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Riassunto "Profilo linguistico dei dialetti italiani" - Loporcaro, Sintesi del corso di Dialettologia

Riassunto dettagliato del manuale di Michele Loporcaro, "Profilo linguistico dei dialetti italiani", fondamentale per la materia di Dialettologia.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 25/01/2022

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Scarica Riassunto "Profilo linguistico dei dialetti italiani" - Loporcaro e più Sintesi del corso in PDF di Dialettologia solo su Docsity! Dialetti italo-romanzi. Dire dialetti italiani o dialetti d’Italia taglierebbe fuori i dialetti italo-romanzi parlati al di fuori dell’Italia. Non si può parlare neanche di dialetti dell’italiano perché si sottintende una secondarietà dei dialetti rispetto all’italiano. Tutti i dialetti italo-romanzi hanno rispetto al latino lo stesso rapporto di figliazione (l’italiano quanto gli altri dialetti). Quindi i dialetti non sono figli del toscano, ma sono sviluppi locali dei latini regionali parlati nella penisola (sviluppi determinati da processi storici antichi almeno duemila anni, a volte addirittura risalenti al periodo di romanizzazione della penisola). Da un punto di vista strutturale anche i dialetti hanno una grammatica, solo che non è standardizzata né codificata; i parlanti dialettali sanno riconoscere quando un’espressione è agrammaticale per quel dialetto o meno. Come un dialetto può passare ad essere considerato lingua: questione di istituzionalizzazione politica. Non basta il prestigio socioculturale, di cui tutte le lingue sono caratterizzate (mentre per i dialetti, non tutti). Si tratta di una questione politica: il riconoscimento istituzionale determina la vera differenza, fa diventare un dialetto uguale alle altre lingue. A questo fanno seguito una serie di conseguenze: la standardizzazione attraverso la grammatica, l’uso scritto (quindi anche istituzionale e letterario), e quindi il prestigio. Il dialetto, quindi, al contrario di una lingua, non ha riconoscimento politico e sociale e quindi non ha prestigio sotto questo aspetto. Mentre, dal punto di vista del prestigio strutturale non c’è alcuna differenza tra lingua e dialetto: la grammatica della lingua non è più prestigiosa di quella del dialetto. Weinreich: la lingua è un dialetto che ha un esercito e una marina (esercito e marina rappresentano l’istituzionalizzazione politica). Il prestigio sociolinguistico ed il prestigio strutturale di lingua e dialetti (lingua superiore dal punto di vista sociolinguistico ma uguale al dialetto dal punto di vista strutturale). Gerarchizzazione tra lingua e dialetto dal punto di vista sociolinguistico: il prestigio sociolinguistico deriva infatti dall’uso che si fa della variante (la lingua, avendo uso scritto, standardizzato e istituzionalizzato, ha un prestigio sociolinguistico più alto). Uguaglianza tra lingua e dialetto da un punto di vista di prestigio strutturale. Definizione di dialetto. Il dialetto è una varietà linguistica distinta dalla lingua standard, in questo caso l’italiano, per l’uso prevalentemente orale che i parlanti attuano e sicuramente la sua esclusione dagli usi formali (amministrativo, letterario, ecc.). Il termine dialetto viene dal greco (dialektos), usato per distinguere le varietà di greco che venivano usate per diversi generi letterari (ad es. il dorico per la lirica corale). Il termine dialetto in inglese ha lo stesso valore di varietà in italiano. - Non standardizzato - Uso orale - Uso in contesti non formali Come tutte le parlate volgari, tranne il fiorentino, diventano dialetti. Prima della codificazione del fiorentino come lingua da usare al posto del latino con Prose della volgar lingua del 1525 di Bembo, tutte le parlate erano sullo stesso piano, ovvero erano tutte volgari. Con l’emergere dell’importanza del fiorentino, dapprima usato solo dal ceto intellettuale e poi pian piano arrivato all’uso quotidiano di tutte le classi sociali solo con la seconda metà del Novecento, si diffonde l’uso del termine dialetto per designare tutte le altre parlate. Isole linguistiche alloglotte. Si tratta di località in cui si parlano varietà dialettali alloglotte: come l’arbareshe, varietà albanese, parlato in varie località dal Molise alla Sicilia, e il griko, varietà greca (del gruppo dei dialetti greco-italioti), parlato nella Grecia salentina (provincia di Lecce) e nella Calabria meridionale (presenta tratti simili al neogreco ma anche influenze del dialetto leccese). Credenze popolari sui dialetti. Con il tempo si è diffusa l’idea popolare che i dialetti siano storicamente secondari, ovvero che derivino dalla lingua standard, cosa non vera. Per evitare confusioni di questo tipo si è preferito usare il termine varietà, preso dalla sociolinguistica, privo di qualsiasi riferimento. Dialetti primari e secondari: - Dialetti primari (dialetti: derivati dal latino): varietà che condividono la stessa origine (parità genetica con la lingua a cui sono collegati) con la quale sono in rapporto di subordinazione sociolinguistica. - Dialetti secondari (italiani regionali: derivati dall’italiano): varietà nate dalla differenziazione geografica della lingua da cui derivano. In Italia i dialetti secondari sono le varietà regionali, che rappresentano il livello intermedio tra italiano standard e varietà dialettali locali, ovvero una varietà che nasce dalla sovrapposizione dell’italiano standard al dialetto locale. In alcuni casi (come in Veneto con il veneziano o in Piemonte con il torinese) tra l’italiano regionale ed il dialetto locale si interpone il dialetto regionale, che influenza tutti i dialetti locali: il dialetto regionale, derivante dalla parlata del capoluogo di una regione, in alcuni casi ha avuto questa influenza per una questione di maggiore prestigio (opere scritte in veneziano da Goldoni). I dialetti regionali sono dialetti diretti dell’italiano e derivano dai latini regionali. Autonomia della lingua ed eteronomia del dialetto. - Autonomia della lingua: i parlanti riconoscono nella lingua la norma linguistica - Eteronomia del dialetto: il dialetto rappresenta la varietà B che si dovrebbe adeguare alla norma, rappresentata dalla varietà A; la varietà A, la lingua autonoma, a cui il dialetto dovrebbe tendere è anche detta lingua tetto. Questo rapporto sociolinguistico tra lingua e dialetto ha delle ripercussioni a livello strutturale e di classificazione della lingua. Si tende, infatti, a standardizzare il dialetto, ovvero a farlo tendere sempre di più verso quella che viene percepita come norma, ovvero l’italiano standard. Isoglossa. Linea che divide due aree in cui il medesimo tratto è distinto, ovvero presenta due diversi valori. Può riguardare tutti i livelli strutturali: quindi possiamo avere isòfone, isomorfe, isolessi e isòsema. È stato usato anche il termine eteroglossa per indicare un concetto molto simile: una linea che unisce gli estremi in cui si usa il medesimo tratto: si tratta di un concetto molto simile a quello di isoglossa, tuttavia si usa di più quest’ultimo. Se per uno stesso tratto passano più isoglosse vuol dire che quelle isoglosse segnano un confine tra macroaree. Sulla linea dell’isoglossa si possono avere due casi: o si fa correre l’isoglossa dove non ci sono centri abitati per cui la delimitazione è netta, oppure è possibile documentare l’uso di entrambe le varianti del tratto (punti di transizione). (1997): si concentra su tre aspetti: le strutture, le singole aree dialettali e le condizioni sociolinguistiche. Gli atlanti linguistici. A seguito dell’Atlante linguistico della Francia (ALF) messo a punto da Gilleiron tra il 1897 ed il 1901, segue l’Atlante linguistico ed etnografico dell’Italia e della Svizzera meridionale (AIS), pubblicato tra il 1928 ed il 1940, l’unico atlante completo finora, comprendente anche le parlate della Svizzera meridionale (di tipo romancio ed italo-romanzo). L’AIS, rifacendosi al criterio della lingua tetto, non includeva i dialetti parlati in Corsica (che hanno come lingua tetto il francese). Invece, l’Atlante linguistico italiano (ALI) è ancora in fase di realizzazione: il progetto è nato a partire dal secondo decennio del Novecento ed è stato inizialmente diretto da Bartoli. Sui dialetti della Corsica abbiamo l’atlante linguistico-etnografico italiano della Corsica (ALEIC) di Bottiglioni. Sui dialetti friulani abbiamo l’Atlante storico-linguistico-etnografico (ASLEF) friulano di Pellegrini. L’ultimo atlante dialettale giunto a compimento sinora è l’Atlante linguistico del ladino dolomitico e dei dialetti limitrofi (ALD). Ancora in corso di realizzazione è l’Atlante linguistico della Sicilia diretto da Ruffino. L’Atlante lessicale toscano di Giacomelli riguarda la geografia e la struttura allo stesso tempo. L’Atlante linguistico ed etnografico del Piemonte è di stampo etnografico. Carta dei dialetti d’Italia di Pellegrini del 1977: classificazione dei dialetti italiani ancora oggi in uso (anche se con alcuni problemi) e alla quale attualmente si fa riferimento. Pellegrini si affida al criterio della lingua tetto: per cui considera varietà italo-romanze tutte quelle varietà che hanno come lingua tetto l’italiano (per questo il corso non fa parte della classificazione di Pellegrini, anche se strutturalmente è più vicino all’italiano del sardo, che invece da Pellegrini viene inserito e costituisce una varietà a parte). Secondo Pellegrini ci sono 5 gruppi (di cui due sono italo-romanzi solo per il criterio sociolinguistico della lingua tetto e non da un punto di vista strutturale): - Dialetti settentrionali: divisi in gallo-italici (piemontese, ligure, emiliano, lombardo) e veneti - Dialetti friulani - Dialetti toscani - Dialetti centro-meridionali (suddivisi in dialetti dell’area mediana, dialetti alto-meridionali, dialetti meridionali estremi) - Dialetto sardo (che nelle altre classificazioni di solito viene indicato come un ramo a parte dalla famiglia romanza, in quanto si prendono in considerazione le caratteristiche strutturali più di quelle sociolinguistiche, ovvero della lingua tetto/guida). Linea La Spezia-Rimini: fascio di isoglosse più importante dell’intera area italo-romanza: divide i dialetti settentrionali da quelli centro-meridionali, ovvero segna il confine sud dei dialetti settentrionali. A nord di La Spezia-Rimini ci sono i dialetti settentrionali. Si distinguono in due tipi: - il tipo gallo-italico (aree lombarda, emiliano-romagnola, ligure, piemontese e parte del Trentino) - il tipo veneto. A sud di La Spezia-Rimini: - i dialetti toscani - i dialetti centro-meridionali (area mediana, area alto-meridionale e i dialetti meridionali estremi). Ci sono anche i dialetti friulani e i dialetti sardi. Questi presentano caratteristiche strutturali diverse da quelli degli altri dialetti italo-romanzi, ma hanno come lingua tetto l’italiano, quindi sono italo- romanzi solo da un punto di vista sociolinguistico (strutturalmente sono varietà autonome). Mentre, il franco-provenzale parlato in Valle d’Aosta è un dialetto francese, perché ha come lingua tetto il francese. Per il friulano c’è chi pensa che faccia parte di una famiglia reto-romanza (come il ladino ed il romancio), tuttavia alcuni non credono a questa classificazione (come lo stesso Pellegrini). Linea Roma-Ancona: segna la divisione tra il toscano settentrionale e quello centro-meridionale. Il problema della carta di Pellegrini dell’area mediana dei dialetti centro-meridionali. Pellegrini non dà importanza al fascio di isoglosse di Roma-Ancona: fa iniziare i dialetti centro-meridionali da più su rispetto all’isoglossa Roma-Ancona. Infatti, l’area mediana del centro-meridionale viene rappresentata in senso moto largo. Infatti, Pellegrini considera mediano anche ciò che sta a nord del fascio Roma-Ancona, mentre l’area mediana inizia con il fascio Roma-Ancona. Ciò che sta a nord del fascio, che Pellegrini considera sempre mediano, in realtà è area perimediana. In pratica, l’area mediana di Pellegrini comprende anche quella perimediana. L’area mediana e perimediana, infatti, differiscono per alcune cose: ad esempio, l’esito di O e U latine. Questi esiti in area perimediana danno O (cuando > quanno; lupum > lupo), mentre in area perimediana le vocali latine rimangono invariate (cuando > quanno; lupum > lupu). Area perimediana: zona di transizione tra tipo toscano e mediano e tra tipo settentrionale e mediano; sta a nord del fascio Roma-Ancona. Zona di transizione tra i dialetti mediani e quelli toscani e quelli settentrionali. Il romanesco è una varietà che presenta tratti perimediani ma fortemente toscanizzati (a partire da Quattrocento/Cinquecento). È una varietà un po’ a parte, difficilmente definibile. Varietà strutturalmente italo-romanza ma esclusa dalla classificazione di Pellegrini perché esterna ai confini italiani e perché avente come lingua tetto il francese: il corso. Varietà strutturalmente e sociolinguisticamente (lingua tetto) italo-romanza ma esclusa dalla classificazione di Pellegrini perché non facente parte dei confini italiani: italiano svizzero (canton grigioni). Teorie sull’origine della formazione dei dialetti. Sono continuazioni del latino, nello specifico sono dialetti primari derivanti da dialetti secondari. - Teoria del sostrato (Scipione Maffei, Carlo Cattaneo, Isaia Ascoli): il processo di dialettalizzazione del latino sarebbe avvenuto con la romanizzazione della penisola, per effetto dell’apprendimento del latino da parte delle popolazioni assoggettate. Le differenze tra la lingua dei Romani e quella dei popoli prelatini assoggettati nella penisola si fa più intensa rispetto alle altre aree, poiché è il territorio che ha subito una sottomissione più lunga. Dunque, secondo la teoria del sostrato, i dialetti latini si sarebbero formati grazie all’apporto linguistico che le popolazioni prelatine avrebbero trasferito nel latino dei conquistatori. - Teoria del superstrato (Biondo Flavio e Ludovico Ariosto Muratori): i dialetti latini si sarebbero formati grazie all’apporto linguistico dei popoli che, nel corso del passaggio dall’antichità al Medioevo, si sono temporaneamente sovrapposti ai Romani, lasciando, quindi, delle tracce nella lingua. Il superstratismo di Biondo Flavio. Sull’origine della formazione dei dialetti latini si comincia a discutere dal Quattrocento: nel 1435 ci fu l’importante dibattito tra Leonardo Bruni e Biondo Flavio nel circolo di eruditi alla corte di papa Eugenio IV. Da questo dibattito ne esce la famosa opinione superstratista di Biondo Flavio, il quale riconosce nelle lingue germaniche parlate dagli invasori barbarici il fattore all’origine della differenziazione del latino (opinione sostenuta anche dallo storico Ludovico Ariosto Muratori). Il sostratismo di Maffei. Mentre il letterato ed erudito Scipione Maffei è dell’opinione contraria, ovvero è un sostratista che mette in evidenza la continuità tra il latino ed il romanzo. Il primo successo della teoria del sostrato (Ascoli). È, infatti, la teoria sostratica, tra le due, ad aver avuto una più larga diffusione, almeno fino al Novecento. Nell’Ottocento, attraverso una serie di passaggi e soprattutto grazie agli scritti dello storico Carlo Cattaneo, questo pensiero sull’origine della dialettalizzazione diventa una vera e propria teoria linguistica grazie ad Ascoli, che nel 1864 fonda su di essa l’intera classificazione dei dialetti italiani. Ascoli mette a punto un procedimento per la dimostrazione dell’effetto di sostrato, che si basa su tre prove: - Corografica: coincidenza geografica della diffusione delle due lingue nelle quali si riscontra lo stesso fenomeno. - Intrinseca: identità strutturale del fenomeno in comune - Estrinseca: individuazione di ricorrenza dello stesso fenomeno in lingue con lo stesso sostrato. Il declino della teoria sostratica con il Novecento. Con la seconda metà del Novecento si è cominciati a considerare la teoria sostratica meno importante e non sempre corretta, in quanto, è vero che da un punto di vista lessicale ci sono molti esempi di parole che hanno origine sostratica (celtica nei dialetti settentrionali, etrusca in quelli toscani, osca in quelli meridionali), tuttavia, per quanto riguarda mutamenti fonetici e struttura grammaticale, c’è molto scetticismo nei confronti di questa teoria. Secondo Lofstedt, le differenziazioni dei latini del VII riflettono differenziazioni già romanze; mentre, secondo Herman, nel VII-VIII secolo c’era una differenziazione in dialetti del latino (ci arriva attraverso il confronto tra errori ortografici trovati in epigrafi appartenenti a regioni diverse della penisola, divisa da Augusto in 11 regioni). Nei suoi studi Herman aveva notato delle deviazioni che si possono riscontrare nei dialetti moderni: la deviazione vocalica E/I molto frequente al Nord (regiones IX e XI: Piemponte, Liguria e Lombardia) e la deviazione consonantica B/V molto presente al Sud (provincia Sardinia), mentre l’Etruria ed il Bruttium occupano posizioni intermedie. Le origini dei dialetti nella scrittura. L’uso scritto dei dialetti non toscani ha origine più antica rispetto al toscano: infatti, le prime attestazioni di volgari, che poi diventeranno dialetti, risalgono al X secolo e non sono in toscano. Mentre per quanto riguarda il territorio europeo, le prime scritture in volgare compaiono poco prima rispetto all’Italia: in particolare, in Francia abbiamo esempi risalenti al IX secolo. Prima emergenza di differenziazioni dialettali nella scrittura: letteratura dialettale spontanea (IX-X secolo). - Indovinello veronese: albo versorio (designazione veneta dell’aratro) - Iscrizione nella catacomba romana di Commodilla presenta il raddoppiamento in bb dell’unico fonema insorto dalla neutralizzazione di b e di v (caratteristica dell’intero Centro- meridione) - Il glossario di Monza del X secolo, raccolta probabilmente di origine lombarda che contiene una serie di parole tutte settentrionali utili a chi volesse andare in Oriente - I Placiti campani (composti tra il 960 e 963 a Capua, Sessa Aurunca e Teano) che mostrano forme tuttora presenti nel Centro-Meridione, come kelle e tebe (a te) Da questi documenti in poi le informazioni sui dialetti aumentano sempre di più, con caratteristiche prima presenti soltanto in testi di carattere pratico e poi anche letterario. Per quanto riguarda informazioni sull’assetto linguistico di un particolare dialetto in fase medievale, bisogna ricorrere ai commenti linguistici che sono presenti per alcuni testi. Il ridimensionamento dell’uso dei dialetti a causa della canonizzazione del toscano: dalla letteratura spontanea alla relegazione alle commedie alle grandi opere del Novecento. In questa prima fase (IX-X secolo) in cui cominciano ad emergere le prime differenziazioni regionali nei documenti scritti con ancora il latino come lingua sovraregionale è chiamata: letteratura dialettale spontanea. Questo tipo di letteratura si incrina quando il toscano comincia ad emergere come lingua sovraregionale, in quel fenomeno che Migliorini ha chiamato crisi linguistica del Quattrocento, che via via porta all’affievolimento dell’uso letterario delle varianti diverse dal toscano e quindi alla canonizzazione del toscano ad opera di Pietro Bembo nelle Prose della volgar lingua del 1525. Dopo il Cinquecento e la canonizzazione del toscano come lingua sovraregionale i dialetti vengono prevalentemente usati per le commedie (per rappresentare la parlata dei popolani) oppure in opere novellistiche. Tuttavia, non mancano, soprattutto tra Settecento e Ottocento, opere di grande importanza scritte in dialetto: le commedie veneziane di Carlo Goldoni, le poesie milanesi di Carlo Porta e le poesie romanesche di Giuseppe Gioacchino Belli. Ovviamente, i dialetti in questi periodi continuano sempre a vivere nel parlato: lo scritto è il problema, dalla canonizzazione del toscano c’è stato un grande ridimensionamento dell’uso dei dialetti. Nel Novecento i dialetti vengono progressivamente ritirati dal parlato e si cristallizza una tradizione di lirica alta, come in Albino Pierro, il triestino Virgilio Giotti, il gradese Biagio Marin, il romagnolo Tonino Guerra ed altri. In queste opere del Novecento è presente una certa difficoltà di decodifica del dialetto, in parte finalizzata ad un certo ermetismo dell’opera. Documenti che mettono per iscritto l’oralità dialettale. Per uno studio scientifico sull’oralità dialettale bisogna aspettare il pieno Ottocento, tuttavia prima si possono raccogliere testi in cui sono presenti testimonianze di questa oralità. - Il De vulgari eloquentia di Dante contiene alcune frasi paradigmatiche per ogni regione - Raccolta cinquecentesca di Lionardo Salaviati di dodici versioni della novella I 9 del Decameron. Lo scopo di Salviati è quello di dimostrare l’inferiorità delle varietà popolari di fronte alla varietà di volgare letterario, che per lui era già consolidato - Raccolta primo-ottocentesca di versioni tratte dal Vangelo secondo Matteo da parte di Luigi Luciano Bonaparte con finalità scientifica. Anche le parabole del figliuol prodigo radunate nel 1830-35 dal torinese Ruscalla. - Raccolta di Pepanti (1875) che documenta i dialetti di tutte le regioni d’Italia. Da questo momento in poi, 1875, le raccolte cominciano a diventare sempre più scientifiche: la prima di queste è Testi dialettali italiani in trascrizione fonetica di Battisti (1914). Opere di descrizione dei dialetti. I primi testi dedicati alla descrizione dei dialetti risalgono al Seicento: a Milano il Prissian da Milan de lo parnonzia milanesa (1606) di Giovanni Ambrogio Biffi e a Napoli L'Eccellenza della Lingua Napoletana con la maggioranza alla Toscana (1662) di Partenio Tosco. Con il Settecento i testi si moltiplicano: ma sono sempre grammatiche nate per la formalizzazione del dialetto ed il suo uso nello scritto seguendo modelli di grammatica scolastica. Sono sicuramente grammatiche molto diverse da quelle successive ad Ascoli. Le classificazioni dei dialetti d’Italia: differenze tra la classificazione dell’Ascoli e quelle antiche. L’opera di classificazione inizia con l’articolo L’Italia dialettale (1882-1885) di Ascoli. Prima ci sono state altre classificazioni, tutte prive di un’analisi di tipo linguistico della suddivisione dei dialetti: - Dante del De vulgari eloquentia, in cui divide l’Italia in dodici aree, 6 a destra degli Appennini e 6 a sinistra - Fernow (1808) anche si basa sullo spartiacque appenninico - Biondelli suddivide i dialetti italiani in 6 famiglie ispirate ai popoli dell’Italia antica - Cherubini pubblica una Dialettologia italiana La classificazione dell’Ascoli. Invece, la classificazione dell’Ascoli si basa su criteri linguistici e usa le isoglosse, che da questo momento in poi diventano fondamentali nella determinazione dei confini linguistici. Oltre all’aspetto diacronico viene considerato anche quello sincronico, ovvero del toscano come lingua superiore alle altre e continuazione diretta del latino volgare. Ascoli, in questa classificazione, non prende particolarmente in considerazione il sostrato ed omette del tutto un elenco delle popolazioni prelatine. Ascoli nella sua classificazione si basa su un metodo centripeto: - Dialetti che dipendono da sistemi neo-latini non peculiari all’Italia (come provenzale, franco-provenzale, ladino) - Dialetti che si distinguono dal sistema italiano vero e proprio ma non rientrano neanche in alcun sistema neo-latino estraneo all’Italia (come il gallo-italico ed il sardo) - Dialetti che possono formare con il toscano uno speciale sistema di dialetti neo-latini (veneziano, dialetti centro-meridionali, corso) - Dialetti toscani Le classificazioni successive mantengono tutte la centralità del toscano ma divergono per tutto il resto. Rimane aperto in problema della varietà alloglotte e del ladino, che viene affrontato da molti studiosi attraverso classificazioni diverse. Le parlate alloglotte. Si distinguono in romanze e non romanze. Dialetti non romanzi: Dialetti tedeschi: - Dialetti tedeschi parlati in Alto Adige/Sudtirol con il tedesco come lingua tetto - Le enclaves tedesche del Trentino e del Veneto - Le colonie walser di origine tedesca disposte intorno al Monte Rosa - La colonia di Bosco Gurin nel Canton Ticino Dialetti sloveni: - Lungo il confine delle province di Udine, Gorizia e Trieste Dialetti croati: - In Molise: Acquaviva Collecroce, Montemitro e San Felice del Molise Rohlfs individua anche degli elementi lessicali slavi nei dialetti del Gargano Il vocalismo sardo: prevede solo 5 vocali, non c’è più l’opposizione timbrica tra medio-basse e medio-alte, sia palatali che velari (ci sono solo le E ed O aperte) In alcuni casi ci può essere stata una corrispondenza originaria tra i fonemi vocalici latini e quelli romanzi, che però è mutata nel corso del tempo: - nel corso centro-settentrionale, in cui le vocali medie hanno il timbro invertito, ovvero invece che una E chiusa, I breve ed E lunga danno luogo ad una E aperta e lo stesso vale per la O. - a Manfredonia, in provincia di Foggia, le vocali medie hanno dittongato in sillaba aperta tonica Il caso del vocalismo siciliano (a metà tra sistema indipendente e sviluppo del panromanzo). Da alcuni studiosi, come Rohlfs, viene considerato indipendente da quello panromanzo, mentre sarebbe più probabilmente, secondo Fanciullo, un ulteriore sviluppo del sistema romanzo comune, incentivato dal contatto durante il medioevo con il greco bizantino. Il sistema intermedio di Lausberg. La fascia intermedia occupata da questo sistema inizia dalla costa adriatica tra Brindisi e Ostuni, occupa il Salento settentrionale e prosegue in Lucania fino a toccare la parte meridionale della provincia di Salerno (anche Omignano ha un dialetto intermedio di questo tipo, anche se ad oggi prevalgono le caratteristiche napoletane). - Per Lausberg e Parlangèli si tratta di un’area originariamente a vocalismo napoletano, poi modificato dal siciliano - Per Franceschi e Barbato si tratta di un’area originariamente a vocalismo siciliano, poi modificato dal napoletano (quindi dal romanzo comune) Il sistema del corso sud-occidentale. Alla divergenza di questo sistema dal panromanzo viene data una spiegazione simile a quella che viene data per il sistema intermedio, ovvero la contaminazione di un altro sistema dialettale: infatti, il corso sud-occidentale avrebbe originariamente un sistema di tipo sardo, influenzato successivamente dal toscano. Mutamenti delle vocali toniche in tutti i dialetti. I mutamenti che riguardano le vocali toniche in tutti i dialetti sono l’allungamento e la metafonia (ovvero innalzamento, palatalizzazione o dittongazione della tonica per influsso della vocale finale), mutamenti che originariamente erano allofonici. Dall’allungamento della tonica deriva la dittongazione di E breve ed O breve in toscano, nei dialetti del Nord da questo mutamento deriva la fonologizzazione della quantità vocalica. Vocalismo atono. Caratteristiche dei vari dialetti: - L’area mediana ed il sardo logudorese sono i più conservativi perché salvano tutti e cinque i timbri vocalici originari - I dialetti settentrionali subiscono la cancellazione delle vocali finali non basse, fanno eccezione il ligure ed il veneto centrale e lagunare, che, come il toscano, mantengono 4 vocali finali distinte (mantengono la distinzione delle I ed E, ma la O e la U confluiscono in O. - L’Alto Meridione è il più estremo in quanto a riduzione: prevede la neutralizzazione di tutti i timbri vocalici in una vocale indistinta, anche se si possono trovare alcune aree conservative che preservano un sistema atono finale a due, tre o quattro vocali - Il Meridione Estremo prevede l’innalzamento della O ad U e quello della E ad I, quest’ultimo ovunque tranne che a Lecce e Cosenza Sviluppi secondari: - Armonia vocalica (vocale finale che si uniforma alla vocale tonica: è il contrario della metafonia). Nei dialetti settentrionali questo fenomeno riguarda la A, l’unica vocale conservata, che, in alcuni dialetti della Svizzera italiana, si uniforma alla vocale tonica. DIALETTI SETTENTRIONALI (piemontese, lombardo, emiliano, ligure). Caratteristiche generali. L’importanza della Linea La Spezia-Rimini: segna il confine sud dei dialetti settentrionali. Secondo Wartburg segna il confine tra Romania occidentale (che comprende i dialetti settentrionali, il francese, il franco-provenzale, il romancio ed il catalano) ed orientale (che comprende i dialetti italiani centrali e meridionali ed il rumeno) e la linea sarebbe stata riconoscibile già dal II secolo, mentre secondo Politzer solo dal Medioevo. La Linea La Spezia-Rimini è fondamentale per la demarcazione di queste due aree perché traccia la separazione tra zone in cui il medesimo tratto è distinto: tratti importanti tra Romania occidentale ed orientale sono: - La sonorizzazione delle consonanti sorde intervocaliche (che si verifica nella Romania occidentale e non in quella orientale), chiamato anche lenizione - Il mantenimento di S finale nella flessione nominale e verbale (che in origine abbracciava tutta la Romani occidentale: mentre adesso solo in alcuni casi i dialetti settentrionali presentano questo tratto: ad esempio, la S sonora resta in piemontese nei verbi irregolari con tema del presente monosillabico e nel futuro, mentre in veneziano questo tratto rimane negli stessi verbi del piemontese ma solo nelle forme interrogative). Caratteristiche fonologiche dei dialetti settentrionali: Isoglosse che si estendono anche nelle aree transalpine: - Degeminazione delle consonanti geminate (mutamento a catena di trazione, insieme alla lenizione). Questa caratteristica è diffusa anche oltre le Alpi. - Apocope: caduta delle vocali finali diverse da A (supera le Alpi come la degeminazione ma non l’Appennino) - Assimilazione delle affricate palatali in sibilanti sonore e poi sorde per effetto delle velari latine davanti a vocale palatale (E ed I). Anche se ci sono delle zone appenniniche in cui vengono mantenute o le palatali o le fricative sonore Isoglosse che non si estendono anche al di là delle Alpi: - Palatalizzazione del nesso -CL- e -GL- - Metafonia della vocale tonica, che subisce palatalizzazione e/o innalzamento per effetto di una vocale seguente, normalmente la finale, che spesso poi cade. La vocale finale che influenza la tonica può essere I lungo nei dialetti svizzeri, oppure U breve in alcuni dialetti alpini. Questi fenomeni metafonetici appaiono abbastanza regrediti con il tempo, attualmente il loro uso è relegato alle aree rurali Caratteristiche morfologiche: - L’articolo singolare maschile viene usato in una forma innovativa (detta debole, perché non uscente in vocale ma in consonante preceduta da vocale), che varia a seconda del dialetto in particolare (el, ul ,al); in alcuni dialetti, come il genovese o il ligure, viene ancora usata la forma forte, ovvero uscente in vocale, mentre i dialetti lombardo-alpini conservano una fase intermedia in cui la forma dell’articolo dipende dal segmento che lo precede (quindi possono apparire in forma forte o debole a seconda di ciò da cui sono preceduti). In alcuni dialetti liguri ed emiliani la forma dell’articolo cambia a seconda della consonante iniziale della parola che segue: alcuni dialetti dell’Appennino modenese le forme dell’articolo sono tre (E davanti a consonante labiale o velare, AL davanti a consonante non continua e U davanti a consonante continua) - Perdita dei pronomi derivanti dalle forme Ego e Tu, sostituiti in epoca medievale dagli originariamente obliqui mi, ti (veneto) e me, te (emiliano) - Caduta in disuso del passato remoto, sostituito dal passato prossimo Caratteristiche morfosintattiche: - Il sistema delle particelle proclitiche soggettive sorto in fase tardo-medievale in tutta l’area settentrionale (compresi ladino e friulano), che accompagnano il verbo finito: in alcuni dialetti queste particelle accompagnano il verbo in tutte le persone, in altri solo per alcune persone. Queste particelle vengono anche usate, in tutto il Settentrione, con inversione nelle interrogative, tanto che molti studiosi si sono chiesti se esistesse una vera e propria coniugazione dell’interrogativo. A favore di questa teoria c’è l’asimmetria tra i paradigmi all’affermativo e all’interrogativo (in alcuni dialetti all’interrogativo sono presenti clitici che non trovano riscontro all’affermativo: in veronese sio (siete) e sonti (sono io)). Caratteristiche sintattiche: - Particolarità del costrutto impersonale: posposizione dell’argomento al verbo, uso di un clitico soggetto diverso da quello che si userebbe nella costruzione personale e mancata concordanza per persona del verbo finito e per genere e numero per i verbi composti. Manzini e Savoia distinguono gli impersonali in tre categorie (impersonale con verbo alla terza plurale, impersonale meteorologico, impersonale frasale) e nota come alcuni dialetti abbiano il clitico per tutte e tre le costruzioni, mentre altri lo hanno solo per i meteorologici ed i frasali. - Clitico pronominale oggetto nei costrutti con verbo modale sull’infinito: in alcune zone si mantiene, invece, il clitico sul verbo modale - L’articolo partitivo: che, invece, il Centro-Meridione e la Sardegna non conoscono La particolarità dei dialetti veneti. I dialetti veneti, ed in particolare il veneto lagunare e centrale, prevedono due particolarità, la conservazione delle vocali finali diverse da A e l’assenza della quantità vocalica distintiva che è insorta in tutti gli altri dialetti settentrionali. - Desinenza nella prima plurale del verbo in -UM - Posposizione della negazione al verbo Caratteristiche dei dialetti lombardi orientali: - Abbassamento di [i] e [y] ad [e] ed [0] in sillaba originariamente chiusa. Questo abbassamento è avvenuto quando [i] e [y] erano ancora distinte dalle corrispondenti lunghe, che poi si sono abbreviate. - Cancellazione di V intervocalico e caduta di N dopo la vocale tonica Caratteristiche dei dialetti lombardi alpini: - triplice distinzione degli esiti di (-s)s-, (-)C e/i-, -CI-, -TI- - Tendenza alla palatalizzazione di A, soprattutto in vicinanza di consonante palatale e palatalizzazione di consonanti velari davanti ad A (fenomeni che avvicinano il lombardo alpino al ladino) - Conservazione dei nessi cons. + L (solo in alcune aree dei dialetti alpini, come la Valtellina) e della S in parte della flessione verbale (anche questo tratto presente solo in alcune aree) - Conservazione delle forme Ego e Tu, non sostituite dalle forme oblique - Plurale femminile in -AN tonica ristretto ai nomi di persona e di parentela e quello in -AN atona - Formazione della prima plurale a partire da HOMO (tipica anche del bergamasco) - Proclisi all’infinito Trentino. Il Trentino presenta, oltre a tratti comuni con gli altri dialetti settentrionali, anche tratti simili a quelli lombardi, veneti e ladini, più marcati nella parte occidentale, settentrionale e sud-orientale. Tratti comuni al lombardo: - Ricorrenza delle vocali [y, 0] (presenti in Trentino centrale ma scompaiono in Valsugana, dove il vocalismo è di tipo veneto) - Esito sonoro di -CL- di tipo lombardo Tratti comuni al veneto: - Conservazione di tipo veneto che si oppone all’apocope di tipo gallo-italico - Le vocali finali cadono solo dopo L, N, R sempre secondo il modello veneziano - Esito sordo di -CL- di tipo veneto Tratti ladini: - Palatalizzazione delle velari davanti ad A - Conservazione di S Particolarità del trentino centrale: - Opposizione tra due forme distinte in base al genere nel verbo finito, per la sola III singolare di essere Veneto. Secondo sottogruppi dei dialetti settentrionali (i dialetti veneti sono diversi rispetto ai gallo-italici). Suddivisione: - Veneziano lagunare e di terraferma - Padovano-vicentino-polesano (veneto centrale) - Veronese (veneto occidentale) - Trevigiano-feltrino-bellunese (alto veneto) - Dialetti ladini del Comèlico, del Cadore e del Livinallongo Le distinzioni tra i sottogruppi del veneto erano più marcate in fase medievale, quando, ad esempio, l’alto veneto presentava sempre la caduta della finale, poi ripristinata per influsso del veneziano, estraneo all’apocope dalle origini. Il veneziano garantisce al veneto la sua autonomia rispetto agli altri dialetti settentrionali, ovvero i dialetti gallo-italici. Isoglosse condivise con gli altri dialetti settentrionali: lenizione, degeminazione, clitici soggetto (in Veneto in genere limitati alla seconda persona e alle terze persone), coniugazione interrogativa (a Venezia alla prima singolare si incontra solo con pochi verbi irregolari) ed il costrutto impersonale di tipo settentrionale. Caratteristiche che divergono dai dialetti gallo-italici. Fonologia. - Conservazione delle vocali atone finali: cadono soltanto la E dopo L, N, R scempie e la O dopo la N. Le parlate del veneto centrale apocopano solo dopo N. La conservazione della geminazione che precede la vocale finale è rimasta così a lungo (fino al Duecento) che ha provocato anche la conservazione della vocale finale. Ad oggi la varietà feltrino-bellunese presenta l’apocope di tutte le atone finali, mentre il trevigiano (che originariamente presentava questa caratteristica) le mantiene, per influsso del vocalismo di Venezia. - Assenza della caduta di vocali atone interne, come sincope protonica o postonica dell’emiliano - Assenza della palatalizzazione della A tonica in sillaba aperta (tipica dell’emiliano) - Assenza della palatalizzazione di U lungo e O breve in [y, 0] - Ricorrenza del dittongo dal latino E breve, ovvero JE e del dittongo dal latino O breve, ovvero w + O aperta, ma è per lo più ridotto ad O chiusa - Il fonema [y] si riscontra solo in alcune zone del Nord, come Garda e Malcesine - L’esito non palatale del nesso -CT- (caratteristica che allontana il veneto dai dialetti del Nord- Ovest e lo avvicina al toscano e all’emiliano-romagnolo) - Diffusione delle interdentali (come quelle dell’inglese) nelle aree rurali, mentre nelle aree urbane queste si neutralizzano in [s] e [z] Morfologia. - Conservazione del morfema desinenziale -E per i femminili plurali e di -O alla prima persona singola del verbo - Uscita -EMO per la prima persona plurale - Eguagliamento della III persona singola alla III plurale (caratteristica di tutti i dialetti veneti e che si estende al lombardo orientale ed al romagnolo, marchigiano e abruzzese centro- settentrionale) - Participio passato in -ESTO Emilia-Romagna. Suddivisione (di Merlo) orizzontale: - Area settentrionale: Piacenza, Parma, Reggio e Modena (sconfina nel Pavese e nel Mantovano della Lombardia) - Area centrale: province di Bologna e Ferrara, le parti meridionali del reggiano e del Modenese e la Romagna toscana - Area meridionale o romagnola: Forlì, Ravenna, Rimini ed appendice marchigiana del Pesarese Suddivisione del Pellegrini: - Emiliano occidentale: Piacenza, Parma, Reggio e Modena - Emiliano orientale: Bologna e Ferrara - Romagnolo: romagnolo-marchigiano e lunigianese a sud e mantovano e vogherese-pavese a nord Caratteristiche: Fonologia. - Palatalizzazione di A in sillaba aperta (nel romagnolo ed in quasi tutto l’emiliano), la quale si produce anche davanti a L7R + consonante, contesto in cui i dialetti emiliano di solito presentano allungamento della vocale tonica - Isoglossa della palatalizzazione di U lungo in [y] esclude le province di Reggio e Parma - Frequenti le dittongazioni delle vocali toniche (concentrate nell’area di Bologna e in Romagna) - La distinzione di quantità vocalica, diffusa in tutto il Settentrione (ad eccezione del veneto) rimane in emiliano anche in parossitona (come nel ligre e diversamente dal lombardo) - Sincope delle vocali protoniche, da cui derivano nessi consonantici complessi (l’emiliano rappresenta l’apice della complessità sillabica nel panorama dialettale italo-romanzo). Per semplificare questi nessi a volte subentrano altri fenomeni, come metatesi o prostesi (quest’ultima per le sequenze di laterale o nasale + consonante - Caduta della vocale finale estesa in tutte le varietà con l’eccezione del Modenese e del Bolognese, dove alcune varietà conservano quattro vocali distinte, cancellabili entro frase ma non davanti a pausa, oppure dialetti in cui si presenta una vocale centralizzata (E rovesciata) come esito delle vocali finali non basse. - Tutte le varietà presentano lenizione e degeminazione, solo che nelle varietà appenniniche questi fenomeni risultano attardati e geminano solo in protonia - Fenomeni che distinguono l’area settentrionale da quello appenninica: vocalizzazione della L davanti a consonante labiale o velare - Isoglossa consonantica che distingue i dialetti occidentali da quelli orientali: i dialetti occidentale hanno la confluenza degli esiti di -CI- e TI- in -S(S)-, mentre quelli orientali solo se la vocale finale era I o U, che la dittongazione di queste due vocali dipende dalla presenza non della sillaba aperta ma della vocale finale, quindi la dittongazione avviene per condizionamento metafonetico (e la dittongazione in sillaba aperta sarebbe solo un riaggiustamento successivo, infatti, ci sono forme non flessive come bene e male che mantengono la forma originaria non dittongata). Secondo Schurr, inoltre, la dittongazione sarebbe avvenuta per metafonesi in tutte le lingue romanze. Castellani confuta le ipotesi di Schurr sulla base del fatto che la mancata dittongazione di parole come bene e male può essere dovuto alla loro protonia sintattica (ovvero alla loro posizione generalmente non finale nella frase), sulla base dell’esistenza di varianti quali biene e nuove in fase medievale in altre varietà toscane e perimediane e sulla base del fatto che è molto improbabile che in fase medievale e quindi preletteraria l’aretino avesse potuto influenzare Firenze e tutto il resto della Toscana. Anche l’estensione della teoria metafonetica a tutte le lingue romanze non può essere sostenibile, in quanto spagnolo e portoghese non hanno mai conosciuto questi tipi di dittongazione. Caratteristiche del toscano passate allo standard: - Doppia forma per l’articolo maschile singolare il/lo (i dialetti centro-meridionali hanno, invece, solo la forma lo e le sue varianti; mentre i dialetti settentrionali hanno solo l’articolo L) Tratti del fiorentino passati all’italiano standard che lo distinguono dagli altri dialetti toscani. - Passaggio di AR atono a [er]: laverà < lavare - Anafonesi: sviluppo in [i;u] anziché [e;o] di I e U brevi latine davanti ad alcune consonanti o nessi consonantici come GN, GL, NG (patrigno, famiglia, lingua, fungo) - Generalizzazione della desinenza -IAMO a tutte le coniugazioni avvenuta tra Due e Trecento a Firenze; a differenza degli altri dialetti toscani che mantengono le forme sentimo, cantamo. Tratti del fiorentino che divergono dallo standard per innovazione successiva allo stabilirsi della norma. - Clitici soggetto - Perdita di distinzione di caso nel pronome personale di II persona singolare, caratteristica che si sviluppa nel periodo postmedievale, tanto che fino a pochi anni fa c’erano ancora zone, come l’isola d’Elba o Cortona, che resistevano a questo mutamento - Insorgenza della gorgia: fenomeno documentato solo dal Cinquecento, che consiste nella fricativizzazione della K, pronunciata [h], ed anche di P e T. Il fenomeno perde d’intensità man mano che ci si allontana da Firenze: sulla costa occidentale, ad esempio, la gorgia interessa soltanto la K che dilegua e non interessa P e T. Tratti che distinguono i dialetti toscani dallo standard per conservazione. - Conservazione dei tre gradi di vicinanza del dimostrativo (questo, codesto e quello) Varietà toscane che presentano tratti settentrionali. - Alcune varietà del Nord-Ovest presentano la sonorizzazione della consonante intervocalica, la caduta delle vocali finali diverse da A e la deaffricazione di [ts] e [dz] (fenomeno che anticamente interessava Lucca e Pisa). Particolarità dei dialetti dell’area lunigianese. - Esito retroflesso in D del latino-LL- (a Massa, Carrara e Garfagnana) - Desinenza in -A per i femminili plurali di prima declinazione (tra la Lunigiana e la Garfagnana): fenomeno che in alcuni dialetti lunigianesi porta allo sviluppo di un altro plurale in -JA, desinenza sensibile alla posizione sintattica (se accompagnato da aggettivo o meno) Particolarità dell’aretino-cortonese. - Palatalizzazione di A tonica in sillaba aperta - Degeminazione limitata alla posizione protonica, tranne nel dialetto borghese (di Borgo Sansepolcro), dove la degeminazione si estende in postonia, dopo vocale bassa o medio- bassa Corsica. I dialetti corsi sono stati associati o al Centro-Meridione o alla Sardegna. In ogni caso sono dialetti che hanno subito una toscanizzazione a partire dal Medioevo. Suddivisione. Si possono suddividere in due sottogruppi, seguendo la catena montuosa che divide la regione da ovest a sud-est: - Dialetti cismontani (a Nord) - Dialetti oltramontani (a Sud) Melillo propone anche un’ulteriore suddivisione: tra i dialetti meridionali individua anche un sottogruppo arcaico (all’estremo sud) ed uno conservativo (a sud-ovest) e tra i dialetti settentrionali individua un sottogruppo toscanizzato. Si pensa che sui dialetti più conservativi del sud si sia esercitata la toscanizzazione. Vocalismo atono: innalzamento della O finale in U, parallelo all’innalzamento da E ad I dei dialetti meridionali. Questo tipo di vocalismo atono rende i dialetti corsi uguali al sassarese-gallurese (tranne per la E finale che si conserva nei dialetti centrali e settentrionali). Vocalismo tonico: - Corso meridionale. Sistema di tipo sardo (identico al vicino gallurese): I e U brevi e lunghe latine confluiscono in I e U, mentre E ed O brevi e lunghe latine confluiscono in E chiuse e aperta e in O chiusa e aperta, con qualità condizionata dalla struttura sillabica. - Corso centro-settentrionale. Distingue sette fonemi come il toscano ma con l’inversione di qualità delle vocali medio-basse e medio-alte. Tratti frutto della toscanizzazione. - Raddoppiamento fonosintattico condizionato dall’accento - Ordine dei clitici accusativo-dativo Isoglosse comuni con l’Italia centro-meridionale. - Abbassamento di O protonico - Ricorrenza del possessivo enclitico - Sviluppo di consonanti retroflesse come esito di -LL- (connette il corso al Meridione estremo e alla Sardegna) - Estensione della desinenza in A per i plurali maschili della III, della II e della I declinazione - Marcamento preposizionale dell’oggetto diretto, in particolare quando questo è un nome proprio di persona Dialetti centro-meridionali. Ampia area che parte dai confini meridionali ed orientali della Toscana e dalla parte centrale delle Marche fino alla Sicilia. Tratti comuni a tutti i dialetti centro-meridionali. - Mancanza dei fonemi vocalici anteriori arrotondati [y; 0] (presenti, invece, nei dialetti settentrionali): quando sono presenti hanno valore allofonico. Ne deriva un sistema fonematico semplificato per i dialetti centro-meridionali, rispetto a quelli del Nord-Ovest. Eccezione fa il materano, che ha subito una rotazione vocalica per cui si oppongono y, u ed i. - Dittongazione metafonetica ed innalzamento metafonetico (metafonia sabina/ciociaresca). Mancanza della dittongazione di E ed O brevi accentate in sillaba aperta (tratto che caratterizza il toscano e vari dialetto settentrionali, veneto ed emiliano-romagnolo in particolare). A sostituire questa dittongazione c’è una dittongazione metafonetica di E ed O brevi causata da I finale in parte dell’Abruzzo ed in alcune aree adiacenti Marche e Lazio. Dittongazione metafonetica a volte può portare all’insorgenza di una monottongazione: questa rotazione vocalica in alcuni dialetti centro-meridionali ha portato all’opposizione di tensione tra vocali alte (ovvero opposizione tra alte chiuse e aperte: I e U), cosa che di solito non succede nell’italo-romanzo (dove abbiamo l’opposizione di tensione solo per le medie, ma ad esempio succede in tedesco). Ad esempio, nel dialetto pugliese di Canosa sono sorte vocali alte tese e lo stesso accade in alcuni dialetti calabresi dell’area Lausberg. L’effetto metafonetico sulle vocali medio-basse protoromanze, inoltre, in alcune zone si spiega come innalzamento anziché dittongazione: questo tipo di metafonia, detta sabina o ciociaresca, è molto diffusa nell’area mediana e in alcune zone dell’alto Meridione, come il Lazio meridionale, il Beneventano, il Molise sud-orientale e la Puglia settentrionale. Secondo il Barbato, che si basò sulla consultazione delle carte AIS, la dittongazione metafonetica ha origine da Roma e Napoli (infatti originariamente in entrambe si hanno cuorpo e viecchio), mentre l’innalzamento metafonetico (metafonia sabina/ciociaresca) dalle zone laterali. Quindi, tra i due tipi di metafonesi, quella sabina/ciociaresca è da considerarsi più antica, perché proveniente da zone laterali (secondo la norma delle aree laterali di Bartoli, infatti, se un fenomeno è diffuso in area centrale e l’altro in area laterale sarà più antico quello dell’area laterale). La dittongazione metafonetica è presente in Meridione Estremo e interessa la Calabria fino a Vibo Valentia e poi ricompare in Sicilia centro-orientale, dove forse si deve ad uno sviluppo recente (dato che i documenti antichi non ne mostrano traccia). Nel Meridione estremo ricorre più raramente anche la metafonia per innalzamento. Anche il Salento centrale e settentrionale presenta dittongazione metafonetica, che si arresta sulla linea Nandò-San Donato-Vernole, a sud della quale si pensa non sia metafonesi per la mancanza di dittonghi da cui questi dialetti sono caratterizzati, ma Grimaldi ha dimostrato che ciò è vero solo nei diletti centro-occidentali, mentre i dialetti centro-orientali presentano metafonesi per innalzamento. - Forme enclitiche del possessivo (dalla linea Roma-Ancona alla Calabria e al Salento, ma non nelle isole) con i nomi di parentela e poco altri nomi, soprattutto alla I e II persone, di rado alla III, ed ancora più raramente al plurale Area mediana. - Conservazione della distinzione tra U ed O finali latine. In una zona del Lazio meridionale (comprendente S. Vito lo Capo, Capranica Prenestina, Cervara di Roma e Subiaco) si ha la conservazione della U latina finale solo dopo vocale tonica. Mentre l’area perimediana presenta confluenza in O, come in Toscana - Esito in J di RI e ricorrenza dell’articolo determinativo maschile singolare di forma debole con alternanza come nel toscano - Palatalizzazione di A in E aperta in sillaba aperta (dalla Romagna tocca l’Umbria settentrionale e le Marche settentrionali fino alla valle del Tevere) - Indebolimento e caduta delle vocali protoniche con riduzione a vocale indistinta e sincope (Umbria settentrionale). Anche dopo l’accento le vocali interne si indeboliscono: tutta a sillaba finale è soggetta a indebolimento e cancellazione. - Degeminazione (tratto che penetra sempre da Nord nell’area perimediana); nell’Umbria settentrionale la degeminazione si ha prima dell’accento. Alto Meridione. Inizia al confine orientale dell’area mediana. Include per intero le regioni del Molise, Campania e Basilicata. Linee: - La linea Cassino-Gargano segna il confine meridionale di alcuni fenomeni che dall’area mediana scendono attraverso Abruzzo e Molise fino al Gargano: come SI che diventa SH (scritto come la traslitterazione russa), BI/VI che diventa J, la palatalizzazione di S davanti a dentale - La linea Eboli-Lucera marca il confine sud-orientale di peculiarità fonetiche campane: esiti CI > tts, LL > dd, mantenimento del clitico pronominale di I plurale Caratteristiche: - Metafonia: in parte dei dialetti di Marche, Abruzzo e Lazio viene prodotta solo da I lunga, nel Gargano ci sono numerose varietà in cui la metafonesi oscilla o è del tutto assente - Palatalizzazione di A in sillaba aperta (in gran parte dei dialetti pugliesi e nelle zone di Lucania e Molise - Scansione eterosillabica dei nessi consonante + R - Neutralizzazione di tutti i timbri vocalici in vocale indistinta (tuttavia, molte aree presentano un vocalismo finale contraddistinto da una o più opposizioni - Sistema di uscita trivocalico nel Cilento meridionale o addirittura quadrivocalico (messo in evidenza da Rohlfs. Secondo alcuni studiosi questi esiti sarebbero frutto di un riaggiustamento a partire da un vocalismo più ridotto - La neutralizzazione della vocale finale si è espansa con il tempo (infatti, il napoletano del Tre e Quattrocento possedeva ancora un atriplice distinzione tra O, A e vocale indistinta - Vocalismo protonico ridotto ad un sistema trivocalico, che vede confluire in barese U nella vocale indistinta E - Il sistema protonico si presenta ridotto ad un sistema trivocalico - I dialetti dell’angolo sud-est della Puglia centro-settentrionale e della Lucania orientale ed in area meridionale estrema, nel Salento, , ed in area meridionale estrema, nel Salento, sono caratterizzati da mutamento di J panmeridionale (derivante da G +I/E, I, D, GI) in SH - Mantenimento dell’opposizione tra passato prossimo e passato remoto con le funzioni aspettuali rispettive di perfetto ed aoristo (azione conclusa e completata, anche recente). - I dialetti che presentano l’articolo neutro distinguono quattro paradigmi di articolo con altrettanti generi grammaticali - Nei dialetti pugliesi di Mola e di Altamura l’accordo dell’aggettivo distingue due sottogeneri specificati come [+- animato] e [+- umano]. L’accordo dell’aggettivo cambia a seconda del sostantivo, se questo è animato oppure no. - Nel dialetto di Ripatransone triplice accordo di genere per le forme finite del verbo ma anche per quelle non finite (cosa inusuale per le lingue romanze ed anche indoeuropee) - In continuità con Veneto e Romagna, le varietà mediane e alto-meridionali adriatiche aboliscono la distinzione tra III persona singola e plurale del verbo. Questo fenomeno arriva fino all’Abruzzo: gli abruzzesi innestano un marcamento della III plurale attraverso la grammaticalizzazione del continuatore di HOMO Zona Lausberg: tra l’alto-Meridione ed il Meridione estremo (area di confine calabro-lucana): esiti delle vocali toniche di tipo sardo e rumeno, conservazione di S e T nella flessione verbale. Meridione estremo. Suddivisione in sezioni: - Salentina - Calabrese - Siciliana Caratteristiche: - Convergenza di U, O > U - Convergenza I, E > I, esclusi il Cosentino ed il Salento centrale e meridionale - Vocalismo tonico siciliano comune a tutta la zona tranne che al Salento settentrionale. L’area brindisina presenta il vocalismo tonico di tipo marginale, in cui I breve ed E lunga e U breve ed O lunga non si sono innalzati, se non per metafonia. Dove c’è il vocalismo siciliano non si incontra la metafonia di E ed O medio-alte protoromanze, mentre la metafonia delle medio-basse E breve ed O breve ricorre in Calabria centro-settentrionale, Salento centro- settentrionale e Sicilia centro-orientale. Peculiare del calabrese è l’applicazione della metafonia anche davanti agli esiti di O - Presenza di consonanti retroflesse (tranne che nel Salento settentrionale), come esito di LL e di (S)TR. Quindi LL > dd (occlusiva retroflessa sonora) o ddz (affricata) - Dal nesso latino (T)TR si ha nella maggiorparte del Meridione estremo un’affricata sorda - Dal nesso STR si hanno sviluppi ulteriori, ad esempio la fusione in SS (sh) a Lecce o in una vibrante retroflessa desonorizzata a San Giovanni in Fiore - Retroflessione della R che all’iniziale si rafforza (siciliano) - Desonorizzazione delle occlusive sonore (anche intervocalicamente ma non avviene in caso di raddoppiamento fonosintattico) - L’infinito è soggetto a forti restrizioni d’impiego nei dialetti salentini, calabresi centro- meridionali e siciliani nord-orientali (tuttavia resiste ovunque in dipendenza da verbo modale potere, mentre in dipendenza da verbo causativo e di percezione è opzionale. Questa restrizione dell’uso dell’infinito è stata ricondotta al contatto con il greco-bizantino. Le congiunzioni che introducono la dichiarativa che sostituisce l’infinito sono le stesse che ricorrono in caso di mancata coincidenza tra soggetto della principale e soggetto della subordinata: si crea opposizione tra due congiunzioni (mu/mi e ka). Anche più a Nord, dove ‘uso dell’infinito si è conservato, si crea opposizione tra due congiunzioni (ka e ki) e residui di un k + vocale indistinta si trovano anche più a Nord, in are Alto-Meridionale. - Impiego ristretto del passato prossimo (Sicilia e Calabria centro-meridionale) con valore durativo-iterativo per indicare eventi ripetuti e rilevanti al momento in cui si parla Dialetti salentini: - Salentino settentrionale: vocalismo tonico di tipo marginale e innalzamento della E finale. Presenta anche metafonia come il salentino centrale (leccese), che ha però vocalismo siciliano e conservazione dell’opposizione E, I. - Salentino meridionale: minore incidenza della dittongazione metafonetica (assente totalmente all’estremo sud). Ciò non implica, però, che in questi dialetti la metafonia sia del tutto assente: infatti, è assente per quelli sud-occidentali, ma non per quelli sud-orientali (triangolo di Ruffano, Adriano, Salve e S. Maria di Leuca), che presentano metafonia per innalzamento. In tutti i dialetti salentini meridionali c’è un influsso di I e di U - Uso di perifrasi con forma fossilizzata di stare (salentino in generale) Dialetti calabresi. Per la suddivisone, il Rohlfs distinguebtra una Calabria greca (a sud di Tiriolo) ed una latina (a nord), Falcone, invece, propone una tripartizione: la parte settentrionale che comprende il cosentino, quella centrale il catanzanese e quella meridionale il reggino. Trumper e Mddalon individuano, invece, cinque aree: le tre di Falcone, la parte calabrese dell’area Lausberg che diventa autonoma e la suddivisione dell’area mediana in due sezioni (una a nord e l’altra a sud di Catanzaro). Dialetti siciliani. Piccitto propone una bipartizione a seconda della presenza o assenza della metafonia: da una parte c’è un siciliano centro-orientale in cui è presente una dittongazione metafonetica di E ed O brevi e dall’altra il siciliano occidentale (a sua volta diviso in trapanese e agrigentino centro-occidentale (privo di dittongazione), a sud, e palermitano a nord (con dittongazione). - Dialetti orientali: conservazione di nd mb e palatalizzazione dell’esito dei nessi CL e PL e assimilazione dei nessi di R + consonante (mentre, in questi casi, i dialetti occidentali vocalizzano la vibrante) Caratteristiche comuni a tutti i dialetti siciliani: - Costrutti infinitivali con soggetto espresso - Costruzioni con elemento pronominale espletivo ricorrente nelle interrogative e nelle ipotetiche Differenze tra i Meridionali-estremi e gli Alto-Meridionali: Il lessico è lo specchio delle vicende storiche del Paese. Ad esempio, il meridione presenta numerosi normannismi (come in siciliano akkattari per comprare o skarfari per scaldare), francesismi (come guaglione nel napoletano) ed ispanismi nel Mezzogiorno (come attrassà del napoletano che viene dallo spagnolo atrasar e vuol dire tardare, oppure alkantsa sempre in napoletano che viene dallo spagnolo alcanzar) Il tipo meridionale per comprare è akkatta del napoletano o akkattari del siciliano: la parola porbabilmente è un normannismo. Ci sono poi numerose opposizioni lessicali che permettono di distinguere le diverse aree: come quella tra adesso (settentrionale, che arriva fino alle Marche e all’Umbria), ora (toscano) e mo (centro-meridionale); oppure il capo (toscano e Lombardia), contro la capo/a (alto meridione) e l’innovazione testa (diffusa nel resto del Settentrione, nell’area umbro-marchigiana, nella parte meridionale della Calabria ed in Sicilia). Non sono rare le somiglianze lessicali tra Settentrione e Meridione. In Sicilia vi sono spesso isoglosse lessicali che coinvolgono parole di adstrato o superstrato (ad esempio, il grecismo vattisimu per epifania). A volte i tipi lessicali tra Settentrione e Meridione sono diversi perché la Toscana ed il Settentrione hanno adottato la forma diminutiva in origine, mentre il Meridione quella originaria (come figliuolo, fratello, agnello diffusi in Toscana e Settentrione contro a figlio, frate e agno, diffusi in Meridione), dimostrandosi così più conservativo. Tuttavia, non mancano eccezioni o cambiamenti avvenuti anche per la recente italianizzazione in Meridione: così il tipo agnello in molti luoghi del Meridione è molto diffuso (ad Altamura ha sostituito completamente agno, che invece viene considerato antiquato). Le opposizioni lessicali non sono mai nette: cieco (da caecum) del toscano e dell’Italia centrale (ma originariamente anche del Nord) si oppone all’innovazione morfologica di ciecato del Meridione e alla Calabria meridionale e alla Sicilia che hanno orbo, il quale termine è proprio del Nord. Ci sono anche casi in cui il Settentrione è più conservativo: come il caso di culla (dal latino cuna), a cui il Meridione oppone il grecismo naca. Ci sono anche casi in cui competono diverse innovazioni: nel caso di donna, nessun dialetto continua mulier (che è passato ad indicare moglie), ma in Toscana, Emilia ed in area perimediana ci sono continuatori di domina, mentre in Piemonte, Friuli e nel centro-meridione prevalgono i continuatori di femina. Si possono anche riconoscere singole micro aree dialettali, caratterizzate da un lessico tipico di una sola regione (come spesso accade in Settentrione); mentre al Meridione c’è un lessico abbastanza comune (ci sono parole napoletane come appiccia, addò per dove che sono diffuse in tutto il Meridione), tuttavia anche qui si trovano termini diffusi in aree circoscritte. Il lessico del sardo, invece, per i suoi elementi di sostrato, presenta un lessico spesso molto diverso da quello italo-romanzo, soprattutto nella terminologia di flora e fauna. In questa terminologia ricorre spesso il prefisso ti- oscuro, che è stato ricondotto da Wagner al basco (oppure da altri studiosi al berbero, parlato nell’Africa settentrionale). Anche per la base latina il sardo presenta diversi termini scomparsi nel resto della Romania (come mannu, che deriva da magnum e vuol dire grande). Sono molti anche i termini dialettali penetrati nell’italiano standard su base toscana (malloppo, caldarroste e mazzetta sono del romanesco, mentre intrallazzo viene dal siciliano). Sociolinguistica dei dialetti italo-romanzi. Con il Novecento si assiste ad una progressiva regionalizzazione dei dialetti ed anche ad un avvicinamento allo standard, tanto che in certi casi è difficile dire se si tratti di mutamenti interni al dialetto o di un vero e proprio cambio di lingua (termine con il quale si indica l’abbandono totale di una lingua in favore di un’altra, cosa che avviene dopo una condizione più o meno prolungata di bilinguismo: si tratta di un processo sociale esterno alla struttura linguistica). Questo graduale avvicinamento allo standard ha portato in lacune aree a situazioni linguistiche in cui è difficile dire dove finisce l’italiano e comincia il dialetto. La storia particolare del romanesco: L’unico dialetto che ha preceduto di alcuni secoli il destino che avrebbero avuto tutti gli altri dialetti con il Novecento è il dialetto di Roma, che si avvicinò allo standard, il modello toscano, secoli fa. Il romanesco originario era molto diverso da quello che è poi diventato con la toscanizzazione: era un dialetto centro-meridionale, quindi presentava la dittongazione metafonetica (muorto), l’articolo determinativo maschile singolare solo nella forma forte (lo), vocalizzazione di L preconsonantico (aitro invece di altro), il tipo lessicale MESUS (presente anche nel napoletano) anziché MEDIUS continuato dal toscano con mezzo. Per questo, il romanesco si divide in prima e seconda fase (definizione di Ugolini): definizione usata solo per il romanesco. La cesura tra romanesco medievale e postmedievale (dopo la toscanizzazione) viene posta in periodi diversi: da Migliorini nel Cinquecento, da Mancini tra Trecento e Quattrocento. La toscanizzazione del romanesco avviene grazie alle classi dirigenti che stavano molto spesso a contatto con la Toscana e all’immigrazione dalla Toscana e dal resto d’Italia che ha toccato tutte le fasce sociali. Dal Trecento il repertorio originario viene progressivamente relegato ai piani bassi del registro e dalla fine del Cinquecento viene sostituito da una varietà dialettale toscanizzata (mentre nel resto d’Italia il toscano toccava soltanto la lingua scritta). L’Italia preunitaria ha una rigida distinzione di domini d’uso tra italiano e dialetto ed in questo peridio ci sono ancora molte persone che parlano solo dialetto. Poi, con gli anni Settanta del Novecento, si passa ad una fase di diglossia con bilinguismo (in cui c’è una diversificazione evidente tra i domini d’uso del dialetto e dell’italiano), per poi passare ad un bilinguismo senza diglossia, ovvero una condizione in cui si conosce bene il dialetto e lo si usa insieme all’italiano senza più far caso al dominio d’uso (spesso, quindi, si ha una commutazione di codice: ovvero un passaggio da un codice all’altro all’interno dello stesso enunciato). Attualmente è tipico il passaggio da una varietà locale al dialetto regionale o alla lingua standard mentre si parla. Infatti, attualmente il dialetto viene usato soprattutto per dare coloritura stilistica e non per necessità comunicativa. Con il passaggio dal XX al XXI secolo diminuisce ancora di più la percentuale di dialettofoni, che passa dall’11,3 al 6%, mentre aumentano gli italofoni esclusivi. Secondo i dati ISTAT l’uso del dialetto aumenta in famiglia ed è usato soprattutto dagli anziani e nei piccoli centri (fino a duemila abitanti). C’è, inoltre, differenza anche tra il Nord e il Sud (al Sud il dialetto viene usato di più). L’unificazione dell’Italia da un punto di vista linguistico è avvenuta molto dopo rispetto alla Francia. Uno dei personaggi più importanti che ha portato all’unificazione linguistica è stato sicuramente Manzoni, che fu incaricato dal ministro dell’istruzione Emilio Broglio di preparare una relazione Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla. Il piano di Manzoni prevedeva la sostituzione dei dialetti alla lingua standard e non il loro affiancamento all’italiano standard: cosa che è avvenuta con la nuova impostazione della scuola italiana postunitaria.
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