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Riassunto psicologia delle organizzazioni, Sintesi del corso di Psicologia del Lavoro

riassunto psicologia delle organizzazioni

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 27/03/2018

serena-savoia
serena-savoia 🇮🇹

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Scarica Riassunto psicologia delle organizzazioni e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia del Lavoro solo su Docsity! PSICOLOGIA DELLE ORGANIZZAZIONI CAPITOLO 2: CONOSCERE E ORGANIZZARE Il termine organizzazione può avere differenti significati: 1. Organizzazione come insieme di relazioni tra parti o elementi: uno stato di fatto provocato dal modo in cui sono disposte le singole parti all'interno dell'insieme che le comprende 2. Organizzazione come serie di azioni orientate a uno scopo: una sequenza di attività eseguite da una o più persone che producono un certo risultato 3. Organizzazione come forma di azione collettiva ripetuta, basata su processi di differenziazione e di integrazione, tendenzialmente stabili ed intenzionali. In questa accezione, i due significati precedenti si uniscono e si confondono: la vita di un'azienda è un corso di decisioni e azioni in continuo divenire, che attraversa situazioni sempre diverse e uniche e può essere analizzato in base ai singoli episodi oppure in base alla ricorsività e alla periodicità che li caratterizzano: in questo caso si parla di processo come pattern in grado di spiegare sia la regolarità degli eventi sia l'intenzionalità degli attori. Assunto di razionalità procedurale: le persone sono razionali a livello procedurale (nelle intenzioni e nei modi di giustificare le scelte) ma le loro azioni potrebbero non essere coerenti né intelligenti a causa di carenze nella razionalità, a processi di pensiero non consapevoli o controllati da istanze primitive. La razionalità può agire preventivamente (come pianificazione) o a posteriori (come giustificazione), ma non necessariamente nell'azione stessa. Inoltre le relazioni di interdipendenza e coordinamento tra persone creano entità più complesse (gruppi, reparti, dipartimenti...), quindi all'intenzionalità individuale si affiancano forme di intenzionalità collettiva. Assunti di regolarità e permanenza: la struttura dell'organizzazione consiste nell'insieme degli aspetti regolari e relativamente stabili nel tempo dell'organizzazione stessa. Essa ha una struttura nella misura in cui sono presenti elementi che dovrebbero essere, o che sono effettivamente presi, come dati e che non vengono considerati come potenziali fattori strategici. La struttura può cambiare in un orizzonte temporale sufficientemente ampio, ma i modelli di comportamento in un determinato e limitato intervallo temporale sono permanenti e creano delle regolarità che permettono alla struttura di funzionare: 1. Routine: procedure che semplificano l'analisi strategica delle situazioni, rendono più rapida l'esecuzione delle azioni e riducono le esigenze di coordinamento programmando l'interdipendenza 2. Gerarchia: serve a mantenere il controllo e a dividere la strategia, trasformando obiettivi generali e non operativi in obiettivi operativi 3. Scomposizione dei compiti: inevitabile segue criteri di divisione sociale del lavoro oppure di specializzazione sociale delle competenze Gli aspetti regolari e relativamente stabili nel tempo della struttura organizzativa permettono all'attore di orientarsi lungo il corso di azioni (mappa temporale), e contemporaneamente creano obblighi futuri per gli attori stessi. Gli attori segmentano i contenuti ripetitivi dell'esperienza, li classificano e riconoscono quelli tra loro simili, configurandoli in contesti. Contesto: classe di situazioni simili, identificate in intervalli di tempo o episodi nel tempo e classificate attraverso informazioni specifiche che fungono da etichette per ruoli, tipologie di incontri, spazi, rituali. Simile a script (copione), ossia uno schema mentale che raccoglie istruzioni relative al modo di comportarsi in attività e situazioni tipiche, orientando le risposte alle circostanze, governando le interazioni e sostenendo l'apprendimento. L'intenzionalità collettiva consente alle comunità di persone di creare fatti istituzionali (il denaro, il matrimonio, la proprietà, il linguaggio) che permettono di imporre agli oggetti delle funzioni che diventano reali solo grazie al riconoscimento collettivo del fatto che quell'oggetto ha un certo status, grazie al quale assume anche una particolare funzione (es. carta/denaro). Nei fatti istituzionali la funzione precede l'essenza, e l'unione tra realtà istituzionale e imposizione di significato permette agli esseri umani di creare motivazioni per l'azione indipendenti dai desideri, che ci consentono di organizzare il nostro comportamento e coordinarlo con gli altri. Permette inoltre che un'azione presente crei una ragione per un'azione futura direttamente, attraverso un atto linguistico o tramite strutture istituzionali non linguistiche. Il contesto è un'operazione cognitiva che divide e ordina l'esperienza e regola i comportamenti, mentre il fatto istituzionale è una convenzione, un accordo entro il quale cose e comportamenti assumono valore simbolico e creano aspettative e obblighi per il comportamento futuro. I fatti istituzionali sono sempre di natura simbolica: possono obbligare o programmare i comportamenti, ma non determinarli né ordinarli. I fatti istituzionali forniscono l'intelaiatura dentro la quale si crea la razionalità, perché la persona decide e agisce non soltanto in relazione ai propri scopi e alla natura del compito da affrontare, ma all'interno di un quadro di condizioni già prefigurato. L'istituzione si manifesta nella convergenza delle aspettative di più persone: questa convergenza crea simboli che diventano relativamente autonomi dall'intenzionalità delle singole persone, anche se non sussistono mai in quanto tali ma solo per chi li condivide. Gli aspetti permanenti del processo organizzativo sono ancorati nell'insieme di simboli, significati e rappresentazioni condivise, sedimentate nel tempo (fatti istituzionali) che possono presentarsi come norme, regole, procedure ma anche come assunti impliciti, premesse tacite, convenzioni, valori o semplici accordi che appartengono al regno del simbolico. Per questo motivo funzionano solo se sono interpretati all'interno dei contesti cognitivi degli attori, che se ne appropriano per trasformarli in motivazioni delle proprie azioni. L'intelaiatura istituzionale di un'organizzazione comprende l'ambito formale che a vari livelli identifica e circoscrive un'azienda, le competenze presupposte e incorporate nei processi, i valori e le strutture di senso (=la cultura) condivise da una certa comunità di persone, gli assunti profondi e le simbolizzazioni che ne orientano l'emotività. In altre parole, ciò che distingue un'organizzazione dalle altre o da altri aggregati sociali (famiglia, gruppo...) è la particolare miscela di regole, norme, competenze, valori, simbolizzazioni che la caratterizza, creandone una identità in terza persona. CAPITOLO 3: COMUNICARE E ORGANIZZARE Comunicazione: il passaggio di significati tra due o più attori individuali o aggregati collettivi coinvolti in un processo. Il comunicare serve a ordinare il processo, sia nel senso che crea un ordine in base a cui considerare il flusso di eventi che caratterizza l'organizzazione, sia perché ne sottolinea gli aspetti di regolarità e permanenza. Gli elementi costitutivi della comunicazione sono: 1. i partecipanti: la comunicazione può avvenire tra singoli individui che si rivolgono ad altri individui (in prima persona), per conto di un ente che si rivolge ad altri enti (gli enti possono essere interni quando si intende l'insieme collettivo di tutti gli individui che appartengono all'azienda o a una parte di essa, esterni quando si tratta di altre aziende, pubbliche amministrazioni ecc o loro parti) o a collettività (rilevanti e circoscritte secondo un criterio, si definiscono anche pubblici esterni), e tutte le forme miste tra enti e singoli. 2. le finalità: la comunica zione può essere rivolta a influenzare le azioni oppure a modificare o creare significati propri di un certo ente, influenzando le azioni in maniera indiretta (es: pubblicità, marketing sociale...) 3. gli strumenti della comunicazione: diretti e indiretti 4. il contesto: insieme di conoscenze e significati che emittente e ricevente hanno in comune A seconda che i partecipanti siano emittenti o riceventi del massaggio, si possono avere le seguenti 7 combinazioni (o circuiti) della comunicazione: 1. Il circuito A è quello della comunicazione interpersonale (o in prima persona), è sempre bidirezionale e usa tecnologie di tipo uno a uno infranto la netta separazione tra mondo produttivo e professionale (di cui si occupavano gli uomini) e mondo riproduttivo e familiare (di cui si occupavano le donne), facendo emergere due questioni principali: 1. Doppia presenza: le donne che lavorano NON riducono significativamente la cura della famiglia e della casa, con il risultato paradossale e difficilmente realizzabile di dover essere presenti contemporaneamente e alternativamente nella famiglia e nella professione 2. Discriminazione: provocata spesso dalle esigenze femminili di conciliare lavoro e famiglia, può essere verticale (la mancata attribuzione alle donne di ruoli professionali con alti livelli di responsabilità, probabilmente per l'esigenza attribuita alle donne di essere presenti in famiglia) o orizzontale (la segregazione occupazionale delle donne in segmenti professionali di scarsa visibilità, scarso riconoscimento economico e sociale e minori opportunità di carriera), probabilmente per la convinzione che le donne siano per natura adatte solo ad alcune professioni e siano inadeguate a ruoli di responsabilità o di leadership. Sex-gender system: insieme dei processi, degli adattamenti, delle modalità di comportamento e dei rapporti attraverso i quali ogni società trasforma la sessualità biologica in prodotti dell'attività umana e organizza la divisione dei compiti tra uomini e donne, differenziandoli gli uni dalle altre e creando quindi il genere. De Beauvoir appartenere a un certo sesso è una condizione biologica, appartenere a uno specifico genere è una condizione determinata da aspetti sociali e culturali legati al contesto di riferimento, separati e separabili dal ruolo biologico. Il genere è frutto di interazioni sociali che producono e riproducono relazioni di potere e subordinazione tra uomini e donne. Le definizioni sociali di genere sono situate nel tempo e nello spazio, diversificandosi da cultura a cultura: esiste quindi una pluralità di modelli di genere. Nei contesti di lavoro si riproducono rapporti di potere e subordinazione e si continuano ad attribuire i ruoli in base al genere, determinando molteplici forme di discriminazione nei confronti delle donne, nelle opportunità di carriera o nella retribuzione. Cinque processi rendono l'organizzazione gendered (=fortemente connotata dal genere): 1. La divisione del lavoro in base al genere, sia nella società, in cui i ruoli produttivi e professionali sono attribuiti agli uomini e ruoli riproduttivi e familiari alle donne, sia nel mondo del lavoro, in cui alle donne sono spesso assegnati ruoli vicari e meno qualificati 2. La produzione di simboli e immagini che evidenziano e riproducono la divisione tra maschile e femminile 3. L'insieme delle relazioni tra donne e uomini, che possono definire strutture di potere e subordinazione, sia formalizzate che informali 4. Il modo di definirsi e di agire nel contesto lavorativo e nella società sulla base del ruolo, degli aspetti espressivi, e della posizione nelle relazioni, interiorizzati come aspetti centrali dell'identità di genere di ciascuno 5. Il genere è alla base della distribuzione delle risorse scarse nella società, e quindi sulle relazioni di potere che si basano sul controllo di tali risorse: il genere diventa quindi un elemento cruciale nella creazione e legittimazione della struttura sociale e organizzativa Gli approcci principali che spiegano le dinamiche di genere nei luoghi di lavoro e la discriminazione nei confronti delle donne: Approccio biologico: le ragioni delle disuguaglianze di genere nel lavoro e nella società dipendono da differenze biologiche. Le differenze nelle competenze e nello stile comportamentale di uomini e donne dipenderebbero da cause di tipo evolutivo o fisiologico, e giustificherebbero i diversi ruoli maschili e femminili nel lavoro e nella società. Gli uomini sarebbero predisposti per ruoli e professioni scientifici, di azione e dirigenziali, che richiedono doti decisionali, molto tempo lontano da casa e comportano maggiori responsabilità, mentre le donne sarebbero predisposte a ruoli relazionali e a professioni di cura e nei servizi, e avrebbero bisogno di essere presenti in famiglia, potendo occupare quindi ruoli di minore responsabilità. Limite: attribuisce in modo deterministico e immutabile caratteristiche e ruoli adeguati a donne e uomini, trascurando l'importanza delle relazioni sociali nello sviluppo dell'identità di genere e nella costruzione delle strutture sociali e organizzative. Approccio socioculturale: il genere è una costruzione sociale e culturale, frutto dell'interazione tra donne e uomini, infatti diverse culture propongono modelli di genere molto diversi e talvolta contrastanti, disconfermando la teoria del determinismo biologico. Il corpo sessuato è uno dei primi elementi di differenziazione tra individui, quindi in tutte le culture esistono modelli di ruolo differenti per donne e uomini. I processi di socializzazione attribuiscono a chi nasce con un corpo maschile o femminile il ruolo di uomo o donna, nel quale sono iscritte le dinamiche di potere e subordinazione che innervano le relazioni di genere. I bambini imparano fin dalla primissima infanzia che esistono comportamenti adatti al loro sesso e tendono a metterli in atto: i ruoli di genere così acquisiti riguardano anche la divisione del lavoro tra i sessi, attribuendo all'uomo il ruolo di procacciatore di reddito e alla donna di occuparsi della riproduzione e della cura in famiglia. Approccio psicoanalitico si sofferma sulle specificità dell'identità di genere maschile e femminile: il modello di sviluppo maschile porta a un'etica fondata sul diritto, sul rigoroso rispetto di leggi e regole al di là della relazione personale, mentre il modello di sviluppo femminile conduce a un'etica che predilige la cura dell'altro attraverso la relazione. Il metodo di “conoscenza procedurale” maschile si fonda sulla dialettica, sul mettere in dubbio le affermazioni altrui e sul testare le diverse ipotesi, mentre il metodo “connettivo” femminile consiste nell'empatia e nel mettersi nei panni dell'altro, considerando tutti i punti di vista potenzialmente validi. Nicolson le culture organizzative sono innervate dalla logica maschile perché riprodurrebbero le dinamiche del complesso edipico: incapaci di tollerare la perdita del potere, gli uomini lottano per il suo possesso esclusivo, e creano strutture organizzative caratterizzate da una forte gerarchia. Da questa dinamica, con regole tipicamente maschili, restano escluse le donne, che possono uscire dall'organizzazione giustificandosi con il desiderio di avere figli e dedicarsi a loro, oppure limitarsi ad alcuni ruoli, interiorizzando i valori della cultura organizzativa maschile e accettando in modo complice parametri di valutazione e riconoscimento diversi. L'interiorizzazione si esprime o condividendo l'idea che il ruolo principe della donna sia in famiglia, disinvestendo progressivamente l'impegno professionale in favore di quello familiare, oppure investendo nella carriera ma accettando di adeguarsi alle regole maschili, ossia dover scegliere tra affetti e carriera professionale. Il vero cambiamento verrebbe dal portare nelle organizzazioni logiche femminili, di maggiore flessibilità e orientamento alla relazione, per consentire alle donne di esprimere le loro competenze e il loro potenziale nelle organizzazioni. Le fasi degli studi di genere in ambito organizzativo: 1. Cecità nei confronti delle dinamiche di genere nelle organizzazioni: gli studi organizzativi e le scienze sociali assumevano che le persone che costituivano le organizzazioni fossero uomini, quindi nessuno chiedeva ragione dell'assenza delle donne dalle posizioni manageriali. La cultura organizzativa maschile veniva accettata acriticamente, come la norma, rispetto alla quale le donne rappresentavano l'eccezione 2. Presa di coscienza della discriminazione: con l'aumento della presenza femminile nelle organizzazioni si inizia a riflettere sullo scarso utilizzo del loro potenziale, e le donne stesse iniziano a chiedere espressamente e insistentemente di accedere a posizioni di responsabilità. Ancora oggi, le donne si trovano ai livelli più alti della gerarchia in percentuali molto basse, oppure hanno ruoli di responsabilità solo in professioni di minore prestigio. Gli studi di approccio sociologico cercano di individuare i meccanismi collettivi che determinano e riproducono la discriminazione, tra cui il metodo della staffetta per le posizioni più prestigiose, i criteri di selezione e crescita professionale basati sulla quantità del tempo trascorso in organizzazione anziché sulla qualità dei risultati raggiunti e su stereotipi di genere relativi alle competenze tipicamente maschili (maggiori capacità di organizzazione e gestione) o femminili (di ascolto e cura, meno di conduzione) o ai valori personali (di realizzazione professionale per gli uomini e familiare per le donne). Gli studi di approccio psicologico si concentrano sui processi alla base delle aspirazioni occupazionali: le persone hanno delle aspettative individuali e delle aspettative connotate per genere, influenzate dalle esperienze di socializzazione ai ruoli sessuali e dalla distribuzione dei due sessi nelle categorie occupazionali in quel momento storico. Si crea quindi un circolo vizioso: le donne non si aspettano di poter accedere alle professioni tipicamente maschili, finendo spesso col rinunciarci a priori e rimanendo quindi sotto- rappresentate proprio in tali professioni. Le linee di azione per reagire a tali discriminazioni sono il modello dell'uguaglianza (rivendicazione di possedere uguali competenze e risorse rispetto agli uomini e quindi del diritto a un uguale trattamento economico e a pari condizioni di accesso e possibilità di crescita) e il modello della differenza (la differenza dei contributi maschili e femminili è un elemento di ricchezza per l'organizzazione che sappia valorizzarla, poiché apporti differenti permettono di rispondere a differenti richieste ed esigenze nei contesti lavorativi attuali, sfaccettati e mutevoli) 3. Superamento della dicotomia uomo-donna (post-modernismo): l'approccio postmoderno afferma che non c'è una sola logica o un solo sistema normativo (maschile o femminile) cui ci si deve adeguare o contrapporre, ma esistono approcci differenti tra loro, talvolta contrastanti, talvolta complementari, ma tutti parimente validi. Il rischio è di perdere ogni punto di riferimento, di assumere acriticamente ogni possibilità, rimanendo costantemente nell'incertezza e rimandando costantemente le decisioni in ambito sia sociale che organizzativo CAPITOLO 7: EFFICACIA PERSONALE E COLLETTIVA La teoria sociale cognitiva (Bandura) evidenzia le proprietà regolative, riflessive e generative della mente umana, enfatizzando la capacità degli individui di agire in maniera intenzionale (human agency o agenticità) sul proprio ambiente, all'interno di una struttura causale reciproca triadica interdipendente, svolgendo un ruolo proattivo e trasformativo anziché di adattamento. Determinismo reciproco triadico: ogni manifestazione psichica è il prodotto di un rapporto di causalità dinamico in cui la persona (nei suoi aspetti cognitivi, affettivi e biologici), il comportamento e i fattori ambientali si influenzano reciprocamente: l'azione è inscindibilmente legata all'ambiente e al pensiero. La persona agisce selettivamente e trasformativamente sull'ambiente, ma è sensibile alle condizioni che il contesto predispone al suo comportamento e alle pressioni che esso esercita sulle sue decisioni. Nelle prime fasi dello sviluppo, l'ambiente sociale influisce significativamente sulla persona fornendo occasioni, modelli e standard che contribuiscono a sviluppare le diverse strutture interne di autoregolazione e di relazione col mondo. Successivamente, la capacità di riflettere sull'esperienza e di autodirigersi consolida l'identità personale e sviluppa la capacità autonoma di controllo su di sé e sull'ambiente. Il comportamento è il mezzo attraverso cui si esprime la volontà individuale, ma è anche la fonte da cui l'individuo attinge informazioni sul proprio operato, confrontandosi direttamente con l'ambiente e prendendo coscienza degli aspetti di sé che vengono messi alla prova. Human agency (agenticità): capacità di far accedere gli eventi, ossia di utilizzare le capacità di simbolizzazione, di anticipazione degli eventi, di autoregolazione, di apprendimento attraverso gli altri e di autoriflessione per cogliere le opportunità offerte dall'ambiente e contribuire attivamente alla costruzione della propria personalità e alla definizione delle proprie mete. Capacità di simbolizzazione: trasforma le esperienze in simboli che guidano il giudizio e l'azione, dando significato al rapporto con la realtà attraverso i processi cognitivi, che determinano a quali interdipendenza comportano una maggiore coesione e un maggior coinvolgimento. Se l'interdipendenza è bassa, ogni membro tende a procedere indipendentemente e l'efficacia collettiva sarà la sommatoria delle diverse “efficacie” individuali senza attivare alcun processo di gruppo; viceversa, se l'interdipendenza è alta, l'efficacia collettiva dipenderà dall'integrazione delle persone e dalla loro capacità di coordinamento, con un ruolo considerevole dei processi e delle dinamiche di gruppo 4. Caratteristiche del contesto: la cultura organizzativa influenza il funzionamento del gruppo guidando le azioni dei suoi membri, e contribuisce a identificare il sistema di valori in funzione del quale il gruppo valuta il proprio operato. Attraverso l'interazione sociale i membri del gruppo coordinano e integrano le loro capacità individuali, costruendo una capacità collettiva. Il prevalere di alcune dimensioni su altre determina le condizioni per creare un sistema di valori condiviso, unitario e coeso oppure poco organico e frammentato, soprattutto quando si affrontano sfide, cambiamenti o condizioni ambigue e stressanti CAPITOLO 8: GRUPPI E INTERSOGGETTIVITA’ L'appartenenza a un gruppo comporta una reazione emotiva ambivalente: il desiderio conflittuale di prossimità e di distanza dall'altro. Occuparsi di dinamica di gruppo implica occuparsi sia della risonanza e integrazione fra le menti attivata dal gruppo, sia della criticità e problematicità derivante dagli elementi di crisi e disordine connessi all'appartenenza gruppale. L'appartenenza ad un gruppo deriva dalla percezione di un “noi”, ossia una entità collettiva in cui le interazioni con gli altri membri vengono percepite come intime, spontanee e familiari e in cui ognuno può riconoscersi e rispecchiarsi, condividendo con gli altri membri ideali e scopi comuni, traendone un senso comune di sicurezza e protezione. La coesione si basa sull'identificazione reciproca, e la condotta sociale dei membri sulla condivisione (anche implicita) di valori e norme condivisi che esprimono il senso di appartenenza a una totalità. Il gruppo costituisce una configurazione originale e autonoma, differente dalla somma dei suoi membri, dotata di una struttura, di specifiche finalità e di relazioni con altri gruppi, caratterizzandosi come una totalità dinamica, contraddistinta dall'interdipendenza che lega i suoi membri (Lewin), ed il suo funzionamento dipende dalle modalità di comunicazione adottate, dalla distribuzione dei ruoli e dalla leadership. Il gruppo ha un ruolo primario per lo sviluppo psichico individuale, indipendentemente dalle necessità specifiche: una parte della vita psichica viene stimolata e si attiva solo attraverso la partecipazione a un gruppo, e questo comporta la soddisfazione di alcuni desideri e la limitazione di altri, provocando frustrazione e sollecitando paure primitive, necessarie alla costituzione di un'entità psichica gruppale. Ogni gruppo funziona a due livelli: 1. il livello di cooperazione razionale che comprende gli obiettivi e le attività alla base della creazione del gruppo, il rapporto con i vincoli di contesto e la struttura, i modi e i tempi di attuazione 2. il livello della mentalità di gruppo o gruppo di base, che comprende il funzionamento mentale collettivo più primitivo, contemporaneamente fonte di creatività e ostacolo agli aspetti razionali   I sistemi di difesa dalle ansie primigenie condivisi collettivamente da un lato rafforzano la coesione, dirottando gli impulsi distruttivi su oggetti accettati e condivisi, dall’altro provocano fenomeni di evasione dal compito e conflittualità interna ed esterna, che disturbano sia la vita emotiva che la produttività del gruppo. L'appartenenza al gruppo si manifesta esteriormente attraverso riferimenti identificatori materiali e culturali, che rendono riconoscibile l'appartenenza e distinguono rispetto ad altri gruppi, definendone i confini. L'individuo diventa ricettacolo delle credenze e rappresentazioni del gruppo che, una volta interiorizzate, modificano e creano la mente dei singoli in un processo in cui l'identità individuale incorpora ed elabora il gruppo facendone il proprio fondamento. La partecipazione a gruppi può favorire o disturbare il benessere, rinforzando le spinte costruttive e la fiducia oppure accrescendo le angosce primarie e la tendenza a difendersene con comportamenti di diffidenza e competitività distruttiva. In ambito organizzativo ogni individuo sperimenta molteplici e discontinue appartenenze gruppali a causa della proliferazione di gruppi temporanei, a cui l'individuo reagisce con isolamento emotivo, ritiro narcisistico e comportamenti difensivi, individualistici o socializzati. Il rischio maggiore è che all'aggregazione fisica non corrisponda una rete di identificazioni stabili, quindi la tutela del sé prevale sull'obiettivo e sull'appartenenza, e l'individuo si distanzia dalle proprie emozioni impedendo lo sviluppo dei legami emotivi su cui si fonda l'esistenza psichica del gruppo. Il gruppo di lavoro è uno spazio fisico e mentale in cui ogni membro incontra altri intorno a un compito/obiettivo, ossia il motivo razionale dell'incontro. La capacità di mantenere, perseguire e condividere un compito si basa sulla capacità di attingere a una produzione psichica congiunta e di mantenere il contatto con la realtà esterna, da cui provengono risorse e strumenti e nella quale si immette e valuta il risultato raggiunto. La dimensione relazionale e quella del compito sono intimamente intrecciate: l'obiettivo collega le qualità delle relazioni interpersonali alla loro efficacia nella realtà contestuale. Il gruppo di lavoro può essere raffigurato come un triangolo: Ai vertici si trovano l'io, gli altri e il compito, mentre i lati rappresentano le funzioni indispensabili per il funzionamento del gruppo: appartenenza, comunicazione, competenza. Il gruppo tende a preservare e ripetere i propri codici resistendo alla modificazione dei suoi confini e caratteristiche di funzionamento, ma è soggetto a trasformazioni rapide, impreviste e continuative provocate da un complesso gioco di forze tra loro in competizione, che investe persone, gruppi e organizzazioni. Secondo Lewin il mutamento di un gruppo è un processo di apprendimento sociale, necessario per adeguarsi alle esigenze della realtà del contesto sociale, il che implica accettare nuove abitudini e abbandonare condotte basate su percezioni non più appropriate. Il mutamento coinvolge la struttura cognitiva, emotiva e valoriale dei soggetti implicati, modificandone la struttura psichica: i gruppi di lavoro e le organizzazioni non cambiano se non cambiano anche le persone che li compongono. Introdurre un cambiamento è un processo complesso, che sollecita angosce arcaiche e in cui si esprime la tensione tra funzionamento razionale e affettivo e tra istanze di continuità ed esigenze di trasformazioni, e richiede tempi di elaborazione adeguati (non sempre possibili) e dispositivi di accompagnamento specifici predisposti a questo fine. CAPITOLO9: I CLIMI ORGANIZZATIVI La prima definizione di clima organizzativo (metafora che indica l'aria che si respira all'interno di un'organizzazione) è il concetto di “atmosfera sociale”, definito da Lewin come qualcosa di intangibile, una proprietà di una situazione sociale nel complesso. “L'atmosfera psicologica è quel sistema di percezioni e di attribuzioni di significato che i protagonisti di un campo psicologico giudicano pertinente in uno spazio e in un tempo dato”. Gli studi sul clima si dividono in 4 approcci: 1. Approccio strutturale considera il clima come una caratteristica dell’organizzazione, un insieme di attributi organizzativi misurabili oggettivamente, indipendentemente dai membri e dalle loro percezioni. Nel 1964 il clima organizzativo è stato definito come un set di caratteristiche, relativamente durature nel tempo, che descrivono un'organizzazione distinguendola dalle altre e influenzano il comportamento dei suoi membri. Critiche: questo tipo di approccio prevedrebbe una relazione significativa tra clima organizzativo e caratteristiche organizzative strutturali, fenomeno mai dimostrato in letteratura scientifica; non spiega perché all'interno di gruppi di lavoro diversi si riscontrino climi diversi; non valuta l'impatto soggettivo delle variabili strutturali sulle reazioni individuali in una certa situazione; non considera il fatto che i processi di interazione tra gruppi diversi tendono a creare una cultura organizzativa comune. 2. Approccio percettivo: l'origine del clima è nell'individuo, che percepisce e interpreta il contesto organizzativo creandone una propria rappresentazione psicologica, sulla base sia della struttura organizzativa che dei processi. Schneider: le percezioni di clima sono descrizioni basilari psicologiche significative che le persone accettano come proprie delle pratiche e delle procedure di un sistema; esse funzionano come schemi di riferimento per raggiungere una congruenza tra il comportamento individuale e le pratiche e le procedure del sistema.   Critiche: questo approccio parte da premesse parziali, poiché colloca le origini del clima nell'individuo senza considerare le percezioni che si creano durante le continue interazioni tra i membri all'interno dell'organizzazione, trascurando le relazioni di causalità reciproca tra persone, e tra persone e ambiente. 3. Approccio interattivo: sintesi dei precedenti, sostiene che gli individui, all'interno di una specifica situazione, interagiscono reciprocamente creando percezioni condivise che diventano l'origine del clima. Questo approccio si basa sulla fenomenologia di Husserl e sull'interazionalismo simbolico di Mead. Secondo Husserl l’intersoggettività è il processo fondamentale grazie al quale si costituisce un collegamento sovraindividuale fra le prospettive, le interpretazioni, i valori e le credenze. L'intersoggettività si basa sulla consapevolezza che gli altri hanno esperienze simili alle proprie, quindi le persone costruiscono il proprio self usando gli altri come modelli. All'interno delle organizzazioni gli individui cercano di interpretare il flusso continuo di eventi e azioni creando una mappa cognitiva della realtà, attraverso cui identificare e attribuire dei significati a ciò che vedono e sentono. Quando i membri dell'organizzazione interagiscono tra loro, si verifica uno scambio di esperienze e percezioni attraverso cui le varie mappe vengono confrontate e modificate, creando un modo comune di percepire e interpretare ciò che succede: il clima è quindi determinato da percezioni comuni che si evolvono nel corso del tempo e degli eventi. L'interazionismo simbolico di Mead considera la realtà come una costruzione sociale in cui le persone sono attori che utilizzano dei simboli per comunicare, acquisire una propria identità e partecipare a una realtà costruita socialmente: il significato delle cose nasce dall'interazione tra le persone. Secondo la teoria strutturazionale, il clima non è rintracciabile nelle percezioni personali degliindividui, ma nelle loro interazioni: esso è un tramite e contemporaneamente un risultato dell'interazione, un atteggiamento collettivo prodotto e riprodotto continuamente con le interazioni fra i membri. Critiche: non spiega come l'ambiente influenza 4. Approccio culturale: focalizza l'attenzione sul modo attraverso il quale i gruppi interpretano, costruiscono, negoziano la realtà attraverso la creazione di una cultura organizzativa, definita come un insieme di significati condivisi dai membri del gruppo, che esiste nelle interazioni tra individui. Il clima e la cultura sono complessi, multidimensionali e strettamente interconnessi, anche se differenti: - Entrambi si occupano del modo con cui i membri dell'organizzazione danno senso al loro ambiente, creando un sistema di significati condivisi - Entrambi sono appresi attraverso un processo di socializzazione e interazione simbolica tra membri del gruppo - Entrambi sono tentativi di identificare l'ambiente - La cultura ha un alto livello di astrazione e il clima è la sua manifestazione: il clima ha una natura mutevole, la cultura molto più stabile - Il clima agisce soprattutto a livello di atteggiamenti e valori, mentre la cultura opera anche a livelli superiori (ideologico e filosofico) - Il clima è prodotto dalle variazioni immediate nell'ambiente interno ed esterno, ma è anche intessuto delle più profonde forme della cultura - Il clima si esprime nei gesti, nelle espressioni quotidiane, negli atteggiamenti dei lavoratori, mentre la cultura è un insieme di assunti non detti, ma presenti, impliciti nell'organizzazione   La valutazione della maturità dei collaboratori nell'affrontare il compito assegnato è la dimensione cruciale della quale il leader deve tenere conto per scegliere lo stile più adeguato, bilanciando l'attenzione al compito e alla relazione: 1. Con collaboratori di basso livello di maturità, prescrivere: fornire istruzioni estremamente dettagliate, descrivendo modi e tempi per la realizzazione del compito; il processo decisionale è assunto dal leader, impegnato soprattutto a istruire i collaboratori e solo in minima parte a sviluppare relazioni positive 2. Con collaboratori di livello medio-basso, vendere: fornire istruzioni specifiche, spiegare perché il compito deve essere portato a termine e rispondere alle domande in modo da lavorare sulla relazione mentre si “vendono” i vantaggi di una prestazione adeguata; il leader prende le decisioni finali ma può consultarsi con i collaboratori e tenere in considerazione le loro idee 3. Quando il livello è medio-alto, coinvolgere: dedicare poco tempo alle istruzioni concentrandosi sull'obiettivo finale e dedicare energie a incoraggiare i collaboratori, che sono coinvolti nel processo decisionale: le decisioni possono essere prese insieme e devono essere approvate da tutti 4. Quando il livello di maturità dei collaboratori è alto, delegare: fornire le informazioni richieste dai collaboratori e chiarire i dubbi, ma limitare le istruzioni lasciando ai follower le decisioni Il modello implica anche una dimensione di sviluppo: con il tempo l'abilità e la sicurezza dei collaboratori possono aumentare e quindi modificare la relazione tra leader e follower e la scelta dello stile più adeguato. Il modello path-goal (House) tenta di individuare alcuni moderatori situazionali della relazione tra leadership orientata al compito e orientata alla persona, ipotizzando che il leader possa utilizzare lo stile maggiormente indicato in una situazione per massimizzare la prestazione e la soddisfazione lavorativa dei follower. Il leader può aumentare i livelli di soddisfazione percepita e motivazionali dei suoi collaboratori, offrendo loro, al raggiungimento degli obiettivi, quei riconoscimenti a cui i follower attribuiscono valore. I fattori situazionali sono: - Caratteristiche dei collaboratori: quanto hanno bisogno di essere guidati, quanto sono abili a portare a termine le attività che servono a raggiungere gli obiettivi, locus of control - Caratteristiche del contesto: struttura del compito, autorità formale del leader, gruppo di lavoro Una volta definita la situazione in funzione di questi fattori, il leader applica lo stile più adeguato: 1. Direttivo: i follower hanno bisogno di essere seguiti da vicino, il loro locus of control è prevalentemente esterno, la loro abilità bassa e il compito è complicato e ambiguo 2. Di sostegno: i follower sono competenti e hanno un locus of control interno; il compito è semplice, l'autorità formale bassa ma il gruppo non è autonomo 3. Partecipativo: i follower sono abili, vogliono essere coinvolti e hanno un locus of control interno; il compito è complesso e le variabili di autorità e soddisfazione per il lavoro sono ininfluenti 4. Realizzativo: i follower sono abili, aperti a una leadership autocratica, e hanno un locus interno; il compito è semplice e l'autorità alta: il leader pone obiettivi elevati ma raggiungibili, e sa riconoscere i successi (unisce stili direttivo e di sostegno) L'approccio Leader-member exchange (LMX) si focalizza sulla relazione tra il leader e ciascuno dei suoi collaboratori, che può innescare due tipi di relazioni di scambio: In-group exchange o Out- group exchange. Diversi studi evidenziano che i collaboratori con relazioni LMX di qualità “ricompensano” il loro leader con comportamenti di cittadinanza organizzativa e commitment; la qualità di LMX sarebbe invece minore quando leader e follower sono di genere diverso e quando un leader ha troppi collaboratori; inoltre l'efficacia della relazione sarebbe legata al supporto organizzativo percepito dai leader. I modelli analizzati finora si concentrano sulla leadership transazionale (transazione interpersonale tra leader e collaboratori), le cui caratteristiche sono il mantenimento della motivazione dei collaboratori attraverso sistemi di ricompensa contingenti e la correzione del proprio stile di leadership se i collaboratori non raggiungono l'obiettivo atteso. Viceversa, la leadership trasformazionale o carismatica enfatizza il comportamento simbolico del leader, i messaggi visionari e ispirazionali, la comunicazione non verbale, il richiamo ai valori, la stimolazione e motivazione dei collaboratori a un livello intellettuale ed emozionale: il leader trasformazionale riconosce i bisogni dei followers e sa trasformarli in nuovi leader. Il modello delle quattro I definisce quattro tipi di azioni di leadership: -Considerazione Individuale: comunicazione personalizzata come azione di base per la crescita -Stimolazione Intellettuale: per dare energia, indipendentemente dai riconoscimenti formali -Motivazione Ispirazionale: dotare il lavoro di un significato delineando obiettivi a cui tendere -Influenza Idealizzante: prestare attenzione alla fiducia diventando un modello in cui i collaboratori possono identificarsi Leadership empowering e team leadership L'empowerment è divenuto un tema cruciale negli studi organizzativi, perché da un lato dinamiche di controllo sono controproducenti sul piano motivazionale, dall'altro, sempre più persone reclamano maggiore potere nelle loro vite, e maggiore partecipazione e coinvolgimento a diversi livelli. Alla leadership è richiesto di essere empowering attraverso alcuni comportamenti principali: -Fornire ai collaboratori informazioni puntuali e continue sulla prestazione - Dare ai collaboratori la possibilità di apprendere le conoscenze e competenze adeguate - Dare ai collaboratori il potere di prendere decisioni significative e aiutarli a comprendere il significato e l'impatto del loro lavoro - Riconoscere il contributo dei collaboratori in funzione dei risultati organizzativi Leadership e ombra Il lato oscuro delle azioni del leader ha a che fare con la gestione del potere con un senso di onnipotenza, che si ripercuote sulla relazione, sulla visione e sulla comunicazione: - Il leader è autocratico o troppo informale, manca l'attenzione interpersonale agli altri, le relazioni intragruppo sono caratterizzate da dipendenza eccessiva e le relazioni tra gruppi presentano continue rivalità - La visione rispecchia i bisogni egoistici del leader, non è adeguata rispetto alle risorse, né bilanciata in relazione al mercato, né flessibile ai cambiamenti esterni - La comunicazione, caratterizzata da toni eccessivi e da insistenti tentativi di manipolazione, è sostanzialmente distorta con accentuazione delle comunicazioni positive ed omissione di quelle negative. CAPITOLO 11: LA LEADERSHIP AL FEMMINILE Nonostante le donne in posizioni organizzative di vertice siano ancora poche, si stanno diffondendo modelli di leadership fondati sulla condivisione e diffusione del potere decisionale: la leadership postheroic, legata a un processo relazionale profondo e autentico, finalizzato all'apprendimento e alla crescita reciproca di leader e follower, associata a tratti ritenuti femminili (empatia, vulnerabilità e collaboratività), a differenza della leadership “eroica”, individualistica e associata a tratti maschili quali individualismo, controllo e assertività. Alcuni autori sostengono quindi un vantaggio competitivo femminile, mentre altri ritengono irrilevanti le differenze tra uomini e donne nell'esercizio della leadership. Piccole differenze di genere (modelli “no difference”) Numerosi studi hanno analizzato le aree di presunta diversità nello stile di leadership: - Nei tratti di personalità e nella motivazione sono state individuate differenze non significative, mentre le differenze occasionalmente rilevate nell'intensità della motivazione sono generalmente favorevoli alle donne - Nel commitment non emergono sostanziali differenze: il commitment risulta direttamente correlato a fattori quali l'età, il tipo e il livello di formazione, la presenza di un compagno o di figli - In uno studio volto a individuare potenziali leader non sono emerse differenze riguardo alle abilità intellettuali, alle capacità di comando, alla comunicazione orale e alla stabilità della prestazione. Le donne hanno dimostrato maggiori livelli di abilità amministrativa, capacità di risolvere creativamente i problemi, capacità relazionali e di comunicazione scritta, mentre gli uomini hanno evidenziato un maggiore interesse per gli avanzamenti di carriera e una particolare attenzione ai processi di potere   Alice Eagly e colleghi hanno indagato la relazione tra genere e stile di leadership nelle dimensioni di orientamento al compito o alla relazione e negli stili autocratico o democratico, riscontrando che le donne manifestano uno stile di leadership più democratico e meno autocratico rispetto agli uomini ed emergono più frequentemente come leader legate agli aspetti sociali e orientate alla relazione, mentre gli uomini emergono come leader orientati al compito più spesso delle donne. Inoltre gli uomini sono meno portati ad assumere il ruolo di leader quando il compito prevede molte interazioni sociali ed è percepito come femminile. In un altro studio, è emersa una tendenza a valutare peggio le donne leader rispetto agli uomini, soprattutto se occupano ruoli maschili, utilizzano uno stile autocratico e il giudizio è espresso da uomini. Le donne sono giudicate invece simili agli uomini quando utilizzano uno stile interpersonale o democratico, quando occupano un ruolo tradizionalmente femminile o non connesso con mansioni maschili o quando il giudizio è espresso da donne. Spesso la valutazione dell'efficacia è collegata alla congruenza tra genere e ruolo: il ruolo definito in termini maschili favorisce i leader uomini, mentre quello descritto in termini femminili favorisce le leader donne. Un altro studio ha confrontato donne e uomini rispetto allo stile trasformazionale: - Le donne sembrano mostrare maggiori comportamenti che motivano i collaboratori, ottimismo ed entusiasmo per gli obiettivi futuri, sembrano impegnarsi per la crescita e lo sviluppo delle capacità dei collaboratori e prestare maggiore attenzione per i loro bisogni individuali - Gli uomini sembrano prestare maggiore attenzione ai problemi e agli errori compiuti dai collaboratori, aspettano che i problemi diventino rilevanti prima di risolverli e non sono presenti e coinvolti personalmente nei momenti critici, di cambiamento e di valutazione dei risultati Cliff, Langton e Aldrich hanno analizzato l'assunto secondo cui il leader d'azienda producono nelle loro imprese culture organizzative ispirate agli stereotipi di genere, riscontrando che il sesso del proprietario non ha effetti pratici sulla gestione organizzativa e sulla relazione con i dipendenti: uomini e donne leader dell'azienda agiscono in modo molto simile, ma tendono a raccontare le proprie attività come se organizzassero e gestissero le aziende in modi diversi, legati a stereotipi di genere, senza però farlo davvero. Differenze stereotipate di genere Uomini e donne si differenziano in modo conforme agli stereotipi di genere, attuando anche stili di leadership differenti. Le caratteristiche stereotipiche associate a uomini e donne sono sia descrittive sia prescrittive: le donne presentano tratti elevati di femminilità, mentre gli uomini sono caratterizzati da tratti di mascolinità. Eagly, Teoria del ruolo sociale: La struttura sociale influenza il sistema di credenze legate al genere: le persone osservano i comportamenti derivanti dai ruoli sociali dei membri di un gruppo e associano le caratteristiche di quel ruolo agli individui che lo occupano: le donne ricoprono tradizionalmente ruoli casalinghi o di livello inferiore, gli uomini ruoli più elevati e legati al sostegno economico della famiglia. Communion: la capacità di un organismo di agire sentendosi parte di un insieme più grande e in sintonia con gli altri organismi. 1. Elaborazione delle informazioni: le informazioni necessarie per trovare una soluzione ottimale superano le risorse cognitive, quindi le persone si accontentano di una quantità di informazioni gestibile, riducendo di conseguenza il numero di alternative da analizzare. Inoltre, le informazioni vengono valutate in modo sequenziale, quindi le soluzioni scartate hanno poche probabilità di essere ripescate successivamente 2. Utilizzo di euristiche: hanno buone probabilità di trovare soluzioni soddisfacenti, ma possono essere fonte di errori 3. Principio della soddisfazione: non sempre ci sono risorse e tempo sufficienti a individuare la soluzione ottimale, quindi il decisore può accontentarsi della prima soluzione soddisfacente, che risponde ai requisiti minimi, interrompendo la fase di valutazione delle alternative Quindi Simon elabora un modello descrittivo che rappresenti il processo decisionale reale e non quello ottimale: 1. Ricognizione del problema: nonostante i segnali, spesso le persone non si accorgono o ignorano la situazione finché non diventa critica 2. Definizione del problema e degli obiettivi: questa fase viene spesso trascurata, e spesso gli effetti vengono scambiati per le cause 3. Definizione dei criteri decisionali: spesso si verificano fraintendimenti e definizioni soggettive dei requisiti minimi delle soluzioni accettabili e del metodo decisionale migliore 4. Generazione delle alternative: attraverso euristiche, oppure usando la creatività 5. Valutazione delle alternative e scelta della soluzione: dipendono dalla chiarezza con cui sono stati definiti gli obiettivi e dal principio di soddisfazione 6. Implementazione della soluzione: le persone che devono realizzare la soluzione devono avere adeguate informazioni e competenze; se hanno partecipato al processo decisionale saranno motivate e consapevoli 7. Valutazione e controllo della decisione: a seconda delle priorità personali e delle influenze esterne, la valutazione può cambiare anche radicalmente, sopravvalutando i risultati o sottovalutando le conseguenze negative Altri modelli di decision making Thompson & Tuden hanno individuato una matrice di quattro modelli decisionali, basata su situazioni di accordo o disaccordo rispetto agli obiettivi da raggiungere (che provoca ambiguità) e al metodo per conseguirli (che determina incertezza). 1. Il caso di accordo (completo o sufficiente) sia sul metodo che sugli obiettivi è uno dei presupposti del modello razionale, la situazione ideale che si vorrebbe sempre raggiungere, senza mai riuscirci del tutto. 2. In caso di accordo sugli obiettivi e disaccordo sui metodi si applica il modello incrementale (o metodo prova/errore): invece di affrontare direttamente una decisione importante, la si scompone in problemi più piccoli da affrontare progressivamente, valutando i risultati e correggendo gli errori di percorso 3. In caso di accordo sui metodi e disaccordo sugli obiettivi si applica il modello politico: poiché ogni decisore cerca il proprio vantaggio, il processo decisionale consiste nella ricerca di un compromesso che soddisfi tutte le coalizioni coinvolte, ridistribuendo il potere e creando un nuovo equilibrio politico nell'organizzazione. In caso di obiettivi contraddittori o inconciliabili, questa modalità può essere l'unica possibile per giungere a una decisione 4. Quando non c'è accordo né sugli obiettivi né sui metodi, si hanno situazioni di massima incertezza e ambiguità (anarchie organizzative), descritte attraverso il modello del cestino della spazzatura (garbage can). Le decisioni sono il risultato dell'interazione tra quattro correnti di eventi indipendenti: a) Problemi: un divario tra la situazione presente e la condizione desiderata; essendo indipendenti dalle soluzioni è possibile che alcuni non vengano mai risolti b) Soluzioni: le idee che scorrono all'interno dell'organizzazione, spesso sono risposte che cercano domande c) Partecipanti: i membri delle organizzazioni, che forniscono al processo decisionale valori, comportamenti ed esperienze diverse d) Opportunità: le occasioni in cui un'organizzazione dovrebbe prendere una decisione; alcune si presentano regolarmente, altre sono il risultato di episodi unici L'interazione tra queste quattro correnti è fortuita e rende le decisioni esito di un incontro casuale anziché un processo razionale: le buone decisioni vengono prese quando le correnti di eventi si incontrano nel momento giusto e con le condizioni giuste Le influenze interne sul processo decisionale 1.Framing effect Principio dell'invarianza: concetto della teoria economica secondo cui, nel processo decisionale, piccole variazioni (relative a caratteristiche irrilevanti delle alternative) non influenzano le preferenze del decisore. Tversky e Kahneman attraverso un esperimento dimostrarono che lo stesso problema: - Proposto in termini di un possibile guadagno, induce le persone a scegliere l'alternativa più sicura evitando i rischi (decisori riluttanti al rischio) - Proposto in termini di una potenziale perdita, induce le persone a prendersi rischi per evitarla (decisori amanti del rischio) Effetto di inquadramento (framing effect): le persone affrontano gli stessi problemi in modo diverso a seconda se questi vengono descritti in termini di possibili guadagni o possibili perdite. 2. Dissonanza decisionale Ogni decisione comporta uno stato di disagio emotivo dato dalla perdita delle caratteristiche positive dell'alternativa scartata e dalle caratteristiche negative della soluzione individuata, provocando ansia e desiderio di cambiare la propria scelta (rammarico): per ridurre la dissonanza, le persone tendono a razionalizzare i dati a disposizione (più frequentemente) o (più raramente) ad ammettere l'errore e modificare la decisione. Le influenze esterne sul processo decisionale Il contesto organizzativo può influenzare la presa di decisioni intervenendo sul processo decisionale (nella fase di raccolta ed elaborazione delle informazioni) o sulla persona. Le influenze sul processo dipendono da: -divisione del lavoro: crea distorsioni e omissioni nella condivisione di informazioni -gerarchia organizzativa: gli individui sono a disagio nello scambiare informazioni con i superiori e tendono a reagire in maniera eccessiva; inoltre la gerarchia filtra i messaggi dal basso verso l'alto, limitando la comunicazione -qualità e accessibilità delle informazioni: spesso l'organizzazione non consente di accedere a tutte le informazioni utili alla decisione da prendere -limiti di tempo: i decisori subiscono pressioni per analizzare e valutare rapidamente le informazioni, con la conseguenza di preferire la velocità della decisione alla sua efficacia -comunicazioni informali: le comunicazioni spontanee sono più veloci dei canali istituzionali ma generano spesso fraintendimenti Le influenze sulla persona possono essere dovute a incapacità “insegnata” (i decisori possono essere stati formati male o superficialmente sul processo di decisione) o a responsabilità limitata (quando i decisori non hanno sufficiente autorità, devono cercare conferme dall'alto rallentando il processo decisionale). Infine, il fenomeno dell'intensificazione dell’impegno (escalation of commitment) è la tendenza a persistere in un corso d’azione nonostante i risultati non solo non siano all’altezza delle aspettative, ma siano invece uno spreco di energie e risorse. Questa distorsione nel processo decisionale si manifesta molto frequentemente, ed è provocata da almeno quattro categorie di fattori: 1. fattori psicologici individuali e sociali: autogiustificazione e difesa della propria immagine, sottovalutazione dei rischi e sopravvalutazione delle probabilità di successo, paraocchi percettivo. 2. fattori organizzativi: deficienze nella comunicazione o fenomeni di inerzia possono far persistere in un corso d'azione sbagliato ignorando o trascurando gli sprechi 3. caratteristiche del progetto: i progetti che prevedono profitti a lungo termine spesso vengono portati a termine comunque, considerando perdite e problemi come temporanei e risolvibili 4. fattori contestuali: pressioni sociali o politiche possono costringere a proseguire in un corso d'azione fallimentare Le decisioni di gruppo Vantaggi di un processo decisionale di gruppo: 1. Qualità della decisione: un gruppo eterogeneo presenta più punti di vista e approcci al problema, e una somma di conoscenze e informazioni superiore al singolo 2. Gestione efficace del tempo: articolando il problema in sottoproblemi, si possono creare dei sottogruppi di analisi, accelerando il processo 3. Accettazione e motivazione: quando il gruppo che prende la decisione è formato dalle stesse persone che dovranno implementarla, si creano coinvolgimento, entusiasmo ed impegno, che aumentano le probabilità di riuscita Svantaggi di un processo decisionale di gruppo: 1. Tempo: quando non è possibile dividersi in sottogruppi che procedono separatamente, i gruppi impiegano più tempo dei singoli 2. Dispersione di risorse: i membri del gruppo vengono sottratti temporaneamente dai rispettivi processi produttivi: per questo motivo affidare la decisione a un gruppo richiede un investimento superiore rispetto al singolo 3. Conflitti: un maggior numero di persone aumenta la probabilità di incomprensioni e dissidi 4. Dominio: uno o più componenti del gruppo possono monopolizzare la discussione impedendo la partecipazione agli altri 5. Conformismo: uno o più membri del gruppo potrebbero conformarsi a decisioni con cui non concordano per timore di essere rifiutati Schein: il gruppo può raggiungere una decisione in sei modi: 1. Decisione per mancanza di risposta: nessuna tra le alternative è soddisfacente per tutti, quindi viene scelto il male minore 2. Decisione per autorità: il leader decide per tutti 3. Decisione della minoranza: una piccola parte del gruppo riesce ad influenzare la discussione e a far prevalere la propria soluzione 4. Decisione della maggioranza: si decide per votazione, con il rischio di creare delle coalizioni (vincitori e vinti) e delle ritorsioni, come sabotare la decisione o non impegnarsi per implementarla 5. Decisione per consenso: il confronto porta a scegliere l'alternativa che rappresenta il miglior compromesso possibile, preferita dalla maggior parte dei componenti ma viene accettata anche dai dissenzienti 6. Decisione all'unanimità: tutti i membri del gruppo sono d'accordo   Alcuni metodi per facilitare la decisione gruppale: 1. Osborn Metodo del brainstorming: prevede gruppi di 4-8 persone gestite da un moderatore, che presenta il problema e chiede ai partecipanti di trovare una soluzione. La fase di creazione delle alternative segue regole precise: parlare a ruota libera (presentare tutte le idee, anche le più bizzarre), divieto di critica, partecipare tutti, prestare attenzione alla quantità (un numero elevato di idee stimola la creatività e permette la sollecitazione reciproca), costruire sulle idee degli altri, scrivere tutte le idee. 2. Schwenk Tecnica dell'avvocato del diavolo: a una persona o a un sottogruppo viene affidato il compito di analizzare criticamente le proposte e le argomentazioni degli altri, cercando di scoprirne debolezze e omissioni. Quando l'avvocato del diavolo presenta la propria analisi, il gruppo cerca di controbattere costruttivamente, rivedendo e modificando le proprie proposte. L'analisi critica si ripete finché entrambe le parti non sono soddisfatte delle proposte e delle relative argomentazioni. Le resistenze di gruppo -Dinamiche legate al potere e ai conflitti: se il cambiamento viene percepito come occasione per dare più potere ad alcuni a discapito di altri, si possono attivare forti resistenze di opposizione e ostruzionismo -Struttura e cultura organizzativa: una struttura organizzativa burocratica e centralizzata risulta più resistente al cambiamento rispetto ad organizzazioni flessibili e decentralizzate. Inoltre se il cambiamento costituisce una minaccia alla conservazione dei valori e delle norme propri della cultura di gruppo può innescare forti resistenze Per gestire adeguatamente le resistenze è necessario individuarne l'origine distinguendo tra manifestazioni e conseguenze, e distinguere le resistenze verso il cambiamento in sé da quelle verso le strategie di attuazione e nei confronti degli attori che lo promuovono e lo attuano. Per minimizzare le resistenze è necessario informare i dipendenti sui possibili vantaggi, cercando di contenere gli svantaggi e rischi percepiti. CAPITOLO 14: LEGGERE E GESTIRE IL CONFLITTO Il tema dei conflitti è stato studiato da prospettive teoriche differenti che hanno generato molteplici punti di vista, non sempre convergenti: - Concezione funzionalista e taylorista-fordista: il conflitto è visto in maniera negativa, come una deviazione pericolosa e un fatto nocivo con conseguenze distruttive.Il conflitto nasce da qualcosa che non ha funzionato, turba l'armonia e lo stato naturale dell’organizzazione, e deve quindi essere evitato, rimosso o risolto nel minor tempo possibile - Concezione interazionista: il conflitto è un fenomeno naturale, che non va evitato ma accettato, e va gestito massimizzando i benefici per l'organizzazione, prefigurando anche conseguenze positive e sollecitandone l'esplicitazione in situazioni in cui non emerge - Concezione culturale: il conflitto è una condizione strutturale dell'organizzazione, concepita come un insieme articolato in condizione naturale di conflitto dinamico. - Concezione del conflitto secondo il paradigma della complessità: il conflitto è determinante per raggiungere gli obiettivi nei sistemi complessi e per favorire e stimolare la creatività e il cambiamento grazie alla sua funzione non solo distruttiva ma anche costruttiva di catalizzazione di energia Alcuni elementi sono ricorrenti nelle diverse analisi del conflitto: -Percezione del conflitto: le origini del conflitto possono essere reali o immaginarie e incidono sulle persone coinvolte nel processo. -Dimensione relazionale: il conflitto esiste nell'interazione tra due o più parti o agenti - Minacce per il sé: le parti in conflitto devono reputare minacciose e destabilizzanti le visioni del mondo altrui rispetto alle proprie: il conflitto può essere anche il punto di partenza per la riconciliazione delle differenze -Densità emotiva: il conflitto mobilita consistenti risonanze emotive e affettive, di diversa tonalità e connotazione Modelli strutturali e modelli processuali I modelli strutturali analizzano le caratteristiche e le condizioni stabili del contesto organizzativo che influenzano e favoriscono le dinamiche conflittuali. Thomas le variabili strutturali possono essere raggruppate in 4 categorie: 1. Predisposizioni comportamentali 2. Pressioni sociali 3. Struttura degli incentivi 4. Ruoli e procedure Altri fattori istituzionali e organizzativi che possono facilitare o ostacolare l'insorgenza di conflitti sono il grado di interdipendenza, il bisogno di consenso, le differenze di status e l'ambiguità nelle responsabilità, specializzazione e differenziazione. I modelli processuali teorizzano che il conflitto sia un processo che si sviluppa secondo specifiche fasi: latenza, riconoscimento (non sempre il conflitto latente viene percepito), percezione emozionale, manifestazione aperta (fase comportamentale), conseguenze (gestione, esitamento, condizioni per l'emergere di nuovi conflitti). I livelli del conflitto Tassonomia di Rahi -Conflitti intrapersonali: nascono dal contrasto tra le richieste organizzative e le caratteristiche individuali del soggetto e possono assumere tre forme: 1. Conflitto tra persona e ruolo 2. Conflitto intrinseco all'emissione: alla persona viene richiesto di ricoprire due ruoli contraddittori 3. Conflitto tra emissioni: la persona riveste più ruoli le cui richieste sono reciprocamente incompatibili -Conflitti intragruppo: tra membri che appartengono allo stesso gruppo di lavoro -Conflitti intergruppi: tra diversi gruppi di lavoro entro la stessa organizzazione   Tassonomia di Ferrari: -Conflitto intrapsichico: strettamente connesso al concetto di sé, comprende anche il conflitto generato dalle reciproche aspettative relative all'attività di ruolo -Conflitto interpersonale: coinvolge due o più parti a causa di differenze individuali, di status, ambiguità nella suddivisione dei ruoli, valutazione delle prestazioni e così via. I conflitti a questo livello possono essere produttivi e creare soluzioni efficaci ma anche stress, infelicità e grave disagio -Conflitto nei gruppi di lavoro: conflitto strutturale permanente tra esigenze dei membri e del gruppo, entrambi interessati ad ottenere i massimi risultati col minimo sforzo -Conflitto Intergruppi: tra diversi gruppi di lavoro entro la stessa organizzazione, si crea quando le istanze individuali passano in secondo piano rispetto alle identità sociali Oggetto del conflitto Una categorizzazione recente distingue tra task conflict e relationship conflict, ossia se il conflitto riguarda questioni legate al lavoro o questioni relazionali e socio emozionali. Secondo alcuni studiosi, il conflitto relazionale interferisce con i compiti di performance, mentre il conflitto task spinge le persone a considerare diverse prospettive e soluzioni dei problemi, previene il raggiungimento di un consenso prematuro e può quindi aumentare la qualità del processo decisionale e l'efficacia personale e di gruppo. Il conflitto e la vita organizzativa Alcuni ricercatori ritengono che esista una relazione curvilineare tra conflitto e performance organizzativa, e tra conflitto ed autoefficacia: un certo livello di conflitto sarebbe funzionale, mentre una sua presenza insufficiente o eccessiva provocherebbe effetti negativi. De Dreu e Weingart hanno evidenziato una correlazione tra conflitto e soddisfazione lavorativa, anche se non ne è chiara la natura e la direzione. Secondo gli autori si tratta di un circolo ricorsivo in cui le due dimensioni si influenzano a vicenda, e sembra ragionevole ipotizzare la presenza di un ruolo di mediazione provocato dalle differenze individuali. Secondo altre ricerche, il livello di benessere/malessere lavorativo e della connessa soddisfazione sono sia cause che esito del conflitto: a certi livelli esso evocherebbe emozioni come rabbia, disgusto, paura, minaccia all'autostima fino a deteriorare il clima lavorativo; un prolungarsi nel tempo della situazione conflittuale e l'acuirsi della sua intensità produrrebbero esiti di grave stress lavoro correlato fino al burnout. Riassumendo: -Un esasperato conflitto sul lavoro riduce la soddisfazione lavorativa, la salute e il benessere, specialmente quando riguarda questioni connesse alla relazione -Gli effetti negativi del conflitto si riducono quando viene gestito attraverso problem solving e si rafforzano quando viene gestito con evitamento e inazione -Le variabili individuali e situazionali moderano la relazione tra conflitto e salute influenzando le strategie di coping che le persone adottano La cultura organizzativa del conflitto determina come i contrasti vengono visti e valutati, e quali strategie di gestione sono ritenute adeguate o meno: in alcune rappresentazioni il conflitto è visto come funzionalmente correlato al compito, quindi il dibattito aperto e il confronto anche acceso sui problemi sono considerati strategie appropriate di gestione, mentre in altre il conflitto è visto come minaccioso per l'identità personale, quindi vengono ritenute adeguate strategie come l'inattività, l'evitamento e altre forme di ritiro. La cultura organizzativa infine media le relazioni fra il tipo di conflitto e le reazioni affettive dei lavoratori: in organizzazioni altamente orientate al risultato i potenziali effetti negativi del conflitto sul compito vengono mitigati, mentre in organizzazioni orientate al servizio viene rinforzata la valenza minacciosa del conflitto relazionale. CAPITOLO 16: LE EMOZIONI NELLA VITA ORGANIZZATIVA A tutt'oggi, non esiste una definizione univoca di emozione, né di ciò che la costituisce. Affetto (affect): utilizzato in letteratura come sinonimo di sentimento o di emozione, è un termine generico che include le emozioni. Emozione (emotion): stato affettivo intenso e di breve durata, associato a una causa interna o esterna al soggetto (situazioni o persone, presenti, passate o future). Le emozioni sono dinamiche, hanno una natura incerta, ambivalente, diverse intensità, sono spesso intrecciate fra loro e sono accompagnate da modificazioni fisiologiche, espressioni facciali e comportamenti caratteristici differenti a seconda di ciò che si prova e della situazione sociale in cui ci si trova. Sentimento (feeling): secondo Fineman l'elemento più soggettivo di ciò che proviamo, ossia ciò che sentiamo in maniera autentica e intima, mentre le emozioni sono ciò che mostriamo, che rendiamo visibile dei nostri sentimenti (displayed feature). La prospettiva psicodinamica non tiene conto di questa distinzione, usando i termini emozione e sentimento come intercambiabili. Secondo altri autori i sentimenti sono sensazioni personali che diventano emozioni quando sono vissuti in situazioni sociali, secondo regole e norme predeterminate. Infine, secondo altri, la distinzione a che fare con l'intensità e la durata: le emozioni sono più intense e durature, i sentimenti lo sono meno. Umore (mood): stato affettivo di minore intensità e maggiore durata rispetto alle emozioni. Alcune persone sono di umore stabile, altre sperimentano cambiamenti repentini nei loro sentimenti e stati d'animo. Trama emozionale (emotional texture): le emozioni non sono entità distinte e separate, ma sono dinamiche, intrecciate e continuamente mutevoli; non si presentano in maniera discreta o polarizzata, ma secondo una complessa, sottile, fragile, caotica e confusa tessitura. Le organizzazioni come arene emotive Secondo Fineman la cultura occidentale ha diffidato e sospettato dell'espressione di emozioni e sentimenti, considerati un disturbo per l'efficienza organizzativa. Weber afferma che la burocrazia è tanto migliore quanto più si deumanizza, ossia quanto più riesce a escludere tutti gli elementi affettivi, personali, generalmente irrazionali e non calcolabili, dagli affari d'ufficio. Fineman: le organizzazioni sono arene emotive in cui le emozioni degli individui danno forma ad azioni e decisioni, e viceversa azioni e decisioni modellano le emozioni. Nei luoghi di lavoro le circostanze organizzative possono essere costellate da ingiurie, violenze verbali, discriminazioni sessuali e razziali che provocano ferite profonde agli individui. Sentimenti, emozioni e fantasie che caratterizzano il mondo del lavoro non sono semplici sottoprodotti della vita organizzativa ma ne costituiscono parte integrante, e i processi di lavoro influenzano profondamente emozioni, sentimenti e fantasie degli individui. L'approccio psicodinamico
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