Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto Psicologia delle organizzazioni”, Appunti di Psicologia del Lavoro

Riassunto psicologia delle organizzazioni

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 21/04/2024

Lucrezia.amato
Lucrezia.amato 🇮🇹

17 documenti

1 / 20

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto Psicologia delle organizzazioni” e più Appunti in PDF di Psicologia del Lavoro solo su Docsity! PSICOLOGIA DELLE ORGANIZZAZIONI Capitolo 1: Sviluppo della disciplina La parola organizzazione viene generalmente usata in una doppia accezione: • Comunemente,il termine descrive il contesto che produce ed esprime certe attività es:“L’università italiana è un’organizzazione poco aperta al confronto etc..”); nello specifico, indica una determinata categoria di enti sociali fondati sulla divisione del lavoro e delle competenze (imprese, amministrazioni, partiti politici, associazioni culturali ,religiose, etc.); • Il termine descrive anche le forme delle stesse attività riferibili ad un dato contesto (es: “L’organizzazione del seminario universitario non era adeguata”), ossia le varie parti o componenti di un ente dinamicamente connesse e coordinate tra di loro (si parla per esempio di organizzazione domestica, della vita quotidiana, di un viaggio, una festa). La psicologia dell’organizzazione si è delineata solo a partire dalla seconda metà del Novecento, a seguito della Rivoluzione Industriale, che alimentò l’interesse verso la comprensione dei processi psicologici alla base del lavoro e delle persone, con le loro caratteristiche peculiari, motivazioni e vincoli. Così, in Europa e in America nacquero associazioni del lavoro e delle organizzazioni, grazie anche agli studi sul rendimento degli studenti, sui soldati e sui lavoratori in fabbrica, effettuati da Binet, Simon, Mayo. L’interesse si sposta sul peso della variabile-uomo rispetto al sistema e sui comportamenti dei soggetti, per descrivere l’effettiva presenza organizzativa dei singoli. Da diversi anni il mercato del lavoro globale è in continua evoluzione, l’aumento delle forme contrattuali atipiche ha generato un nuovo senso di precarietà, che inevitabilmente influenza il comportamento organizzativo dei lavoratori così come anche la sfera personale, generando sensazioni di disinteresse per il lavoro attuale, sfiducia nel futuro e stati emotivi negativi nella vita quotidiana. Da questi nuovi scenari derivano effetti di grande rilevanza per la psicologia delle organizzazioni, che deve ora integrare i nuovi aspetti finanziari (cfr sostenibilità del continuo sviluppo competitivo), tecnologici e culturali (cfr globalizzazione, apertura dei mercati), con le conseguenze psicologiche che essi portano sui lavoratori. Le organizzazioni sono continuamente minacciate dall’instabilità del mercato, dalla richiesta di rapidi cambiamenti e dall’assoluta volatilità della domanda dei clienti, che portano in luce come i fattori di successo in questo quadro di incertezza dipendono quasi esclusivamente proprio dagli uomini: si parla di capitale sociale, cioè il patrimonio in termini di relazioni di fiducia, interpersonali e funzionali al raggiungimento di obiettivi comuni. Capitolo 2: Comunicare e organizzare Un’organizzazione non è altro che un intreccio di rapporti tra persone che si passano informazioni e si scambiano messaggi, ossia una rete di comunicazione. Nell’analisi della comunicazione nelle organizzazioni è importante focalizzarsi su quei processi che si svolgono al suo interno, che si manifestano con regolarità e intenzionalità: questi processi si declinano nel tempo, gli attori e gli enti che vi partecipano hanno una collocazione variabile rispetto ai suoi contorni e la influenzano inevitabilmente con i loro vissuti soggettivi. Il comunicare, in quanto passaggio di significati, comporta sempre una relazione costitutiva. Questa dipende da: • I partecipanti: se ci si rivolge al singolo, ad un ente o alla collettività; • Dalle gerarchie tra questi: percorsi top down dal capo ai dipendenti o viceversa, bottom up • Dalle finalità della comunicazione: influenzare l’azione in modo diretto o esplicito oppure ribadire significati che caratterizzano un certo ente in funzione di un’azione successiva • Dagli strument che impiegano: strumenti diretti che connotano situazioni “in presenza”, o strumenti indiretti ossia mezzi e tecnologie che propagano il messaggio e lo rendono disponibile in tempi e luoghi più lontani dal momento della produzione; • Dal contesto: conoscenze e significati che mittente e ricevente hanno in comune. Incrociando i vari tipi di partecipanti da un lato e il loro ruolo come emittenti o destinatari della comunicazione, è possibile determinare dei circuiti fondamentali che costituiscono l’ambito della comunicazione aziendale: • Circuito A – da singole persone a singole persone: comunicazione interpersonale (es: capo- dipendente, medico-paziente), sempre bidirezionale, utilizzo di tecnologie uno ad uno; 1 • Circuito B – da singole persone a pubblico esterno: da uno a molti, come un relatore ad una comunità scientifica. Gli esempi più comuni sono convegni, conventions e simili. Moderatamente bidirezionale, usa tecnologie come e-mail e blog; • Circuito C – da enti interni a singole persone: comunicazione di raccordo, in entrata o in uscita. (Es: paziente che prenota intervento al CUP o ospedale che dimette il paziente. In quel momento l’addetto dell’ospedale rappresenta l’ente a cui appartiene.) Circuito tra ente (emittente) e una persona (ricevente). Nella comunicazione di raccordo in ingresso, è bene fare attenzione al contesto in quanto questo può essere nuovo per il ricevente: emittente attua azioni di contenimento, (prevedere richieste, attese e bisogni), accoglienza (cliente entra fisicamente in rapporto con l’ente e viene riconosciuto come tale) e contrattuali (stipulazione di un patto). In questo circuito è importante che l’ambiente comunichi attraverso: gli arredi e i dispositivi informativi, il contatto con i clienti e il passaggio delle informazioni, il mantenimento del contatto nel tempo, la personalizzazione del rapporto con il cliente (si parla di Customer Related Management e profiling). Computer e strumenti informatici come i social sono di grande aiuto per questo compito (cfr analisi dei Big Data), ma spesso sono anche gli stessi utenti che forniscono le informazioni autonomamente (cfr condivisioni sui social network). La comunicazione di raccordo persegue l’obiettivo di garantire la fidelizzazione della clientela e di massimizzare la qualità della relazione con il cliente. • Circuito D – da ente interno ad ente interno: solitamente monodirezionale ed usa svariate tecnologie. Il processo che caratterizza questo circuito è noto come comunicazione interna: è mediante essa che all’interno dell’organizzazione, i significati vengono trasferiti e costruiti tra gli attori, a seconda della rilevanza che ha per loro l’organizzazione (interesse, appartenenza, coinvolgimento, commitment), strettamente correlata alla posizione gerarchica che occupano all’interno di questa (cfr motivazione gerarchica). La gerarchia, oltre che manifestazione del potere, influenza anche la comunicazione: coloro che stanno più vicini al vertice avranno canali di comunicazione privilegiati e direttamente esclusivi ai capi, per esempio. Appartenere ad un’organizzazione significa far parte di una “grande famiglia”, con la quale spesso non è possibile avere comunicazioni dirette: è così che nascono i grandi appuntamenti per gli auguri di fine anno o per celebrare risultati importanti, i meeting, le conventions, le newsletter, etc. per cui accanto ai tecnici tradizionali, compaiono nuove figure come esperti di marketing, di pubbliche relazioni. La comunicazione in questo caso serve a sottolineare identità, permanenza e a rafforzare i significati connessi alle prestazioni: si parla di motivazione professionale, e comporta un modo di comunicare diverso, sia per media utilizzati, sia per linguaggio usato (professionale) con l’esigenza di mantenere vivi i contatti. Importante, in questo caso è il sistema di circolazione dell’innovazione che aiuta ad assottigliare le barriere tra mondo esterno e mondo interno; • Circuito E – da ente interno ad ente esterno: conosciuto come business-to-business, può essere bidirezionale e si serve di un’ampia gamma di media; • Circuito F – da ente interno a pubblico esterno: è il circuito della pubblicità, della promozione, del marketing sociale. La comunicazione esterna è la comunicazione finalizzata a promuovere sul mercato i beni dell’organizzazione per sostenerne l’attività, rivolta essenzialmente al cliente/utente, per accrescerne il numero e sollecitarne il comportamento di acquisto/fruizione del prodotto/servizio. Questo tipo di comunicazione richiede competenze altamente specialistiche e si configura come un’attività strategica nella regolazione dello scambio di domanda e offerta, nella progettazione del messaggio, nella scelta dei destinatari e dei canali di diffusione. Fondamentale è la cura dell’immagine del prodotto promosso e dell’organizzazione, ed una conversazione seduttiva per convincere i destinatari a mettere in atto un certo comportamento (circuito seduttivo). • Circuito G – da pubblico esterno ad ente interno: comunicazione di accesso, dà voce ai pubblici verso gli enti ed è solitamente associato a comunicazioni di servizio, gestione delle lamentele, customer satisfaction, la raccolta di dati, che impegnano le organizzazioni a dotarsi di percorsi di comunicazione “dal basso verso l’alto” e di mettere al corrente dei propri diritti consumatori/utenti/cittadini. È un circuito normalmente mediato da tecnologie, tra cui questionari, call center, numeri dedicati. Dal punto di vista della comunicazione organizzativa le parti sono invertite: ora è l’organizzazione (ricevente) a porsi in ascolto con il pubblico (emittente). Capitolo 3: L’organizzazione come cultura All’inizio degli anni 80 si cominciò a guardare all’organizzazione come ad una cultura organizzatva: queste erano ritenute forme espressive, ossia insieme di significati condivisi e socialmente costruiti all’interno di sistemi strutturati di simboli, che condizionano comportamenti, pensieri, emozioni, linguaggio dei soggetti, e più in generale, la vita organizzativa. L’avvento delle aziende giapponesi che avevano costruito il loro 2 Capitolo 5: Genere e organizzazione I concetti e le pratiche utilizzati nelle organizzazioni sono gendered, ossia connotate dal punto di vista del genere e attraversate da questioni di genere (cfr gender studies). La conciliazione tra lavoro/casa/famiglia è una delle cause maggiori per la discriminazione femminile a lavoro: la necessità di essere presenti in famiglia impedirebbe l’assunzione di alti livelli di responsabilità in ambito professionale, per cui viene ostacolato il raggiungimento di livelli più alti di carriera (discriminazione verticale); inoltre, le donne vengono considerate adatte soltanto per alcuni ruoli (discriminazione orizzontale), e sono così relegate esclusivamente a certi tipi di professione. Questi due fenomeni sono espressi come fenomeno del soffitto di vetro. Il concetto di genere è separato dalla sessualità biologica, non si può infatti dare per scontata l’identità di genere a partire dall’appartenenza biologica ad un determinato sesso: il genere è determinato da aspetti sociali e culturali legati al contesto di riferimento, esiste perciò una pluralità di modelli di genere. All’interno dei contesti di lavoro si riproducono dinamiche di potere e subordinazione, insieme a quelle di discriminazione, attraverso il linguaggio, i comportamenti, l’abbigliamento, l’identificazione di competenze maschili e femminili. Tre sono gli approcci che spiegano la discriminazione nei confronti delle donne: • Approccio biologico: individua cause di tipo evolutivo e fisiologico (differenze morfologiche del cervello, comportamentali, fisiche) per la disuguaglianza di genere nel lavoro e nella società; • Approccio socioculturale: il sesso è la base per l’attribuzione dei ruoli di genere, ma è attraverso costrutti sociali e culturali, in famiglia e nella società, che il corpo assume il “ruolo” di uomo o donna, che vengono poi trasferiti alla sfera lavorativa (cfr teoria dell’apprendimento sociale di Bandura che mostra come comportamenti di genere sono imitati, appresi e rinforzati fin dalla tenera età). Il linguaggio organizzativo maschile è prevalentemente agentic, caratterizzato da verbi d’azione, contro il linguaggio communal, relazionale, delle donne; • Approccio psicoanalitco: Freud propose una teoria di genere basata sullo sviluppo dell’identità sessuale maschile, generato dalla paura della castrazione e che culmina col complesso edipico, e femminile, caratterizzato dalla mancanza del pene che porta a passività e debolezza morale. È la percezione della mancanza che determinerebbe modalità diverse, maschili e femminili, di esperire i contesti organizzativi. Gli uomini incapaci di perdere il potere e lottano per mantenerlo, le donne prive di qualità tipicamente maschili necessarie per avere ruoli di responsabilità, specializzate nel dare cura, supporto e ascolto, a cui si prospettano due possibilità: adeguarsi ai limitati ruoli assegnati loro per dedicarsi alla famiglia o concentrarsi sulla carriera a scapito degli affetti. Tre sono state le principali fasi dei gender studies nell’ambito della psicologia delle organizzazioni: • Il genere invisibile: fino agli anni 60 del secolo scorso, la relazione tra uomo e donna nei contesti di lavoro era un non-problema. Nessuno si chiedeva il perché dell’assenza delle donne al lavoro, rendendolo quindi un genere invisibile per la società, e veniva perciò accettata acriticamente la cultura organizzativa maschile come norma; • Il riconoscimento della differenza: intorno agli anni 70-80 del 20° secolo, si inizia a prendere coscienza del progressivo aumento delle donne nei contesti organizzativi (per via delle guerre, la forza lavoro maschile era notevolmente diminuita) e della nuova risorsa che costituiscono. Le donne prendono consapevolezza della discriminazione e rivendicano pari diritti, opportunità e trattamenti. • Teoria queer: la fase più recente, la queer theory, che ha profondamente cambiato il modo di guardare al genere. Questa teoria esalta le variazioni e la frammentazione del genere: si decostruisce il concetto di genere come mera separazione tra uomo o donna, e viene invece portata l’attenzione sul linguaggio. È il linguaggio, per Butler, che descrive il soggetto e il relativo genere, e che produce la prima vera costruzione di genere: dal momento in cui un bambino viene annunciato come maschio o femmina alla nascita, questo seguirà norme e vie predefinite di comportarsi secondo il suo genere, reiterate continuamente in primo luogo dal linguaggio. L’eteronormatività disciplina le società e anche le organizzazioni, riproducendo il genere come sistema binario asimmetrico in cui il maschile è sovraordinato e opposto al femminile. Capitolo 6: Le risorse personali e la loro espressione nel contesto organizzatvo A partire dagli anni 80, c’è stata una fase di espansione della “società del benessere” che ha portato nuovo interesse sulla relazione tra organizzazione e contesto. Lo studio delle risorse personali nel contesto organizzativo si sviluppa grazie alla nascita della psicologia positva, prospettiva che si focalizza sulle determinanti positive del comportamento e dell'esperienza umana, per promuovere la condizione del benessere e le attività formative. 5 Le risorse personali, infatti, sono aspetti del sé collegati alla capacità di adattamento e alla percezione delle proprie capacità di esercitare un controllo e impattare sul proprio ambiente; permettono, quindi, di fronteggiare lo stress ma anche di raggiungere i propri obiettivi. Esse concorrono a determinare il potenziale psicologico, costituendo sia un bagaglio individuale, che un patrimonio per l'organizzazione, coltivabile e sviluppabile. Per condurre con successo la propria carriera professionale è determinante promuovere e valorizzare le proprie capacità, con l'esercizio dell'AGENTICITÀ: ossia la capacità dell’individuo di agire, su sé stesso e sul contesto attuale attraverso dei processi cognitivi che gli permettono di esercitare un maggiore controllo sui propri pensieri, sulle motivazioni e sulle emozioni. Entrano in gioco anche vincoli esterni, intraindividuali, ambientali e comportamentali, che possono facilitarne o ostacolarne le intenzioni. La proattività rappresenta oggi una preziosa risorsa in ambito lavorativo, che facilita sia la crescita professionale e individuale: aiuta l'individuo a interpretare il contesto attuale, al fine di comprendere le opportunità e i vincoli per i cambiamenti. Bandura individua 5 capacità agentiche a sostegno dell'esercizio dell'agenticità: • Simbolizzazione: tradurre la propria esperienza e conoscenza in rappresentazioni cognitive, consente di collegare informazioni ad eventi diversi. È la base per le altre 4 capacità; • Antcipazione: prefigurare scenari e azioni future, prevedere le conseguenze delle proprie azioni, crearsi aspettative e pianificare attività, porsi obiettivi (goal setting); • Autoregolazione: governare la propria condotta in modo autonomo, gestendo motivazioni, emozioni e comportamenti. • Autoriflessione: sul proprio operato, confrontando le conseguenze ed i risultati delle proprie azioni con un termine di paragone o in base agli obiettivi prescelti. Rafforza le proprie competenze; • Apprendimento vicario, la capacità di apprendere atteggiamenti, valori e competenze dalle azioni altrui, assimilarle e riprodurle. Importante, su questo sfondo, è il costrutto di capitale psicologico, ovvero il potenziale naturale che possiede l'individuo di riuscire a realizzarsi personalmente e professionalmente. Il capitale psicologico è strettamente legato al concetto di autoefficacia, ovvero tutte le convinzioni che le persone hanno circa le proprie capacità di organizzare ed eseguire le azioni necessarie per produrre determinati risultati in un particolare contesto. L’essere convinti di potercela fare (efficacia personale) porta le persone ad impegnarsi e a massimizzare l’effettiva probabilità di avere successo. L’efficacia personale è malleabile e può essere accresciuta in quattro modi: • Esperienza diretta: attraverso cui la persona sviluppa fiducia nelle proprie capacità; • Esperienza vicaria: in modo indiretto, osservando un individuo che funge da modello; • Persuasione verbale: modifica le proprie convinzioni di efficacia, attraverso parole di supporto date da persone esperte; • Controllo e decodifica delle tensioni: interpretare alcuni segnali in modo meno catastrofico e più funzionale al raggiungimento dei propri obiettivi. Il concetto di determinazione, invece, è basato sull’interazione tra agenticità, obiettivi posti e i percorsi che scegliamo per perseguire i nostri obiettivi. È una spinta interna dell'individuo che lo sprona a raggiungere i propri obiettivi, mantenendo costante l'impegno e generando strategie alternative di condotta. Nei contesti organizzativi, è ovviamente associata ad esiti positivi, in quanto migliora la pianificazione e la verifica dei possibili sviluppi delle strategie adottate. L'ottimismo è un altro fattore fondamentale: un’aspettatva positva orientata al futuro, un vero e proprio modo di percepire sé stessi e le circostanze in cui si opera, attribuendo gli eventi positivi a cause interne e permanenti, e quelli negativi a fattori esterni e passeggeri. È un costrutto di carattere dinamico e malleabile che può essere sviluppato lavorando sull'accettazione dei fallimenti del passato, sull'apprezzamento per il presente e sulla ricerca di opportunità di crescita e di progresso per il futuro. In ultimo, la resilienza, ossia la capacità di fronteggiare gli eventi stressanti e le difficoltà, considerandole come occasione di rilancio e di sviluppo, adattandosi e riorganizzando in modo positivo la propria vita e le proprie risorse. Per sviluppare questa capacità, si potrebbero utilizzare: • strategie focalizzate sul rischio, che consistono nella riduzione dei fattori esterni che possono aumentare la probabilità di esiti indesiderati; • strategie focalizzate sulle risorse, che rinforzano gli elementi contestuali che rendono più probabili gli esiti desiderati; • strategie focalizzate sul processo, che mobilitano un sistema di adattamento necessario per utilizzare le risorse individuali e contestuali che servono ad affrontare al meglio i fattori di rischio. 6 Capitolo 7: I climi organizzatvi Il clima organizzativo, chiamato anche “clima interno” o “clima aziendale” è un tema che è stato oggetto di studio a partire dalla metà degli anni ’60. Lewin propose il termine “atmosfera sociale” per descrivere la nozione di clima organizzatvo: il clima può essere considerato come un insieme di percezioni condivise e correlate tra loro relative alla realtà lavorativa/organizzativa, cioè il modo in cui i soggetti percepiscono e interpretano l’azienda e le sue caratteristiche. È la sintesi di vari fattori quali per esempio le rappresentazioni soggettive, le mappe cognitive di ogni persona coinvolta, le percezioni individuali, le interazioni tra i soggetti, il contesto organizzativo e la cultura presente. Il clima identifica una caratteristica non strutturale o “soft” delle organizzazioni, contrapposta a quelle strutturali o “hard”. • L’approccio strutturale: secondo questo approccio, il clima è una caratteristica dell'organizzazione che esiste indipendentemente dai membri e dalle loro percezioni e che dà luogo a percezioni comuni dei membri di una stessa organizzazione. Il clima viene definito come un set di caratteristche, oppure un aggregato di aspettative ed incentivi, o ancora un processo psicologico determinato dalla situazione esterna. Questo approccio non spiega l’impatto che le variabili strutturali hanno sul singolo, né l’esistenza di diversi climi all’interno della stessa organizzazione; • L’approccio percettivo: secondo questo approccio, il clima si origina all’interno dell’individuo. Il soggetto percepisce e interpreta il contesto organizzativo e crea una sua rappresentazione psicologica del clima, in base alla struttura e ai processi che caratterizzano l'organizzazione, tra cui le comunicazioni, la leadership, le modalità del processo decisionale, ecc. Alcuni parlano infatti di clima psicologico, ossia la percezione dell’individuo del clima organizzativo; • L’approccio interattivo: l’assunto di base di questo approccio è che gli individui, posti all'interno di una specifica situazione, interagiscono gli uni con gli altri dando luogo a percezioni condivise che, evolvendosi nel tempo, danno origine al clima. Alla base di ciò, c’è il concetto di intersoggettività e di interazionismo simbolico: Il clima diventa un atteggiamento collettivo prodotto continuamente attraverso le interazioni fra membri e la negoziazione di significati; • L’approccio culturale: pone al centro il ruolo della cultura nella formazione dei processi che producono il clima. La cultura è un insieme di significati condivisi dai membri del gruppo, è alla base delle relazioni sociali e serve agli individui per interpretare le loro esperienze e guidare i loro comportamenti. Clima e cultura sono entrambi appresi attraverso socializzazione e interazione simbolica tra i membri, tuttavia, posseggono anche delle differenze: • il clima è mutevole, la cultura è stabile • il clima influenza atteggiamenti e valori, mentre la cultura influenza ideologia e filosofia; • il clima è frutto di variazioni interne e/o esterne e intessuto nelle forme di cultura; • il clima si esprime nei gesti, la cultura è implicita e percepita nell’aria. Nell’ultimo decennio si è abbandonata l’idea di un clima unico e soggettivo e si parla piuttosto di clima collettivo: un’aggregazione delle percezioni soggettive in unità più grandi che si riferiscono a diversi gruppi e diversi ambiti organizzativi. Attualmente si parla di climi al plurale, indagando la relazione tra questi ed altri fattori come motivazione, creatività, sicurezza; la variabile del clima più indagata è sicuramente la soddisfazione lavorativa. Effettuare un’analisi del clima organizzativo significa indagare e negoziare le aspettative che i membri hanno nei confronti dell’organizzazione e i significati che le attribuiscono: la negoziazione delle aspettative porta ad un’ottima politica e alla gestione del personale. L’acton research è un processo di ricerca che mira ad un cambiamento, iniziando dalla diagnosi del clima, in cui si analizza continuamente la situazione, promuovendo miglioramento e coinvolgimento. Gli strumenti per la misura del clima si dividono in due tipologie: • strumenti tailor-made – fatti su misura, predisposti per indagare lo specifico contesto organizzativo oggetto di indagine, risultando perciò estremamente calzante; strumenti ready-made - forniscono informazioni utili per capire la reale situazione climatica di un’organizzazione, e consentono di effettuare analisi interorganizzative facendo riferimento a parametri, condizioni e statistiche nazionali. I principali strumenti più utilizzati per la misura del clima sono questionari, scale e misurazioni mirate a valutare gli ambienti di lavoro (LSOCQ, Work Environment Scale, Organizational Climate Measure, Majer D’Amato Organizational Questionnaire): L’analisi del clima è costituita da varie fasi: • le precondizioni: le ragioni reali che spingono i vertici a richiedere una diagnosi del clima. Alcuni benefici consistono nell’ottenere informazioni precise sulla propria organizzazione, razionalizzare i problemi, stimolare i singoli a prendere consapevolezza dei propri vissuti individuali, affrontare al meglio i cambiamenti, attivare aspettative. I rischi sono il contribuire a tensioni latenti, creare resistenze da chi non voleva la ricerca, generare frustrazione e sfiducia se gli obiettivi di miglioramento non vengono raggiunti; 7 chiamato anche approccio del “grande uomo”, ossia lealtà, popolarità, socialità, determinazione, autostima, mascolinità e dominanza. Si passò poi a studiare il comportamento del leader nel gruppo e come questo potesse influenzarne i suoi membri. Lewin identifica 3 stili: • Autocratco: leader che centralizza l’autorità, dirige attraverso potere e controllo; • Democratico: delega l‘autorità agli altri, incoraggia partecipazione, collaborazione e fiducia negli altri membri; • Laissez-faire: leader passivo, evita di agire, limita le sue azioni solo quando è strettamente necessario. Esiste inoltre un’ulteriore suddivisione tra leader orientati alla produzione e alla realizzazione del compito (comunicazione unidirezionale), e leader più orientati alle persone e alla qualità delle relazioni tra membri (comunicazione bidirezionale). Numerose sono le variabili situazionali che possono influenzare la leadership: tra queste la dimensione del gruppo, il livello di preparazione dei membri, le tempistiche. La maturità dei collaboratori è determinante per la situazione: ai collaboratori con un alto livello di maturità, il leader può delegare richieste e decisioni relative al compito. House denominò il suo modello path-goal theory ̧ che tenta di individuare alcune caratteristiche situazionali della leadership, mostrando come il comportamento del leader possa influenzare la prestazione e la soddisfazione dei followers. In questa prospettiva, il leader è considerato responsabile della soddisfazione percepita e dei livelli di motivazione dei membri e deve quindi tener conto sia di aspetti legati al contesto, sia ad aspetti relazionali mentre fornisce una guida per la realizzazione del compito. La teoria leader-member exchange invece, si concentra sulla relazione diadica tra leader ed ogni singolo membro e gli effetti che questa relazione personale ha sul compito: lo scambio relazionale tra leader e followers migliora soddisfazione lavorativa, prestazione e riduce il turn-over. Mentre la leadership transazionale utilizza sistemi di ricompensa contingente per mantenere la relazione dei collaboratori, la leadership trasformazionale mira ad un vero e proprio cambiamento: leader visionari ed ispirati, veicolano con passione i loro messaggi ai membri, generando un autentico cambiamento individuale e intellettuale, che li porta ad aderire sinceramente alla stessa missione del leader, migliorando i livelli di motivazione, fiducia, ispirazione, comunità. Nel tempo, si è passati da una visione strategico-manipolativa della leadership, in cui la relazione è sempre al servizio del raggiungimento degli obiettivi e i followers sono l'elemento debole, verso una teoria più matura, che pensa all'azione del leader in termini di consapevolezza, sviluppo, sostegno, apprendimento e crescita dei followers. Studi più recenti hanno individuato altre tipologie di leadership: • Leadership empowering: passaggio da una logica di lavoro improntata al controllo, a una prassi delle relazioni ispirata all’empowerment (potenziamento). Il leader deve condividere il potere, promuovere la partecipazione e la creatività e non penalizzare l’errore, trasformandolo in un'opportunità di cambiamento; • Team leadership: il leader deve riconoscere i bisogni individuali e di gruppo, identificare i punti di forza del team, consolidare la fiducia, delegare e condividere responsabilità e ispirare il proprio team; • Leadership autentica: I punti essenziali di questa leadership sono anzitutto l’autoconsapevolezza e l’autoregolazione del leader. A differenza della leadership trasformazionale e carismatica, la leadership autentica promuove fiducia nei collaboratori attraverso la creazione di un clima positivo in cui non sono presenti rivalità e che permette di affrontare in modo coerente situazioni e problemi. Questo può essere ottenuto con una prospettiva morale positiva, con la promozione di sviluppo dei followers e con obiettivi di prestazione sostenibili. Purtroppo, il concetto di leadership porta spesso con sé alcuni fattori negativi: il senso di onnipotenza, l’eccesso di potere possono avere conseguenze sulle relazioni, rendendole tossiche, egoistiche e caratterizzate da comunicazioni dai toni eccessivi. La leadership dovrebbe essere capace di gestire queste tossicità per mezzo di un continuo esercizio di equilibrio tra gestione del disagio dei propri collaboratori, attenzione ai problemi di conciliazione lavoro-vita, disponibilità all'ascolto e feedback. Capitolo 10: Followership La followership è un’azione intenzionale intrapresa da qualcuno e che vede qualcun altro seguire la suddetta azione; è un accordo reciproco, complementare e asimmetrico, guidato verso un obiettivo comune. Leadership e followership hanno entrambe alla base la dimensione relazionale: mentre nel primo caso il leader cede il potere anziché accettarlo, il follower accetta di assumersi delle responsabilità anziché sottrarvisi. La followership può essere proattiva: all’interno di un gruppo è importante avere dei followers che accolgano l’azione proveniente dall’alto ma forniscano anche un confronto con il leader. • Shamir individua diversi ruoli dei followers: 10 - Destinatari: dell’influenza del leader, hanno un ruolo passivo. - Moderatori: dell’impatto del leader, che deve tener conto anche delle caratteristiche dei followers; - Sostituti: del leader, possono farne a meno perché sono addestrati e hanno conoscenze specifiche; - Costruttori: della leadership, quando sono loro stessi a generarla; - Leader: ruolo che può essere assunto a rotazione dai membri. • Crossman e Crossman distinguono delle tipologie comportamentali di followers: - Followers passivi: forniscono supporto indifferenziato in cambio di favori; - Followers partecipativi: amano far parte del gruppo; - Close followers: leader essi stessi ma subordinati ad un capo. Vari modelli hanno esaminato i comportamenti di collaborazione dei followers ed è emerso che questi possono declinarsi lungo due dimensioni: indipendenza/dipendenza e attività/passività in base ai loro livelli di engagement. I followers indipendenti tendono all’innovazione e al pensiero critico, sono attivi, prendono l’iniziativa nel problem solving, mentre quelli dipendenti sono passivi, si limitano ad aderire agli ordini ricevuti, non si sentono coinvolti. L’iniziatva è un aspetto cruciale: si va dal subordinato che non fornisce nessun apporto personale alla causa, al partner con un elevato commitment sia nei confronti della prestazione che della relazione, fino al diehard che morirebbe per la causa. Prescrittive: il follower deve fornire supporto al leader, assumersi la responsabilità, sfidare costruttivamente il leader, partecipare a ogni trasformazione, prendere una chiara posizione in senso morale e avere il coraggio di rivolgersi alla gerarchia. Può collocarsi in un continuum che va dal resource, che si limita a fare il minimo indispensabile, al partner che costituisce frequenti occasioni di stimolo intellettuale per il leader. La followership si colloca inevitabilmente anche all’interno del contesto in cui la relazione follower- leader prende forma. È più probabile che i followers siano creativi e indipendenti se l'organizzazione in cui sono inseriti accetta e promuove questo tipo di atteggiamento. Al giorno d’oggi sono ancora pochi gli studi sul tema della followership: sono state effettuate ricerche qualitatve e studi esplorativi per individuare i fattori che permettono la costruzione di una buona followership, che merge dall’interazione positiva tra followers e leader, dall’influenza del clima lavorativo, dalle rappresentazioni dei membri, dai livelli di entusiasmo e coinvolgimento e di competenza. Per quanto riguarda gli studi quantitatvi, si è cercato di individuare i fattori che precedono e promuovono una leadership efficace, per esempio, alcune dimensioni di personalità come l’estroversione, la coscienziosità; altri mostrano come l’obbedienza e l’esprimere opinioni legate al lavoro aumentino le rappresentazioni positive correlate ad esso. Questi studi sono importanti affinché si possano sviluppare interventi formativi per il personale, mirati ad aumentare coinvolgimento, partecipazione, ruoli dinamici. Kelley ha proposto un questionario composto da 20 item in formato Likert, usato come strumento di autodiagnosi, con lo scopo di identificare lo stile di followership più frequente ed individuare i punti di forza e quelli di debolezza di questo, includendo le autovalutazioni dei partecipanti pre e post-formazione. Capitolo 11: Cambiamento e sviluppo organizzativo Il cambiamento è necessario se si vuole promuovere sviluppo e crescita. Le spinte al cambiamento possono essere esterne (come la globalizzazione, nuove tecnologie, pressioni sociali, economiche, istituzionali) o interne (le Risorse Umane si occupano degli sviluppi di carriera e dei ruoli lavorativi). Quaglino definisce il cambiamento nelle organizzazioni come un passaggio da uno stato A, di funzionamento problematico, a uno stato B che rappresenta la situazione auspicata e il livello di prestazione atteso. Per Daft e Noe, il cambiamento è l’adozione di una nuova idea, intenzione o comportamento che modifica il funzionamento dell’organizzazione. Sono stati definiti 3 modelli di cambiamento: • Modello di Lewin: pone l’attenzione sul mantenere una certa omeostasi (equilibrio) anche in presenza di spinte al cambiamento, inteso come una temporanea instabilità che agisce sull’individuo che si divide in tre fasi: 1. Scongelamento: partendo da una situazione di equilibrio, le spinte agiscono contro le resistenze che si oppongono al cambiamento generando stress e malessere; 2. Cambiamento: risultato dello scontro tra le nuove spinte e le resistenze; influenza compiti, strutture e tecnologie; 3. Ricongelamento: consolidamento delle nuove pratiche nella routine quotidiana. • Modello di Lussier: pone l'attenzione alla sensibilizzazione e responsabilizzazione degli attori, rendendoli partecipi del cambiamento. Si suddivide in cinque fasi: 1. definire il cambiamento; 11 2. identificare le resistenze al cambiamento; 3. pianificare il cambiamento; 4. promuovere il cambiamento e sfatare i dubbi e le incertezze; 5. controllare il cambiamento. • Modello sistemico: Il modello sistemico dimostra che ogni cambiamento ha un impatto a cascata su tutte le altre componenti dell'organizzazione. Prevede l'azione congiunta di: - input: fa riferimento alla missione (il perché dell'esistenza dell'organizzazione) e alla visione (cosa si vuole fare e la rotta da prendere); - oggetti del cambiamento: aspetti dell’organizzazione che possono essere oggetti di mutamento, come fattori sociali, metodi, obiettivi; - output: risultati attesi del processo di cambiamento che dipendono dal piano strategico adottato. Non sempre il cambiamento è accettato e sostenuto da tutti: se è desiderabile, è un’opportunità di sviluppo, altrimenti può essere accettato con rifiuto e diminuire soddisfazione lavorativa e commitment. Sono da diagnosticare e gestire le resistenze e le emozioni (negative) associate ad esso, come frustrazione, rabbia, timore e ansia, ed è importante considerare le componenti soggettive e del contesto in cui avviene il cambiamento. Le resistenze possono essere: • Individuali: come incertezza e insicurezza per il nuovo, di tipo psicologico o economico; oppure si percepisce la minaccia a schemi già consolidati. Inoltre, alcuni individui hanno personalità che resistono al cambiamento. • Di gruppo: per via di dinamiche legate al potere e ai conflitti, in quanto il cambiamento viene percepito come un’occasione per conferire maggiore potere ad alcuni a discapito di altri; oppure viene visto come una minaccia ai valori e alle norme del gruppo. Fare ricerca sugli effetti del cambiamento è fondamentale per comprendere e prevederne meglio gli effetti: a questo fine, l’acton research (RA) rappresenta un intervento efficace per l’organizzazione per conoscere gli attori coinvolti, la cultura del gruppo e come avviene la presa di decisione del cambiamento. RA è una metodologia di ricerca prevalentemente qualitatva e si divide in più sottotipi: 1. RA classica sperimentale (Lewin): lo “scienziato” detta la direzione del cambiamento auspicato e promuove il coinvolgimento attivo degli attori nella realtà sociale, favorendo la loro massima partecipazione per facilitare il processo; 2. Acton Science (Argyris e Shon): accedere induttivamente alla cultura dei partecipanti della ricerca operando nel loro contesto naturale, utilizzando una metodologia qualitativa, l'etnografia e l'osservazione partecipante. 3. Diverse pratche RA partecipatve: in tutte vi è la dimensione partecipativa e un forte orientamento democratico per un mondo più efficace, efficiente e salutista per gli attori. Il ricercatore osserva in una maniera distaccata diventando facilitatore per favorire l'auto-sviluppo e l'autocontrollo partendo dagli emarginati, e promuovere forme alternative di organizzazione. 4. RA postmoderna decostruttivista (Barry): i postmoderni sostengono che siano i discorsi, ma costruire gli oggetti che popolano le nostre realtà e quindi vanno revisionate la conoscenza, la verità e la realtà sui valori di tolleranza e polifonia. Capitolo 12: Prendere decisioni nelle organizzazioni Prendere decisioni è un processo che comporta l’individuazione e la scelta tra soluzioni alternative per giungere ad una soluzione auspicata. Questo processo ha 3 dimensioni: • Rilevanza: impatto che la decisione avrà sull’organizzazione; • Temporalità: periodo di tempo in cui si avvertiranno le conseguenze; • Contesto: condizioni ambientali di certezza, rischio o incertezza in cui avviene la presa di decisione. Le decisioni possono essere programmate e a basso rischio, quando affrontano problemi strutturati e ben conosciuti; non programmate e quindi rischiose, quando affrontano decisioni inaspettate su cui si possiedono poche informazioni. Sono stati individuati alcuni modelli di decision-making: • modello razionale: di tipo prescrittivo, indica il processo che si deve seguire per ottenere la soluzione migliore massimizzando i risultati. L’essere umano è visto come un decisore perfettamente razionale che studia il problema definendone cause e alternative di azione in base alle risorse disponibili, valutandone le possibili conseguenze. E’ usato solo se c’è accordo sia sugli obiettivi che sui metodi; 12 • Ent normatori: realizzano regole uniformi per tecnologie simili in regione o in paesi differenti: la norma è la specifica tecnica la cui osservanza non è obbligatoria e che appartiene a livello internazionale, europeo o nazionale; • Ent di accreditamento: autorizzati a riconoscere formalmente che un altro ente è in grado di svolgere compiti specifici; • Ent di certficazione: verificano che la norma adottata da un'azienda sia conforme ai requisiti richiesti e che le procedure previste siano effettivamente applicate; • Aziende: utilizzatori finali delle norme a vantaggio della collettività, aderiscono a un sistema di qualità perché lo ritengono un obiettivo strategico da perseguire attraverso l'ottimizzazione dei prodotti e dei processi. L’attenzione al cliente è un principio che ispira le organizzazioni con visioni di lungo periodo, le per soddisfare i clienti, trasformando le informazioni raccolte sui loro bisogni in specifici prodotti o servizi. Le organizzazioni che si fondano su un miglioramento contnuo, invece, affermano che è possibile soddisfare le aspettative dei clienti migliorando i processi al loro interno attraverso delle pratiche di analisi e tecniche mirate, come controlli statistici. Le organizzazioni orientate verso i gruppi di lavoro, invece, presuppongono che tutti i membri, indipendentemente dal loro ruolo, diano il loro contributo per il successo dell’impresa. - Il Total Quality Management (TQM) una strategia manageriale volta a diffondere la consapevolezza della qualità in tutti i processi organizzativi e, attraverso prevenzione e cooperazione, soddisfare il cliente, inteso non solo come fruitore esterno all'organizzazione ma anche interno, come dipendente e collaboratore. Questa strategia si concentra sull'attenzione al cliente, sul miglioramento continuo e all'utilizzo di strumenti statistici che possano valorizzare la qualità come strategia competitiva. Il successo di qualsiasi processo di cambiamento dipende dal livello di consapevolezza delle percezioni delle risorse umane dell’organizzazione. Competenza, formazione, valutazione e consapevolezza sono richiamate dalle stesse norme ed è proprio in questi ambiti che la psicologia del lavoro e delle organizzazioni può fornire il suo contributo in termini di conoscenze teoriche e tecniche applicative. È significativo osservare come, man mano che le pratiche manageriali si fondono e maturano, più l'interesse principale da parte della letteratura scientifica si concentra sul capitale psicologico, composto dal senso di autoefficacia, ottimismo sulle proprie capacità di riuscita, perseveranza rispetto gli obiettivi e resilienza. Capitolo 15: Le emozioni nella vita organizzatva Emozioni, sentimenti, umori ed affetti non sono entità discrete o distinte, ma hanno un carattere continuamente dinamico e mutevole; inevitabilmente, caratterizzano anche i contesti organizzativi. Nonostante inizialmente ragione ed emozione venivano separate, dall’inizio degli anni 50 si comprende finalmente che la soddisfazione lavorativa, il commitment e la performance sono influenzati dal modo in cui le persone reagiscono emotivamente agli eventi lavorativi. A partire dagli anni 80, poi, la psicologia dinamica e costruttivista hanno riportato l’attenzione intorno alle emozioni che gli individui provano a lavoro attraverso la metafora dell’organizzazione come arena emotva, in cui le emozioni sono rappresentate a favore di un pubblico che si intende influenzare ed impressionare. Sono i soggetti che costruiscono l’organizzazione anche grazie alle forze emotive da cui sono animati: sentimenti, emozioni e fantasie che caratterizzano il mondo del lavoro non sono semplici sottoprodotti della vita organizzativa, ma sono una componente imprescindibile di processi considerati fondamentali per l’azione organizzata, come la presa di decisione. • Secondo l’approccio psicoanalitco, le emozioni sono plastiche e dinamiche, alimentano la lotta per il potere, la creatività, la determinazione, etc. Possono fungere da collante dei gruppi, così come anche causarne la loro distruzione. Secondo questo approccio, il lavoro in sé è un attivatore di ansie (paura di fallire, di essere rifiutati) che possono diventare distruttive per il benessere della persona, e che attivano a loro volta meccanismi di difesa individuali o collettivi che peggiorano l’ansia preesistente. Se l’organizzazione fallisce nel proteggere dall’ansia, diventando anch’essa fonte di ansia, si instaura un circolo ansiogeno. La gerarchia e il potere in mano a pochi, inoltre, possono riattivare figure autoritarie dei primi anni di vita e vissuti infantili di delusione, inferiorità e sospetto; • Secondo l’approccio costruttivista, le emozioni sono apprese nei contest organizzatvi e associate a significati che dipendono dalle circostanze e dalle interazioni con gli altri attori. Sono centrali il lessico e le narrazioni che veicolano emozioni: in base alle parole usate, si possono associare significati positivi o negativi a quello che stiamo dicendo in relazione al contesto in cui si presentano. Non influenzano il contesto solo le emozioni percepite, ma anche quelle esibite: all’interno delle organizzazioni, agli 15 individui è richiesto un continuo lavoro di facciata perché non possono esprimere in maniera autentica tutto ciò che provano, a causa del contesto, delle regole sociali e delle norme che definiscono quali siano le emozioni che si possono e devono trapelare. La competenza emotva è anche una importante competenza sof, soprattutto per manager e leader. La regolazione delle emozioni, ossia tutte quelle strategie messe in atto lavoratori per gestire le emozioni e gli effetti di tali strategie sulla salute, ci dice molto sugli atteggiamenti e sui comportamenti delle persone al lavoro: le emozioni sono considerate fonti di informazioni preziose che consentono di mobilitare le risorse necessarie per soddisfare i propri desideri e orientare il comportamento sociale. Hanno quindi uno scopo adattivo. Capitolo 16: Psicologia dei consumi e del marketng da una prospettiva “organizzatva” La psicologia dei consumi è una disciplina piuttosto disomogenea, caratterizzata da forti polarizzazioni interne: • rapporto fra saperi di base e saperi locali - da un lato, teorie prodotte dalla psicologia di base, dall’altro la volontà di costruire in modo autonomo le proprie teorie attraverso un’osservazione diretta delle condotte di consumo; • saperi della comunità scientfica e delle comunità di pratca - teorie formalmente eccellenti sul piano scientifico hanno avuto riscontri quasi nulli nella professione, cosi come opzioni teorico- metodologiche sviluppate dai professionisti hanno spesso goduto di scarso credito in ambito accademico; • rappresentazione del consumatore in prospettiva industriale e post-industriale - le nuove visioni che si producono sul consumo e sul marketing, tendono a contrapporsi a quelle maturate nei decenni precedenti, configurando una vera e propria discontinuità di paradigma. La psicologia organizzativa cerca di dare un buon criterio di lettura ai vari orientamenti esistenti sulla disciplina, puntando sulla ricontestualizzazione del fenomeno. Il contesto è un’attività di framing che segmenta e ordina l’esperienza degli individui rispetto a diverse situazioni organizzative. Desjeux propone un’analisi sociale delle varie prospettive che gli psicologi dei consumi hanno adottato finora per costruire il loro oggetto d’analisi: • Livello individuale: l’attenzione è sul singolo individuo (il consumatore) e su come elabora risposte agli stimoli ambientali, con l’intento di identificare regolarità di funzionamento che possano definire una teoria generale della condotta di consumo. Ciò però distoglie l’attenzione dai dati ambientali in cui opera l’individuo; • Livello macrosociale: si pensa al mercato come “plurale”. Questa visione si applica principalmente per il marketing: dall’idea di un consumatore unico, generale ed universale, si sostituisce uno plurale e variegato nel profilo di consumo; • Livello microsociale: tre peculiarità: situazionalità, esperienza ed interazione. Il consumatore è “situato” e regolato dal Sé, fluido e dinamico, in base alle proprie preferenze ed esperienze, in relazione allo specifico ambito di consumo in cui si colloca. Il consumatore fa esperienza del contesto e l’offerta si basa su un processo di co-costruzione dove azienda e consumatore concorrono alla realizzazione di un contenuto; infine l’interazione, in cui l’azienda prende atto che la sua azione comunicativa è solo una componente di una più ampia rete di scambi attivata autonomamente dai suoi interlocutori reali e virtuali. Il consumatore diventa un soggetto da seguire nello sviluppo dei propri percorsi di consumo, usando metodi qualitativi basati sull’introspezione, la conversazione e l’osservazione. La prospettiva di una rappresentazione del consumatore di tipo individuale è associata ad una configurazione della relazione di scambio dove l’offerta è predominante rispetto alla domanda. Conoscere il consumatore permette di comprendere le modalità di funzionamento della domanda (variabile dipendente), per configurare 16 meglio le caratteristiche dell’offerta (variabile indipendente) al fine di massimizzare le probabilità di scelta utilizzando una prospettiva di “condizionamento del consumatore”. Di orientamento opposto risulta il livello macrosociale. Qui, il consumatore e le sue caratteristiche diventano la guida e il riferimento per sviluppare un’offerta “su misura”. Inseguire i progetti in progress del consumatore significa per l’azienda acquistare vantaggi rispetto agli altri competitor di un mercato. In questa prospettiva, il consumatore è “luogo di conoscenza” su cui scatenare un’intensa attività di indagine per ricavarne vantaggi competitivi. L’epoca post-moderna accentua elementi di crisi nei paradigmi di ricerca: tanto più il marketng allarga il suo raggio d’azione e tanto più crescono la diffidenza e l’ostilità dei consumatori; l’indagine sul consumatore cerca di sintonizzarsi con la nuova prospettiva di riferimento, anche se appare ancora allo stadio esplorativo e lontana dal produrre una nuova visione sistematica sulla ricerca. La necessità di operare un re-framing dell’organizzazione di scambio tra offerta e domanda si riconfigura come centrale per comprendere e superare le difficoltà in cui si dibatte l’approccio teorico-pratico al consumo in ambito post-moderno. Capitolo 17: La gestone delle emergenze L'elemento che accomuna situazioni di emergenza diverse è l'esperienza di una forte emozione che, oltre ad avere evidenti ripercussioni negative sull'equilibrio psicofisico dei soggetti coinvolti, può in certi casi anche essere funzionale alla sopravvivenza stessa. L'intervento psicologico ha come obiettivo quello di riportare a una condizione di normalità persone che hanno vissuto situazioni estremamente traumatiche, attraverso metodologie conoscitive e tecniche di intervento provenienti da più settori diversi della psicologia. I destinatari ai quali questa disciplina si rivolge sono sia il singolo sia l'intera comunità, in quanto entrambi subiscono l'impatto dello stesso evento catastrofico e mobilitano risposte di adattamento che possono essere opportunamente sostenute da un intervento esterno competente. In generale, il termine crisis indica un evento di scarsa probabilità ma di forte impatto e in grado di incidere negativamente sul normale funzionamento dell’individuo e della comunità. Qualunque sia l’evento critico, ciò che lo contraddistingue è il senso di urgenza e la sensazione di perdita del controllo. Infatti, le cause della crisi non sono sempre identificabili, gli effetti sono spesso imprevedibili, gli interventi non sono univoci ma necessitano di elevata rapidità. La gestione efficace di un evento critco è possibile grazie ad un’attenta crisis analysis, un processo attraverso cui vengono attentamente analizzate le cause dell’evento, le motivazioni ma soprattutto se esiste una consapevolezza condivisa della possibilità che la crisi stessa si verifichi. La gestione della crisi è un processo complesso che prevede una serie di azioni tra cui l’attenuazione dei rischi e la preparazione di una risposta di assistenza e supporto. Una volta accaduto l’evento critico, ciò che risulta determinante per la buona riuscita dell'operazione è una comunicazione rapida e chiara fra gli operatori impegnati nell'attività di gestione e di soccorso. Più specificatamente, la gestione di situazioni critiche implica aspetti quali prevenzione, intervento e gestione degli effetti a lungo termine. • Prevenzione: La prima cosa da fare per un'efficace gestione della crisi è identificare i primi segnali di pericolo ancora prima che l’evento critico si scateni. Più nel dettaglio, le principali strategie di prevenzione riguardano la costruzione di un team addetto al crisis management, una valutazione del rischio e dei piani d'azione strutturati per i possibili eventi critici, l'impostazione dei piani di recupero da realizzare in seguito all'evento critico e le esercitazioni. • Intervento: la fase di intervento include tutte le operazioni attuate subito dopo il verificarsi dell'evento critico: riconoscere la crisi e attivare le squadre di crisis management; valutare la crisi; identificare fattori protettivi che mitigano gli effetti negativi di possibili situazioni critiche e fattori di predisposizione che rendono un sistema più vulnerabile a situazioni pericolose, fattori di precipitazione in grado di far scaturire l’evento critico, fattori di perpetuazione in grado di perpetuare la crisi nel tempo; contenimento della crisi; risposta alle esigenze della comunità. • Gestone degli effetti a lungo termine: le crisi possono rappresentare sfide costruttive per l'apprendimento e per il cambiamento, modificando le credenze e le modalità di ragionamento dei soggetti coinvolti, che possono in tal modo sviluppare una migliore capacità di adattamento. La fase di gestone degli effetti a lungo termine include tutte le operazioni svolte per gestire le conseguenze negative a lungo termine derivanti dall'evento critico e di riabilitare le persone nella comunità dal punto di vista fisico, psicologico ed economico. 17
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved