e): confronto tra persone che, in un precedente incidente o al p.m., hanno reso dichiarazioni discordanti, alle condizioni delle lettere a) e b) - lett. f): assunzione della perizia o dell’esperimento giudiziale quando l’oggetto di questi è soggetto a modificazioni non evitabili (es.: l’autopsia) o - art. 392.2 c.p.p. - quando, se assunta in dibattimento, la perizia richiederebbe un differimento dell’udienza dibattimentale superiore a 60 giorni - art. 360 c.p.p.: accertamento tecnico irripetibile del p.m. - è un atto omologo della perizia perché è fatto dal p.m. durante le indagini - davanti all’iniziativa investigativa del p.m. (il quale nomina un suo esperto per fare l’accertamento tecnico), l’indagato può bloccarla formulando riserva di promuovere incidente probatorio (così da avere un perito nominato dal GIP) - se l’urgenza dell’accertamento è tale da non poter attendere l’incidente probatorio, il p.m. può ignorare la richiesta dell’indagato e procedere con l’accertamento - se poi si appura che non c’era l’urgenza (e quindi il p.m. ha solo ignorato la riserva e ha proseguito con l’accertamento tecnico), i relativi risultati non possono essere usati in dibattimento - l’art. 360 c.p.p. si applica anche quando la cosa non è in pericolo di cambiamento, ma è l’accertamento tecnico che modifica le cose o le persone, tali da rendere l’atto non ripetibile - lett. g): assunzione della ricognizione (c.d. “confronto all’americana”, es.: ti mettono davanti tre sospettati e la vittima ne riconosce uno) quando particolari ragioni di urgenza non consentono di rinviare l’atto al dibattimento - per Cordero la ricognizione è sempre urgente, per la sovrapposizione del ricordo (nella ricognizione il ricognitore sceglierà il soggetto che aveva riconosciuto nella precedente individuazione) - per Camon si deve guardare ai casi delle lettere a) e b) - incidenti probatori liberi versione 1.1 (6/1/2015) 51 - introdotti successivamente al c.p.p. per favorire la difesa, che spesso era interessata ad averlo ma aveva pochi casi in cui può chiederlo (in questi casi non occorre dimostrare l’urgenza di assumere la prova) - lettera c): l’esame dell’indagato su fatti riguardanti la responsabilità di terzi può sempre essere svolto in incidente probatorio - lettera d): l’esame dell’imputato di reato connesso o collegato (l’impumone) può sempre essere svolto in incidente probatorio - art. 392.1-bis c.p.p.: per alcuni reati di natura sessuale, di maltrattamento anche psicologico, reati commessi in famiglia o di riduzioni in schiavitù, si può sempre assumere la testimonianza di un minorenne o della vittima con incidente probatorio - così si assicura genuinità alla prova - l’uso dell’incidente probatorio fa assumere la prova in modo più ovattato perché non c’è il pubblico - il seguito naturale è l’art. 190-bis c.p.p., che limita il diritto delle parti alla prova per quelle persone che sono state sentite in questo incidente probatorio - art. 392.2 c.p.p.: gli accertamenti che richiedono il prelievo di materiale biologico da un individuo possono essere fatti in incidente probatorio su richiesta del difensore (il p.m. può ordinare alla polizia di farlo, art. 359-bis c.p.p.) - è una sorta di contrappeso al fatto che questi accertamenti siano nella sola disponibilità del p.m. - art. 391-bis.11 c.p.p.: se un soggetto che il difensore vuole sentire si rifiuta di rispondere, il difensore può chiedere l’incidente probatorio - richiesta di incidente probatorio - p.m. o indagato possono chiederlo al GIP (art. 392 c.p.p.) prima della chiusura delle indagini preliminari (art. 393 c.p.p.) - l’indagato può non sapere di essere sottoposto a indagine (e quindi gli viene difficile chiedere l’incidente probatorio) - la persona offesa può sollecitare il p.m. a chiedere l’incidente probatorio, il quale può rifiutare ma deve motivare il rifiuto (art. 394 c.p.p.) - nel 1994 la Consulta ha ammesso la possibilità di chiedere l’incidente probatorio entro la fine della UP - così da garantire all’imputato all’oscuro delle indagini la possibilità di chiedere l’incidente probatorio - la richiesta di incidente va notificata alla controparte, che può (art. 395 e 396 c.p.p.) - contrastare la richiesta di incidente - allargare l’oggetto dell’incidente - chiedere di sentire terzi - l’indagato potrebbe chiedere l’incidente probatorio così da vedere le intenzioni e i modi di lavorare del p.m. - art. 397 c.p.p.: il p.m. può chiedere il differimento dell’incidente probatorio, che viene consesso dal GIP quando la sua esecuzione pregiudicherebbe atti di indagine - udienza di incidente probatorio - si applicano le regole dibattimentali di assunzione della prova (art. 401 c.p.p.) ma: - è un’udienza camerale (non c’è pubblico) - non esiste ancora un’imputazione - non si sa se il testimone abbia parlato prima dell’incidente o cosa abbia detto, quindi ci sono problemi per fare una contestazione - sentenza additiva della Consulta del 1991: il p.m. deve depositare tutte le dichiarazioni già rese il giorno stesso dell’udienza dell’incidente (perché riteneva che un deposito precedente all’inizio dell’udienza fosse stato rischioso in caso di testimone minacciato) versione 1.1 (6/1/2015) 52 Attività del difensore durante le IP - durante le indagini, la difesa tecnica dell’indagato si estrinseca in tre forme - assistenza del difensore agli atti investigativi - serve a garantire - la regolarità formale degli atti di indagine - la tutela dei diritti fondamentali dell’indagato che sono toccati dalle IP - quando assiste al compimento di atti di indagine, il difensore (art. 364.7 c.p.p.) - può presentare richieste, formulare osservazioni e avanzare riserve - non può fare segni di approvazione - il c.p.p. distingue fra - atti ai quali il difensore ha il dovere di partecipare (a pena di invalidità) - art. 350.3 c.p.p.: sommarie informazioni dall’indagato raccolte dalla p.g. - art. 370.1 c.p.p.: interrogatorio condotto dalla polizia su delega del p.m. - art. 294.4 c.p.p.: interrogatorio di garanzia - art. 391.1 c.p.p.: udienza di convalida dei precautelari - art. 224-bis.7 c.p.p.: prelievo coattivo di campioni biologici dall’indagato - atti ai quali il difensore ha il diritto di partecipare con previo avviso (art. 364 c.p.p.) - art. 350.5 c.p.p.: acquisizione di dichiarazioni spontanee dell’indagato sul luogo e nell’immediatezza del fatto da parte della p.g. - interrogatorio, ispezione, confronto o accertamento tecnico irripetibile (avviso almeno 24 ore prima del compimento dell’atto, si può derogare in caso di assoluta urgenza) - atti ai quali il difensore ha il diritto di partecipare senza previo avviso - c.d. atti a sorpresa - atti della p.g.: perquisizioni, apertura immediata di un plico autorizzata dal p.m., accertamenti urgenti su luoghi, cose e persone, sequestro - atti del p.m.: perquisizioni e sequestri (se non c’è un difensore di fiducia va designato in questa sede uno d’ufficio) - atti ai quali il difensore non ha diritto di assistere - interrogatorio di persona informata sui fatti (testimone), interrogatorio di un IRCC, individuazione di persone o cose - i verbali degli atti ai quali il difensore ha diritto di assistere sono depositati presso la segreteria del p.m. per la visione e l’estrazione di copie - presentazione di memorie o richieste al GIP o al p.m. - le richieste sono quasi sempre collegate alle indagini difensive - indagini difensive - periodo del garantismo inquisitorio: si comincia a pensare ad un sistema accusatorio con due soluzioni, una offerta da Carnelutti e una da Cordero - in nessuno dei due progetti affiorano le indagini difensive perché la caratteristica centrale di questi era quella per cui durante le indagini il p.m. non mirava alla formazione di una prova ma procedeva solo a una preparazione “a titolo privato” dell’attività probatoria che avrebbe poi svolto in dibattimento → allo stesso modo si sarebbe dovuto preparare il difensore - punto debole sono i poteri coercitivi: cosa fa il difensore se deve prendere con la forza un documento? si concretizzata il rischio di una preparazione incompleta → era un sistema molto efficace per le prove orali, ma meno per quelle reali (le cose, che vanno apprese in qualche modo) - durante i lavori preparatori al codice si dichiara di voler costruire un modello ispirato a quello accusatorio, ma in realtà non è così versione 1.1 (6/1/2015) 55 - nel modello attuale le indagini svolte dal p.m. confluiscono nel fascicolo delle IP, questo perché in qualche modo gli atti di indagine sono utilizzabili in dibattimento, altrimenti non avrebbe senso documentarle tanto attentamente - invero le informazioni contenute nel fascicolo delle IP non costituiscono prove utili per la decisione dibattimentale (semmai per una decisione sull’applicazione di misure cautelari o per un rito speciale in UP); in ogni caso diventano piene prove solo nei casi in cui è possibile recuperarle in dibattimento - questo sistema accusatorio all'italiana (accusatorio con fascicolo spendibile) è un modello che è molto squilibrato a favore del p.m. e nel 1987 si immagina qualcosa, anche sulle indagini difensive, che possa ridurre la differenza tra p.m. e difensore - art. 38 disp. att. c.p.p. - i difensori, anche a mezzo di sostituti e consulenti tecnici, al fine di esercitare il diritto alla prova dell’art. 190 c.p.p., potevano svolgere investigazioni per cercare elementi di prova a favore del proprio assistito e conferire con le persone in grado di dare informazioni - “al fine di esercitare il diritto alla prova” fa riferimento al dibattimento, la tipica sede dell’esercizio del diritto alla prova, ma le indagini si devono fare prima del giudizio! - nel 1992 arriva alla Cassazione una vicenda in cui un difensore aveva provato ad utilizzare l’art. 38 per immettere nel procedimento il risultato delle sue indagini - si creò la teoria della canalizzazione: i risultati delle indagini difensive non possono essere introdotti nel dibattimento, ma devono essere canalizzati sul p.m., al quale il difensore avrebbe dovuto presentare una memoria contenente il risultato delle indagini da lui compiute e lasciare che questo decidesse sulla loro utilizzabilità e validità - nel 1995 viene riformato l’art. 38 disp. att. c.p.p., dove al comma 2-bis compare la facoltà del difensore di presentare le memorie direttamente al giudice (cade la teoria della canalizzazione) - è una soluzione debole perché rimangono irrisolte altre mille questioni relative alle indagini del difensore (formazione e documentazione delle conoscenze del difensore, ad esempio) - tra il 1999 e il 2000 si inizia a parlare di una legge sulle indagini difensive - il legislatore per garantire maggiore presenza della difesa e del diritto alla prova nelle IP poteva fare tre cose: - rinforzare i poteri del GIP per rispondere alle esigenze del difensore - fare del p.m. un organo difensore delle ragioni delle parti private - potenziare il difensore, parificandolo al p.m. nella facoltà di condurre indagini preliminari (Ferrua: difensore istruttore) - la l. 397/2000 introduce le indagini difensore nel nostro sistema - in qualche modo segue tutte e tre le strade, ma il grosso della riforma punta al terzo modello - il difensore ne esce trasformato: diventa un organo attivo con poteri e responsabilità nuovi, un difensore che si avvicina alla figura del pubblico ufficiale (e anzi una sentenza della Cassazione lo ha qualificato in questa funzione come pubblico ufficiale) - viene abrogato l’art. 38 disp. att. c.p.p. - art. 327-bis c.p.p.: attività investigativa del difensore - comma 1: fin dal momento dell'incarico professionale, risultante da atto scritto, il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito, nelle forme e per le finalità stabilite nel titolo VI-bis del presente libro - il difensore può cercare anche prove a carico di altri soggetti? versione 1.1 (6/1/2015) 56 - nella pratica si deve spesso cercare prova a carico di altri per salvare il proprio assistito - il difensore può indagare nelle forme stabilite nel titolo VI-bis, quindi si introduce un principio di tipicità degli atti difensivi o il difensore può compiere anche atti di indagine atipici? - la maggioranza della dottrina ritiene possibili anche atti di indagine atipici - comma 2: la facoltà indicata al comma 1 può essere attribuita per l'esercizio del diritto di difesa, in ogni stato e grado del procedimento, nell'esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione - l’attività investigativa preventiva al procedimento è disciplinata dall’art. 391- nonies c.p.p., che attribuisce al difensore la facoltà di svolgere indagini preventive con regole può stringenti (non si possono compiere atti che prevedono l’autorizzazione o l’intervento del magistrato) anche per l’eventualità che si instauri un procedimento penale - l’attività di indagine preventiva è il modo in cui si è cercato di risolvere il problema della conoscenza della indagine - limite: le indagini del difensore sono più deboli di quelle del p.m. perché sono preclusi gli atti che prevedono l'autorizzazione del magistrato - Maddalena: queste sono le indagini del colpevole, che sapendo di essere colpevole prova a salvarsi il culo dall’imminente processo - per Camon non è sempre vero - comma 3: le attività previste dal comma 1 possono essere svolte, su incarico del difensore, dal sostituto, da investigatori privati autorizzati e, quando sono necessarie specifiche competenze, da consulenti tecnici - si descrive una possibile squadra investigativa all'interno della quale c'è una gerarchia: al vertice sta il difensore e gli altri sono subordinati sotto due profili - i poteri (alcuni atti spettano a tutti i membri della squadra, altri solo al difensore) - le immunità (l’art. 103 c.p.p. protegge il difensore da iniziative investigative nei suoi uffici più intensamente che gli altri soggetti) - i poteri degli altri soggetti sono derivati, dunque al difensore compete dare limiti - art. 391-bis e 391-ter c.p.p.: raccolta di dichiarazioni e di informazioni (quindi di elementi di prova che appartengono alle prove dichiarative) - a differenza delle sommarie informazioni raccolte dal p.m. o dalla p.g., il difensore può scegliere fra tre diversi atti per raccogliere le dichiarazioni - art. 391-bis.1 c.p.p.: colloquio non documentato - può essere svolto da ogni componente della squadra difensiva - art. 391-bis.2 c.p.p.: dichiarazione scritta - la dichiarazione è rilasciata per iscritto dal soggetto contattato ed è poi sottoscritta dal dichiarante ed autenticata dal difensore o dal sostituto - art. 391-ter.3 c.p.p.: colloquio documentato - per la documentazione si osservano, in quanto applicabili, le norme sulla documentazione degli atti processuali (domande e risposte) (spetta solo al difensore o al sostituto) - il p.m. non ha a disposizione una gamma di atti, questo perché non si è voluto spingere il difensore a cristallizzare prove sfavorevoli al proprio assistito (vantaggio) - c'è però anche uno svantaggio: il giudice sa che il difensore, prima di stendere un colloquio documentato, ha quasi sempre fatto un colloquio non documentato; questo influisce molto sulla affidabilità del documento presentato - la possibilità di poter scegliere fra due forme di colloquio documentato serve per evitare al difensore di creare atti falsi: per la dichiarazione scritta il difensore non ha responsabilità sulla veridicità o meno delle cose scritte versione 1.1 (6/1/2015) 57 Procedimento in camera di consiglio (art. 127 c.p.p.) - comma 1: le parti sono avvisate dell’udienza almeno 10 giorni prima - comma 2: fino a 5 giorni prima si possono depositare memorie - comma 3: le parti sono sentite se compaiono - comma 4: l’udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell’imputato o del condannato - comma 5: le disposizioni dei commi 1, 3 e 4 sono previste a pena di nullità - comma 6: l’udienza si svolge senza la presenza del pubblico - comma 7: l’udienza si chiude con un’ordinanza ricorribile per cassazione - comma 8: il ricorso per cassazione non sospende l’esecuzione dell’ordinanza Archiviazione - al termine delle indagini preliminari il p.m. può esercitare l’azione penale o chiedere l’archiviazione (confermato dall’art. 405.1 c.p.p.) - l’esercizio dell’azione penale è obbligatorio ma la Cost. sottintende che l’esercizio della stessa avviene quando ve ne sono i presupposti - con la richiesta di archiviazione deve scattare il controllo del giudice, perché la richiesta di archiviazione è una richiesta di non investitura della giurisdizione: il p.m. chiede il permesso di non agire (quindi deve conseguire l’autorizzazione del giudice) - l’archiviazione è un istituto importante, quasi identifica il modello processuale - presupposto dell’archiviazione nel 1930 era la manifesta infondatezza della notizia di reato, perché in quel sistema la scelta fra agire e archiviare era una delle prime cose che il p.m. doveva fare (e non c’era alcun controllo del giudice, solo un’informazione al procuratore capo) (nel 1944 viene ripristinato il controllo del giudice istruttore) - il c.p.p. del 1988 sposta il momento della richiesta di archiviazione alla fine delle indagini preliminari - oggi il presupposto dell’archiviazione è la infondatezza della notizia di reato (art. 408 c.p.p.) - l’art. 125 disp. att. c.p.p. spiega il significato di infondatezza: il p.m. presenta al giudice la richiesta di archiviazione quando ritiene che la notizia di reato sia infondata, cioè quando gli elementi acquisiti durante le indagini non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio (il dibattimento sarebbe inutile) - infondatezza è inidoneità degli elementi acquisiti, non innocenza dell’indagato - oggi il p.m. chiede l’archiviazione quando c’è insufficienza o contraddittorietà della prova (per il principio di completezza delle IP collegato all’importanza dei riti alternativi) - la richiesta di archiviazione deve arrivare entro la scadenza delle indagini preliminari, se sono violati scatta il controllo del PGCAP, che potrebbe avocare a se la causa - altri casi di archiviazione - art. 411 c.p.p.: mancanza di una condizione di procedibilità, estinzione del reato, fatto non previsto dalla legge come reato - art. 415 c.p.p.: facoltativa, se dopo 6 mesi dell’iscrizione della notizia l’autore del reato rimane ignoto (l’alternativa è la richiesta di proroga del termine delle indagini) - la richiesta di archiviazione è avanzata dal p.m. (chiede il permesso di non agire) entro i termini di conclusione delle IP (art. 408 c.p.p.) - se vengono violati i termini di conclusione delle IP c’è l’avocazione del PGCAP - la richiesta è notificata alla persona offesa, se ha chiesto di essere informata dell’eventuale archiviazione (art. 408.2 c.p.p.) - con la richiesta, il p.m. trasmette il fascicolo delle indagini al GIP, il quale può: - 1) archiviare (art. 409.1 c.p.p.) versione 1.1 (6/1/2015) 60 - con decreto motivato e non impugnabile, che viene notificato all’indagato solo se durante le indagini preliminari fosse stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare (così da poter chiedere la riparazione per l’ingiusta detenzione) - 2) fissare un’udienza in camera di consiglio, se non è convinto (art. 409.2 c.p.p.) o se la persona offesa si oppone alla richiesta di archiviazione entro 10 giorni dal ricevimento della notifica della stessa (art. 410 c.p.p.) - dell’udienza viene avvertito il p.m., l’indagato, la persona offesa e il PGCAP - l’udienza si può concludere - 2.a) con le indagini coatte (art. 409.4 c.p.p.) - il GIP ordina al p.m. di continuare ad indagare - nel codice del 1930, se il giudice istruttore non era d’accordo con la richiesta di archiviazione del p.m., avviava d’ufficio l’istruzione formale - si salvaguarda l’imparzialità del GIP, che non si mette a indagare - si affida l’indagine a un organo demotivato - il p.m. può anche non fare le indagini, al massimo ci saranno conseguenze disciplinari e penali (ma non processuali) - il GIP ordina quali indagini compiere; di solito indica solo i temi di indagine - art. 415 c.p.p.: se l’indagine era contro ignoti, il GIP può ordinare al p.m. di iscrivere un dato nome nel registro delle notizie di reato - il GIP può ordinarlo in tutti i casi - 2.b) con l’imputazione coatta (art. 409.5 c.p.p.) - il GIP ordina al p.m. di esercitare l’azione penale, perché nel fascicolo delle indagini c’è tutto ciò che serve per incriminare - è un formalismo inutile: poteva formularla direttamente il GIP l’imputazione - 2.c) con l’ordinanza di archiviazione (art. 409.6 c.p.p.) - l’ordinanza è ricorribile per cassazione solo per violazione dell’art. 127.5 c.p.p. (il decreto non è mai impugnabile) - controllo del PGCAP - può disporre l’avocazione a sé dell’indagine (pag. 36) - se il p.m. non esercita l’azione penale o non richiede l’archiviazione entro il termine di conclusione delle indagini - se viene fissata dal GIP l’udienza camerale - il potere di avocazione del PGCAP serve a sopperire alla mancanza di sensibilità investigativa necessaria per cogliere eventuali lacune nel lavoro svolto dal p.m. - la persona offesa, se l’aveva richiesto, riceve un avviso della presentazione della richiesta di archiviazione (art. 408.2 c.p.p.) - entro 10 giorni può presentare opposizione all’archiviazione, con la quale chiede la prosecuzione delle indagini indicando, a pena di inammissibilità, l’oggetto delle indagini suppletive e relativi elementi di prova (art. 410.1 c.p.p.) - pare che la persona offesa non si possa opporre in diritto, solo in fatto - esistono casi in cui l’opposizione può essere solo in diritto: in questi casi l’opposizione è inammissibile perché non indica le indagini suppletive - l’opposizione valida obbliga il GIP a fissare l’udienza camerale - punti deboli: - art. 415.4 c.p.p., che si lega all’art. 107-bis disp. att. c.p.p. - la comunicazione della notizia di reato dalla polizia al p.m., quando la denuncia è contro ignoti, avviene tramite elenchi mensili (non “senza ritardo”) - la domanda di archiviazione per queste notizie di reato e la pronuncia del decreto di archiviazione delle stesse avviene cumulativamente (quindi c’è un’attenzione ridotta del GIP) - art. 109 disp. att. c.p.p. (c.d. pseudo notizie di reato) versione 1.1 (6/1/2015) 61 - quando arriva alla procura un atto che potrebbe contenere una notizia di reato (es.: una denuncia per tradimento coniugale), l’ausiliario non lo iscrive immediatamente nel registro delle notizie di reato ma ne annota solo l’ora di arrivo e poi la sottopone al p.m. per l’eventuale iscrizione nel registro - se il controllo non viene superato, l’atto (la pseudo notizia) viene iscritto nel c.d. Modello 45 senza nessun controllo - Cordero: non sono mai cestinabili le notizie di reato qualificate - Giostra: possono essere cestinate solo le notizie di non-reato (notizie di fatti penalmente irrilevanti) e le non-notizie di reato (notizie che mancano dei requisiti minimi per identificare il reato) - riapertura delle indagini - l’archiviazione tronca il procedimento, che però può essere riaperto se il GIP autorizza il p.m. a riprendere le indagini per lo stesso fatto e contro lo stesso soggetto perché c’è l’esigenza di nuove investigazioni (art. 414 c.p.p.) - l’autorizzazione del GIP serve per salvaguardare l’istituto dei termini di scadenza delle indagini preliminari (il p.m. non può archiviare e poi riaprire le indagini da solo) - non servono nuove prove, basta che il p.m. crei un nuovo piano investigativo - il p.m. iscrive nuovamente il fatto nel registro delle notizie di reato - si apre un’autonoma fase investigativa con le sue cadenze temporali - se il p.m. indaga dopo l’archiviazione e senza il permesso del GIP: - sono invalidi (inutilizzabili) gli atti di indagine compiuti senza l’autorizzazione - è invalida l’incriminazione compiuta senza l’autorizzazione a riaprire le indagini dallo stesso p.m. che ha chiesto l’archiviazione, perché manca una condizione di procedibilità secondo la giurisprudenza - la dottrina è contraria perché il potere di agire non è sottoposto a termini e perché le condizioni di procedibilità nascono per forza da una norma, che in questo caso non c’è versione 1.1 (6/1/2015) 62 - quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta - la prevalenza della formula di merito su quella estintiva deve risultare evidente dagli atti - l’art. 129 c.p.p. serve per tappare buchi (è un principio generale) e la sua violazione passa ai gradi successivi
 versione 1.1 (6/1/2015) 65 Misure cautelari - principi costituzionali - art. 13.2 Cost.: principio di riserva di legge sui casi e sui modi di compressione della libertà personale e obbligo di motivazione del provvedimento dell’autorità giudiziaria - si parla di provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria (quindi anche del p.m. va bene), ma il c.p.p. del 1988 ha attribuito il potere cautelare solo al giudice (quello che sta procedendo; se in Cassazione è comunque competente la corte d’appello) - art. 13.5 Cost.: la legge prevede la durata massima della carcerazione preventiva - viene così presupposta la validità costituzionale della carcerazione preventiva, ma non viene spiegato il perché di questo istituto (c.d. vuoto di fini dell’art. 13 Cost.) - l’art. 27.2 Cost. postula la presunzione di innocenza, dalla quale si ricava una regola di trattamento dell’imputato, il quale non può essere trattato come colpevole prima del passaggio in giudicato di una sentenza di condanna → la carcerazione preventiva non può anticipare la sanzione all’imputato - art. 27.2 Cost.: presunzione di innocenza (fondamentale in materia cautelare) - art. 111.7 Cost.: ricorribilità per cassazione contro i provvedimenti sulla libertà personale - art. 5 CEDU: dà una serie di principi sulla libertà personale più specifici di quelli della Costituzione - art. 272 c.p.p., principio di legalità - le libertà personali possono essere limitate solo secondo le regole del titolo I (misure cautelari personali) del libro IV del c.p.p. - art. 279 c.p.p., riserva di giurisdizione - in materia cautelare è competente il giudice che procede (competenza funzionale) - misure precautelari - rientrano nei casi eccezionali di necessità e urgenza indicati tassativamente dalla legge in cui l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori che comprimono la libertà personale (art. 13.3 Cost.) - arresto e fermo sono consentiti solo per certe fattispecie di reato o quando la pena supera un certo limite edittale - la pena è determinata a norma dell’art. 278 c.p.p. (si guarda solo alla pena base stabilità per ciascun reato) - non sono consentiti quando appare che il reato è stato compiuto per adempiere a un dovere o in presenza di una causa di non punibilità (art. 385 c.p.p.) - arresto in flagranza - titolari del potere di arresto - ufficiali e agenti di p.g. (sono anche coloro che materialmente lo eseguono) - nei casi di arresto obbligatorio in flagranza, anche i privati possono procedervi (art. 383 c.p.p.) - presupposti dell’arresto - l’arrestato deve essere in stato di flagranza (art. 382 c.p.p.) (in alcuni casi no) - è colto nell’atto di commettere il reato - è inseguito dalla p.g., dalla vittima o da altri - è sorpreso con cose o tracce che fanno apparire che abbia appena compiuto il reato - il reato flagrante deve essere fra quelli per cui l’arresto è consentito - arresto obbligatorio (art. 380 c.p.p.) - reati con pena minima superiore a 5 anni e massima superiore a 20 anni o reati lesivi di beni giuridici di primaria importanza - arresto facoltativo (art. 381 c.p.p.) versione 1.1 (6/1/2015) 66 - reati non colposi con pena massima superiore a 3 anni - reati colposi con pena massima superiore a 5 anni - la definizione facoltativo non è corretta, perché la p.g. deve arrestare quando sussistono i presupposti dell’art. 381 c.p.p. - secondo alcuni, l’arresto deve essere effettuato solo quando, per la gravità del fatto o per la personalità del soggetto, è probabile che si trasformerà in una misura cautelare (per questo è facoltativo) - fermo di indiziato di delitto (art. 384 c.p.p.) - titolari del potere di fermo - p.m. - ufficiali e agenti di p.g. (sono anche coloro che materialmente lo eseguono) solo dopo che il p.m. abbia assunto la direzione delle indagini o in particolari situazioni d’urgenza - presupposti del fermo - fondato pericolo di fuga di una persona gravemente indiziata di un delitto con pena minima superiore a 2 anni e massima superiore a 6 anni - devono sussistere i gravi indizi di colpevolezza che poterebbero ad applicare una misura cautelare (non la mera congettura) - procedura di convalida delle misure precautelari - per la convalida è competente il GIP, anche quando la misura precautelare è disposta dal p.m. - dopo aver eseguito la misura, la p.g. deve - dare immediata notizia al p.m. (art. 386.1 c.p.p.) - avvertire l’arrestato o il fermato che può nominare un difensore ed avvisarlo - così che l’arrestato o il fermato possa immediatamente conferire col difensore (art. 104 c.p.p.) - avvertire i familiari dell’arrestato o del fermato, col suo consenso - porre l’arrestato o il fermato a disposizione del p.m. non oltre 24 ore dall’esecuzione (art. 386.3 c.p.p.) e, nello stesso termine, trasmettere al p.m. il verbale dell’esecuzione della misura precautelare - entro 48 ore dall’esecuzione, il p.m. richiede la convalida al GIP, trasmettendo i relativi atti - il p.m. può interrogare il soggetto anche prima dell’udienza di convalida, dandone immediato avviso al difensore (che non ha obbligo di partecipare) - entro 48 ore il GIP fissa l’udienza di convalida, che si svolge nel luogo dove il soggetto è in stato di arresto o di fermo - l’udienza è in camera di consiglio con partecipazione necessaria del difensore - il p.m., se non compare, trasmette al GIP le sue richieste sulla libertà del soggetto, altrimenti compare, indicando i motivi dell’arresto e le conclusioni - il GIP procede poi all’interrogatorio del soggetto, sente comunque il suo difensore - al termine dell’udienza, il GIP decide basandosi sugli atti trasmessi dal p.m. e sulle eventuali dichiarazioni del soggetto e procede a due valutazioni indipendenti - 1) verifica che l’arresto o il fermo siano stato legittimamente eseguiti - sì → convalida - no → non convalida (procedimento disciplinare per chi ha disposto la misura) - 2) verifica se sussistono i presupposti e le esigenze cautelari - sì → applica una misura cautelare coercitiva se richiesta - no → immediata liberazione del soggetto - l’ordinanza di conclusione è impugnabile versione 1.1 (6/1/2015) 67 - 2) una presunzione assoluta di idoneità della custodia cautelare in carcere al soddisfacimento delle esigenze cautelari - nel 1995 la presunzione dell’esistenza delle esigenze viene ristretta ai soli delitti di mafia - tutti gli altri delitti tornano alle regole generali: non c’è nessuna presunzione e si deve provare la sussistenza delle esigenze cautelari - l’ord. 450/1995 della Consulta salva l’istituto del 1995, contro il quale era stato sollevato un contrasto con l’art. 27.2 Cost. (presunzione di innocenza) e l’art. 13 Cost. (necessaria motivazione del provvedimento del giudice), perché: - la Consulta non può giudicare scelte del legislatore che non siano palesemente irragionevoli - il fenomeno mafioso è talmente grave che possono essere ammesse misure particolari (a prima vista irragionevoli) - obiter dictum: la presunzione di innocenza non è un parametro rilevante in materia di misure cautelari (si rimangia 25 anni di giurisprudenza) - anche la CEDU avalla questa scelta normativa, sempre con la motivazione che il fenomeno mafioso è tale da ammettere queste drastiche scelte normative - nel 2009 il legislatore sceglie di ampliare l’ambito operativo dell’istituto, riferendolo a un catalogo di delitti molto ampio e eterogeneo - la funzione dell’intervento è placare l’allarme sociale: la custodia cautelare rientra ora in un’ottica sostitutiva della sanzione penale - la Corte costituzionale è chiamata a giudicare questa riforma, ma per come era stata presentata la questione (poteva sindacare l’articolo solo per quanto riguardava la rilevanza nel giudizio a quo) l’intervento è stato molto limitato - l’istituto viene sindacato con gli stessi parametri del 1995 (art. 3, 13, 27.2 Cost.), ma questa volta la Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 275.3 c.p.p. con riferimento ai soli delitti del giudizio a quo (erano violenza sessuale e pedopornografia) - la sentenza è manipolativa: l’illegittimità è dichiarata perché non è fatta salva l’ipotesi in cui le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altre misure - questo dispositivo è replicato anche dalle sentenze successive - modalità applicative delle misure cautelari - divieto di cumulo delle misure cautelari - l’unico caso in cui il giudice può sostituire una misura già disposta o cumularla a una più grave si ha davanti a condotte dell’imputato contrastanti con le prescrizioni delle misure già disposte (art. 276 c.p.p.) - salvaguardia dei diritti della persona sottoposta a misura cautelare (art. 277 c.p.p.) - le modalità di esecuzione delle misure devono salvaguardare i diritti della persona ad esse sottoposta il cui esercizio non sia incompatibile con le esigenze cautelari del caso concreto → elementare canone di civiltà - criteri di determinazione della pena per l’applicazione di una misura (art. 278 c.p.p.) - si guarda alla pena base stabilità per ciascun reato - non si tiene conto della continuazione, della recidiva o delle circostanze del reato - misure cautelari personali - applicabili solo quando la pena massima è superiore a tre anni o è l’ergastolo - la custodia cautelare in carcere può essere applicata solo quando quando la pena massima è superiore a quattro anni - quando si converte un arresto o un fermo, la misura cautelare viene disposta senza tenere conto di questi limiti di pena - misure coercitive versione 1.1 (6/1/2015) 70 - divieto di espatrio (art. 281 c.p.p.) - obbligo di presentazione alla p.g. (art. 282 c.p.p.) - allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis c.p.p.) - divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima (art. 282-ter c.p.p.) - divieto e obbligo di dimora (art. 283 c.p.p.) - arresti domiciliari (art. 284 c.p.p.) - la differenza con l’obbligo di dimora è che chi è agli arresti è considerato in stato di custodia cautelare - custodia cautelare in carcere (art. 285 c.p.p.) - se l’imputato è infermo di mente, si procede al ricovero in apposita struttura - se l’imputata è madre, la misura è disposta in un istituto a custodia attenuata per detenute madri - se l’imputato è malato di AIDS non si può applicare la custodia cautelare - art. 285.2 c.p.p.: prima del trasferimento in carcere, la persona non può subire limitazioni della libertà personale se non per il tempo e con le modalità strettamente necessarie per la traduzione - misure interdittive - sospensione dalla potestà genitoriale (art. 288 c.p.p.) - sospensione temporanea da pubblici uffici o servizi (art. 289 c.p.p.) - divieto temporaneo di esercitare arti o mestieri (art. 290 c.p.p.) - misure cautelari reali - non hanno funzione di garanzia della prova (ce l’ha il sequestro probatorio) - sequestro conservativo (art. 316 c.p.p.) - chiesto dal p.m. sui beni dell’imputato quando c’è il fondato motivo di ritenere che mancheranno o si disperdano le garanzie per il pagamento delle spese del procedimento o della pena pecuniaria - può essere chiesto dalla parte civile per tutelare le sue ragioni - sequestro preventivo (art. 321 c.p.p.) - chiesto dal p.m. quando c’è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravarlo o agevolarne il compimento di altri - può essere convertito in sequestro probatorio o in sequestro cautelare civile - impugnabili con riesame o ricorso per cassazione - procedimento applicativo delle misure cautelari - l’applicazione delle misure cautelari è a contraddittorio successivo - il provvedimento che commina la misura cautelare è necessariamente a sorpresa, così da non frustrare le esigenze cautelari - i limiti cronologici del contraddittorio sono serrati, pena la perdita di efficacia del provvedimento cautelare - richiesta di una misura cautelare (art. 291 c.p.p.) - principio della domanda cautelare: le misure sono dispose su richiesta del p.m. - il p.m. può scegliere di allegare alla domanda cautelare solo una parte degli atti a carico (così che l’imputato o indagato non venga a sapere dell’esistenza di cerri atti) ma deve allegare tutti gli atti a discarico e tutti gli atti provenienti dalla difesa - il concetto di atto favorevole o sfavorevole è fumoso, non è una distinzione netta - poi, proprio perché vige il segreto investigativo, non c’è modo per la difesa di verificare che il p.m. abbia invitato tutti gli atti a favore (il difensore può comunque vedere gli atti ed estrarne copia) - il giudice dispone la misura richiesta dal p.m. con ordinanza (art. 292 c.p.p.) - l’ordinanza cautelare ha un contenuto pignolo e macchinoso (questo dopo Tangentopoli, tanto che è più dettagliata della sentenza) versione 1.1 (6/1/2015) 71 - si cerca di arginare il fenomeno delle “motivazioni tautologiche” con una disciplina molto rigida e che richiede al giudice un impegno conoscitivo non indifferente - esecuzione della misura (art. 283 c.p.p.) - mentre esegue l’ordinanza di custodia cautelare, la p.g. ne consegna una copia all’indagato e lo invita a nominare un difensore, che viene subito informato - se la misura non è custodiale, l’ordinanza è notificata all’interessato - interrogatorio di garanzia (art. 294 c.p.p.) - è (assieme al riesame) un istituto a tutela del soggetto sottoposto a misura cautelare - il destinatario del provvedimento cautelare deve essere interrogato dal giudice che ha emesso l’ordinanza - termini - entro 5 giorni dalla comminazione della custodia cautelare in carcere - entro 10 giorni dall’esecuzione o notificazione di altra misura cautelare - entro 48 ore se il p.m. ne fa richiesta con l’istanza di custodia cautelare - la violazione dei termini comporta la decadenza della misura cautelare (art. 302 c.p.p.) - deroghe all’obbligo di interrogatorio di garanzia - l’interrogatorio può essere svolto direttamente in sede di convalida dell’arresto o del fermo (quindi non va rifatto dopo che con la conversione viene applicata la misura cautelare) - in caso di assoluto impedimento, il giudice ne dà atto con decreto: i termini per fare l’interrogatorio decorreranno da quando l’impedimento sarà cessato (art. 294.2 c.p.p.) - l’interrogatorio di garanzia va fatto non oltre l’apertura del dibattimento - funzione dell’interrogatorio di garanzia (art. 294.3 c.p.p.) - il giudice valuta se permangono le condizioni di applicabilità (corretta applicazione dei principi di proporzionalità e adeguatezza della scelta della misura cautelare) e le esigenze cautelari - il tutto viene rivalutato alla luce di quanto scaturito dall’interrogatorio - se le condizioni o le esigenze non sussistono più, il giudice revoca la misura - svolgimento dell’interrogatorio di garanzia (art. 294.4 c.p.p.) - si applicano le regole generali degli art. 64 e 65 c.p.p. - il p.m. può partecipare, il difensore deve presenziare - l’interrogatorio di garanzia deve avvenire prima di quello del p.m. (art. 294.6 c.p.p.) - è segno della diffidenza aprioristica che il legislatore nutre per la magistratura, visto che l’interrogatorio del p.m. ha funzione investigativa e non di revisione della misura disposta (infatti il comma 6 è stato inserito dopo Tangentopoli) - art. 104 c.p.p.: chi è sottoposto a custodia cautelare ha diritto di conferire con il difensore fin dall’inizio dell’esecuzione - comma 3: nel corso delle indagini preliminari, per eccezionali ragioni di cautela, su richiesta del p.m., il giudice può dilazionare per massimo 5 giorni il diritto di conferire con il difensore - comma 4: in caso di arresto o fermo, la dilazione del diritto di conferire col difensore è disposto dal p.m. fin dal momento in cui il soggetto è messo a disposizione del giudice - latitanza - è latitante chi si sottrae volontariamente alla custodia cautelare o ad altra misura personale coercitiva o chi evade dal carcere (art. 296 c.p.p.) - quindi anche colui che non è trovato dalla p.g. che esegue l’ordinanza cautelare - durata massima della misura cautelare - è disciplinata in modo da dare attuazione all’art. 13 Cost. - computo dei termini (art. 297 c.p.p.) versione 1.1 (6/1/2015) 72 - si capisce che l’investigazione può continuare anche dopo la chiusura della indagini, c.d. indagine suppletiva (art. 419.3 c.p.p.) - il GUP dovrebbe concedere il tempo alla difesa per studiare i nuovi atti prodotti dal p.m. (tempo che potrà ottenere anche il p.m., se gli atti sono prodotti dalle parti) - l’imputato può rendere dichiarazioni spontanee (parla e nessuno lo interrompe) e chiedere di essere interrogato (risponde a domande) - l’interrogatorio è condotto dal GUP (grande differenza) - su richiesta di parte, il GUP dispone che l’interrogatorio sia condotto dal p.m. e dai difensori delle parti (con la cross-examination) - può essere una trappola per l’imputato, perché potrebbe chiedere di essere interrogato (dal giudice) e vedere il p.m. alzarsi e chiedere la cross-examination - art. 514 c.p.p.: in questo caso i verbali dell’interrogatorio possono essere letti in dibattimento (la prova è nata in contraddittorio) - prendono poi la parola la parte civile (che è una specie di accusatore ulteriore), responsabile civile, civilmente obbligato per la pena pecuniaria e per ultimo l’imputato - questo ordine è ripetuto in ogni parte del processo (prima il p.m., perché l’imputato si presume innocente) - se il GUP pensa di poter decidere allo stato degli atti, dichiara chiusa la discussione - il GUP non può chiudere la discussione quando allo stato degli atti non è possibile decidere, cioè quando emergono lacune probatorie colmabili - in questo caso attiva un procedimento di integrazione probatoria - in origine l’art. 422 c.p.p. era molto stretto: il GUP aveva poteri probatori eccezionali - perché - si voleva evitare il giudice istruttore - si voleva un’UP rapida - si volevano evitare pregiudizi alla decisione dibattimentale (perché sarebbe stata influenzata dai lavori fatti nell’UP) - per assumere prove ci voleva l’impulso del GUP, che indicava i temi da approfondire - il GUP però non aveva poteri istruttori d’ufficio e le parti potevano portare solo documenti, consulenti tecnici, testimoni ed esami di IRCC - il GUP poteva ammettere solo le prove manifestamente decisive per la sentenza di non luogo a procedere o per il decr. disp. giud. - inconveniente: in certi casi era quasi impossibile scegliere il GA, perché non c’erano abbastanza prove - la l. Carotti fortifica l’integrazione probatoria (perché stava allo stesso tempo fortificando il giudizio abbreviato, che diventa diritto dell’imputato) - visto che l’imputato può far chiudere il processo direttamente nell’UP, è necessario che tutte le prove necessarie siano presenti al momento della decisione (e infatti il giudice diventa potente, quasi inquisitore) - viene introdotto l’art. 421-bis c.p.p. - quando non dichiara chiusa la discussione perché non è in grado di decidere allo stato degli atti, il GUP, se le indagini sono incomplete, indica con ordinanza le ulteriori indagini, fissandone il termine e la nuova UP - viene ampliato l’art. 422 c.p.p. - quando non dichiara chiusa la discussione perché non è in grado di decidere allo stato degli atti e non indica ulteriori indagini, il GUP può disporre anche d’ufficio l’assunzione delle prove di evidente decisività per la sentenza di non luogo a procedere - il GUP ha poteri istruttori senza limiti (non ci sono prove non ammissibili) - è il giudice che d’ufficio assume le prove (non indica più alle parti quali erano i punti bui su cui loro potevano fare luce) versione 1.1 (6/1/2015) 75 - siccome gli strumenti oggi sono due (art. 422 e 421-bis c.p.p.) (due teorie) - 1) se è individuato il tema di prova dove c’è una lacuna - e non si sa come colmarla → art. 421-bis - ed è chiaro come colmarla (so che mi serve quel testimone) → art. 422 - 2) (basata sul fatto che le prove da assumere devono essere decisive per la sentenza di n.l.p.) se ci sono prove da assumere che - sono contro l’imputato (sono a carico) → art. 421-bis - sono a favore dell’imputato (sono a discarico) → art. 422 la UP si chiude con: - sentenza di non luogo a procedere (art. 425 c.p.p.) - il processo si chiude - l’art. 425 c.p.p. disciplina i casi in cui si emette sentenza di non luogo a procedere - 1) originariamente - quando c’è una causa di estinzione del reato o per cui l’azione penale non deve essere proseguita, o quando risulta evidente che il fatto non sussiste, che l’imputato non l’ha commesso, che il fatto non costituisce reato o che l’imputato non è punibile, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere - la prova doveva esserci ed essere evidente - la norma così rigida (servono prove evidenti) serviva ad evitare che il GUP facesse un’indagine approfondita del materiale, così da pregiudicare il giudice del dibattimento → il processo poteva essere bloccato dal GUP solo quando l’innocenza fosse evidente - inconveniente: - con questo sistema l’UP non assolveva alle sue funzioni di filtro, perché solo le imputazioni veramente azzardate erano bloccate - nei casi di incertezza probatoria si sarebbe andati al dibattimento con poche probabilità di vincere (il p.m. avrebbe dovuto chiedere l’archiviazione…) → il GUP manda a dibattimento processi che, se richiesto, avrebbe archiviato - nel 1993 viene eliminata la parola “evidente” - 2) la l. Carotti modifica il comma 3 - il GUP pronuncia sentenza di n.l.p. anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque inidonei a sostenere l’accusa in giudizio - il legislatore mischia un criterio statico di valutazione delle prova (tipica del dibattimento) e un criterio prognostico (tipico dell’UP, che guarda al futuro) - 3) comma 4: il GUP non può pronunciare sentenza di n.l.p. se contestualmente applicherebbe una misura di sicurezza diversa dalla confisca obbligatoria - il “proscioglimento” implicherebbe una dannazione dell’imputato - fino al 2006 era appellabile, oggi è solo ricorribile per cassazione - la sentenza di n.l.p. non è stata toccata dalla sentenza di annullamento delle legge Pecorella perché non c’è qui una violazione della parità fra le parti visto che anche il decr. disp. giud. (provvedimento sfavorevole all’imputato) non è appellabile - se non viene promosso ricorso per cassazione o viene rigettato, la sentenza di n.l.p. non forma un vero e proprio giudicato: essa è preclusiva allo stato degli atti (se viene revocata il p.m. può riprendere a indagare) - revoca della sentenza di non luogo a procedere - devono essere emerse successivamente nuove fonti di prova che, da sole o unitamente a quelle già acquisite, possono determinare il rinvio a giudizio (art. 434 c.p.p.) - per riaprire le IP dopo l’archiviazione basta l’esigenza di nuove indagini (art. 414 c.p.p.), qui invece servono nuove prove versione 1.1 (6/1/2015) 76 - se ci sono prove già acquisite dal p.m. → il p.m. chiede al GIP una nuova UP - dopo una sentenza di n.l.p. il p.m. non può indagare, ma potrebbe accadere che queste prove “arrivino” a lui (magari da altre indagini) - se ci sono prove solo individuate dal p.m. ma non ancora acquisite → il p.m. chiede al GIP di riaprire le indagini - viene fissato un termine improrogabile di 6 mesi - se per queste indagini viene chiesta l’archiviazione, l’indagato ha subìto un nuovo giro di indagini e per giunta ha a sua difesa solo un atto di archiviazione (prima aveva una sentenza) - decreto che dispone il giudizio (art. 429 c.p.p.) - è un atto propulsivo - non è richiesta una motivazione (infatti si usa il decreto) per evitare influenze sul giudice del dibattimento - c’è sempre una minima spiegazione dato che contiene l’accusa (l’imputazione così come filtrata dal GUP) e l’indicazione sommaria delle fonti di prova (senza la valutazione delle stesse) (art. 429.1.c e .d c.p.p.) - contiene la vocatio in iudicium dell’imputato (dopo essersi fatto dare la data e il luogo dal giudice del dibattimento, art. 132 disp. att. c.p.p.) - art. 132-bis disp. att. c.p.p.: viene data una scala di priorità nel formare i ruoli delle udienze (è una disposizione che concilia ideologie diverse) - è nullo se l’imputato non è identificato chiaramente, se manca l’imputazione o il luogo e la data di comparizione dell’imputato (art. 429.2 c.p.p.) - non in tutti i procedimenti c’è l’UP, in alcuni si va direttamente a giudizio - si fa sempre se il reato è di competenza della CAS o del TRIB collegiale - davanti al tribunale monocratico solo se il reato ha una pena massima minore di 4 anni (in questi casi c’è la citazione diretta a giudizio) - se il p.m. procede con citazione diretta quando ci sarebbe dovuta essere la UP, la nullità è relativa - formazione del fascicolo per il dibattimento - durante le IP esiste - sicuramente il fascicolo delle indagini, che contiene tutto il materiale investigativo raccolto dal p.m. e non può essere toccato dal GIP - eventualmente un fascicolo del difensore, che esiste se sono state svolte indagini difensive e ha deciso di produrle al GIP (se le avesse prodotte al p.m., gli atti sarebbero andati nel fascicolo delle indagini), ed è custodito nell’ufficio del GIP - sulla base degli atti contenuti in questi due fascicoli si fa la UP - il sistema del doppio fascicolo serve ad assicurare un’ignoranza materiale del GD, perché se il GD non può usare gli atti delle IP allora è meglio che nemmeno li legga - formazione del FD - nella bozza del c.p.p. veniva formato dal cancelliere, ma era un errore - prima modifica: lo forma il cancelliere secondo le indicazioni del giudice - l. Carotti: il GUP forma il FD nel contraddittorio delle parti immediatamente dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio - se una parte lo chiede, il giudice rinvia l’udienza di non più di 15 giorni per formare i fascicoli - nel giudizio immediato è il GIP che forma il FD fuori dal contraddittorio - nel giudizio direttissimo e nel processo a citazione diretta davanti al tribunale monocratico, è il p.m. a formare il FD - il rischio è che il p.m. ne approfitti e ci metta atti che non dovrebbero andarci così da influenzare il giudice versione 1.1 (6/1/2015) 77 Giudizio - dopo la chiusura della UP inizia il giudizio, che è diviso in atti preliminari al dibattimento, dibattimento e atti successivi al dibattimento - il giudizio viene instaurato - col decreto che dispone il giudizio (art. 429 c.p.p.) - col decreto di giudizio immediato (art. 456 c.p.p.) - atti preliminari al dibattimento e fase pre-dibattimentale - vanno dalla ricezione del decr. disp. giud. alla dichiarazione di apertura del dibat. - atti preliminari al dibattimento: possono essere compiuti solo prima dell’inizio dell’udienza dibattimentale - fase pre-dibattimentale: in udienza, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, si svolgono le formalità necessarie - c’è competenza funzionale del presidente del collegio atti preliminari al dibattimento - art. 465 c.p.p.: spostamento dell’udienza dibattimentale - può essere anticipata o differita una sola volta per giustificati motivi - art. 466 c.p.p.: facoltà dei difensori - possono prendere visione delle cose sequestrate dove si trovano e del FD - art. 467 c.p.p.: assunzione delle prove urgenti - nei casi di incidente probatorio dati dall’art. 392 c.p.p., il presidente dispone l’assunzione delle prove non rinviabili con le forme previste per il dibattimento - art. 468 c.p.p.: liste testimoniali - le parti che intendono chiedere l’esame di testimoni, periti, consulenti tecnici o IRCC devono, a pena di inammissibilità ed entro 7 giorni dall’apertura del dibattimento, depositare la lista testimoniale in cancelleria - viene imposta una specie di discovery preventiva, un’anticipazione dell’istruzione dibattimentale, così che l’altra parte possa prepararsi - l’esame delle parti può essere chiesto in ogni momento, infatti non compare qui - devono essere indicati i nomi e i temi della prova testimoniale - le prove non presentate secondo questa procedura sono inammissibili (forse è una sanzione eccessiva) - due eccezioni - prove contrarie: ogni parte può chiedere la citazione a prova contraria di testimoni, periti, etc… non presenti nella propria lista (art. 468.4 c.p.p.) - la prova contraria è quella che ha lo stesso oggetto di un’altra ma punta ad un esito probatorio opposto - prove non comprese nella lista: possono essere acquisite se la parte dimostra che non potevano essere indicate al momento della compilazione della lista (art. 493.2 c.p.p.) - l’onere di depositare la lista può essere considerato un onere imperfetto - non è automatico che una prova non indicata nella lista non sarà assunta - art. 468.2 c.p.p.: il presidente, su richiesta, autorizza con decreto la citazione delle persone dell’art. 468.1 c.p.p. - quindi a cosa serve la citazione con le liste testimoniali? → art. 133 c.p.p.: se il testimone (e altri) regolarmente citato, omette, senza un legittimo impedimento, di comparire, il giudice ne può ordinare l’accompagnamento coattivo - art. 468.4-bis c.p.p.: la richiesta di acquisizione di verbali di prova provenienti di altri procedimenti va presentata con le liste testimoniali - anche questa è una specie di discovery e serve a rimandare l’eventuale citazione delle persone che hanno reso le dichiarazioni contenute nei verbali al momento versione 1.1 (6/1/2015) 80 dell’ammissione delle prove (l’ammissione potrebbe essere rifiutata sulla base dell’art. 190-bis c.p.p.) - art. 469 c.p.p.: sentenza di proscioglimento prima del dibattimento - il processo si chiude durante questa fase - se l’azione penale non doveva essere iniziata o proseguita (proscioglimento per improcedibilità) o se il reato è estinto (proscioglimento per estinzione del reato) - il GD ha in mano il fascicolo del dibattimento, con pochi atti, quindi può prosciogliere solo per quei due motivi formali - e se per accertarlo non è necessario procedere al dibattimento - il giudice, in camera di consiglio, sentiti il p.m. e l’imputato e se questi non si oppongono, pronuncia sentenza inappellabile di proscioglimento - le parti vanno sentite perché perdono un grado di giudizio, dato che la sentenza dell’art. 469 c.p.p. è solo ricorribile per cassazione - tutto ciò a meno che non sia applicabile l’art. 129.2 c.p.p. (prevalenza della assoluzione di merito su quella di rito) fase pre-dibattimentale - art. 146 disp. att. c.p.p. spiega come è materialmente fatta l’aula - nelle aule di udienza i banchi del p.m. e dei difensori sono posti allo stesso livello davanti all’organo giudicante (prima il p.m. stava di fianco al giudice: cambiamento simbolico ma rilevante) - il presidente ha poteri di direzione e di disciplina dell’udienza senza formalità - il dibattimento è una (o più di una) udienza pubblica a pena di nullità (art. 471 c.p.p.) - art. 147 disp. att. c.p.p. regola la trasmissione per TV dei processi - il giudice può autorizzare la ripresa o trasmissione del dibattimento purché non ne derivi pregiudizio al sereno e regolare svolgimento dell’udienza - esistono casi in cui il giudice dispone l’udienza a porte chiuse (art. 472 c.p.p., lesione del buon costume, necessità di preservare il segreto di stato, privacy dei testi, etc) - art. 484 c.p.p.: accertamento della regolare costituzione delle parti - se il difensore dell’imputato non è presente, il presidente designa un sostituto d’ufficio - la disciplina di assenza e contumacia è stata spostata dalla l. Carotti dalla parte sul dibattimento alla parte sull’udienza preliminare (quindi si applica anche all’UP) - oggi nella parte sul dibattimento c’è un rinvio alla parte sull’UP (art. 484.2-bis c.p.p.) - la presenza dell’imputato al suo dibattimento è un diritto e non un obbligo (diritto di non collaborare con l’autorità procedente), ma esistono comunque - casi in cui l’imputato non ha diritto di partecipare fisicamente - videoconferenza - possibilità introdotta nel 1998 dato che gli imputati mafiosi si facevano scarrozzare nei vari processi lungo la penisola esercitando il loro diritto alla difesa, creando però particolari problemi - art. 146bis disp. att. c.p.p.: in certi casi l’imputato non ha diritto ad essere presente nell’aula ma assiste in video-conferenza, con le dovute garanzie data la effettiva perdita di immediatezza - se l’imputato impedisce il regolare svolgimento della udienza - casi in cui ha l’obbligo di partecipare - art. 490 c.p.p.: il giudice dispone l’accompagnamento coattivo dell’imputato assente o contumace quando la sua presenza è necessaria per l’assunzione di una prova diversa dall’esame (cioè quando a fini probatori serve il corpo dell’imputato, es.: ricognizione) - assenza - l’imputato non è in aula perché non vuole esserci (è un suo diritto) ma sa che l’udienza c’è versione 1.1 (6/1/2015) 81 - contumacia (non c’è più) - l’imputato non è in aula e non si sa perché non c’è - era circondata da una serie di garanzie che l’assenza non ha (art. 420-quinquies c.p.p.) - i controlli che il giudice deve fare (vedi dopo) non si applicano quando l’imputato acconsente a che l’udienza avvenga in sua assenza - la Corte EDU prevede, davanti alla contumacia, due sistemi - sistemi preventivi - il processo viene sospeso finché l’autorità pubblica non trova l’imputato - una volta trovato l’imputato, alcuni ordinamenti prevedono la sua presenza obbligatoria, altri ammettono che possa non partecipare - sistemi ripristinatori - si può fare un processo in contumacia, ma se poi l’imputato compare è necessario che l’ordinamento gli dia la possibilità di difendersi ed introdurre tutte le prove che vuole - verifiche del giudice (superato un controllo si passa al successivo) - 1) art. 420.2 c.p.p.: il giudice accerta la costituzione e ordina la rinnovazione degli avvisi, citazioni, notificazioni... di cui dichiara la nullità - se mancano le parti private diverse dall’imputato questo è l’unico controllo - 2) art. 420-bis c.p.p.: il giudice rinvia l’udienza e dispone la rinnovazione dell’avviso o della citazione quando è chiaro o probabile che l’imputato non ne abbia avuto effettiva conoscenza - nel vecchio codice contava solo l’aspetto formale della notificazione, oggi il controllo dell’aspetto formale è nel punto sopra (art. 420.2 c.p.p.) - se si ha la prova o l’impressione che, benché validamente citato, l’imputato non sappia del processo, si rifanno le citazioni - per evitare perdite di tempo c’è l’art. 420-bis.2 c.p.p.: la probabilità è liberamente valutata dal giudice e non si può discutere o impugnare questa valutazione - 3) art. 420-ter c.p.p.: quando l’imputato non si presenta o sembra che non si sia presentato per caso fortuito, forza maggiore (impossibilità fisica) o altro legittimo impedimento (inesigibilità), il giudice rinvia l’udienza e dispone la rinnovazione degli avvisi - la valutazione sulla probabilità vale solo per la prima udienza e solo per caso fortuito e forza maggiore - superati i tre controlli, viene dichiarata la contumacia dell’imputato - la contumacia tende a proteggere l’imputato - art. 518.2 c.p.p.: la contestazione di un fatto nuovo vuole l’imputato presente (se egli manca non si può modificare l’imputazione) - art. 520 c.p.p.: le altre modificazioni dell’accusa con imputato contumace sono possibili ma il processo va sospeso e inviata notizia all’imputato della modifica dell’imputazione - art. 548.2 e 585.2.d c.p.p.: si deve avvertire l’imputato contumace del deposito della sentenza e il termine per impugnare la sentenza decorrono da quando gli è stato notificato quest’avviso - il contumace che compare riacquista il “diritto alla parola” (può rendere dichiarazioni spontanee e chiedere di essere esaminato) - se dimostra un caso fortuito, forza maggiore o legittimo impedimento riacquista un completo diritto alla prova - restituzione del termine perentorio versione 1.1 (6/1/2015) 82 Prove - sono il cuore del processo - la disciplina è sparpagliata per il codice - il grosso è nel III libro (diviso in tre titoli: disposizioni generali, mezzi di prova, mezzi di ricerca della prova) - le disposizioni che caratterizzano l’aspetto dinamico dell’assunzione delle prove sono nel libro V (IP) e VII (giudizio) - altre disposizioni stanno altrove - differenza tra mezzi di prova e mezzi di ricerca della prova - le prove danno direttamente una fonte di convincimento al giudice - i mezzi di ricerca servono a trovare una fonte di convincimento - i mezzi di ricerca della prova - sono prevalentemente nelle IP: ispezione, perquisizione, sequestro, intercettazione - sono tutti a sorpresa - sono sempre compiuti o autorizzati dall’autorità giudiziaria (così da comprendere il p.m.) (per le intercettazione ci vuole il giudice) - spesso questa distinzione è stata usata per togliere garanzie (es.: si diceva che solo le prove fossero coperte dal diritto alla controprova) - le prove sono quelle che si formano nel dibattimento, ma anche nelle IP si formano delle cose molto simili alle prove; le norme del libro III si applicano agli atti a contenuto probatorio svolti durante le IP? - le disposizioni generali: sì, tranne quei casi in cui siano oggettivamente inapplicabili (es.: il diritto alla prova) - le disposizioni sui mezzi di prova: no, tranne per gli atti omologhi (p. 21) - le disposizioni sui mezzi di ricerca della prova: sì, tutto (è una disciplina pensata per le IP) - prova può essere inteso come - fonte di prova: ciò che è idoneo a fornire una conoscenza che può essere apprezzata dal giudice (es.: un testimone) - elemento di prova: il dato grezzo che si evince dalla fonte di prova, quando ancora non è stato valutato dal giudice (es.: parole del testimone) - mezzo di prova: l’attività con la quale si introduce l’elemento di prova nel processo (es.: la testimonianza) - risultato di prova: la ricostruzione di un fatto operata dal giudice valutando fonte ed elemento di prova; sono le conclusioni a cui arriva il giudice - oggetto della prova: è il thema probandi, l’ipotesi che va verificata attraverso gli elementi di prova - procedimento probatorio - sequela di atti preordinati all’assunzione di una prova - tre fasi (ammissione, assunzione, valutazione) - 1) ammissione (art. 190 c.p.p.) - le prove sono ammesse dal giudice a richiesta di parte (tipico dei sistemi accusatori, così da preservare l’imparzialità del giudice) - una volta introdotte, le prove fanno parte del processo e non possono essere ritirate dalla parte che ne ha chiesto l’ammissione senza il consenso dell’altra parte - in casi eccezionali le prove possono essere ammesse d’ufficio - es.: il giudice può chiamare d’ufficio la fonte delle testimone indiretto, la perizia, alla fine dell’istruzione dibattimentale il giudice può introdurre d’ufficio le prove che ritiene assolutamente necessarie per decidere - il giudice provvede sulla richiesta di ammissione senza ritardo escludendo le prove versione 1.1 (6/1/2015) 85 - vietate dalla legge - art. 188 c.p.p.: non si possono usare, neppure col consenso dell’interessato, metodi o tecniche idonee ad influire sulla libertà di autodeterminazione o di alterare la capacità di ricordare - generalmente i divieti sono in relazione alle singole prove, ma puntano a - estromettere le prove per garantire l’attendibilità del processo - proteggere determinati diritti di libertà - manifestamente superflue - quando sono sovrabbondanti - quando sono un fatto notorio - o manifestamente irrilevanti - manca una relazione tra la prova e l’oggetto del processo o della prova - art. 187 c.p.p. definisce l’oggetto della prova - sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono - all’imputazione - alla punibilità - alla determinazione della pena e delle misure di sicurezza - all’applicazione di norme processuali - alla responsabilità civile derivante dal reato (se c’è costituzione di parte civile) - non è detto che tutte le prove debbano riguardare direttamente l’oggetto del processo (es.: chiedo di far provare che il testimone è quasi cieco, indirettamente provo che non può aver visto l’imputato) - vengono trattenute solo le richieste di prova manifestamente superflue o irrilevanti, infatti l’art. 190 c.p.p. è rubricato “diritto alla prova” - massima espressione del diritto prova è il diritto alla prova contraria, la controprova (in cui non c’è nessuno vaglio del giudice, perché se è ammissibile la prova diretta, anche la prova contraria lo è) - il diritto alla prova è ulteriormente garantito dal sistema del doppio fascicolo, perché il giudice a cui vengono chieste le prove non sa nulla della vicenda e quindi anela di sapere - limiti al diritto alla prova - art. 190-bis c.p.p. (aggiunta del decreto Scotti-Martelli per evitare l’”usura dei testimoni”, che venivano chiamati a deporre in tutti i processi di mafia sulle stesse cose) - nei procedimenti di mafia, quando si vuole sentire un testimone o un impumone che ha già reso dichiarazioni in incidente probatorio, in dibattimento con la persona interessata dalle dichiarazioni o quando il verbale della prova può essere acquisito da un altro procedimento, la prova è ammessa solo se riguarda fatti o circostanze diverse da quelle delle altre dichiarazioni o se il giudice (o - dal 2001 - una delle parti) la ritiene assolutamente necessaria - art. 147-ter disp. att. c.p.p.: la ricognizione di un collaboratore di giustizia che ha ottenuto un provvedimento di cambio di generalità viene ammessa quando il giudice lo ritiene indispensabile - ammissione delle prove atipiche (o innominate) (art. 189 c.p.p.) - gli strumenti probatori che non sono tipici per essere ammessi: - devono essere idonei ad assicurare l’accertamento dei fatti - devono avere credibilità sul piano epistemologico (es.: non si può portare una fattucchiera) - il tema di prova deve essere verosimile con l’oggetto della prova (es.: non posso portare un testimone che prova un influsso satanico) versione 1.1 (6/1/2015) 86 - non devono pregiudicare la libertà morale della persona - la previsione della atipicità degli strumenti probatori serve a lasciare aperto il c.p.p. ai sistemi di prova che la scienza troverà nel futuro - 2) acquisizione (o assunzione) - due procedure - se si tratta di prove extra-costituite (che esistono già al di fuori del processo) → l’ammissione e l’assunzione sono unite (es.: prendo un documento e lo do al giudice, ma devo prima farlo vedere alla controparte) - se si tratta di prove costituende → l’assunzione dura molto tempo ed è separata dalla ammissione - ordine di assunzione delle prove (art. 493.1 c.p.p.) - p.m. → parte civile → responsabile civile → civilmente obbligato per la pena pecuniaria → difesa - anche qui c’è diritto alla prova - le parti possono concordare un’ordine diverso di assunzione (diritto alla prova come diritto delle parti di gestire i ritmi dell’assunzione) - 3) valutazione - sistema delle prove legali - il risultato dell’operazione probatoria è predeterminato dalla legge, che vieta qualsiasi valutazione da parte del giudice - sono tipiche del processo inquisitorio ma erano perlopiù una limitazione al potere dell’inquisitore - dopo il 1700 il sistema delle prove legali diventa intricato e complesso → la stagione illuminista vuole eliminare tutto ciò che avesse a che fare con il sistema inquisitorio → l’introduzione della giuria porta ad eliminare questo sistema, perché i giurati non riescono a star dietro al sistema delle prove legali → si arriva al sistema a convincimento libero - sistema delle prove a libero convincimento - nasce legato al sistema della giuria (che si deve “intimamente convincere”) ma rimane anche dopo l’abolizione della giuria, con il correttivo della motivazione della sentenza ad opera del giudice - molti abusi sono stati fatti sotto l’egida del libero convincimento, perché il giudice arriva a sentirsi libero anche rispetto alle leggi che regolano il processo (visto che deve liberamente convincersi, per es. si possono usare anche prove illecite) → non è corretto: il convincimento del giudice è libero ma nell’area predeterminata delle prove utilizzabili (altrimenti si forma un giudice libero anche dalla legge) - casi in cui la legge restringe il sistema del libero convincimento - art. 192.2 c.p.p.: l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti - invero è quasi impossibile definire cosa sia un indizio - 1° tesi: prova storica / critica - 2° tesi: prova diretta / indiretta - 3° tesi: prova in senso stretto (che applica leggi scientifiche) / prova indiziale (non applica leggi infallibili ma massime di esperienza) - art. 192.3 c.p.p.: la dichiarazioni del correo o degli imputati di reato connesso o collegato sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità - insomma ci vogliono dei riscontri, perché il legislatore non si fida - Cordero e Ferrua: sono regole errate, la legge è uno strumento troppo rozzo (in quanto generale ed astratto) per dettare criteri di valutazione della prova versione 1.1 (6/1/2015) 87 - deve essere avvertito delle facoltà di astenersi - può rispondere solo ad alcune domande? boh! - segreto professionale (art. 200 c.p.p.) - certi “professionisti” possono non testimoniare - art. 622 c.p.: divieto di rivelazione di segreto professionale - questa deroga è presente perché altrimenti il titolare del segreto sarebbe posto davanti a un scelta antitetica (o depone e rivela il segreto, o non depone e viola l’obbligo di parlare) - se c’è la possibilità di rivelare il segreto, il titolare non deve deporre (la facoltà di astensione c’è solo quando altrimenti si rivelerebbe il segreto professionale) - la spiegazione è che il legislatore interviene per proteggere determinate professioni il cui efficace esercizio implica un clima di riservatezza tra professionista e cliente - il professionista conserva la facoltà di astensione anche quando non commetterebbe reato - non possono essere obbligati a deporre su quanto appreso per ragione della professione, ministero (o ufficio) - ministri di confessioni religiose i cui statuti non contrastano con l’ord. italiano - avvocati, investigatori autorizzati, consulenti tecnici e notai - i praticanti possono testimoniare non perché non sono assimilabili agli avvocati (non si può fare interpretazione estensiva su una norma derogante un principio generale, quello di testimoniare) ma perché si deve far valere il principio di difesa (perché regole contrarie - non far testimoniare l’avvocato - non sono necessariamente eccezioni, ma possono essere applicazione di un principio) - medici, chirurghi, farmacisti e ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria - gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre (ci vuole una legge che riconosca il segreto) - … salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria - obbligo di referto del medico (art. 365 c.p.) - procedura di controllo sull’esistenza del segreto d’ufficio (art. 200.2 c.p.p.) - non c’è obbligo di avvertimento - se dubita sulla fondatezza del segreto opposto dal professionista, il giudice (o il p.m. ma non la polizia) svolge gli accertamenti necessari sulla fondatezza di questa opposizione - se il segreto risulta non esistere, il giudice ordina che il testimone deponga - segreto dei giornalisti (art. 200.3 c.p.p.) - riguarda solo i nomi degli informatori - si applica solo ai giornalisti iscritti all’albo - se ci fossero irriducibili esigenze giudiziarie, i giornalisti potrebbero essere obbligati a svelare il nome dell’informatore - segreto d’ufficio (art. 201 c.p.p.) - salvo i casi in cui hanno obbligo di riferirne, i p.u., pubblici impiegati e incaricati di pub. servizio hanno l’obbligo di astenersi dal deporre su fatti conosciuti per funzione del loro ufficio che devono rimanere segreti - i fatti su cui possono non testimoniare sono tanti - hanno obbligo di astenersi, non facoltà di astenersi - se scelgono volontariamente di testimoniare, la testimonianza - per Cordero vale - per le sez. un. non vale, perché c’è un obbligo - salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferire all’autorità giudiziaria versione 1.1 (6/1/2015) 90 - omessa denuncia di reato da parte del p.u. (art. 361 c.p.) - si può usare la procedura di verifica del segreto professionale (art. 200.2 c.p.p.) - segreto di Stato (art. 202 c.p.p.) - si possono trovare radici nell’art. 52 Cost. - il segreto di Stato, per quanto poco trasparente, è posto a protezione non solo di interessi costituzionali ma anche dei massimi interessi dello Stato (l’ordinamento protegge se stesso) - art. 39 l. 124/2007: sono coperti dal segreto di Stato tutte le cose la cui diffusione sia idonea a recare danno all’integrità della Repubblica, alle istituzioni fondamentali, all’indipendenza dello Stato e alla difesa militare dello Stato - i p.u., pubblici impiegati e inc. di pub. servizio hanno obbligo di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato - stesso problema interpretativo del segreto d’ufficio, che viene risolto allo stesso modo (c’è un obbligo di astenersi, punto) - anche nel sequestro si può opporre Segreto di stato (art. 256 c.p.p.) - procedura di controllo sull’esistenza del segreto di Stato (art. 202.2 .3 e .4 c.p.p.) - una volta opposto il segreto può esserci una procedura di verifica, nella quale però la magistratura non ha nessun potere di controllo in quanto deve interpellare il Presidente del consiglio (il potere esecutivo scavalca il giudiziario, ma va bene perché sono in gioco valori importantissimi) - l’opposizione del segreto non può farsi alla Consulta, davanti alla quale la magistratura può iniziare un conflitto di attribuzioni - se il PdC dice che non c’è segreto o non risponde entro 30 giorni, il giudice ordina al testimone di parlare - se il segreto esiste e la notizia coperta da segreto è essenziale per il processo, il giudice fa sentenza di non doversi procedere - non si assolve perché il non doversi procedere non passa in giudicato, così che il processo possa essere riaperto quando cadrà il segreto di stato - segreto di polizia (art. 203 c.p.p.) - il giudice non può obbligare gli agenti di polizia e gli agenti segreti a rivelare i nomi dei loro informatori - se gli informatori non sono sentiti come testimoni, le informazioni da essi fornite non possono essere acquisite o utilizzate - forti dubbi di legittimità costituzionale - è il poliziotto che sceglie di non dire il nome, anche se la magistratura dispone direttamente della polizia giudiziaria - non c’è possibilità di controllo - metti che l’informazione del confidente è favorevole all’imputato? è gestita dall’avversario dell’imputato - esclusione del segreto (art. 204 c.p.p.) - dir. 70 della legge delega al c.p.p. - nessun tipo di segreto può coprire fatti concernenti reati legati all’eversione dell’ordinamento costituzionale - non possono essere oggetto del segreto degli art. 201, 202, 203 c.p.p. i fatti concernenti reati eversivi - il segreto professionale può coprire fatti eversivi (l’art. 200 non è citato) → è pensato per il difensore del reo eversivo - art. 66 disp. att. c.p.p.: tra i fatti dell’art. 204 c.p.p. non sono compresi i nomi degli informatori, che possono essere tenuti segreti versione 1.1 (6/1/2015) 91 - del provvedimento del giudice che rigetta l’eccezione di segretezza avanzata su un certo fatto (poiché, trattandosi di reati eversivi, il segreto non può essere opposto) deve essere data comunicazione al Presidente del Consiglio - spetta al PdC valutare la pertinenza della prova perché può dire che il fatto coperto da segreto non riguarda quel processo per reato eversivo e che quindi il segreto esiste → viene reintrodotto il segreto di Stato - testimonianza indiretta (art. 195 c.p.p.) - può essere di due tipi - testimonianza indiretta in senso stretto - il testimone riferisce quello che un terzo gli ha raccontato - esperienza comune ad un terzo - il testimone racconta fatti che ha vissuto in prima persona ma assieme ad un terzo (che quindi viene chiamato in causa) - testimonianza indiretta del normale testimone - c’è un problema di affidabilità e una diffidenza del legislatore - si cerca di fare entrare nel processo il testimone primario - il giudice può disporre anche d’ufficio che il testimone primario venga a deporre (art. 195.2 c.p.p.) - se le parti chiedono di sentire il testimone primario, il giudice non può vagliare la rilevanza e la pertinenza della prova (non c’è vaglio di ammissibilità) - la testimonianza indiretta è utilizzabile a certe condizioni: - art. 195.3 c.p.p.: se dopo che è stato chiamato il testimone primario non viene sentito per qualche motivo, la testimonianza indiretta che lo ha evocato non è utilizzabile salvo che egli non sia morto, infermo o irreperibile - art. 195.7 c.p.p.: non può essere utilizzata la testimonianza di chi si rifiuta o non sa indicare la fonte dei fatti oggetto della sua dichiarazione - art. 194.3 c.p.p.: non possono essere oggetto di testimonianza le voci correnti nel pubblico (principio di esclusione dell’anonimato dal processo) - art. 195.6 c.p.p.: i testimoni non possono essere esaminati sui fatti appresi dalle persone sottoposte a segreto professionale o d’ufficio, a meno che il segreto sia già stato svelato - testimonianza indiretta di ufficiali e agenti di polizia giudiziaria (art. 195.4 c.p.p.) - appena entrato in vigore il c.p.p. del 1988, sulle informazioni apprese durante le IP da persone informate dei fatti, il poliziotto non poteva testimoniare (rigida separazione delle fasi e del doppio fascicolo; preferenza delle testimonianze orali, il meno possibili trascritte) - nel 1992 la sent. 24 della Consulta dichiara il divieto illegittimo perché manca una ragionevole giustificazione per differenziare il testimone comune dall’agente di polizia (pag. 27) - nel 2001 il divieto viene ripristinato con la riforma del “giusto processo” (l. 63/2001) ma è più complesso - la polizia giudiziaria non può deporre sui fatti appresi durante l’assunzione delle dichiarazioni delle persone informate dei fatti (rinvio all’art. 351 c.p.p.) e durante le attività comunque recettive di dichiarazioni (rinvio all’art. 357 c.p.p.; sporgimento di querela, etc) - la polizia può deporre in tutti gli altri casi in cui il poliziotto agisce come semplice civile e in tanti altri casi problematici (es.: durante una perquisizione) - è stata creata la categoria dell’eccezionalità del contesto operativo, che svincola dal divieto - assunzione di informazioni (art. 362 c.p.p.) - è l’atto omologo alla testimonianza fatto dal p.m. durante le IP versione 1.1 (6/1/2015) 92 - art. 65.1 c.p.p.: l’autorità giudiziaria contesta alla PSI in modo chiaro e preciso il fatto che le è attribuito, indicando anche le prove a suo carico e se non c’è pregiudizio per le indagini anche le fonti di prova (non si comunicano le prove a favore dell’imputato) - art. 65.2 c.p.p.: l’autorità giudiziaria invita la PSI ad esporre quanto ritiene utile per la sua difesa e le pone direttamente domande - art. 65.3 c.p.p.: se la PSI si rifiuta di rispondere ne è fatta menzione nel verbale, dove si menzionano anche i suoi connotati fisici e segni particolari - art. 364 c.p.p.: partecipazione del difensore - l’interrogatorio è un atto garantito ma non è a partecipazione necessaria (se l’avvocato non si presenta non si deve rinviare l’atto) (salvi casi particolari, come l’interrogatorio che il p.m. fa fare alla polizia) - interrogatorio delegato alla polizia giudiziaria - il p.m. delega alla polizia di svolgere l’interrogatorio (delega necessaria) - la polizia deve applicare tutte le norme a cui è sottoposto il p.m., ma - non può essere fatto quando l’imputato è in stato di detenzione - è un atto a partecipazione necessaria del difensore - sommarie informazioni assunte dalla p.g. (art. 350 c.p.p.) - la polizia può ordinariamente raccogliere parole dell’indagato che non sia in detenzione e rispettando l’art. 64 c.p.p. - è un atto a partecipazione necessaria - differenza con l’interrogatorio delegato: si segue l’art. 64, non il 65 (non si contesta tutto il fatto, le prove, etc) (→ la funzione è più investigativa che difensiva) - è più difficilmente recuperabile in dibattimento - art. 350.5 c.p.p.: sul luogo o (e) nell’immediatezza del fatto si possono assumere informazioni anche dalla persona arrestata e anche senza il difensore e solo per orientare immediatamente le indagini (ma queste informazioni non vanno documentate e non sono utilizzabili) - esame delle parti - art. 208 c.p.p.: le parti private, nel dibattimento, sono esaminate se ne fanno richiesta o se vi consentono (a seguito della richiesta di un’altra parte) - art. 209 c.p.p. - comma 1) all’esame delle parti si applicano le disposizioni - sull’oggetto e sui limiti della testimonianza - sulla facoltà di non rispondere quando la risposta sarebbe auto-incriminante - sulle regole per l’esame testimoniale (art. 499 c.p.p.) - comma 2) se la parte non risponde ne è fatta menzione nel verbale - non è sancito un vero diritto della parte sotto esame a non rispondere e la menzione nel verbale certamente pesa sul piano probatorio - limiti all’uso dell’esame delle parti - la parte civile non può essere esaminata come parte se rende testimonianza - il responsabile civile e il civilmente obbligato non possono essere esaminati come testimoni - dichiarazioni spontanee - sono rese dall’imputato volontariamente e non può essere interrotto o interrogato - possono essere rese lungo tutto il procedimento (non in Cassazione perché non c’è l’istruttoria) - nelle IP versione 1.1 (6/1/2015) 95 - rese alla polizia (art. 350.7 c.p.p.) - la p.g. può ricevere dichiarazioni spontanee dalla PSI, ma non sono utilizzabili in dibattimento se non per le contestazioni durante l’esame delle parti - → c’è una serie di deroghe al sistema delle sommarie informazioni raccolte dalla polizia (possono essere rese anche dall’imputato detenuto, anche senza il difensore, anche da agenti) - rese al p.m. (art. 374 c.p.p.) - chi ha notizie che contro di lui sono svolte indagini può recarsi dal p.m. per rendere dichiarazioni spontanee - se il p.m. contesta un addebito a chi si presenta spontaneamente ed egli può discolparsi, l’atto compiuto equivale all’interrogatorio (→ si applicano gli art. 64, 65 e 364 c.p.p.) - nel dibattimento (art. 494 c.p.p.) - in ogni momento del dibattimento l’imputato può rendere le dichiarazioni che ritiene opportune - hanno una funzione chiaramente difensiva ma sono poco persuasive - il testimone e l’imputato sono due mondi diversi (uno deve dire la verità, l’altro può mentire, etc): in mezzo ai due stanno gli imputati di reato connesso o collegato (IRCC), che sono a mezzavia tra la parte e il testimone (c.d. impumone) - gli IRCC sono tendenzialmente incompatibili con l’ufficio di testimone e le loro dichiarazioni sono assunte in due modi - esame di imputato di reato connesso o collegato (art. 210 c.p.p.) - è una via di mezzo tra l’esame delle parti e la testimonianza - testimonianza assistita (art. 197-bis c.p.p.) - è una via di mezzo tra l’esame degli imputati di reato connesso o collegato e la testimonianza - per individuare gli IRCC si usano le regole per la connessione fra indagini (art. 371.2 c.p.p.); le indagini sono collegate quando - c’è connessione a norma dell’art. 12 c.p.p. - quando si tratta di reati commessi in occasione di altri o per occultarne/realizzarne altri - quando la prova deriva dalla stessa fonte - formalmente gli IRCC potrebbero essere considerati testimoni, perché non sono parti rispetto al reato da accertare - però visto che c’è questo collegamento, trattarli come testimoni è pericoloso perché stride con il principio nemo tenetur se detegere (si rischia di spingere l’IRCC a smascherarsi nel suo processo) - esame degli IRCC (art. 210 c.p.p.) - serve a esaminare i concorrenti o i cooperatori nel reato (art. 12.a c.p.p.) processati separatamente e che non possono assumere l’ufficio di testimone (perché nei loro confronti non c’è una sentenza irrevocabile, come da art. 197.1 c.p.p.) - disciplina: - come i testimoni, gli IRCC - sono obbligati a comparire - possono essere coattivamente accompagnati - come gli imputati, gli IRCC - hanno diritto al silenzio - hanno diritto all’assistenza del difensore durante l’esame - questa disciplina dava il problema del caso in cui l’IRCC, nelle IP sceglieva di parlare mentre nel dibattimento taceva, così da far cadere il processo (separazione delle fasi) versione 1.1 (6/1/2015) 96 - il legislatore sceglie, davanti al silenzio dell’IRCC, di non permettere di recuperare le dichiarazioni rese nelle IP (riforma dell’art. 111 Cost.) - nel 2001 il legislatore interviene su questo problema, risolvendolo in maniera troppo radicale - l’art. 210 c.p.p. si può ancora usare ma con un ambito applicativo molto ristretto, perché oggi esiste la testimonianza assistita → oggi si può usare l’art. 210 c.p.p. solo quando la testimonianza assistita post iudicatum non è possibile - testimonianza assistita (art. 197-bis c.p.p.) - con la l. di attuazione della riforma dell’art. 111 Cost. (l. 63/2001) il legislatore attira gli IRCC verso la figura del testimone in due casi (sentiti con l’obbligo di rispondere e di dire la verità → si elimina il problema dell’IRCC reticente) - 1) testimonianza assistita post iudicatum - per gli IRCC (art. 12 o art. 371.2.b c.p.p.) nei cui confronti ci sia una sentenza irrevocabile - quando il processo a carico dell’IRCC finisce e si forma il giudicato, egli diventa testimone (quindi finché è sotto processo può tacere) → il diritto al silenzio finisce perché loro non rischiano più niente (il processo a loro carico non si riaprirà comunque, perché si è formato il giudicato) - se per l’IRCC con connessione forte non si è ancora formato il giudicato → art. 210 c.p.p. - 2) testimonianza assistita ante iudicatum - solo per gli IRCC con connessione debole o collegamento investigativo (art. 12.c e art. 371.2.b c.p.p.), solo su fatti riguardanti la responsabilità di terzi e solo dopo - aver ricevuto l’avvertimento dell’art. 64.3.c c.p.p. - aver reso dichiarazioni incriminanti i terzi - → la testimonianza assistita riguarda solo la responsabilità dei terzi - il processo dell’IRCC è ancora in corso, ma lui ha scelto di rendere dichiarazioni a carico di altri soggetti - si chiama testimonianza assistita perché il testimone è escusso avendo al suo fianco il difensore che lo assiste (art. 197-bis.3 c.p.p.) - il difensore ha diritto di formulare richieste, osservazioni e riserve a tutela della posizione del testimone suo assistito e di vigilare sul rispetto dei limiti al dovere di testimoniare che il testimone assistito ha (specialmente quelli dell’art. 197-bis.4 c.p.p.) - alla testimonianza assistita si applica l’art. 192.3 (va valutata assieme ad altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilità) - gli IRCC non sono del tutto estranei all’oggetto del processo in cui testimoniano: secondo il legislatore sono fonti di prova non molto affidabili e quindi per le loro dichiarazioni sono chiesti dei riscontri - gli IRCC sentiti con testimonianza assistita hanno facoltà di non rispondere (art. 197- bis.4 c.p.p.) - in casi di testimonianza assistita post iudicatum, l’IRCC non è obbligato a parlare del reato per il quale è stato condannato se nel procedimento si era dichiarato innocente o non aveva reso alcuna dichiarazione - parlando per forza corre il rischio di giocarsi la possibilità di revisione - in casi di testimonianza assistita ante iudicatum, l’IRCC non è obbligato a parlare su fatti concernenti la propria imputazione (diventa testimone ma non del suo fatto) - in ogni caso le dichiarazioni rese degli IRCC non possono essere usate contro la persona che le ha rese (art. 197-bis.5 c.p.p.) versione 1.1 (6/1/2015) 97
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