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Riassunto Processi cognitivi e apprendimento scolastico - Amoretti, Morra, Usai, Viterbori, Sintesi del corso di Psicologia dello Sviluppo

Riassunto di tutti i capitoli e annessi paragrafi, corredato da indice per facilitarne la lettura.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 19/07/2022

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Scarica Riassunto Processi cognitivi e apprendimento scolastico - Amoretti, Morra, Usai, Viterbori e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia dello Sviluppo solo su Docsity! PROCESSI COGNITIVI E APPRENDIMENTO SCOLASTICO Amoretti, Morra, Usai, Viterbori CAPITOLO 1. L’ARCHITETTURA DELLA MENTE 3 1.1 Architettura della mente secondo Norman e Shallice 3 1.2 Architettura della mente secondo Schneider e Detweiler 4 1.3 Differenze tra i due modelli 4 CAPITOLO 2. LE RAPPRESENTAZIONI MENTALI 5 2.1 Le conoscenze dichiarative e procedurali 5 2.2 Rappresentazioni proposizionali (analitiche) e analogiche 5 2.3 Le immagini mentali 6 2.4 I modelli mentali 6 2.5 Embodied cognition 7 2.6 Gli schemi 7 CAPITOLO 3. LA MEMORIA A LUNGO TERMINE 9 3.1 La multicomponenzialità della memoria 9 3.2 Il tipo di codifica e l’importanza dei contesti 10 3.3 Le memorie lungo termine 11 CAPITOLO 4. LA MEMORIA DI LAVORO 12 4.1 Cenni storici 13 4.2 Alcune precisazioni terminologiche 13 4.3 Il modello di Nelson Cowan 14 4.4 Il modello di Randall Engle 15 4.5 Il modello a cono di Cesare Cornoldi 15 4.6 Il modello di Klaus Oberauer 16 4.7 Il modello di Pierre Barrouillet 17 4.8 Lo sviluppo della memoria di lavoro 17 4.9 I modelli neopiagetiani 17 4.10 Qualche implicazione pratica 18 CAPITOLO 5. I PROCESSI AUTOMATICI E CONTROLLATI 19 5.1 I processi automatici 19 5.2 L’organizzazione del campo percettivo e i processi automatici 19 5.3 L’automatizzazione conseguente all’apprendimento 20 5.4 Il concetto di controllo 21 5.5 Le teorie del controllo attentivo 22 5.6 I diversi tipi di processi di controllo attentivo 23 5.7 Come sono controllati i processi di controllo? 23 5.8 I sistemi di controllo e le funzioni esecutive 24 5.9 Lo sviluppo delle funzioni esecutive 24 5.10 Le funzioni esecutive e il contesto 25 5.11 Le funzioni esecutive e l’apprendimento 25 CAPITOLO 6. L’APPRENDIMENTO 26 6.1 Gli studi di Pavlov sul condizionamento classico 26 6.2 Il condizionamento operante 27 6.3 L’apprendimento in chiave non comportamentista 29 1 6.4 L’esplorazione e il gioco 30 Capitolo 7. Pensiero e ragionamento 30 7.1 Il ragionamento deduttivo 31 7.2 Gli errori di ragionamento 32 7.3 il ragionamento induttivo 33 7.4 Altri tipi di ragionamento 34 7.5 La soluzione di problemi 35 7.6 come funziona il pensiero? 36 CAPITOLO 8. LE DIFFERENZE INDIVIDUALI E L’APPRENDIMENTO 36 8.1 Gli stili cognitivi 36 8.2 Gli stili di apprendimento 39 8.3 Temperamento 40 CAPITOLO 9. LA FORMAZIONE DEI CONCETTI 42 9.1 Le forme del pensiero 42 9.2 I concetti e le proposizioni 43 9.3 La soluzione dei problemi e l’uso dei concetti 44 9.4 L’apprendimento scolastico e le misconcezioni 45 CAPITOLO 10. LA LETTURA E LA COMPRENSIONE DEL TESTO SCRITTO 46 10.1 Le caratteristiche della lingua italiana e la lettura 46 10.2 L’apprendimento della lettura 47 10.3 I prerequisiti della lettura 47 10.4 La comprensione del testo scritto 49 10.5 il ruolo del contesto nell’apprendimento della lettura 52 CAPITOLO 11. LA SCRITTURA E LA PRODUZIONE DEL TESTO SCRITTO 53 11.1 Le abilità di scrittura 53 11.2 Le abilità grafo-motorie e la scrittura 53 11.3 Le competenze ortografiche 54 11.4 L’apprendimento della scrittura 55 11.5 I prerequisiti della scrittura 56 11.6 La produzione del testo scritto 57 CAPITOLO 12. La metacognizione e le abilità di studio 59 12.1 La metacognizione: definizione e componenti 59 12.2 Le conoscenze e i processi di controllo metacognitivi 59 12.3 Lo sviluppo delle capacità metacognitive 60 12.4 La didattica metacognitiva 60 12.5 L’apprendimento autoregolato 61 12.6 La metacognizione e l’abilità di studio 62 CAPITOLO 13. GLI ASPETTI EMOTIVO-MOTIVAZIONALI E LA REGOLAZIONE DELL’APPRENDIMENTO 63 13.1 La motivazione 63 13.2 Teorie implicite sull’intelligenza e tipo di orientamento all’obiettivo 63 13.3 Autoefficacia e concetto di sé 64 13.4 Le credenze sulle attribuzioni causali 64 13.5 La metacognizione e l’apprendimento autoregolato 66 2 CAPITOLO 2. LE RAPPRESENTAZIONI MENTALI Rappresentazioni: quando parliamo di rappresentazioni esterne, intendiamo “qualcosa che sta per qualcos’altro” (Es. scriviamo un foglietto “pane, uova, frutta” e queste tre parole rappresentano gli oggetti reali che vogliamo comprare). RAPPRESENTAZIONI MENTALI = modo in cui le conoscenze (schemi) sono costituite e organizzate nella nostra mente. 2.1 Le conoscenze dichiarative e procedurali 1. CONOSCENZE DICHIARATIVE: costituiscono il “sapere che”; 2. CONOSCENZE PROCEDURALI: costituiscono il “saper fare”. • Anderson, conoscenza dichiarativa e procedurale sono complementari, in quanto le 2° vengono attivate dalle 1° e su di esse si applicano. 1. Le unità di base (chunks) nella conoscenza dichiarativa deriverebbero dalla codifica di input percettivi, cioè dalla percezione degli oggetti presenti nell’ambiente o di espressioni linguistiche che sappiamo comprendere. 2. Le unità di base (“regole di produzione”) della conoscenza procedurale consistono nella codifica di trasformazioni che avvengono nell’ambiente. I PROCESSI COGNITIVI sono il frutto dell’interazione tra conoscenze procedurali e dichiarative. Oggi si ritiene che vi sia complementarietà dialettica: da un lato, la conoscenza può derivare dalla prassi, per cui le conoscenze procedurali possono generare conoscenze dichiarative, ma dall’altro, in alcuni casi, le conoscenze dichiarative entrano in gioco nella costruzione di nuove conoscenze procedurali. Conoscenze (≠ da dichiarative e procedurali): 1. ESPLICITE: accessibili alla coscienza, possono essere descritte verbalmente; 2. IMPLICITE: non sono esprimibili verbalmente, ne siamo consapevoli solo in parte. Vi sono conoscenze procedurali e dichiarative sia implicite, sia esplicite. 2.2 Rappresentazioni proposizionali (analitiche) e analogiche • Psicologia cognitivista: le rappresentazioni mentali sono basate su un unico codice di rappresentazione, che costituisce il linguaggio interno della mente. RAPPRESENTAZIONI PROPOSIZIONALI: ogni proposizione è costituita da un predicato con uno o più argomenti. • Paivio, TEORIA DEL DOPPIO CODICE di rappresentazione nella mente umana. Esistono due codici di rappresentazione mentale, distinti ma interconnessi: 1. verbale 2. per immagini. Nei compiti di memoria le parole concrete (doppia codifica: verbale e per immagini) vengono ricordate meglio di quelle astratte (codice verbale). • Eleanor Rosch, PROTOTIPI DEL CONCETTO: i concetti non sono rappresentati mentalmente attraverso reti proposizionali ma attraverso prototipi del concetto. Es. il concetto di mammifero è rappresentato da mammiferi “prototipici” come il cane, il gatto o la mucca. 5 Dimostra che le persone riescono a categorizzare più velocemente esemplari prototipici che quelli non prototipici. 2.3 Le immagini mentali • Kosslyn, natura e funzionamento delle immagini mentali: ricerche che consistevano nel presentare ai soggetti delle immagini da memorizzare e proporre compiti specifici di immaginazione basati su questo materiale. Dalle osservazioni si nota che le persone, dopo aver studiato dei semplici disegni di animali, sono in grado di immaginare le figure, ingrandirle o rimpicciolirle, e individuarne i dettagli. I risultati dimostrano che le immagini mentali hanno proprietà spaziali e simil-percettive. Sulla base di questi e altri esperimenti, propone una TEORIA DELLE IMMAGINI MENTALI. 2.4 I modelli mentali • Johnson-Laird, TEORIA GENERALE DELLE RAPPRESENTAZIONI ANALOGICHE: la mente umana è capace anche di altre forme di rappresentazione analogica oltre alle immagini mentali. Si utilizzano i modelli mentali in numerosi compiti cognitivi complessi, quali la comprensione del linguaggio orale scritto, la comprensione dei concetti, il ragionamento. MODELLO MENTALE = rappresentazione mentale di una situazione (reale, ipotetica o fittizia) costituita da un numero finito di elementi e relazioni fra loro. 10 tipi di modelli mentali: I. i primi 6 sono chiamati MODELLI FISICI, rappresentano situazioni (reali o no) concrete: 1. Modelli RELAZIONALI: insieme infinito di elementi che rappresentano realtà fisiche; 2. Modelli SPAZIALI: rappresentano le relazioni spaziali collocando gli elementi in uno spazio mentale. 3. Modelli TEMPORALI: sono costituiti da più modelli relazionali o spaziali, posti in sequenza ordinata. L’ordine dei modelli rappresenta la successione temporale dei fatti. 4. Modelli CINEMATICI: i cambiamenti o i movimenti degli elementi sono rappresentati in una dimensione temporale continua. 5. Modelli DINAMICI: sono modelli temporali o cinematici nei quali intervengono relazioni di natura causale tra gli eventi. 6. IMMAGINI MENTALI: sono modelli mentali ricchi di contenuti di natura percettiva. II. altri 4, che rappresentano relazioni più astratte, rappresentazioni analogiche di relazioni tra concetti, sono chiamati MODELLI CONCETTUALI: 7. Modelli MONADICI: + semplici, permettono di rappresentare le proposizioni che appaiono nei sillogismi categorici. 8. Modelli RELAZIONALI CONCETTUALI: introducono un numero finito di relazioni tra gli elementi del modello, possono rappresentare relazioni di tipo quantitativo. 9. Modelli METALINGUISTICI: combinano la struttura di un modello mentale con elementi di rappresentazione linguistica. 10. Modelli INSIEMISTICI: sono i + astratti. Gli elementi in essi contenuti non rappresentano singoli esemplari ma insiemi. La TEORIA DEI MODELLI MENTALI: comprende anche una serie di principi generali riguardo i processi con cui le persone costruiscono, esaminano, modificano i propri modelli mentali e li utilizzano per trarne inferenze. 6 Per insegnanti: capire i modelli mentali preesistenti negli studenti e capire come modificarli. 2.5 Embodied cognition EMBODIED COGNITION: “cognizione incorporata”: cerca le radici dei processi cognitivi nell’interazione tra organismo e ambiente. Il filone dell’embodied cognition attribuisce al corpo un ruolo centrale nelle basi dei processi cognitivi attuali di bambini e adulti. La gran parte dei processi cognitivi avviene mediante sistemi di controllo del corpo. Esistono posizioni radicali che si contrappongono al cognitivismo e rifiutano il concetto stesso di rappresentazione mentale, altri ammettono l’esistenza di rappresentazioni mentali e il loro uso nei processi di pensiero. • Meteyard, classificazione delle teorie semantiche in quattro categorie: 1. Teorie non embodied; 2. Teorie dell’embodiement secondario; 3. Teorie dell’embodiement debole; 4. Teorie dell’embodiement forte. Le due categorie estreme non hanno sostegno empirico, mentre quelle centrali hanno una certa plausibilità. L’esistenza di legami diretti tra percezione e azione è stata dimostrata da ricerche psicobiologiche. Neuroni specchio: si attivano sia quando il soggetto esegue una certa azione, sia quando la vede compiere da altri. • Kousta: I concetti, sia concreti, sia astratti, sono rappresentati mediante una combinazione di informazioni linguistiche ed esperienziali; il significato delle parole astratte può essere ricco di conoscenze embodied di natura emotiva. Se tali componenti embodied sono così rilevanti, anche l’apprendimento di concetti può essere facilitato e può avere radici più solide se le attività di apprendimento fanno leva anche sull’azione reale e sulle emozioni. È utile proporre attività manipolative e concrete anche nella media fanciullezza, nella preadolescenza e oltre. 2.6 Gli schemi SCHEMI: unità elementari di rappresentazione (chunks, produzioni, scripts, etc). Fu introdotto da Bartlett e Piaget. • Bartlett: riferito a ricordo di testi narrativi, per poi estenderlo anche a schemi motori. Es. Bartlett osserva che non vi sarà mai nel tennis un colpo di rovescio esattamente uguale ad un altro. Tuttavia, chiunque abbia una minima conoscenza del gioco riconoscerà se un certo colpo sia o meno un rovescio; i dettagli mutano, ma lo schema è la struttura invariante che accomuna tutti i colpi simili. Quello del colpo di rovescio è uno schema percettivo-motorio complesso che include come costituenti schemi più semplici, fra cui quello della prensione che il neonato già possiede nella sua forma più elementare. SCHEMA = organizzazione attiva delle reazioni e delle esperienze passate che agisce in qualsiasi situazione appropriata, rende possibile una reazione specifica di adattamento e produce l’atteggiamento dell’organismo nei confronti di ciò che si presenta al momento. Le FUNZIONI dello schema sono: riassumere e semplificare le informazioni disponibili, razionalizzare e regolarizzare la percezione o l’interpretazione della situazione, fornire un modello generico e adattabile di risposta, nonché una base per il ricordo e per l’inferenza. 7 • Modello di Atkinson e Shiffrin L’informazione transita in 3 sistemi di memoria (sensoriale, a breve e a lungo termine) in ciascuno dei quali viene sottoposta a processi di elaborazione grazie ai quali può proseguire il percorso sino ad andare a sedimentarsi nella memoria lungo termine oppure essere rapidamente dimenticata. - La memoria sensoriale, sistema capacità illimitata ma permanenza brevissima, è soggetta a fenomeni di interferenza, in particolare legati al continuo susseguirsi di nuove informazioni che impegnano il sistema. - La memoria breve termine, contiene solo un numero circoscritto di elementi informativi (chunks) in cui l’informazione permane per un tempo limitato (10-15 secondi). Durante questo periodo le informazioni subiscono processi di elaborazione di tipo reiterativo: ripetere mentalmente la sequenza più volte (ripetizione subvocalica o rehearsal). CHUNK: qualunque elemento, singolo o risultato di un’aggregazione, che venga sottoposto a elaborazione da parte dei processi mnestici. CHUNKING: forma di raggruppamento che facilita la memorizzazione delle informazioni. SPAN DI MEMORIA: capacità di conservare allo stesso tempo in memoria del materiale (il magico numero di Miller, span medio della popolazione convenzionalmente fissato a 7 con un margine di variazione di +-2). Questa limitata capacità di immagazzinamento, coniugata con la sua temporaneità, è alla base di fenomeni quali la priorità (primacy) e la recenza (recency) che caratterizzano l’EFFETTO DI POSIZIONE SERIALE. Curva iperbolica: la prima e l’ultima parola presentate vengono ricordate con maggior frequenza rispetto a quelle collocate in posizioni più lontane dall’estremità della lista. La curva prende il nome di CURVA DI POSIZIONE SERIALE, e la maggior probabilità di rievocazione del primo e dell’ultimo stimolo prendono il nome rispettivamente di EFFETTO PRIORITÀ e EFFETTO RECENZA. Il fenomeno è spiegato ipotizzando l’esistenza di un buffer di reiterazione: quando viene presentato il 1° stimolo esso occupa tutti i piani a disposizione; il 2° occupa il piano superiore spingendo verso il basso tutte le rappresentazioni del 1° stimolo, che scalano di un posto, e così succede ogni volta che viene presentato un nuovo stimolo fino a superare il limite dello span. Con il superamento del limite anche l’ultima rappresentazione del 1° stimolo esce dal buffer al cui interno si avvicendano gli stimoli che di volta in volta vengono presentati. Gli stimoli presentati in sequenza rimangono all’interno del buffer per un tempo diverso e in condizioni differenti, fattori che influenzano la probabilità che è uno stimolo venga passato alla memoria lungo termine e che possa essere rievocato. Questo modello è stato superato da modelli più recenti come la working memory. 3.2 Il tipo di codifica e l’importanza dei contesti La possibilità di conservare e rievocare le informazioni in modo duraturo dipende dall’efficacia dei processi di codifica. Non si è ancora giunti a una definizione certa di come le informazioni si fissino nella memoria lungo termine. Diverse ipotesi: 1. DOPPIO CODICE, Paivio, l’informazione viene codificata impiegando un codice per immagini e uno verbale. 10 2. TEORIA DELLA PROFONDITÀ DELLA CODIFICA, Craik e Lockhart, migliore probabilità di recupero dell’informazione qualora la stessa venga sottoposta una codifica più profonda. La teoria nasce da una serie di esperimenti sulla memoria implicita nel corso dei quali venivano presentate una serie di parole. Conclusero che la probabilità di ricordare un’informazione fosse direttamente connessa alla profondità di elaborazione a cui era stata sottoposta in fase di acquisizione. 3. TEORIA DELLA SPECIFICITÀ DELLA CODIFICA, Tulving e Thomson: è importante la presenza di elementi specifici nel processo di codifica; pongono l’accento sull’importanza del contesto al cui interno avviene il processo di acquisizione di un’informazione. Contesto: contesto ambientale, contesto emotivo, contesto situazionale, contesto cognitivo. 3.3 Le memorie lungo termine 1. MEMORIA NON DICHIARATIVA: (knowing how, sapere come) alla quale appartengono automatismi, capacità di eseguire azioni e attività per le quali non è richiesto un controllo cosciente dei processi. A questa memoria vengono ascritti: 1. la MEMORIA PROCEDURALE (relativa all’esecuzione di azioni che richiedono scarse o nulle risorse attentive per essere attivate: automatismi acquisiti con l’esperienza che producono sequenze di azioni senza che la persona debba prestare particolare attenzione); 2. il CONDIZIONAMENTO CLASSICO (no processi consci, la risposta è determinata automaticamente dalla comparsa di uno stimolo specifico ripetutamente associato alla risposta stessa); 3. l’EFFETTO PRIMING (a causa del quale le persone sono influenzate inconsciamente, nell’esecuzione di un compito, da materiale presentato in precedenza in modo incidentale). La presentazione incidentale di uno stimolo (prime) che viene in seguito proposto all’interno di una lista di stimoli da ricordare ne favorisce la rievocazione anche se chi rievoca non si rende conto di ricordare qualcosa di già visto in precedenza. La forma di priming descritta prende il nome di “priming percettivo”; esiste anche il “priming concettuale” che si verifica, per esempio, quando dopo aver presentato la parola “cuore” risulta più facile ricordare di una lista la parola “amore” o completare la sillaba “bat-” con “battito” piuttosto che con “battuta”. CONCETTO DI PRIMING: la nostra capacità di memorizzare informazioni a prescindere dalla nostra intenzione di farlo. 2. MEMORIA DICHIARATIVA: (knowing that, sapere cosa) insieme delle nostre conoscenze alle quali è possibile accedere attraverso l’impiego di processi consci. Alla memoria dichiarativa appartengono la MEMORIA EPISODICA e quella SEMANTICA. I. La memoria episodica è il luogo metaforico di ciò che ci accade nel corso della vita: in essa sono conservati eventi o esperienze che ci sono accadute in un posto e in un tempo preciso e che non hanno la caratteristica di essersi ripetuti nel tempo. I ricordi sono in genere molto connotati da un punto di vista emotivo. MEMORIA AUTOBIOGRAFICA: tipo di memoria che, seppur riconducibile all’episodica, se ne 11 distingue essendo unicamente legata a eventi personali a forte connotazione emotiva, che in genere vengono conservati anche a distanza di molti anni. Due aspetti: 1. effetto di reminiscenza (maggior frequenza di ricordi autobiografici relativi al periodo di vita compresa tra i 20 e i 30 anni), prevalenza di ricordi positivi, specie in età avanzata (legata a una sorta di autoprotezione del sé). 2. Flash-bulb memories: istantanee che riaffiorano alla mente e consentono una rilettura dell’evento come se si stesse verificando in quel momento. II. La memoria semantica è il luogo della conoscenza: tutto quello che apprendiamo, e che non ricade nella memoria procedurale, viene conservato. • Collins e Quillian, TEORIA DELLA PROPAGAZIONE DELL’AZIONE: la memoria semantica sarebbe organizzata in termini di connessioni semantiche: ogni concetto attiva connessioni semantiche con altri concetti a esso collegati andando a costituire una rete di attivazione propagata in grado di accelerare i processi cognitivi. La teoria non rende conto dell’estrema complessità delle connessioni semantiche. Ad oggi non esiste una teoria univoca ed esaustiva circa l’organizzazione dell’informazione in memoria semantica. Alla memoria dichiarativa nella sua componente semantica è ascrivibile la MEMORIA PROSPETTICA: permette la pianificazione delle azioni future, utilizza informazioni conservate nella memoria semantica. Due tipi di memoria prospettica: 1. basata sul tempo (ricordare di essere alle 10:00 dal notaio); 2. basata sugli eventi (ricordarsi di dire al meccanico che l’automobile sibila in frenata). Anche nella memoria a lungo termine si possono verificare fenomeni di INTERFERENZA: 1. PROATTIVA: quando ciò che è stato appreso prima impedisce il recupero di ciò che lo è stato in un secondo tempo. 2. RETROATTIVA: l’info appresa per seconda impedisce l’accesso all’informazione immagazzinata in precedenza. Cause patologiche: 1. disturbi della memoria a base neurologica: demenze, colpiscono dapprima la memoria a breve termine e in un successivo momento intaccano anche i ricordi colpendo sia memoria semantica, sia episodica. 2. amnesie: eventi traumatici fisici o psicologici. 1. amnesia anterograda: non ricorda nulla dopo l’evento traumatico; 2. amnesia retrograda: perde tutta o in parte la memoria di ciò che è avvenuto prima dell’evento. CAPITOLO 4. LA MEMORIA DI LAVORO Working memory: sistema deputato all’utilizzazione, momento per momento, di un ristretto numero di conoscenze o rappresentazioni. 12 La capacità del fuoco dell’attenzione, negli adulti sani, è limitata 4 chunks. Riprende il concetto di chunks da Miller contestando il limite di capacità. 4.4 Il modello di Randall Engle Anch’esso considera la memoria di lavoro come il sottoinsieme attivato della memoria a lungo termine e attribuisce il suo limite alla capacità limitata delle risorse attentive. I soggetti più abili hanno una capacità attentiva più ampia, intesa come una maggiore disponibilità di attivazione delle informazioni memorizzate. Engle, Kane e Tuholski, teoria secondo la quale la memoria di lavoro è costituita dalla congiunzione di memoria a breve termine (intesa come parte attivata della memoria a lungo termine) e attenzione controllata. Il loro modello della memoria di lavoro comprende tre componenti: 1. La MEMORIA A BREVE TERMINE: costituita dall’insieme degli elementi della memoria lungo termine attualmente attivati; 2. STRATEGIE E PROCEDURE utili a mantenere attivate le rappresentazioni rilevanti; 3. una COMPONENTE ATTENTIVA a capacità limitata, libera da vincoli a contenuti o domini cognitivi specifici. Non analizzano le distinzioni fra i diversi processi di attivazione, quali input percettivi recenti, attività mentali in corso, preesistenti associazioni fra rappresentazioni nella memoria lungo termine. Le strategie sono dominio- specifiche, dipendono dal compito, e la messa in atto di una strategia può richiedere risorse attentive in misura più o meno ampia, a seconda anche del compito delle caratteristiche del soggetto. La componente attentiva svolge diverse funzioni: attivazione delle rappresentazioni rilevanti, recupero di informazioni che occorre rendere disponibili, blocco delle interferenze provenienti da informazioni non rilevanti. CONTROLLO INIBITORIO: processi attentivi finalizzati a non lasciarsi influenzare da informazioni o stimoli che tenderebbero a catturare l’attenzione. Diverse teorie cognitive concordano nel riconoscere l’esistenza di una correlazione tra memoria di lavoro e controllo inibitorio; nel modello di Engle, invece, il controllo inibitorio avrebbe un ruolo almeno parzialmente causale, perché il controllo attentivo comprenderebbe non solo l’attivazione e il recupero di informazioni rilevanti ma anche il blocco di quelle irrilevanti. INTELLIGENZA FLUIDA: abilità di risolvere i problemi nuovi. 4.5 Il modello a cono di Cesare Cornoldi Modello “dei continua” perché comprende un continuum del grado di controllo attentivo e uno del contenuto. - Il continuum verticale indica il grado di controllo attentivo richiesto da un compito: in basso si trovano i compiti più automatici e in alto quelli che richiedono il massimo grado di controllo attentivo. I compiti collocati in alto sul continuum verticale sono talvolta chiamati attivi e quelli in basso passivi, in quanto quest’ultime richiedono un grado minore di elaborazione attiva e possono anche consistere in un semplice mantenimento di informazioni. 15 - Il continuum orizzontale rappresenta la specificità di dominio e di modalità, cioè il contenuto dei compiti cognitivi. L’idea di un continuum che rappresenta il grado di controllo attentivo sulla memoria di lavoro è a grandi linee congruente con il concetto di “attenzione controllata” di Engle, con l’esecutivo centrale di Baddeley, con il fuoco dell’attenzione di Cowan. Tutti concordi nell’assumere l’esistenza di una componente attentiva della memoria di lavoro, che in compiti diversi viene impiegata in misura più o meno elevata. 4.6 Il modello di Klaus Oberauer MODELLO COMPLESSIVO DELLA MEMORIA DI LAVORO: la funzione della memoria di lavoro non è soltanto ricordare informazioni per un breve tempo, si tratta di un sistema dedicato a rendere facilmente e rapidamente disponibili le rappresentazioni di cui abbiamo bisogno per comprendere il linguaggio, ragionare, fare ipotesi, risolvere problemi, prendere decisioni e programmare le nostre attività. La si può concepire come un sistema attentivo che interagisce sia con la percezione, sia con la memoria a lungo termine. Anche Oberauer considera anzitutto l’insieme delle conoscenze attivate nella memoria a lungo termine come la base della memoria di lavoro, e reputa essenziale un insieme di pochi chunks di conoscenze dichiarative fortemente attivate. Cowan lo chiama “fuoco dell’attenzione” e ritiene che esse siano attivate mediante l’impiego di risorse attentive limitate; - Oberauer lo chiama “REGIONE DI ACCESSO DIRETTO” e ritiene che la sua capacità limitata sia dovuta all’interferenza di altre conoscenze attivate, nonché all’interferenza reciproca fra i chunks che si trovano nella regione di accesso diretto. I contenuti della regione ad accesso diretto non sono semplicemente i chunks di conoscenze dichiarative, ma i temporanei legami (bindings) tra tali conoscenze dichiarative e una struttura di insieme che conferisce loro un senso è una fruibilità. - Con l’espressione “FUOCO DELL’ATTENZIONE”, Oberauer si riferisce a un singolo chunk sul quale il soggetto opera al momento dato. - Oltre alla memoria di lavoro dichiarativa, propone l’esistenza di una memoria di lavoro procedurale: dedicata alla rappresentazione e selezione delle operazioni cognitive da eseguire. La memoria a lungo termine comprende conoscenze dichiarative e procedurali e in ogni momento si possono avere un certo grado di attivazione e un certo numero di conoscenze dell’uno e dell’altro tipo. - Chiama “PONTE” l’insieme delle conoscenze procedurali fortemente attivate che si trovano in uno stato di accessibilità immediata: ponte tra gli stimoli e le risposte; ponte di comando di una nave, dal quale vengono impartiti gli ordini sulle operazioni da eseguire. - Le FUNZIONI ESECUTIVE (FE) contribuiscono a regolare il funzionamento della memoria di lavoro, proteggendola da possibili fonti di interferenza e intervenendo per sostituirvi rappresentazioni non più necessarie con altre utili allo svolgimento dell’attività in corso. Secondo Oberauer le due funzioni esecutive chiamate updating e shifting consistono nel rinnovare i contenuti rispettivamente della regione ad accesso diretto (memoria di lavoro dichiarativa) e del ponte (memoria di lavoro procedurale). 16 Oggi sono aperte alla discussione le ipotesi che la memoria di lavoro dichiarativa e quella procedurale siano strutture distinte, ciascuna con la propria capacità limitata, e che i limiti di capacità e l’oblio della memoria di lavoro dipendano esclusivamente da processi di interferenza da parte di altre rappresentazioni che competono con quelle necessarie nel momento dato. 4.7 Il modello di Pierre Barrouillet Anche questo modello considera la memoria di lavoro come parte della memoria a lungo termine attivata utilizzando risorse attentive. Si differenzia da altri per la modalità di funzionamento dei processi attentivi. Il Time-Based Resource Sharing (TBRS), “condivisione di risorse basata sul tempo”, ipotizza che vi sia: - un elaboratore centrale che si occupa di “rinfrescare” le rappresentazioni in memoria di lavoro dedicando loro attenzione e in tal modo riattivandole, ma può farlo solo quando non è impegnato in altre operazioni cognitive. L’attenzione si sposta rapidamente tra le informazioni da tenere presenti e le operazioni da eseguire e quanto più il compito da eseguire è impegnativo tanto meno le rappresentazioni in memoria di lavoro possono essere riattivate. Barrouillet et. al. utilizzano il metodo degli span complessi. Sulla base di una serie di esperimenti propongono una legge generale, secondo la quale lo span (il numero di elementi ricordati) in una prova di span complesso è una funzione lineare decrescente del “carico cognitivo” (cognitive load, CL), definito come la proporzione di tempo in cui, durante la memorizzazione, l’elaboratore centrale è impegnato in operazioni cognitive diverse nel prestare attenzione al materiale memorizzato. Limite delle ricerche: non si prestano bene a studiare i possibili effetti di altre variabili cognitive, come il grado di interferenza teorizzato da Oberauer. 4.8 Lo sviluppo della memoria di lavoro Negli ultimi decenni si sta affermando un’idea generale della memoria di lavoro basata sull’uso di risorse attentive per attivare un piccolo numero di rappresentazioni presenti nella memoria a lungo termine. Vi è un effettivo incremento con l’età nella capacità della memoria di lavoro, dovuto alla maturazione. 4.9 I modelli neopiagetiani Insieme di teorie che nascono come teoria dello sviluppo cognitivo; l’iniziatore della corrente Pascual- Leone. Propone che il motore dello sviluppo cognitivo sia costituito dalla capacità di attivare simultaneamente e coordinare un numero di schemi crescente con l’età. Una volta acquisiti la “funzione simbolica” e i primi “schemi esecutivi”, a circa 3 anni il bambino sarebbe in grado di attivare con risorse attentive endogene un solo schema, e la sua capacità si accrescerebbe di circa un’unità ogni due anni, fino a raggiungere nell’adolescenza una capacità media di 7 unità. Compound Stimuli Visual Information Task, CSVI: compito, nel quale si presentano stimoli visivi compositi, in cui sono presenti diverse caratteristiche rilevanti e si richiede una distinta risposta motoria a ciascuna caratteristica. Metafora, espressa in termini energetici: 1. gli schemi che servono per rispondere a ogni caratteristica percettiva con il gesto appropriato sono paragonati a lampadine, cui l’impatto visivo fornisce l’energia sufficiente per illuminarsi solo debolmente, 17 L’effetto Simon è stato più volte replicato anche con materiali visivi. Aisenberg e Henik richiedono ai partecipanti di rispondere al colore degli stimoli. Gli stimoli possono apparire nella parte sinistra dello schermo, o nella parte destra, o in una posizione centrale: facilitazione dovuta alla relazione di congruenza fra il campo percettivo visivo e la struttura spaziale delle risposte. Quando lo stimolo appare dal lato opposto della risposta, la richiesta la risposta è circa 20 ms più lenta rispetto alla condizione neutra, evidenziando l’interferenza del campo percettivo e visivo su una risposta spazialmente incongruente. 5.3 L’automatizzazione conseguente all’apprendimento • Ricerche Schneider e Shiffrin: i partecipanti eseguono compiti di ricerca visiva, consistenti nell’individuare determinati stimoli bersaglio all’interno dell’insieme di stimoli presentati per brevissimo tempo. Prima dell’esperimento i partecipanti si esercitano. Durante l’esperimento, le singole prove variano per il numero di stimoli bersaglio e per il numero di caratteri alfanumerici presentati contemporaneamente. Vi sono due condizioni sperimentali: 1. “ABBINAMENTO COSTANTE” (consistent mapping): gli stimoli bersaglio sono una categoria ben definita e non appaiono mai come distrattori (o numeri o lettere); 2. “ABBINAMENTO MUTEVOLE” (varied mapping): condizione, sia il bersaglio, sia i distrattori saranno lettere e una stessa lettera può essere usata come bersaglio in una prova e come distrattore in un’altra. I risultati nelle due condizioni sono molto differenti: 1. in quella mutevole è più difficile individuare i bersagli (tempi di presentazione più lunghi, all’aumentare del numero degli stimoli bersaglio del numero di caratteri presentati nello stesso tempo aumentano gli errori di omissione e il tempo necessario a decidere se il bersaglio sia presente o meno). 2. Nella condizione di abbinamento costante, i partecipanti riescono bene nel compito anche se gli stimoli vengono presentati per un tempo molto breve. Questo è possibile, dopo una sufficiente pratica, solo nella condizione in cui la decisione da prendere e la risposta da fornire rimangano costanti per ciascuno stimolo. Quando invece ogni possibile stimolo deve essere trattato ora come bersaglio, ora come distrattore, l’automatismo non si realizza neppure dopo una lunga pratica. Le differenze tra i processi automatici innescati dall’abbinamento costante e i processi controllati messi in atto nella condizione mutevole non sono solo quantitative, si tratta di processi diversi dal punto di vista qualitativo: nella condizione mutevole, i partecipanti devono identificare ogni singolo carattere presentato e confrontare sequenzialmente ogni possibile bersaglio rappresentato in memoria di lavoro con ogni carattere percepito, mentre nella condizione di abbinamento costante la presenza sullo schermo di un carattere bersaglio attiva direttamente la propria rappresentazione mentale, senza necessità di ricerche in memoria o di sequenze di confronti. Alcuni esperimenti utilizzano due gruppi di lettere costituiti in modo arbitrario e, nelle condizioni di abbinamento costante, ne impiegano uno come insieme dei bersagli e l’altro come distrattore, senza offrire ai partecipanti alcuna pratica preliminare. Questi esperimenti dimostrano come l’AUTOMATIZZAZIONE sia un effetto della pratica nei processi controllati: essa emerge da processi controllati effettuati centinaia centinaia di volte. • Schneider e Fisk dimostrano un’altra proprietà dei processi automatici: la possibilità di eseguire in simultanea due compiti senza deterioramento della prestazione in alcuno di essi. Ai partecipanti viene presentata una sequenza di rapide schermate, che contengono contemporaneamente una parola al centro dello schermo e due cifre negli angoli. Il compito di individuazione di parole si svolge con un abbinamento costante e quello con i numeri comporta un abbinamento mutevole. Questo esperimento dimostra che lo sforzo richiesto 20 dall’esecuzione di un compito automatizzato è davvero minimo, in quanto non interferisce con l’esecuzione sincrona di un compito impegnativo come quello delle cifre con bersagli notevoli. Una successiva fase dell’esperimento dimostra che, grazie alla pratica, possiamo automatizzare il riconoscimento non solo di determinate parole, ma anche di intere categorie semantiche. Un’altra conclusione è che l’automatizzazione non consiste soltanto nella formazione o nel rafforzamento di una connessione tra una categoria di stimoli e una risposta, ma si forma una rete di connessioni più complessa, che coinvolge, oltre alla rappresentazione di una categoria e all’attivazione di una risposta, anche la rappresentazione del contesto. Negli esperimenti sull’automatizzazione, i partecipanti non diventano sensibili semplicemente a determinate categorie di stimoli, come le consonanti o i nomi delle parti del corpo, ma al fatto che quelle categorie di stimoli sono rilevanti nel contesto di un certo esperimento. L’importanza del contesto per l’automatizzazione è avvalorata anche da ricerche recenti con metodi elettrofisiologici: la rappresentazione del compito, localizzata nella corteccia prefrontale, interverrebbe ad aprire o chiudere il cancello che lascia passare uno ai processi automatici. 5.4 Il concetto di controllo - Si riferisce a tutte le attività di controllo dirette a pensieri o azioni che il nostro sistema cognitivo mette in atto per consentirci di raggiungere i nostri obiettivi. - Contrariamente ai processi automatici, quelli controllati sono più lenti; sono soggetti all’interferenza di altri processi automatici e si basano sull’idea che esista un meccanismo centrale a capacità limitata. • Posner e Snyder, effetto Stroop: sono proposte una serie di parole riferite ai nomi di colori stampate con inchiostro colorato e sono previste due condizioni: 1. una congruente, in cui nome e colore della stampa coincidono; 2. una incongruente in cui nome e colore della stampa sono discrepanti. Il compito richiede di denominare a voce alta il colore dell’inchiostro con cui è stampata la parola (compito di denominazione) oppure di leggere la parola (compito di lettura). Nella situazione incongruente il colore dell’inchiostro interferisce poco o per nulla con il compito di lettura, ma il significato della parola interferisce in modo sostanziale con il compito di denominazione. Il risultato dimostra che la lettura nei lettori esperti è un processo automatizzato mentre la denominazione è un processo controllato. Effetto interferenza: nelle situazioni in cui sia presente un conflitto questo produce un’interferenza asimmetrica della rappresentazione automaticamente attivata su quella che non gode del beneficio dell’automatismo. L’effetto interferenza che si genera nelle situazioni di doppio compito ha consentito di operazionalizzare il concetto di capacità limitata del sistema. Una funzione fondamentale del controllo è ridurre l’interferenza laddove si presenti. • Kahneman ha proposto un MODELLO DI ATTENZIONE BASATO SULL’IDEA DI SFORZO MENTALE. Riconosce l’esistenza di processi automatici, che richiedono minori risorse in termini di sforzo mentale nonostante abbiano un carico di informazioni elevato; altri processi, invece, esigono l’impiego di risorse. La capacità di elaborazione totale non è fissata rigidamente, ma può variare in funzione di altri fattori, quali le condizioni ambientali, l’attività svolta e le condizioni individuali come livello di expertise (quanto si è esperti nello svolgimento di una certa attività) e l’arousal, che si riferisce a un generale stato di attivazione dell’organismo che 21 ci rende più pronti a reagire agli stimoli esterni. La capacità disponibile aumenta al crescere del livello di attivazione e ciò consente di assegnare maggiore capacità un’attività. Crede nell’esistenza di un sistema centrale che gestisce la politica di allocazione delle risorse, valutando con costanza le richieste formulate da ciascuna attività e adeguando di conseguenza l’attenzione. Secondo questo modello diverse attività possono essere svolte contemporaneamente, a condizione che lo sforzo totale non superi la capacità disponibile. • Allport suggerisce che l’interferenza si verifichi quando compiti simili competono per gli stessi meccanismi di elaborazione; compiti diversi non creano lo stesso livello di reciproca interferenza, quindi l’individuo potrebbe seguirli entrambi. Ipotesi di una limitata capacità del sistema, limiti di tipo strutturale. Un ulteriore limite di capacità considerato riguarda la dimensione temporale che si riferisce alla quantità di tempo in cui può essere sostenuto un processo controllato. Un esempio di questi limiti è data dalla: • Teoria di Barrouilett, che spiega la decadenza degli stimoli in memoria di lavoro facendo riferimento ai limiti temporali di permanenza degli stessi in questo spazio. Indipendentemente dalle fonti che li vincolano, i meccanismi di controllo devono fare i conti con limitazioni tali per cui allocare il controllo a un processo comporta un costo per gli altri. Il termine “costo” indica la diminuzione di efficienza ed efficacia con cui un’attività viene svolta in seguito a condizioni che richiedono un controllo. Il costrutto del controllo è stato operazionalizzato in riferimento a diverse aree del funzionamento. Alcuni modelli teorici si sono occupati di aspetti specifici del controllo, tra cui l’ATTENZIONE. 5.5 Le teorie del controllo attentivo • Per Kahneman controllo e attenzione sono costrutti quasi inseparabili, poiché l’attenzione svolge una delle funzioni fondamentali del controllo: la selezione di alcuni processi sui quali impiegare risorse rispetto ad altri. • Effetto cocktail-party: esperimenti di Cherry, dimostrano come possiamo seguire una conversazione in un ambiente affollato filtrando via tutte le altre conversazioni intorno a noi. Alcuni autori hanno proposto che il nostro sistema cognitivo a un certo punto crei un collo di bottiglia attraverso cui possono entrare solo le informazioni rilevanti. • Broadbent ritiene che vi sia un filtro precoce; • altri autori ipotizzano l’esistenza di un filtro tardivo per cui tutta l’informazione giungerebbe agli ultimi livelli di elaborazione dove avverrebbe la selezione. • Con la TEORIA DEL FILTRO ATTENUATO o DELLA SELEZIONE TARDIVA di Treisman, l’autrice ipotizza che il filtro attentivo, anziché setacciarle completamente, attenui le informazioni irrilevanti che insieme a quelle rilevanti accederebbero agli stadi di elaborazione successivi. • Gli studi sull’effetto priming risolsero la controversia indicando come anche le informazioni non rilevanti subiscano un’elaborazione semantica. Uno stimolo di cui l’individuo non sia per forza consapevole è in grado di influenzare la sua risposta stimoli successivi. Lo stimolo prime attiva la formazione di una rappresentazione che favorisce o interferisce con l’elaborazione degli stimoli successivi. La risposta questi ultimi può essere migliorata (priming positivo) o disturbata (priming negativo) dall’esposizione a un certo stimolo prime. • Bargh, Chen e Burrows hanno suggerito come l’effetto priming possa spiegare gli stereotipi sociali, forme di influenza inconsapevoli del nostro comportamento. 22 Il dibattito sulla natura e sull’organizzazione delle funzioni esecutive in età evolutiva è ancora aperto; alcune evidenze suggeriscono come fino ai 3 anni i processi di controllo non siano ancora differenziati e costituiscano una capacità unitaria. Altri studi suggeriscono come a partire dai 4 anni i processi inibitori e quelli collegati con il funzionamento della memoria di lavoro siano differenziati. Sempre intorno ai 4 anni, gli stessi processi inibitori si diversificano nella capacità di inibizione della risposta e in quella di sopprimere l’interferenza determinata da stimoli visivi irrilevanti. Solo più tardi, in età scolare, a partire dagli 8 anni circa, sarebbe possibile identificare le tre dimensioni: inibizione, funzione di aggiornamento in memoria di lavoro e flessibilità cognitiva. 5.10 Le funzioni esecutive e il contesto Lo sviluppo dei processi di controllo in età prescolare procede in interazione con il supporto dell’ambiente esterno, sia sociale, sia materiale. Tra i fattori contestuali più studiati c’è lo status socioeconomico, associato alla quantità e alla qualità delle stimolazioni cognitive affettive che i bambini ricevono nella prima e nella seconda infanzia con conseguenze delle situazioni di svantaggio sullo sviluppo dei bambini. La ricerca più recente ha rilevato come la situazione di deprivazione e svantaggio abbiano conseguenze su alcuni aspetti specifici, primo fra tutti lo sviluppo linguistico e le funzioni esecutive. Gli effetti del contesto sullo sviluppo delle capacità di regolazione cognitiva sono stati spiegati in relazione all’alto grado di plasticità cerebrale durante il lungo periodo di sviluppo post natale nella corteccia prefrontale, che risulta quindi piuttosto sensibile all’influenza ambientale. Lo status socioeconomico influenza lo sviluppo indirettamente, condizionando la qualità dell’ambiente fisico e psicosociale in cui un bambino vive. Ruolo mediatore di tre fattori: 1. Stress (l’esposizione a situazioni stressanti ha effetti negativi sul funzionamento di diverse aree della corteccia prefrontale implicate nel controllo cognitivo); 2. Qualità delle cure parentali (i genitori che vivono in situazioni di svantaggio sono a maggior rischio di essere esposti a situazioni di stress; i contesti familiari più disorganizzati hanno effetti negativi sullo sviluppo delle funzioni esecutive); 3. Stimolazione cognitiva ricevuta (la stimolazione cognitiva e la qualità e varietà delle opportunità di apprendimento costituiscono un terzo fattore importante in grado di spiegare le differenze nello sviluppo delle capacità di regolazione tra bambini provenienti da contesti socioeconomici diversi). 5.11 Le funzioni esecutive e l’apprendimento Considerato che le funzioni esecutive sono un insieme di abilità che ci sostengono davanti alla novità, sembra plausibile che tali capacità possano influenzare continuamente l’acquisizione di nuove abilità o la gestione di situazioni complesse come l’apprendimento e l’adattamento in un contesto scolastico. - Alcuni studi documentano un’associazione significativa tra efficienza delle funzioni esecutive e apprendimenti fin dall’età prescolare. Le funzioni esecutive favoriscono l’acquisizione delle abilità matematiche emergenti e gli apprendimenti in età scolare. Questi studi longitudinali sono rilevanti perché consentono di identificare i precursori cognitivi della matematica prima dell’ingresso a scuola e contribuiscono allo sviluppo di interventi che possono migliorare le competenze necessarie per l’apprendimento di concetti matematici nei bambini. Le competenze esecutive sono implicate nella 25 comprensione del linguaggio, nella lettura e nella scrittura. Prerequisiti: livello di consapevolezza fonologica, velocità di denominazione, sono buoni predittori della successiva abilità di lettura. • Blair e Razza suggeriscono come l’inibizione abbia un peso sull’acquisizione delle prime competenze alfabetiche insieme all’ampiezza del vocabolario ricettivo posseduto dal bambino. - In uno studio condotto su bambini italiani in età prescolare è emerso come l’inibizione predica la consapevolezza fonologica e abbia un peso nello spiegare la capacità di fusione di sillabe insieme alla memoria di lavoro. Nella fusione di sillabe il bambino deve essere in grado di tenere a mente e manipolare nel contempo più sillabe proposte dall’esaminatore e inibire la risposta automatica di dire la parola completa dopo aver sentito le prime sillabe. L’inibizione e la capacità di memoria di lavoro esercitano un peso significativo sulla velocità di denominazione. Il bambino in età prescolare forse non ha ancora automatizzato la scansione tipica della lettura e deve esercitare un controllo di tipo inibitorio per elaborare in maniera corretta gli stimoli. CAPITOLO 6. L’APPRENDIMENTO = è il meccanismo principale di adattamento all’ambiente e può essere definito come il risultato dell’influenza dell’esperienza che determinerebbe mutamenti tanto nelle rappresentazioni quanto nelle associazioni mentali. L’apprendimento e la memoria sono strettamente connessi: sia che ci si imponga di apprendere (APPRENDIMENTO ESPLICITO), sia che si apprenda in modo incidentale (APPRENDIMENTO IMPLICITO) il risultato sarà l’acquisizione di nuove informazioni/comportamenti che andranno a depositarsi nella nostra memoria. Si verifica apprendimento anche quando si attivano nuove associazioni, quando all’evento che di solito determina un determinato comportamento se ne aggiunge uno nuovo anch’esso in grado di scatenare lo stesso comportamento. 6.1 Gli studi di Pavlov sul condizionamento classico Studiando i processi digestivi sul modello animale, scoprì il RIFLESSO CONDIZIONATO. Utilizzò come animali da esperimento dei cani; due osservazioni: 1. gli animali alla vista del cibo attivavano la produzione di saliva in quantità maggiore; 2. gli animali ospitati nello stabulario manifestavano agitazione sentendo i rumori generati dal personale che si apprestava a distribuire il pasto. Il comportamento innato di salivazione si attivava a fronte della presentazione di cibo. Ipotizzò che fosse possibile ottenerne l’attivazione anche utilizzando stimoli diversi. - Serie di esperimenti nei quali aveva applicato ai cani un piccolo catetere alla ghiandola salivare per misurare le variazioni nella produzione di saliva, dove veniva ripetutamente presentato del cibo (Stimolo Incondizionato, SI) in associazione al suono di un campanello (Stimolo Neutro, SN) e si otteneva un aumento di salivazione da parte degli animali (Risposta Incondizionata, RI). 26 Dopo aver reiterato per un numero di volte l’associazione campanello-cibo, lo sperimentatore faceva solo squillare il campanello senza accompagnarlo con la presentazione del cibo (Stimolo Condizionato, SC) ma otteneva comunque la risposta di salivazione (Risposta Condizionata, RC) instaurando non tanto un nuovo comportamento (la RC è identica alla RI) quanto una nuova associazione (campanello- salivazione). Se per un po’ di tempo non si ripropone l’associazione SI-SC, la RC scompare (cioè, al suono del campanello il cane non saliva più). Questo fenomeno prende il nome di ESTINZIONE. Avvenuta l’estinzione si nota come la RC possa ricomparire a seguito della presentazione dello stimolo condizionato anche non associato allo stimolo incondizionato: questo fenomeno, il RECUPERO SPONTANEO, spiega il rappresentarsi di comportamenti a prima vista estinti laddove si verifichino condizioni particolari. Due aspetti di interesse per comprendere l’apprendimento: 1. La capacità di generalizzare a situazioni simili un comportamento suscitato in principio in risposta a uno stimolo specifico; 2. L’abilità di discriminare stimoli fra di loro simili ma non identici. La GENERALIZZAZIONE DELLO STIMOLO si verifica quando a una risposta condizionata segue la presentazione di uno stimolo che è simile ma non identico allo stimolo condizionato: se vario la tonalità del suono del campanello il cane saliverà ugualmente a patto che ogni tanto il cibo venga presentato in associazione con il campanello dalla tonalità diversa. La capacità di attivare lo stesso comportamento in situazioni fra loro simili è un grosso vantaggio in termini di adattamento perché consente di minimizzare lo sforzo in fasi sia di apprendimento, sia di recupero essendo in grado di adottare la stessa soluzione in situazioni diverse ma dotate di forti somiglianze. È la DISCRIMINAZIONE DELLO STIMOLO che consente di distinguere fra situazioni, oggetti, stimoli simili ma non identici quando gli stessi necessitano di risposte differenziate. 6.2 Il condizionamento operante • Thorndike: esperimenti su gatti affamati posti in una gabbia chiusa al cui interno è presente una tavoletta che, se premuta, determina l’apertura della gabbia al di fuori della quale posto del cibo. In un primo momento il gatto, tratto dall’odore del cibo, si agita nella gabbia tentando invano di uscirne (APPRENDIMENTO PER PROVE ED ERRORI) finché preme la tavoletta causando l’apertura della gabbia. Se si ripropongono le stesse condizioni si osserva diminuzione del tempo necessario tenere l’apertura della gabbia. Ciò avviene perché le risposte, che determinano conseguenze soddisfacenti per chi le ha attivate, hanno una maggiore probabilità di essere ripetute (legge dell’effetto) e la ripetizione dei comportamenti determina un apprendimento migliore e una maggiore probabilità che gli stessi vengano ripetuti (legge dell’esercizio). • Skinner, CONDIZIONAMENTO OPERANTE: esperimenti con ratti da laboratorio; gabbietta (Skinner box) dotata di una leva la cui pressione può determinare la somministrazione di cibo nella mangiatoia 27 cognitivo cui concorrono lo sviluppo genetico e le esperienze dovute al contesto in cui l’individuo agisce e le interazioni che in quel contesto si verificano. • Piaget: fra i processi coinvolti nell’apprendimento due destano particolare interesse: assimilazione e accomodamento. L’utilizzo di un oggetto diverso all’interno di uno stesso schema d’azione prende il nome di assimilazione e non determina il minimo cambiamento nello schema d’azione. Si tratta di un impiego di strumenti differenti, reperiti dall’ambiente che influenza le modalità con cui uno schema d’azione viene agito. Se le caratteristiche dell’oggetto rendono necessari dei cambiamenti nella modalità di esecuzione del gesto, allora processo di accomodamento, in cui il nuovo dato rilevato dall’ambiente viene inserito in schemi d’azione preesistenti ma ne modifica alcune caratteristiche per rendere gli schemi funzionali alle caratteristiche del nuovo oggetto dato. Assimilazione e accomodamento fanno parte di un processo circolare di apprendimento determinato dall’avvicendarsi di fasi di equilibrio e disequilibrio. • Teoria sociocognitiva di Bandura: una parte consistente dell’apprendimento umano avviene per imitazione in seguito all’osservazione dei comportamenti agiti da altre persone indicate come modelli. Affinché l’apprendimento osservativ si realizzi dobbiamo porre attenzione al comportamento messo in atto dal modello, dobbiamo conservarlo in memoria, dobbiamo essere in grado di riprodurlo e dobbiamo essere motivati a farlo. Attenzione, ritenzione, riproduzione e motivazione rappresentano le quattro fasi del processo di modellizzazione. Esperimento in cui tre gruppi di bambini vedevano un film in cui un adulto colpiva violentemente una bambola (Bobo). Dimostrarono che solo il gruppo esposto al film in quel modello veniva punito, una volta in presenza della bambola mostrava un minor numero di comportamenti aggressivi; tutti e rivelavano di aver appreso e comportamenti violenti. 6.4 L’esplorazione e il gioco Nelle prime fasi della vita il meccanismo dell’esplorazione gioca un ruolo fondamentale per l’acquisizione delle conoscenze sulla realtà che ci circonda. Il bambino impara conoscere il mondo esplorandolo fisicamente attraverso i propri sensi, in prima battuta tatto e gusto e successivamente udito e vista. Il comportamento esploratorio, che coinvolge anche la propriocezione o cinestesia, cioè la capacità di percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio e di valutare lo stato di contrazione dei propri muscoli, anche a occhi chiusi, contribuendo al controllo del movimento, non è specifico solo dell’essere umano ma è comune a tutto il mondo animale ed è tanto più importante per la sopravvivenza quanto minore è la durata dell’accudimento genitoriale della prole. Meccanismo del gioco: simulare situazioni di vita reale per prepararsi ad affrontarle quando si manifesteranno nel corso della vita. Nell’essere umano le simulazioni riguardano perlopiù l’assunzione di ruoli; attraverso il gioco il bambino apprende come comportarsi in situazioni relazionali con cui si dovrà confrontare quotidianamente già a partire dai primi anni in particolare quando inserito in contesti formativi. CAPITOLO 7. PENSIERO E RAGIONAMENTO Ragionare significa utilizzare certe informazioni per ricavarne altre secondo qualche principio di coerenza. Non è indispensabile che il ragionamento sia condotto secondo le regole formali della logica, ma possiamo parlare di ragionamento quando il nesso tra le premesse e le conclusioni non sia arbitrario. Non sempre il nostro ragionamento è corretto, spesso ragioniamo in maniera che viola le regole della logica. 30 7.1 Il ragionamento deduttivo = ragionamento nel quale, se tutte le premesse sono vere, allora la conclusione è necessariamente vera; se la conclusione è falsa, allora almeno una delle premesse è necessariamente falsa. Il ragionamento deduttivo porta a conclusioni che non aggiungono informazione che non fosse già contenuta nelle premesse. Tra le forme di ragionamento più studiate vi sono: - I SILLOGISMI CLASSICI o aristotelici, in cui le premesse riguardano le relazioni fra categorie (es. “Tutti gli uomini sono mortali”); - la LOGICA PROPOSIZIONALE, che riguarda le cosiddette proposizioni binarie, costituite dalla connessione tra due proposizioni elementari. Nell’ambito della logica proposizionale sono studiati: i SILLOGISMI CONDIZIONALI, in cui è una premessa ha la forma dell’implicazione, se p allora q. l’IMPLICAZIONE DOPPIA o reciproca (q se e solo se p); la DISGIUNZIONE ESCLUSIVA (p o q ma non entrambi); la DISGIUNZIONE NON ESCLUSIVA (p o q o entrambi). • Secondo Inhelder e Piaget le prime forme di competenza nella logica proposizionale inizierebbero a manifestarsi verso gli 11-12 anni e sarebbero viene acquisite verso i 14-15. Talvolta i ragazzi più grandi usano espressioni verbali che hanno la struttura delle proposizioni binarie. Altre volte i ragazzi non usano in modo esplicito proposizioni ben formulate sul piano logico, ma Piaget le inferisce dai loro comportamenti e affermazioni. Lo “stadio delle operazioni formali” è definito dalla padronanza delle 16 proposizioni binarie e delle trasformazioni (quali negazioni e inversioni) che consentono di passare dall’una all’altra. Sebbene sia vero che gli adolescenti talora usano frasi che hanno la forma delle proposizioni binarie, successive ricerche hanno escluso che sia la competenza logica la causa delle loro abilità di ragionamento. Dagli anni ’80 in poi, la TEORIA DEI MODELLI MENTALI (Johnson-Laird) ha permesso di formulare modelli del ragionamento deduttivo che hanno maggior potere esplicativo: spiegano sia il modo in cui possiamo arrivare a conclusioni logicamente corrette, sia il grado di relativa difficoltà dei problemi e motivi per cui giungiamo a conclusioni errate. Con questa teoria si ipotizza che chi è impegnato in un compito di ragionamento deduttivo si formi un modello mentale delle premesse che ne integri il significato. Quindi formula una conclusione provvisoria, basata su ciò che osserva in quel modello mentale. Cerca controesempi: chiedersi se sia possibile un altro modello mentale, coerentemente con le premesse ma non con la conclusione provvisoria formulata. Se non ne trova si può accettare in via definitiva la conclusione formulata. Se esiste un controesempio (un modello mentale che smentisce la prima e provvisoria conclusione) si tratta di formulare un’altra conclusione provvisoria, congruente con entrambi i modelli mentali costruiti e proseguire con la ricerca di controesempi a tale seconda conclusione. Se in questo processo ricorsivo si riesce a formulare una conclusione compatibile con tutti i modelli mentali costruiti, quella sarà la conclusione ritenuta valida. Se invece non emerge alcuna conclusione compatibile con tutti i modelli mentali si concluderà che da quelle premesse non consegue alcuna conclusione valida. In base a tale teoria del ragionamento deduttivo, la principale fonte di difficoltà dei sillogismi è determinata dal numero di modelli mentali che occorre costruire per raggiungere una soluzione corretta. Se vi sono due diversi modelli mentali compatibili con le premesse, trovare la soluzione corretta e più difficile, soprattutto perché è necessario mantenere in memoria di lavoro due modelli mentali per 31 cercare una conclusione che le rappresenti entrambi. Se i modelli mentali alternativi possibili sono tre, la soluzione è ancora più difficile. Data una coppia di premesse, maggiore è il numero dei modelli mentali diversi e compatibili con esse, tanto più difficile diventa il problema, a causa sia del maggiore carico di memoria di lavoro, sia del più lungo processo di ricerca di controesempi e riformulazione delle conclusioni. 7.2 Gli errori di ragionamento Spesso non si tratta di sbagli del tutto irrazionali o di risposte casuali, ma di ragionamenti incompleti, nei quali non si prendono in considerazione tutte le rappresentazioni possibili, o in cui non si porta con la ricerca di contro esempi o il tentativo di formulare conclusioni compatibili con tutti i modelli delle premesse date. Il carico eccessivo sulla memoria di lavoro e l’insufficiente sistematicità delle procedure possono rendere conto di tali errori. Gli errori di ragionamento dipendono da: - modelli mentali incompleti, - “illusioni cognitive“ - bias attentivi. Illusioni cognitive: vediamo qualcosa che non c’è; constatiamo, nel modello mentale che ci siamo costruiti, la presenza di qualche elemento che, secondo il ragionamento logicamente corretto, non potrebbe esserci. Bias attentivi: (bias=distorsioni) errori dovuti a processi che focalizzano la nostra attenzione su alcuni elementi a discapito di altri, ostacolando o impedendo un ragionamento corretto. Alcuni bias attentivi non riguardano i processi di ragionamento veri e propri ma piuttosto ciò che accade quando si percorre una scorciatoia che evita il ragionamento e produce una risposta basata su impressioni superficiali. Effetto atmosfera: se almeno una premessa di un sillogismo è negativa si tende a produrre una conclusione negativa e se almeno una premessa è particolare si tende a produrre una conclusione altrettanto particolare. I bias attentivi a volte si combinano con le incompletezze dei modelli mentali e in tal caso gli errori di ragionamento diventano pervasivi: es. “il problema delle quattro carte” o “compito di selezione” di Wason. In questo compito si usano stimoli con due caratteristiche e si enuncia una regola. Si presentano quattro carte in modo che una sola faccia sia visibile e l’altra sia coperta. Al partecipante si richiede quali carte sia necessario voltare per scoprire se la regola enunciata sia vera o falsa. Secondo Wason le persone non cercano possibili falsificazioni della regola ma sue conferme. Una spiegazione simile è proposta dalla teoria dei modelli mentali: poiché è difficile rappresentare nei modelli mentali delle informazioni negative, le persone si focalizzano su quella positiva e si limitano a cercare conferme di questo caso positivo. Secondo Evans e Lynch la spiegazione è un bias attentivo: i soggetti presterebbe attenzione agli elementi esplicitamente menzionati nella regola e ignorerebbero gli altri. La soluzione è che nel compito si riscontrano sia un bias attentivo sia l’uso di rappresentazioni e procedure inadeguate, quali l’incompleta rappresentazione della regola e la tendenza a cercare conferme. In un compito, 32 un’ipotesi sulla regola che governa un fenomeno, l’abduzione cerca poi di individuare una causa che spieghi tale regola. I processi essenziali sono: 1. la ricerca in memoria semantica di possibili nessi causali in cui il fenomeno considerato, o qualche suo aspetto, possa essere spiegato; 2. l’individuazione di eventuali incongruenze; 3. la creazione di un modello mentale congruente con tutti gli aspetti e le possibili cause prese in considerazione. 7.5 La soluzione di problemi Risolvere problemi è una delle più importanti funzioni del pensiero. Psicologicamente un problema è tale quando non disponiamo di un algoritmo o una procedura già appresa per risolverlo. Ci sono problemi “ben definiti” e “mal definiti”: un problema “mal definito” trova una sua soluzione che, però, è mal definita in quanto alcune informazioni sono ambigue o mancanti. Non esiste qualcosa che sia oggettivamente un problema; esso è diventato tale nella nostra mente, quando i nostri processi cognitivi lo codificano in modo tale che diventi difficile risolverlo. I fattori che rendono problematica una situazione possono ricondursi a due ampie categorie: 1. il problema può nascere quando vi sia una codifica fuorviante; 2. gli effetti di apprendimenti precedenti possono manifestarsi in modo fuorviante, inducendo a seguire una procedura non utile nella soluzione attuale. Possono indurre degli automatismi cognitivi che spesso sono utili, ma in qualche caso possono portare a un’interpretazione non appropriata o all’uso di una procedura inadeguata. Fattori di campo percettivo e di compatibilità stimolo-risposta: possono indurre una codifica inadeguata e una risposta errata. Esempi: - Closkey, Caramazza e Green, pongono alcuni problemi a degli studenti universitari (moto di una sfera). - PROBLEMA DEI NOVE PUNTI di Maier, chiede ai partecipanti di unire nove punti con quattro segmenti senza staccare la matita dal foglio (campo percettivo dominato dal quadrato). - problemi presentati verbalmente, inferenze parassite: gli effetti di campo sono di natura semantica. Lo stile cognitivo indipendente o dipendente dal campo ha un certo effetto sull’abilità degli individui nel produrre risposte corrette. Gli effetti fuorvianti degli apprendimenti precedenti si dividono in due tipi: 1. FISSITÀ FUNZIONALE: se abbiamo appreso che un oggetto ha una certa funzione di rado pensiamo di utilizzarlo per uno scopo diverso. 2. L’EFFETTO EINSTELLUNG (di impostazione) riguarda l’apprendimento di procedure efficaci che, però, nella situazione presente sono meno adatte o scorrette. I modelli cognitivisti e neopiagetiani hanno contribuito ad approfondire i processi implicati nella soluzione di determinati problemi. Non parlavano di soluzione di problemi ma di “PENSIERO PRODUTTIVO”. INSIGHT: caratterizza il vissuto soggettivo di improvvisa illuminazione che spesso accompagna la soluzione del problema. 35 La spiegazione proposta dalla Gestalt per il processo produttivo di una buona soluzione consiste in una ristrutturazione, o una serie di successive ristrutturazioni della rappresentazione mentale della situazione problematica. Le analisi qualitative dei ricercatori hanno cercato di individuare le cause e i processi di tale ristrutturazione; l’insight non è una causa ma una conseguenza: per effetto della ristrutturazione cognitiva la situazione diventa trasparente e l’insight accompagna, ma non produce, la soluzione. In mancanza di un metodo universale per risolvere i problemi si può formulare un principio generale: i processi di pensiero produttivo che permettono di ristrutturare la rappresentazione mentale del problema disfano quei processi mentali che avevano creato un problema. Di fronte a un problema che pare difficile, può essere utile chiedersi: c’è qualcosa di apparentemente ovvio che in effetti non è necessario? C’è qualche elemento del problema che potrebbe essere visto in altro modo? Si può individuare qualche analogia pertinente con compiti che sappiamo già eseguire? Si può individuare tra alcuni elementi del problema una relazione poco evidente, ma potenzialmente utile per avvicinarsi alla soluzione? Ruolo essenziale di alcune componenti secondo il punto di vista cognitivista: una chiara rappresentazione dell’obiettivo (lo stato finale da raggiungere), la capacità di tenere presenti memoria di lavoro tutte le conoscenze dichiarative e procedurali necessarie, comprese le relazioni cruciali fra i diversi elementi del problema, e i processi di controllo inibitorio che possono neutralizzare effetti di campo o codifiche fuorvianti. 7.6 come funziona il pensiero? Il pensiero umano consiste in una manipolazione mentale di rappresentazioni simboliche: unità cognitive discrete (schemi, chunks, etc.) che possono anche avere relazioni arbitrarie con il mondo rappresentato. È influenzato da processi attentivi (salienza, compatibilità stimolo-risposta) che comportano l’attivazione automatica di conoscenze dichiarative e procedurali. Vi sono implicati i processi di attivazione di significati e diffusione dell’attivazione entro le reti semantiche. Gli apprendimenti e le esperienze precedenti influenzano i processi di pensiero. Quando non si disponga di algoritmi o di schemi di inferenza adeguati, il pensiero può essere guidato da euristiche, a volte fonte di bias. Può anche essere guidato da strategie almeno in parte razionali: la costruzione di modelli mentali, la ricerca di somiglianze o di relazioni isomorfi, la revisione dei modelli mentali, la revisione delle ipotesi o delle analogie. Le strategie razionali sono vincolate dalla capacità di memoria di lavoro e dall’efficienza delle funzioni esecutive. CAPITOLO 8. LE DIFFERENZE INDIVIDUALI E L’APPRENDIMENTO 8.1 Gli stili cognitivi STILE COGNITIVO: modo in cui gli individui percepiscono, risolvono i problemi, apprendono e si relazionano con gli altri. Stili cognitivi e personalità • Primi studi tra gli anni ‘40 e primi anni ‘50: Witkin rileva significative differenze individuali nel modo in cui le persone percepiscono l’orientamento verticale di una barra posta all’interno di diversi campi in un compito chiamato “Road-and-Frame Test”. Alcuni percepiscono la barra in posizione verticale solo 36 quando allineata con gli assi del campo circostante, mentre altri non risultano influenzati dalle caratteristiche del campo. L’idea introdotta dai primi studi sugli stili cognitivi era che si potessero trovare significative differenze nell’esecuzione di semplici compiti cognitivi e comprovare che le persone mostrano altrettante differenze nella capacità di apprendimento e nelle modalità con cui percepiscono e risolvono i compiti. Witkin, 1965 elabora una teoria per spiegare le differenze individuali rappresentata dal costrutto della dipendenza e indipendenza dal campo: individui che sono più indipendenti dal campo sono abili nell’identificare oggetti o dettagli inseriti in contesti che potrebbero interferire con la loro visione, tendono a vedere gli oggetti o i dettagli in modo separato dal contesto in cui sono inseriti. Gli individui più dipendenti dal campo sono meno capaci di percepire gli oggetti separati dall’ambiente circostante e tendono a essere più influenzati dalle caratteristiche del contesto. Il concetto di dipendenza-indipendenza dal campo può essere usato per descrivere le differenze individuali nello stile intellettuale e nel comportamento globale. Gli individui dipendenti dal campo si affidano maggiormente a referenti sociali esterni nelle situazioni ambigue e mostrano maggiore attenzione verso gli indizi sociali; le persone indipendenti dal campo mostrano un orientamento più impersonale, esibendo un distanziamento psicologico e fisico ad altre persone. Le differenze individuali nella percezione sono il risultato di diverse modalità di adattamento al mondo: individui dipendenti e indipendenti hanno componenti specifiche che risultano adattive in particolari situazioni. La dipendenza dal campo riflette una modalità di adattamento precoce e relativamente indifferenziata al mondo, mentre l’indipendenza dal campo riflette una modalità più tardiva e differenziata. Un individuo indipendente dal campo altamente differenziato può essere molto efficiente in compiti percettivi e cognitivi, tuttavia, può mostrare risposte inappropriate a determinate richieste del contesto ed essere in disaccordo con il suo ambiente. Pervasività psicologica: assenza di confine tra funzionamento cognitivo e personalità. Questi studi suggeriscono l’esistenza di uno stretto legame tra intelligenza e personalità, che risultano coniugati nella nozione di stile cognitivo. Altri studi ritengono che il costrutto della dipendenza-indipendenza dal campo si limiti a differenze individuali nei modelli di preferenza visuo-percettiva. Dimensioni: impulsività e riflessività. Rappresentano rispettivamente una tendenza a fornire in maniera rapida le risposte oppure a ritardarle per diminuire il numero di errori nelle situazioni in cui si debba risolvere un problema. Uno strumento utilizzato per misurare le dimensioni impulsività-riflessività e il Matching Familiar Figures Test (MFFT): il compito richiede di selezionare una figura tra 6 varianti simili di cui una identica alla figura bersaglio. • Kagan utilizza il MFFT per differenziare gli individui impulsivi e riflessivi e indagare quanto questa caratteristica possa influenzare altre abilità. I risultati sembrano portare a riconoscere possibili difficoltà derivanti dall’essere impulsivi; tuttavia, la dimensione riflessività-impulsività intesa come stile cognitivo o caratteristica di personalità non presenta una connotazione negativa di per sé; sembra dipendere dalla situazione che occorre affrontare. Quando si osserva un’esacerbazione dell’impulsività questa può risultare disfunzionale all’adattamento. Il MFFT Può essere ritenuto un compito che consente di cogliere anche aspetti cognitivi della regolazione, quali i processi inibitori. Eventuali prestazioni di tipo impulsivo, caratterizzate da alta velocità e bassa accuratezza, potrebbero essere considerate come l’espressione di un deficit cognitivo piuttosto che come uno stile cognitivo. 37 4. Astratto-casuale. I quattro stili mediano la ricezione e l’espressione delle informazioni da parte degli individui. • Kolb, considera l’apprendimento come un processo olistico e continuo di adattamento al mondo, una costante modificazione dei concetti attraverso l’esperienza, che coinvolge il funzionamento integrato di pensiero, sensazione, percezione e comportamento. La sua proposta di “ciclo di apprendimento“ prevede quattro modalità di apprendimento adattivo: 1. Stile convergente, sono inclini a risolvere i problemi con soluzioni corrette singole. Utilizzano la concettualizzazione astratta per elaborare l’esperienza e la sperimentazione attiva per trasformarla. Questo stile è vantaggioso nel completamento dei test tradizionali di intelligenza e nella presa di decisioni, tende a far bene in compiti tecnici e meno bene nelle relazioni interpersonali; 2. Stile divergente, individui che sono in grado di generare ed esplorare più risposte ai problemi. Si basa sull’esperienza concreta per elaborare la realtà e sull’osservazione riflessiva per trasformarla. Preferenza per gli studi umanistici; 3. Stile assimilatore, percepire le informazioni attraverso la concettualizzazione astratta e trasformarla attraverso l’osservazione riflessiva. Sono perlopiù razionali, meno influenzati dalle emozioni e più interessati ai concetti astratti che alle persone; 4. Stile accomodatore, percezione delle informazioni attraverso l’esperienza concreta e la loro elaborazione attraverso la sperimentazione attiva. Basano le loro decisioni sui sentimenti e preferiscono lavorare con le persone. Tali stili risultano dalla combinazione di due modalità di elaborazione dell’esperienza (concettualizzazione astratta ed esperienza concreta) e di due modalità di trasformazione della stessa esperienza (sperimentazione attiva e osservazione riflessiva). Vi sono poche evidenze che l’abbinamento tra specifici stili di apprendimento e metodi didattici su misura produca un vantaggio per l’apprendimento. 8.3 Temperamento = si riferisce alle differenze individuali a base biologica rilevabili nel comportamento, che compaiono molto presto e sono relativamente stabili nel corso del tempo e in situazioni diverse. • Zentner e Bates —> caratteristiche del temperamento: - Differenze individuali e comportamenti normali relativi ai domini dell’affettività, dell’attività motoria, dell’attenzione, e della sensibilità sensoriale; - Si esprime attraverso caratteristiche quali l’intensità di una risposta comportamentale, la latenza, la durata, la soglia di attivazione e i tempi di recupero; - Compare precocemente, nei primi anni di vita, e si esprime appieno partire dall’età prescolare; - Il corrispettivo del temperamento osservabile anche nei primati in alcuni mammiferi sociali; - è influenzato in modo complesso da meccanismi biologici; - È stabile e predittivo di esiti concettualmente coerenti (es. inibizione in età precoce è predittiva di manifestazioni internalizzanti oppure precoci difficoltà nel comportamento possono essere collegate a futuri disturbi esternalizzanti). Tratti e profili temperamentali 40 - INIBIZIONE COMPORTAMENTALE: tendenza a manifestare paure e emozioni negative; è spesso anche associata la timidezza e costituisce un costrutto relativamente ampio che comprende l’inibizione nei confronti di persone, situazioni o ambienti non familiari, la tendenza a evitare rischi fisici, l’inibizione in situazioni in cui si è esposti alla valutazione degli altri. - IRRITABILITÀ: a cui si associa anche la tolleranza alla frustrazione; inclinazione dell’individuo a rispondere in maniera negativa di fronte a stimolazioni e situazioni che impediscono la soddisfazione di un bisogno o il raggiungimento di una gratificazione. - EMOZIONALITÀ POSITIVA: è uno dei sistemi comportamentali più importanti e riguarda l’elaborazione di informazioni su potenziali ricompense. Le differenze individuali delle emozionalità positiva si esprimono attraverso reazioni quali i comportamenti anticipatori (azioni positive che precedono una gratificazione), la ricerca di sensazioni forti o della novità, il sorriso e la risata, e talvolta il livello di ATTIVITÀ MOTORIA. Quest’ultima è un’altra dimensione temperamentale molto rilevante, che emerge come caratterizzante il comportamento dell’individuo fino all’adolescenza. Di solito si esprime con la quantità di movimento che un bambino manifesta. Può assumere valenze diverse associate ad altre peculiarità: per esempio, quando si presenta alta in individui eccessivamente distraibili e contraddistinti da inabilità a mantenere l’attenzione su un’attività, potrebbe essere l’espressione di una difficoltà a regolare il comportamento, elemento caratterizzante di alcune situazioni patologiche come il disturbo da deficit di attenzione-iperattività. Quando invece la tendenza a manifestare l’attività motoria è alta in chi possiede un buon controllo attentivo, essa potrebbe essere l’espressione di una disposizione al dinamismo, che non ha particolari per conseguenze negative sull’adattamento e funzionamento nei diversi contesti. L’attenzione e la persistenza sono dimensioni temperamentali. Temperamento, 2 dimensioni : 1. Reattività: precoci componenti reattive (velocità, forza e valenza positiva o negativa) della risposta di un bambino a una stimolazione; 2. Autoregolazione: meccanismi che l’individuo mette in atto al fine di gestire la reattività connessa a stimoli positivi e negativi. EFFORTFUL CONTROL: “controllo con sforzo”, capacità di inibire una risposta dominante e/o di attivare una risposta non dominante, di pianificare e rilevare errori. Questa capacità può essere differenziata in due sottocomponenti principali: il controllo dell’attenzione e il controllo inibitorio. SENSIBILITÀ SENSORIALE: descrive la reattività dell’individuo rispetto agli stimoli sensoriali. Comprende aspetti quali la sensibilità stimoli con valenza negativa, come forti rumori, la capacità di reagire a stimoli di bassa intensità e la soglia sensoriale. • Thomas e Chess, Tre profili bambini: 1. Bambini difficili: difficoltà di adattamento tra individuo e ambiente; 2. Bambini facili; 3. Bambini lenti a scaldarsi: buone caratteristiche temperamentali ma con tempi per adeguarsi ai cambiamenti alle situazioni decisamente più lunghi. In seguito altri: - Basso controllo: ostinati, irrequieti, disattenti e impulsivi; - Alto controllo: controllati, timidi, obbedienti, autocritici, amati dagli adulti: 41 - Resiliente: sicuri di sé, capaci di concentrarsi, autonomi e aperti. Il temperamento e l’apprendimento La presenza di determinate proprietà temperamentali influenza sia il tipo di risposta del bambino alle cure parentali, sia gli atteggiamenti/comportamenti degli adulti che accudiscono il bambino: questa interazione reciproca un effetto sul corso dello sviluppo e anche sull’evoluzione delle capacità di acquisire abilità sociali e di apprendere in tempi ragionevoli. Seguendo l’approccio basato sul considerare specifiche costellazioni di caratteristiche temperamentali, alcuni autori hanno indagato l’associazione tra profili temperamentali e altri domini dello sviluppo, come linguaggio o i prerequisiti dell’apprendimento, cioè le capacità presenti in età prescolare che sono alla base degli apprendimenti scolastici. Per esempio, un profilo temperamentale caratterizzato da alti livelli di attività motoria, alta distraibilità e una bassa propensione a interagire con gli altri è stato individuato nel terzo anno di vita in bambini che contestualmente presentavano il rischio per l’acquisizione del linguaggio. Lo stesso profilo temperamentale risultava anche associato a bassi livelli di abilità nei prerequisiti scolastici in un campione di bambini cinque anni. CAPITOLO 9. LA FORMAZIONE DEI CONCETTI 9.1 Le forme del pensiero 1. PENSIERO PROPOSIZIONALE: ogni volta che diciamo o pensiamo verbalmente qualcosa esprimiamo una proposizione. Questo pensiero può utilizzare elementi provenienti dalla “conoscenza dichiarativa” (insieme delle conoscenze sul mondo che sono sempre disponibili nella memoria a lungo termine) per raccontare un fatto accaduto, anche soltanto ipotizzato. 2. Il PENSIERO PER IMMAGINI: quando utilizziamo rappresentazioni iconiche (anche olfattive, tattili, uditive e propriocettive), ossia immaginiamo mentalmente oggetti, situazioni, sensazioni. Vi è un acceso dibattito che ha contrapposto l’ipotesi proposizionale a quella analogica: la posizione proposizionalista nega l’autonomia dell’attività immaginativa come processo cognitivo e sostiene che il formato con cui verrebbero codificate le informazioni proveniente dall’esterno, sia verbali sia non verbali, sia unico, proposizionanale, simbolico e astratto. L’ipotesi analogica, invece, sostiene l’esistenza di due codici di elaborazione dell’informazione, in grado di operare congiuntamente anche se con competenze e caratteristiche differenti: il codice proposizionale-linguistico e quello analogico, incaricata di elaborare gli input e non linguistici. 3. Il PENSIERO NARRATIVO, due caratteristiche: la dimensione interpretativa, che è determinata dalla funzione di mediazione tra l’esperienza oggetto della narrazione e colui che la racconta. Il pensiero narrativo non è vincolato alla realtà ma rappresenta un punto di vista sulla realtà esperita, è ricreata attraverso la narrazione. La dimensione episodica, che il pensiero narrativo assume: essendo riferito a eventi, fatti ed episodi esso è organizzato da un punto di vista spazio-temporale e da uno causale. Secondo l’approccio socioculturale, Bruner, il pensiero narrativo o sintagmatico costituisce il nostro modo di interpretare gli eventi assemblandoli e rappresentandoli secondo una trama che è determinata dal senso che vogliamo attribuire all’oggetto del racconto. 4. PENSIERO PROCEDURALE: riguarda le conoscenze necessarie per raggiungere un obiettivo unitamente all’abilità di pensiero capace di gestirle. Ci consente di operare sul mondo attraverso l’uso funzionale di oggetti e l’acquisizione di procedure d’azione efficaci. In rapporto al pensiero procedurale è fondamentale introdurre la nozione di script (trama, copione) formulata da Schank e Abelson, prima in relazione alla pianificazione e alla 42 • Carey, individua due tipi di cambiamento dominio-specifico: 1. la RISTRUTTURAZIONE DEBOLE: è caratterizzata da un amento delle relazioni tra i concetti senza che i loro attributi fondamentali cambino. I concetti vengono inseriti in schemi più complessi formandone di superordinati in cui sono inclusi quelli preesistenti: questi schemi più articolati sono utili alla soluzione di problemi nuovi o contribuiscono a cambiare quelle già date a questioni precedentemente risolte. Es. la conoscenza dei principianti e quella degli esperti in un determinato dominio di saperi. 2. la RISTRUTTURAZIONE RADICALE, riguarda il mutamento della struttura dei concetti, delle relazioni esistenti fra loro e del dominio di fenomeni che i concetti sono in grado di spiegare. Come si evolvono i concetti? Distinguere l’evoluzione dei concetti legati allo sviluppo ontogenetico e quella determinata dai processi di istruzione formalizzata. • Hantano e Inagaki si sono occupati di biologia naïf individuando due tipologie di cambiamento: 1. quello che sancisce il passaggio dalle inferenze basate sulla similarità alle inferenze basate sull’appartenenza categoriale 2. quello che determina il passaggio da spiegazioni di causalità vitalistica a spiegazioni di causalità meccanica. L’istruzione formalizzata consente di aumentare gli attributi delle diverse categorie concettuali rendendo possibili inferenze più complesse. 9.4 L’apprendimento scolastico e le misconcezioni MISCONCEZIONI: sono rappresentazioni concettuali scorrette da un punto di vista scientifico, inevitabili nel corso del processo di apprendimento. La presenza di misconcezioni in un ambito specifico implica, in termini di apprendimento scolastico, un cambiamento concettuale, cioè la ristrutturazione delle conoscenze esistenti in modo da consentire l’integrazione delle nuove. Nel corso dell’esplorazione e della conoscenza del mondo l’essere umano costruisce delle interpretazioni concettuali dei fenomeni che vede a partire dall’osservazione diretta e in base alle categorie concettuali che ha a disposizione: ciò comporta, in assenza di conoscenze scientifiche e specifiche, lo sviluppo di concetti non aderenti all’effettiva spiegazione del fenomeno oggetto di attenzione. Stereotipo: rappresentazione, costruita in base all’esperienza e a quanto appreso da altri, che condiziona l’atteggiamento nei confronti di chi è oggetto di tale rappresentazione. • Nussbaum e Novick indicano quattro condizioni in grado di favorire la ristrutturazione di conoscenze: 1. Fare in modo che gli studenti esplicitino i propri concetti attraverso l’interpretazione di fenomeni e/o eventi; 2. Favorire le discussioni di gruppo per permettere un confronto fra le proprie e le altrui concezioni; 3. Stimolare la nascita di conflitti cognitivi proponendo eventi discrepanti non affrontabili sulla base dei concetti comunemente noti; 4. Favorire l’accomodamento cognitivo per giungere ad elaborare un modello concettuale nuovo e coerente con il concetto scientifico più accreditato. • Il modello che indica le condizioni necessarie per operare la ristrutturazione di un concetto più conosciuto è quello di Posner, che ne propone quattro: 45 1. Insoddisfazione: l’insoddisfazione per le proprie idee ne enfatizza i limiti rispetto alla comprensione della realtà inducendo alla rielaborazione delle stesse; 2. Intelligibilità: un nuovo concetto deve essere comprensibile per essere appreso; 3. Plausibilità: per essere accettata, la nuova concezione non deve essere del tutto in contrasto con quella da ristrutturare; 4. Vantaggio: il nuovo concetto deve fornire l’opportunità di risolvere i problemi non affrontabili con la concezione precedentemente posseduta. Sulla base di questo modello è stata sviluppata una didattica costruttivistica per l’educazione scientifica centrata sull’idea che l’apprendimento sia il risultato dell’interazione tra concezioni esistenti e nuovi concetti e che dipenda dalla natura dell’interazione. CAPITOLO 10. LA LETTURA E LA COMPRENSIONE DEL TESTO SCRITTO 10.1 Le caratteristiche della lingua italiana e la lettura - L’italiano è una lingua a ortografia regolare, definita “trasparente“ perché la pronuncia di una parola scritta può essere ricavata con un elevato grado di accuratezza sulla base di regole di conversione grafema-fonema. - L’inglese è una lingua opaca, in cui la relazione fra lettere e suono non è regolare e a una stessa lettera o sequenza di lettere possono corrispondere suoni diversi. Un’ambiguità della lettura in italiano riguarda la posizione dell’accento tonico nelle parole. I bambini di lingue trasparenti (finlandese, italiano e tedesco) alla fine della prima primaria leggono correttamente il 95% delle parole, contro il 71% dei danesi e il 34% dei bambini inglesi. I modelli cognitivi della lettura prevedono due vie: 1. VIA SUBLESSICALE: si basa sulle regole di conversione grafema-fonema e consente di leggere tutte le parole regolari, anche se è sconosciuta al lettore. È generalmente la prima procedura di lettura che viene acquisita quando il bambino impara ad associare ogni grafemi al suono corrispondente. Il recupero del significato avviene in un momento successivo, quando la parola viene pronunciata. Questa strategia di lettura richiede un procedimento in più fasi: - segmentazione della parola in grafemi; - assegnazione del fonema corretto a ogni grafema; - fusione dei singoli fonemi nella parola intera. Ha un costo in termini di tempo e di risorse cognitive. 2. VIA LESSICALE: è tipica dei lettori esperti, consente di leggere parole già note e si basa su due magazzini che contengono le parole conosciute dal lettore: - il lessico ortografico di entrata, in cui le parole sono immagazzinate nella loro forma visiva; - il lessico fonologico di uscita, in cui sono immagazzinate le forme fonologiche delle parole. Tramite la strategia lessicale, il lettore riconosce la parola in modo globale e ha un accesso immediato al significato. 46 Nel corso dell’apprendimento della lettura si passa dall’uso prevalente della strategia alfabetica all’uso della strategia lessicale. La correttezza in lettura nelle lingue trasparenti come l’italiano viene raggiunta molto precocemente, entro il primo biennio della scuola primaria; ciò che cambia e migliora in modo lineare fino alla fine della primaria è la velocità in lettura che rappresenta un parametro più accurato della competenza di lettura per i bambini italiani rispetto alla correttezza. 10.2 L’apprendimento della lettura Il processo di sviluppo che consente ai bambini di acquisire l’abilità di lettura a inizio nella scuola dell’infanzia inizia prima dell’istruzione formale grazie all’immersione in un contesto in cui la lingua scritta è uno dei sistemi primari di comunicazione. • Frith, MODELLO DI SVILUPPO DELLE CAPACITÀ DI LETTURA per i bambini inglesi, può essere applicato la lingua italiana. Prevede che l’acquisizione della lettura avvenga attraverso quattro fasi: 1. STADIO LOGOGRAFICO, il bambino riconosce in modo immediato alcune parole, grazie all’utilizzo di indizi visivi salienti che ha memorizzato; sviluppa in questo modo una sorta di vocabolario visivo composto da parole a lui familiari, si sviluppa nel periodo prescolare; 2. STADIO ALFABETICO: il bambino acquisisce principi alfabetici alla base del sistema ortografico; impara che le parole sono formate da lettere e che è possibile scomporre, associare ogni gruppo di lettere a un suono e fondere insieme i suoni per leggere il termine intero. Acquisisce le regole di conversione grafema-fonema. Questa capacità è rafforzata dalla concomitante acquisizione della scrittura che aiuta il bambino a comprendere il principio della segmentazione delle parole. Alcuni bambini acquisiscono questa capacità già nel periodo prescolare, la maggior parte matura la strategia alfabetica con l’inizio della scuola primaria; 3. STADIO ORTOGRAFICO: imparano la regolarità e le specificità della lingua italiana; più sensibile al ruolo del contesto ortografico nella lettura. Il bambino comincia a segmentare il termine sulla base di unità più grandi della singola lettera; 4. STADIO LESSICALE: acquisizione della via lessicale, legge in modo immediato la parola recuperandola dal lessico mentale che ha via via sviluppato, utilizzerà strategie di tipo alfabetico quando incontra una parola nuova. Alcuni bambini sviluppano precocemente capacità di sintesi e segmentazione fonemica e utilizzano fin dalle prime fasi di acquisizione della lettura una strategia fonologica e non logografica. Il metodo alfabetico favorisce lo sviluppo di strategie di lettura alfabetiche, mentre quello globale (più utilizzato con le lingue opache) incoraggia una strategia di lettura lessicale. L’accuratezza e lettura dopo i primi quattro mesi di scuola varia dal 10 all’85%. I bambini con bassa accuratezza utilizzano indizi ortografici e tentano di indovinare la parola; altri impiegano una lettura lettera per lettera, molto lenta e dispendiosa ma che consente di ottenere una maggiore precisione in lettura; alcuni mostrano già una certa padronanza delle strategie alfabetiche e ortografiche, leggono le sillabe e in alcuni casi utilizzano la lettura silente, ottenendo così un livello più elevato di correttezza in lettura. Alla fine della prima la maggioranza dei bambini raggiunge un livello elevato di accuratezza, padroneggiando e strategie alfabetiche più o meno evolute, e alla fine della seconda la lettura lessicale utilizzata dai bambini per leggere le parole è ad alta frequenza d’uso. 10.3 I prerequisiti della lettura 47 3. anafora: richiamare un elemento di cui si è parlato in precedenza utilizzando un termine diverso, come un pronome o un sinonimo; 4. inferenza lessicale: recuperare il significato di una parola che non si conosce in base al contesto. Maggiori sono le inferenze da produrre, più arduo sarà il testo. La memoria di lavoro Consente al lettore di mantenere attive le informazioni lette e nel contempo di integrarle e collegarle per costruire una rappresentazione mentale del testo man mano che si legge. Inibizione: permette di eliminare dalla memoria di lavoro sia le informazioni non rilevanti o ridondanti, sia le rappresentazioni mentali che non risultano più adeguate. Uno scorretto funzionamento di questi meccanismi cognitivi è forse alla base dei disturbi di comprensione del testo. Le competenze metacognitive Serie di strategie per monitorare e guidare il proprio processo di comprensione. La capacità di gestire in modo efficace un processo fa parte dell’apprendimento autoregolato ed è possibile grazie alle competenze metacognitive. Queste si distinguono in: - conoscenze metacognitive: tutte le conoscenze che ciascuno sviluppa sul funzionamento cognitivo proprio o generale; - strategie di controllo metacognitivo: strategie che possono regolare, compensare e rendere più efficienti i processi cognitivi. Per quanto concerne la comprensione in lettura, le conoscenze metacognitive possono riguardare: - il soggetto come lettore (es. sapere di essere un lettore lento), - il compito (es. sapere che si può leggere per scopi differenti) - il testo (es. sapere che testi di generi diversi hanno caratteristiche specifiche). Queste conoscenze si sviluppano con l’esperienza e l’esposizione a diverse tipologie e generi testuali e sono necessarie per poter operare un certo grado di controllo sul processo di lettura. • Meneghetti, Nuova guida alla comprensione del testo, propone un MODELLO OPERATIVO DEI PROCESSI DI COMPRENSIONE che integra componenti cognitive, linguistiche e metacognitive, fornendo una cornice teorica per orientarsi all’interno dei processi di comprensione. 50 Le caratteristiche del testo e la comprensione Le caratteristiche del test giocano un ruolo significativo nei processi di comprensione, quest’ultima deriva da un processo di costruzione del significato che dipende anche dalle proprietà testuali e dalla particolare interazione fra il testo e lettore. Il genere Le tipologie testuali richiedono diverse competenze linguistiche e cognitive. 1. Testi narrativi: 1° genere con cui il bambino viene a contatto attraverso i racconti per l’infanzia. Nella narrazione sono frequenti gli indicatori temporali che permettono di marcare la successione degli eventi; 2. Testi espositivi: trasmettono concetti e conoscenze e sono la forma tipica dei manuali disciplinari; utilizzano un lessico specialistico; possono essere integrati con informazioni di tipo visivo come schemi, diagrammi, tabelle; privilegiano un’organizzazione logica rispetto a una temporale. La comprensione di questi richiede un buon livello di conoscenze linguistiche e capacità cognitive. L’introduzione del testo espositivo a scuola avviene solitamente in terza. 3. I testi argomentativi: hanno come obiettivo la persuasione del lettore attraverso la presentazione e la selezione di argomenti a favore di una determinata tesi. Fanno uso di connettivi logici per sottolineare i vari passaggi del ragionamento, utilizzano spesso forme linguistiche che esprimono incertezza e la consapevolezza della soggettività del ragionamento; implicano la comprensione di concetti come la probabilità; richiedono un buon livello di astrazione; adatti a ragazzi più grandi. In relazione all’acquisizione del lessico specialistico, è utile soffermarsi di frequente sulle parole difficili e costruire insieme al bambino un piccolo vocabolario dei termini tecnici. La coesione e la coerenza testuale - COESIONE: caratteristica linguistica del testo data dall’uso di connettivi (come congiunzioni e avverbi), accordi morfologici e sintattici, presenza di ripetizioni e sinonimi che favoriscono il collegamento tra diverse parti del testo. Sebbene sostenga la comprensione creando nessi, implica anche un certo grado di elaborazione cognitiva. - COERENZA: si riferisce all’aderenza del testo al tema e alla successione logica dei contenuti. Interagisce con le caratteristiche del lettore e il suo processo interpretativo. Il formato mediatico Ipertesti informatici o prodotti multimediali: la lettura può svolgersi in maniera non lineare, cioè in forma diversa rispetto alla lettura pagina dopo pagina del libro. Navigare in un ipertesto richiede flessibilità cognitiva, la capacità di saper monitorare il proprio processo di comprensione senza distrarsi o confondersi a causa della presenza di troppe fonti di informazioni disponibili in contemporanea; richiede anche una graduale esposizione. 51 Non è garantito che è un bambino con buone capacità di comprensione di un formato di testo sia in grado di trasferire automaticamente queste competenze ad altri formati. Il contenuto Influenza la comprensione del testo in molti modi differenti: la familiarità, l’interesse, aspetti socioculturali. 10.5 il ruolo del contesto nell’apprendimento della lettura • Sénéchal e LeFevre ⇨ l’approccio dei genitori nei confronti delle prime esperienze di alfabetizzazione influenza il successivo apprendimento della lettura. I genitori possono supportare questa competenza: - utilizzando un criterio didattico vero e proprio; - attraverso attività di sostegno delle competenze linguistiche generali. Entrambi le pratiche sono associate a migliori competenze di lettura in prima e in terza primaria. Questi risultati spostano l’attenzione sul ruolo che i contesti extrascolastici possono esercitare sull’apprendimento. Riflessione sulla variabilità del tipo di stimolazione: - il ruolo dello status socioeconomico nei processi di alfabetizzazione; - risorse economiche e materiali, umane e sociali provenienti dalla propria rete di relazioni; - fattori familiari e sociali, come le cure ricevute durante l’infanzia, l’investimento affettivo dei genitori, la stimolazione cognitiva. Per quanto riguarda i processi di alfabetizzazione, i bambini di famiglie con basso status socioeconomico mostrano un maggiore rischio di sviluppare difficoltà in lettura per diverse ragioni, tra cui una minore evoluzione delle abilità linguistiche orali e più ridotte competenze fonologiche e alfabetiche nel periodo prescolare. Tra i bambini che nei primi gradi di scolarizzazione rivelano una bassa consapevolezza fonologica, quelli più esposti a difficoltà notevoli in lettura sono coloro che provengono da contesti socioculturali maggiormente svantaggiati. I bambini che, invece, hanno alle spalle famiglie con un reddito medio-alto recuperano con più facilità lo svantaggio iniziale nelle abilità fonologiche e mostrano meno frequentemente difficoltà persistenti in lettura. Lo svantaggio originario non viene recuperato e si trasforma con maggiore probabilità in un deficit persistente. Scuola, ruolo di mediazione significativo nel mitigare gli effetti negativi dello svantaggio economico e culturale. Le disparità socioeconomiche influiscono in modo differente sullo sviluppo delle diverse capacità cognitive; i sistemi più influenzati, e quindi meno sviluppati in caso di svantaggio, sono il linguaggio, la memoria di lavoro e il controllo cognitivo. 52 ha uno sviluppo protratto nel corso del tempo fino alla scuola secondaria di primo grado che dipende dall’esposizione alla lingua scritta. • Frith, MODELLO A QUATTRO STADI DELLO SVILUPPO DELLE ABILITÀ DI LETTO-SCRITTURA. - stadio logografico, il bambino scrive alcune parole riproducendole come se fossero dei semplici disegni; - stadio alfabetico, il bambino acquisisce le regole di conversione fonema-grafema e impara che ai suoni della lingua si associano specifiche lettere o insiemi di lettere; - stadio ortografico, il bambino acquisisce le specificità ortografiche della propria lingua; - stadio lessicale, la scrittura diventa automatica. La competenza ortografica si acquisisce nel corso della primaria e si stabilizza al termine della scuola secondaria di primo grado. I parametri utilizzati per valutarla sono la correttezza, indicata dal numero di errori commessi in prove di dettato di parole, non parole, frasi e testi, e la tipologia di errori. Attraverso l’analisi degli errori ortografici è possibile verificare in quale fase di apprendimento si trovi il bambino. - ERRORI FONOLOGICI, rispecchiano la difficoltà nell’associare correttamente le lettere ai suoni. - scambio di grafemi (“fento” per “vento“); - inversioni (“prechè” per “perché”); - omissioni di lettere o sillabe (“Geova“ per “Genova“); - aggiunta di lettere o sillabe (“funugo” per “fungo”); - grafemi inesatti (“lagi” per “laghi”). - ERRORI NON FONOLOGICI si riferiscono alla scrittura di parole a ortografia irregolare o ambigua, in cui il suono della parola non cambia se viene scritta male. - separazioni illegali (“in sieme” per “insieme”), - fusioni illegali (“doro” per “d’oro”), - scambio di grafemi omofoni non omografi (“qucire” per “cucire”) - omissione o aggiunta di lettere (“anno” per “hanno”). In questi casi si osserva che il bambino ha acquisito la strategia alfabetica di conversione grafema-fonema ma non padroneggia regole ortografiche più complesse. In genere gli errori fonologici sono caratteristici delle prime fasi di apprendimento della scrittura, mentre quelli non fonologici possono persistere a lungo nel corso della scuola primaria e secondaria di primo grado. - ERRORI FONETICI si riferiscono all’uso di accenti e di doppie. 11.4 L’apprendimento della scrittura La distinzione tra disegno e scrittura segna l’ingresso nella società alfabetizzata. - Prima dei 3 anni i bambini non sono ancora in grado di distinguere con chiarezza disegno scrittura; - 3-4 anni, comprendono che sono due differenti strumenti notazionali; il disegno rappresenta oggetti concreti, la scrittura invece un oggetto astratto: il linguaggio. - 4 anni, la scrittura può essere distinta dal disegno. 55 - 5 anni, si ha una chiara distinzione tra disegno e scrittura. Questo percorso evolutivo è indicativo, c’è una certa variabilità interindividuale nell’acquisizione delle varie tappe che dipende sia da caratteristiche personali, sia dall’ambiente di vita del bambino. • Ferreiro e Teberosky ⇨ STADI DI ACQUISIZIONE DELLA SCRITTURA (sviluppano prima dell’insegnamento formale della lingua scritta): 1. FASE PRESILLABICA: il bambino inizia distinguere il disegno della scrittura, comincia a scoprire che le lettere non riproducono l’oggetto, come avviene nel disegno, ma stanno al posto di esso e assolvono una funzione simbolica; 2. FASE DELLA DIFFERENZIAZIONE GRAFICA: attraverso la sperimentazione e l’osservazione della scrittura di altri sviluppa delle modalità spontanee di scrittura più definite; i segni grafici si avvicinano alle lettere. Non ha ancora afferrato la relazione fra suono e rappresentazione grafica di esso; 3. FASE SILLABICA: inizia a comprendere che vi è un rapporto tra i segni grafici e il suono della parola. A questo livello il suono, in genere coincidente con una sillaba, viene rappresentato con un segno grafico. I segni che il bambino utilizza assomigliano sempre di più alle lettere convenzionali; 4. FASE ALFABETICA: si ha una corrispondenza biunivoca tra segno grafico e fonema; il bambino è in grado di identificare i fonemi che costituiscono la parola e di associare a ciascun fonema un segno. Il bambino è ora pronto per acquisire la corretta corrispondenza fonema-grafema e per confrontarsi con le specificità ortografiche dell’italiano. 11.5 I prerequisiti della scrittura 1. ABILITÀ DI ELABORAZIONE FONOLOGICA (es. consapevolezza fonologica: capacità di rilevare, manipolare e analizzare i suoni del linguaggio orale). La capacità di identificare e segmentare correttamente i fonemi che compongono una parola udita è alla base dei processi di conversione grafema- fonema. La via fonologica si basa su competenze che sono in genere acquisite prima della scrittura; i bambini prescolari che sono più abili nei compiti di consapevolezza fonologica sono avvantaggiati nei processi di alfabetizzazione. 2. MEMORIA DI LAVORO VERBALE, soprattutto nelle prime fasi di apprendimento della scrittura, il bambino, mentre scrive, deve mantenere a mente i suoni che compongono una parola e al contempo recuperare la forma grafica delle lettere, utilizzando i processi di memoria di lavoro. 3. CONSAPEVOLEZZA NOTAZIONALE, indica l’abilità di bambini prescolari di elaborare forme di scrittura simili all’ortografia convenzionale. Quanto più il sistema di segni grafici inventato dal bambino è capace di rappresentare le caratteristiche dei vocaboli uditivi, tanto più la consapevolezza notazionale sarà avanzata. 4. CONOSCENZE SULLE CONVENZIONI DI STAMPA, come l’orientamento della scrittura da sinistra a destra o altre informazioni sulle caratteristiche del testo. Queste conoscenze di solito sono indicative di una maggiore familiarità con i testi scritti e, quindi, di un’esposizione superiore, nei contesti familiari prescolastici, alla lettura. - Per quanto riguarda gli aspetti grafo-motori che entrano in gioco nel controllo della scrittura a mano, la gran parte delle competenze vengono acquisite nel periodo prescolare; 56 - le attitudini motorie, in particolare la motricità fine, sono associate non solo all’accuratezza e alla fluenza del tratto grafico, ma anche alle iniziali capacità di lettura e scrittura. Una buona motricità fine favorisce lo sviluppo delle abilità grafo-motorie che consentono al bambino di svolgere attività come copiare e riprodurre le lettere; questa esperienza motoria avrebbe l’effetto di favorire processi di memorizzazione e rappresentazione dei segni grafici; aiuta il bambino a sviluppare una rappresentazione mentale delle lettere. - Competenze linguistiche più generali, come la ricchezza del vocabolario e la correttezza grammaticale e sintattica nella lingua orale, sono fattori che favoriscono l’acquisizione delle capacità di lettura e scrittura. 11.6 La produzione del testo scritto • Hayes e Flower, MODELLO DEL PROCESSO DI COMPOSIZIONE E STESURA DEL TESTO: 1. NUCLEO CENTRALE: riferito al processo di scrittura vero e proprio; è costituito dalle fasi di composizione del testo: - pianificazione, attività cognitiva in cui il soggetto cerca di identificare i passi necessari per raggiungere l’obiettivo finale e include sua volta tre sottoprocessi: 1. L’identificazione degli obiettivi; 2. la generazione delle idee; 3. l’organizzazione delle idee in una struttura coerente. - trascrizione, corrisponde alla trasformazione delle idee in testo scritto e richiede competenze di tipo grammaticale, lessicale, sintattico e testuale, come l’organizzazione in paragrafi; - revisione, si riferisce all’esame del testo prodotto, valuta se gli scopi che si era prefissato all’inizio in termini, per esempio, di chiarezza e coesione del testo, efficacia, correttezza formale, completezza degli argomenti, sono stati effettivamente raggiunti. Questi processi non si sviluppano in una sequenza lineare ma sono ricorsivi e coordinati da una funzione di monitoraggio che rappresenta il controllo consapevole che lo scrittore mette in atto durante l’elaborazione del testo scritto. 2. CONTESTO DEL COMPITO: include gli elementi che possono influenzare la prestazione in scrittura (situazione specifica in cui si scrive, argomento da trattare, destinatario e scopo). Il contesto è definito anche dal testo che si va progressivamente a comporre; la parte di testo già scritta influenzerà le scelte successive dello scrittore; 3. MEMORIA A LUNGO TERMINE: fornisce al soggetto le conoscenze dichiarative e procedurali necessarie per la redazione del testo. Fanno parte delle conoscenze dichiarative le informazioni relative all’argomento che si sta affrontando o anche le conoscenze che riguardano le caratteristiche delle varie tipologie testuali o lo stile. Le conoscenze procedurali si riferiscono, invece, alle modalità esecutive dello scrivere. Il modello ha una caratterizzazione metacognitiva poiché sottolinea il ruolo di regolazione di controllo attivo da parte di chi scrive. • Modello di Zimmerman e Risemberg, identificano tre forme di autoregolazione della scrittura: 57 CONTROLLO METACOGNITIVO: (deriva dalle conoscenze metacognitive) capacità di verificare l’andamento della propria attività mentale e di mettere in atto particolari strategie quando si svolge un compito cognitivo. Per far ciò l’individuo deve: - essere capace di stimare il grado di difficoltà del compito in relazione alle proprie capacità e caratteristiche; - stabilire quali strategie sono più adatte; - verificare se sono stati raggiunti gli obiettivi. • Brown, 4 processi metacognitivi principali: 1. PREDIZIONE: tutti i processi metacognitivi che un individuo mette in atto prima di svolgere il compito (come stimarne il grado di difficoltà o anticipare i risultati in relazione alla strategia che si adotterà); l’accuratezza delle predizione aumenta con l’età e tende a essere più bassa nei bambini con difficoltà di apprendimento. 2. PIANIFICAZIONE: abilità di programmare le azioni necessarie per raggiungere un determinato obiettivo; 3. MONITORAGGIO: capacità di controllare l’attività cognitiva durante il suo svolgimento. L’efficienza del monitoraggio e metacognitiva aumenta con l’età. 4. VALUTAZIONE: abilità di valutare se l’uso di una determinata strategia ha consentito all’individuo di raggiungere i risultati stabiliti; capacità di valutare gli esiti di un’azione cognitiva. 12.3 Lo sviluppo delle capacità metacognitive - Avviene già a partire dal periodo prescolare; - soprattutto con l’ingresso alla scuola primaria, si verifica un progressivo aumento nel livello di consapevolezza circa le proprie capacità e nell’uso conseguente di strategie. • Flavell, Miller e Miller, tre livelli di sviluppo delle strategie metacognitive: - a un 1° livello la strategia non è disponibile; - a un 2° livello lo è ma non viene utilizzata spontaneamente ed è necessario che qualcuno la solleciti in modo esplicito; - a un 3° livello la strategia è acquisita in forma stabile e utilizzata quando è necessaria in autonomia. METAMEMORIA: insieme delle conoscenze relative al funzionamento della memoria e delle strategie che possono ottimizzare la capacità di memorizzazione. - Si sviluppa a partire dal periodo prescolare e cresce durante la scuola primaria. - L’aumento delle conoscenze sui processi di memoria favorisce lo sviluppo dei processi di controllo. - La crescita dei processi di controllo dipende da diversi fattori tra cui l’aumento della capacità di memoria di lavoro e delle conoscenze per effetto dell’esperienza scolastica. - Anche il contesto educativo e quello familiare possono influenzare lo sviluppo della metà memoria e quello delle competenze metacognitive. 12.4 La didattica metacognitiva - Si focalizza sui processi di apprendimento e sulla possibilità di esercitare un certo controllo su questi processi. - Si sviluppa su diversi livelli: 60 1. iniziale acquisizione delle conoscenze relative al funzionamento cognitivo generale: l’insegnante, aiuta il bambino ad acquisire informazioni sul funzionamento della mente umana. A 3 anni i bambini sono in grado di comprendere che è più facile ricordare un numero più piccolo di elementi rispetto un insieme più numeroso; i prescolari sono in grado di riconoscere che per memorizzare delle informazioni è necessario esercitare un certo sforzo e impegnarsi; a 7 anni i bambini sono ancora inconsapevoli del fatto che una lista di parole è più facile da memorizzare quando le parole stesse sono collegate semanticamente tra loro, rispetto a quando sono del tutto casuali. 2. progressiva consapevolezza del proprio funzionamento cognitivo e delle proprie caratteristiche: si focalizza sulle particolarità del funzionamento cognitivo del singolo bambino, con lo scopo di aiutarlo a capire quali sono i suoi punti di forza e le sue debolezze. Progressivamente il bambino deve essere aiutato a prendere in considerazione non solo l’esito della prestazione, ma anche i processi che hanno condotto a esso. 3. uso di strategie di regolazione cognitiva: il bambino sviluppa delle strategie per controllare meglio i suoi processi cognitivi (se un bambino sa che si distrae con facilità può decidere di svolgere i suoi compiti in luogo tranquillo senza distrazioni). 4. comprensione che diverse variabili psicologiche, emotive e motivazionali possono influenzare il proprio funzionamento cognitivo e l’apprendimento: lo studente inizia comprendere che molte sono le variabili che possono influenzare l’apprendimento e l’esito delle sue prestazioni: es. la motivazione, gli stati emotivi, le aspettative e le convinzioni. La regolazione degli stati affettivi è un compito difficile. In molti casi avere acquisito strategie efficaci per affrontare i compiti consente anche ai bambini ansiosi di controllare la propria ansia; controllo metacognitivo e stati affettivi sono associati. 12.5 L’apprendimento autoregolato APPRENDIMENTO AUTOREGOLATO: integra gli approcci metacognitivi con le teorie sul ruolo dei fattori affettivi e motivazionali nell’apprendimento. L’interazione tra metacognizione, motivazione e affetti può essere descritta: - a livello della persona, come insieme di caratteristiche individuali: è costituito dal complesso di abilità, attitudini e disposizioni dell’individuo (avere conoscenze metacognitive, essere orientati alle competenze piuttosto che alla prestazione, avere un atteggiamento positivo nei confronti dell’apprendimento, sono esempi di caratteristiche individuali che favoriscono l’apprendimento autoregolato); - a livello dell’interazione tra la persona e il compito specifico: costituisce l’esperienza specifica di apprendimento, determinata in parte dalle caratteristiche generali dell’individuo e in parte da quello che accade durante lo svolgimento del compito. DIDATTICA METACOGNITIVA: è orientata allo sviluppo della competenza metacognitiva, una delle componenti chiave dell’apprendimento autoregolato. Si possono insegnare le strategie, ma si devono anche fornire adeguate opportunità di utilizzo delle strategie dell’esperienze di apprendimento in cui il bambino possa sentirsi soddisfatto. 61 L’apprendimento autoregolato si sviluppa all’interno di un contesto sociale e può essere guidato e promosso dagli insegnanti. Gli approcci sociocostruttivisti hanno sottolineato l’importanza della co-regolazione che indica la condivisione della responsabilità dell’apprendimento che può verificarsi tra insegnante e studente o tra pari. 12.6 La metacognizione e l’abilità di studio In principio la ricerca sulle abilità di studio si è focalizzata sul METODO DI STUDIO. • Robinson, PQ4R: 1. Preview: farsi un’idea del testo da studiare; 2. Questions: porsi domande che riguardano i contenuti del testo; 3. Read: leggere il testo attentamente; 4. Reflect: riflettere su quanto si è letto e rielaborare; 5. Recite: ripetere; 6. Review: ripasso generale. Limiti: - i ragazzi sono spesso poco propensi a utilizzare in autonomia una modalità di studio che hanno appreso e non di rado con il tempo tendono ad abbandonarla. - Imparare un metodo richiede uno sforzo cognitivo che si aggiunge a quella indispensabile per lo studio. - I metodi strutturati sono per loro natura rigidi e non sempre si adattano a tutti i contenuti o a tutti gli obiettivi di studio. • Orientamenti più recenti hanno abbandonato l’idea del metodo di studio e, facendo riferimento alle teorie relative all’apprendimento autoregolato, suggeriscono che l’approccio allo studio debba tenere conto dell’interazione di diversi fattori: 1. capacità cognitive e metacognitive; 2. orientamento motivazionale; 3. fattori affettivi; 4. credenze; 5. stili cognitivi. • Programma Imparare a studiare: rivolto ai ragazzi da 10 a 15 anni, ha l’obiettivo di aiutare gli alunni a sviluppare l’abilità di riflettere sull’atteggiamento verso lo studio, così da favorire l’organizzazione autonoma e flessibile dell’attività di studio. Il programma è costituito da quattro aree principali che a loro volta sono suddivisi in obiettivi specifici: 1. Strategie di apprendimento: I. propone una riflessione sulla motivazione; II. affronta i temi dell’organizzazione dello studio, dell’uso dei sussidi associati al test e dell’elaborazione del materiale; III. lavora sulla flessibilità nello studio; IV. propone delle attività per modificare lo stile di partecipazione in classe. 62 riconducibile all’individuo stesso si parla di locus interno, se è riconducibile a fonti esterne all’individuo si parla di locus esterno. • Weiner, sostiene che le ATTRIBUZIONI CAUSALI che un individuo formula per spiegare i propri risultati in ambito scolastico influenzano il proprio atteggiamento nei confronti delle successive occasioni di apprendimento, costituendo così credenze all’interno dei processi motivazionali. Attribuzioni che ricorrono quando si devono spiegare gli esiti del proprio rendimento scolastico: - l’abilità; - l’impegno; - la difficoltà del compito; - il caso. Queste quattro attribuzioni sono state classificate in tre dimensioni causali: 1. locus of control, due estremi che identificano rispettivamente all’esterno o all’interno dell’individuo la causa di quanto avvenuto; legato alle relazioni affettive (nel caso di successo le attribuzioni interne tendono a esaltare l’orgoglio e l’autostima, mentre quelle esterne sono connesse a un aumento del senso di gratitudine; quando ci si trova di fronte a un insuccesso, invece, le attribuzioni interne sono collegate emozioni di vergogna, mentre quelle esterne possono avere come esito la rabbia); 2. stabilità, si riferisce al fatto che le cause possano permanere o modificarsi nel corso del tempo (insuccesso-mancanza di impegno caratterizza l’attribuzione come instabile, mentre non essere portati per una determinata attività suggerisce un’attribuzione stabile); condiziona le aspettative dei singoli per il successo (imputare un risultato a una causa stabile come l’abilità ha un maggiore ascendente sulle aspettative future di successo rispetto ad attribuirlo a un fattore instabile come l’impegno); 3. controllabilità, possibilità di controllare o meno la causa degli eventi (fallimento di un esame - cattivo umore del docente = tendenza percepire questo tipo di eventi come incontrollabili). Batteria AMOS: rileva i fattori metacognitivi, strategici, cognitivi ed emotivo-motivazionali che caratterizzano lo studente competente e comprende questionari sulle strategie e sulle convinzioni degli studenti circa l’apprendimento (teorie ingenue dell’intelligenza, fiducia sulla propria intelligenza e abilità, convinzioni sugli obiettivi di apprendimento, padronanza-risultato, attribuzione); possibilità di esplorare il profilo attributivo degli studenti: 1. Good strategy user: è tipico di un individuo che tende ad attribuire al proprio impegno o alla propria mancanza di impegno l’origine dei propri successi o insuccessi; favorisce l’individuo in quanto suggerisce la possibilità di miglioramento come dipendente dall’individuo stesso; 2. Profilo depresso: è tipico di coloro che ascrivono i propri successi a cause esterne, per niente controllabili (la fortuna, la facilità di un compito) e trovano nella propria incapacità o mancanza di abilità la causa dei propri insuccessi; è difficile pensare di poter migliorare la propria situazione e un intervento che modifichi le attribuzioni potrebbe essere loro di supporto; 65 3. Profilo negatore: tipico di chi tende a vedere i successi come risultato della propria abilità, mentre gli insuccessi sarebbero dovuti a cause esterne: anche in questo caso è difficile modificare i comportamenti nei confronti dello studio in quanto si tende a non riconoscere i propri errori per affinare le strategie adottate; 4. Profilo pedina: è tipico dell’individuo che non sembra percepire la possibilità di controllo sui propri risultati scolastici e così addebita successi e insuccessi a cause esterne; 5. Profilo abile: tende a collegare sia successi, sia insuccessi alle proprie abilità: anche per questi individui potrebbe essere difficile adottare strategie di miglioramento, soprattutto se l’abilità è percepita come un’entità relativamente stabile. Accanto ai processi motivazionali e alle credenze che influenzano l’apprendimento, il rendimento scolastico è fortemente condizionato dal livello di conoscenza che abbiamo sul nostro funzionamento mentale: la metacognizione. 13.5 La metacognizione e l’apprendimento autoregolato • Flavell propose una prima definizione di metacognizione: conoscenza relativa ai propri processi cognitivi. All’interno della metacognizione sono state poi distinte le conoscenze di tipo dichiarativo, che si riferiscono alle conoscenze sui processi cognitivi e sui fattori che influenzano l’elaborazione delle informazioni, e le conoscenze di tipo procedurale, che riguardano la conoscenza sulle strategie per apprendere. Quindi, serie di conoscenze che l’individuo ha rispettivamente sui processi mentali e sulle possibilità di controllo del proprio funzionamento cognitivo. • Seguendo un approccio focalizzato sullo sviluppo, Jacob e Paris descrissero le caratteristiche delle conoscenze metacognitive dichiarative, procedurali e condizionali. 1. Dichiarativa: conoscenze sui processi cognitivi e sui fattori che li influenzano; variano sulla base dell’età e del grado di abilità. 2. Procedurale: conoscenze relative a come eseguire le strategie di apprendimento. Ad alti livelli di abilità metacognitiva procedurale corrisponde una capacità di attivare in modo più automatico, accurato ed efficiente le diverse strategie. 3. Condizionali: relative alla scelta del momento e della situazione per l’esecuzione di una specifica strategia. Le persone con buone capacità di apprendimento identificano il momento per attuare una specifica strategia e risultano molto flessibili nell’attivazione di altre procedure quando le condizioni lo rendono necessario. Processi di controllo: pianificazione, scelta del piano/della strategia utile a raggiungere un obiettivo, valutazione, intesa come attività di monitoraggio delle strategie per raggiungere lo scopo, e la regolazione, intesa come la revisione o la modificazione delle strategie. • Zimmerman indica l’autoregolazione applicata al dominio dell’apprendimento scolastico come un comportamento autodeterminato attraverso cui chi apprende trasforma le proprie abilità mentali in capacità scolastiche. In questo senso, l’AUTOREGOLAZIONE: è l’insieme dei pensieri, delle emozioni e 66 dei comportamenti generati dall’individuo e finalizzati a obiettivi di apprendimento. L’autoregolazione nell’apprendimento prevede l’impiego selettivo di alcuni processi che possono essere adattati ai compiti specifici; tali processi includono diverse componenti: 1. definizione di obiettivi immediati e specifici per l’individuo; 2. adozione di strategie efficaci per raggiungere gli scopi; 3. monitoraggio delle proprie prestazioni sulla base degli indici di successo; 4. ristrutturazione del proprio contesto fisico e sociale in modo da renderlo compatibile con gli obiettivi; 5. gestione efficiente del proprio tempo; 6. valutazione dei propri metodi; 7. messa in relazione delle cause ai risultati; 8. adattamento delle strategie future. Ha proposto un modello secondo il quale l’APPRENDIMENTO AUTOREGOLATO avviene in tre fasi cicliche: 1. una di previsione: analisi del compito e dell’influenza delle convinzioni dell’individuo relative all’apprendimento; comprende l’autoefficacia, gli obiettivi di apprendimento, le aspettative di successo e il valore attribuito all’apprendimento; 2. una di prestazione in cui sono presenti processi di autocontrollo e di auto-osservazione; 3. una fase di autoriflessione che prevede, da un lato, la formulazione di giudizi su di sé attraverso i processi di autovalutazione e le attribuzioni causali e, dall’altro, reazioni che riguardano sia sentimenti di soddisfazione ed emozioni riguardanti la propria prestazione, sia reazioni di tipo difensivo o adattivo, volte a difendere l’immagine di sé da eventuali fallimenti e ad aumentare l’efficacia delle proprie strategie, modificando quelle disfunzionali al raggiungimento degli obiettivi di apprendimento. 67
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