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Riassunto "Psicologia del lavoro" - Piergiorgio Argentero, Claudio G. Cortese, Claudia Piccardo, Sintesi del corso di Psicologia del Lavoro

Riassunto dettagliato del manuale "Psicologia del lavoro"; gli appunti integrativi sono scritti con un tipo di scrittura differente. Permettono una preparazione "da 30" !!

Tipologia: Sintesi del corso

2014/2015

Caricato il 04/09/2015

oliverqueen
oliverqueen 🇮🇹

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Scarica Riassunto "Psicologia del lavoro" - Piergiorgio Argentero, Claudio G. Cortese, Claudia Piccardo e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia del Lavoro solo su Docsity! Psicologia del lavoro – Piergiorgio Argentero, Claudio G. Cortese, Claudia Piccardo CAP.1 STORIA, SVILUPPO E PROSPETTIVE PROFESSIONALI IN PSICOLOGIA DEL LAVORO Il 1913 è la data in cui si fa risalire la nascita della psicologia del lavoro, anno in cui lo psicologo Hugo Munsterberg pubblica il volume “The Psychology and Industrial Efficiency”. Il primo laboratorio di psicotecnica fu realizzato nel 1885 a Friburgo da Munsterberg e, nel 1889 a Modena fu fondato il primo laboratorio italiano di psicotecnica. Sin dall’inizio si vanno però definendo 2 prospettive, 2 impostazioni di lavoro spesso tra loro in contrasto: • La prima, più orientata alla teoria e alla conoscenza dei fatti e dei processi • La seconda, all’azione e alla soluzione concreta dei problemi L’oggetto di studio di questa di questa disciplina è l’uomo inserito nell’ambiente lavorativo, in cui trascorre larga parte della propria vita. Dalla psicotecnica alla psicologia delle risorse umana. • La psicotecnica è un termine risalente al 1910 usato per definire la scienza “che si propone di applicare la psicologia alla tecnica del lavoro umano e da tale definizione il suo dominio e i suoi limiti sono chiaramente determinati”. In Italia questo termine è stato sostituito negli anni ’50 da “psicologia industriale”(per un errore tipografico fu trasformato in “psicologia individuale”. • “Psicologia dell’occupazione” è un termine utilizzato soprattutto nei paesi anglosassoni. • “Psicologia del lavoro” è il termine utilizzato in Europa e negli Stati Uniti. • Negli anni ’70 si inizia a parlare di “psicologia dell’organizzazione” per approfondire i temi di carattere più sociale della psicologia del lavoro. Distinzione psicologia del lavoro e delle organizzazioni: con la psicologia del lavoro l’attenzione è rivolta all’interazione uomo-macchina-ambiente, all’analisi del lavoro, alla progettazione del contesto, all’orientamento professionale e alla selezione, agli interessi, alle motivazioni, agli atteggiamenti verso il lavoro, nonché all’interazione tra vita lavorative e extralavorativa. La psicologia delle organizzazioni considera, invece, le persone “in quanto membri di gruppi”, il funzionamento dei team e le organizzazioni come costruzioni collettive e come artefatti sociali. L’attenzione è posta sulle percezioni sociali reciproche, sui meccanismi di influenza sociale, sulle comuni, sulle relazioni intergruppi ecc. gli analizzati sono: rapp. Uomo-lavoro; rapp. Uomo-ambiente sociale; relazione individuo-organizzazione. • L’oggetto di interesse della “psicologia delle risorse umane” è la gestione delle persone, il contratto psicologico, il coinvolgimento. L’attenzione è rivolta sulle fasi dell’interazione individuo-organizzazione. La psicologia del lavoro: la sua storia. Secondo Gabassi, la psicologia del lavoro ha avuto origine alla fine del 1800, quando il capitalismo andava trasformando il proprio spirito e si preannunciava quella che sarebbe stata la Seconda Rivoluzione Industriale. • Va tenuto conto che agli inizi del XIX sec in Inghilterra nacquero le organizzazioni sindacali, vi furono i primi provvedimenti legislativi a tutela dei lavoratori (factory act) e la discesa in campo politico dei movimenti socialisti che troveranno nel “manifesto” una chiara definizione. • Nella seconda metà dell’800 vi furono i pionieri della psicologia tra cui Taylor che riuscì a cogliere una serie di temi legati ai lavoratori, e la costituzione negli Stati Uniti di quello che poi diventerà il Ministero del Lavoro. • La fine dell’800 vede la nascita dell’American Psychological Association, la prima grande associazione di psicologia. • Gli inizi del 900 -> fu un periodo proficuo per lo sviluppo della psicologia e vi è un forte sviluppo della psicologia del lavoro che si prepara ad inserirsi nella sfida per la produttività industriale. In Europa, in questi anni, vengono condotti nella fabbriche di armi i primi studi sulla fatica, sullo stato fisico dei lavoratori e sulla durata del lavoro (questo ambito di ricerca era stato precedentemente di matrice medica e ingegneristica). L’attenzione degli psicologi è rivolta alle cause degli infortuni, della mortalità sul lavoro e alle conseguenze psicologiche dei lavori alienanti e monotoni. Gemelli elaborò test psicofisici per la selezione dei candidati all’aviazione e con interventi diretti all’assistenza e all’organizzazione delle truppe. Nel 1917 ad Harvard, gli psicologi sperimentali realizzarono 2 test divenuti famosi per la selezione: il test A (per persone in grado di leggere e scrivere) e il test B (per gli analfabeti). • Il primo dopoguerra -> la psicologia del lavoro, che ha come obiettivo la riumanizzazione dell’industria, trova in questo clima culturale, un terreno fertile per il suo sviluppo. Nel 1919 Vittorio Benussi, in Italia, fonda il laboratorio di ricerche psicologiche e viene istituita la cattedra di psicologia sperimentale nella facoltà di filosofia (Benussi voleva che la psicologia fosse inserita nelle facoltà scientifiche). Alla morte di Benussi, fu Musatti a prendere la direzione del laboratorio di Padova e a tenere l’insegnamento della psicologia sperimentale (Musatti e Gemelli sono i “traghettatori” della psicologia dalla difficile situazione pre-bellica alla nuova fase di sviluppa della disciplina nella seconda metà del secolo). Tuttavia, il fervore di questi anni si arresta con l’avvento dei regimi totalitari in Europa, che ostacolarono lo sviluppo della disciplina. Nel 1922 negli Stati Uniti la psicologia del lavoro entra a far parte dei servizi del personale. In Italia vi era una forte opposizione alla psicologia: ostacolata dalle reazioni della cultura ufficiale, impregnata di filosofia idealistica; le leggi pronunciate in materia di lavoro, che attribuiscono allo stato la gestione dei rapporti tra imprenditore e lavoratore, comportano l’eliminazione delle tecniche di selezione, di orientamento e organizzazione aziendale. Al pesante clima italiano si contrappone il rapido progredire, negli Stati Uniti, della psicologia industriale. • 1929: cambia il concetto di uomo al lavoro -> la crisi del 29 ha svolto un ruolo decisivo in molti Paesi per lo sviluppo delle discipline centrate sull’uomo. Sono gli anni in cui la psicoanalisi contribuisce a sottolineare, anche nel mondo del lavoro, l’esistenza di comportamenti inconsci o irrazionali. In Italia, la crisi di fa sentire qualche tempo più tardi rispetto agli Stati Uniti, ma l’industria italiana presta minore attenzione al ruolo che il fattore umano svolge nelle dinamiche economiche e non si impegna in tale prospettiva per lo sviluppo. La psicologia industriale non riesce a trasformarsi da psicotecnica in psicologia a causa della mancanza delle condizioni sociali e politiche che avrebbero potuto consentire tale trasformazione. In questi anni la psicologia americana conquista la leadership nel mondo. Il concetto di “uomo psicologico”, al quale si riconosce la valenza di sentimenti, emozioni e opinioni in ambito lavorativo, si afferma negli anni che precedono lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, e lo stesso concetto di lavoro subisce l’influsso sia della scuola psicoanalitica sia della psicologia sociale. • Il secondo dopoguerra -> in Italia, la psicologia del lavoro è spesso ancora trascurata e non considerata come scienza: non ritenendo che l’uomo possa essere misurato, la cultura italiana rigetta la scientificità della psicologia (non solo quella del lavoro). Nel 1965 viene istituito il primo insegnamento italiano di psicologia del lavoro alla cattolica di Milano (nella facoltà di economica). Il nuovo clima culturale che si viene a creare dopo le agitazioni studentesche del 68 e le lotte operaie e sindacali, è molto più favorevole alle problematiche psicologiche. Infatti, 2 anni dopo, è stata istituita la laurea in psicologia a Roma e Padova. Nel 1989 viene istituito l’albo degli psicologi e nel 98 approvato il codice deontologico. La psicologia del lavoro: le sue peculiarità. La psicologia del lavoro è una disciplina fortemente centrata sul contesto e sulle sue problematiche, piuttosto su modelli concettuali. Per questi motivi, la disciplina viene talora criticata in quanto considerata un insieme di tecniche e procedure operative non sempre collegate a un sistema teorico complessivo. Il compito del ricercatore è reso più complesso dal dover agire direttamente sul campo, all’interno delle specifiche realtà organizzative, avendo così minori possibilità di controllo e spesso in presenza di vincoli temporali che gli impongono soluzioni rapide. La ricerca in ambito lavorativo si caratterizza per • La complessità dei problemi • Ampiezza e incertezza delle situazioni che non possono essere definite in modo univoco l’assunzione si posizioni di responsabilità per le donne, vi sono, in varie parti del mondo, donne al vertice in molti settori (soprattutto nelle amministrazioni pubbliche, nelle organizzazioni senza scopo di lucro e piccole iniziative produttive). Con “womenomics” si indica l’attenzione della ricerca economica all’accresciuto ruolo delle donne all’esterno della famiglia. Da un indagine è emerso che le donne si distinguono professionalmente dagli uomini: • Gli uomini sono più concentrati sui problemi specifici e su soluzioni tecnico-operative rapide ed efficaci • Le donne prestano una maggiore attenzione all’organizzazione di appartenenza e alle persone destinatarie dei servizi dell’organizzazione • Le donne si identificano maggiormente con le strutture in cui lavorano e hanno un minor interesse per le ricompense concrete rispetto agli uomini • Le donne privilegiano la qualità delle relazioni interpersonali e il sostegno offerto dai colleghi e superiori Benessere organizzativo. Per benessere organizzativo si intende la capacità dell’organizzazione di promuovere e mantenere il benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori. Vanno considerate le seguenti determinanti: • Clima organizzativo -> si riferisce alle percezioni sviluppate dalle persone nei riguardi del proprio ambiente di lavoro • Cultura organizzativa -> designa i valori dominanti, le norme che vigono, i modelli di comportamento, le regole che i nuovi assunti devono apprendere ecc. • Conflitto organizzativo -> deriva dalla percezione di incompatibilità tra diverse differenze comportamentali, dalla limitatezza delle risorse rispetto agli obiettivi e il confronto tra valori e atteggiamenti di persone diverse. • Percezione di supporto organizzativo -> è la percezione di sostegno, supporto da parte dell’organizzazione ai suoi componenti. • Efficacia collettiva -> è la convinzione, condivisa, dei componenti di un gruppo di essere capaci di organizzare ed eseguire comportamenti necessari per produrre determinati risultati. • Stress -> si sviluppa a partire dalla percezione di potenziali fonti di tensione nell’ambiente (stressor)fino a determinare conseguenze individuali e organizzative. • Sicurezza e ambiente -> si riferisce alla sicurezza, comfort e salubrità degli ambienti di lavoro. Conseguenze delle determinanti: • Soddisfazione lavorativa -> sentimento di piacevolezza derivante dalla percezione che l’attività professionale svolta consente di soddisfare importanti valori personali. • Commitment organizzativo -> consiste nell’impegno dei dipendenti dei confronti dell’organizzazione • Altruismo • Strain -> sforzo psicofisiologico eccessivo di fronte a una situazione stressante che determina conseguenze indesiderate sia a livello individuale che organizzativo • Burnout -> stato di esaurimento fisico, emozionale e mentale che si verifica in seguito a una protratta esposizione a situazioni lavorative difficili da gestire • Mobbing -> azione ostile e non etica rivolta generalmente contro un singolo • Turnover -> decisione del dipendente di abbandonare l’organizzazione La promozione e lo sviluppo del benessere organizzativo rappresentano aspetti determinanti per l’efficienza e l’efficacia organizzativa. Il Dipartimento della Funzione Pubblica ha emanato la direttiva ministeriale del 2004 relativa alle misure finalizzare al miglioramento del benessere organizzativo nelle pubbliche amministrazioni. Con essa si intende sostenere la capacità delle strutture di attivarsi per realizzare e mantenere il benessere psicofisico delle persone, attraverso la costruzione di ambienti e relazioni di lavoro che contribuiscano al miglioramento della qualità della vita e delle prestazioni dei lavoratori. Prevenzione e sicurezza: rischi psicosociali. Con l’espressione rischio psicosociale si intende l’insieme delle variabili organizzative, gestionali, ambientali e relazionali che possono causare un danno psicologico, sociale o fisico alle persone e determinare effetti negativi in termini di efficienza e di immagine a livello organizzativo, economico, sociale e ambientale. Rischi psicosociali: lunghe ore di lavoro, intensificazione del lavoro, sensazione di insicurezza del posto di lavoro ecc. La Commissione Europea propone una strategia per la promozione della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro dal 2007 al 2012, con lo scopo di conseguire una riduzione degli infortuni sul lavoro e di malattie professionali con l’obiettivo di creare una cultura generale che riconosca il valore della salute e della prevenzione dei rischi. Attività dello psicologo del lavoro. Lo psicologo del lavoro è un esperto di fattori umani, valuta le capacità, le potenzialità e le motivazioni delle singole persone, per pianificare strategie e interventi di valorizzazione, in riferimento sia alle esigenze sia alle finalità proprie delle strutture organizzative. Dal punto di vista dei singoli, lo psicologo accompagna l’individuo lungo tutto il percorso che compie all’interno dell’organizzazione, ma anche in relazione alla sua famiglia, all’ambiente sociale e ai propri valori. Dal punto di vista organizzativo, l’azione dello psicologo è mirata a intervenire per migliorare l’efficienza e l’efficacia organizzativa, la comunicazione, la qualità di prodotti e servizi. È importante che lo psicologo sappia rendere conoscibili e ben valutabili i problemi complessi, come la percezione e la prevenzione dei rischi connessi all’attività lavorativa e la promozione del benessere organizzativo. L’azione dello psicologo del lavoro si rivolge anche all’esterno, in particolare ai destinatari specifici a cui i servizi e prodotti si rivolgono: azioni di sensibilizzazione attuate con strumenti del marketing e della comunicazione servono per attrarre nuovi clienti. La “formazione continua” e “l’autoformazione” svolgono un ruolo fondamentale per raggiungere gli obiettivi organizzativi: l’approfondimento delle conoscenze e delle competenze sono necessarie per rispondere ai bisogni dei singoli e dell’organizzazione, al fine di renderla competitiva e in grado di raggiungere i risultati attesi. CAP.2 METODI E TECNICHE DI RICERCA IN PSICOLOGIA DEL LAVORO La psicologia del lavoro e delle organizzazioni si basa sullo studio dei comportamenti delle persone nei contesti lavorativi e nello svolgimento delle diverse attività professionali. È una disciplina che utilizza molti approcci metodologici, modelli e teorie della psicologia e li applica all’ambiente di lavoro con lo scopo di promuovere il benessere delle persone che lavorano e di favorire il massimo vantaggio per l’organizzazione. Oltre a favorire la comprensione del comportamento umano in ambito organizzativo, è importante anche per impostare pratiche gestionali su basi sicure (es. adottare procedure di selezione innovative). Il processo di ricerca empirica. Ogni ricerca è caratterizzata da un obiettivo, che può essere definito e formulato in termini di ipotesi. Il processo di ricerca si articola in 5 fasi principali (domanda della ricerca, disegno della ricerca, misurazione delle variabili, analisi dei dati) con un momento conclusivo (conclusioni della ricerca) che costituisce un feedback ricco di informazioni per quanti vorranno sviluppare ulteriormente la ricerca. 1. La domanda della ricerca. Le domande di ricerca si basano sulla conoscenza esistente del problema (intuizioni del ricercatore o teorie già note per esempio). Una teoria è un assunto che ha la funzione di spiegare le relazioni tra fenomeni di interesse. La sequenza che inizia con la raccolta dei dati e conduce all’elaborazione delle teoria viene definita “metodo induttivo” (nel “metodo deduttivo”, invece, il ricercatore prima elabora una teoria e poi la mette alla prova raccogliendo e analizzando i dati). La ricerca può essere applicata e pura: • La ricerca pura comporta l’elaborazione e la verifica di teorie e di ipotesi che non hanno un’immediata utilità per risolvere problematiche contingenti. • La ricerca applicata nasce dall’esistenza di risolvere problemi emersi sul campo e che richiedono soluzioni concrete per rispondere a specifiche esigenze organizzative. La ricerca-intervento (o ricerca-azione) si propone di contribuire al cambiamento del sistema organizzativo mediante il coinvolgimento diretto degli attori che partecipano con il ricercatore allo studio. Il principale obiettivo è quello di produrre cambiamenti (in termini di qualità della vita) all’interno dei contesti lavorativi e di valorizzare le potenzialità degli individui che ne fanno parte. Le informazioni vengono raccolte in modo empirico e interpretate dagli stessi individui sui quali si vuole indagare. Questi sono i “partecipanti” della ricerca e i momenti di riflessione li spingono ad essere consapevoli delle problematiche relative al proprio contesto organizzativo e arrivano alla progettazione di interventi specifici. Il cambiamento prosegue tramite l’implementazione di queste soluzioni. Uno studio condotto in ambito organizzativo è basato su un’intenzione esplicita o su una specifica domanda di ricerca (generalmente una relazione tra 2 o più variabili). Spesso gli studi sono disegnati per mettere alla prova ipotesi che sono derivate da altre ricerche precedenti (studi esplicativi). Vi sono anche “studi descrittivi” che sono finalizzati a raccogliere osservazioni riferite al contesto studiato. Gli studi descrittivi forniscono informazioni soltanto su quello che è successo mentre gli studi esplicativi spigano perché oppure come è successo. Quindi, la domanda di ricerca viene indagata utilizzando metodologie e metodi: un metodo può essere definito come la tecnica o lo strumento di ricerca utilizzato per raccogliere dati (es. questionario), mentre la metodologia si riferisce alla “filosofia” del processo di ricerca (il modo di formulare ipotesi ecc.) 2. Il disegno di ricerca. Un disegno di ricerca è un piano per condurre uno studio. Le strategie di ricerca possono essere paragonate secondo diverse dimensioni, in particolare in base al livello di naturalità del setting di ricerca e il grado di controllo del ricercatore sullo studio. Il livello di naturalità e il grado di controllo influenzano sia la validità interna (grado in cui i risultati ottenuti possono essere attribuiti alle variabili investigate) sia la validità esterna della ricerca (grado in cui i risultati di una ricerca condotta su un gruppo di soggetti possono essere generalizzati ad altri contesti). • Disegni sperimentali e quasi sperimentali. L’esperimento si differenzia da altri tipi di disegno per l’assegnazione casuale dei partecipanti alle diverse condizioni della variabile indipendente. Gli esperimenti in laboratorio sono condotti in ambienti predisposti o artificiali e il ricercatore ha un alto grado di controllo sulla conduzione dello studio. Un quasi esperimento è uno studio che si avvicina a un esperimento, ma non ha un’assegnazione casuale dei partecipanti e questo accade perché c’è una sola condizione nello studio o perché i partecipanti non sono stati assegnati casualmente alle diverse condizioni (una situazione quasi- sperimentale è quella dei disegni con gruppo non equivalente in cui non c0è un processo di assegnazione casuale, ma i partecipanti si trovano in differenti condizioni di trattamento in seguito ad altre ragioni. Anche la valutazione delle stesse variabili ripetute nel tempo sono disegni quasi sperimentali: il più semplice è il disegno di gruppo singolo pre test-post test in cui i partecipanti sono valutati prima e dopo un certo evento -> disegno debole perché vi sono altre alternative per spiegare i risultati. Il disegno multi gruppo è funzionale a risolvere il problema in quanto prevede un gruppo di controllo sul quale si verificano le stesse combinazioni di partenza). • Disegni non sperimentali. È un disegno nel quale il ricercatore raccoglie solo osservazioni di variabili che già esistono. Un esempio è il disegno osservazionale, che prevede osservazioni di qualche evento su un campione di soggetti. Uno o più osservatori valutano alcune caratteristiche delle persone o della loro situazione di lavoro, utilizzando griglie e schemi valutativi più o meno strutturati (è possibile un approccio non intrusivo senza che il soggetto ne sia consapevole). Un problema di questo metodo è la possibile influenza della soggettività del ricercatore. Per controllare questo bias ci si può servire di 2 o più persone che svolgono le stesse osservazioni indipendentemente per poi compararle. Le inchieste sono una delle procedure più diffuse nel condurre la ricerca sul campo nell’ambito della psicologia del lavoro e vi sono diverse modalità di attuazione, ma il questionario è il metodo più diffuso per condurre ricerche, in quanto economico ed efficiente per la raccolta dei dati. Anche se di L’ergonomia e la sicurezza sul lavoro. Ergonomia e fattori umani. L’ergonomia offre un contributo in tema di lavoro e sicurezza, in quanto si basa sull’esperienza e la conoscenza attraverso la ricerca scientifica condotta in laboratorio, sul campo e attraverso il lavoro pratico svolto in organizzazioni in collaborazione con dirigenti, esperti e addetti. L’ergonomia ha scopi sia sociali (la salute, il benessere, la sicurezza) sia economici (le prestazioni del sistema, la produttività, la competitività), considera gli aspetti fisici e quelli psicologici dell’essere umana e mira alla progettazione di soluzioni di natura tecnica e organizzativa. Ciò che differenzia l’ergonomia dalla psicologia, le scienze mediche, antropologia e scienze cognitive, è il fatto che il suo principale proposito sia la “progettazione”; gli ergonomi contribuiscono alla progettazione e valutazione di mansioni, attività, prodotti, ambienti e sistemi al fine di renderli compatibili ai bisogni, abilità e limitazioni dell’essere umano. Infortuni sul lavoro e malattie professionali. Fattori nocivi dell’ambiente di lavoro: fattori generici (luce, rumore, temperatura ecc.), fattori tipici della produzione (polveri, gas, radiazioni ecc.), fattori relativi alla fatica fisica e psicofisica (ritmi eccessivi, monotonia, stress ecc.). Attualmente la legge italiana non definisce l’infortunio in modo preciso, ma ne fissa i requisiti in un articolo: l’infortunio è l’evento avvenuto per causa violenta in occasione di lavoro (mette in evidenza il nesso di causa effetto), da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che comporti astensione dal lavoro per più di 3 giorni. La malattia professionale è un evento dannoso che incide sulla capacità lavorativa della persona e trae origine da cause connesse allo svolgimento della prestazione lavorativa. I datori di lavoro devono assicurare contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali tutti i lavoratori. Tale assicurazione è gestita dell’INAIL (istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro) e l’obiettivo è quello di garantire, in caso di infortunio o di malattia professionale, prestazioni sanitarie relative alle prime cure, prestazioni economiche e forniture di apparecchi di protesi. L’errore umano come causa di incidenti sul lavoro. Ancora oggi ci sono condizioni lavorative di completa illegalità, con impiego di manodopera al di fuori di regole e situazioni in cui le misure preventive non vengono quasi mai rispettate. Inoltre, si ritrova frequentemente un’organizzazione del lavoro distante da un visione della sicurezza come fattore intrinseco al lavoro stesso. Le prime teorie sull’analisi degli incidenti sono state avanzate negli anni ’60 e facevano riferimento a un modello che può essere definito “tecnico-ingegneristico-normativo”, secondo cui gli incidenti sono il risultato di un fallimento della tecnologia e dalla devianza da quanto prescritto dalle norme. In quegli anni ci si focalizzava sugli aspetti tecnico-normativi per spiegare gli eventi, e quindi vi era l’obiettivo fi migliorare l’affidabilità degli strumenti. Negli anni ’70 si è passati a un modello di analisi centrato sulla “persona”, spostando il focus dalla macchina all’uomo. La componente umana diventa uno degli elementi rilevanti come causa nel terminare l’incidente (stress, abbassamento dell’attenzione). A partire dagli anni ’90 è nato il modello “organizzativo-socio-tecnico” il cui punto centrale è che gli incidenti non devono più essere considerati come fallimento solo tecnico o umano, ma come causati da più componenti: tecnologica, umana, organizzativa, in riferimento al contesto. Tipologie di errore. Nell’ambito delle teorie sviluppate per lo studio dell’errore, il comportamento dell’uomo è stato suddiviso in 3 tipologie: 1) comportamento basato sulle abilità -> rappresenta comportamenti automatici messi in atto in una determinata situazione; 2) comportamento basato sulle regole -> vengono messi in atto comportamento che sono definiti da regole precise ritenute adatte per determinate circostanze; 3) comportamento basato sulla conoscenza -> sono comportamenti messi in atto quando ci si trova di fronte a una situazione sconosciuta e di deve attuare un piano per farvi fronte. Reason distingue 3 tipologie di errore: 1) errori di esecuzione che si riscontrano a livello di abilità (slips) -> sono azioni svolte in modo diverso da quello pianificato; 2) errori di esecuzione causati da un venir meno della memoria (lapses) -> a differenza degli slips, i lapsus non sono direttamente osservabili; 3) errori che non vengono commessi durante la realizzazione pratica dell’azione (mistakes) -> sono errori che nascono durante la pianificazione di strategie (questi errori possono essere: 1) ruled-based:si utilizza una procedura che non permette il conseguimento di quello specifico obiettivo; 2) knowledge-based: sono errori commessi in riferimento alla conoscenza posseduta che può essere insufficiente). Percezione del rischio. La percezione del rischio determina il grado di consapevolezza per cui un lavoratore avverte che svolgere la propria attività o utilizzare un dato strumento mette la sicurezza in pericolo. Alcuni importanti fattori nella percezione del rischio riguardano la valutazione delle probabilità e delle conseguenze di un pericolo. Gli studi hanno messo in evidenza che i comportamenti orientati alla sicurezza crescono in funzione dell’aumento del rischio percepito. Probabilmente i lavori non si attengono alle norme di sicurezza perché non percepiscono alcun rischio associato alla situazione di lavoro. È stato evidenziato che un senso di “irrealistico ottimismo” rispetto alla probabilità di essere coinvolti in un incidente cresce in proporzione all’esperienza. Va ricordato che il ragionamento umano di fronte a eventi incerti (come il rischio) non segue una logica razionale, ma utilizza euristiche e regole più generiche per decidere se qualcosa è possibile che accada o meno. Alcuni studi hanno riportato che lavoratori orientati esternamente (attribuiscono il loro comportamento a cause esterne) sono più soggetti a incidenti. Le condizioni di lavoro. Ambiente di lavoro. L’ambiente ha un effetto importante sulle condizioni di vita e di lavoro. Progettare un ambiente di lavoro ergonomico significa conoscere il contesto nel quale si svolge l’attività lavorativa, quindi gli aspetti fisico-dimensionali, ambientali e organizzativi. Creare un posto di lavoro centrato sulle esigenze dell’uomo significa prendere in considerazione le caratteristiche biomeccaniche, fisiologiche, antropometriche e psicologiche dell’uomo. • L’antropologia fa si che il posto di lavoro sia ben dimensionato e allestito in modo che vi sia spazio sufficiente per permettere cambianti di posizione e movimenti operativi. • Gli esperti di fisiologia del lavoro e biomeccanica si occupano dei costi energetici del lavoro e particolare rilievo assume la valutazione dello sforzo muscolare e della fatica associati a posture statiche e dinamiche. • Gli aspetti psicologici, che spaziano da quelli cognitivi (attenzione, memoria, percezione), a quelli motivazionali, relazioni, di dinamiche di gruppo o atteggiamenti. La qualità del lavoro dipende dall’integrazione di tutti questi elementi. Tra i fattori “esterni” che condizionano un ambiente di lavoro vi sono: I. Il microclima -> è quell’insieme di parametri ambientali che regolano le condizioni climatiche di un luogo di vita o di lavoro determinanti per il benessere termico di un individuo. Per valutare questi parametri va considerata la tipologia del lavoro svolto e i fattori soggetti legati all’individuo (età, peso, genere ecc.) II. Illuminazione -> la conformità ai parametri ottimali di luminosità ambientale è determinata da una corretta esposizione alla luce, sia di giorno che di notte. Tuttavia, la percezione di confort relativo alla luminosità dipende dalle caratteristiche fisiche della persona, dalle attività svolte, dagli aspetti strutturali, ma anche da fattori socioculturali e di abitudine. III. Il rumore -> può essere definito come un qualsiasi suono che arrechi disturbo. Esistono norme di legge che forniscono delle linee guida relative al problema acustico e al rumore negli ambienti di lavoro. Il rumore può causare danni all’apparato uditivo e rappresenta una delle principali cause di patologie professionali. IV. Il carico di lavoro fisico -> è necessario valutare che ciò che viene richiesto non sia superiore alle capacità di lavorare in uno specifico contesto. I disturbi muscoloscheletrici sono un gruppo di affezioni a carico delle strutture ossee, muscolari, tendinee e delle borse articolari. I fattori di rischio sono: la forza richiesta per eseguire il compito, la postura tenuta, la ripetitività dei gesti, l’inadeguato rilassamento dei segmenti muscoloscheletrici coinvolti nell’esecuzione del compito. V. Il sollevamento manuale dei carichi -> si riferisce all’azione di sollevare, deporre, spingere, tirare o spostare un carico che comporta rischi di lesioni dorso-lombari. È stato stabilito il massimo di 30 kg per gli uomini e 20 kg per le donne; soglie che se superate creano i presupposti per un rischio fisico. I rischi vanno valutati in riferimento alle caratteristiche del carico, le posizioni di sollevamento, lo sforzo fisico eccessivo e le caratteristiche dell’ambiente. VI. Le posture fisse prolungate -> una postura di lavoro mantenuta constante nel tempo viene definita fissa, mentre se è frequentemente modificata viene chiamata dinamica. I lavori statici sono più logoranti rispetto a quelli dinamici e possono causare l’insorgere di disturbi muscoloscheletrici. VII. La ripetitività -> la ripetitività è legata alla necessità di disporre di adeguati tempi di recupero. Vi è una proporzionalità tra intensità dello sforzo muscolare e durata del tempo di recupero necessario. VIII. La fatica mentale -> è la diminuzione reversibile delle prestazioni e delle funzioni dell’organismo legata a una diminuzione della soddisfazione verso il lavoro e a un aumento dello sforzo effettuato per compiere il lavoro stesso. Il concetto di fatica mentale va distinto d quello di carico mentale: il carico mentale di lavoro è la quantità di lavoro con impegno mentale che il lavoratore deve svolgere. La fatica mentale nasce dall’interazione fra i requisiti di un compito di lavoro, le circostanze in cui è effettuato e le abilità, i comportamenti e le percezioni dell’operatore. La ridotta efficienza funzionale si manifesta attraverso sensazioni di stanchezza, rapporti meno favorevoli tra prestazione e sforzo, tipo e frequenza di errori ecc. IX. Misurazione della fatica mentale -> il Draft ISO è un proposta di misurazione della fatica mentale e considera 4 criteri di valutazione: 1) soggettivi -> fanno riferimento all’uso di questionari di autovalutazione dei sintomi della fatica; 2) comportamentali -> si basa su test di memoria, su test di reattività e di capacità di mantenere l’attenzione ecc.; 3) fisiologici -> possono essere valutati altri indicatori di fatica come i ritmi cerebrali, frequenza cardiaca ecc.; 4) biochimici -> il lavoro mentale può alterare i parametri biochimici attraverso cambiamenti del livello di uropepsina nelle urine e di catecolamine nel sangue. Una volta individuate le caratteristiche del sistema da indagare e analizzati i bisogni dei lavoratori, è possibile adottare le modalità valutative più opportune. CAP.4 LE DIFFERENZE INDIVIDUALI Le differenze individuali e la psicologia del lavoro. Le differenze individuali hanno un’influenza sui comportamenti che le persone manifestano nel corso della loro esperienza professionale. L’inizio dell’interesse per lo studio scientifico delle differenze tra gli individui può essere attribuita a Wundt che cercò di individuare i principi generali in grado di spiegare il comportamento umano. La psicologia del lavoro parte dal presupposto che le differenze individuali possono essere utilizzate per prevedere esiti lavorativi quali il successo nella professione e la soddisfazione lavorativa. Inizialmente venne studiata e misurata in ambito organizzativo l’abilità cognitiva tramite la quale le persone acquisiscono conoscenze e risolvono problemi, anche detto fattore “G” (abilità mentale generale). A partire dal fattore “G” si è passati ad una valutazione di una più ampia varietà di differenze individuali quali le abilità fisiche, mentali, psicofisiche, la personalità e le motivazioni alla base del comportamento. Il solo fattore “G” è di scarsa utilità nella previsione della prestazione lavorativa, mentre risulta utile poter misurare una serie più ampia di attributi. (I prossimi paragrafi trattano le principali caratteristiche individuali). Le abilità cognitive e psicomotorie. Fleishman elaborò una complessa tassonomia comprendente 52 abilità rispetto alle quali gli individui si differenziano tra loro e che, secondo l’autore, risultano determinanti nella performance lavorativa. Esse sono riconducibili a 3 macro categorie: • Intelligenza e abilità cognitive • Abilità fisiche • Abilità percettivo-motorie interessi, perciò la situazione ideale è quella in cui una persona che svolge una determinata professione presenti i corrispondenti interessi ai livelli massimi. Un altro modello per lo studio degli interessi professionali è quello di Kuder, secondo cui ogni persona manifesta un ineteresse prevalente per attività che possono essere così caratterizzate: lavori all’aperto, tecnici, contabilità, scientifica, ecc. Tra gli strumenti più recenti: • Il questionario di interessi professionali, che si rivolge agli adolescenti • Il test di orientamento motivazionale che costituisce una delle motivazioni che orientano il comportamento in ambito organizzativo secondo 4 direttrici: orientamento all’obiettivo, all’innovazione, alla leadership e alla relazione. • La scala dei valori professionali che consente di individuare l’orientamento della persona, la tipologia a cui si avvicina (creativa, tranquilla ecc.). I valori: sono le convinzioni in virtù delle quali una persona ritiene giusto o sbagliato agire in un certo modo piuttosto che in un altro. Si tratta di elementi in grado di influenzare gli atteggiamenti e i comportamenti messi in atto. I valori sono il prodotto di apprendimenti e di esperienze di vita condotte dall’individuo all’interno del contesto culturale di appartenenza. Rokeach sostiene la possibilità di suddividere i valori in 2 categorie, ciascuna delle quali ne include 18 specifici: • Valori terminali, che riflettono la preferenza del soggetto per 3 determinati obiettivi finali da raggiungere nel corso della vita. • Valori strumentali, sono i mezzi attraverso cui le persone perseguono gli obiettivi terminali. Un’altra classificazione dei valori è quella descritta da Allport che individuò 6 categorie: valori teoretici, economici, estetici, sociali, politici e religiosi. Un concetto importante in ambito organizzativo è la congruenza: quando le persone sono chiamate a collaborare con colleghi aventi valori simili a loro, esprimono emozioni positive. E’ stato dimostrato che quando le persone hanno l’opportunità di svolgere lavori allineati con i propri valori e quando condividono questi ultimi con i propri responsabili, sono in grado di incrementare la produttività aziendale. Conclusioni: i test sono un ausilio indispensabile per la conoscenza e la valutazione delle persone inserite nell’organizzazione. La misurazione delle differenze individuali in azienda rende possibile impostare piano di intervento che consentano alle persone di crescere personalmente e professionalmente. E’ evidente che il comportamento lavorativo delle persone sia imputabile alle differenze individuali, senza trascurare di segnalare l’influenza delle situazioni contingenti: il migliore approccio per apprendere il comportamento delle persone sul lavoro è quello di considerare l’azione simultanea delle variabili individuali e situazionali. CAP.5 LA MOTIVAZIONE È l’energia investita dagli individui nella prestazione lavorativa e nell’appartenenza all’organizzazione e, oltre ad essere un ambito di riflessione teorica presente sin dalle origini della psicologia del lavoro, è anche un area di intervento in cui le organizzazioni sono costantemente impegnate al fine di ricercare percorsi per promuovere la motivazione. Che cos’è la motivazione. Motivazione deriva dal latino “motus” (“moto”) e rimanda all’insieme di processi psicologici alla base delle azioni volontarie dirette verso un obiettivo. Molti autori sono concordi nell’individuare un campo semantico in cui la motivazione viene concepita come un’energia che alimenta i comportamenti e li orienta verso una meta, e può essere analizzata in termini di attivazione (condizione di avvio del comportamento), direzione (obiettivo a cui si rivolge), intensità (forza dell’investimento energetico) e persistenza (disponibilità a insistere nel tentativo di conseguire l’obiettivo anche a fronte di difficoltà e ostacoli). In riferimento al lavoro in organizzazione, Quaglino ha distinto tra comportamenti diretti a fare delle attività e a stare in organizzazione (motivazione come energia che si investe nella relazione tra individuo e organizzazione). Si può inoltre distinguere tra attività intrinsicamente motivanti (dove la motivazione è legata all’attività di lavoro in sé) e attività compiute in funzione di una motivazione estrinseca (legata alla ricompensa che si riceve). Le teorie motivazionali. I differenti modelli teorici sul tema della motivazione, che sono stati proposti tra gli anni 50 e la prima metà degli anni 70, sono, alcuni orientati verso l’analisi dei contenuti della motivazione, altri sono orientati verso l’individuazione delle variabili che ne influenzano l’espressione. Le teorie di contenuto. Tra le teorie di contenuto troviamo: il modello gerarchico proposto da Maslow, che individua 5 bisogni di base e li colloca lungo la scala evolutiva, le teorie a 3 vertici, che riconoscono la compresenza di differenti istante motivazionali, il contributo di Herzberg che si interroga sull’effetto motivazionale di alcune specifiche caratteristiche dell’organizzazione. ▲ La teoria di Maslow. Secondo Maslow la motivazione è caratterizzata da 5 bisogni di base collocati in una gerarchia rappresentabile come una piramide in cui i bisogni sono posti in sequenza. Alla base della piramide vi sono i bisogni primari: quelli fisiologici, che corrispondono all’esigenza di conservazione di sé e della specie (cibo, riparo ecc.), i bisogni di sicurezza (protezione, evitamento del dolore ecc.) che richiamano gli elementi che tutelano la propria integrità fisica. I bisogni secondari sono così chiamati perché sono bisogni di tipo psicologico ed evidenziano una variabilità interpersonale più ampia -> al livello più basso dei bisogni secondari ci sono i bisogni di affetto, ovvero di amore, amicizia, approvazione, seguiti dai bisogni di stima (da un lato forza, successo, adeguatezza –bisogni che fanno riferimento all’autostima- e dall’altro rispetto, importanza, dignità –che fanno riferimento alla stima da parte degli altri-). Al vertice della piramide vi sono i bisogni di autorealizzazione, corrispondenti al massimo sviluppo e all’utilizzo completo delle possibilità individuali. Tra gli elementi che indicano la gratificazione di questi bisogni Maslow indica l’accettazione di sé, la spontaneità, la capacità di vivere esperienze profonde e rapporti umani positivi, la creatività e la ricerca di trascendenza. I bisogni di ordine superiore non sono considerati importanti da un individuo fino a quando i bisogni di livello inferiore non sono stati parzialmente soddisfatti: questo è il principale assunto del “principio di dinamismi gerarchico”, che Maslow formula per spiegare come sono regolate le reazioni tra i 5 bisogni. ▲ La teoria di McClelland. Gli studi di McClelland prendono le mosse dal “bisogno di riuscire”, considerato un carattere fondamentale e distintivo delle società occidentali, ed approvano a una teoria generale della motivazione che individua 3 elementi: • Motivazione al potere (e all’evitamento della dipendenza), ovvero l’orientamento a influenzare le persone e a modificare le situazioni secondo le proprie intenzioni. In ambito lavorativo, le persone in cui prevale questo bisogno desiderano esercitare un “forte” impatto sugli altri individui, sulle decisioni e sulle procedure. • Motivazione all’affiliazione (e all’evitamento dell’isolamento), ovvero l’orientamento a creare un’ampia e fitta rete di legami sociali. Nel contesto lavorativo, queste persone tendono a scegliere i propri partner professionali tra loro che si mostrano amichevoli, poiché desiderano sviluppare relazioni confidenziali e supportive. • La motivazione al successo (e all’evitamento del fallimento), ovvero l’orientamento a raggiungere le mete desiderate, realizzare le proprie capacità e migliorare le proprie prestazioni. Nei confronti del lavoro, il bisogno di successo porta a ricercare obiettivi sfidanti e a desiderare di raggiungere l’eccellenza professionale. McClelland aggiunge a queste istanze la motivazione alla competenza, ovvero l’orientamento a sviluppare continuamente le proprie abilità e a svolgere i compiti assegnati mantenendo standard di elevata qualità. In ambito lavorativo gli individui motivati alla competenza cercano la piena padronanza delle proprie attività, traggono insegnamenti dall’esperienza e affrontano le situazioni nuove in modo creativo. Tra le differenti motivazioni non esiste alcun rapporto di gerarchia/subordinazione: tutte le istanze possono ottenere espressione nei comportamenti oppure vi possono essere situazioni in cui prevale un’istanza rispetto all’altra. ▲ La teoria di Herzberg. Herzberg indica l’esistenza di due tipi di fattori capaci di incidere sulla motivazione delle persone: i fattori di igiene (la retribuzione, la condizioni di lavoro, la sicurezza, la supervisione tecnica e le relazioni interpersonali con i pari e con i superiori) e i fattori motivazionali (il riconoscimento, l’attribuzione di responsabilità, le opportunità di carriera e le possibilità si apprendimento e di crescita nel ruolo). I primi fattori sono i prerequisiti per la costruzione di contesti lavorativi motivanti, ma solo dando la possibilità di soddisfare il secondo gruppi di fattori è possibile agire direttamente a sostegno della motivazione. Herzeberg propone di rendere i contesti di lavoro flessibili e “plastici” rispetto ai differenti desideri e alle attese dei propri attori: per motivare non valgono le forme prestabilite, ma è necessario moltiplicare le opportunità in funzione delle differenze individuali. Le teorie di processo. Si propongono di chiarire quali siano le variabili che mediano la relazione tra un certo insieme di bisogni e un certo insieme di condotte. ▲ La teoria di Vroom. Per Vroom, il processo motivazionale comprende tre elementi distinti: la sequenza comportamentale, cioè il corso d’azione che tende a un certo obiettivo; la motivazione, cioè l’insieme di energie mobilitate per il compimento del corso d’azione; la ricompensa, cioè l’ammontare dei benefici che si ottengono raggiungendo l’obiettivo. La forza della motivazione associata a ciascuna sequenza comportamentale è l’esito della combinazione di 3 variabili: • La valenza (V) cioè l’attrattività della ricompensa, quanto una ricompensa “piace” all’individuo. Può avere valore positivo, negativo o pari a zero (da -1 a +1). • L’aspettativa (A) cioè la probabilità che il corso d’azione consenta il raggiungimento dell’obiettivo (da 0 a +1) • La strumentalità (S) che è la possibilità che il raggiungimento dell’obiettivo consenta di ottenere la ricompensa prevista (da -1 a +1 -> a seconda che l’ottenimento della ricompensa sia considerata associato (+), svincolato (0) oppure ostacolato dal raggiungimento dell’obiettivo (-). La formula motivazione di Vroom (che definisce la forza della motivazione)= V x A x S -> se una delle variabili ha un valore vicino allo zero, la motivazione risulta indebolita; quando la valenza o la strumentalità assumono un valore negativo, si genera una vera e propria motivazione a evitare quel corso di azioni. ▲ La teoria di Adams. Secondo Adams, l’equità percepita, cioè la valutazione soggettiva del livello di equità presente nel proprio contesto lavorativo, è la principale variabile a intervenire nel processo motivazionale. La valutazione dell’equità implica 2 verifiche: (1) dell’equità interna, mediante il confronto tra il risultato ottenuto e il contributo fornito; (2) dell’equità esterna, mediante il confronto tra se stessi e gli altri. È stato evidenziato che la prestazione lavorativa è associata positivamente sia alla giustizia distributiva sia alla giustizia procedurale, ma quest’ultima permette di prevedere meglio i risultati. Le 3 forme di giustizia correlano positivamente con la motivazione e negativamente con l’intenzione di lasciare l’azienda e il turn over. Partecipazione. McGregor invitò, 50 anni fa, i manager e i progettisti organizzativi a cambiare al propria concezione di individuo al lavoro, abbandonando una “filosofia X”, secondo cui gli esseri umani sono bisognosi di direzione e controllo, a favore di una “filosofia Y” che assume che le persone siano orientate alla crescita, desiderino assumersi responsabilità e siano disponibili a contribuire al raggiungimento degli obiettivi organizzativi; passare da uno stile gestionale di tipo autoritario a uno stile gestionale di tipo partecipativo. Vi sono differenti aree di attività in cui è possibile realizzare una più alta partecipazione: • La trasformazione degli obiettivi generali in obiettivi specifici • La presa di decisione • L’individuazione, analisi e soluzione dei problemi • La definizione di valori e politiche • L’attuazione e il monitoraggio degli interventi di cambiamento • Il controllo sulle risorse La forma più nota di partecipazione è rappresentata dai circoli di qualità: gruppi di lavoro, formati da 5-10 colleghi istituiti al fine di discutere dei problemi di qualità relativi al processo in questione: diagnosticare le cause, individuare le soluzioni, mettere in atto interventi correttivi e valutare gli esiti. Un altro esempio sono i gruppi di lavoro autogestiti: unità produttive con una composizione relativamente stabile, responsabili di un intero processo di lavoro o di un segmento significativo di esso, in grado di prendere decisioni in modo autonomo circa le modalità e le regole di esecuzione del lavoro. Negli ultimi anni il tema della partecipazione è legato a quello di empoverment, che è sinonimo di un orientamento gestionale volto a valorizzare le risorse umane dell’organizzazione, consentendo loro di avere una reale influenza sui processi e sui contesti di lavoro. La ricerca per la diagnosi e l’intervento organizzativo. La letteratura ha proposto differenti costrutti che offrono una definizione operativa della motivazione e possono essere utilizzati nell’ambito della ricerca organizzativa tra i quali: • Job involvement è l’attaccamento al proprio lavoro, il grado con cui un individuo si identifica con il proprio lavoro. Indicatori di job involvement: centralità e importanza del lavoro nella propria vita, il senso del dovere e la disponibilità a fare sacrifici. • Organizational commitment è l’attaccamento alla propria organizzazione. 3 forme di attaccamento all’organizzazione: (1) attaccamento effettivo all’organizzazione (affective commitment) – quando prevale gli individui restano nell’organizzazione perché lo vogliono; (2) una percezione di convenienza in termini di costi-benefici a non interrompere il rapporto con l’organizzazione (continuance commitment) – quando prevale gli individui restano nell’organizzazione perché ne hanno bisogno; (3) un obbligo morale a rimanere nell’organizzazione (normative commitment) – gli individui restano nell’organizzazione perché si sentono obbligati. • Organizational citizenship (cittadinanza organizzativa) qualifica i comportamenti che nel loro insieme favoriscono l’efficacia dell’organizzazione pur non essendo specificati o imposti dal contratto di lavoro, né riconosciuti dal sistema di ricompense formali. 5 componenti dell’OCB proposte da Organ: (1) coscienziosità – si riferisce a quei comportamenti che indicano una particolare cura nello svolgimento del proprio lavoro; (2) virtù civica – include i comportamenti che evidenziano un forte senso di responsabilità nei confronti dell’organizzazione; (3) sportività – manifestazioni di atteggiamento positivo e lealtà nei confronti dell’azienda; (4) altruismo – i comportamenti che esprimono disponibilità ad aiutare i colleghi nello svolgimento dei loro compiti; (5) cortesia – comprendere le azioni che dimostrano una particolare premura nell’istaurare relazioni improntate alla gentilezza e alla cooperazione. • Engagement indica la propensione degli individui a essere “pienamente presenti” nell’organizzazione. Più recentemente, Rutledge ha definito l’engagement come la disponibilità degli individui ad agire in modo da seguire gli interessi dell’organizzazione, sentendosi attratti (voglio fare questo lavoro), dediti (mi impegno per il successo del mio lavoro), ed entusiasti (mi piace quello che faccio nel corso del mio lavoro). All’estremo opposto vi sono i comportamenti che esprimono “disengagement”: in modo passivo (chiusura in se stessi, reticenza) in modo attivo (trascuratezza nelle prestazioni, critica continua). Il caso caterpillar. Il caso caterpillar non offre solo un buon esempio di gestione della ricerca organizzativa, ma evidenzia anche il valore della ricerca stessa come guida e monitoraggio di un processo di cambiamento capace di risultare pienamente efficace. Caterpillar ha attuato un percorso di ricerca-intervento sul tema della motivazione finalizzato a verificare il livello di engagement espresso dai propri attori, individuare i fattori che ostacolano l’espressione dell’engagement e producono disengagement e infine progettare interventi tesi a promuovere l’espressione di engagement. Tra i risultati sono stati descritti due tipi di ostacoli all’espressione di engagement: 1) ostacoli visibili –tra cui le modalità di comunicazione, i sistemi di valutazione, i modelli di leadership, i sistemi di rinforzo e ricompensa; 2) ostacoli invisibili – tra cui alcuni rituali, i valori e le norme, i simboli del potere, la struttura, i ruoli e le modalità di attribuzione delle responsabilità. CAP.6 LA SODDISFAZIONE LAVORATIVA Il costrutto di soddisfazione lavorativa è stato usato nella psicologia del lavoro fin dagli anni ’30. Definizione ed evoluzione del costrutto di soddisfazione lavorativa. La soddisfazione lavorativa è considerata come un atteggiamento e questo significa esaminare 3 componenti (emotiva, cognitiva e comportamentale) che si ritrovano anche nella definizione di Locke: uno stato emotivo positivo e piacevole (emozione) risultante dalla percezione (cognizione) della propria attività lavorativa (comportamento). L’origine degli studi sulla soddisfazione lavorativa è stata facilitata da 2 fenomeni: • Il movimento delle human relations che ha ipotizzato che i lavoratori soddisfatti saranno anche i più motivati • Il movimento di misurazione degli atteggiamenti che si è occupato di rendere quantificabili le variabili psicologiche, tra le quali la soddisfazione stessa. Anche i primi studi sulla soddisfazione del cliente e tutto il conseguente filone della ricerca di marketing, evidenziano come un cliente soddisfatto del prodotto più probabilmente ne comprerà un altro, hanno contribuito a confermare la visione in base alla quale ad un incremento di soddisfazione lavorativa corrisponderà un miglioramento delle prestazioni e quindi dei risultati dell’organizzazione. Questa visione è stata rafforzata dal modello del “total quality management” (TOM) che ha riconosciuto al lavoratore lo status del cliente: l’organizzazione deve adottare strategie per monitorare e migliorare la soddisfazione del cliente: un lavoratore soddisfatto non lascia l’organizzazione, pone maggior attenzione al proprio cliente ed è stimolato a proporre suggerimenti per migliorare l’organizzazione. Tuttavia, le ricerche sul campo per verificare la relazione tra soddisfazione e produttività hanno ottenuto risultati discordanti (tanto che si ritiene vi siano più variabili e che il concetto di “soddisfazione lavorativa” vada sostituito con “benessere psicologico”). Questo tema ha suscitato interesse perché a tutti è capitato di percepire un senso di soddisfazione o insoddisfazione per un proprio lavoro; la soddisfazione è stata resa misurabile e quantificabile mediante l’uso dei questionari; infine dagli studi sulla soddisfazione è possibile trarre indicazioni operative per migliorare la qualità della vita lavorativa. I contenuti della soddisfazione lavorativa. La soddisfazione può essere intesa come un atteggiamento globale (soddisfazione generale) o come somma di atteggiamenti parziali (soddisfazione relativa). Tuttavia non esiste alcuna classificazione dei contenuti (componente) della soddisfazione che abbia ottenuto pieno riconoscimento dalla comunità scientifica. Le ricerche sul campo si sono infatti avvalse di modelli estremamente differenti in termini di numero e caratteristiche delle componenti analizzate. Teorie e modelli. Principali modelli che hanno contribuito allo studio della soddisfazione lavorativa:ù • Modelli cognitivi. Tra la metà degli anni ’60 e la metà degli anni ’70 vi sono stati studi che hanno focalizzato l’aspetto cognitivo della soddisfazione lavorativa, proponendosi di individuare le modalità che porterebbero i soggetti a soppesare tutti gli elementi in gioco per poi decidere il proprio livello di soddisfazione. Il “facet model” di Lawler indica l’origine della soddisfazione nel confronto tra ricompense ricevute e ricompense attese (se quanto ricevuto sarà inferiore a quanto atteso vi sarà insoddisfazione ecc.). La stima delle ricompense attese viene effettuata dall’individuo in base a 3 elementi: il livello di abilità e esperienza che ritiene di offrire, il confronto tra l’input offerto e ricompense ricevute da altri soggetti, infine le caratteristiche del lavoro in sé (difficoltà, responsabilità …). Il modello di Lawler approfondisce la componente relazionale dell’atteggiamento, ma non va dimenticata la soggettività del processo percettivo, che seleziona e distorce gli stimoli presenti nel contesto. • Modello delle caratteristiche del lavoro. È un modello proposto da Hackman e Oldham con l’obiettivo di precisare le relazioni tra caratteristiche del lavoro, reazioni individuali dei lavoratori e soddisfazione lavorativa. Nel modello ci sono 5 dimensioni che portano a 3 stati psicologici (significato del lavoro, responsabilità e conoscenza dei risultati) i quali, a loro volta producono risultati in termini di soddisfazione, motivazione ed efficacia lavorativa. I collegamenti tra dimensioni del lavoro e stati psicologici e tra stati psicologici e i risultati sono moderati dal “bisogno di crescita” percepito da ciascun lavoratore. Quanto più i 3 stati psicologici sono presenti e quanto sono più intensi, tanto più sarà probabile che il soggetto sviluppi atteggiamenti di soddisfazione lavorativa e di soddisfazione per lo sviluppo professionale insieme ad un incremento della motivazione e a un senso di efficacia. Il potenziale motivazionale (MPS) di un’attività lavorativa può essere calcolato combinando i punteggi attribuiti a ciascuna delle 5 caratteristiche: MPS = (identità del compito+ varietà + importanza) x autonomia x feedback • Modelli disposizionali. Secondo Judge, Locke, Ducham e Kwger un’influenza sulla soddisfazione lavorativa e sulla vita in generale è esercitata dalla “core self- evaluation”, costrutto determinato dall’autostima, autoefficacia assenza di pessimismo e locus of control interna. Di recente è stato proposto un modello più generale in cui la core self evaluation è messa in relazione con le caratteristiche dell’obiettivo di lavoro, che è un fattore che influenza la soddisfazione lavorativa. • Modelli basati sulle emozioni. La teoria di Weiss e Cropanzano pone l’accento sull’influenza esercitata dagli eventi quotidiani sulle emozioni che accompagnano la soddisfazione /insoddisfazione. I risultati delle ricerche ispirate alla teoria di Weiss e Cropanzano evidenziano come gli eventi negativi abbiano un effetto sulle emozioni notevolmente superiore agli eventi positivi, producendo uno stato di insoddisfazione che è all’origine dei comportamenti controproducenti con i quali un dipendente danneggia l’organizzazione (sabotaggi, furti …). Le esperienze positive sul lavoro contribuiscono a produrre soddisfazione. Antecedenti e conseguenze della soddisfazione lavorativa. Gli antecedenti. Ciò che influenza la soddisfazione lavorativa fa parte di 2 categorie: le caratteristiche del lavoro e le caratteristiche individuali. Aspetti del lavoro: • Il ruolo l’ambiguità di ruolo (incertezza circa le proprie responsabilità) e il conflitto di ruolo (l’incompatibilità tra le differenti richieste che si ricevono) correlano negativamente con la soddisfazione lavorativa. • Il controllo sul proprio lavoro la percezione di libertà nel prendere decisioni sull’esecuzione e sull’organizzazione del proprio lavoro correla positivamente con la soddisfazione lavorativa. • Gli orari “l’orario lungo” (10.12 ore per 3 -4 giorni alla settimana) ed il part-time correlano positivamente con la soddisfazione lavorativa. • Il conflitto lavoro-famiglia i dipendenti che sperimentano alti livelli di conflitto tendono a riportare bassi livelli di soddisfazione. di mappe cognitive, schemi e programmi, posseduto e usato dall’attore per concepire, mettere in atto e governare le proprie azioni e comportamenti. In questo modo, le azioni e comportamenti, anche quelli apparentemente più automatici, sarebbero sempre progettati, cioè riferiti ad una mappa. Competente è chi è capace di progettare e realizzare corrispondenze tra l’intenzione e i risultati dell’azione, e di scoprire e correggere gli errori, o le eventuali mancate corrispondenze. Il processo è struttura. La competenza è il processo mosso da 2 orientamenti: uno individuale- conversazionale (è un processo di costruzione di competenza arcaico, originato dalla conoscenza tacita. Comprende mappe “antiche”, “naturali”, che durante l’evoluzione sono state portate a un livello sempre più profondo e sono iscritte nella biologia dell’individuo) e l’altro “sociale e culturale“ (è un processo più recente, originato dalla conoscenza esplicita, che assume le forme della logica, del ragionamento ipotetico-deduttivo, tende all’astrazione e alla razionalità. Le mappe di questa seconda modalità sono più superficiali ed devono essere richiamate con uno sforzo consapevole). Dalla competenza di vivere alla competenza professionale. Aspetti e temi della competenza che si esprime nei sistemi sociali complessi e organizzati orientati ad un fine, le organizzazioni appunto. La competenza linguistica di Chomsky. La nozione della competenza elaborata da Chomsky muove dallo studio del linguaggio: la competenza di un parlante è definita dalla competenza “grammaticale” cioè dalla conoscenza della grammatica e trasformazione del linguaggio. Per analogia con questo modello, la competenza professionale viene concettualizzata come un insieme di capacità o proprietà interne all’autore e si presuppone l’esistenza di regole generative e strutture cognitive per generare routine d’azione efficaci. Queste strutture cognitive non portano direttamente all’azione, in quanto ci riferiamo a un “modello di agente ideale” analogo al “leader speaker” di Chomsy, cioè di un soggetto astratto che sembra subire i condizionamenti socio-culturali e quindi porta a un concetto di competenza che tiene conto dei contesti in cui viene esercitata. La competenza tacita di Polanyi. La prospettiva di Polanyi muove dal presupposto dell’esistenza di una dimensione di conoscenza personale che mette in discussione il falso ideale delle scienze esatte, dell’oggettività completa e della razionalità assoluta. La conoscenza personale e la competenza professionale sono articolabili su 2 livelli di consapevolezza: • La consapevolezza focale consente di osservare e verificare il raggiungimento dell’obiettivo nell’attività che il soggetto sta svolgendo. • La consapevolezza sussidiaria è l’osservazione e la categorizzazione delle sensazioni e delle attività che vengono sviluppate circa l’utilizzo degli strumenti per raggiungere il risultato dell’attività professionale. Nella nostra competenza è contenuto molto di più di quanto possiamo esprimere; essa è in parte tacita, in parte espressa. Il concetto di conoscenza tacita consente di comprendere perché le persone nelle organizzazioni spesso non siano in grado di spiegare perché e come fanno le cose, e quali siano i presupposti che guidano le loro azioni. La consapevolezza sussidiaria consente di svelare il significato e le relazioni sottostanti l’azione. La competenza riflessiva di Schön. Le università alimentano la dicotomia fra conoscenza “forte” (della scienza e del sapere) e conoscenza “debole” (dell’abilità artistica e della semplice opinione). Il passo per comprendere e operare con la competenza, e con il personale, è verso una teoria della conoscenza che gli aiuti nella comprensione della competenza professionale concepita come azione e riflessione sulla pratica. Nell’ambito della razionalità tecnica, la pratica professionale è riduttivamente interpretata come un ordinario processo di soluzione di problemi. Vengono però ignorati gli aspetti relativi alla definizione del problema e al processo attraverso cui si arriva alla soluzione da prendere. Schön muove nella direzione di un’epistemologia della riflessione nel corso delle azioni mediante la quale i professionisti possono affrontare le situazioni connotate da incertezza, instabilità, unicità e conflitti di valore. Il professionista che riflette conduce un esperimento volto a generare una nuova comprensione dei fenomeni e un mutamento nella situazione; riflettendo nel corso dell’azione diventa un ricercatore operante nel contesto della pratica e costruisce una nuova teoria del caso unico. La sua indagine non è limitata a una decisione sui mezzi, ma è dipendente da un preliminare consenso sui fini. Un secondo elemento della competenza riflessiva della pratica è rappresentato dalla sorpresa, che è il vero precursore nell’innovazione. Quando otteniamo i risultati attesi, non tendiamo a rifletterci sopra. Finché la pratica si mantiene stabile, cioè sottopone gli stessi tipi di casi e problemi, un professionista è sempre meno soggetto a sorpresa e. quindi, il suo conoscere è sempre più automatico. La riflessione, invece, può rappresentare un nuovo ciclo di apprendimento e sviluppo delle competenze. La “capacità negativa: Lanzara. Per sviluppare il suo costrutto di competenza, Lanzara si avvale dei concetti di programma per l’azione, capacità negativa e sensibilità al contesto, sostenendo sempre il versante sociale che la caratterizza. Le interazioni tra soggetto e ambiente vengono progettate mediante programmi per l’azione, e “meta progetti”, che forniscono le regole per la programmazione di azioni per intere classi di situazioni. I programmi per l’azione sono costruiti sulla base di esperienze d’azione che la cultura e le esperienze sociali accettano come valide. (Sono utili nelle situazioni in cui non c’è tempo o materiale per progettare ex novo). La nostra attività professionale rileva il grado di compliance che riusciamo a costruire tra i programmi d’azione e l’ambiente in cui essi si esplicano. E’ cruciale la flessibilità dei programmi e la capacità di modificare rapidamente il nostro corso di azioni e decisioni sulla base della situazione contingente. La competenza o “capacità negativa” si esprime nella capacità di andare oltre al noto, sostenere nell’incertezza per promuovere una possibilità per il nuovo ed esplorare l’ignoto (restando impassibili di fronte all’assenza di senso, senza volere a tuttii costi e rapidamente pervenire a fatti o motivi certi). Le competenze, inoltre, sono riconducibili come tali e sono riproducibili sono all’interno di un sistema di relazioni e di pratiche socialmente e culturalmente riconosciute. Con la mediazione della comunità, la persona apprende tutta una serie di elementi che situano e organizzano socialmente la competenza. La competenza professionale: i modelli. La competenza viene considerata, dagli stessi economisti, insieme alle altre risorse immateriali, la risorsa organizzativa critica per eccellenza: critica perché chiave di successo dirimente per l’uso di tutte le altre, e perché definisce il vantaggi competitivo e la possibilità di sopravvivere delle organizzazioni. Dal modello di competenze scelto e definito in un’organizzazione sulla base della sua filosofia gestionale, derivano gli interventi connessi a ciascuno dei sottoprocessi della valorizzazione delle persone: selezione, formazione, valutazione, sviluppo e retribuzione. Il modello di competenze è un insieme di conoscenze e capacità, distintive degli attori organizzativi, ed è uno strumento di intermediazione tra competenza a vivere e i processi e le relazioni di una specifica organizzazione. E’ un descrittore della competenza professionale espressa nel linguaggio proprio dei processi, dei valori e della cultura di un’organizzazione. (E’ espresso con un linguaggio ed il gergo tipico di un’organizzazione; contiene desideri e valori di un singolo contesto). Uno sguardo oltre oceano. La proposta di Boyatzis del 1982 è diventata una sorta di dizionario condiviso grazie al quale la comunità di professionisti della funzione del personale e di società di consulenza organizzativa trovano un modo per intendersi quando dialogano, circa la definizione, analisi e valutazione della competenza, della prestazione o del potenziale. Le competenze individuali rappresentano le capacità che le persone introducono nella situazione di lavoro. Quando la responsabilità di un’attività di lavoro richiede la messa in atto di specifiche azioni, è necessario che le persone, per farvi fronte, esprimano le loro personali risorse individuali. Il contributo di Boyatzis, così come quello di Spencer e Spencer, rientra nella scuola di pensiero inaugurata da McCleland, che focalizza il ragionamento sul soggetto e sulle sue caratteristiche, in relazione alla possibilità di ottenere prestazioni eccellenti. Boyatzis considera la competenza una caratteristica (cioè un tratto, un’abilità) della persona che determina una prestazione lavorativa efficace o superiore. Tali caratteristiche non sono direttamente osservabili, ma la competenza può manifestarsi in molte forme di comportamento o in una grande varietà di differenti azioni. Il modello di competenze proposto da Boyatzis ha 2 dimensioni che distinguono differenti tipi di competenza che vengono misurati e valutati: • La prima dimensione descrive i tipi di competenze che sono associati a diversi aspetti del comportamento umano e delle capacità delle persone in grado di spiegare le azioni e i comportamenti. (Es. accurata autovalutazione, memoria, interesse per le relazioni ecc.) • La seconda dimensione del modello di competenze descrive il livello di ciascuna competenza. Boyatzis ipotizza che tra la persona e il suo contesto vi sia una dinamica, rappresentata come un campo di forze, in cui l’interazione tra persona e ambiente è resa evidente dall’azione ed il comportamento. Ogni volta che un’azione è compiuta c’è un effetto, un esito sulle competenze della persona. • I costrutti utilizzati da Boyatzis sono: 1. Motivi includono pensieri correlati a particolari obiettivi o temi. La motivazione, poi, guida, dirige il comportamento della persona; 2. Tratti sono disposizioni o modi caratteristici con i quali la persona risponde a un insieme di stimoli equivalenti. I tratti si attivano in modo più immediato rispetto alla motivazione; 3. L’immagine di sé è la valutazione della percezione di sé ed è anche una definizione dell’immagine in un contesto di valori: i valori hanno origine dalle credenze passate dell’individuo, da quelle attuali o da quelle proposte dall’ambiente nel quale lavora; 4. I ruoli sociali un ruolo sociale rappresenta il punto di vista dell’individuo circa il suo inserimento in relazione alle aspettative degli altri; 5. Skill è l’abilità dimostrata in un sistema e in una sequenza di azioni funzionalmente correlata a un obiettivo di prestazione (l’uso di una skill non è riconducibile ad una singola azione). Uno sguardo europeo e italiano. La scuola di tradizione francofona propone un modello d’analisi delle competenze centrato sul legame professionalizzazione e qualificazione, mestiere e organizzazione. La competenza è la capacità di mobilitare tutti i saperi in una situazione professionale. Le Boterf definisce la competenza come la capacità di saper mobilitare le risorse che sono risorse sia personali che esterne al soggetto (informazioni, tecnologie). La competenza è letta in funzione delle finalità e dell’utilità che essa rappresenta per l’organizzazione. Le pratiche del “bilancio di competenze” e della “validazione delle acquisizioni professionali” propongono al centro delle analisi delle competenze, le capacità del soggetto di ricostruire il proprio patrimonio di esperienze e di riconoscerlo attraverso una continua operazione di autovalutazione e recupero di feedback passati e recenti. Nel nostro panorama è presente anche un orientamento ispirato all’interazionismo e al costruttivismo: la competenza non può essere isolata dalle relazioni sociali. In questa area di pensiero rientrano numerosi studi sull’expertise e sulla competenza esperta. Ciò che distingue l’esperto dal principiante è la presenza di programmi d’azione più complessi, differente capacità di tollerare l’incertezza, maggiore capacità negativa. CAP. 8 LA CARRIERA Gli studi psicologici sulla carriera. Nel senso più comune del termine, la carriera è intesa come carriera lavorativa o professionale, intesa come un percorso a gradini. Nei primi contributi teorici, il focus viene posto sull’organizzazione e sui contenuti del lavoro, sui livelli di responsabilità assegnati e sulle ricompense offerte dall’organizzazione, tutti elementi osservabili e descrivibili dall’esterno. Con il tempo l’interesse si sposta sul rapporto individuo-organizzazione, volgendo l’attenzione al momento della scelta professionale e al processo di mutuo adattamento tra la persona e l’organizzazione. processi di adattamento dell’individuo sul posto di lavoro. Il soggetto cerca una relazione armoniosa tra le proprie esigenze e il proprio ambiente di lavoro. Questa corrispondenza si realizza su 2 registri: 1) il registro delle attività, cioè l’insieme delle capacità che l’individuo possiede; 2) il registro dei valori, cioè l’insieme dei bisogni di cui l’individuo è portatore. • La corrispondenza tra le abilità possedute e quelle richieste genera la soddisfazione organizzativa, sulla base della quale gli individui possono essere promossi, trasferiti o licenziati. • La corrispondenza tra i valori dell’individuo e le risposte dell’organizzazione genera la soddisfazione individuale sulla base della quale gli individuo decideranno se restare o licenziarsi. Se l’incongruenza supera una certa soglia l’individuo potrà attivare 2 strategie: modificare le condizioni ambientali o modificare se stesso. (La perseveranza è il costrutto che descrive quanto a lungo un individuo, dopo aver notato l’incongruenza si cimenta in strategie di adattamento prima di cambiare la situazione lavorativa). Le ancore di carriera. Schein descrive la carriera come un processo di socializzazione caratterizzato dall’influenza reciproca e dalla continua negoziazione tra individuo e organizzazione. La carriera è un elemento della relazione individuo-organizzazione. Van Maanen e Schein elaborano il concetto di “ancore di carriera”: sono un insieme di autopercezioni basate sui successi lavorativi, sull’autovalutazione e sul feedback di terzi che l’individuo ha rispetto a talenti, motivazioni, bisogni, valori e interessi basati sull’incontro tra sé e l’organizzazione e che guidano e determinano le decisioni relative al percorso di carriera. Le ancore di carriera evolvono attraverso il processo di sviluppo della carriera in cui l’individuo sperimenta e consolida, attraverso l’esperienza, i suoi talenti, bisogni e valori (Schein: 5 ancore + 3 aggiunte da De Long: es. competenza manageriale, competenza tecnica, identità…). Nuovi scenari e nuove sfide. Con i cambiamenti culturali, tecnologici e demografici sono stati modificate le organizzazioni e, quindi, i percorsi di carriera (sviluppo, direzione e esiti). Questo scenario ha portato alla necessità di ridefinire il concetto di carriera. Tradizionalmente, la carriera era vista e descritta come una progressione lineare di responsabilità lavorative che si svolgeva all’interno di pochi contesti organizzativi. Oggi la carriera è considerata nella sua complessità dinamica e evoluzione non lineare in cui gioca un ruolo fondamentale l’influenza reciproca tra individuo ed organizzazione. In questo scenario si colloca la carriera boundaryless (senza confini) come struttura che caratterizza le nuove organizzazioni. Un elemento distintivo delle carriere senza confine è la capacità di adattamento, intesa come abilità a rispondere in modo efficace ai cambiamenti che generano nuove opportunità professionali. Si può parlare di boundaryless career in termini di “successo psicologico” con riferimento agli obiettivi personali raggiunti dall’individuo piuttosto che a quelli convenzionalmente imposti da terzi (genitori, organizzazioni, società ecc.). Per consolidare il successo psicologico gli individui devono trovare il senso dei loro cambiamenti di lavoro ed integrare la varietà delle esperienze affinché il percorso di carriera non appaia priva di senso. Protean career è un termine associato a quello di boundaryless career e il termine protean deriva da Proteo, divinità del mare in grado di cambiare forma a piacere. La carriera proteiforme può assumere diversi aspetti. CAP.9 I RISCHI PSICOSOCIALI Lavoro e benessere. Nel passato veniva analizzato lo studio dei fattori di rischio di tipi fisico, chimico e biologico sui lavoratori per quanto riguarda il rapporto tra lavoro e benessere. Solo di recente l’attenzione si è spostata sulle variabili che possono incidere sul benessere psicologico, come lo stress occupazionale, il fenomeno del mobbing e la sindrome del burnout. Questo è dovuto al fatto che è cambiato il concetto di salute, in quanto non si intende più solo quella fisica, ma anche quella psicologica e sociale. La prima spinta in questa direzione è stata quella degli studi di Mayo, che dimostrò l’influenza della dimensione psicosociale sui comportamenti lavorativi e affrontò gli effetti sul benessere psicologico del contesto sociale e organizzativo. Negli anni ’80 l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha definito il concetto di “rischio psicosociale” come l’insieme delle interazioni fra le variabili riferibili da una parte al contenuto, alla gestione e all’organizzazione del lavoro; dall’altra alle competenze e alle esigenze dei lavoratori. Si sviluppa l’idea che le persone che “si sentono bene”, oltre ad avere benefici in termini di longevità e salute, lavorano anche in modo più produttivo, incrementando il livello complessivo di “benessere organizzativo”. Raymond e coll. hanno proposto una nuova materia interdisciplinare, denominata “psicologia della salute organizzativa”, finalizzata allo studio degli aspetti organizzativi orientati al miglioramento del benessere fisico, psicologico e sociale delle persone. Tale filone di studi propone di intervenire sulle aree organizzative disfunzionali, promuovendo il benessere psicologico nei luoghi di lavoro e pone l’attenzione su 3 fattori di rischio psicosociali quali: stress, mobbing e burnout. Lo stress occupazionale. Principali modelli teorici. Il termine stress ha un’origine etimologica legata all’ambito ingegneristico, in quanto faceva riferimento agli effetti subiti dai materiali metallurgici sottoposti a forte pressione. • Il primo studioso ad aver applicato il concetto di stress agli esseri viventi è stato Hans Selye che ideò l’approccio response-based in cui lo stress viene identificato nella risposta fisiologica aspecifica manifestata dall’organismo nei confronti di diverse tipologie di stimoli ambientali (modello poco valido in quanto si focalizza esclusivamente sulle risposte manifestate dall’organismo) • Il modello successivo, definito stimulus-based è basato sugli stimoli prendenti nel luogo di lavoro (è un approccio limitato alla descrizione di una sola componente del fenomeno, quella riferita alle caratteristiche del luogo di lavoro) • L’approccio “interattivo” pone il focus sull’interazione tra stimoli ambientali e risposte individuali (parzialmente inadeguato) • Il più attuale moderno modello sullo stress è quello “transazionale” (Lazarus) che suggerisce come lo stress sia il risultato di un processo constane e continuo di scambio di interazione tra individuo e ambiente. Vengono prese in considerazione le caratteristiche individuali e gli stili di coping. Le valutazione cognitive attuate dai soggetti relativamente alle richieste ambientali sono suddivise in 2 tipologie: (1) valutazione primaria –> gli individui cercano di attribuire un significato alla situazione e valutano ciò che per loro è sostenibile in termini di risorse personali; (2) valutazione secondaria -> riguarda la percezione del soggetto di possedere o meno le strategie di coping adatte ad affrontare la situazione avversa. (stress= intero processo transazionale; stressor= le situazioni stimolo; strain=le risposte fisiologiche, psicologiche e comportamentali agli stressor) Stressor organizzativi. Stressor principali: eccessivo rumore, temperature insostenibili, esposizione a vibrazioni elevate, scarsa illuminazione e turni di lavoro prolungati soprattutto se distribuiti nelle fasce orarie notturne (-> quest’ultimo è maggiormente presente nei Paesi sviluppati a causa un’alterazione dei ritmi circadiani e interferisce con la vita familiare e sociale). Altri stressor: 1. Ambiguità di ruolo -> mancanza specificità del proprio lavoro 2. Conflitto di ruolo -> generato da richieste incompatibili all’interno dello stesso ruolo o alla presenza di differenti ruoli ricoperti dallo stesso individuo 3. Sovraccarico lavorativo -> se è di tipo “quantitativo” genera insoddisfazione, se è “qualitativo” genera abbassamento dell’autostima, della soddisfazione e della motivazione 4. Scarsa qualità delle relazioni interpersonali sul luogo di lavoro può determinare reazioni psicologiche negative 5. Stile di leadership è una possibile fonte di strain per i lavoratori, in particolare una leadership esclusivamente orientata al compito o eccessivamente punitiva o un atteggiamento passivo da parte del leader. Supporto sociale: la presenza di una rete funzionale di supporto sociale all’interno dell’organizzazione sarebbe in grado di alleviare la percezione di strain da parte dei lavoratori. Conseguenze. Le conseguenze sul singolo lavoratore dello stress occupazionale coinvolgono il piano fisiologico, psicologico e comportamentale: • Piano fisiologico -> l’esposizione protratta agli stressor può alterare il normale funzionamento del sistema cardiovascolare che comporta aumento della pressione sanguigna e di livello ematico di colesterolo, sino all’insorgenza di patologie cardiache. • Piano psicologico -> i sintomi associati allo stress sono: insoddisfazione lavorativa, ansia e disturbi dell’umore • Piano comportamentale -> lo strain può determinare abuso di sostane e incremento di azioni sociali negative Gli esiti dello stress occupazionale possono influenzare l’intero sistema organizzativo: diminuzione dei profitti dovuta al calo della produttività, costi supplementari derivanti dalla sostituzione di macchinari danneggiati a seguito di incidenti e la perdita di clienti/utenti dovuta alla diminuzione della qualità dei servizi erogati. Variabili in grado di moderare la relazione stressor-strain. Lo studio dello stress occupazionale si occupa della valutazione delle variabili disposizionali, situazionali e sociali che possono esercitare una relazione stressor-strain. Le variabili disposizionali o individuali includono l’analisi dei modelli comportamentali di tipo A (include le caratteristiche di personalità quali competitività, ambizione, pressione temporale, aggressività, rabbia e ostilità -> ultime 2 possono condurre a significativi aumenti di stress), l’affettività negativa (bassa autostima e stati emotivi negativi, per questo sono più inclini a concentrarsi sugli aspetti negativi di sì e dell’ambiente circostante e a sperimentare alti livelli di strain), autostima e autoefficacia (alti livelli di autoefficacia personale correlano con riduzione delle conseguenze negative dello stress. Alti livelli di autostima sono più reattivi agli stimoli esterni), percezione di controllo sugli eventi (mantiene uno stati di benessere e stimola il senso di autoefficacia. Le modalità di espressione del controllo sono collegate agli stili di coping: coping focalizzato sul problema – strategie per affrontare le difficoltà ambientali, coping focalizzato sulle emozioni – sforzi messi in atto per limitare il disturbo emotivo. Supporto sociale modera la relazione stressor-strain, soprattutto se fornito dai superiori. Valutazione. La maggior parte delle attuali ricerche finalizzate alla comprensione dello stress occupazionale considerano il fenomeno in un’ottica transazionale, fondata sull’idea di adattamento dinamico tra persona e ambiente. Tale modello è diffuso e accettato a livello teorico, ma a livello pratico di privilegia il modello interattivo dello stress -> considera le componenti del processo come costrutti statici, non esaminano il fenomeno nel suo insieme e viene accentuato il ruolo passivo dell’individuo rispetto alle fonti di stress. La prospettiva transazionale comporta l’indagine di un numero elevato di variabili, aspetto che rende questa metodologia poco economica. La ricerca sullo stress in ambito organizzativo ha privilegiato l’utilizzo di strumenti self-report, quindi misurazioni di tipo soggettivo che valutano il significato psicologico attribuito dall’individuo all’esposizione agli eventi ambientali. Le misurazioni obiettive, che misura i parametri fisiologici, potrebbero spiegare maggiormente la reale esperienza di stress. Interventi. Gli interventi finalizzati alla prevenzione e alla riduzione dei livelli di stress occupazionale possono essere classificati all’interno delle seguenti 3 categorie: primari, secondari e terziari. • Gli interventi primari hanno lo scopo di ridurre il più possibile gli agenti in grado di sollecitare risposte di stress attraverso azioni quali la riprogettazione delle attività lavorative, la ristrutturazione dei ruoli e l’instaurazione di un clima organizzativo orientato alla cooperazione tra colleghi. Sono interventi che richiedono un costo elevato ma permettono di ottenere i risultati migliori. • Gli interventi secondari soni rivolti agli individui con lo scopo di modificare le reazioni verso gli stressor occupazionali (es. tecniche di rilassamento e biofeedback) hanno un costo limitato e sono efficaci a breve termine. eventuali situazioni problematiche. Ci dovrebbero essere programmi di assistenza attraverso interventi di counseling e di formazione alla gestione dello stress, in grado di sviluppare motivazione, autostima e autoefficacia. • Interventi di tipo sociale emerge di grande rilevanza il ruolo svolto dal sistema delle relazioni interpersonali e dal sostegno sociale nel fornire adeguata prevenzione del disagio e dell’insorgenza del burnout. • A livello organizzativo non si può prescindere da un’analisi dell’organizzazione e dal prendere in considerazione gli stili di management, il funzionamento dei gruppi di lavoro, le caratteristiche del clima interno e della cultura organizzativa. Conclusioni. Il lavoratore oggi è chiamato a investire una crescente quota di energie nell’attività che svolge, questo perché c’è una maggiore competizione e concorrenza fra le organizzazioni. Per questo motivo a un decremento della patologia da lavoro tradizionale a eziologia monofattoriale (esposizione a polveri, fumi, gas e vapori) si accompagna un significativo aumento delle patologie da lavoro aspecifiche aventi un’origine multifattoriale. La ricerca e gli interventi nell’ambito della prevenzione dei rischi psicosociali nei luoghi di lavoro dovrebbero muoversi non esclusivamente nella direzione della prevenzione del malessere, bensì in quella più completa della promozione dei fattori in grado di incrementare il benessere, l’efficacia e la soddisfazione delle persone. CAP. 10 I VALORI PERSONALI IN AMBITO LAVORATIVO Specialmente nell’attuale cultura occidentale, i comportamenti individuali e collettivi sono orientati sempre meno da valori ritenuti oggettivi, permanenti, veri, riconosciuti tali dalla ragione o dalla fede, e sempre più dalle opinabili differenze, dalla soggettiva attribuzione di valori a determinati fini o scopi che si intende raggiungere. L’oscillazione tra valori eteronomi della nostra tradizione e i valori che autonomamente la società post-moderna si pone, influenza la concezione che oggi abbiamo per i valori. Costrutto di valore: significato e storia. Principali riferimenti concettuali prodotti dalle discipline psicologiche sul tema “valori”: - valori come credenza. La concezione di valore come “credenza”, viene sviluppata da Allport e presuppone l’assunto secondo cui le persone agiscono in base alla preferenza verso qualcosa. Nello studio di Allport, Vernon e Lindsey vengono individuate le tipologie secondo cui ogni genere di comportamento privato e sociale può essere categorizzato come: • Teorico (orientato alla ricerca della verità) • Economico (orientato all’utilità) • Estetico (orientato alla bellezza) • Sociale (orientato agli altri) • Politico (orientato al potere) • Religioso (orientato alla trascendenza). Secondo tale approccio le persone posseggono in diversa misura i singoli valori e il profilo che ne emerge può essere utilizzato per comprendere le scelte che quotidianamente il soggetto compie. I valori vengono qui intesi come elementi stabili e tra loro distinti. Poi c’è stata l’evoluzione a una concezione del valore secondo la quale gli individui creano proprie gerarchie di valori, personali e flessibili (è stata facilitata da Rokeach). Distinzione tra valori e alcuni costrutti ad essi affini: • Valori e atteggiamenti: i valori sono delle determinanti degli atteggiamenti. Il valore trascende le situazioni contingenti, mentre l’atteggiamento si riferisce all’organizzazione di molte credenze nei confronti di uno specifico oggetto o situazione. • Valori e norme sociale: le norme sociali si riferiscono ai modi di comportarsi in specifiche situazioni e vi si aderisce col consenso; i valori sono personali, più interni e trascendono le situazioni. • Valori e bisogni: i bisogni possono essere non espressi, o negati, ma lo stesso non può accadere per i valori. • Valori e tratti: i tratti sono considerati una caratteristica umana piuttosto stabile e non soggetta a modificazioni, mentre i valori possono essere sia mutevoli che stabili. • Valori e interessi: gli interessi sono una manifestazione dei valori e ne mantengono alcune caratteristiche. • Sistemi di valori e orientamenti valoriali: l’orientamento valoriale viene descritto tramite la presenza/assenza di alcuni specifici fattori, mentre il sistema dei valori implica il loro posizionamento lungo il continuum tra 2 poli costituiti dai valori rispettivamente finali e strumentali. Attraverso lo strumento “Valve Survey” (Rokeach) vengono misurati e descritti 2 sistemi di valori: 1) il sistema dei valori finali (composto da vita confortevole, vita eccitante, senso di realizzazione, libertà, finalità, sicurezza ecc.), 2)il sistema dei valori strumentali (fa riferimento all’essere ambizioso, tollerante, allegro, coraggioso, utile, onesto, gentile ecc.). secondo tale formulazione teorica gli antecedenti dei valori personali sono rintracciabili nella cultura, nella società, nelle istituzioni e nella personalità, mentre le conseguenze dei valori si manifestano in fenomeni osservabili nel comportamento. • Valori come obiettivi. Donald Super delinea una concezione secondo la quale i valori vengono intesi non più come sistemi di credenze o preferenze, ma come scopi che il soggetto intende raggiungere. Questo autore definisce il valore come uno scopo ricercato, un obiettivo, una relazione o una condizione materiale che una persona cerca di conseguire. • Valori come stati desiderabili. Secondo Schwartz i valori sono “stati desiderabili, obiettivi, scopi o comportamenti (…) che sono applicati come standard normativi per giudicare e scegliere tra modi alternativi di comportamento” che si strutturano in relazioni conflittuali. La conflittualità in cui si rintracciano e differenti valori riguardano i bisogni dell’esistenza umana: la natura della relazione tra individuo e gruppo, i comportamenti accettati per il mantenimento del tessuto sociale e la relazione tra genere umano e, natura e il mondo sociale. Attraverso 2 tensioni bipolari (1. aperura al cambiamento versus conservatorismo, 2. autoaffermazione vs. autotrascendenza) vengono evidenziate le principali dimensioni della conflittualità psicologica o sociale: 1) accentramento sul sé e stimolazione contro conformismo, tradizione e sicurezza; 2) universalismo e benevolenza contro successo e potere; 3) edonismo contro conformismo e tradizione. Le 2 dimensioni bipolari e l’insieme dei conflitti permettono a Schwartz di individuare “10 tipi motivazionali di valori” (potere, successo, sicurezza ecc.) rappresentazione grafica: Valori e valori lavorativi. Modelli di relazione tra valori e valori lavorativi. La letteratura distingue tra valori generali e valori riguardanti alcuni specifici ambiti della vita (come i valori lavorativi). Vi sono diverse posizioni riguardo la relazione tra valori generali e valori lavorativi: • Valori lavorativi come indipendenti. Tale approccio porta a descrivere i valori come una specifica area all’interno dei valori generali, rilevabile e misurabile mantenendo la struttura relativa alla modalità e al focus. Le 3 sfaccettature che distinguono i valori sono: 1) la modalità alcuni valori (materiale) hanno dirette conseguenze pratiche, altri (affettivi) riguardano l’espressione dei sentimenti ecc.; 2) il focus l’attenzione di alcuni valori (concentrati) può essere dedicata a un tema specifico, mentre quella di altri (diffusi) può riferirsi a un ambito più generale; 3) le aree della vita permette di distinguere tra l’area specifica del lavoro e quella più ampia della vita in generale. • Valori lavorativi come origine. La concezione che i valori lavorativi siano la fonte dello sviluppo di altri valori è vicina ai modelli dell’acculturazione psicologica e della socializzazione organizzativa. L’acculturazione psicologica si riferisce al cambiamento che gli individui attivano nel loro comportamento manifesto e nei tratti interiori quando si trovano a vivere un’esperienza collettiva (quindi i valori lavorativi vengono appresi attraverso l’esperienza professionale). Gli elementi della socializzazione organizzativa che gli individui apprendono come prezzo dell’appartenenza riguardano valori, norme, modelli di comportamento che è necessario che siano assimilati da tutti i membri dell’organizzazione. (Dunque, l’adozione dei valori lavorativi può modificare la struttura generale dei valori posseduti dagli individui). • Valori lavorativi come interrelati. Roe e Ester propongono un modello in cui sono presenti 3 livelli corrispondenti alla società (il Paese), al gruppo (professionale, demografico ecc.) e all’individuo. In ogni livello vi sono legami tra valori generali, lavorativi e l’attività lavorativa. Il modello prevede anche una serie di connessioni tra gli elementi corrispondenti ai 3 livelli. Questo modello permette di descrivere tutte le variabili che entrano in campo quando si studiano i valori e i valori lavorativi. • Valori lavorativi come correlati. La ricerca internazionale Meaning og Work (MOW) ha permesso di delineare la centralità del lavoro nella vita delle persone (l’indice di centralità del lavoro). Secondo Schwartz il peso che il lavoro ha nella vita delle persone comunità di pratica si costituisce un repertorio condiviso di risorse, si elaborano convergenti stili di azione; è una forma di autoapprendimento delle organizzazioni. La finalità della comunità di pratica è il miglioramento collettivo e la co-costruzione del significato tramite le competenze individuali e collettive messe in campo. Modelli di self-assessment e self-empowerment per l’evoluzione delle professionalità . Al fine di favorire nel soggetto un efficace processo di consapevolezza di sé sia sui temi di autovalutazione sia di autoarricchimento professionale, sono stati ideate procedure di self- assessment e self-empowerment, ovvero training di sviluppo professionale. Transizioni legislative, evoluzione di professionalità e tipologie lavorative. Le trasformazioni avvenute nell’ultimo decennio, che sinteticamente vengono chiamate pacchetto Treu e legge Bianchi, configurano una serie di vantaggi e criticità sullo scenario dell’evoluzione di professionalità e rispetto alle tipologie lavorative che da questa nuova legislazione si affacciano sul mercato del lavoro. Vantaggi: • Adeguamento degli standard italiani a quelli europei • Maggiore flessibilità contrattuale nel rapporto tra domanda e offerta di lavoro • Tutele per i lavoratori flessibili • Più opportunità di ingresso per le donne lavoratrici ecc. Criticità: • Inapplicabilità di alcuni istituti per inadeguatezza dell’organizzazione aziandale • Ritardo nello sviluppo culturale di patti sociali tra i soggetti coinvolti (impresa, sindacato e lavoratori) • Mancata conoscenza dei dispositivi legislativi e diffidenza verso le sue applicazioni da parte del sistema sociolavorativo ecc. Qualifiche e comunità di pratica: attualità e prospettive dei modelli di qualificazione professionale. Nell’attuale scenario italiano dello sviluppo delle professioni, possiamo individuare profonde trasformazioni in tema di politiche di lavoro che, attraverso il pacchetto Treu e l’applicazione della legge Biagi, ha visto l’introduzione di nuove tipologie contrattuali. Questa innovazione legislativa ha assecondato e promosso una relazione più flessibile relativamente alle necessità dei sistemi economici e del mercato del lavoro nella relazione tra domanda e offerta. Questi presupposti possono essere ricondotti ad un progressivo sviluppo dell’economia nel settore terziario, all’emergere di nuovi sistemi di progettazione, distribuzione e consumo incentrati sulla flessibilità e sulla qualità del processo e del prodotto, nonché all’utilizzazione di tecnologie informatiche applicate ai settori del marketing management e della segmentazione dei comportamenti di consumo. Tali trasformazioni accelerano il processo di diffusione di nuove figure professionali e modificano il concetto di qualifica professionale (Si intende il raggiungimento di uno standard di conoscenza, abilità e competenze, relativamente a una figura professionale). L’ambito della qualifica professionale è un concetto ancora inadeguato ed è stato proposto, al suo posto, il concetto di comunità professionali o comunità di pratica. Qualifiche e offerta formativa. I progetti di sviluppo professionale necessitano di prevedere adeguati interventi formativi, in particolare rispetto al sistema di istruzione e di formazione professionale. Si tratta di percorsi di specializzazione coerenti ai titoli conseguiti e definiscono un ciclo dello sviluppo professionale continuo. L’impianto o offerta formativa corrisponde ai livelli previsti dall’European Credit Transfert System (ECTS), cioè un sistema europeo di accumulazione e trasferimento dei crediti incentrato sul soggetto e basato sul carico di lavoro richiesto per raggiungere gli obiettivi di un corso di studio (obiettivi espressi in termini di risultati di apprendimento e di competenze da acquisire). La prospettiva europea in tema di evoluzione professionale. Negli ultimi anni, l’aspetto che più degli altri ha interessato il contesto nazionale e europeo è quello relativo alla mobilità dei cittadini. In tale prospettiva i Paesi e le Istituzioni europee hanno individuato e messo a punto politiche e strategie volte ad offrire ai cittadini strumenti e servizi per valorizzare il patrimonio di esperienze e conoscenze, e favorire la mobilità geografica e professionale. Si è giunti all’adozione di un “quadro unico per la trasparenza delle competenze e delle qualifiche” denominato Europass. L’Europass raccoglie 5 dispositivi europei: • Curriculum vitae • Portfolio delle lingue (comprendente il panorama della conoscenza delle lingue) • Supplemento al diploma (attestato del termine di corsi di studi del corso universitario o di istruzione superiore) • Europass-mobilità (consente alla persona di presentare le competenze che ha acquisito durante singole esperienze all’estero) • Supplemento del certificato (permette di chiarire le competenze maturate a seguito di uno specifico percorso di formazione professionale) Questi strumenti si propongono di rendere più chiare e trasparenti le competenze acquisite e quindi dovrebbero facilitare la mobilità nell’occupazione, sia tra i Paesi sia tra i settori. Aspetti psicologici, psicosociali e organizzativi del lavoro che cambia: prospettive di ricerca e nuova contrattualistica. Viviamo il passaggio da un’economia di scala caratterizzata dalla presenza di grandi imprese con manodopera stabile e con garanzie e tutele sindacali verso un’economia della flessibilità, caratterizzata da aziende-rete con rapporti contrattuali diversificati. La relazione domanda/offerta nel mercato del lavoro non è più posizionata sulla polarità stabilità/ precarietà, ma su un continuum tra stabilità/flessibilità/precarietà. Le imprese rispondono alla competizione globale con un processo di ristrutturazione per adattarsi alle necessità mobili dei mercati e investono in innovazione tecnologica, di prodotto e di servizio. Il rapporto domanda/offerta tende a distinguersi in 2 tipologie di soggetti: • Soggetti forti sul mercato del lavoro mostrano elevata qualificazione tecnica, sperimentano facilmente diverse forme di lavoro atipico, scelgono forme flessibili come occasione di continuo sviluppo professionale. • Soggetti deboli sul mercato del lavoro vivono la flessibilità come una minaccia, il lavoro è pensato nelle forme tradizionali della stabilità e della sicurezza, apprezzano la continuità normativa e contrattuale. Tipologie di cambiamento in atto nella contrattualistica: • Il part-time è un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato e si caratterizza per un orario inferiore all’orario di lavoro normale. • Lavoro a progetto permette al lavoratore di partecipare alla realizzazione di uno o più progetti specifici. • Lavoro a chiamata un lavoratore si mette a disposizione di un datore di lavoro che può utilizzare la sua prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente, con antecedente chiamata al lavoratore che dovrà essere rintracciabile con un preavviso non inferiore ad un giorno lavorativo • Appalto si applica quando il commissario (committente) chiede a un imprenditore (appaltatore) servizi o prodotti in cambio di remunerazione. Il committente intervenire sulle modalità operative dell’appaltatore. ecc. CAP.12 LA COVIVENZA ORGANIZZATIVA Perché occuparsi do convivenza Il XII congresso europeo di psicologia del lavoro e delle organizzazioni (2005) è stato dedicato al tema della convivenza nelle organizzazioni e nella società- Il costrutto di convivenza. Il termine convivenza fa riferimento al “vivere con”, al processo di condivisione di un’esperienza esistenziale per un cero periodo di tempo ed entro uno spazio comune definito. Il concetto è articolato in funzione di 3 diversi livelli di relazione sociale: • Affettivo le relazioni di convivenza riguardano i rapporti nell’ambito della famiglia di origine, le relazioni di coppia ecc. gli studi sulla convivenza affettiva affrontano il tema delle relazioni tra genitori e figli, le motivazioni del successo/fallimento delle relazioni di coppia ecc. • Sociale le relazioni di convivenza riguardano l’ambito della società civile. Gli studi sulla convivenza civile si occupano soprattutto dell’incontro tra diverse etnie, culture, orientamenti politici. • Organizzativo le relazioni di convivenza riguardano i rapporti all’interni di un luogo di lavoro. Gli studi si concentrano per es. su alcune questioni specifiche di discriminazione all’interno della comunità lavorativa a causa delle differenze soggettive. La convivenza organizzativa. E’ stata descritta come quel “vivere insieme” che si realizza nei luoghi di lavoro. La convivenza organizzativa negli ultimi anni è mutata poiché si è dimostrato fragile il concetto di gerarchia come strumento di governo della convivenza. Sulla base dei dati raccolti, i soggetti quando pensano alla convivenza all’interno di contesti di lavoro, fanno riferimento alla tolleranza e al perseguimento di obiettivi comuni. Considerano importanti il rispetto reciproco, la capacità di accettare opinioni e idee diverse dalla propria e la capacità di collaborare per il perseguimento di obiettivi comuni. La ricerca intervento sulla convivenza organizzativa. Si suggerisce la somministrazione di questionari, dopo una precedente definizione degli scopi della ricerca, terminata la compilazione c’è uno spazio di debreefing, a chiusura dell’esperienza e che fornisce ulteriori informazioni. I dati possono essere analizzati sia in riferimento all’intera organizzazione, sia riguardo a specifiche aree. La lettura dei dati ha lo scopo di produrre conoscenza sull’organizzazione, individuando punti di forza della convivenza organizzativa e possibili aree di miglioramento. CAP. 13 LA PSICOLOGIA DELL’IMPRENDITORIALITA’ L’imprenditorialità è uno stato mentale (qualità individuale), un processo volto a creare e sviluppare l’attività economica. L’ Europa deve promuovere lo spirito imprenditoriale. L’imprenditorialità è un fattore di crescita economica, concorrenzialità e creazione di posti di lavoro. La ricerca psicologica sull’imprenditorialità. La ricerca psicologica sull’imprenditorialità ha mostrato che ci sono cause multiple alla base della nascita e dello sviluppo di imprese personali, interpersonali, organizzative e socioeconomiche. L’imprenditorialità è un fattore umano. Riguarda la visione, l’intenzione e l’azione per trasformare idee imprenditoriali in prodotti e servizi, in imprese. La ricerca psicologica sull’imprenditorialità ha concentrato l’attenzione originaria allo studio della personalità e delle motivazioni dell’imprenditore. La ricerca sull’imprenditorialità sta mostrando che ci sono variabili complesse (personali, organizzative, culturali e socioeconomiche) che interagiscono tra loro e che contribuiscono alla creazione e allo sviluppo di imprese. Si va delineando una più chiara visione del processo imprenditoriale che prende l’avvio dalla generazione di un’idea imprenditoriale, alla costruzione di un’intenzione, alla successiva trasformazione dell’idea in un progetto alla creazione dell’impresa fino alla sua gestione e sviluppo. Intenzione e la scelta imprenditoriali. L’intenzione e la scelta imprenditoriale considerata come una delle condizioni essenziali, e come una fase del processo, fondamentale alla creazione e allo sviluppo di nuove imprese. I più significativi modelli sulle intenzioni imprenditoriali, che si propongono come obiettivo principale di delineare, comprendere e spiegare come si creino le intenzioni a intraprendere, quali siano i fattori che le determinano e in quali condizioni possano condurre un’azione imprenditoriale. • Il modello sulle aspirazioni imprenditoriali di Scott e Twomey. Si prefigge di individuare i fattori che determinano la nascita delle aspirazioni individuali, una fase ancora precedente alla nascita dell’intenzione. I fattori, considerati avere un impatto prioritario sull’evoluzione delle preferenze professionali, sono classificati in 2 gruppi: (1) i fattori di predisposizione -> come la percezione della propria realtà, la personalità che si sviluppa
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