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riassunto 'profilo linguistico dei dialetti italiani' Loporcaro, Appunti di Storia della lingua italiana

riassunto del libro, per l'esame di Storia della lingua LM, (12 cfu) con la prof. Capotosto, sostenuto nel 2024.

Tipologia: Appunti

2023/2024

In vendita dal 31/01/2024

Leopardiana01
Leopardiana01 🇮🇹

4.4

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Scarica riassunto 'profilo linguistico dei dialetti italiani' Loporcaro e più Appunti in PDF di Storia della lingua italiana solo su Docsity! RIASSUNTO PROFILO LINGUISTICO DEI DIALETTI ITALIANI (LOPORCARO) 1. LA CLASSIFICAZIONE DEI DIALETTI D’ITALIA La moderna classificazione scientifica dei dialetti italiani, inizia con l’articolo L’italia dialettale di G.I.Ascoli. non è che in precedenza siano mancate altre classificazioni. Dante, nel De vulgari eloquentia, aveva diviso la penisola in dodici aree << dialettali>>, sei a destra (guardando dalle Alpi verso sud) e sei a sinistra degli Appennini: rispettivamente Apulia, Roma, Spoleto, Marchi Anconitana, La Romagna, Lombardia, il Veneto. Si tratta tuttavia di una suddivisione puramente geografica, non fondata su tratti linguistici. La novità costituita dall’intervento dell’Ascoli sta nel fissare un modello per cui la classificazione tiene conto non solo di geografia e storia ma anche di fenomeni linguistici, poggiando anzi crucialmente su questi ultimi. È con Ascoli che le isoglosse condivise entro un territorio e demarcanti una zona dall’altra diventano architrave della classificazione: il che è sintomo del consolidamento di un metodo scientifico per il trattamento dei fatti di lingua in cui l’Ascoli in Italia contribuì decisivamente. E poiché il metodo era all’epoca un metodo di linguistica storica, volto ad illustrare mutamenti nel tempo, è corollario ovvio che le isoglosse, i fatti linguistici considerati, fossero tutti diacronici: ossia relativi a sviluppi di questo o quel dialetto rispetto alla matrice latina. Ma a questa prospettiva diacronica se ne sovrappone una sincronica, visto che del tipo toscano, in particolare di Firenze, si proclama la maggior vicinanza al latino, anzi la natura di <<limpida continuazione del solo latino volgare>> da cui le altre varietà italo-romanze son venute invece a divergere per effetto del sostrato. La distanza (in diacronia) dal latino degli altri sistemi è dunque automaticamente anche una distanza (in sincronia) dal toscano. Ascoli definisce i raggruppamenti dialettali con un procedimento <<centripeto>>. Si tratta nell’ordine di: a) Dialetti che dipendono, in maggiore o minore misura, da sistemi neo-latini non peculiari all’Italia (provenzale, franco-provenzale e ladino) b) Dialetti che si distinguono dal sistema italiano vero e proprio, ma pur non entrano a far parte di alcun sistema neo-latino estraneo all’Italia (gallo-italico e sardo) c) Dialetti che possono entrare a formare con toscano uno speciale sistema di dialetti neo- latini (veneziano, dialetti centro meridionali, còrso) d) Toscano Le classificazioni proposte successivamente mantengono tutte, oltre ovviamente al fondamento linguistico, la centralità del toscano, divergendo però per quasi tutto il resto. La collocazione del Veneto, che Ascoli separa dai dialetti gallo-italici, non si è imposta: veneto e gallo italico sono oggi correntemente riuniti entro un raggruppamento italiano settentrionale. Merlo, obbiettando alla collocazione del sardo su un piede di parità, per distanza strutturale dal toscano, col gallo-italico, si schiera con chi vede nel sardo un ramo autonomo della famiglia romanza. Un fondamentale problema è poi quello di quali fra i dialetti parlati su suolo italiano debbono esser considerati alloglotti. L’Ascoli include nella categoria (a), sullo stesso piano, i dialetti gallo-romanzi e il ladino. Mentre sui primi vi è consenso, al ladino- come inteso dall’Ascoli- molti disconoscono il valore di unità classificatoria, scindendone le componenti per attribuirle ad altri gruppi. - Le varietà alloglotte: ai dialetti che, su suolo italiano, certamente non possono dirsi italo-romanzi, costituendo colonie linguistiche insorte per migrazione ovvero propaggini su suolo italiano di altri sistemi. Le parlate alloglotte d’Italia si possono anzitutto classificare in dialetti romanzi e non. Fra questi ultimi, i dialetti tedeschi parlati in Alto Adige costituiscono propaggine, fino alla stretta di Salorno, dei dialetti tirolesi e sono in rapporto con il tedesco standard come lingua tetto. Subito ad est di quest’ultima località inizia la propaggine dei dialetti sloveni in territorio italiano, lungo il confine delle province di Udine, Gorizia e Trieste. Venendo alle isole linguistiche, dialetti croati si parlano in Molise, ad Acquaviva Collecroce, Montemitro e San Felice del Molise. Dialetti Greci persistono in due zone del Meridione: la Grecia salentina, che si estende a sud- sud-est di Lecce fra Calimera e Corigliano d’Otranto e quella Calabrese, ristretta ad alcuni centri sulle pendici meridionali dell’Aspromonte. Restano da menzionare, fra le isole alloglotte non neolatine, quelle Albanesi, diffuse sull’intera area centro-meridionale dall’Abruzzo alla Sicilia. Varietà alloglotte gallo-romanze, franco-provenzali e provenzali, si parlano al confine nord- occidentale, in continuità territoriale con le aree corrispondenti in territorio francese e svizzero. L’area franco-provenzale abbraccia la Val d’Aosta e la parte adiacente del Piemonte occidentale, sino all’alta Valle di Susa dove, da Chiomonte, inizia l’area occitana che si estende fino al Col di Tenda e a Limone Piemonte. Altra colonia romanza è Alghero, ove si parla un dialetto catalano come prodotto della conquista aragonese dell’isola. Vi è poi una serie di colonie gallo-italiche in Italia meridionale, frutto di migrazioni in età normanna, la cui origine si può localizzare in area ligure-piemontese-alessandrina. - La questione ladina: abbiamo sin qui circoscritto le varietà dialettali romanze e non che, in contiguità territoriale con aree extraitaliane ovvero presentandosi come isole linguistiche, non solo ascrivibili ai dialetti italiani, e la cui estraneità è quasi tutti i casi rafforzata dalla riconducibilità ad una lingua standard diversa dall’italiano. Una volta escluse tutte queste varietà, gli ulteriori problemi di classificazione si riducono a questioni interne all’Italia, tranne uno. È questo il caso del ladino, cui viene attribuito uno statuto diverso nelle varie classificazioni. Ascoli definì un’<<unità ladina>> articolata in tre aree geografiche discontinue: ad est il friulano, al centro il ladino dolomitico, ad ovest il romancio. Due di queste aree sono oggi italiane in senso politico-amministrativo, ma solo il friulano ha un rapporto univoco con l’italiano come lingua tetto. Le valli grigionesi sono da secoli orientate sull’area germanica; e anche il ladino atesino è almeno in parte orientato culturalmente in senso tedesco. Questi motivi extralinguistici spingono Pellegrini a non riconoscere un’unità ladina, isolando il friulano come uno dei << cinque sistemi dell’italo-romanzo>> da lui definiti e distinguendolo dal ladino centrale e dal romancio grigionese. A partire dall’Ascoli, da parte dei sostenitori dell’unità ladina a sostanziare quest’ultima si adducono una serie di tratti strutturali (isoglosse condivise) tra cui: a) Il mantenimento dei nessi latini di consonante + -L- occidentale, a Pisa e Livorno, interessa soltanto /k/, che dilegua: [di:o] ‘dico’, [la ande:la] ‘la candela’, mentre non interessa /p/ e /t/. Un esempio di divergenza fra lo standard e i dialetti toscani che non nasce da innovazione di questi ultimi bensì da conservazione è il mantenimento del sistema tre gradi di vicinanza nel dimostrativo: [kwesto], [kodesto], [kwello]. Fra le restanti aree linguisticamente toscane, da segnalare che all’estremo nord-ovest il massese presenta già numerosi fenomeni settentrionali, come la sonorizzazione intervocalica, la caduta delle vocali finali diversa da -/a/. All’estremità orientale della Toscana, nell’aretino-cortonese penetra la palatalizzazione di -A- tonica in sillaba aperta, che si irradia dall’Emilia Romagna scendendo verso sud nella valle del Tevere: ad es. a Borgo Sansepolcro [ae:po] ‘ape’. 3. DIALETTI CENTRO-MERIDIONALI Questo ampio raggruppamento abbraccia l’intera area dal confine meridionale e orientale della Toscana e dalle Marche centrali fino alla Sicilia. Tre sottosezioni: mediana, alto-meridionale e meridionale estrema. - CARATTERI DIFFUSI NELL’INTERO RAGGRUPPAMENTO: fra le isoglosse che caratterizzano tutto intero il Centro-Meridione, alcune si definiscono in negativo rispetto alla Toscana e al Settentrione. Manca dovunque la dittongazione di Ĕ Ŏ in sillaba aperta accentata che caratterizza il toscano- e specie per Ĕ-. In luogo di questa dittongazione il Centro-Meridione conosce invece la dittongazione metafonetica di ĔŎ, causata da -Ī finale in parte dell’Abruzzo e di alcune aree adiacenti di Lazio e Marche e da -Ī ed -Ŭ altrove. L’effetto metafonetico sulle vocali medio-basse protoromanze /ℇ∂/ (dal lat. ĔŎ) si esplica in varie zone del Centro-Meridione come innalzamento anziché come dittongazione. È questo il tipo di metafonia (detto sabino) maggiormente diffuso nell’area mediana. Esso ricorre anche in molte altre zone dell’Alto Meridione. Che fra metafonia per innalzamento e quella per dittongazione vi sia un rapporto di successione cronologica mostrano dialetti come quello molisano di Agnone, in cui la dittongazione è rimasta sensibile al contesto di frase. Qui il dittongo metafonetico compare regolarmente in posizione prepausale mentre può tuttora regredire in parlato connesso se la parola ricorre in protonia sintattica: la differenza fra [ ƞ:a tǝ siǝndǝ] ‘come ti senti?’ e [ n dǝ sendǝ vuonǝ] ‘non ti senti bene?’ e, per il dittongo da Ŏ, il sintagma [vo:nǝ vuonǝ] ‘buono buono’. In una fase originaria la metafonia deve dunque esercitarsi esclusivamente per innalzamento, mentre il dittongo metafonetico si sviluppò successivamente per modificazione delle varianti metafonetiche innalzate [ e o]. Nel meridione estremo la metafonia di ĔŎ ricorre prevalentemente in forma di dittongazione e interessa la Calabria sino ad una linea Vibo Valentina-stilo, per poi ricomparire in Sicilia centro-orientale, dove forse si deve ad uno sviluppo recente dato che i testi antichi siciliani non ne mostrano traccia. Più raramente, nel Meridione estremo, ricorre però anche la metafonia per innalzamento. Si ritiene tradizionalmente che le varietà salentine a sud delle linee sopra citate, mancando di dittonghi siano anche prive di metafonesi. Grimaldi ha però mostrato che ciò è vero solo nei dialetti sud-occidentali, mentre quelli sud-orientali (Capo di Leuca) presentano metafonia per innalzamento. L’acquisizione da parte della metafonia di una funzione morfologica ha portato alla creazione di nuove alternanze, non strettamente motivate dalla fonetica, e ciò anche in area mediana: ad es. a Rieti accanto al regolare [murato:re] s’è creato un femm. [murat∂:ra], che non è sorto per evoluzione fonetica regolare poiché la Ō tonica del suffisso -TŌR(EM) avrebbe dovuto dare, anche nel femminile, il medesimo esito [o]. di recente in area alto-meridionale, la metafonia appare in regresso. Anche nel consonantismo caratterizzano l’intero Centro- Meridione tratti negativi come l’assenza di sonorizzazione/lenizione intervocalica di tipo settentrionale. Le isoglosse che, nel consonantismo, distinguono in positivo l’intero Centro-Meridione sono elencate da Merlo. In origine, tutta quest’area deve aver soppresso la distinzione fra B- e V- anche in posizione iniziale, con l’unico fonema risultatone realizzato da una variante debole ([ß] o [v]) intervocalicamente, all’iniziale e dopo [r] e da una variante forte [b(b)] ricorrente dopo /s/ e come geminata, all’interno di parola e per raddoppiamento fonosintattico. Questo regime di variazione, che va sotto il nome di ‘betacismo’ è oggi preservato in alcuni dialetti, ma è in via di scomparsa o è già scomparso da tempo nella maggior parte di quest’area. Il restauro di un’opposizione fra /v/ e /b (b)/ anche all’iniziale appare già in atto nel Medioevo: a Napoli un’opposizione fra ‘varva’, ‘mento’ e ‘barba’, ‘barba’ si trova già nei tre-quattrocenteschi. Simmetrico, dal punto di vista storico, il quadro offerto dall’assimilazione dei nessi consonantici -ND, -MB-> [nn mm], ad es. [monno], [pjommo. Il fenomeno tocca oggi l’intero Centro-Meridione con l’esclusione della Calabria centrale e meridionale e dell’angolo nord-est della Sicilia. Sempre nel Meridione estremo è immune dall’assimilazione una fascia del Salento centrale e settentrionale che va dalla costa adriatica, fra Brindisi e Otranto, alla ionica, tra Gallipoli e Nardò. A Nord l’area di [nn mm] assimilati arriva a toccare alcuni punti della Toscana meridionale. Se a Nord si è avuto un regresso per influsso del Toscano, l’assimilazione ha progressivamente conquistato l’intero Meridione a partire dal Medioevo, così che le zone meridionali estreme sopra delimitate di persistenza di [nd mb] debbono essere interpretate non come frutto di restituzione secondaria ma come aree conservative. Meno estesa dell’assimilazione -ND-; -MB-> [nn mm] è la sonorizzazione delle consonanti sorde dopo nasale [kambǝ] ‘campo’, [sandǝ] ‘santo’, che raggiunge a nord la linea Roma- Ancona e a sud arriva al Tarantino e tocca i dialetti dell’estrema fascia settentrionale della Calabria a sud del Massiccio del Pollino. Interessano ancora tutto il Centro-Meridione alcuni altri esiti consonantici, come il mantenimento di -I-> [j], con cui confluisce l’esito di [G]. Spesso in posizione forte (dopo consonante o per raddoppiamento fonosintattico), lil si rafforza in un'occlusiva [y]: ad es. napol. [joká] -> [a goká] 'a giocare'. La palatalizzazione di -MI-> [nn), ad es. nel tipo [vennena] 'ven-demmia', abbraccia per intero Lazio e Umbria e arriva sull'Adriatico ad Ancona, AlS VII 1316. Pure diffusi in tutto il Centro- Meridione sono alcuni altri esiti dei nessi con -I-, in particolare -RI- > [r] (ad es. nel suffisso - ARIUM > [-aro/-ara/-aru]) È il caso di -PI-> [cc], -> saccia < SAPIAT. Oggi il fenomeno si arresta a sud di Roma: ad es. [acco] < APIUM 'sedano'. Tratto comune all'intero Centro-Meridione è l'assenza del raddoppiamento fonosintattico condizionato dall'accento (ad es. napol. [vjernarí passaita] 'venerdi scorso', altam. [dakassí diss] 'così disse'), mentre dovunque ricorre il raddoppiamento fonosintattico prodotto dall'assimilazione d'una consonante originariamente finale (il tipo [a mme], [e ttu]). Nella morfologia, i dialetti centro-meridionali (dalla linea Roma-Ancona in giù) si distinguono dai toscani (e perimediani) e dai settentrionali per l'assenza di forme deboli di articolo determinativo masch. sing. in posizione preconsonantica. L'articolo ha invece sempre l'unica forma forte, uscente in vocale: napol. [o pe:ra], lecc.-> (lu pete], palerm. [u pjeri] 'il piede'. Ai due tipi (ECCU+)ISTUM ed (ECCU+)ILLUM, che stanno all'origine delle forme dello standard questo e quello, si aggiungono per il secondo grado di vicinanza continuatori di (EC- CU+)IPSUM. A parte l'area mediana, dove la conservazione del sistema tripartito è generale, altrove molte varietà hanno abolito la distinzione. Nella morfologia del nome, è diffusa la presenza di plurali maschili in -A più largamente che nel toscano: ad es. ascolano [lu pira/ li pera] 'la pera/le pere', [lu mi:la/li me:la] 'la mela/le mele' In molti dei casi su citati il plur. in -A non è etimologico, il che è indizio che questo schema di flessione è (stato) produttivo. Ricorre in molte zone pure il plurale in -ORA, scaturito dalla ria- nalisi TEMPOR-A > TEMP-ORA: sicil. (jo:kira] 'giochi', [ló:kira] 'luoghi', [15:20, 3/12/2022] Lu🤍: Data la sua origine (nella declinazione neutra), questo plurale tende a ricorrere prevalentemente con sostantivi derivanti da neutri latini (e dunque designanti oggetti inanimati) [15:21, 3/12/2022] Lu🤍: In ambito sintattico, accomuna tutti i dialetti centro-meridionali il marcamento preposizionale dell'oggetto diretto, ricorrente in condizioni in parte diverse di dialetto in dialetto, categoricamente coi pronomi di I e II persona. e, in ordine di probabilità decrescente, coi pronomi di III, i nomi propri, i sintagmi nominali definiti designati esseri umani. -> ad es. a Macerata (ago visto a ppáritu] 'ho visto tuo padre', - TRATTI MERIDIONALI Alcuni tratti ricorrono in tutti i dialetti del Meridione (alto ed estre-mo), escludendo l'area mediana. Nel consonantismo è questo il caso della convergenza degli esiti di (-)PL- e (-)CL- in [c(c)]. 'più' [ccul), che abbraccia i dialetti dal Lazio meridionale e dall'Abruzzo alla Sicilia. Dovunque, in tutta quest'a-rea, gli esiti dei nessi iniziali di PLANTAM, PLANGIT vengono a coincidere con quelli di CLAVEM, CLARUM: ad es. napol. [canda] 'pian-ta', (салл) 'piange', [cava) 'chiave'. La stessa estensione ha l'esito palatale dei nessi -BI-/-VI. Sempre dal Lazio meridionale (e, ad est, dal Molise) fino alla Sicilia si estende la riaccentazione nelle sequenze di due enclitiche: napol.-> [pi<Katella] 'pigliatelo'. Nel vocalismo tonico, la palatalizzazione -Á-> [e] in sillaba aperta scende dalla Romagna attraverso le Marche settentrionali fino alla valle del Tevere, toccando l'Umbria settentrionale (perug. [écano] 'acino', [bego] 'bacio',[keno] 'cane'. Nel vocalismo atono, penetrano nell'Umbria settentrionale l'indebolimento e la caduta delle vocali protoniche: perug. [katonacco], con riduzione a [a], o, con sincope, [tico] 'telaio". L'intera sillaba finale è soggetta a indebolimento e cancellazione in contesto di frase. - ALTO MERIDIONE Al confine orientale dell'area mediana inizia il territorio dei dialetti alto-meridionali, che ha per limite sull'Adriatico il corso dell'Aso (nell'Ascolano) e prosegue includendo l'Abruzzo - ma lasciando di questa regione in area mediana la zona ad ovest dell'Aquila e l'Avez-zanese - e il territorio laziale ad est e a sud di Frosinone, già parte del Regno delle Due Sicilie. Il confine sud dell'area alto-meridionale è, in Calabria, la linea Cetraro-Bisignano-Melissa, mentre nel Salento il confine inizia subito a sud di Taranto sullo Ionio e raggiunge Ostuni sull'Adriatico. Nel mezzo fra le linee estreme ora menzionate, il territorio alto-meridionale include per intero le regioni Molise, Campania e Basilicata senza che si possano individuare tratti caratterizzanti tutti e solo i dialetti parlati nelle singole unità amministrative sulle quali questo raggruppamento si estende. I principali fasci di isoglosse non seguono infatti i confini regiona-li/provinciali. Importanti demarcazioni interne all'alto Meridione sono le linee Cassino-Gargano ed Eboli-Lucera. La prima linea segna il confine meridionale di alcuni fenomeni che dall'area mediana scendono attraverso Abruzzo e Molise fino al Gargano, come -SI- > (S] ((ka:sa) 'cacio' « CAStUM),-BI-/-VI-> [J] ([ ra:jǝ] 'rabbia' < RABI(AM)), la palatalizzazione di [s] davanti a dentale (Sta) 'sta’). La linea Eboli-Lucera marca invece il limite sud-orientale di peculiarità fonetiche campane, delimitandole rispetto al tipo lucano. -> (fattsǝ) 'faccio'" < FACIO di contro al napol. [faccǝ]), -LL - > [dd]->[kuddǝ] ' quello' di contro al campano centr. (killǝ]). Nel vocalismo tonico, l'intera compagine alto-meridionale è caratterizzata dalla metafonia (cfr. sopra), che in parte dei dialetti di Marche, Abruzzo e Lazio, è prodotta soltanto da -Ī [tottǝ/tettǝ] ‘tetto-i’. nel Gargano si incontrano anche numerose varietà in cui la metafonesi oscilla o è del tutto assente. Alcuni processi specifici hanno ampia diffusione, come la palatalizzazione di -A- in sillaba aperta, che interessa gran parte dei dialetti pugliesi e le zone adiacenti di Lucania e Molise: [pℇin] ‘pane’ di contro a [kand] ‘canto’. Se è vero però che simili processi si addensano specialmente nell'area adriatica menzionata e si osservano soprattutto in sillaba aperta, non mancano le eccezioni. Sulla costa adriatica, a Vico del Gargano (prov. di Foggia) le dittongazioni interessano non solo la sillaba aperta ([spoika] 'spiga' < SPICAM, [launa] 'luna' < LUNAM) ma anche la sillaba chiusa ([foiya] 'figlio' < FiLIUM, [frautta] 'frutto' < FRUCTUM). Come si è visto il vocalismo finale atono rientra fra le principali isoglosse definitorie per la classificazione dei dialetti italia-ni, fra i quali gli alto-meridionali sono caratterizzati dalla neutralizzazione di tutti i timbri vocalici in [a]. Alcune aree dell'alto Meridione mantengono tuttavia un vocalismo finale contraddistinto da una o più opposizioni. In alcuni dialetti la conservazione di - [a] può non essere categorica: in agnonese la -[a] si conserva solo in pronuncia enfatica. Ad Ascoli Piceno, mentre -A resta intatta ([massa], [kanna]) tutte le altre vocali passano invece a [ǝ]-> [largǝ] ‘largo’< LARGUM, [kandǝ] ‘canto< CANTO, tranne se precedute da /l(l), nel qual caso passano a [j]: [lu/li muli] ‘il mulo, i muli’. Nel sistema verbale, è proprio di tutti i dialetti dell'alto Meridione il mantenimento dell'opposizione fra passato prossimo e passato remoto-> [stammati:no aggo mannata bbwo:na] 'stamattina ho mangiato bene' di contro a [ajera mannajo malamenda] 'ieri mangiai male' (dove l'ambito temporale è ormai concluso, benché recente). Quanto al marcamento di genere, i dialetti che presentano un articolo neutro accanto al maschile distinguono nel complesso quattro paradigmi di articolo, i quali a rigore corrispondono ad altrettanti generi grammaticali, secondo la definizione di «genere del controllore» di Corbett ->[lu kwa:nǝ/(ʎʎ) i ka:no] 'il cane/i cani' = (diverso) [la yattǝ/rǝ ggattǝ] 'la gatta/le gatte' (diverso)[lu vrattsǝ/rǝ bbrattsǝ] 'il braccio/le braccia' (diverso) [ru ppwanǝ] 'il pane'. Nei dialetti pugliesi di Mola e Altamura l'accordo dell'aggettivo distingue rispettivamente, all'interno di quello che altrove è il maschile, due sottogeneri specificati come [+animato] e [*umano]. - MERIDIONE ESTREMO Il Meridione estremo, a sud dei confini sopra indicati, si articola nelle tre sezioni salentina, calabrese e siciliana. E contraddistinto compattamente dal convergere di -U -O > [u] mentre la confluenza simmetrica di -I -E > [i], largamente maggioritaria, risparmia il Cosentino e il Salento centrale e meridionale: lecc. [mℇ:le] 'miele' di contro al brindisino [mℇ:li]. All'opposto il Salento settentrionale è l'unica zona compattamente estranea al vocalismo tonico siciliano, altrove caratteristico di tutto il Meridione estremo: l'area brindisina presenta il sistema di tipo «marginale», nel quale gli esiti di Ĭ ed Ē e di Ŭ e Ō non si sono innalzati (se non per metafonia): ad es. brind. [pℇssi] /[pissi] 'pesce/-i'. Laddove vige il vocalismo siciliano non s'incontra la metafonia di /e o/ medio-alte protoromanze, mentre la metafonia delle medio-basse da lat. Ĕ Ŏ, perlopiù per dittongazione, ricorre in Calabria centro-settentrionale, Salento centro-settentrionale e Sicilia centro-orientale. Nel consonantismo caratterizza la presenza di consonanti retroflesse come esito di -LL- e –(S)TR-. Si ha dunque -LL-> [dd] occlusiva retroflessa sonora (ad es. [iddu] ‘lui’, ma più spesso > [ddz]. Dal nesso latino –(T)TR- si ha nella maggior parte del Meridione estremo un’affricata sorda (tsi(a) ‘tre’ [kwattsu] ‘quattro’), mentre dal nesso (-)STR- si hanno a volte sviluppi ulteriori, come la fusione di [ss] a Lecce (nℇssu) ‘nostro’, o in una vibrante retroflessa desonorizzata a San Giovanni in Fiore, prov. Di Cosenza: [nuorru] ‘nostro’. La Sicilia presenta retroflessione anche della -R-, che all’iniziale si rafforza: [rr∂bba]. Ad esempio tipica del salentino è la desonorizzazione delle occlusive sonore [tittu] ‘detto’, che si registra anche intervocalicamente [ pℇ:te] ‘piede’. I dialetti meridionali estremi si oppongono agli alto-meridionali per il non presentare l’apocope nella desinenza infinitivale: [kanta:ri] ‘cantare’. Sul piano sintattico, l’infinito è soggetto a forti restrizioni d’impiego nei dialetti salentini, calabresi centro-meridionali e sicialiani nord-orientali. In quest’area l’infinito resiste ovunque in dipendenza dal verbo modale ‘potere’: [p∂:te ini:re] ‘può venire’; è opzionalmente possibile in dipendenza da verbo causativo-> [fi:ci mi si ssℇtta] ‘lo fece sedere’, che è obbligatoria in dipendenza da ‘volere’ e ‘dovere’ (=’avere a’) e ricorre dopo verbi di moto, predicati aspettuali (‘cominciare a’ ecc) dove in italiano e nelle altre lingue romanze si avrebbe l’iinfinito: [ ∂:le ku bbℇ:ne] ‘vuol venire’. Caratteristico della Sicilia e della Calabria centro-meridionale (non però del Salento) è l'impiego ristretto del passato prossimo, esclusivamente con valore durativo-iterativo, per indicare eventi ripetuti e tuttora rilevanti al momento in cui si parla: ad es. sicil. l'amu circatu tutta a matinata l'abbiamo cercato tutta la mattinata' (detto in mattinata) di contro a u circammu tutta a matinata lo cercammo tutta la mattinata'. Già poco più a nord di Catanzaro, però, inizia un'area caratterizzata da uno sviluppo opposto, che si contrappone tanto al tipo meridionale estremo ora esemplificato quanto a quello alto- meridionale, che mantiene l'opposizione fra passato prossimo e passato remoto. Infatti, la parte della Calabria a ridosso del confine con l'alto Meridione (Cosentino e Catanzarese settentrionale) ha eliminato del tutto, in fase novecentesca, il passato remoto, processo che appare ancora in corso in alcuni dialetti catanzaresi: si può ancora sentire [ te vidieru ttutti] ‘ti videro tutti’, giudicato però antiquato e progressivamente sostituito da [ t anu vistu tutti]. La suddivisione interna delle aree meridionali estreme si può operare in base alle isoglosse già sopra menzionate. Nel Salento, il brindisino (salentino settentrionale) è contraddistinto dal vocalismo tonico di tipo «marginale» e dall'innalzamento di -E finale. Esso presenta inoltre metafonia come il salentino centrale (leccese), che ha però vocalismo siciliano e conservazione dell'opposizione -/e/ diversa da -/i/. Il salentino meridionale (del Capo di Leuca) si distingue dal centrale per la minor incidenza della dittongazione metafonetica, del tutto assente all'estremo sud. In tutti questi dialetti si ha un influsso di -/-i/ finale, in alcuni anche di -/u/, e inoltre in alcuni la vocale tonica sensibile a dare influsso è solo /ℇ/, in altri anche /∂/, mentre /∂/ non subisce metafonia. Quanto alla Sicilia, è stata opinione diffusa, che il siciliano si presenti più uniforme rispetto ai dialetti dell’alto Meridione, il che Rohlfs imputava ad un’ipotizzata recenzionarità delle parlate neolatine dell’isola. L’opinione si fondava tuttavia su alcune nelle conoscenze sui dialetti siciliani. Piccitto propone una bipartizione dei dialetti dell’isola in base alla presenza/assenza di metafonia: da un lato il siciliano centro-orientale, che presenta dittongazione metafonetica di Ĕ Ŏ nelle sezioni centrale e sud-orientale, dall’altro lato il siciliano occidentale, a sua volta suddiviso in trapanese e agrigentino centro-occidentale, a sud , privi di dittonghi (metafonetici e non), e palermitano, a nord presentante dittongazione incondizionata. Fra i dialetti orientali, ade esempio, la conservazione [nd], [mb] ([ kwandu] ‘quando’ [ palumba] ‘colomba’). Il ragusano si distingue d’altra parte per la palatalizzazione dell’esito dei nessi PL CL, e per l’assimilazione dei nessi di R+ consonante, nei quali invece, ad ovest, palermitano e trapanese vocalizzano la vibrante. Lavori classificatori più recenti mettono però l’accento sulla complessità del quadro, suggerendo che le distinzioni operate in base alle isoglosse di cui sopra siano eccessivamente schematizzate.
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