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riassunto procedura penale primo modulo di manuale di procedura penale Tonini conti 2023, Sintesi del corso di Diritto Processuale Penale

riassunto procedura penale primo modulo di manuale di procedura penale Tonini conti 2023 giuffrè diritto processuale penale modulo 1

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 24/05/2024

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Scarica riassunto procedura penale primo modulo di manuale di procedura penale Tonini conti 2023 e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! PROCEDURA PENALE MODULO I Il diritto processuale penale è il complesso delle norme di legge che disciplinano le attività dirette all'attuazione del diritto penale nel caso concreto. Ecco perché esiste un rapporto stretto tra il diritto penale e processuale penale. Fino agli anni 60 la materia era insegnata dai penalisti perché era considerata l'ancella del diritto penale. Con il tempo la procedura penale è stata valorizzata nei corsi universitari, perché ci si è resi conto della complessità della materia ed è stata oggetto di insegnamento autonomo, per cui sono nate cattedre di procedura penale separate da quelle dei penalisti. Una figura molto importante nell'ambito è Giovanni Conso, che è stato ministro della giustizia e giudice della Corte costituzionale. Egli volle nobilitare la materia dandole un nome altrettanto qualificante rispetto al diritto penale -> non più procedura penale (connotazione molto pratica), ma diritto processuale penale. Di cosa si occupa il diritto penale? Individua i fatti per i quali è prevista in astratto una sanzione penale (es: omicidio art.575 c.p., punisce chi fa l'omicidio in astratto). Individua il tipo di fatto e lo punisce con una sanzione penale prevista dal nostro ordinamento giuridico. Il tipo di fatto è la fattispecie di reato. Poi c'è il fatto concreto. I penalisti dicevano che il diritto penale era il diritto nobile ma una norma penale è in grado di vivere autonomamente? No. Ad esempio, nel diritto civile, ci sono norme sui contratti che ogni giorno poniamo in essere. Per prendere una caffè si applica una norma del Codice civile, senza che debba intervenire un processo civile. Le norme di diritto privato trovano continua attuazione senza processo civile. Per il processo penale, invece, non è così perché la norma può vivere solo attraverso il processo. Il diritto processuale ha una funzione strumentale rispetto al diritto penale, ma è anche vero che esso senza diritto processuale penale non trova attuazione. Le norme del diritto penale sono rivolte a chiunque, a tutti i consociati ma anche a quei soggetti del procedimento penale, come il pubblico ministero che dovrà formulare l'atto di accusa, o il giudice che dovrà decidere anche se l'atto di accusa sia fondato o meno in base alle prove. Quale è la funzione/scopo del processo penale? Lo scopo non è accertare la verità assoluta, ma accertare se l'imputazione (atto di accusa formulato dal pubblico ministero) è vera o falsa sulla base delle prove che sono state acquisite in quel processo penale. Nel processo penale il pubblico ministero è un magistrato che ha il compito di formulare l'atto di accusa nei confronti di chi che ritiene responsabile del fatto di reato, in virtù dei fatti di prova che ha raccolto durante le indagini. Il giudice, al termine del processo penale, solo se si convince che le prove assunte sono riuscite a dimostrare la tesi del pubblico ministero, condanna. Nel processo penale non si deve accertare la verità assoluta ma quella che, secondo le regole del processo, è la verità giudiziale. Nel corso della storia si sono avuti vari tipi di processo penale che gli studiosi raggruppano in due modelli processuali: 1. Sistema INQUISITORIO, si basa sul principio di autorità: la verità (storica) si accerta tanto meglio, quanto più poteri si attribuiscono ad un unico soggetto processuale, cioè l'autorità (depositario del vero e del giusto). Lo Stato individua un organo a cui attribuisce tutti i poteri processuali perché così è più facile accertare come si sono svolti realmente i fatti (verità storica). Tale principio di autorità sul versante processuale si traduce nel cumulo delle funzioni processuali: il soggetto concentra su di sé tutte le funzioni processuali -> funzione di accusa/difesa dall'accusa/di giudicare. Nella storia spesso il soggetto si è chiamato giudice inquisitore, ritenuto depositario del vero e del giusto, infallibile e quindi nessuno meglio di lui potrà difendere l'accusato. Vi sono poi alcune caratteristiche sul processo penale inquisitorio: A) INIZIATIVA D'UFFICIO: il processo penale si può mettere in moto anche senza un'iniziativa di parte, cioè lo stesso giudice inquisitore, può iniziare d'ufficio un processo penale. Quindi un processo penale come veniva avviato in un sistema inquisitorio? Si pensi all'Europa continentale. Nel corso dei secoli passati (1400/1500/1600), in grandissima parte c'erano processi penali di tipo inquisitorio e venivano attivati sulla base di notizie anonime, cioè di cui non si conosce la paternità. A Venezia c'era la buca degli anonimi in cui chi voleva accusare qualcuno lanciava una pergamena indicando che il soggetto aveva commesso un certo fatto di reato ma senza firmarsi. B) INIZIATIVA PROBATORIA DEL GIUDICE: nel sistema inquisitorio il giudice stesso, di sua iniziativa, va alla ricerca delle prove e di testimoni, ossia persone che hanno conoscenza del fatto. Il problema è che, quando si hanno poteri di impulso/azione/iniziativa di ricerca, si perde l'imparzialità. Dire che il giudice ha potere di iniziativa probatoria d'ufficio significa che sta facendo ipotesi accusatorie e quindi perde imparzialità. Il sistema inquisitorio corrisponde a sistemi totalitari, non democratici, a cui interessa difendere la società dal crimine, la verità di Stato. Così si dimostra che lo Stato è forte e può ristabilire l'ordine. Quindi ci si aspetta di trovare un processo penale di tipo accusatorio o tendenzialmente accusatorio in cui vengono rispettati i diritti dell'imputato e venga garantita la separazione delle funzioni processuali per attuare il principio dialettico. IL SISTEMA ACCUSATORIO. Il processo penale è una costante nella storia dell'uomo: quando si verifica un reato, l'ordine sociale viene alterato e, quindi, c'è necessità di ristabilire tale ordine e di accertare come sia avvenuto il fatto e chi l'abbia commesso. Una volta stabilito che l'accusato è responsabile del fatto, occorrerà anche individuare la soluzione penale da applicare al fatto concreto e allo stesso responsabile. Si è già detto che il processo penale svolge la funzione di difendere la società dal crimine; a tale esigenza, si contrappone quella di evitare che venga condannato un innocente. Altra esigenza sorge nel momento in cui si accerti, sulla base delle prove assunte in quel processo, che l'accusato è il colpevole del fatto di reato: a questo punto, bisogna determinare la pena congrua alla gravità del fatto, da infliggere a chi è colpevole. Questo perché anche il colpevole ha diritto a una sentenza giusta, ad ottenere una condanna a una pena che non sia sproporzionata rispetto a quella che si merita. Uno dei problemi eterni della procedura penale è proprio legato al conciliare le esigenze proprie del processo. Mentre il sistema inquisitorio si basa su un principio di autorità e di cumulo delle funzioni processuali su un unico soggetto (giudice inquisitore), il sistema accusatorio si basa sul principio dialettico, secondo il quale solo attraverso il confronto delle diverse ricostruzioni dei fatti, si potranno verificare meglio i fatti accaduti in passato e, quindi, ci si potrà avvicinare meglio a quella che è la verità storica. Il sistema accusatorio si ritrova negli ordinamenti democratici e in tutti quei regimi politici che tutelano i diritti dell'individuo e che sono attenti ad assicurare i diritti individuali (e, quindi, le garanzie) di coloro che sono sottoposti al processo penale. Quando si parla di garanzie, è ovvio che ci si riferisce soprattutto alle garanzie di colui che è accusato del reato e che, quindi, è sottoposto al processo penale. Perché ci si preoccupa principalmente di queste garanzie e di questo soggetto? Perché questo è il soggetto che rischia una condanna, in un processo penale, che può essere, in certi paesi (ad es. USA, che si possono considerare come esempio di processo penale di tipo accusatorio), la pena di morte (o, comunque, c'è il carcere che porta alla perdita della libertà personale). Per cui, ci si preoccupa delle garanzie di chi è accusato. A tal proposito, si diceva, un tempo, che il grado di civiltà di un paese si misurasse in attraverso il processo penale e in relazione a quanto quel paese tutelasse i diritti individuali. Al principio dialettico, sul versante processuale, corrisponde il principio di separazione delle funzioni processuali (accusa, difesa, giudizio). Nel sistema inquisitorio, che si basa sul principio di autorità, il ruolo centrale è ricoperto dall'autorità, che cumula su di sé tutte le funzioni. Le caratteristiche del sistema accusatorio sono: 1. INIZIATIVA DI PARTE. Il processo penale di tipo accusatorio necessita di una iniziativa di parte, non si mette in moto d'ufficio (come invece accade nel processo inquisitorio), ma ci deve essere un accusatore. Ecco perché si chiama sistema accusatorio. Bisogna tenere a mente, però, che la denominazione di sistema accusatorio sta a indicare che c'è un soggetto che svolge la funzione di accusa ed è lui che deve dare l'impulso al processo. Se l'impulso manca, il processo penale non parte. 2. INIZIATIVA PROBATORIA DI PARTE. Questo significa che, nel sistema accusatorio, il ruolo centrale ce l'hanno le parti, ovvero la parte che accusa (quella che ora si chiama accusatore): se si volesse utilizzare il linguaggio del cpp vigente, si parla di PM. Tale funzione viene svolta dal PM durante tutto il procedimento penale. In un sistema accusatorio, esistono delle fasi: tra queste vi è una fase preliminare (le cd indagini preliminari) in cui il ruolo principale lo ha proprio il PM, in quanto va alla ricerca delle prove. Ad oggi, il processo penale italiano funziona così: arriva una notizia di reato (che può essere anche una classica denuncia fatta ai carabinieri di un furto in abitazione); la notizia di reato arriva al PM, il quale si mette in moto e fa indagini (sente il vicino di casa dell'appartamento che è stato svaligiato, acquisisce filmati, ecc.). Quindi, svolge la funzione di accusa e ha l'iniziativa probatoria, nel senso che va alla ricerca delle prove. Siccome è un sistema accusatorio che vuole favorire la dialettica fra le parti e che si basa sulla separazione delle funzioni processuali, dall'altra parte c'è la difesa. In un sistema accusatorio, anche la difesa è legittimata a svolgere delle investigazioni difensive, raccogliendo elementi di prova che possano smentire la ricostruzione dei fatti introdotta dall'accusa. La difesa, quindi, raccoglie elementi di prova che siano favorevoli al proprio assistito. In un sistema accusatorio che si rispetti, questa è la fisiologia: il PM (accusatore) ha l'iniziativa probatoria, nel senso che va alla ricerca di elementi di prova per verificare se quella notizia di reato sia supportata da elementi di prova oppure no; la difesa può (ma non deve, perché comunque le indagini hanno dei costi rilevati; per il PM il problema non si pone perché, in quanto parte pubblica e magistrato, si avvale delle strutture dello Stato) fare altrettanto. Quello che interessa sottolineare è che, nel processo accusatorio, l'iniziativa di ricerca delle prove e di chiedere l'introduzione della prova nel processo spetta alle parti e, quindi, non solo al PM, ma anche alla difesa. Nel sistema inquisitorio, invece, il ruolo centrale spetta al giudice. Nel sistema accusatorio, il giudice, di regola (qui si parla di sistema inquisitorio puro), non ha poteri di iniziativa probatoria. Sono le parti che, nella fase delle indagini preliminari vanno alla ricerca di elementi di prova e, poi, vanno a chiedere al giudice di ammettere quella prova nel processo. Quindi il giudice decide sulle richieste delle parti. 3. CONTRADDITTORIO. Si contrappone alla segretezza. Per formulare un giudizio, nel processo accusatorio, è assicurato il contraddittorio: prima di esprimere un giudizio, bisogna che il giudice abbia ascoltato le parti che hanno interessi contrapposti. Il giudice sentirà prima l'accusatore e, poi, la difesa. Dal punto di vista della parte, ciascuna ha il diritto a esporre al giudice le proprie ragioni. In altre parole, la parte ha il diritto di essere ascoltata dal giudice prima che questo decida. Questo è il contraddittorio in chiave soggettiva, cioè come diritto individuale: l'imputato ha il diritto, quindi, attraverso il suo difensore, di parlare al giudice e di esporre le proprie ragioni e la versione dei fatti favorevole alla difesa. Questo è il contraddittorio come garanzia individuale. Si può dire che questo sia il significato minimo di contraddittorio: si allude alla garanzia soggettiva, al diritto di ciascuna parte di interloquire con il giudice, prima che questo decida. Se questo è il contraddittorio in senso debole, vuol dire che c'è anche un contraddittorio in senso forte, per tale intendersi il diritto delle parti di partecipare alla formazione della prova, di modo che il contraddittorio diventa un metodo di accertamento dei fatti, della genuinità di una prova. Insomma, un metodo di conoscenza. Il termine contraddittorio assume questa duplice valenza: c'è un significato minimo, debole, come garanzia soggettiva (che è il diritto di ciascuna parte di esporre le proprie ragioni al giudice prima che questo decida); dall'altro lato, c'è un contraddittorio in senso forte (che è il metodo di accertamento dei fatti e il diritto della parte di partecipare alla formazione della prova nel processo penale). Il primo significato di contraddittorio è abbastanza semplice: in tante situazioni della procedura penale odierna, ci sarà un giudice che deve decidere dopo aver sentito le parti. Per quanto riguarda il contraddittorio in senso oggettivo, come metodo di conoscenza, prevede che la prova si formi nel contraddittorio tra le parti: nei sistemi accusatori, esiste l'istituto dell'esame incrociato. L'esame incrociato è, in sostanza, uno strumento per acquisire dichiarazioni da una fonte di prova. È il caso del testimone: supponiamo ci sia stato un furto in un'abitazione e che il vicino di casa abbia sentito parlare delle persone a una certa ora (in cui i proprietari non c'erano), in un certo dialetto. Esame incrociato significa che questo testimone viene portato in aula davanti al giudice e gli vengono fatte delle domande, da chi? Dalle parti che hanno interessi contrapposti. Da qui viene il nome di esame incrociato, perché le domande le fa prima una delle due parti; finite le domande di una, iniziano le domande dell'altra. Si ammetta che il vicino di casa sia un testimone di accusa, che l'imputato del processo per furto in abitazione sia un certo signore di una certa area geografica del Paese dove si parla un certo dialetto e che una delle prove di accusa sia costituita dal vicino di casa che sostiene di aver sentito, a un'ora X, parlare due uomini quel tipo di dialetto: questo è un elemento a sostegno di una certa ipotesi accusatoria. Ora, al di là del caso scolastico per cui non è consentita la tortura, ci sono altri limiti: se, ad es., si volesse sottoporre ad esame incrociato un testimone al quale viene iniettato il siero della verità (rende una persona in stato di quasi incoscienza), la relativa prova (costituita dalle sue dichiarazioni), non potrebbe essere ammessa in un sistema accusatorio, in quanto si lede la libertà di autodeterminazione di una persona. Anche per questo riguarda la macchina della verità, questa non è considerata un metodo affidabile: se il PM interroga l'imputato e registra le sue variazioni con questa macchina e vede che l'imputato diventa improvvisamente tachicardico, cosa vuol dire? Un tempo si pensava che l'imputato stesse nascondendo qualcosa; la scienza, già da molto tempo, ha detto che queste sono delle variazioni che possono capitare a tutti quando si vive una situazione di stress e non perché si sta dicendo il falso. Per cui, certi metodi e strumenti non sono considerati attendibili e non entrano nel processo di tipo accusatorio. Facendo riferimento al codice di procedura penale, qui si dice che nel processo penale è possibile ammettere una perizia psichiatrica per stabilire se l'imputato è capace di intendere e di volere. Se l'imputato non è capace di intendere e di volere, questo non è imputabile, non è punibile (sarà, magari, un problema di misura di sicurezza perché pericoloso). Si tratta di capire se è meritevole di pena: se si accerta, tramite perizia psichiatrica, che l'imputato è totalmente infermo di mente, questo non può essere punito. Questo è consentito, in quanto bisogna stabilire, per punire una persona, se è imputabile. Invece, nel processo penale (art. 220, comma secondo, cpp), non si ammette la perizia personologica o criminologica: questa non serve a stabilire se una persona soffre di una malattia mentale o ha un disturbo psichiatrico tale per cui la sua è una condizione di infermità mentale, ma è volta a stabilire il carattere di una persona. Stabilire che l'imputato è una persona cinica non significa dire che questo è colpevole. Questa informazione può entrare nel processo penale? No: mentre la perizia psichiatrica (volta a stabilire se l'imputato è capace di intendere e di volere) è ammessa (in quanto dice se l'imputato è imputabile oppure no), la perizia personologica (volta a stabilire che tipo è l'imputato, se si comporta bene, ecc.) non è ammessa, in quanto non incide sulla capacità di intendente e di volere dell'imputato e, quindi, sulla sua rimproverabilità. Si annida un pericolo nella perizia personologica: quello che il giudice possa essere influenzato non dalle prove che dimostrano che quella persona è colpevole o no, ma dall'opinione di un esperto che abbia reso delle dichiarazioni sul modo di essere dell'imputato (nel senso, non è una prova il fatto che qualcuno abbia lo sguardo da assassino perché, magari, ha gli occhi molto chiari). Dichiarazioni del genere non sono ammesse nel processo penale, in quanto potrebbero avere un'influenza sul convincimento del giudice che, invece, si deve basare sulle prove. Quindi, c'è un limite alla ammissione delle prove, nel senso che conta il metodo per accertare i fatti e non il risultato. 6. MISURE ALTERNATIVE ALLA CUSTODIA CAUTELARE IN CARCERE. Nei sistemi accusatori, l'imputato è presunto innocente (a differenza del sistema inquisitorio, dove è presunto colpevole) ed è, quindi, prevista la presunzione di innocenza. Cosa vuol dire presunzione di innocenza dell'imputato? Questo vuol dire un po' di cose: anzitutto, non è l'imputato che deve dimostrare la propria innocenza, in quanto presunto innocente. Questo anche perché l'oggetto del processo penale è quello della tesi dell'accusa e, quindi, la colpevolezza dell'imputato affermata dal PM (da colui che ha fatto partire il processo con la tesi accusatoria) e non l'innocenza. L'oggetto è quello di verificare se Tizio, accusato del reato, è colpevole oppure no; Tizio, però, non deve dimostrare la propria innocenza: è il PM che deve dimostrarne la colpevolezza, sulla base di prove. La presunzione di innocenza non significa solo che il PM deve dimostrare la colpevolezza dell'imputato e non l'imputato deve dimostrare la propria innocenza, ma significa anche che, siccome è presunto innocente, di regola, nel mentre che si celebra il processo, l'imputato deve rimanere in libertà. Solo in casi eccezionali, la sua libertà può essere compressa, limitata, ma non in funzione anticipatoria della pena che andrà, forse, a scontare dopo la sentenza di condanna. La sua libertà può essere limitata per esigenze processuali. Si può far l'esempio del pericolo di fuga: all'imputato si limita la libertà personale perché c'è un'esigenza che riguarda il processo (ad es., stava partendo per chissà dove, è stato bloccato e ci sono dei gravi indizi di colpevolezza nei suoi confronti: insomma, c'è un quadro probatorio che fa ritenere probabile la sua colpevolezza e, soprattutto, c'è questo pericolo di fuga che legittima la limitazione della libertà personale. Se si permette all'imputato di scappare e nel mentre se ne accerta la colpevolezza, allora il processo non avrà raggiunto il suo scopo). O ancora, l'esempio del pericolo di inquinamento delle prove (ad es., si trovano dei bonifici fatti dell'imputato a favore dei testimoni d'accusa. Visto che ci sono gravi indizi di colpevolezza e un'esigenza cautelare, allora la sua libertà può essere limitata, fino addirittura alla custodia cautelare in carcere). Infine, si può far l'esempio del pericolo di reiterazione del reato (pericolo che quella persona, se lasciata libera, commetta reati di violenza alle persone). Sono questi dei pericoli tassativi, scritti espressamente nel codice. La libertà personale può anche essere ridotta con la custodia cautelare in carcere, non in funzione anticipatoria della pena: questo è vietato dalla presunzione di innocenza. Nel corso del processo, l'imputato non ancora è colpevole: la pena la sconta colui che viene condannato da una sentenza definitiva; chi non è condannato con sentenza definitiva, non può essere incarcerato per scontare una pena che non si sa nemmeno se gli sarà inflitta. Però, quest'ultimo può vedersi limitata la propria libertà perché c'è un quadro probatorio compromettente nei suoi confronti e perché c'è una situazione di pericolo. Queste sono le “misure cautelari”: sono degli strumenti provvisori che limitano, appunto, in via provvisoria la libertà personale dell'imputato, quando ricorre una delle esigenze cautelari (uno dei pericoli) previste espressamente dal cpp. Ora, in un sistema accusatorio, sensibile ai diritti delle parti, le misure cautelari sono viste come l'eccezione e, soprattutto, non si prevede soltanto, come misura cautelare, la custodia cautelare in carcere. Ce ne sono altre: arresti domiciliari (la libertà personale è limitata ma il soggetto non va in carcere e resta in casa), obbligo di dimora (il soggetto non può uscire oltre un certo territorio comunale), obbligo di presentarsi agli uffici di Polizia (ogni giorni a una determinata ora), ecc. Ci sono quindi diverse misure che il giudice applicherà nel caso concreto in relazione alla gravità dei fatti. Il carcere è l'extrema ratio, l'ultima misura cui ricorrere quando le altre si rivelano inefficaci. Quindi, in un sistema accusatorio, la libertà personale dell'imputato può essere limitata in casi eccezionali previsti dalla legge e attraverso un ampio ventaglio di misure. Queste misure limitano la libertà personale con una certa gradualità: dalla meno afflittiva (ad es., il ritiro del passaporto) alla più afflittiva (custodia cautelare in carcere, se le esigenze cautelari non possono essere soddisfatte con le altre misure cautelari più lievi). In processo accusatorio, sarà il giudice a decidere di limitare la libertà personale dell'imputato, svolgendo una funzione di garanzia per l'individuo. La misura sarà chiesta dall'accusa, ma a decidere se applicarla o meno sarà il giudice (intervento del giudice in funzione di garanzia della libertà personale). La presunzione di innocenza riguarda anche la regola probatoria per cui è il PM che deve dimostrare la colpevolezza dell'imputato; a questo, si deve aggiungere quella formula che compare dal 2006 nel cpp: il PM deve dimostrare la colpevolezza dell'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio. Che vuol dire? Questo significa che il PM, per ottenere la condanna dell'imputato, deve convincere il giudice della colpevolezza dell'imputato e, quindi, sgombrare il campo e la mente del giudice da ogni dubbio ragionevole che il fatto si sia verificato in altro modo, mentre l'imputato e la difesa potranno limitarsi a insinuare, nel giudice, dei ragionevoli dubbi sulla colpevolezza dell'imputato. Si tratta di insinuare dei dubbi ragionevoli nella testa del giudice che i fatti si siano svolti esattamente come sta dicendo il PM, in quanto si deve dimostrare se la tesi del PM corrisponde alle prove che si sono tenute nel processo penale. Se c'è qualcosa che non torna e che consente un ragionamento tale per cui si può mettere in dubbio la tesi del PM, allora si ha un dubbio ragionevole. 7. LIMITI ALLE IMPUGNAZIONI. Le impugnazioni sono questi rimedi giuridici dati alle parti per far controllare da un altro giudice l'esattezza della decisione e, quindi, la correttezza dello svolgimento del processo di 1º grado. Il sistema accusatorio è garantista e tutela i diritti dell'individuo. I limiti alle impugnazioni potrebbero, quindi, risultare contraddittori: le impugnazioni hanno sicuramente una finalità garantista, in quanto consentono di far controllare a un altro giudice se la decisione subita è corretta o sbagliata. le parti anziché porgli direttamente la domanda, si rivolgevano al giudice chiedendo di porla egli stesso. Nell'esame incrociato la domanda è diretta all'interessato e vi è un effetto a sorpresa, cioè il testimone non ha tempo per prepararsi una risposta. • Gli atti dell'istruzione erano utilizzabili per la decisione. Il grande difetto del codice napoleonico, visto oggi, è che la decisione sulla colpevolezza dell'imputato, veniva presa dal giudice del dipartimento anche sulla base degli atti compiuti durante l'istruzione in segreto dal giudice istruttore. Nel codice napoleonico non era stato attivato il principio dell'immediatezza, per il quale il giudice che decide deve basarsi sulle prove che si formano davanti a lui, oralmente, nel contraddittorio tra le parti. Quindi il codice del 1808 prevedeva 2 fasi principali: • Istruzione. La polizia giudiziaria ricerca le prove; il pubblico ministero chiede al giudice di aprire l'istruzione; il giudice istruttore compie l'istruzione (segreta, scritta) che deve essere comunque trasmessa al PM che poi formula l'atto di accusa, se ritiene fondato quanto ricevuto. Tale atto poi subisce un ulteriore controllo giurisdizionale, da parte di una camera di tre giudici, la chambre d'accusation, la quale, nel caso in cui non vi siano problemi, va ad accogliere l'accusa. Dopo l'accettazione si passa poi alla fase del dibattimento; • Dibattimento. C'è un dibattimento pubblico in contraddittorio; il presidente dirige; la giuria popolare decide sulla reità. Volendo poi fare un parallelismo con la separazione delle fasi del sistema accusatorio, questo era presente anche nel codice napoleonico, ma vi era un unitarietà di fasi. La separazione era formale, non sostanziale. PROCEDIMENTO PENALE -C.P.P. 1988 La struttura del procedimento penale prevista dal c.p.p. del 1988 si divide in 3 fasi, volute da prima con il disegno della legge delega del 1987 emanata dal parlamento e poi attuate nel codice del 1988, entrato poi in vigore nel 1989: 1. Indagini preliminari svolte dal Pubblico Ministero (art.358 c.p.p.). Ciò trova conferma nell'art.326 c.p.p., il quale deve essere poi letto unitamente all'art.358. L'art. 326 apre il libro V sulle "Indagini preliminari e udienza preliminare". L'articolo afferma che: “Il pubblico ministero e la polizia giudiziaria, svolgono nell'ambito delle rispettive attribuzioni, le indagini necessarie per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale”. Le indagini preliminari hanno come funzione principale quella di consentire al PM, anche grazie al lavoro della polizia giudiziaria, di raccogliere elementi di prova, valutarli e se questi rendono doveroso l'esercizio dell'azione penale, la si applica. Ci sono ordinamenti in cui non vige l'obbligatorietà dell'azione penale, ma vi è un principio di discrezionalità dell'azione penale. In questo caso allora il PM è davvero messo di fronte alla scelta dell'esercitare o meno l'azione penale anche quando ci sono elementi di prova. Nel nostro ordinamento invece non è così. Infatti, l'art. 112 Cost. sancisce l'obbligatorietà dell'azione penale (che deve essere esercitata solo dal PM, la polizia giudiziaria lo affianca nell'esercizio, ma non ha potere concreto). Per le indagini preliminari si prevede un termine di svolgimento comune di 1 anno, 18 mesi per i casi gravi (si ricordi poi che la riforma Cartabia ha inciso su questi termini). Decorsi questi termini, il PM deve sciogliere l'alternativa che gli compete: o esercita l'azione penale con la richiesta di rinvio a giudizio (art.405 c.p.p.) o procede con una richiesta di archiviazione (art.408 c.p.p.) del caso fatta al giudice, che non è più l'istruttore che si aveva anche negli '80, ma è il GIP (si guardi poi il caso TORTORA su traffico di stupefacenti). Le indagini preliminari sono indotte e dirette dal PM, ma ci sono momenti in cui vanno prese delle decisioni che riguardano i diritti personali e le misure cautelari vengono emesse dal GIP (giudice indagini preliminari), su richiesta del PM. Il giudice, difronte a una tale richiesta, vuole vedere gli atti per valutare di apporre o meno una limitazione della libertà personale (es. nel caso in cui l'indagato si voglia dare alla fuga e c'è il rischio che inquini delle prove). Quindi si può poi valutare anche un ipotetica archiviazione, però in base anche alle circostanze in cui ci si trova e se si ritiene non necessario, il giudice può ordinare al PM di formulare un atto di accusa. Il GIP, quindi, svolge funzioni di garanzia e controllo. Il principio di separazione delle funzioni (accusa, difesa, giudizio), può entrare in crisi solo se il giudice si sostituisce al PM formulando l'atto di accusa. Il giudice, però, si limita solo a controllare l'attività del PM. Il fatto che lui ingiunga al PM la creazione dell'atto, è legittimato dall'art. 112 della Cost. L'art. 358 c.p.p., poi, riguarda proprio l'attività di indagine del PM. Esso afferma che: “Il pubblico ministero compie ogni attività necessaria ai fini indicati nell'art.326 e svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini”. Si decide di limitare la libertà personale sulla scorta degli atti preliminari. Con l'art. 358, si intende dire che il PM ha un obbligo di lealtà processuale nei confronti dell'indagato. Se nell'indagine preliminare sente delle testimonianze a favore dell'indagato, in cui si dichiara che quest'ultimo era in compagnia di chi ha testimoniato e che quindi non si trovava sul luogo del reato, questa prova non può non essere acquisita dal PM. Bisogna tener conto degli elementi a favore dell'indagato per chiedere il rinvio o l'archiviazione. Dal 1988, sono state legittimate le “investigazioni private difensive”, ma non si sono subito regolamentate in modo dettagliato. Ciò è poi avvenuto con l'art. 38 c.p.p. Prima di allora, se l'avvocato avvicinava un testimone, veniva accusato di favoreggiamento personale. Nel 2000 le cose sono cambiate. Il legislatore ha fatto una legge per disciplinare l'investigazione difensiva. Il difensore può quindi fare le proprie investigazioni. Egli, però, rappresenta gli interessi della parte che assiste; quindi, se si imbatte in un testimone che fornisce elementi contro il proprio cliente, è tenuto a redigere un verbale scritto di questa dichiarazione così come accade per quelle a favore dell'assistito. Tuttavia, il difensore non è tenuto a portare questo verbale con dichiarazione sfavorevole nel procedimento penale. Il difensore ha un dovere di lealtà nei confronti del cliente, non del PM. Se si tiene un comportamento sleale nei confronti del cliente, si incorre in sanzione prevista dal Codice penale, con l'art. 380. 2. Udienza preliminare (art. 421 c.p.p.). Con l'udienza preliminare si hanno due ipotesi: un decreto che dispone il rinvio a giudizio (art.429 c.p.p.) e una sentenza di non luogo a procedere ( art.425 c.p.p.). Se si intraprende la prima strada e quindi quella del decreto, si giunge all'ultima fase, che è quella del dibattimento. Nell'udienza preliminare, invece del GIP, troviamo il GUP. Se il GUP, all'esito del contraddittorio tra le parti, ritiene che non ci siano ragioni tali da giungere ad un dibattimento, pronuncia una sentenza di non luogo a procedere. In questo caso il procedimento si deve fermare, c'è però anche una revoca a questa sentenza, in presenza di dati presupposti. Con il decreto di rinvio a giudizio, invece, il giudice manifesta la volontà di andare avanti in dibattimento. L'udienza ha una funzione di filtro contro le iniziative azzardate dal PM. L’udienza, quindi, è giurisdizionale ed è riconducibile al modello accusatorio e napoleonico, e avviene in contraddittorio. La conferma della funzione di garanzia dell'udienza, si trova nel codice. L’udienza poi ex comma 5, art. 419 c.p.p., può anche venir meno, qualora l'imputato vi rinunci e quindi il giudice è obbligato ad andare avanti. Il 5 comma, infatti, dice che: “L'imputato può rinunciare all'udienza preliminare e richiedere il giudizio immediato con dichiarazione presentata in cancelleria, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, almeno tre giorni prima della data dell'udienza. L'atto di rinuncia è notificato al pubblico ministero e alla persona offesa dal reato, a cura dell'imputato”. La scelta tra rinviare in giudizio e archiviazione è cruciale. Il PM deve prendere posizione, stando attento. Perché una volta scelto non si torna indietro e si può rischiare che, quando una sentenza di assoluzione divenga definitiva, il caso sia chiuso. Nella prassi accade che una volta che i termini per fare le indagini scadono, il PM aspetta comunque tanto tempo prima di sciogliere l'alternativa, sebbene oggi ci sia la regola di una ragionevole durata del processo. La Cartabia trova un rimedio per cui le parti possono andare dal giudice chiedendo di spingere il PM a prendere una decisione. 3. Dibattimento (art. 484 c.p.p.). Laddove il reato è procedibile a querela della persona offesa, se manca la manifestazione di volontà a procedere penalmente, potrebbero essere svolte delle indagini, ma non può essere esercitata l'azione penale. È una condizione di procedibilità, se manca la querela il PM non può esercitare l'azione penale. Sarà il giudice a verificare la mancanza della condizione di procedibilità ed emetterà una sentenza di non doversi procedere per mancanza di condizione della procedibilità. Il titolare dell'azione penale è il PM, però l'art.112 Cost. afferma che non è solo lui ad avere l'obbligo di esercitare l'azione penale, per cui la legge ordinaria prevede delle forme di esercizio dell'azione penale congiunto, cioè tra il PM e persona offesa. È quello che avviene nel procedimento davanti al giudice di pace. La legge ordinaria può prevedere forme concorrenziali ma non escludere il PM. Il fatto che l'azione penale sia attribuita al PM, ci porta a dire che l'azione penale è pubblica, proprio perché il titolare è un funzionario pubblico. L'azione penale non è revocabile, quando il PM ha chiesto il rinvio a giudizio dell'imputato poi bisogna che il giudice emetta una sentenza, in cui si pronuncia sull'atto di accusa del PM. AZIONE PENALE: è la richiesta rivolta dal pubblico ministero al giudice di decidere in merito ad una determinata imputazione. Non è un’accusa vaga e generica, ma è specifica perché l'imputato per potersi difendere efficacemente deve conoscere esattamente il fatto di cui è accusato. Art. 417 c.p.p. concerne i requisiti formali della richiesta di rinvio a giudizio: "La richiesta di rinvio a giudizio contiene: A) le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità della persona offesa dal reato qualora ne sia possibile l'identificazione; B) l'enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge; C) l'indicazione delle fonti di prova acquisite; D) la domanda al giudice di emissione del decreto che dispone il giudizio; E) la data e la sottoscrizione". Gli elementi importanti sono le lettere A e B, che individuano l'imputazione. IMPUTAZIONE: attribuzione di un determinato fatto di reato ad una determinata persona nell'atto introduttivo del processo penale. Una volta che il PM ha esercitato l'azione penale con la richiesta del rinvio a giudizio che deve quindi contenere l'imputazione, sorge il dovere per il giudice di pronunciarsi sul merito dell'imputazione. Se si è in un'udienza preliminare, bisogna vedere se questa è da rinviare o meno e se si arriva a dibattimento, il giudice del dibattimento dovrà decidere se l'imputato è colpevole oppure no. Allora prima di quel momento non c'è l'imputazione, esempio: nella querela la persona offesa dal reato, ha indicato le generalità della persona che ritiene essere l'autore del fatto di reato, qui non si parla di imputazione ma di accusa formale fatta dal PM dopo le indagini preliminari. Oppure durante le indagini preliminare il PM chiede al GIP l'applicazione di una misura cautelare, nella richiesta formulata dal PM si può dire che l'atto di accusa contenuta in essa è l'imputazione? NO, anche se è un atto incisivo sulla libertà personale non contiene l'imputazione. Sono addebiti diversi, spesso definiti addebiti provvisori propri per distinguerli dalla vera imputazione che è quella contenuta nella richiesta di rinvio a giudizio; quindi, dal momento in cui il PM prende posizione contro una determinata persona accusandola di aver commesso quel fatto di reato. L'imputazione è l'accusa formulata in modo solenne dal PM e rivolta ad un giudice che una determinata persona ha commesso un determinato fatto. SOGGETTI DEL PROCEDIMENTO. Si trovano disciplinati all'interno del libro I. Le prime norme del codice sono rivolte ai soggetti del procedimento: 1) Giudice e alla giurisdizione. 2) Pubblico ministero. 3) Polizia giudiziaria. 4) Indagato, persona sottoposta alle indagini preliminari, che poi diventa imputato. 5) Persona offesa dal reato. 6) Difensore. Alcuni di questi soggetti in base al nostro codice di procedura penale possono diventare parte del processo dopo che il PM ha esercitato l'azione penale. Non tutti i soggetti acquistano la qualità di parte, ma solo alcuni. SOGGETTI: sono titolari di poteri di iniziativa nel procedimento e cioè coloro che compiendo un atto del procedimento fanno sorgere in altri soggetti il dovere di compiere un atto successivo. I soggetti menzionati all'interno del nostro codice sono solo questi, manca il denunciante, cioè colui che denuncia un fatto che presenta gli estremi di un reato, non c'è dubbio che compie un atto (denuncia) per i fini del procedimento penale, cioè, porta a conoscenza delle autorità un fatto che presenta gli estremi di un reato. Anche il cancelliere non è soggetto del procedimento penale perché non ha potere di iniziativa all'interno del processo, compie soltanto alcune attività. E nemmeno il testimone che è la persona che conosce un fatto, è soggetto del procedimento. PARTE: colui che chiede al giudice di decidere in merito a una imputazione (PM) e colui contro il quale tale decisione è richiesta (imputato). Queste sono le parti necessarie per il processo penale, perché senza di loro il processo non può esistere. Ci sono alcuni soggetti che assumono la qualità di parte: Il PM, durante le indagini preliminari, dopo aver esercitato l'azione penale, diventa parte necessaria del processo. L’indagato diventa parte del processo e prende il nome di imputato, dopo che il PM esercita l'azione penale contro di lui. Cambia nome anche se si tratta della stessa persona per ragioni di garanzia, per fornire all'opinione pubblica che, se si è nella fase delle indagini preliminari, il PM sta verificando la fondatezza di questa notizia di reato nei confronti di quella persona. La polizia giudiziaria è braccio operativo che non può mai diventare parte. Il difensore che può essere sia dell'indagato che della persona offesa, è un soggetto autonomo, cioè non si identifica con il cliente che rappresenta, è un tecnico del diritto che presta la sua assistenza legale, è un soggetto del processo penale ma non diventa mai parte. La persona offesa da reato è soltanto un soggetto del procedimento penale quindi se ne parla solo nella fase delle indagini preliminari. Gode del diritto di informativa, di atti e attività che compie il PM e ha poteri di controllo sull'operato del PM, ma non è una parte. PERSONA OFFESA DAL REATO: è titolare dell'interesse giuridico protetto anche in modo non prevalente dalla norma penale incriminatrice, che si ritiene violata dal reato. Esempio: delitto di lesioni personali. Tizio ferisce con un coltello Caio, bene protetto è l'integrità fisica della persona e la persona offesa dal reato sarà il ferito. Ci sono anche i delitti plurioffensivi, cioè che offendono più beni giuridici come il reato di calunnia, si ha quando una persona accusa altri ingiustamente, sapendoli innocenti, di aver commesso un fatto di reato. Questo è un delitto contro l'amministrazione della giustizia perché il bene protetto in via principale è la corretta amministrazione della giustizia. Essa non deve essere sviata da false accuse contro altri. Si parla di delitto plurioffensivo perché vuole proteggere anche l'onore del calunniato. La calunnia è da tenere come esempio per quel 'modo non prevalente' della definizione. La persona offesa dal reato ha un ruolo confinato alle indagini preliminari, scelta del legislatore dell'88. DANNEGGIATO DA REATO: è colui che ha subito un danno dal reato e che vanta una pretesa civilistica alle restituzioni e al risarcimento dei danni derivanti dal reato. Molto spesso la persona offesa dal reato è anche danneggiato dal reato. Esempio delle lesioni, dove Tizio accoltella Caio e riporta delle ferite guaribili in 15 giorni, comportano delle spese mediche e in seguito a queste lesioni Caio non potrà tornare a lavorare prima di questi 15 giorni, c'è un danno economico e quindi è persona offesa dal delitto di lesione personale ed è anche danneggiato dal reato. Non è vero il contrario, il danneggiato da reato non è anche persona offesa dal reato. Stando al codice dell'88, libro I, tra i soggetti figura solo la persona offesa da reato e non anche il danneggiato, quindi durante le indagini preliminari il codice riconosce dei diritti e dei poteri alla persona offesa da reato ma non al danneggiato. Quindi la persona offesa da reato ha diritto all'informativa, poteri di partecipazione del procedimento, potere di controllo, in quanto portatore di un interesse penalistico alla repressione del reato, non in quanto portatore di un interesse civilistico, cioè, ottenere il risarcimento del danno. Le cose si capovolgono quando il PM esercita l'azione penale, il PM formula l'atto di imputazione nella richiesta di rinvio a giudizio, a questo punto il danneggiato da reato La giurisdizione può essere definita in senso soggettivo se si fa riferimento agli organi che esercitano la giurisdizione. Poi si fa una distinzione tra: Giudici ordinari: hanno competenza generale a giudicare tutte le persone e che inoltre sono composti da magistrati appartenenti all'ordinamento giudiziario. Giudici speciali: sono quelli che hanno competenza a giudicare soltanto alcune persone e che inoltre sono composti da magistrati estranei all'ordinamento giudiziario, non sono sottoposti alle norme dell'ordinamento giudiziario per quel che riguarda il funzionamento. Esempio tribunale penale militare, giudica gli appartenenti alle forze armate che sono accusate di aver commesso i reati che sono previsti dal Codice penale militare. Tra i giudici speciali vi è uno particolare: la Corte costituzionale, ha anche una giurisdizione penale quando deve giudicare il Presidente della Repubblica per delitti di Attentato alla Costituzione e di Alto Tradimento. Corte composta da 15 giudici, in questo caso viene integrata con altri 16 membri che sono estratti a sorte da un elenco del parlamento ogni 9 anni. Speciali perché non sono magistrati che esercitano ordinariamente la giurisdizione penale, ma chiamati in case eccezionali. Dal concetto di giurisdizione bisogna tenere distinto il concetto di COMPETENZA, intesa come quella parte della funzione giurisdizionale che è attribuita a ciascun organo giudicante. Con la competenza entra in gioco un principio costituzionale, principio del “giudice naturale precostituito per legge”, art. 25 co.1 Cost. Si ritiene che da questo principio derivino alcune conseguenze, cioè che le norme sulla competenza devono essere stabilite dalla legge. La competenza del giudice può essere stabilita soltanto dalla legge e non da fonti secondarie. -Dal principio del giudice naturale precostituito per legge si capisce che nessun organo, che sia legislativo, amministrativo o giurisdizionale, può sottrarre discrezionalmente un procedimento ad un giudice; quindi, le norme in materia di competenza devono essere determinate (principio di tassatività e determinatezza). -Questo principio vuole che ogni persona sappia già prima di commettere un reato qual è l'organo che giudicherà, questa è una garanzia precostituita del giudice, questa è una garanzia di imparzialità del giudice. -Pre-costituzione del giudice significa divieto di applicare retroattivamente le norme che riguardano la competenza. Le norme che riguardano la competenza sono applicabili soltanto ai fatti di reato che sono stati commessi dopo la loro entrata in vigore. Art. 25, comma uno: “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge". La naturalità di cui si parla, sta ad indicare la necessità di un collegamento tra il luogo in cui è avvenuto il fatto e il luogo in cui sarà celebrato il processo. Questo collegamento ha un senso perché il reato turba l'ordine sociale di una determinata comunità e quindi è anche giusto che il processo penale si celebri nello stesso luogo in cui la stessa comunità è rimasta turbata. Questa espressione è una garanzia che risale dalla costituzione americana di fine '700. Vi sono 3 tipi di competenza: -Materia. Si va a vedere il tipo di reato che entra in gioco oppure la condizione personale dell'imputato. Se l'autore del fatto di reato è un minore di anni 18 ma maggiore di anni 14, perché sotto i 14 anni non si è imputabili, al momento della commissione del fatto, sarà giudicato dal tribunale per i minorenni che non è un giudice speciale, ma un giudice ordinario specializzato. Questo perché si tiene conto del particolare status dell'imputato che è il soggetto minore; quindi, ha una personalità ancora in evoluzione. Il processo penale minorile ha delle sue regole. Il minorenne è giudicato da due giudici di carriera affiancati da due giudici laici, cioè esperti in altre materie quali la pedagogia, la psicologia. La competenza per materia si basa quindi sulla natura del reato perseguito, ovvero sulla gravità della pena che può essere irrogata o sulla condizione personale dell'imputato. Alcune volte le norme sulla competenza fanno riferimento alla quantità della pena che può essere irrogata, altre volte si fa riferimento al titolo di reato, quindi ad un criterio qualitativo, cioè si attribuisce una determinata fattispecie alla competenza per materia di un determinato organo giudicante. Esempio: associazione mafiosa rientra nella competenza per materia del tribunale, qui criterio qualitativo con pena edittale prevista per il singolo reato. Esempio: omicidio volontario intenzionale, omicidio doloso rientra nella competenza per materia della corte di assise sulla base del criterio quantitativo, reati con pena di tot anni. -Territorio. Non c'è un unico tribunale, Corte d'Assise, o giudice di pace; quindi, bisogna far riferimento ai criteri della competenza per territorio per stabilire quale è il giudice territorialmente competente. -Connessione. • COMPETENZA PER MATERIA. I giudici penali ordinari sono in primo grado: -Tribunale per i minorenni. Esso giudica l'imputato che non ha ancora compiuto la maggiore età e non si fa distinzione del tipo di reato, si guarda allo status dell'imputato al momento del fatto. -Corte di Assise. Si compone di due magistrati di carriera e 6 giudici laici popolari estratti a sorte da determinati elenchi, di cui possono far parte tutti i cittadini prestati alla giustizia. Organo collegiale che giudica sui reati ritenuti più gravi, come omicidio doloso, intenzionale, oppure altri delitti particolari come l'omicidio del consenziente che richiedono valutazioni di tipo etico, delitti di strage. Questa composizione con una giuria popolare è voluta dalla nostra Cost. all'art. 102, ma non va confusa con la giuria americana, composta da 12 giurati i quali devono decidere se l'imputato è colpevole oppure no. Nella nostra corte di assise la maggioranza è data dai giudici laici che però sono inesperti e quindi attraverso le prove e le regole da seguire i due giudici di carriera saranno ascoltati dagli altri sei. Art. 5 cpp, competenza della Corte di Assise: "La Corte di Assise è competente: A) per i delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a ventiquattro anni [artt. 422, 438, 439, 575, 576, 577, 578 c.p.] esclusi i delitti, comunque aggravati, di tentato omicidio, di rapina, di estorsione e di associazioni di tipo mafioso anche straniere, e i delitti, comunque aggravati, previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309; B) per i delitti consumati previsti dagli articoli 579, 580, 584 [600, 601 e 602] del Codice penale; C) per ogni delitto doloso [art. 43 c.p.] se dal fatto è derivata la morte di una o più persone, escluse le ipotesi previste dagli articoli 586, 588 e 593 del Codice penale; D) per i delitti previsti dalle leggi di attuazione della XII disposizione penale della Costituzione, dalla legge 9 ottobre 1967 n. 962 e nel titolo I del libro II del Codice penale, sempre che per tali delitti sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni; E) per i delitti consumati o tentati di cui agli articoli 416, sesto comma, 600, 601, 602 del Codice penale, nonché per i delitti con finalità di terrorismo sempre che per tali delitti sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni". -Tribunale. Esso ha competenza per materia residuale, cioè tutto quello che non è attribuito alla competenza per materia alla Corte di Assise e al giudice di pace, è attribuito al tribunale. Ma il tribunale ha anche una competenza per materia individuata sulla base del tipo di reato, secondo il criterio qualitativo, tipo l'associazione di stampo mafioso. Una volta stabilito che quel determinato reato rientra nella competenza del tribunale bisognerà stabilire a quale dei 100 tribunali spetterà giudicare su quel fatto di reato. Per il tribunale: prima del '99 avevamo tra i giudici di primo grado il pretore e non il giudice di pace. Il pretore giudicava su reati che erano puniti con pene fino a quattro anni di reclusione, era un giudice monocratico di carriera. Il tribunale giudicava sempre in composizione collegiale con tre giudici di carriera. Nel '99 con la riforma del giudice unico si è soppresso il pretore e il tribunale è stato articolato in due composizione diverse: -Tribunale in composizione monocratica. -Tribunale in composizione collegiale, cioè tre giudici di carriera. L'organo rimane il tribunale, è la composizione interna ad essere divisa. Solo che al tribunale in composizione monocratica, giudice di carriera, si è attribuita la competenza a giudicare dei reati punibili con pena fino a dieci anni. Se c'è delitto tentato, si guarda il luogo in cui si è verificato l'ultimo atto diretto a commettere il delitto. L'art. 9 riguarda le "regole suppletive" e si ha nel momento in cui non bastino i criteri dettati all'art.8 per l'individuazione del giudice competente. Al co. 1 si dice che:<<se la competenza non può essere determinata a norma dell'art. 8, è competente il giudice dell'ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell'azione o dell'omissione>>. Si guarda l'ultimo luogo di una parte della condotta (azione o omissione). Nel caso in cui neanche questo basti per stabilire la competenza per territorio del giudice, c'è il co. 2. che afferma che: <<se non è noto il luogo indicato nel co. 1, la competenza appartiene successivamente al giudice della residenza, della dimora o del domicilio dell'imputato>>. Ma non è detto che anche questo criterio possa aiutarci. ES. quando ci sono più imputati che hanno residenze diverse, questo criterio non serve. Si passa quindi al co. 3: <<se nemmeno in tale modo è possibile determinare la competenza, questa appartiene al giudice del luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall'art. 335>>. Quando c'è una notizia di reato (che è una qualsiasi informazione che presenta degli elementi riconducibili a un fatto di reato), la polizia ha l'obbligo di trasmetterla al PM (che è titolare e responsabile delle indagini preliminari). Il PM deve iscrivere la notizia di reato nel "registro delle notizie di reato" (un tempo era cartaceo, ormai è informatico). Nel file il PM riporta la notizia (il fatto), l'autore del fatto (eventualmente), la data in cui si è appresso il fatto, il luogo del fatto e le generalità della persona offesa dal reato. Questo è un adempimento importante perché da quando viene iscritto il nome di chi sembra essere l'autore del reato, decorrono i termini per le indagini preliminari (sottoposte a dei termini più o meno ampi in base alla gravità dei fatti). Quindi quest'ultimo criterio del co. 3 dice che, se non è stato possibile stabilire quale è il giudice competente per territorio, si segue il "criterio della 1° iscrizione". Tempo fa in Italia c'erano alcuni PM che facevano quasi a gara a esprimere il prima possibile la notizia di reato perché almeno così cominciavano loro a indagare sul fatto di reato. Quindi avendo iscritto per primi la notizia, il giudice competente per territorio sarebbe stato quello presso cui operava il PM che aveva iscritto per primo la notizia di reato. Ciò succedeva soprattutto per fatti di reato che avevano suscitato clamore nell'opinione pubblica (fatti noti). Così si riesce sempre a scoprire quale è il giudice competente per territorio. • COMPETENZA PER CONNESSIONE: la connessione è un criterio attributivo della competenza del giudice in via originaria. Riguarda un legame tra procedimenti penali (oltre che tra reati). QUALI SONO I CASI DI CONNESSIONE? Sono importanti per il tema della competenza del giudice, perché hanno ricadute anche sul regime giuridico attribuito alla figura dell'"imputato di procedimento connesso". Nel nostro sistema processuale c'è: - IMPUTATO: ha il diritto di rimanere in silenzio e di non sottoporsi all'esame incrociato perché è la persona accusata di aver commesso il fatto di reato. C'è un principio degli ordinamenti democratici: “nemo tenetur se detegere" e cioè "nessuno sia costretto a parlare contro di sé". - TESTIMONE: persona informata sui fatti che invece ha l'obbligo di rispondere alle domande e di dire la verità (altrimenti commette delitto di falsa testimonianza). - IMPUTATO DI PROCEDIMENTO CONNESSO: figura ibrida. Non è l'imputato del procedimento principale, ma è un'altra persona che però ha un procedimento penale a suo carico che è legato al primo. Ciò accade quando i procedimenti sono connessi. Il regime giuridico che ha, è diverso sia dal testimone che dall'imputato nel processo principale. L'ART. 12 c.p.p. tratta dei casi di connessione: <<Si ha connessione di procedimenti: a) se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro, o se più persone con condotte indipendenti hanno determinato l'evento…” Qui si individuano le situazioni in cui si verifica un UNICO REATO COMMESSO DA PIU' PERSONE che possono aver concorso nello stesso reato (quindi concorso di persone, art. 110 c.p.). Il concorso è delitto doloso. Poi si parla di cooperazione nel delitto colposo, art. 113 c.p. ES. (di cooperazione): 2 amici in macchina. Il passeggero dice all'amico di andare più veloce e il conducente lo ascolta ma non essendo in condizione di controllare l'auto investe un pedone e lo uccide. C'è stato incitamento da parte del passeggero, quindi cooperazione nel delitto colposo. Inoltre, si parla di un fatto di reato che si verifica per più condotte indipendenti di più persone che hanno determinato l'evento. ES. caso di 2 autovetture che procedono entrambe al centro della carreggiata. Fanno un incidente stradale e una persona trasportata in una delle macchine muore a causa dell'incidente. Chi ha determinato quest'evento? Non c'è concorso né cooperazione, ma entrambi hanno violato regole cautelari di prudenza. Questa lettera a) è la situazione di connessione più forte di tutte. “b) se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione o omissione ovvero con più azioni o omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso…”. Ci si riferisce alla CONNESSIONE MONOSOGGETTIVA: c'è un unico soggetto che ha commesso più reati. ES. Tizio investe 2 pedoni. Uno muore e l'altro rimane ferito gravemente. Più reati e una sola persona. Si parla di concorso formale di reati (art. 81), oppure si parla di reato continuato. ES. Tizio commette più rapine per finanziare un gruppo terroristico. “c) se dei reati per cui si procede gli uni sono stati commessi per eseguire o occultare gli altri”. Ci sono più reati che possono essere commessi da una o più persone (non è specificato). ES. (esecuzione) Tizio ruba una macchina che poi dà a Caio che fa una rapina. Reato commesso per eseguirne un altro. ES. (occultamento) Tizio commette un falso in atto pubblico per occultare una corruzione. Il codice prevede delle regole per stabilire la competenza per materia e per territorio dovuta alla connessione. ES. Tizio uccide la fidanzata, Caio (minorenne) occulta il cadavere di lei. C'è omicidio commesso da maggiorenne e occultamento di cadavere commesso da minorenne. Il processo per questi fatti connessi tra loro si celebra all'ART. 14 c.p.p. "limiti alla connessione nel caso di reati commessi da minorenni". - Co. 1 <<la connessione non opera fra procedimenti relativi a imputati che al momento del fatto erano minorenni e procedimenti relativi a imputati maggiorenni>>. Il fatto di reato commesso da minorenne, anche se è connesso a un reato commesso da un maggiorenne, fa sì che la connessione non operi. Il minorenni sarà sempre giudicato dal tribunale dei minorenni (con regole sue proprie che considerano l'età del soggetto). - Co. 2: <<la connessione non opera, altresì, fra procedimenti per reati commessi quando l'imputato era minorenne e procedimenti per reati commessi quando era maggiorenne>>. Quindi questo può essere il caso del reato continuato (art. 12 lettera b). ES. Tizio ha iniziato a fare rapine quando era minorenne e ha continuato da maggiorenne. Ma per i fatti commessi da minorenni, sarà competente il tribunale per i minorenni e la connessione non opera. Vi è poi l'ART. 15 c.p.p. "competenza per materia determinata dalla connessione": <<se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza della Corte di Assise ed altri a quella del tribunale, è competente per tutti la Corte di Assise>>. ES. omicidio volontario è di competenza della Corte d'Assise, mentre l'occultamento di cadavere è di competenza del tribunale. L'art. 15 dice che per tutti è competente la Corte d'Assise, cioè il giudice funzionalmente superiore (che è competente per il reato più grave). C'è una vis attrattiva verso il giudice funzionalmente superiore. L'ART. 16 c.p.p. riguarda la "competenza per territorio determinata dalla connessione": - Co. 1 <<la competenza per territorio per i procedimenti connessi rispetto a cui più giudici sono ugualmente competenti per materia, appartiene al giudice competente per il reato più grave e, in caso di pari gravità, al giudice competente per il 1° reato>>. ES. Tizio ruba una macchina a Siena con cui Caio commette una rapina a Firenze. La competenza per territorio si stabilisce guardando al reato più grave. Tra furto e rapina, il reato più grave è la rapina quindi il processo si tiene a Firenze (in cui è avvenuta la rapina). Se sono di pari gravità, invece, interviene il giudice competente per il 1° reato. Viene stabilito a livello costituzionale che in ogni processo deve essere assicurato il contraddittorio nel significato minimo. Le parti di un processo hanno il diritto di esporre al giudice le proprie ragioni, prima che questo decida. La parità tra le parti è condizione imprescindibile per attuare il contraddittorio davanti al giudice terzo e imparziale. Si può definire l'imparzialità del giudice, quando questi non ha legami né con le parti del processo, né con l'oggetto del processo. La terzietà per alcuni forma un endiadi con l'imparzialità, ma non è una interpretazione convincente, perché sono concetti diversi. Come ci si assicura l'imparzialità del giudice? In base ad alcuni principi: 1) Art 101, co 2 Cost.: “i giudici sono soggetti soltanto alla legge” -> soggezione del giudice alla legge. Si dice che i giudici sono sottoposti alla legge. Si parla di giudici e non di magistratura. Ciò vuol dire che il giudice è chiamato ad applicare la legge che deve essere formulata in modo chiaro, preciso, ben determinato. Ciò vale anche per le norme di diritto processuale. Solo le norme con queste caratteristiche potranno essere applicate dal giudice. Se le norme penali o processuali sono determinate e non lasciano spazio alla discrezionalità del giudice si garantisce l'applicazione della legge da parte dei singoli giudici in modo imparziale. Non deve esserci spazio per le ideologie del singolo giudice che deve applicare la legge. È una garanzia contro l'arbitrio del giudice. 2) Separazione delle funzioni processuali del giudice rispetto a quelle di accusa e di difesa. Quando il giudice cumula i poteri di una parte, ad esempio, dell'accusa perde di imparzialità, come nel sistema inquisitorio. 3) Terzietà del giudice. Se vogliamo dare un significato alla terzietà rispetto ad imparzialità, dobbiamo guardare allo status del magistrato, cioè il versante ordinamentale. Nel nostro ordinamento vi è la carriera unica del magistrato, cioè il concorso in magistratura è unico e il candidato potrà scegliere la sede o le funzioni di giudice o PM. Fino a qualche anno fa si poteva scegliere di cambiare funzioni, diventando giudice nello stesso distretto. Ora la regola è cambiata. Il giudice per apparire imparziale deve essere terzo anche sotto il profilo ordinamentale, quindi la carriera è unica, ma se si vuole fare un passaggio di funzioni bisogna cambiare distretto. Solo così si garantisce che il giudice sia al di sopra delle parti. In poche parole, nel momento in cui un PM passi alla giudicante ci sarà un giudice che avrà di fronte a se i PM suoi ex colleghi -> non c'è imparzialità del giudice. L'estrema conseguenza della terzietà del giudice sarebbe stata la separazione netta delle carriere con due concorsi diversi per giudice e PM. I temperamenti al passaggio di funzione sono stati determinati dal dgls 160/2006. Il passaggio di funzioni potrà essere fatto per un massimo di quattro volte. 4) Impregiudicatezza del giudice -> assenza di pregiudizio prima della formazione delle prove in dibattimento. Il giudice si può dire che si trova in una situazione di impregiudicatezza, che sta ad indicare un atteggiamento interiore del giudice, per cui non si è già formata l'idea sulla colpevolezza dell'imputato per il fatto di reato per il quale si sta procedendo, prima della formazione delle prove su cui il giudice deve basare la sua decisione. La Corte costituzionale ha definito l'impregiudicatezza come l'assenza di un pregiudizio, rispetto all'oggetto del procedimento che sarebbe appunto la responsabilità dell'imputato. La necessità dell'impregiudicatezza del giudice trova il proprio fondamento teorico nella cd “forza della prevenzione” che è stata descritta e individuata per la prima volta dal filosofo Francesco Bacone, 1620. Tutti siamo esseri umani esposti alla forza della prevenzione e a nessuno piace ammettere di aver sbagliato; quindi, è la tendenza umana a voler insistere nel credere in ciò che si è affermato o deciso o stabilito. Esempio: il giudice per le indagini preliminari ha chiesto l'applicazione di una misura cautelare personale grave, come la custodia cautelare in carcere. Per il GIP ci sono gravi indizi di colpevolezza e tutti i requisiti per la misura cautelare; quindi, c'è la custodia cautelare per il soggetto. Il “Tribunale della libertà” è un collegio di giudici al quale si può chiedere di riesaminare la decisione che ha applicato la misura coercitiva cautelare. Il soggetto ha un breve termine per fare impugnazione affinché vengano controllati i presupposti per l'applicazione della misura cautelare personale, al tribunale della libertà o del riesame. Il GIP che ha applicato la misura cautelare personale dando ragione al PM, non potrà far parte del tribunale della libertà perché lui si è già espresso sul merito della colpevolezza dell'imputato. Se confermerà la sua idea, è un giudice con un pregiudizio. Il GIP, non può essere controllore di se stesso, quindi saranno altri giudici a decidere, perché lui è incompatibile. 5) Incompatibilità del giudice. L'incompatibilità del giudice la ritroviamo agli art 34 e 35 c.p.p. che prevedono diverse ipotesi di incompatibilità del giudice nel medesimo procedimento. Articolo 34 cpp, I COMMA: “L'incompatibilità può essere determinata dal fatto che quel giudice ha già svolto la funzione di giudice in un precedente grado del processo”. Esempio: il giudice del primo grado che ha condannato o assolto l'imputato non potrà far parte del collegio che deciderà il secondo grado, oppure se ha svolto la funzione di giudice nel medesimo procedimento, ma in una precedente fase. Esempio: il giudice delle indagini preliminari di regola, è incompatibile con la funzione di giudice dell'udienza preliminare e di giudice del dibattimento. Di regola è così, ma alcune volte durante le indagini preliminari, il giudice delle indagini preliminari può adottare dei provvedimenti che non hanno carattere decisorio, quindi che non attengono alla colpevolezza. Es: durante le indagini preliminari è possibile che venga assunta una prova che sarà utilizzata nel dibattimento, con l'istituto dell'incidente probatorio che è una parentesi delle indagini preliminari in cui si assume una prova. Si pensi al testimone che ha assistito al fatto, ma è in pericolo di vita o in fin di vita o si teme che possa essere corrotto. L'incidente probatorio può chiederlo il PM o l'indagato e si chiede al GIP, il quale non prende una decisione sul merito della colpevolezza dell'imputato, ma accoglie o meno la richiesta di incidente probatorio. In questo caso il GIP è compatibile perché non è intervenuto sulla colpevolezza, non ha adottato un provvedimento decisorio. Esempio: il GIP che decide sullo stato di latitanza, ancora una volta prende un provvedimento di carattere non decisorio; quindi, è compatibile con la funzione di giudice di dibattimento. III COMMA: “Chi ha esercitato funzioni di pubblico ministero o ha svolto atti di polizia giudiziaria o ha prestato ufficio di difensore, di procuratore speciale, di curatore di una parte ovvero di testimone, perito, consulente tecnico o ha proposto denuncia, querela, istanza o richiesta o ha deliberato o ha concorso a deliberare l'autorizzazione a procedere, non può esercitare nel medesimo procedimento l'ufficio di giudice”. Qui c'è incompatibilità che deriva dal fatto che il magistrato ha svolto determinate funzioni ed atti nel medesimo procedimento in qualità di parte, o funzioni che devono restare distinte da quella di giudice. Nell'ordinaria formulazione dell'art. 34 poi modificato, l'articolo appariva smilzo quindi dopo il 1988 è stato ampliato seguendo gli interventi additivi della Corte costituzionale. La Corte costituzionale riteneva non conforme a Costituzione la norma nell'ipotesi in cui non prendeva in considerazione tutti gli altri casi aggiunti successivamente, per questo il suo intervento è stato molto importante. Il magistrato chiamato a svolgere la funzione di giudice non può sottrarsi senza controllo ad esercitare il suo ufficio; quindi, le situazioni di incompatibilità sono tassative e conosciute ex ante al dibattimento. Articolo 35 cpp: “Nello stesso procedimento non possono esercitare funzioni, anche separate o diverse, giudici che sono tra loro coniugi, parenti o affini fino al secondo grado”. L'articolo prevede ragioni di incompatibilità per ragione di parentela, affinità o coniugio. Qui si vuole evitare che il giudice sia condizionato da legami affettivi, di parentela o altro con gli altri magistrati che hanno svolto funzioni nello stesso procedimento. 6) Equidistanza tra le parti. Il giudice non deve avere legami con le parti né con l'oggetto del processo. L'ordinamento processuale deve prevedere degli strumenti per contrastare la mancanza di imparzialità nel giudice. Tra questi abbiamo l'istituto dell'incompatibilità del giudice, cioè uno strumento o istituto processuale che vuole assicurare l'impregiudicatezza del giudice e quindi l'imparzialità. La ricusazione e l’astensione hanno in comune il fatto di essere strumenti finalizzati a tutelare l'imparzialità del giudice come persona fisica. I motivi di ricusazione sono tassativi, mentre quelli di astensione no, essendoci la lettera h. Esempio: il giudice in aula di dibattimento vede che l'imputata è la sua fidanzata, decide di non astenersi, sebbene vi sia l'obbligo di farlo, il PM è a conoscenza della relazione e sa che il giudice andrebbe ricusato. Ma i motivi di ricusazione sono tassativi per cui non rientrano le gravi ragioni di convenienza, quindi nulla potrà fare il PM. La Corte costituzionale è intervenuta ampliando il contenuto dell'articolo 37, con la sentenza 283/2000, dichiarando l'illegittimità costituzionale del primo comma dell'art 37 nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità dell'imputato, abbia espresso in altro procedimento anche non penale una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto. Quindi è stato inserito un altro motivo per richiedere la ricusazione del giudice, perché la sua imparzialità è costituzionalmente garantita, anche se le ragioni di ricusazione sono tassative. La corte ha ribadito il valore costituzionale dell'imparzialità del giudice e poiché è garante di questo valore se ci saranno altre ragioni di ricusazione che meritano di essere ricomprese, le parti potranno sollevare l'eccezione di legittimità costituzionale e la corte deciderà sulla questione intervenendo nuovamente sull'incostituzionalità dell'articolo 37. RIMESSIONE DEL PROCESSO, ART 45. L’ultima volta si parlava della incompatibilità del giudice, istituto che vuole tutelare la impregiudicatezza del giudice che va a valutare nel merito l'accusa. Altri istituti sono l'astensione che è una dichiarazione fatta dal giudice quando si trova in determinate situazioni, art 36 più la lettera h, situazioni dove non si sente sereno di giudicare e dove non appare imparziale, quindi ha l'obbligo di astenersi. Altro istituto è la ricusazione del giudice può essere proposta dalle parti, p.m., i motivi sono tutti quelli previsti per l'astensione tranne la lettera h, più quando il giudice ha manifestato il convincimento sulla causa indebitamente. Sono motivi tassativi. Il procedimento è disciplinato dal codice; formalizzato a decidere sulla ricusazione è il giudice superiore, c'è procedura precisa, perché l'iniziativa è delle parti. Altro istituto che è a tutela dell'imparzialità non del giudice come persona fisica, ma del giudice come organo: rimessione del processo, artt. 45 ss. c.p.p. In presenza di determinati presupposti e nei casi tassativi il processo non si tiene nel luogo individuato nelle regole di competenza del territorio ma verrà celebrato altrove ma facendo riferimento alla tabella che abbiamo già visto allegata all'art 1 delle disposizioni di attuazione del c.p.p., anche qui bisogna tutelare comunque l'imparzialità ma dell'organo giudicante. La rimessione del processo non è possibile nelle indagini penali ma solo nel processo stretto. Nella tabella c'era asterisco su Roma: magistrati di Cagliari vengono giudicati a Roma, c'è asterisco perché è cambiata questo tipo di competenza, in origine i magistrati del distretto di Cagliari venivano giudicati da Palermo, poi il criterio di collegamento è stato cambiato e i magistrati del distretto di Cagliari vengono giudicati da Roma. Il cambiamento c'è stato perché c'era un forte disagio perché c'erano pochi collegamenti di trasporto possibili tra Cagliari e Palermo per rientrare in giornata. Sarà questo il motivo ufficiale, ma ci fu una vicenda che destò un certo clamore: sequestro di persona, sequestro di Melis e i magistrati di Palermo (perché un magistrato era coinvolto) presero l'aereo e andarono a Cagliari per interrogare questo magistrato. Mentre lo interrogavano, nella pausa, il magistrato uscì dalla stanza, fece uno scatto per entrare nella sua stanza di magistrato, prese la pistola e si suicidò. Fu detto che l'interrogatorio fu condotto in modo un po' duro, per questo il suicidio. Qualche anno dopo c'è stata la modifica. Rimessione del processo comporta lo spostamento del luogo del processo in un'altra sede applicando il meccanismo tabellare dell'art 1 Disp. Att. Cpp. I soggetti legittimati a chiedere la rimessione del processo: - Imputato. - Pubblico ministero presso il giudice che procede. - Procuratore generale presso la corte d'appello. Art 45 c.p.p. : “In ogni stato e grado del procedimento di merito, quando gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, pregiudicano la libera determinazione delle persone che partecipano al processo ovvero la sicurezza o l'incolumità pubblica o determinano motivi di legittimo sospetto, la corte di cassazione, su richiesta motivata del procuratore generale presso la corte di appello o del pubblico ministero presso il giudice che procede o dell'imputato, rimette il processo ad altro giudice designato a norma dall'art 11”. Il presupposto per la remissione è che ci siano gravi situazioni locali tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili. Situazioni locali (luogo dove si dovrebbe celebrare il processo secondo regole di competenza del territorio) devono essere tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili. Caso famoso: processo che si svolse sotto il vecchio codice e riguardava il processo per la strage di Piazza Fontana (collocata una bomba nella banca nazionale per l'agricoltura a Milano nel 1969), c'erano tumulti di piazza, guerriglia urbana. Fu chiesta la rimessione del processo perché Milano non era ritenuto il luogo più idoneo per lo svolgimento del processo, i giudici non sarebbero stati sereni nel giudicare. Il processo fu celebrato a Catanzaro. Stato di guerriglia urbana è grave situazione locale tale da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabile I casi per cui si può far luogo a rimessione sono tre: 1. Pregiudizio per la sicurezza e l'incolumità pubblica. 2. Pregiudizio per la libera determinazione delle persone che partecipano al processo. Si parla di libera determinazione delle PERSONE che partecipano al processo, può darsi che si parli dei giudici (non dice soggetti del procedimento), che non si sentono liberi nella valutazione dei fatti, ma persone sono anche i testimoni. 3. Situazioni locali che determinano "motivi di legittimo sospetto" della non imparzialità dell'organo giudicante (aggiunto dalla legge 248/2002). Polemica sull'introduzione di questa formula perché è più indeterminata delle altre, questa legge fu approvata quando la maggioranza in parlamento era riducibile al centro-destra (Berlusconi), introducendo questa formula si sarebbero potuti trasferire più processi da Milano ad altre sedi. Comunque questo non è avvenuto, i casi sono pochissimi. Questa formula in realtà ha origini molto lontane, risale al codice napoleonico ed era già presente anche nel vecchio codice (forse era presente anche nella legge delega del 1987), quindi nulla di scandaloso. La giurisprudenza della cassazione ha dato la sua interpretazione restrittiva di questa formula resta il fatto che la remissione resta un istituto poco praticato. Dove va presentata l'istanza: presso il giudice che sta procedendo. L'organo che decide: la Cassazione. Presentata l'istanza il processo viene sospeso ope legis? No, è decisione del giudice. Quando non può essere disposta la sospensione del processo? Art 47, comma 3: quando richiedi di nuovo la rimessione del processo dopo che la prima è stata dichiarata inammissibile. Il codice per il procedimento di rimessione prevede poche disposizioni e in tempo recente la Cassazione ha rimesso una importante pronuncia che ha voluto definire meglio i vari aspetti della procedura. IL PUBBLICO MINISTERO. Libro I del codice di procedura penale si apre con il giudice. Il pubblico ministero è un magistrato. Art 107, comma 4 cost: il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario. Per i giudici art 101, comma 2: "i giudici sono soggetti solo alla legge". L'ufficio del giudice GIP presso il tribunale di Siena, per motivi organizzativi, ha bisogno di un responsabile dell'ufficio, ma stando all'art 102, comma 2, ciascun giudice è indipendente anche da ogni altro giudice. L'ufficio del PM invece può essere organizzato secondo forme gerarchiche. Garanzie per il PM ci devono sempre essere. Art 108, comma 1: le norme sull'ordinamento giudiziario sono stabilite con legge, deve esserci un intervento del Parlamento. Art 112: il PM ha l'obbligo di esercitare l'azione penale. Per il giudice c'è art 111 cost, ogni processo si svolge davanti al giudice terzo e imparziale, è uno dei caratteri fondamentali del giudice. Non vale lo stesso per il PM, questo è un organo di impulso del processo penale, è una parte del processo, è colui che ha l'obbligo di esercitare l'azione penale. Il pubblico ministero ha piena indipendenza di status. Gerarchia attenuata del titolare dell'ufficio rispetto ai magistrati dell'ufficio. Art 2, D.lgs 106/2006: Il Procuratore della Repubblica, quale titolare esclusivo dell'azione penale, la esercita personalmente o mediante assegnazione (può riguardare la trattazione di uno o più procedimenti) a uno o più magistrati dell'ufficio. Il titolare dell'ufficio deve formulare un progetto organizzativo e poi in virtù di questo assegna un magistrato dell'ufficio. Il titolare dell'ufficio ha più potere, può anche scegliere di assegnare il caso a un magistrato dell'ufficio che lui ritiene più idoneo a seguire quel caso. Con l'atto di assegnazione per la trattazione di un procedimento, il Procuratore della Repubblica può stabilire i criteri ai quali il magistrato deve attenersi per l'esercizio della sua attività. Se il magistrato si attiene ai principi e criteri definiti in via generale o con l'assegnazione, ovvero insorge tra il magistrato ed il Procuratore della Repubblica un contrasto circa la modalità di esercizio, il Procuratore della Repubblica può, con provvedimento motivato, revocare l'assegnazione; entro dieci giorni dalla comunicazione della revoca, il magistrato può presentare osservazioni scritte al Procuratore della Repubblica (può nascere un contenzioso tra i due). Principio di gerarchia con responsabilità attenuata. Altri aspetti gerarchici. Art 3, D.lgs 106/2006: occorre assenso scritto del procuratore capo per la richiesta delle misure cautelari; Art 5: rapporti con la "stampa" gestiti dal procuratore. È fatto divieto ai magistrati della Procura della Repubblica di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l'attività giudiziaria dell'ufficio. Di recente D.lgs. 188/2021 che ha dato attuazione alla direttiva europea sul rafforzamento della presunzione di innocenza, è stato modificato l'art 5 sopra citato per cercare di rendere la comunicazione degli uffici della Procura della Repubblica più rispettosa possibile per la presunzione di innocenza. Se il magistrato è fuori udienza c'è la gerarchia attenuata tra il titolare e altri magistrati. Il magistrato in udienza, il PM, il sostituito del procuratore gode di piena autonomia: art 53, piena autonomia rispetto al titolare dell'ufficio. Comma 2: il "capo" dell'ufficio (cioè il titolare) provvede alla sostituzione del magistrato nei casi di grave impedimento (del sostituto procuratore), di rilevanti esigenze di servizio ( p.e. il sostituto procuratore esperto in reati tributari, è in udienza come PM nel procedimento penale per rapina, nel frattempo è arrivata notizia di reato tributario ed essendo lui il massimo esperto in materia, essendo una esigenza dell'ufficio, il titolare dell'ufficio sostituisce in quel procedimento per rapina un altro magistrato perché serve una certa competenza come per i reati tributari) e in quelli previsti dall'art 36 c.1 nelle lettere a, b, d, e (sono casi tassativi = astensione del giudice). Casi di interesse privato del PM nel procedimento penale, il difensore delle parti è prossimo congiunto del coniuge del PM. Art 53, c.3: “Quando il capo dell'ufficio omette di provvedere alla sostituzione del magistrato, il procuratore generale presso la corte di appello designa per l'udienza un magistrato appartenete al suo ufficio” (caso di avocazione da parte del procuratore generale presso la corte di appello il quale svolge un potere di sorveglianza su tutti gli uffici della Corte di Appello, potere di vocazione): casi in cui il procuratore generale può avocare il procedimento penale presso di se, lo attrae a se, sono casi previsti dalla legge. La procura generale presso la corte d'appello e quella presso la corte di cassazione non hanno poteri gerarchici (non danno ordini) sulla procura della repubblica presso il tribunale. Per stabilire quale è l'ufficio di procura legittimato a svolgere la funzione di PM lo si capisce in via derivata dalla competenza del giudice, si guarda a quale è il giudice competente per quel fatto di reato. Quale è il giudice competente per materia, per territorio? Quale procura della repubblica presso quale tribunale sarà legittimata a svolgere le funzioni di PM? A volte può sorgere contrasto: un contrasto positivo, cioè, entrambe rivendicano la propria legittimazione, nello stesso distretto il contrasto lo risolve il procuratore generale presso la corte d'appello di quel distretto. Contrasto negativo, se Siena dice che non deve indagare lei ma lo deve fare Firenze e viceversa, dove nessuno vuole assumersi il compito di svolgere l’attività del PM, in quel caso il contrasto lo risolve sempre la procura generale della Corte di appello di Firenze, ad esempio. Se il contrasto riguarda distretti diversi allora il contrasto lo risolve il procuratore generale presso la corte di Cassazione. Il procuratore generale presso la corte di Cassazione ha un potere molto importante che è quello di iniziare l'azione disciplinare nei confronti dei magistrati presso il CSM. Potere di sorveglianza a fini organizzativi e di disciplina. Avocazione: si ha anche quando il magistrato PM resta inerme alla fine della scadenza dei termini di indagine. Se non decide potrebbe intervenire il procuratore generale presso la Corte d'Appello. Sono situazioni di stallo che le risolve il procuratore generale presso la Corte d'Appello. Caso del sostituto procuratore che si trova in udienza, gode di piena autonomia e ha un interesse privato nel procedimento penale, ma diverso da quelli delle lettere a, b, d, e dell'art 36. Non è richiamata la lettera h, quindi motivi di sostituzione del PM che si trova in udienza sono tassativi, il che vuol dire che, se il magistrato ha un interesse privato nel procedimento penale, ma non di quelli determinati espressamente dalla legge, non può essere sostituito. Art 52 c.p.p.: il magistrato del PM ha la facoltà di astenersi quando esistono gravi ragioni di convenienza, queste sono lasciate all'apprezzamento del singolo magistrato del PM come motivo di astensione. Il codice dice che se ci sono gravi ragioni di convenienza il magistrato ha la facoltà di astenersi, sembra che scelga lui, ma non è così. Tra gli illeciti disciplinari del magistrato c'è anche la situazione del magistrato che non si astiene quando invece lo deve fare. Il c.p.p. scrive che ha facoltà di astenersi, ma siccome tra gli illeciti disciplina il dovere di astersi, i due articoli vanno letti insieme, se non si astiene commette un illecito disciplinare. Anni fa, vicenda "inchiesta provini a luci rosse", vide coinvolti alcuni esponenti del mondo dello spettacolo, furono arrestati. Il criterio generale per stabilire qual è l'ufficio del pubblico ministero legittimato a svolgere le indagini preliminari e poi anche le funzioni di PM in primo grado, è stabilito nell'art. 51, al terzo comma del cpp, dove si dice che questa individuazione viene fatta in via derivata dalla competenza del giudice: si stabilisce innanzitutto per quel fatto di reato quale sia il giudice competente e, stabilito ciò, l'ufficio della procura legittimato a svolgere le indagini sarà quello presso il giudice competente per quel fatto di reato. Ci sono delle situazioni in cui ci possono essere più procedimenti penali su più fatti diversi collegati tra loro e in questo caso abbiamo a che fare con un altro istituto che va sotto il nome di: COLLEGAMENTO DELLE INDAGINI, art. 377 cpp. Il collegamento delle indagini non ha effetto sulla competenza del giudice. Si parla di casi in cui effettivamente ci sono dei legami tra i procedimenti penali e in cui alcuni di tali casi, nella fase delle indagini preliminari, scattano dei doveri per i PM dei singoli procedimenti penali-> i Doveri di "coordinamento". Qual è la ratio dell'istituto del collegamento investigativo? - Limitare la frantumazione delle indagini per fatti di reato collegati tra loro a scapito dell'efficacia dell'attività inquirente; - Arricchimento del bagaglio conoscitivo da parte degli inquirenti... di chi sta investigando su quei fatti; - Evitare dispendio di risorse dello Stato perché, se abbiamo più procedimenti penali collegati tra loro, è giusto che vi sia collaborazione. Quali sono questi casi di indagini collegate? Ce lo dice l'art. 371 c.p.p., al secondo comma: “Se i procedimenti sono connessi a norma dell'articolo 12”. La connessione è un criterio attributivo in via originaria nella competenza del giudice, può darsi però che nella fase delle indagini preliminari ci siano più procure della repubblica che stanno procedendo ad indagini su fatti di reato connessi, perché la connessione durante la fase delle indagini preliminari, non era ancora emersa con evidenza. Quindi cosa succede? Che la connessione appare in tutta la sua chiarezza all'udienza preliminare, ma è possibile che durante le indagini preliminari vi fossero più uffici di procura a condurre indagini su fatti di reato tra loro connessi. -Se si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri. Vi sono quindi più fatti di reato, ma uno è stato commesso in occasione di un altro. Si ha collegamento investigativo per esempio: ladro che entra in una casa per rubare, viene sorpreso dalla padrona di casa e quest'ultima subisce dal ladro una violenza sessuale-> non vi è connessione ex art 12 cp, ma collegamento investigativo. -Reati commessi per conseguire o assicurare al colpevole o ad altri il profitto/prezzo/prodotto/impunità: Ricettazione o, più di frequente, favoreggiamento personale (art. 378 c.p.). -Sono collegati anche quei procedimenti che riguardano reati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre. Questo è il potere più incisivo: in caso di avocazione, il procuratore nazionale antimafia assegnerà la conduzione di quelle indagini ad un magistrato dell'ufficio della procura nazionale antimafia. Nell'ipotesi eccezionale in cui il procuratore nazionale avoca le indagini, queste saranno svolte da un magistrato dell'ufficio. Le singole procure distrettuali, sapendo che in caso di mancato coordinamento perdono la gestione di quelle indagini, saranno molto capaci a coordinarsi tra loro. Questo meccanismo/modello ideato da Falcone, che ha sicuramente contribuito a rendere molto più efficace la lotta al crimine organizzato, comunque deroga al criterio generale dell'articolo 51 in base al quale per stabilire quale sia l'ufficio del PM legittimato a svolgere funzione in un determinato procedimento bisogna fare prima di tutto riferimento al giudice competente. Cosa è successo quando è entrato in vigore questo meccanismo? Le funzioni di GIP e di GUP sono svolte dal giudice che si trova presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d'appello, per motivi di buona efficienza dell'amministrazione della giustizia. PERSONA OFFESA E DANNEGGIATO DA REATO. PERSONA OFFESA-> Titolare dell'interesse giuridico protetto, anche in modo non prevalente, dalla norma penale incriminatrice, che si ritiene violata dal reato. Alcuni reati si dicono plurioffensivi perché ledono/mettono in pericolo più di un bene giuridico: Reato di Calunnia articolo 368 c.p. che consiste nell'accusare qualcuno che si sa innocente di aver commesso un delitto. È un'accusa ingiusta nei confronti di qualcuno perché si sa che questo qualcuno è innocente ma lo si accusa ugualmente. La calunnia è un delitto contro l'amministrazione della giustizia, si trova in quella parte del c.p. che riguarda i delitti contro l'amministrazione della giustizia, si vuole incriminare la condotta di colui che fa perdere tempo alla giustizia. Il bene primario tutelato è la corretta amministrazione della giustizia, ma anche l'onore della persona calunniata. PERSONA DANNEGGIATA DAL REATO-> è colui che ha subìto un danno dal reato e che vanta una pretesa civilistica alle restituzioni e al risarcimento dei danni derivanti dal reato. È chiaro che, in concreto, la persona offesa dal reato ha anche la qualifica del danneggiato dal reato, per cui potrà anche chiedere il risarcimento in sede civile, ma questo è un aspetto pratico. Non è vero l'inverso: può darsi che il danno abbia provocato dei danni valutabili economicamente, ma non alla persona offesa dal reato. Il codice poi prevede una persona offesa di creazione legislativa. All'articolo 90, terzo comma c.p.p. si dice che, qualora la persona offesa sia deceduta in conseguenza di reato, le facoltà/i diritti previsti dalla legge per la persona offesa sono esercitati dai prossimi congiunti di essa o da persona legata da relazione affettiva e con essa stabilmente convivente. Questa formula è stata aggiunta nel 2015 (con d.lgs 212/2015) per riconoscere valore alla convivenza more uxorio. Ecco che compare di nuovo la formula di prossimi congiunti di cui abbiamo parlato all'articolo 36 c.p.p.: è una nozione che si trova definita nel Codice penale, è molto ampia, ricomprende molti gradi di parentela e anche di affinità -fino al 3º grado- e che quindi è un ambito soggettivo veramente molto vasto di persone legate da vincoli di parentela e affinità, in questo caso, con la persona offesa. Le cose si sono ancor più complicate perché la legge codice rosso numero 69 del 2019 ha modificato l'articolo 572 del c.p. (delitto di maltrattamenti in famiglia) stabilendo che nel caso in cui un minore di 18 anni assista al compimento del delitto di maltrattamenti in famiglia, anche il minore va considerato persona offesa dal reato. La persona offesa nel procedimento penale gode di alcuni diritti e di alcuni poteri. Ricordiamoci innanzitutto che è un soggetto del procedimento penale che non può mai acquistare la qualità di "parte", è un soggetto al quale sono riconosciuti delimitati diritti e poteri per lo più nella fase delle indagini preliminari. I diritti e poteri di cui gode: 1. DIRITTI DI INFORMATIVA. Articolo 90 bis, "informazioni alla persona offesa". Alla persona offesa sin dal primo contatto con l'autorità procedente vengono fornite, in una lingua a lei comprensibile, informazioni in merito: • Alle modalità di assegnazione di atti di denuncia o querela; • Al ruolo che assume durante le indagini e il processo; • Ha diritto a conoscere l'imputazione, il luogo e la data del processo e, ove costituita parte civile, ha diritto a ricevere notifica della sentenza anche per iscritto. • Ha diritto a ricevere informazioni per quello che riguarda le comunicazioni del procedimento e le iscrizioni di cui all'art. 335 commi 2,3,3 ter (articolo in cui si dice che il PM quando riceve notizia di reato, iscrive la notifica nel registro apposito; di regola l'indagato, ma anche la persona offesa possono andare alla segreteria del PM per chiedere se quella notizia di reato è stata iscritta nel registro delle notizie di reato). • La persona offesa deve essere avvisata della modalità di esercizio del diritto all'interpretazione e alla traduzione di atti del procedimento; • Di eventuali misure di protezione; • Dei diritti riconosciuti dalla legge, nel caso in cui risieda in uno Stato Membro dell'UE diverso da quello in cui è stato commesso il reato; • Delle modalità di rimborso delle spese sostenute in relazione alla partecipazione al procedimento penale; • Della possibilità di richiedere il risarcimento dei danni derivanti da reato; • Delle strutture sanitarie presenti nel territorio, le case-famiglia, i centri antiviolenza, le case rifugio e i servizi di assistenza alle vittime di reato. La riforma CARTABIA (dgls 150 del 2022) aggiunge dei diritti di informativa. La riforma parla anche di vittima del reato, oltre che alla figura della persona offesa dal reato, e ha voluto prevedere dei programmi di giustizia riparativa. Nell'ambito di questi, parla di vittima di reato-> persona fisica che ha subito dal reato un qualunque danno patrimoniale o non patrimoniale. A proposito dell'articolo 90 bis la riforma dice che la vittima del reato, sin dal primo contatto con l'autorità procedente, deve essere informata della possibilità di svolgere un programma di giustizia riparativa. Sempre nell'articolo 90 bis la riforma CARTABIA interviene con la lettera n-bis dove si dice che la mancata comparizione senza giustificato motivo della persona offesa che abbia proposto querela ha un effetto importante perché comporta la remissione tacita della querela. Cos'è la querela? Notizia di reato qualificata, che può essere contenuta in vari atti, di solito è contenuta nell'atto che prende il nome di denuncia. Ci sono atti procedibili d'ufficio e altri a querela. "A querela" non è altro che una notizia di reato in cui la persona offesa deve manifestare la volontà che quel fatto di reato venga perseguito penalmente. Se il reato è procedibile a querela e la querela non viene proposta, il PM non può esercitare l'azione penale. Quali sono gli atti procedibili a querela? Reati di non particolare gravità, oppure anche reati gravi come il reato di violenza sessuale punibile a querela della persona offesa perché siccome il processo penale comporta la pubblicità di quel fatto di reato, si vuole che sia la persona offesa a scegliere. Cosa significa tutto questo? Che, se c'è un episodio di violenza sessuale, se la persona offesa non ha presentato la querela il PM non può esercitare l'azione penale perché manca la querela; se fa lo stesso, il giudice pronuncerà una sentenza con condizione di improcedibilità perché manca la querela. Cosa fa la riforma CARTABIA? Introduce la “remissione tacita della querela” -> la revoca della querela se la persona offesa non si presenta senza giustificato motivo. La persona offesa deve anche essere informata. Articolo 101: "La persona offesa dal reato [c.p. 120 ss.], per l'esercizio dei diritti e delle facoltà ad essa attribuiti, può nominare un difensore nelle forme previste dall'articolo 96, comma 2...". Al momento dell'acquisizione della notizia di reato il pubblico ministero e la polizia giudiziaria informano la persona offesa dal reato di tale facoltà. La persona offesa è altresì informata della possibilità dell'accesso al patrocinio a spese dello Stato ai sensi dell'articolo 76 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive modificazioni. C'è un istituto, nel nostro ordinamento, che va sotto il nome di patrocinio a spese dello Stato, per i non abbienti: le persone che non hanno un reddito elevato quindi possono fare richiesta di nominare un difensore di fiducia che venga pagato dallo Stato: ci sono dei presupposti e un limite di reddito che all'incirca è sugli 11.000€ lordi annui. 2. POTERI SOLLECITATORI: ne parla l'articolo 90, 1º comma c.p.p. La persona offesa da reato e il danneggiato da reato, astrattamente sono figure diverse ma spesso la persona offesa da reato è anche danneggiata nel momento in cui si configura un danno morale, che può essere risarcito. La persona offesa da reato ha dei diritti e dei poteri all'interno delle indagini preliminari, a differenza del danneggiato, che non è soggetto del procedimento. Una volta che il PM ha esercitato l'azione penale, il danneggiato dal reato può esercitare l'azione civile nel processo penale, costituendosi come parte civile. Al contrario, la persona offesa, una volta esauritasi l'azione penale, perde rilevanza, per dare spazio alla parte civile. Se la persona offesa ha subito quantomeno un danno morale potrà costituirsi parte civile, ma non in qualità di offeso dal reato, ma di danneggiato dal reato. L'ART 78 c.p.p., "Formalità della costituzione di parte civile", afferma che: "1. La dichiarazione di costituzione di parte civile è depositata nella cancelleria del giudice che procede o presentata in udienza e deve contenere, a pena di inammissibilità: a) le generalità della persona fisica o la denominazione dell'associazione o dell'ente che si costituisce parte civile e le generalità del suo legale rappresentante; b) le generalità dell'imputato nei cui confronti viene esercitata l'azione civile o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo; c) il nome e il cognome del difensore e l'indicazione della procura; d) l'esposizione delle ragioni che giustificano la domanda; e) la sottoscrizione del difensore. 2. Se è presentata fuori udienza, la dichiarazione deve essere notificata, a cura della parte civile, alle altre parti e produce effetto per ciascuna di esse dal giorno nel quale è eseguita la notificazione. 3. Se la procura non è apposta in calce o a margine della dichiarazione di parte civile, ed è conferita nelle altre forme previste dall'articolo 100, commi 1 e 2, essa è depositata nella cancelleria o presentata in udienza unitamente alla dichiarazione di costituzione della parte civile". Il giudice non esamina nel merito l'atto invalido, ma si limita a dichiararlo inammissibile. Si consideri l'ipotesi in cui arrivi una dichiarazione di costituzione di parte civile in cui manca uno dei requisiti e viene dichiarata l'inammissibilità. Es. Vi è la causa petendi ma manca la sottoscrizione di difensore o generalità di imputato, giudice dichiara inammissibile la costituzione, ma non entra nel merito del perché manca un requisito previsto a pena di inammissibilità. L'art. 79 c.p.p. afferma che:"1. La costituzione di parte civile può avvenire per l'udienza preliminare e successivamente, fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall'articolo 484. 2. Il termine previsto dal comma 1 è stabilito a pena di decadenza. 3. Se la costituzione avviene dopo la scadenza del termine previsto dall'articolo 468 comma 1, la parte civile non può avvalersi della facoltà di presentare le liste dei testimoni, periti o consulenti tecnici". I termini si distinguono in: • Termini perentori: quando è previsto a pena di decadenza dal potere di compiere l'atto, per cui l'atto compiuto dopo la scadenza di questo termine è invalido; • Termini ordinatori: quando non è previsto a pena di decadenza e quindi l'atto compiuto dopo resta valido. Cosa succede se la sentenza viene depositata dopo il termine indicato? Non succede nulla perché sono termini ordinatori. Se il danneggiato da reato si costituisce in udienza preliminare non succede nulla, il problema è il termine finale, superato quel limite temporale, se il danneggiato presenta la dichiarazione questa è invalida e più precisamente è inammissibile. Inammissibilità e decadenza sono due facce di una stessa medaglia: l'atto di dichiarazione di costituzione di parte civile deve essere compiuto entro un lasso di tempo determinato, oltrepassato il quale la parte civile decade dal potere di costituirsi e se ugualmente pone l'atto, quest'ultimo è inammissibile e il giudice non entra nel merito dell'atto. Secondo il principio di immanenza affermato al comma 2 dell'art.76 c.p.p., la parte civile che si è costituita in giudizio, ha il diritto di rimanervi in ogni stato e grado del processo. L'art. 80 c.p.p., riguarda la "Richiesta di esclusione della parte civile". Esso al 5 comma afferma che l'esclusione della parte civile, ordinata nell'udienza preliminare, non impedisce una successiva costituzione fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall'art.484. Se l'esclusione della parte civile avviene con riferimento al danneggiato questa non impedisce al danneggiato di ripresentare la costituzione di parte civile corretta in dibattimento. Secondo l'art. 81, l'esclusione può anche essere chiesta d'ufficio. Il giudice, quindi, accerta che non ci sono i requisiti della costituzione di parte civile. Si pensi al Processo Ruby ter. Tre ragazze coinvolte nella vicenda che aveva a che fare con Ruby, si sono volute costituire parte civile, sostenendo che il clamore suscitato dalla vicenda le aveva danneggiate perché non hanno potuto più lavorare. Invece la difesa degli imputati ha dimostrato che le ragazze non avevano subito alcun danno, quindi sono state escluse dal processo. La riforma Cartabia prevede che ci si potrà costituire come parte civile solo in udienza preliminare. Secondo l'art. 80 c.p.p., l'esclusione la può chiedere il PM, l'imputato e le parti. Ciò perché ad esempio il giudice non si è accorto che la costituzione di parte civile mancava di elementi formali a pena di inammissibilità oppure per problemi sostanziali, cioè la persona che si è costituita parte civile in realtà non ha diritto ad ottenere risarcimento dei danni e le parti possono chiedere l'esclusione. L'art. 82 c.p.p. "Revoca della costituzione di parte civile" afferma che:"1. La costituzione di parte civile può essere revocata in ogni stato e grado del procedimento con dichiarazione fatta personalmente dalla parte o da un suo procuratore speciale in udienza ovvero con atto scritto depositato nella cancelleria del giudice e notificato alle altre parti. 2. La costituzione si intende revocata se la parte civile non presenta le conclusioni a norma dell'articolo 523 ovvero se promuove l'azione davanti al giudice civile. 3. Avvenuta la revoca della costituzione a norma dei commi 1 e 2, il giudice penale non può conoscere delle spese e dei danni che l'intervento della parte civile ha cagionato all'imputato e al responsabile civile. L'azione relativa può essere proposta davanti al giudice civile. 4. La revoca non preclude il successivo esercizio dell'azione in sede civile". Si evince, quindi, che la revoca può essere sia espressa sia implicita. Le conclusioni oltre che il PM le formula anche l'avvocato difensore della parte civile, che si colloca vicino al PM. Se la parte civile (difensore) non presenta le conclusioni, la costituzione di parte civile si intende revocata implicitamente, ovvero se promuove l'azione davanti al giudice civile si revoca implicitamente. Il danneggiato da reato può chiedere il risarcimento al giudice civile, qui i danni derivano da reato, mentre nei sistemi accusatori puri non esiste la costituzione della parte civile nel procedimento penale, dove si deve solo verificare che l'imputato sia colpevole o meno. Nell'ipotesi in cui il danneggiato si sia costituito parte civile, si dice che l'azione civile è ospite all'interno del processo penale ma mantiene le caratteristiche tipiche dell'azione civile. Esiste la transazione, per cui le parti con reciproche concessioni rinunciano alle loro pretese e trovano un accordo. Il giudice quando condanna a risarcire i danni può andare oltre all'entità del risarcimento danni richiesto? NO. Il petitum è il quantum di risarcimento che viene richiesto, non c'è nei requisiti a pena di inammissibilità per la costituzione di parte civile. Se l'azione civile è ospite nel procedimento penale la disciplina è quella del codice di procedura penale. Gli elementi di prova li ricerca il PM, la parte civile sta in giudizio con il difensore, che durante le indagini preliminari potrebbe svolgere investigazioni difensive. Nella maggior parte dei casi quando in un processo penale c'è la costituzione di parte civile, succede che gli elementi di prova sono acquisiti dal PM attraverso le indagini preliminari, ma nulla vieta che anche il difensore abbia svolto investigazioni difensive. Questo fa capire quanto sia notevole la differenza tra chiedere il risarcimento dei danni in un processo civile e in un processo penale (qui ci si avvantaggia del lavoro svolto dal PM e dalla polizia giudiziaria). Ecco perché questo istituto di parte civile è stato mantenuto nel codice di ispirazione accusatoria dell'88. Ciò perché si è tenuto conto del fatto che nel nostro paese c'è criminalità organizzata e quindi in molti casi sarebbe impossibile intentare una causa civile singolarmente, quando i fatti sono commessi dalla criminalità organizzata. SCELTE CHE IL DANNEGGIATO DAL REATO PUÒ INTRAPRENDERE PER CHIEDERE IL RISARCIMENTO DI DANNI DERIVANTI DA REATO. -Azione civile non tempestiva davanti al giudice civile. È già stata pronunciata una sentenza penale di primo grado. Il danneggiato non si è costituito come parte civile, ma sta aspettando di vedere come va il processo. Esempio: D. Lgs. 149/2015: funzioni di polizia giudiziaria agli ispettori INPS. Gli ufficiali generali non hanno la qualifica di polizia giudiziaria. Le Sezioni di polizia giudiziaria sono costituite presso ogni Procuratore della Repubblica art 56 lett.b. Svolgono esclusivamente funzioni di polizia giudiziaria, dal punto di vista funzionale dipendono dal capo del singolo ufficio del PM, quindi dal procuratore della repubblica. I Servizi di polizia giudiziaria sono incardinati nella struttura amministrativa di appartenenza. Esempio: la squadra mobile che si trova presso la questura, quindi i servizi sono presso l'amministrazione di appartenenza. Il personale dei servizi svolge la funzione di polizia giudiziaria in via prioritaria. A capo dei servizi c'è il dirigente del servizio che è responsabile nei confronti del procuratore della repubblica presso il tribunale. Gli altri agenti di polizia giudiziaria sono costituiti presso altri uffici, la legge o il regolamento attribuiscono funzione di polizia giudiziaria che ha il generico dovere di eseguire i compiti affidati dalla autorità giudiziaria. Spesso è importante che le indagini siano svolte dai servizi di autorità giudiziaria perché questi sono costituiti da personale che svolge anche funzione di polizia di sicurezza ed è più facile che il personale dei servizi conosca un certo ambiente. Nella prassi spesso succede che il PM incarica un ufficiale delle sezioni di polizia giudiziaria nelle indagini con possibilità di sub delegare le indagini al personale dei servizi, in questo modo il PM ha come referente delle indagini una persona a lui molto vicina perché è in procura, e al tempo stesso il PM dà all'ufficiale di polizia giudiziaria la possibilità di delegare le indagini al personale dei servizi. IMPUTATO, ART 60 C.P.P. Persona alla quale è attribuito il reato alla richiesta di rinvio a giudizio. Il comma 2 afferma che la qualità si conserva in ogni stato e grado del processo. Art 61, estensione dei diritti e delle garanzie dell'imputato. I diritti e le garanzie dell'imputato si estendono alla persona sottoposta alle indagini preliminari (indagato). Esempio art 96: l'imputato ha diritto di nominare non più di due difensori di fiducia. Questa è una norma di garanzia, diritto di nominare. All'indagato si estendono anche le disposizioni in cui compare la parola "imputato" in cui non sono norme di garanzia ma sono norme di sfavore. Esempio libro IV misure cautelari, compare la parola imputato, sono misure applicabili anche all'indagato perché nel libro IV non si dice che sono riferite solo all'imputato. Il codice ha usato due termini diversi per uno scopo di garanzia: fin tanto che il PM non ha preso posizione il codice vuole trattare in modo tranquillo l'indagato perché magari non c'entra nulla. Quando il PM prende posizione perché ha elementi di prova contro una persona, allora si parla di imputato perché è stata formulata l'imputazione, almeno per il PM quella persona è l'autore del fatto di reato. L'imputato è definito nell'art. 60 c.p.p., come una persona alla quale è attribuito il reato nell'imputazione. Il codice prima di quel momento parla della persona sottoposta a indagine preliminare, parla di indagato come termine neutro per evidenziare fin da subito che il PM non ha ancora preso posizione verso quella persona. L'art. 61 c.p.p., è una norma che può essere estesa anche all'indagato. Al secondo comma di tale articolo si dice che ogni norma su imputato si riferisce anche all'indagato a meno che non si stabilisca diversamente. Per comprendere quali sono i diritti che spettano a imputato e ad indagato, si deve far riferimento all'art. 64 sulle regole generali sull'interrogatorio. Da queste regole ricaviamo lo statuto dell'imputato-indagato. L'art.64 riguarda le regole generali per l'interrogatorio, che di solito vengono richiamate da altre norme del cpp. Durante le indagini preliminari, l'interrogatorio è compiuto per lo più dal PM. Alcuni atti del PM possono essere delegati alla polizia giudiziaria. Ma può esserci anche un interrogatorio da parte del giudice. Anche lui si trova a dover interrogare l'indagato e si applica art 64, norma di carattere generale. Al primo comma dell'art.64, si dice che, anche se l'indagato è privato della libertà personale perché per esempio è in custodia cautelare in carcere, all’interrogatorio ci deve venire LIBERO, senza catene o manette. Questo l'indagato si trova già in condizione di inferiorità psicologica rispetto all'autorità costituita (giudice, PM ...) e questo potrebbe influire sulla sua libertà di scelta. Salvo le cautele necessarie per prevenire pericolo di fuga o di violenza, si può porre un carabiniere fuori dalla porta della stanza del PM. La libertà fisica dell'indagato è una sorta di ponte per la sua libertà di autodeterminarsi e di scegliere quale condotta tenere. Al secondo comma si dice che non possono essere usati metodi o tecniche che alterino la libertà di autodeterminazione, anche se la persona indagata presta consenso. Il bene che si vuole tutelare è la libertà di scegliere per l'indagato, quale comportamento tenere in interrogatorio. Non possono essere usati metodi o tecniche che influiscano sulla libertà di scelta dell'indagato: né siero di verità, né ipnosi. Siamo di fronte a una norma da cui si ricava un divieto probatorio, non possono essere usati questi metodi, per cui se vengono usati e l'indagato parla, ciò che dice non sarà utilizzabile perché vi è un divieto probatorio. Le cause di invalidità nel processo sono: inammissibilità, decadenza (come nell' esempio di parte civile), le nullità e l'inutilizzabilità cd patologica come causa di invalidità di un atto, che si ha quando è violato un divieto probatorio ex art 191 cpp. L'art.191 c.p.p., riguarda le “prove illegittimamente acquisite”. Il vizio che porta all'inutilizzabilità è molto grave ed è rilevabile anche d'ufficio, in ogni stato e grado del procedimento. Se durante le indagini preliminari, si usassero metodi che incidessero sulla libertà di scelta dell'indagato, le eventuali dichiarazioni da lui rese, non sarebbero utilizzabili (ex art. 64 comma 2). Il comma 3 dell'art.64 c.p.p., interessa gli avvisi. Prima dell'interrogatorio la persona deve essere AVVERTITA che, se parlerà, le sue dichiarazioni potranno sempre essere usate nei suoi confronti. La persona deve essere avvertita che ha la facoltà di non rispondere ad alcuna domanda ma che comunque il procedimento seguirà il suo corso. Il diritto principale che viene dato all'imputato è quello di restare in silenzio, quindi di non collaborare con la giustizia. Situazione diversa si ha con il testimone. Innanzitutto, bisogna dire che il testimone è la persona informata sui fatti relativi a quel processo, che parla davanti ad un giudice come persona informata sui fatti e quindi estranea ad essi. Il primo comma dell'art.198 afferma che il testimone ha l'obbligo di presentarsi davanti al giudice e di attenersi alle sue prescrizioni. Ad es. il giudice dice al testimone di leggere la formula con cui si impegna a dire tutta la verità, e poi il terzo obbligo è quello di rispondere a tutte le domande secondo verità. La regola è che il testimone ha obbligo di rispondere a tutte le domande secondo verità, se non risponde o dice il falso commette delitto di falsa testimonianza, reato punito anche con pena alta. La lettera b dell'art. 64 al comma 3 c.p.p., usa l'espressione "Salvo l'art 66 comma 1". Tale articolo prevede l’obbligo di fornire le generalità sulle quali anche l'imputato indagato ha l'obbligo di rispondere secondo verità. Ad esempio, il diritto di rimanere in silenzio per l'imputato, negli USA, è sancito nel quinto emendamento. Cosa succede se l'autorità che procede all'interrogatorio non dà gli avvisi di proposito? Secondo il comma 3 bis dell'art.64, l'inosservanza di disposizioni di cui al comma 3 lettere a e b, rende inutilizzabili le dichiarazioni rese dalla persona interrogata. Il PM ha obbligo di lealtà nei confronti dell'indagato/imputato e deve informarlo che ha diritto al silenzio. L'art.65 c.p.p. riguarda l'interrogatorio nel merito. Si aggrega che: "1. L'autorità giudiziaria contesta alla persona sottoposta alle indagini in forma chiara e precisa il fatto che le è attribuito, le rende noti gli elementi di prova esistenti contro di lei e, se non può derivarne pregiudizio per le indagini, gliene comunica le fonti. 2. Invita, quindi, la persona ad esporre quanto ritiene utile per la sua difesa e le pone direttamente domande. 3. Se la persona rifiuta di rispondere, ne è fatta menzione nel verbale. Nel verbale è fatta anche menzione, quando occorre, dei connotati fisici e di eventuali segni particolari della persona". L'autorità interrogante deve far conoscere alla persona interrogata il fatto di cui è accusata in forma chiara e precisa. È il cd “addebito provvisorio”, non è l'imputazione, questa non è la richiesta di rinvio a giudizio. La persona interrogata deve conoscere l'addebito perché si deve difendere. Fino a quel momento può essere che la persona indagata NON sappia niente perché le indagini preliminari sono segrete in quanto servono al PM per capire se esercitare o no l'azione penale. autodifesa dell’indagato), oppure diritto di difesa può essere esercitato come difesa tecnica attraverso la nomina di avvocato difensore. Il difensore è un soggetto con conoscenze tecnico-professionali legato alla parte da un contratto privato di prestazione d'opera intellettuale. Tra i due intercorre un rapporto privatistico ex art 2230 cc. Il difensore, considerato sotto un altro punto di vista, è un esercente un servizio di pubblica utilità. Ci sono alcune attività per cui serve una abilitazione. È proprio il caso dell'avvocato, ex art 359 c.p.p. Poi c'è la prospettiva del processo penale, per cui il difensore è un rappresentante tecnico di un soggetto o di una parte. In sostanza il difensore rappresenta gli interessi del cliente in un processo dialettico. Il difensore dell'imputato- indagato, è un soggetto poliedrico dell'ordinamento, nel senso che si può analizzare come difensore di persona offesa e di parte civile, o come difensore di indagato e allora ricoprirà un altro ruolo, perché entrano in gioco interessi diversi delle parti. Il difensore NON difende il reato, rappresenta gli interessi del cliente. Egli non può introdurre nel processo prove che sa essere false, per questo non difende il reato e commette un illecito disciplinare se le usa. L'art. 50 del codice deontologico forense, afferma un diritto di verità. L'art. afferma che: "1. l'avvocato non deve introdurre nel procedimento prove, elementi di prova, o documenti che sappia essere falsi. 2. l'avvocato non deve utilizzare nel procedimento prove, elementi di prova, o documenti prodotti o provenienti dalla parte assistita che sappia o apprenda essere falsi. 3. l'avvocato che apprenda, anche successivamente, dell'introduzione nel procedimento di prove, o elementi di prova, o documenti falsi, provenienti dalla parte assistita, non può utilizzarli o deve rinunciare al mandato. 4. l'avvocato non deve impegnare difronte al giudice la propria parola sulla verità dei fatti esposti in giudizio. 5. l'avvocato, nel procedimento, non deve rendere false dichiarazioni sull'esistenza o inesistenza di fatti di cui abbia diretta conoscenza e suscettibili di essere assunti come presupposto di un provvedimento del magistrato. 6. l'avvocato, nella presentazione di istanze o richieste riguardanti lo stesso fatto, deve indicare i provvedimenti già ottenuti, compresi quelli di rigetto. 7. la violazione dei divieti di cui al comma 1, 2, 3, 5 e 6 comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale da uno a tre anni. La violazione del dovere di cui al comma 6 comporta l'applicazione della sanzione disciplinare dell'avvertimento". Quindi da un lato il difensore non difende il reato e dall'altro NON ha l'obbligo di depositare fonti contro il cliente. Discorso diverso è per il PM, che deve acquisire elementi a favore dell’indagato. Se durante le investigazioni difensive, il difensore si imbatte in elementi contro il suo cliente non li può distruggere altrimenti difende il reato, ma non è obbligato a portarli nel processo. Per quanto riguarda la nomina di difensore di fiducia di indagato-imputato, bisogna far riferimento all'art. 96 c.p.p., per il quale l'imputato ha diritto di nominare non più di 2 difensori di fiducia. Si dice imputato ma è come se ci fosse scritto anche indagato ex art 61. Le modalità di nomina del difensore sono molto semplici: dichiarazione orale resa all'autorità procedente come prima modalità di nomina; dichiarazione consegnata all'autorità procedente dal difensore; lettera trasmessa con raccomandata all'autorità procedente, non consegnata ma inviata. Al 3 comma dell'art 96 si afferma che, quando la persona indagata è privata di libertà, se non vi provvede lei stessa, la nomina del difensore può farla un prossimo congiunto dell'indagato. L'art. 99 c.p.p., riguarda l'estensione al difensore dei diritti dell'imputato, e afferma che: "1. Al difensore competono le facoltà e i diritti che la legge riconosce all'imputato, a meno che essi siano riservati personalmente a quest'ultimo. 2. L'imputato può togliere effetto, con espressa dichiarazione contraria, all'atto compiuto dal difensore prima che, in relazione all'atto stesso, sia intervenuto un provvedimento del giudice". Gli atti che l'imputato può compiere all’interno del procedimento penale, possono essere raggruppati in 2 categorie: • atti personalissimi. Sono atti che possono essere compiuti solo da imputato-indagato; • atti personali. Sono atti che la legge riserva personalmente all'imputato, quindi non personalissimi, ma personali, come la ricusazione del giudice da parte delle parti. Il Difensore può compiere solo gli atti personali attribuiti a imputato ma occorre una procura speciale. Secondo l'art. 99, il difensore sulla base della nomina che ha ricevuto, può compiere tutti gli atti che estrinsecano le facoltà e i diritti che la legge riconosce all'imputato ma che non sono riservati personalmente all'imputato. Quando ci sono di mezzo atti personali come la ricusazione o il patteggiamento, in base alla semplice nomina, il difensore non può patteggiare per l'imputato, ci vuole una nomina speciale, e allora patteggerà in nome e per conto dell'imputato sulla base della procura speciale che gli ha dato l'imputato. In tal caso agisce per l'interesse del suo cliente ma anche in suo nome. È un rappresentante volontario della parte che assiste. Dal comma 2 dell'art.99, si evince che il diritto all'autodifesa prevale sulla difesa tecnica, nel rispetto di certi limiti perché, se il giudice si è già pronunciato, l'imputato non può più intervenire per esigenze di economia processuale. Es. l'indagato è un avvocato penalista che vuole difendersi da solo. Questo non è possibile perché l'ordinamento considera la funzione di difensore un connotato essenziale del giusto processo, ci deve essere un soggetto esperto di cose giuridiche tecniche ma che sia estraneo ai fatti, che non sia coinvolto nel procedimento e che quindi in modo distaccato, lucido e razionale eserciti nel modo più effettivo e sensato il diritto di difesa. Se però il difensore non viene nominato, questo è assegnato d'ufficio, ex art. 97 c.p.p. commi 5 e 6 che affermano che: "5. Il difensore di ufficio ha l'obbligo di prestare il patrocinio e può essere sostituito solo per giustificato motivo. 6. Il difensore di ufficio cessa dalle sue funzioni se viene nominato un difensore di fiducia". Questo istituto della difesa di ufficio vuole assicurare la parità d'armi con il PM, che è un tecnico del diritto. Il difensore di ufficio ha OBBLIGO di prestare il patrocinio, non si può esimere. Se poi l'indagato nomina un difensore di fiducia, la nomina di fiducia prevale sulla designazione d'ufficio. La designazione del difensore di ufficio avviene attraverso un meccanismo designato da avvocati. Vi sono degli elenchi di avvocati difensori, dai quali si individua il nome del difensore d’ufficio. L'iscrizione a questi elenchi di difensori di ufficio è subordinato alla presenza di alcuni requisiti: aver esercitato la professione da almeno 5 anni, aver superato corso di specializzazione o corsi di formazione, ecc. Ci sono dei turni di reperibilità, tutto è gestito dal consiglio dell'ordine del circondario della Corte di appello. C'è un atto di indagine per cui serve la presenza di difensore. Se l'indagato non ha un difensore di fiducia, allora vi è la designazione di un difensore di ufficio. Il PM o la polizia giudiziaria chiamano un numero verde e in base all'elenco di reperibilità, si sa chi è disponibile in quel dato giorno e luogo. Questi elenchi sono gestiti dall'avvocatura, non dai PM. Nel codice del '30 invece il difensore di ufficio era designato dal PM. • PATROCINIO A SPESE DELLO STATO PER I NON ABBIENTI, diverso da difesa di ufficio. Questo ha una finalità per lo più di assistenza sociale. Si tratta di un istituto che riguarda non solo l'indagato o l'imputato, ma anche la persona offesa e la parte civile che non sono abbienti. Secondo la definizione fornita dal DPR 115/2002, non abbiente è colui che è titolare di un reddito imponibile non superiore a 11 mila euro lordi. Starà quindi a chi intende accedere a questo istituto, fornire una dichiarazione in cui dimostra di essere idoneo ad ottenere il patrocinio a spese dello Stato. Nell'art. 76 del DPR 115/2002 il comma 4 bis individua una sorta di presunzione di superamento di limiti di reddito, per chi è stato condannato con sentenza definitiva per alcuni delitti gravi. In origine era una presunzione assoluta, per cui il soggetto condannato a questi delitti non poteva dimostrare di non essere non abbiente. Poi una sentenza di Corte Cost. la definisce una presunzione relativa, quindi ad esempio, ad oggi anche il mafioso potrebbe dimostrare di essere non abbiente. decisione, perché ritiene quelle prove credibili e attendibili e allo steso modo deve anche spiegare perché ritiene non attendibili e non credibili le prove contrarie. A riferimento di ciò si ha l'art. 546 cpp, rubricato “Requisiti della sentenza”, che alla lettera e parla della concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con l'indicazione dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati e con l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie. Quando si parla delle prove, bisogna anzitutto tentare di dare una definizione di prova (almeno in prima battuta). Per prova in senso ampio si intende un segno che è lasciato nella realtà materiale o nella memoria degli uomini di un fatto che è accaduto. Il termine prova assume diversi significati; si può scendere più nel dettaglio e attribuire al termine prova significati diversi, a seconda del singolo momento di quello che comunemente viene chiamato procedimento probatorio, che è un'espressione usata dagli studiosi, i quali hanno osservato che ci sono varie attività processuali che hanno per oggetto la prova, nel senso che la prova forma oggetto di vari tipi di attività processuali. Il procedimento probatorio si articola in quattro segmenti, a ciascuno dei quali corrisponde un significato specifico: • Ricerca. Questo è il primo momento e si compone di varie attività procedimentali. In un sistema accusatorio, la ricerca vede come protagonisti le parti, in quanto il giudice non va alla ricerca delle prove. Più precisamente, con riferimento al segmento indicato come ricerca, si usa il termine fonte di prova, che si sostanzia in qualsiasi persona o cosa da cui si può ricavare un elemento di prova, che è un'informazione di carattere probatorio; • Ammissione. Ammissione sta per introduzione della prova nel procedimento penale. I protagonisti dell'ammissione della prova nel processo penale sono le parti, che vanno alla ricerca delle prove e chiedono l'ammissione della prova nel processo penale. Il codice utilizza il termine mezzo di prova per indicare quegli strumenti che permettono di acquisire l'elemento di prova all'interno al processo. Il mezzo di prova è lo strumento che consente di acquisire al processo un elemento di prova. Ad es., nel Libro III del cpp sono previsti diversi mezzi di prova. Tra questi vi è la testimonianza, la perizia, la ricognizione di persone (riconoscimento). Se il PM vuole introdurre come fonte di prova nel processo penale un determinato testimone, egli deve fare l'ammissione nel processo penale della testimonianza. Quando, invece, c'è da acquisire il parere di un esperto su quanto sia rumorosa, ad es., una discoteca che può disturbare la quiete pubblica, la parte chiede l'ammissione non di una testimonianza, ma di una perizia. Inoltre, tra i mezzi di prova c'è il documento, che può essere una fotografia, un filmato; la parte può chiedere che venga ammessa nel processo penale una fotografia che ritrae l'imputato con in mano una pistola di un certo tipo; • Assunzione. Una volta che viene ammessa la prova, ci sarà la fase dell'assunzione, che è la vera e propria acquisizione della prova. Per quanto riguarda le prove dichiarative, la regola è che viene assunta con la tecnica dell'esame incrociato, relativamente a domande fatte dalla parte al dichiarante in modo da ottenere l'elemento di prova, che è il dato informativo che si ricava dalla fonte di prova. Si tratta di un dato grezzo, in quanto deve poi essere valutato dal giudice sotto il profilo della credibilità e dell'attendibilità; • Valutazione della prova. Il quarto momento è quello della valutazione dell'elemento di prova, del dato grezzo che deve essere valutato sotto il profilo della credibilità e dell'attendibilità. A questo punto, si ha il risultato probatorio, che si definisce come l'elemento di prova valutato dal giudice, sotto il profilo della credibilità e dell'attendibilità. Vedendo le cose in maniere più concreta, si è detto che vi è una ricerca delle prove ad opera delle parti; il PM si avvale della Polizia, la quale, ad es., è andata sul posto e ha individuato la persona che dice di aver visto una certa cosa. Supponendo che il procedimento penale sia andato avanti, il PM chiederà di ammettere quel testimone (mezzo di prova: testimonianza) nel processo penale. Il testimone sarà sottoposto a esame incrociato e, in questo modo, si formerà l'elemento di prova, le informazioni di prova fruibili dal giudice. Le cose dichiarate dal testimone alla polizia non sono utilizzabili dal giudice per decidere sulla colpevolezza dell'eventuale imputato (in quanto si tratta di dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari); l'ammissione della testimonianza di quella fonte si richiede nella fase del dibattimento. Quando si parla di procedimento probatorio, si vogliono raggruppare le varie attività procedimentali che hanno per oggetto la prova, ma che si svolgono anche tra fasi diverse. Per cui, si supponga che il PM chieda l'ammissione della testimonianza (mezzo di prova) di un determinato testimone (fonte di prova); si ha poi l'assunzione delle prova; vengono fatte le domande con l'esame incrociato e si forma l'elemento di prova, in quanto le risposte del testimone forniscono le informazioni probatorie, il dato grezzo utilizzabile dal giudice. Il giudice dovrà poi valutare queste informazioni, relativamente alla credibilità (attiene alla sincerità) e all'attendibilità (idoneità a riferire i fatti come sono accaduti) del testimone. Quando il giudice valuta l'elemento di prova, si ha il “risultato probatorio”, che è tale sia nel caso in cui l'elemento non sia ritenuto attendibile né credibile, che nel caso opposto. C'è una norma fondamentale che governa e che disciplina l'ammissione della prova: l'art. 190 cpp, rubricato “Diritto alla prova”. Secondo l'art. 190, le prove sono ammesse a richiesta di parte. Questo principio prende il nome di “principio dispositivo”, nel senso che la prova è nella disponibilità delle parti; sono le parti che vanno alla ricerca delle fonti di prova e che devono chiedere l'ammissione della prova. Sulla richiesta di parte decide il giudice, circa la possibilità di ammettere o non ammettere la prova. Il secondo periodo del comma primo dell'art. 190 stabilisce che il giudice provvede senza ritardo con ordinanza escludendo le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti. Si individuano, quindi, i criteri di ammissione della prova nel processo penale; sono quattro (tre espliciti + un quarto implicitamente ricavabile). Il codice dice che, su questa richiesta di parte, il giudice provvede, senza ritardo (quindi, a differenza di questo era stabilito nel vecchio codice, non può riservarsi di decidere sulla richiesta di ammissione di una prova, deve decidere) e con ordinanza (l'ordinanza è una forma dei provvedimenti del giudice che, a differenza della sentenza, non definisce la fase o il grado del procedimento; spesso non è motivata), escludendo le prove vietate dalla legge. Il cpp stabilisce l'incompatibilità tra l'imputato e il testimone; si ponga che il PM chieda di ammettere come testimone l'imputato. Questa prova non può essere ammessa, tuttavia l'imputato può essere sentito con un altro mezzo di prova, che prende il nome di esame dell'imputato che, però, è su base volontaria, nel senso che occorre il consenso dello stesso. O ancora, il cpp prevede, tra i mezzi prova, la perizia, che consiste nell'acquisire il parere o la valutazione di un esperto. Ad es., è ammessa la perizia psichiatrica nel processo penale, per stabilire se l'imputato è capace di intendere e di volere; nel caso in cui l'imputato non sia capace di intendere e di volere, non è imputabile. Invece, in forza dell'art. 220, comma secondo, sono vietate le perizie criminologiche (o personologiche), cioè quelle volte a stabilire che tipo è l'imputato. Questo tipo di perizie sono vietate perché potrebbero influenzare la decisione del giudice ma, in realtà, il fatto che l'imputato sia, ad es., un egoista, un cinico, ecc. non ha nulla a che vedere con l'imputabilità, con la capacità di intendere e di volere: sono caratteri della sua persona; sono queste perizie che il codice vuole tener fuori dal processo penale. Se una delle parti chiede, nel processo penale, la perizia criminologica, il giudice non la deve ammettere. Altro criterio di ammissione è quello per cui il giudice esclude le prove manifestamente superflue o manifestamente irrilevanti. Per prova manifestamente superflua, si intende la prova manifestamente sovrabbondante: ad es., si supponga che il PM vuole dimostrare che l'imputato possiede una certa pistola. Per dimostrare questo chiede l'ammissione di 10 testimoni; il giudice ne potrà ammettere un paio, in quanto tutti sono da ascoltare sulla medesima circostanza (se l'imputato possiede quella pistola). Dieci testimoni sono troppi. Per prova superflua, si fa riferimento a quella che tende a dimostrare l'esistenza di un fatto che si vuole dimostrare con altre prove che vengono contestualmente richieste. Per quanto riguarda le prove manifestamente irrilevanti, questa è tale quando è manifestamente inutile, cioè non riesce a fornire elementi utili per l'accertamento dei fatti. Quindi, il cpp non ha accolto in modo assoluto il principio dispositivo in materia probatoria, perché ci sono dei casi tassativamente previsti dalla legge in cui le prove sono ammesse d'ufficio (casi eccezionali). Ad es., si è precedentemente parlato della perizia psichiatrica nei confronti dell'imputato, per stabilire se è capace di intendere e di volere e, quindi, se è imputabile; si ammetta che nessuna delle parti chieda la perizia psichiatrica: la perizia è un mezzo di prova che, in dibattimento, può essere anche disposta d'ufficio dal giudice (in quanto decisiva per poter prendere una decisione sulla colpevolezza dell'imputato). Si deve sempre trattare di situazioni contemplate dalla legge: questo significa che il codice del 1988 ha accolto il principio dispositivo in tema probatorio in modo attenuato, in quanto sono previste eccezioni, che in alcuni casi, riguardano il singolo mezzo di prova (nel caso della perizia); accanto a questo, nel sistema processuale, c'è una norma di chiusura (di questo sistema probatorio), che è l'art. 507 cpp, rubricato “Ammissione di nuove prove”. Questa è una norma di carattere generale (ma eccezionale), in forza della quale (al comma primo) si stabilisce che, terminata l'acquisizione delle prove, il giudice, se risulta assolutamente necessario, può disporre anche di ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prova. Questa è una grande deroga rispetto ai principi del sistema accusatorio puro: nel sistema accusatorio puro statunitense, ad es., il giudice non può introdurre nuove prove; sono esclusivamente le parti che possono richiedere l'ammissione di nuove prove (il giudice, quindi, non ha questo potere probatorio d'ufficio di ammettere nuove prove). Si ponga il caso in cui sia stata uccisa una donna e pare che sia una questione di gelosia (l'imputato sarebbe il partner): dal dibattimento, è emerso che la donna aveva non solo un'altra relazione, ma anche una terza relazione con una persona X. Questa terza persona non è stata sentita e, in questo caso, il giudice, d'ufficio, potrebbe disporre l'esame della terza persona come testimone, in quanto è possibile che lo ritenga assolutamente necessario per accertare i fatti. È anche possibile che le parti sollecitino l'esercizio di questo potere discrezione riconosciuto al giudice in forza dell'art. 507. Ma il giudice, nel decidere se ammettere o meno una nuova prova, deve applicare i criteri dell'art. 190? Deve verificare che la prova non sia vietata dalla legge, manifestamente superflua, manifestamente irrilevante? Sicuramente la prova non deve essere vietata dalla legge, ma i criteri di ammissione di questa nuova prova disposta dal giudice d'ufficio, non sono i criteri dell'art. 190, in quanto l'art. 507 fa riferimento al criterio dell'assolutamente necessario: se il giudice ritiene assolutamente necessario, per accertare i fatti e, quindi, prendere la decisione, di disporre di una nuova prova, può farlo. Quindi, anche se le parti vanno a sollecitare l'esercizio di questo potere del giudice, non si applicano i criteri dell'art. 190, anche perché qui ormai si è in pieno dibattimento e, quindi, nuove prove entrano nel processo penale solo in casi eccezionali. Nei sistemi accusatori puri, non c'è nulla di simile: il cpp ha fatto una scelta particolare, che si allontana un po' dal modello puro del sistema accusatorio, prevedendo un caso eccezionale di potere probatorio d'ufficio del giudice del dibattimento. Questo serve per capire che, in tema di ammissione delle prove, vige questo principio dispositivo attenuato, nel senso che ci sono delle ipotesi tassative in cui la prova può essere ammessa anche d'ufficio, eccezionalmente. Parlando della prova, genericamente, si può dire che “provare” significa dimostrare l'esistenza di un fatto mediante prove. In merito si deve fare una distinzione fondamentale tra “prova rappresentativa” e “indizio”. Partendo da quello che è il fatto ignoto da provare, si può fare un esempio: si apre un processo penale con imputato Tizio che è accusato di aver rubato una macchina nera di un certo tipo. Per capire il concetto di prova rappresentativa, si ammetta che una persona abbia visto Tizio, il giorno X (in cui è stata rubata la macchina), avvicinarsi a questa macchina per rubarla, riuscendoci. Qual è il fatto ignoto da provare? Se Tizio è l'autore del furto della macchina nera; c'è una persona che dichiara, esattamente, il fatto ignoto da provare, in quanto sta dicendo di aver visto Tizio compiere il furto della macchina. Questa è una prova rappresentativa, chiamata così perché dall'elemento di prova si ha immediatamente conoscenza del fatto ignoto da provare. Cos'è che sarà necessario fare? Il giudice deve valutare se questo testimone è attendibile e credibile, per ottenere il risultato probatorio. Quindi, la prova rappresentativa è quel procedimento logico mediante il quale, dal risultato probatorio, si dà per rappresentazione, il fatto ignoto da provare. Ora, non è tanto facile che in un processo penale ci siano prove rappresentative di tipo testimoniale, ciò non toglie che, alle volte, il reato sia commesso dinanzi a testimoni: in questi casi, la testimonianza diviene prova rappresentativa. Nel caso dell'indizio, le cose sono un po' più complicate, in quanto c'è un passaggio intermedio da fare. Nell'esempio di prima si è detto che il fatto ignoto da provare è se Tizio ha rubato la macchina nera; stavolta, vi è un testimone, il quale non ha visto Tizio commettere il furto, ma questo afferma di aver visto Tizio (il giorno X, verso le 16) guidare la macchina nera (il furto deve essere avvenuto tra le 15 e le 15:30 dello stesso giorno). Questa non è più una prova rappresentativa (come nel caso precedente), bensì un indizio. Questo perché il testimone, in questo caso, fornisce la prova di un fatto, detto “circostanza indiziante” ed è la base del ragionamento indiziario. A questa circostanza indiziante si deve applicare o una massima di esperienza o una legge scientifica, a seguito dei quali si ricava l'esistenza del fatto ignoto da provare (se Tizio ha rubato la macchina nera). Quindi, il passaggio in più rispetto alla prova rappresentativa è dato da questa parte, cioè dall'applicazione di una massima di esperienza o di una legge scientifica, che consente di arrivare a conoscere il fatto ignoto. La massima di esperienza è una regola di comportamento che si ricava da fatti accaduti in passato. In altre parole, si ricava da casi simili alla circostanza indiziante. Si supponga che, in passato, è accaduto varie volte che chi è stato visto alla guida dell'auto rubata poco dopo un furto, poi si è dimostrato essere il ladro. Quindi, si applica questa regola di esperienza al caso e, a questo punto, si può concludere che Tizio sia probabilmente il ladro della macchina nera. Le massime di esperienza non sono regola scritte da qualche parte; si ricavano da casi del passato simili alla circostanza indiziante da cui si ricava una regola di comportamento. Applicando la regola al caso, si può concludere che Tizio è probabilmente il ladro; probabilmente perché non è detto che quello che è successo in passato poi si ripeta in modo automatico sempre e comunque. Può anche darsi che, in questo caso specifico, Tizio stia guidando una macchina rubata perché, magari, il vero ladro, dopo aver fatto un certo tragitto, ha prestato la macchina a una persona ignara. Allora, quando c'è di mezzo il ragionamento indiziario, la conclusione è probabilistica. La conclusione sarà tale anche nel caso in cui si faccia uso di leggi scientifiche, in quanto non è detto che, in quel caso, si possa raggiungere una conclusione in termini di sufficienza. Qual è il problema che si ha quando si ha a che fare con il ragionamento indiziario, soprattutto quando si fa uso di massime di esperienza? Il problema è che non c'è mai un'unica massima di esperienza applicabile al caso concreto, ma ci possono essere più massime di esperienza applicabili, e allora, quale tra queste il giudice applicherà? Il giudice non deve scegliere la massima di esperienza più frequente, proprio perché non è detto che, in quel singolo caso, le cose siano andate esattamente come quanto avviene nella maggior parte dei casi. Il giudice deve scegliere la massima di esperienza che meglio si adatta al caso concreto e che, in altre parole, tenga conto di tutte le particolarità del caso. Solo così si possono evitare errori giudiziari quando si ha a che fare con un processo indiziario. Nel ragionamento indiziario, c'è questo passaggio intermedio, dato dalle massime di esperienza o dalle leggi scientifiche, che rende il procedimento logico più delicato. Il legislatore questo lo sa benissimo perché, a proposito degli indizi, ci dice, al comma secondo dell'art. 192 cpp, che l'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti. Un solo indizio non basta per condannare, ce ne vuole almeno più di uno. In particolare, modo, il codice fa riferimento a più indizi gravi, precisi e concordanti. Gravi sono gli indizi consistenti, che resistono alle obiezioni e sono, quindi, convincenti; precisi sono quelli non suscettibili di diversa interpretazione e, quindi, non equivoci; concordanti significa che gli indizi non devono contrastare e, anzi, devono andare tutti verso la medesima conclusione. Nella massima di esperienza, invece, non sa quale sia il margine di errore; sappiamo che ammette eccezioni. Nelle massime di esperienza non si ha la capacità di misurare il fatto e, quindi, non è controllabile. Questo per far capire la netta differenza tra le due figure. Abbiamo detto, però, che nel ragionamento indiziario si può fare uso di entrambi, al fine di conoscere un fatto ignoto. Per es. Tizio è accusato di violenza carnale nei confronti di Sempronia, la quale non rende nessuna dichiarazione. Viene trovato del liquido seminale dentro il liquido della donna e viene fatta l'analisi del liquido, quindi il DNA. Se quel DNA corrisponde col DNA di Tizio, abbiamo una legge scientifica, ergo, abbiamo un indizio. Se abbiamo altri indizi, come segni ecc., allora possiamo arrivare alla conclusione che Tizio è l'autore della violenza carnale. Siamo arrivati all'analisi del DNA, che ha stabilito un indizio; per cercare di comprendere il fatto ignoto, perciò, non utilizzeremo, in questo caso, la massima di comune esperienza, bensì una legge scientifica. Allora, possiamo definire la prova scientifica come quella prova che, partendo da un fatto dimostrato, utilizza una legge scientifica per provare quel fatto. Le cose sono molto più complicate di così: non si può considerare provato un fatto solamente attraverso una legge scientifica. Dipende; ci possono essere più leggi scientifiche da applicare in un fatto. Dobbiamo, quindi, scegliere qual è la legge scientifica più consona al fatto concreto. Non è sufficiente un solo indizio per provare un fatto, ma è necessario che ce ne siano almeno più di uno e che siano gravi, precisi, concordanti. Parliamo adesso del c.d. “onere della prova”. Intanto, per onere si intende una situazione giuridica, soggettiva, attraverso il quale il soggetto è obbligato a tenere un certo comportamento affinché ottenga un certo vantaggio. Per es. se tu sei danneggiato dal reato e vuoi chiedere un risarcimento del danno nel processo penale, hai l'onere di costituirti come parte civile entro i termini stabiliti; se non rispetti i termini ci sarà inammissibilità per inosservanza del termine perentorio. Si parla di onere in due accezioni distinte: bisogna distinguere l'onere formale da quello sostanziale. L'onere formale impone alle parti di chiedere al giudice l'ammissione del mezzo di prova, come abbiamo già visto ex.art.190 c.p.p. L'onere formale grava su entrambe le parti. Questo onere verrà soddisfatto quando il giudice ammette quel mezzo di prova, secondo i criteri del 190. Per converso, l'onere della prova formale individua la parte sulla quale ricava lo svantaggio della mancata ammissione del mezzo di prova. Per es. il PM vuole provare il possesso della pistola di marca x, ma non chiede l'ammissione della prova per dimostrare questo fatto: è peggio per lui. L'onere sostanziale: per esso si intende l'onere per ciascuna parte di convincere il giudice della verità dei fatti che afferma quella parte. Questa è la parte in senso sostanziale. Per l'onere formale della prova bisogna fare riferimento all'art.190 e quindi, abbiamo detto, l'onere della prova formale grava sulle parti. L'onere sostanziale si ricava dall'art.27 comma 2 Cost.: "L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva". Utilizzata una formula ambigua, una formula in negativo. Questo perché in questa unica espressione si sono combinate due regole diverse tra loro: la prima è una regola di trattamento. L'imputato non deve essere trattato come colpevole sino alla emanazione della sentenza di condanna definitiva, ergo, non può essere privata o limitata la libertà personale dell'imputato in funzione di anticipazione della pena perché si presume innocente. C'è un'esigenza cautelare; la seconda, che è la regola probatoria, è che l'imputato si presume innocente. La Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo negli anni '50 dichiara che "l'imputato si presume innocente fino a prova contraria". La convenzione lo dice in positivo. Questa è la regola probatoria. Dire che l'imputato è presunto innocente significa dire che l'imputato è esonerato dall'onere della prova della sua innocenza; è la parte avversa, il PM, che deve dimostrare la colpevolezza. Nel processo penale l'oggetto del processo è la colpevolezza dell'imputato; l'onere della prova sostanziale grava, quindi, almeno in prima battuta, sul pubblico ministero. E' il PM che deve convincere che i fatti registrati nell'imputazione siano effettivamente avvenuti e che, quindi, sussistono tutti gli elementi oggettivi, quali sono condotta, evento, nesso causale; ma anche gli elementi soggettivi, ergo, dolo, colpa, preterintenzione. Non solo, il codice ex. art. 533 riguarda la condanna dell'imputato. Comma 1: "Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio. Con la sentenza il giudice applica la pena e le eventuali misure di sicurezza". Il PM non solo deve dimostrare la presenza di tutti gli elementi, oggettivi e soggettivi, del reato, ma deve convincere il giudice al di là di ogni ragionevole dubbio. Quindi, il quantum di prova per il PM è molto pesante, perché deve sgombrare dalla mente del giudice ogni ragionevole dubbio. Per ragionevole dubbio si intende quel dubbio che si può esprime con il ragionamento logico, con la razionalità; è quel dubbio che si può esternare, anche con la sentenza. Questo significa che, se il giudice ha un dubbio riguardo la condotta dell'imputato rispetto a quanto dice il PM, questi deve assolvere, purché quel dubbio sia ragionevole, ossia sorretto da un ragionamento logico, esternabile dalla razionalità, ovvero che abbia riscontri probatori. Non è rilevante il dubbio soggettivo, perché non lo si può esternare con la razionalità. Ammettiamo che il PM abbia dimostrato contro ogni ragionevole dubbio tutti gli elementi oggettivi e soggettivi del reato; ammettiamo che le prove siano attendibili; ammettiamo che ci sia come unica prova un testimone oculare: l'imputato è condannabile? Sì, perché è una prova rappresentativa purché quel testimone sia credibile e attendibile. Questo lo deve dimostrare l'accusa, se il testimone è stato portato dalla accusa. Ammettiamo che il PM ci sia riuscito. A questo punto l'onere sostanziale si trasferisce sull'imputato. Sarà l'imputato a dover provare i fatti a sé favorevoli. Che cosa può fare l'imputato? Deve convincere il giudice che i fatti enunciati non siano avvenuti. Per es. potrebbe mancare un elemento oggettivo oppure un elemento soggettivo. Oppure, la difesa potrebbe introdurre un alibi. L'alibi è una prova logica che dimostra che l'imputato, al giorno e all'ora del verificarsi del reato, si trovava da tutta un'altra parte, incompatibile con il luogo in cui è avvenuto il reato. L'alibi in fin dei conti è un indizio. L'alibi è una prova indiziaria molto convincente; ovviamente deve essere provato; l'imputato può produrre quello che è stato detto con l'alibi: questo fatto, però, lo devi provare. Se l'alibi non risulta credibile e attendibile, allora si dice che è falso. Poniamo che la persona indicata nell'alibi risulti non credibile e non attendibile. La giurisprudenza, a proposito, dice che è un indizio contro l'imputato. Diverso è l'alibi fallito. Per esso si intende quando quell'alibi non si ha modo di dimostrarlo. Ha un valore neutro, non va contro di lui come accade con l'alibi falso. Cosa può fare ancora la difesa, quando il PM ha dimostrato l'attendibilità e la credibilità dei testimoni e ha dimostrato la presenza di tutti gli elementi, soggettivi e oggettivi? Può fare di tutto per smontare la credibilità e attendibilità delle prove portate dal PM; oppure può introdurre l'esistenza di una scriminante: questa fa cadere la colpevolezza dell'imputato in ogni caso, qualora sussista. L'onere della prova della sussistenza della causa di giustificazione grava sulla difesa, poiché è colui che ha introdotto il tema. Non è, quindi, in questo caso il PM che deve dimostrare l'insussistenza della scriminante. Qual è la particolarità? Il nostro codice è molto garantista perché, a proposito dell'onere della prova sostanziale gravante sul PM, questo deve dimostrare la veridicità del fatto al di là di ogni ragionevole dubbio. Art. 530, comma 3 c.p.p.: "Se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità ovvero vi è dubbio sull'esistenza di esse, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione ai sensi del comma 1". Testimone esaminato su fatti che costituiscono oggetto di prova, oggetto della testimonianza devono essere fatti, e non una valutazione, distinguendo quindi tra testimone e perito, perché il testimone narra dei fatti, il perito da una valutazione sui fatti. Comma 3: “Il testimone è esaminato su fatti determinati”. Il cpp insiste sulla parola fatti, il testimone deve deporre su fatti determinati, specifici. Questo perché per assumere la testimonianza si assume attraverso l'esame incrociato, che funziona quando il dichiarante risponde su fatti specifici, altrimenti non funziona, in modo tale che accusa e difesa possano fare domande per sostenere o mettere in crisi la sua attendibilità, credibilità. Da questa disposizione si capisce anche che non si può dire al testimone di esporre ciò che sa, non sarebbe consentito, ma nella realtà dei fatti viene fatto. Segue comma 3: “Il testimone non può deporre sulle voci correnti nel pubblico, né esprimere apprezzamenti personali, salvo che sia impossibili scinderli dalla deposizione sul fatto”. Il testimone non può deporre su una voce corrente del pubblico, che è il “si dice”, devono essere fatti determinati, né esprimere apprezzamenti personali: es. c'è stato un incidente stradale, il testimone non può dire l'imputato è uno che pesta sull'acceleratore e va forte in macchina, è un apprezzamento personale, ma invece può se è inscindibile dalla deposizione sul fatto, perché magari il testimone assistendo all'incidente riferisce che quello che doveva dare la precedenza andava a una velocità folle, in palese violazione dei limiti di velocità. È un apprezzamento personale, ma inscindibile sulla deposizione dei fatti nel raccontare quello che ha visto. Obblighi del testimone, art 198, comma 1: “Il testimone ha l'obbligo di presentarsi al giudice e di attenersi alle prescrizioni date dal medesimo per le esigenze processuali e di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte”. Il testimone ha l'obbligo di presentarsi davanti al giudice, salvo legittimo impedimento, altrimenti se non vi è legittimo impedimento il giudice può disporre l'accompagnamento coattivo del testimone (ordina alle forze dell'ordine di prenderlo e portarlo con la forza in aula) e può essere anche condannato a pagare una somma di denaro in quanto contravvenzione, andando contro a un provvedimento dato dal giudice per esigenze di giustizia. Deve attenersi alle prescrizioni date dal giudice per esigenze processuali, il giudice dice al testimone di leggere la formula con cui si impegna a dire la verità e il testimone è obbligato a leggere la formula. Obbligo di rispondere secondo verità alle domande lui rivolte, penalmente sanzionato con il delitto di falsa testimonianza, se tace ciò che sa è punito per reticenza, stessa norma della falsa testimonianza (art 372 cp). Ci sono delle situazioni contemplate dal codice in cui il testimone può rifiutarsi di rispondere ad alcune domande o in caso di prossimo congiunto dell'imputato di astenersi dal deporre. Un testimone può riferire un fatto perché lo ha percepito con i propri sensi, oppure un testimone potrebbe riferire un fatto che non ha percepito con i propri sensi, ma gli è stato raccontato. Testimonianza indiretta: Riferisce un fatto che gli è stato raccontato, detta anche testimonianza de auditu. È ammissibile e utilizzabile la testimonianza indiretta? Si, a certe condizioni, art 195 cpp ultimo comma: condizione di procedibilità; non può essere utilizzata la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell'esame. La testimonianza indiretta pone il problema di verificare l'attendibilità del sentito dire, racconta il sentito dire, quindi deve indicare la sua fonte. Non pretende dal testimone indiretto le generalità della fonte, ma deve indicare affinché sia utilizzabile da chi ha sentito dire: es. testimone indiretto riferisce che ha sentito dire al parcheggiatore abusivo, che si trova nella piazza antistante l'ufficio postale, dove è avvenuta la rapina, chi l'ha commessa. Non fornisce le generalità, ma fornisce degli elementi che consentono di risalire alla fonte del suo sapere, soddisfacendo la condizione necessaria per utilizzare la testimonianza indiretta, altrimenti è inutilizzabile. Condizione eventuale di utilizzabilità della testimonianza indiretta, comma 1, art 195 cpp: “Quando il testimone si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone, il giudice, a richiesta di parte, dispone che queste siano chiamate a deporre”. Un testimone indiretto A che dice: ho saputo questa cosa da B. Qualora una parte (sia PM, sia imputato, parte civile...) chiede che venga sentito B come testimone il giudice deve disporre l'esame del testimone B. Qualora una parte chieda di sentire il testimone B, ma il giudice non dispone l'esame si applica il comma 3 dell'art 195 cpp: “L'inosservanza della disposizione del comma 1 rende inutilizzabili le dichiarazioni relative a fatti di cui il testimone abbia avuto conoscenza da altre persone, salvo che l'esame di queste risulti impossibile per morte, infermità o irreperibilità”. Testimone A dice so perché me l’ha detto B, una parte chiede che venga sentito B, ma B non viene sentito, conseguenza l'inutilizzabilità della testimonianza indiretta di A, perché non si può verificare l'attendibilità del racconto del testimone indiretto. Proseguendo il comma prevede che, qualora sia chiesto l'esame del testimone B, ma questo è morto o infermo o irreperibile, allora la testimonianza di A sarà utilizzabile in quanto si rientra in uno dei casi eccezionali previsti dalla disposizione in cui l'esame della fonte diretta, chiamato testimone diretto, è impossibile. Comma 2, art 195 cpp: “Il giudice può disporre anche d’ufficio l'esame delle persone indicate nel comma uno”. È uno dei pochi casi di una norma che prevede un potere probatorio d'ufficio del giudice. Se nessuna delle parti chiede di sentire la testimonianza diretta, e anche il giudice non la voglia sentire, la testimonianza indiretta è utilizzabile oppure no? Se la testimonianza indiretta è utilizzabile, il comma 2 del 195 dispone che il giudice può disporre l'esame d'ufficio del testimone di riferimento, non c'è scritto “deve a pena di inutilizzabilità”. La testimonianza diretta e indiretta stanno sullo stesso piano? Si, perché nel nostro ordinamento non esistono le prove legali, prove il cui valore è stabilito dalla legge, cioè non esiste il principio della prova migliore che in altri ordinamenti è prevista, in cui è ritenuta migliore la testimonianza diretta su quella indiretta. Nel nostro ordinamento il principio generale in tema di valutazione delle prove è il principio del libero coinvolgimento del giudice: ogni prova deve essere valutata sotto il profilo dell'attendibilità e credibilità da parte del giudice. Quindi, può darsi che la dichiarazione del testimone indiretto sia più attendibile e credibile (es. ci sono magari altri elementi di prova che confermano la testimonianza indiretta). La testimonianza indiretta è la testimonianza per sentito dire. Importante riguardo alla testimonianza indiretta è che per la polizia giudiziaria esistono dei limiti nel rendere la testimonianza indiretta. La disciplina la si trova nel 4 comma art 195 cpp che però è una norma di rinvio. Di regola, la polizia giudiziaria non può rendere testimonianza indiretta su ciò che ha sentito dire nel corso di un procedimento. C'è questo divieto perché le dichiarazione raccolte dalla polizia giudiziaria nel corso di un procedimento vengono verbalizzate e quel verbale segue un determinato regime di utilizzabilità. Di regola quel verbale non è utilizzabile nel dibattimento per il principio di separazione della fasi del procedimento: il giudice del dibattimento forma il proprio convincimento sulla base delle prove che si formano davanti a lui sulla base del principio di immediatezza e oralità. Il giudice non deve essere influenzato nella sua decisione dalle prove assunte nelle indagini. Se la polizia giudiziaria potesse sempre e comunque rendere una testimonianza indiretta su una dichiarazione raccolta in un atto del procedimento vorrebbe dire portare in dibattimento tutto ciò che è stato svolto nelle indagini preliminari. Così la testimonianza indiretta sarebbe un veicolo per recuperare ciò che è stato fatto nelle indagini preliminari affinché il giudice le utilizzi, ma questo violerebbe il principio di separazione delle fasi processuali. Quando vige questo divieto di utilizzabilità delle testimonianze indirette? - su dichiarazioni rese da un indagato nel corso di un altro procedimento; - su dichiarazioni acquisite da possibili testimoni nel corso delle sommarie informazioni di iniziative della polizia. - sul contenuto delle denunce, querele, istanze (atti che contengono la notizia di reato) presentate oralmente. Quando invece la testimonianza indiretta della polizia giudiziaria è utilizzabile? - su dichiarazione rese da un possibile teste fuori dei casi precedenti. Esempio: la polizia sta effettuando una perquisizione e nel corso di questa sente due che sono sul posto che parlano e dicono cose che hanno a che fare con il reato, del quale si sta indagando. Qui, la polizia giudiziaria può utilizzare il sentito dire perché non riguarda quel sentito dire un atto del procedimento, ma sta facendo un'altra cosa. - su dichiarazioni che costituiscono corpo del reato (es: ingiuria, calunnia, favoreggiamento). Sono situazioni molto eccezionali. - su affermazioni non narrative. Se egli nel rispondere fornisce indizi di reità a suo carico si applica l'art. 63, 1 comma, cpp e quindi, l'esame deve essere interrotto, la persona deve essere avvertita che saranno fatte indagini nei suoi confronti, ha diritto di nominare un difensore e le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese. Se invece il soggetto doveva essere sentito non come teste, ma come indagato, le dichiarazioni non sono utilizzabili contro nessuno ai sensi dell'art 63, 2 comma, cpp. Art 199, 3 comma, cpp: convivente more uxorio dell'imputato, il coniuge separato e il coniuge divorziato. Il convivente more uxorio dell'imputato, il coniuge separato e il coniuge divorziato non sono prossimi congiunti. L'art. 199 cpp ci induce in equivoco in quanto al 1 comma parla di prossimi congiunti, mentre al 3 comma parla del convivente, coniuge separato o divorziato. Questi ultimi non hanno la facoltà di astenersi dal deporre, ma hanno un più limitato diritto di non rispondere sui fatti appresi dall'imputato durante la convivenza. Su tutto il resto hanno l'obbligo di rispondere secondo verità. Quindi, convivente more uxorio, coniuge separato e coniuge divorziato non sono equiparati ai prossimi congiunti; hanno quindi il dovere di rispondere secondo verità, può non rispondere alle domande che riguardano fatti accaduti durante la convivenza o appresi dall'imputato durante la convivenza. Al coniuge è invece equiparata la parte dell'unione civile. Altra situazione importante e ricorrente in cui il testimone potrebbe non rispondere alla singola domanda è quella del “segreto professionale”. Ci sono alcuni professionisti privati ai quali si riferisce l'art 200 cpp. C'è qui un elenco che fa riferimento ai ministri di culto religioso, ai medici, a tutti gli esercenti professioni sanitarie, avvocati, notai, investigatori privati autorizzati e così via. Qui si dice che questi professionisti che si possono chiamare professionisti qualificati, ossia espressamente considerati nell'art 200, se chiamati a deporre in un processo penale hanno il potere- dovere di non rispondere a quelle domande che riguardano fatti conosciuti in ragione della loro professione. Esempio: Tizio ha partecipato ad una rissa, si è ferito, è andato a curarsi nello studio privato di un medico che per curarlo fa alcune domande e nel fare queste domande viene a sapere fatti della vita privata. Ci deve essere un rapporto causale tra l'esercizio di quella professione e la conoscenza di quel fatto per rifiutarsi di rispondere a fatti conosciuti in relazione a quella professione. MA se devono denunciare il fatto all'autorità non possono opporre il segreto professionale. Esempio: omissione di referto (il referto è una denuncia). C'è nel cp una norma che punisce il sanitario, il quale conoscendo un reato punibile d'ufficio omette di riferirne all'autorità ma la norma del Codice penale dice che il sanitario non ha quest'obbligo di denuncia se sta prestando le proprie cure a colui che è il possibile autore del reato, volendo tutelare il diritto alla salute di tutti. Ecco perché nel caso in cui il sanitario abbia saputo della rissa da uno che ha partecipato alla rissa e quindi potrebbe essere quest'ultimo incriminato per rissa, il sanitario non ha l'obbligo di fare referto (cioè, denuncia). Se invece ha assistito la persona offesa dal reato, ha obbligo di fare referto. Se poi viene chiamato in un processo penale a testimoniare, non può opporre il segreto professionale perché sia che abbia o meno fatto denuncia, ha l'obbligo di denunciare. I professionisti privati che non figurano in questo elenco dell'art 200 cpp si chiamano professionisti generici\comuni. Ad esempio, il tecnico informatico: Tizio ha il computer rotto, lo porta da un tecnico informatico. Quest'ultimo fa ripartire il computer e si accorge che su quel computer ci sono una serie di immagini pedo-pornografiche. Se il tecnico informatico, appresa questa cosa nell'esercizio della sua attività lavorativa, va al bar e racconta al barista di fiducia ciò che ha visto dando anche le generalità del soggetto, può farlo? NO, anzi se lo fa rischia una incriminazione, quella di rivelazione indebita di segreto professionale (art 622 cp). Art 622 cp, rubricato “R ivelazione di segreto professionale”, recita "Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire trecento a cinquemila". Qui si punisce la rivelazione senza giusta causa di un segreto professionale, ossia la rivelazione indebita di un segreto, cioè di qualcosa che deve rimanere confidenziale. Esempio: ammettiamo che viene celebrato un processo nei confronti di Tizio per aver trovato nel suo computer materiale pedo-pornografico e venga chiamato il tecnico informatico come testimone. Egli non è un professionista qualificato ex art 200 cpp e quindi non può opporre il segreto professionale. Per cui egli è un testimone a tutti gli effetti e deve rispondere secondo verità, non potendo opporre il segreto professionale essendo professionista generico e non qualificato. È punito per rivelazione indebita del segreto professionale ex art 622 in questo caso? NO, perché ha testimoniato per giusta causa avendo l'obbligo di dire la verità e non essendoci una norma che lo esenta dal fare ciò. Il segreto d'ufficio (art 201), il segreto di Stato (art 202): sono situazioni meno comuni. Art 203 cpp: il segreto di polizia. "Il giudice non può obbligare gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria nonché il personale dipendente dai servizi per le informazioni e la sicurezza militare o democratica (=servizi segreti) a rivelare i nomi dei loro informatori. Se questi non sono esaminati come testimoni, le informazioni da essi fornite non possono essere acquisite né utilizzate". Esempio: il testimone poliziotto o agente dei servizi segreti qui deve fornire il fatto, ma non la fonte del fatto ex art 203. Se il nome dell'informatore non viene fatto, le dichiarazioni di polizia giudiziaria o servizi segreti non sono utilizzabili né acquisite perché qui si ha un'ipotesi particolare di testimonianza indiretta. È una applicazione particolare della regola generale della testimonianza diretta. Comma 1-bis, art 203 recita: "L'inutilizzabilità opera anche nelle fasi diverse dal dibattimento, se gli informatori non sono stati interrogati, né assunti a sommarie informazioni". Con questo comma si è estesa la portata della regola generale anche alle fasi precedenti al dibattimento. Il segreto del giornalista, 3 comma, art 200 cpp. Egli non è equiparato ai professionisti qualificati, ma è in una posizione diversa. Il 3 comma dice: "Le disposizioni previste nei commi 1 e 2 si applicano ai giornalisti professionisti iscritti nell'albo professionale, relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell'esercizio della loro professione. Tuttavia, se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l'identificazione della fonte della notizia, il giudice ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni". Vuol dire che il giornalista chiamato a deporre come testimone nel processo penale gode di un segreto limitato al nome della sua fonte informatrice. Per il giornalista la fonte delle notizie è vitale per la sua attività professionale. Se quelle notizie che il giornalista ha detto sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e non c'è altro modo per stabilire se sono vere o meno, allora il giudice può ordinare al giornalista di fare il nome della fonte. Quindi, il segreto del giornalista è più limitato riguardando il nome della fonte, ed è cedevole in quanto il giudice può ordinare di rivelare il nome della fonte quando quelle informazioni sono indispensabili. DIFFERENZA TRA REGIME GIURIDICO DEL TESTIMONE E DELL’IMPUTATO. Siamo in dibattimento e abbiamo un testimone che ha i seguenti obblighi: presentarsi, dire la verità e se dice il falso commette reati. L'imputato è incompatibile con la qualifica di testimone. L'imputato nel corso del procedimento ha sempre diritto di fare dichiarazioni, il cui valore probatorio è equivalente a 0. Rende dichiarazioni non in relazione a domande, ma di sua spontanea volontà. Non hanno valore probatorio in quanto l'imputato, se vuole, può rendere dichiarazioni con il mezzo di prova che si chiama “esame delle parti private” (in questo caso esame dell'imputato). Questo è diverso perché l'imputato accetta di sottoporsi all'esame incrociato e quindi, di rispondere alle domande che gli fanno le parti (art 208 cpp). Ma egli non ha l'obbligo di presentarsi, non ha l'obbligo di accettare l'esame incrociato; ma se anche accettasse di sottoporsi all'esame incrociato, mantiene comunque il diritto al silenzio; se dice il falso non è punibile per la scusante dell'art 384, 1 comma, cp. In più, ai sensi dell'art 208 cpp, se l'imputato durante l'esame incrociato afferma "un sentito dire", eccezionalmente non vale la regola dell'art 195 secondo cui per dire il Questo perché la connessione è molto forte e il fatto è unico per cui quando Tizio viene chiamato a parlare nel processo contro Caio, quando parla del fatto di cui è accusato Caio, finisce per parlare anche contro se stesso essendo unico il fatto di reato. Allora come viene sentito? Sicuramente NON come testimone, ma viene sentito con il mezzo di prova dell'esame dell'imputato del procedimento connesso (art 210 cpp). Art 210 cpp: esame di persona imputata in un procedimento connesso. Si riferisce all'imputato connesso concorrente con processo pendente. 1 comma: "Nel dibattimento, le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'articolo 12, comma 1, lettera a), nei confronti delle quali si procede o si è proceduto separatamente e che non possono assumere l'ufficio di testimone, sono esaminate a richiesta di parte, ovvero, nel caso indicato nell'articolo 195, anche di ufficio”. 2 comma: “Esse hanno obbligo di presentarsi al giudice, il quale, ove occorra, ne ordina l'accompagnamento coattivo”. Si osservano le norme sulla citazione dei testimoni. 3 comma: “Le persone indicate nel comma 1 sono assistite da un difensore che ha diritto di partecipare all'esame. In mancanza di un difensore di fiducia è designato un difensore di ufficio”. 4 comma: “Prima che abbia inizio l'esame, il giudice avverte le persone indicate nel comma 1 che, salvo quanto disposto dall'articolo 66, comma 1 (obbligo di fornire secondo verità le proprie generalità), esse hanno facoltà di non rispondere”. Esempio: Tizio e Caio accusati di concorso di persona in omicidio. Tizio è minorenne, Caio è maggiorenne. Nel procedimento a carico di Caio, il PM vuole sentire Tizio, come lo deve sentire? Lo deve citare come imputato di procedimento connesso con processo pendente (art 210 cpp). Quindi, Tizio verrà sentito con lo strumento dell'art 210 cpp; ha l'obbligo di presentarsi davanti al giudice (sotto questo profilo si avvicina al testimone); è assistito da un difensore di fiducia o di ufficio, se non lo ha di fiducia (sotto questo profilo si avvicina all'imputato); deve essere avvisato della facoltà di non rispondere (si avvicina sotto questo profilo di nuovo all'imputato). Quindi, l'imputato di procedimento connesso concorrente (ex art 12 a ) ha sì l'obbligo di presentarsi ma ha la facoltà di non rispondere, se si avvale di questa facoltà non si ha un'astensione dal deporre, qui potrebbero anche fargli le domande, ma lui ad ogni singola domanda si avvale dalla facoltà di non rispondere. Nella sostanza non cambia niente quindi, ma teoricamente dovrebbe rimanere in dibattimento e dire che si avvale della facoltà di non rispondere. 5 comma: “All'esame si applicano le disposizioni previste dagli articoli 194, 195, 498, 499 e 500”. Le cose cambiano quando vi è stata sentenza definitiva nei riguarda dell'imputato connesso concorrente. Esempio: Tizio e Caio sono accusati di concorso nel medesimo omicidio. Tizio segue un rito semplificato, ossia il giudizio abbreviato in quanto si evita il dibattimento, che ha per cui tempi più veloci arrivando prima la sentenza sull'imputato e quella definitiva. Mentre Caio vuole il dibattimento che ha tempi più lunghi. Quindi, può succedere che Tizio ha ricevuto una sentenza di condanna, è accusato di concorso in omicidio di Sempronio. Nel processo contro Caio si vuole sentire Tizio, che non ha processo pendente, essendoci stata sentenza definitiva di condanna. Tizio come viene sentito qui? Come testimone assistito (art 197-bis). Prima della sentenza irrevocabile, gli imputati di procedimento connesso forte sono INCOMPATIBILI come testimoni; dopo la sentenza, sono compatibili con la qualifica di testimone, ma vengono sentiti come TESTIMONI ASSISTITI, cioè, sono testimoni assistiti da un difensore. Il testimone assistito gode di alcuni privilegi, come il “privilegio del condannato” (art 197-bis, 4 comma, cpp). Questo articolo dice al 4 comma: "Nel caso previsto nel comma 1 il testimone assistito non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna se nel procedimento egli aveva negato la propria responsabilità ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione (...)" Esempio: Tizio e Caio sono accusati di concorso in omicidio. Tizio ha processo abbreviato, si arriva a sentenza definitiva. Caio invece giunge al dibattimento, dove viene sentito Tizio del processo a carico di Caio. C'è una sentenza definitiva e quindi Tizio viene sentito come testimone assistito. Ma Tizio nel processo che si è celebrato contro di lui, si è sempre avvalso della facoltà di non rispondere oppure ha parlato e dichiarato di essere innocente. Cosa succede? Succede che nel processo contro Caio lui è sentito come testimone assistito ma con il privilegio del condannato, potendo quindi dire di non parlare in quanto ex art 197-bis, 4 comma, non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è pervenuta una condanna nei suoi confronti emessa in seguito al giudizio se nel suo processo si è professato innocente. Quindi, si è fatta la riforma per ridurre l'area del diritto al silenzio, facendo sì che il dibattimento fosse il luogo del dialogo. Ma questa riforma è molto discutibile in quanto, oltre ad essere molto complicata, al testimone assistito gli vengono comunque consentiti privilegi, come il privilegio del condannato. Si potrebbe dire che siccome è stato condannato con sentenza definitiva e questo potrebbe avere sempre l'aspettativa della revisione del processo, allora si è previsto tale privilegio. Ma non è per questo perché nel 5 comma si dice: “In ogni caso le dichiarazioni rese dai soggetti di cui al presente articolo non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese nel procedimento a suo carico, nel procedimento di revisione della sentenza di condanna ed in qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto dei procedimenti e delle sentenze suddette”. Si dice chiaramente che le dichiarazioni rese dal testimone assistito non sono utilizzabili nel procedimento di revisione della condanna. Quindi, la ratio della previsione del 4 comma non è quello di evitare guai nel processo di revisione (in quanto c'è già il 5 comma), e allora qual è questa ratio? Tutelare l'onore dell'imputato di procedimento connesso che nel suo processo è rimasto in silenzio o si è proclamato innocente. Non è questo molto accettabile essendo nel processo penale. IMPUTATO CONNESSO “NON CONCORRENTE” (art 12 lettera c e art 371, comma 2 b). Art 197 cpp recita: "Non possono essere assunti come testimoni: a) i coimputati del medesimo reato o le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'articolo 12, comma 1, lettera a), salvo che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444; b) salvo quanto previsto dall'articolo 64, comma 3, lettera c), le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'articolo 12, comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2, lettera b), prima che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444”. Chi legge questa norma non comprende niente. Si dice che l'imputato connesso non concorrente, cioè che sia un collegamento o una connessione debole, quando ha il processo pendente non può essere, di regola, sentito come testimone per incompatibilità. Quando invece il processo è pendente, si può sentire come testimone assistito? Quando gli viene dato l'avvertimento previsto dall'art 64, 3 comma, lettera c) dove si dice che, se rende dichiarazioni sul fatto altrui può essere sentito come testimone sul fatto altrui. Art 64, 3 comma recita alla lettera c): "Se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l'ufficio di testimone, salve le incompatibilità previste dall'art 197 e le garanzie di cui all'art 197-bis". Quindi, se renderà dichiarazioni su fatti altrui, su quei fatti altrui potrà essere sentito come testimone assistito. Quindi, avrà l'obbligo di dire la verità su quel fatto altrui. Questo vale per l'imputato per procedimento connesso non concorrente. Per cui, o connessione 12 c) o ipotesi di collegamento con processo pendente. Esempio: ipotesi frequente è quello del favoreggiamento di persona. La ragazza, che vuole bene al suo fidanzato rapinatore, decide di nasconderlo in cantina. Entrambi hanno il procedimento pendente lui per rapina e lei per favoreggiamento. Viene interrogata e le vengono dati avvisi perché imputata di procedimento collegato, quindi devono leggergli l'art 64, 3 comma. Poniamo che alla ragazza chiedono come fosse vestito il suo fidanzato l'ultima volta che lo ha visto. E lei risponde.
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