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riassunto "psicologia delle organizzazioni", Sintesi del corso di Psicologia del Lavoro

riassunto del libro: Argentero, P., Cortese, C.G., Piccardo, C. (2009) Psicologia delle organizzazioni. Raffaello Cortina Editore, Milano.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Scarica riassunto "psicologia delle organizzazioni" e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia del Lavoro solo su Docsity! PSICOLOGIA DELLE ORGANIZZAZIONI I temi e i problemi dell'esperienza lavorativa sui quali la psicologia delle organizzazioni ha insistito sono quelli collettivi: l'organizzazione e il suo ambiente esterno; l'intreccio di storie individuali e storie collettive; l'interazione tra le persone all'interno del piccolo e del grande gruppo. L'etica della psicologia delle organizzazione mette al centro l'individuo e considera autonomia, benessere, apprendimento, efficacia individuale e collettiva. CAP. 1 PSICOLOGIA DELLE ORGANIZZAZIONI: SVILUPPO DELLA DISCIPLINA Nascita e definizione della disciplina Come uomini possiamo dire che siamo nati e cresciuti in contesti organizzativi anche se non ne siamo coscienti. La psicologia collabora con le discipline limitrofe al fine di considerare la dinamica relazionale come cardine della dimensione organizzativa e non fermarsi alla trasmissione dei principi teorici e normativi, bensì arrivare all'analisi dei contesti sociali. Comunemente si usa il termine organizzazione per descrivere sia le forme di attività processuale con cui ci confrontiamo; sia i contesti che si caratterizzano a priori come produttori di tali forme di attività. Il termine organizzazione ha una doppia accezione: – Esso denota il modo in cui le parti di un ente sono dinamicamente connesse e coordinate tra di loro – Denota una determinata categoria di enti sociali fondati sulla divisione del lavoro e delle competenze: imprese economiche, amministrazioni pubbliche, partiti politici. Il termine organizzazione definisce un campo disciplinare relativamente recente la scienza psicologica. Nel corso dell'ultimo secolo si è progressivamente costituito un ambito di studio sulle condizioni e sui comportamenti che hanno caratterizzato gli uomini nei loro principali contesti produttivi. Tali contesti si sono definiti nella loro attuale struttura con la Rivoluzione industriale del XIX secolo. Storicamente la psicologia dell'organizzazione intreccia una duplice prospettiva e da essa ancora dipende: – Quella dell'indagine psicologica sull'attività di lavoro, individuale o di gruppo – Quella orientata alla comprensione del lavoro delle persone nelle nuove condizioni dell'industrializzazione moderna Il mondo delle grandi fabbriche nasce da una condizione produttiva del tutto nuova; la tecnologia dei processi organizza e rende funzionale la concentrazione delle attività di lavoro di centinaia di persone. In questo contesto gli individui e le loro attività vengono considerati sinteticamente come variabili di un sistema produttivo complesso, il cui buon funzionamento non può prescindere da loro e dalle loro risposte comportamentali. L'evoluzione della cultura psicologica, impiegata nelle organizzazioni può essere descritta proprio attraverso le forme con cui è stata considerata la variabile condotta individuale all'interno dei più complessivi processi del sistema produttivo. In sintesi si può dire che in questo lasso di tempo si è profondamente modificata la valutazione dell'incidenza attribuita alle condotte individuali e alle variabili psicologiche soggettive all'interno del sistema produttivo. Il contributo di Taylor, Fayol, Weber e Simon ha permesso di descrivere gli effetti degli aspetti normativi sulla razionalità del comportamento organizzativo. Accanto a questi si sono sviluppate teorie descrittive dei comportamenti dei membri dell'organizzazione, il cui obiettivo è l'analisi e la descrizione delle azioni e delle motivazioni, dei sentimenti, dei valori, degli interessi del singolo. I tentativi di classificazione delle teorie sono molteplici, la loro diversità si basa sul focus: approcci teorici, metodologie, oggetti di indagine. Elemento comune nelle diverse classificazioni è l'accento sul passaggio dalla meccanicità astratta della descrizione del sistema produttivo, in cui le persone sono appiattite alla loro dimensione economica, alla variabilità propria delle condotte individuali. Si può parlare dunque di orientamento teso a caratterizzare e descrivere l'effettiva presenza organizzativa dei singoli soggetti, riuscendo a ottenere il loro coinvolgimento. Lo scenario contemporaneo Uno dei cambiamenti maggiormente rilevati è rappresentato da un'imponente crescita dell'atipicità contrattuale sia in Italia che in Europa. L'aumento delle forme contrattuali atipiche è stato proporzionale all'interesse di ricerca di alcune discipline, tra cui la psicologia del lavoro e delle organizzazioni. I contratti atipici, pur essendo stati introdotti con l'obiettivo di ridurre il tasso di disoccupazione, non sempre garantiscono livelli adeguati di sicurezza lavorativa. Nel linguaggio comune, i termini “lavoro” e “lavoratori” sono spesso accompagnati dagli aggettivi “atipico”, “precario”. È utile distinguere l'aspetto soggettivo da quello oggettivo del termine precario: – Il lavoratore è oggettivamente precario per la durata temporale che egli impiega a passare da una condizione lavorativa non standard a-tipica a quella standard tipica – Il lavoratore è soggettivamente precario fin dal momento in cui percepisce il proprio lavoro come temporaneo e instabile La precarietà di vita è definita come una sindrome che interessa lavoratori atipici poiché, se percepiscono la propria condizione come temporanea e instabile, possono avere difficoltà a progettare la propria vita con conseguenze emotive che influenzano negativamente l'agire quotidiano. Tale sindrome è composta da tre dimensioni: • Il disinteresse per il lavoro attuale • La sfiducia nel futuro professionale • Le conseguenze emotive nella vita quotidiana. Alcune ricerche hanno indagato tra la precarietà di vita con: – Variabili organizzative: i risultati hanno evidenziato che le tre dimensioni della precarietà di vita correlano positivamente con la job insecurity e con le strategie di coping orientate all'emozione e all'evitamento e negativamente con la soddisfazione lavorativa. Lavoratori atipici che temono di perdere il proprio posto di lavoro e che mettono in atto strategie evitanti, tendono ad avere alti livelli di precarietà di vita e bassa soddisfazione. – Variabili psicologiche: la precarietà di vita sembra avere alcuni aspetti in comune sia con l'ansia che possa accadere qualcosa di spiacevole, sia con la depressione, rispetto agli atteggiamenti negativi verso il passato e il futuro Da queste condizioni derivano effetti di grande rilevanza. Ad esempio la necessità di integrazione di conoscenze di tipo economico-finanziario generale con quelle specificamente psiucologiche dell'organizzazione. In una prospettiva di cambiamento accelerato e di sempre maggiore apertura dei mercati, scambi culturali con il mondo orientale, si evidenzia la scarsa capacità di interpretare i parametri culturali e soprattutto comportamentali della vita organizzativa. Il cambiamento di scenario che più sembra aver inciso nel panorama storico-evolutivo dell'attuale psicologia dell'organizzazione è quello prodotto dall'incertezza nelle dinamiche evolutive generali e nelle condizioni di vita delle giovani generazioni. Il livello di competitività e di servizi e offerte a chiamata mette a dura prova la resilienza umana e di contesto. Il vero valore aggiunto su cui in futuro le organizzazioni potranno fondare il loro successo sono la qualità e la motivazione superiore delle persone. Se gli uomini sono la variabile decisiva per il successo delle organizzazioni, occorre accedere a quello che si può definire il capitale sociale, cioè il patrimonio di relazioni di fiducia, di connotazioni simboliche trasmesse con le immagini, di relazioni interpersonali consolidate e funzionali agli obiettivi. Il tratto comune che le organizzazioni devono affrontare è l'assoluta volatilità della domanda da parte dei clienti. Questa variabilità si presenta quasi sempre con un'articolazione complessa di fattori che devono essere compresi e trattati. Le organizzazioni che non sanno rispondere prontamente a questa necessità con innovazioni di prodotto o con modifiche tecnologiche ai processi, possono rapidamente mostrare segni della decadenza e in poco tempo trovarsi fuori dalla competizione. L'instabilità della domanda si collega, quindi, con l'incertezza e la sempre maggiore complessità futura dei prodotti-servizi. La cultura organizzativa: categorie analitiche e forme espressive I contenuti fondamentali possono essere declinati lungo le seguenti categorie: – Il logos: si riferisce all'insieme di credenze che indicano le interpretazioni adottate dai soggetti nei confronti di quanto accade – L'ethos: sono i calori che corrispondono ai giudizi di preferibilità e che quindi assumono una valenza deontologica – Il pathos: si riferisce al modo particolare di percepire e sentire la realtà attraverso tutti i sensi – L'aisthesis: si riferisce alle percezioni di ciò che è bello e di ciò che è brutto – Il genus: il campo simbolico organizzativo è sessuato, è cioè leggibile anche in termini di genere – La polis: si riferisce alla dinamica del potere – Il methodos: si riferisce al sapere che cosa e come fare Queste concezioni di fondo trovano espressioni in una serie di simboli, ossia forme astratte o tangibili, e di azioni: – Il linguaggio: insieme di segni vocali che caratterizzano e stabilizzano l'esperienza umana. – I miti: narrazioni in forma drammatizzata di vicende passate – Le storie e le saghe: collezioni di aneddoti ed episodi che caratterizzano la quotidianità della vita organizzaiva – I riti e le cerimonie: attività caratterizzate da un certo grado di progettazione ed elaborazione formale – Gli artefatti: si tratta dei prodotti tangibili, concreti della vita organizzativa Lo studio degli artefatti organizzativi sembra che abbia aperto un territorio nuovo, quello dell'estetica. L'approccio estetico: 1) Riporta in primo piano le sensazioni e i sentimenti degli attori. Le organizzazioni sono arene emotive dove gli individui possono provare sentimenti di repulsione o attrazione 2) Costringe il ricercatore a lasciare spazio a ciò che prova e sente 3) Sembra far cogliere aspetti trascurati negli studi organizzativi a causa dell'eccessiva sottolineatura delle dimensioni cognitive e razionali. CAP. 5 GENERE E ORGANIZZAZIONE Questioni preliminari Con l'espressione gender studies ci riferiamo a un approccio inter e trans-disciplinare che ha concentrato l'attenzione sui significati e sulle pratiche socioculturali della sessualità e dell'identità di genere. Il genere non è un semplice derivato della vita organizzativa; esso è costitutivo dello stare e del fare organizzazioni. Le prime riflessioni che hanno contribuito all'entrata dei gender studies sono le teorie di Kanter, nelle quali la studiosa metteva in evidenza come la negazione del genere comportasse l'adesione a un modello organizzativo maschile: le organizzazioni che aveva studiato erano pensate per gli uomini e modellate sulle esigenze degli uomini. Ciò che ha favorito il nascere di una sensibilità relativa a questo tema è stato l'ingresso massiccio delle donne nei luoghi di lavoro. Una questione che è stata aperta nella lettura femminista è quella che è stata definita attraverso la categoria della doppia presenza, che sta a indicare la contemporanea presenza delle donne nella famiglia e nel mercato del lavoro. L'idea di doppia presenza intendeva rappresentare un crescente numero di donne adulte che in quegli anni si concepivano trasversali rispetto a sfere che in precedenza erano stai immaginati in una logica opposta. Si erano cioè rotti i confini tra sfera professionale e sfera familiare. È da questa vicenda che si delinea la questione della conciliazione tra lavoro e famiglia. In quest'ambito proprio le esigenze di tempo per la famiglia vissute dalle donne sono state causa delle discriminazioni, di due tipi: – Discriminazione verticale: cioè quel fenomeno per cui viene ostacolato il raggiungimento dei più alti livelli nella carriera – Discriminazione orizzontale: cioè il relegare le donne a certi tipi di professione, legati allo sviluppo di competenze relazionali Le due forme di discriminazione vengono espresse anche come: – Fenomeno del soffitto di vetro: indica un barriera che impedisce il raggiungimento di ruoli di responsabilità a parità di titoli e competenze – Terziarizzazione del lavoro femminile: prevede la segregazione occupazionale che vede le donne impegnate in segmenti professionali che offrono scarsa visibilità Il genere: una definizione Secondo Simone de Beauvior c'è differenza tra essere donna ed essere femmina. Essere femmina è una condizione biologica; essere donna è invece una condizione determinata da aspetti sociali e culturali legati al contesto di riferimento. Il genere è pertanto frutto di interazioni sociali che producono e riproducono relazioni di potere e subordinazione tra uomini e donne, ma è separato e separabile dal suolo biologico. La riflessione sul genere nasce a partire dalla presa di coscienza di una subordinazione, storica e culturale, del femminile rispetto al maschile. Non si può parlare di genere femminile se non in relazione a quello maschile. È grazie al femminismo e alla parallela elaborazione filosofica che il genere diventa una tra le possibili categorie di analisi. Scott afferma che il genere, nei contesti sociali come in quelli organizzativi è: 1. un elemento costitutivo delle relazioni sociali basato sulla differenza percepita tra i sessi 2. una modalità primaria per attribuire significato alle relazioni di potere In particolare si possono individuare 5 processi: – La divisione del lavoro in base al genere – La produzione di simboli e immagini (es. l'abbigliamento) – L'insieme di relazioni tra uomini e donne – L'interiorizzazione degli elementi precedenti – Il genere come elemento cruciale nella creazione e nella legittimazione della struttura della società e delle organizzazioni del lavoro Gli approcci al tema delle discriminazioni di genere – APPROCCIO BIOLOGICO: gli esponenti di questo approccio identificano cause di tipo evolutivo o fisiologico per le differenze nelle competenze e nello stile comportamentale. Baron-Cohen definisce il cervello maschile programmato per la sistematizzazione e quello femminile programmato per l'empatia, attribuendo perciò agli uomini una maggiore predisposizione per ruoli e professioni scientifici e alle donne ruoli in cui prevale la dimensione relazionale. Le differenze biologicamente determinate, sono sottolineate dall'aspetto fisico di donne e uomini che li/le rende apparentemente più adatti a mansioni che richiedono maggiore o minore forza fisica. Il grande limite che questo approccio presenta è quello di attribuire in modo deterministico caratteristiche e ruoli adeguati a donne e uomini, trascurando l'importanza delle relazioni sociali nello sviluppo dell'identità di genere e della costruzione delle strutture sociali e organizzative – APPROCCIO SOCIOCULTURALE: l'elemento chiave di questo approccio è il genere letto nei termini di una costruzione sociale e culturale, frutto dell'interazione dei donne e uomini, non un'inevitabilità biologica. Il sesso è universalmente la base per l'attribuzione dei ruoli di genere ed è uno dei primi elementi di differenziazione tra gli individui. Tuttavia, è solo con i processi di socializzazione che chi nasce con un corpo maschile o femminile acquisisce il ruolo di uomo o di donna. È attraverso meccanismi di imitazione, modellamento del ruolo maschile e femminile e del rinforzo vicario che i bambini sviluppano l'idea che esistono comportamenti adatti al loro sesso e tendono a metterli in atto. I ruoli di genere così acquisiti non riguardano solamente il modo di apparire, ma anche la divisione del lavoro tra i sessi. Tale divisione porta a definire i ruoli. – APPROCCIO PSICOANALITICO: Freud ha proposto una teoria dello sviluppo dell'identità femminile per differenza da quella maschile; ipotizza un unico modello di sviluppo dell'identità sessuale che ha il suo momento centrale nel complesso edipico. Per gli uomini esso si risolve grazie alla paura della castrazione; per le donne, invece, lo sviluppo della personalità resto incompiuto in quanto il complesso edipico porta alla consapevolezza della mancanza del pene. Paula Nicolson, riprendendo Freud, evidenzia che le culture organizzative sono innervate per eccellenza dalla logica maschile, in quanto riprodurrebbero le dinamiche del complesso edipico. Gli uomini, secondo questa teoria, poiché incapaci di tollerare la possibilità di perdita del potere, ingaggiano una lotta per esso, da cui derivano strutture organizzative caratterizzate da una forte gerarchia. Le reazioni delle donne possono essere due: uscire dall'organizzazione giustificandosi di voler dedicare più tempo alla famiglia; oppure accettare una sorta di compromesso e rimanere in organizzazione a ricoprire solo alcuni ruoli. Fasi e prospettive degli studi di genere Diverse sono state le fasi dei gender studies nell'ambito della teoria organizzativa: 1) Cecità nei confronti delle dinamiche di genere in organizzazione: fino agli anni Sessanta la questione della relazione tra donne e uomini nei luoghi di lavoro era di fatto non-iussue. Nessuno si chiedeva la ragione della loro assenza dalle posizioni manageriali. 2) Presa di coscienza della discriminazione nei confronti delle donne nei contesti di lavoro: si inizia a prendere coscienza grazie al progressivo aumento della presenza femminile nei contesti organizzativi e grazie al fatto che si inizia a ritenere utile la presenza delle donne in risposta alle esigenze del mercato. 3) Messa in discussione, grazie al post-strutturalismo e alla queer theory: si tratta di prospettive che esaltano le variazioni e la frammentazione del genere a discapito di quelle visioni che generalizzano una posizione di svantaggio delle donne nella società o che hanno fatto propria l'idea di sex-gender role. Ciò che post-strutturalismo e queer theory problematizzano e decostruiscono è il processo di costituzione del genere. Strumenti per la valutazione del clima Per quanto riguarda gli strumenti per la misura del clima, la letterature ne presenta due tipologie: – Tailor-made: si tratta di strumenti predisposti per indagare lo specifico contesto organizzativo – Ready-made: forniscono informazioni scientificamente garantite per capire la reale situazione climatica di un'organizzazione e consentono di effettuare analisi interorganizzative facendo riferimento a parametri, condizioni e statistiche nazionali Tra le misure di clima psicologico ci sono: IMPC e – LSOCQ: si tratta di una misura percettiva del clima organizzativo, un insieme di prorietà misurabili dell'ambiente di lavoro, percepito direttamente o indirettamente dalle persone che vivono e lavorano nell'ambiente. Tra le misure del clima organizzativo: BOCI, ODQ e – WES: nasce per rispondere all'esigenza delle organizzazioni di valutare gli ambienti di lavoro per mantenere un buon ambiente Tra le misure del clima dominio-specifico: CCQ, GSCS, COR Le fasi dell'analisi di clima – LE PRECONDIZIONI: occorre far chiarezza sin da subito sulla domanda, cioè sulle ragioni reali che spingono qualcuno a fare qualcosa proprio in quel momento. Fondamentale è definire gli obiettivi realistici, commisurati alla realtà organizzativa soggetto/oggetto di indagine, agli strumenti utilizzabili e alle risorse disponibili. Un intervento di analisi può avere aspetti positivi: - fornisce informazioni precise sulle realtà organizzative - stimola i singoli a fare chiarezza sulle percezioni individuali - aiuta a razionalizzare i problemi Un intervento di analisi può avere degli aspetti negativi: - contribuisce a scatenare tensioni latenti - crea resistenze da parte di chi non ha voluto la ricerca - crea frustrazione e sfiducia verso l'organizzazione – LA TEMPISTICA: nella maggior parte dei casi le analisi vengono effettuate in alcuni momenti topici del processo di sviluppo organizzativo: - nelle fasi di stabilità e in assenza di preoccupazioni contingenti - quando l'azienda attraversa periodi di crisi – LA PROCEDURA: occorre prestare molta attenzione a come si rendono operative le azioni che danno corpo alla ricerca-intervento, come il numero e la successione si step – GLI STEP OPERATIVI: - Step I: individuazione del gruppo di lavoro misto che comprende sia ricercatori che alcuni membri dell'organizzazione - Step II: definizione degli obiettivi generali - Step III: analisi preliminare del contesto organizzativo per cogliere gli aspetti che non è possibile conoscere tramite la descrizione dei responsabili - Step IV: definizione degli obiettivi specifici - Step V: scelta della popolazione; si può far riferimento solo ad alcuni gruppi individuati o coinvolgere tutta la popolazione - Step VI: messa a punto della metodologia e scelta degli strumenti di rilevazione - Step VII: verifica della funzionalità della procedura e delle tecniche effettuata su un gruppo campione estratto dall'organizzazione - Step VIII e IX: raccolta estensiva dei dati ed elaborazioni statistiche - Step X e XI: prima lettura dei risultati e incontro con i responsabili - Step XII: ritorno delle informazioni ai partecipanti - Step XIII e XIV: stesura del report finale e osservatorio permanente CAP. 8 GRUPPI DI LAVORO Definizione di gruppo e gruppo di lavoro Il gruppo è qualcosa di più della somma dei suoi membri; quel che ne costituisce l'essenza non è la somiglianza o dissomiglianza riscontrabile tra i suoi membri, bensì la loro interdipendenza. Ogni gruppo e i suoi membri assumono valenze e significati diversi in relazione alla posizione che occupano e all'interdipendenza che sviluppano in una situazione specifica. Mentre un gruppo è un insieme numericamente ridotto di persone, in interazione tra di loro, il gruppo di lavoro è una pluralità di integrazione: una pluralità che tende progressivamente all'integrazione dei suoi legami psicologici, all'armonizzazione delle uguaglianze e differenze che si manifestano nel collettivo. Nel passaggio tra interazione e integrazione è soprattutto il raggiungimento dell'interdipendenza a trasformare un gruppo in un gruppo di lavoro, cioè l'acquisizione di consapevolezza da parte dei membri rispetto a quanto dipendono dagli altri. Ciò che caratterizza un gruppo di lavoro è la presenza di collaborazione, resa possibile da tre elementi: – La relazione di fiducia tra i membri – La negoziazione continua che tiene insieme le differenze e i diversi punti di vista – la condivisione delle decisioni prese e la loro concretizzazione Katzenbach e Smith enfatizzano l'elemento di impegno comune come tratto distintivo dei gruppi di lavoro e individuano alcuni passaggi come necessari a un gruppo per diventare gruppo di lavoro: – La leadership diventa attività condivisa – La responsabilità da individuale diventa anche collettiva – Il gruppo sviluppa una missione – Il problem solving diventa un'attività full-time – L'efficacia viene misurata dai risultati collettivi Il gruppo di lavoro è caratterizzato da due fondamentali e interconnesse dimensioni: • La dimensione del fare insieme, legata all'operatività dinamica • La dimensione dello stare insieme, caratterizzata dalle relazione tra i membri Tipi di gruppi di lavoro in organizzazione La letteratura offre differenti tipologie mediante le quali classificare i gruppi di lavoro. Un esempio include sei differenti tipi di gruppo: – I gruppi action and performing affrontano le emergenze e le crisi – I gruppi advisory offrono consulenza – I gruppi menagement hanno compiti di gestione – I gruppi production si occupano della realizzazione di un prodotto – I gruppi project sviluppano idee – I gruppi service offrono assistenza Nelle organizzazioni in oltre è possibile distinguere – Gruppi formali: vengono esplicitamente istituiti i loro obiettivi, compiti e ruoli – Gruppi informali: si formano in modo spontaneo – Task forces: sono gruppi creati ad hoc in riferimento ad uno specifico obiettivo Il gruppo di lavoro nella teoria psicologica Tra i modelli proposti viene descritto in particolare quello di Quaglino che prevede lo studio di sette fattori principali di analisi di un gruppo di lavoro: – OBIETTIVO: si tratta di una variabile fondamentale in quanto giustifica e da senso all'esistenza di un gruppo di lavoro. Per obiettivo si intende l'espressione del risultato atteso dal gruppo di lavoro. Affinchè il gruppo sia efficace è necessario che l'obiettivo sia SMART: 1) Specifico 4) orientato al Risultato 2) Misurabile 5) legato al Tempo 3) Attuabile – METODO: può essere definito come il modo di funzionamento del gruppo di lavoro, caratterizzato da un lato dai principi e criteri che guidano l'attività del gruppo, dall'altro dalle modalità che strutturano e organizzano l'attività stessa. Le principali attività per le quali è fondamentale che il gruppo di lavoro definisca un metodo sono: - Analisi delle risorse e dei vincoli - Decisione - Discussione - Pianificazione - Problem Solving – RUOLI: possono essere definiti come l'insieme di comportamenti che ci si aspetta da parte di chi occupa una determinata posizione, assegnati a ciascuno in funzione del riconoscimento delle sue specificità. Alcune aree di gruppo di lavoro richiedono di essere presidiate attraverso ruoli ben precisi: - Area del risultato: presidiata dal conservatore e dal realizzatore - Area del lavoro: presidiata dal metodologo e dal negoziatore - Area delle relazioni: presidiata dal comunicatore e dal facilitatore - Area della qualità: presidiata dal creativo e dall'innovatore – COMUNICAZIONE: garantisce l'aggiornamento, orienta le relazioni, alimenta la collaborazione e il conflitto. Può essere definita come un processo interattivo, informativo e trasformativo, grazie al quale si realizzano il dialogo e la struttura di relazioni tra le persone. Le componenti principali del processo di comunicazione possono essere sintetizzate come: - Confronto e scambio - Esposizione - Ascolto - Feedback – CLIMA: si intende quell'insieme di elementi, sentimenti, percezioni dei membri che descrivono l'atmosfera che si respira nel gruppo. Alcuni indicatori in grado di esprimere il clima di un gruppo di lavoro sono: - Sostegno - Riconoscimento dei ruoli - Calore - Apertura e feedback – SVILUPPO: quando un gruppo si costituisce non esiste ancora una competenza cosiddetta gruppale. Nel momento in cui evolve in gruppo di lavoro si avvia un processo di sviluppo che porta alla costruzione di un sistema di competenze autonomo del gruppo. Tale sistema di competenze comprende: - Le conoscenze del gruppo - Le capacità di un gruppo di lavoro - Le qualità del gruppo: qualità di sistema, qualità relazionali e qualità di azione – LEADERSHIP: le variabili definite prima si distinguono in variabili di struttura (obiettivo, metodo, ruoli) e variabili di processo (clima, comunicazione e sviluppo). La leadership rappresenta la variabile di snodo tra questi insiemi di fattori. La leadership ha la funzione di garantire la sopravvivenza e la crescita del gruppo stesso. Possono esserci: - Leader funzionali: molteplici ruoli di leadership ricoperti da diversi membri - Leader istituzionale: vi è un solo leader – IL CICLO DI VITA DI UN GRUPPO: qualunque tipo di gruppo passa attrvaerso un cliclo di vita o di sviluppo che si articola in specifiche fasi. Uno dei modelli che raccoglie maggior consenso è quello di Tuckman: 1) Fase di forming: il gruppo si forma, i membri si incontrano per la prima volta 2) Fase di storming: emergono le differenze personali 3) Fase di norming: i membri sono pronti per definire i ruoli più adatti a ciascuno 4) Fase di performing: momento in cui i partecipanti portano avanti i compiti 5) Fase di adjourning: lavoro concluso, ognuno si sposta su nuovi compiti Evoluzioni del modello hanno evidenziato come spesso alla fase di performing i gruppi entrano in uno stato di decadenza: - De-norming: gli standard di comportamento vengono meno - De-storming: si prova senso di insoddisfazione - De-forming: il gruppo di lavoro si disgrega Le dinamiche di gruppo CAP. 9 LEADERSHIP La leadership è l'azione di avere seguito e al contempo di conseguire i risultati. Centrale è la relazione con i follower, che ha sempre più una sfumatura etica della trasparenza, dell'integrità, della fiducia e della giustizia. Alla difficoltà di definire la leadership si associa il tema della differenza tra leadership e management: Management Leadership Orientamenti Pianificare e gestire il budget Creare visione e strategia Scopi Organizzare e scegliere i collaboratori Costruire e consolidare una cultura condivisa Relazioni Sistema: dedicare attenzione agli oggetti, agire come capo Cultura: dedicare attenzione alle persone, ispirare e motivare, agire come facilitatore Risultati Potere di posizione: mantenere la stabilità Potere personale: guidare il cambiamento I primi studi: le teorie del “grande uomo” Tratti, motivazioni e abilità sono gli elementi distintivi dei primi studi sulla leadership: nella prima parte del Novecento lo sviluppo di procedure di valutazione psicometrica consentì di mettere a punto strumenti adatti allo studio della leadership. Le prime ricerche hanno definito l'approccio del “grande uomo”, concentrandosi sui leader che sono stati capaci di raggiungere un elevato livello di popolarità. Obiettivo degli studi che si collocano in questa prospettiva è individuare ciò che p distintivo di soggetti riconosciuti come grandi, differenziandoli da chi invece è considerato privo di leadership: lealtà, socialità, iniziativa, persistenza, autostima, prontezza, adattabilità, estroversione, mascolinità, dominanza, conservatorismo. L'approccio basato sul comportamento Lo studio di Lewin sugli studi di conduzione vede il tema della leadership sotto un'altra prospettiva: l'influenza dello stile di leadership sul comportamento: – Un leader autocratico tende a centralizzare l'autorità, che prende potere dalla posizione, lo gestisce attraverso il controllo, le ricompense e forme di coercizione – Un leader democratico è chi delega l'autorità agli altri, incoraggia la partecipazione e si affida alla conoscenza e alla competenza dei follower – Un leader laissez-faire fa riferimento alla tendenza del leader a essere passivo nella relazione con il gruppo, evitando di agire proattivamente e limitando le sue azioni all'intervento quando richiesto. I ricercatori del Michigan, invece, identificano due stili principali: – Centrato sul lavoro – Centrato sulla persona Likert aveva individuato quattro stili per cogliere l'atteggiamento del menagementi in azienda: – Autoritario minaccioso – Autoritario benevolente – Consultativo – Partecipativo L'università dell'Ohio invece individua due dimensioni: – Comportamento di realizzazione: comportamenti tesi alla realizzazione del compito – Comportamento di sostegno: comportamenti tesi al riconoscimento dei bisogni dei collaboratori Dagli stili di leadership all'approccio situazionale – Shmidt e Tanenbaum: il continuum della leadership rappresenta una descrizione degli stili di decisione del capo in relazione a due dimensioni opposte: a un estremo si ha una leadership centrata sul capo, dall'altro una leadership centrata sui subordinati. Quest'ultima è riconosciuta da Shimdt quella più capace di raggiungere il numero maggiore di obiettivi. Il modello è attento anche ai dati situazionali evidenziando: - manager - dimensione del gruppo di lavoro - collaboratori - dispersione geografica dei collaboratori - situazione - livello di preparazione dei collaboratori – Blake e Mouton: il loro modello riconosce la leadership come scelta di uno stile che oscilla tra due dimensioni: l'interesse per la produzione e l'interesse per le persone. Entrambi gli interessi sono misurati attraverso un questionario che consente di identificare diverse modulazioni dello stile di leadership: - il leader debole: ha punteggi bassi in entrambe le dimensioni - il leader manipolatore: è interessato alla produzione - il leader amichevole: interessato alla relazione con le persone - il leader moderato: ha un interesse intermedio - il leader della squadra: ha un elevato interesse sia per le persone che per la produzione – Fielder: propone il modello di contingenza. Riteneva che lo stile di leadership fosse stabile e solo in parte modulabile, distinguibile in due tendenze motivazionali: - Motivazione al compito - Motivazione alle relazioni Per determinare lo stile di leadership Fielder mise a punto il questionario LPC; gli stili devono essere valutati in relazione alle caratteristiche della situazione: - Relazione tra leader e follower - Struttura del compito - Potere di posizione – Hersey e Blanchad: propone la variabile della maturità dei collaboratori nell'affrontare il compito assegnato come determinante e come dimensione cruciale della situazione: - Prescrivere: collaboratori di basso livello di maturità; fornire istruzioni molto dettagliate - Vendere: con collaboratori di livello medio-basso; fornire specifiche istruzioni e sostenerli - Coinvolgere: livello medio-alto: poche indicazioni, concentrandosi solo sull'obiettivo - Delegare: livello alto; fornire ai collaboratori le informazioni da loro richieste Il modello path-goal e la teoria leader-member exchange” – MODELLO PATH-GOAL: il principale autore è House. Il modello tenta di individuare alcuni moderatori situazionali della relazione tra leadership orientata al compito e leadership orientata alla persona. Il leader è considerato responsabile della soddisfazione percepita e dei livelli motivazionali dei suoi collaboratori. I fattori situazionali sono ricondotti alle caratteristiche dei collaboratori. Una volta definita la situazione in funzione dei fattori il modello consente di individuare lo stile più adeguato: - Direttivo: appropriato quando i follower richiedono una leadership autoritaria - Di sostegno: quando i follower hanno un locus of control interno, sono competenti - Partecipativo: quando i follower vogliono essere coinvolti - Realizzativo: quando i follower sono aperti ad una leadership autoritaria – LEADER-MEMBER ECHANGE (LMX): l'oggetto di studio è la relazione diadica tra leader e follower. La formulazione della diade verticale è un processo intrapreso dal leader per delegare e assegnare ruoli di lavoro. Il risultato può essere di due tipi: - In-group exchange (partnership caratterizzata da reciprocità e condivisione - Out-group exchange (leader esprime bisogno di controllo) L'efficacia della relazione è legata al supporto organizzativo percepito dai leader stessi; il modello sottolinea l'importanza della qualità relazionale tra leader e follower Dalla leadership transazionale alla leadership trasformazionale Il superamento della leadership situazionale apre a un nuovo modo di pensare e parlare di leadership. In tale contesto alla leadership sono poste nuove richieste sia sul fronte del raggiungimento degli obiettivi, sia su quello della motivazione delle persone. Il primo cambiamento è nell'etichetta: transformazionale. I modelli precedenti si concentrano sulla leadership transazionale, ossia sulla transazione interpersonale tra leader e collaboratori. I leader sono visti come professionisti, impegnati in comportamenti che mantengono un'interazione di qualità. Le caratteristiche fondamentali della leadership transazionale sono relative all'uso di sistemi di ricompensa contingenti. Diversamente, la leadership trasformazionale enfatizza il comportamento simbolico del leader, i messaggi visionari e ispirazionali, la comunicazione non verbale, il richiamo ai valori e la motivazione dei collaboratori a un livello intellettuale ed emozionale. La leadership è definita come una relazione che si pone in tensione verso la trasformazione dei collaboratori. Il leader trasformazionale è colui che riconosce i bisogni dei follower e sa trasformare i propri follower in nuovi leader. I quattro I di Bass rappresentano il modello di leadership trasformazionale più noto: – La considerazione Individuale: fa riferimento alla comunicazione personalizzata – La stimolazione Intellettuale: considerata la via per dare energia – La motivazione Ispirazionale: fa rifermineto all'azione di dotare il lavoro di significato – L'influenza Idealizzante: chiama in causa l'attenzione alla fiducia Fra gli altri elementi che si aggioungono alla leadership transformazionale, transitando verso una leadership empowering: – La costruzione del significato e il coinvolgimento attraverso il consolidamento della fiducia – La cultura come elemento che la leadership può creare, gestire e modificare – Il cambiamento di anticipare, guidare, sostenere e consolidare – L'apprendimento da stimolare e promuovere Leadership empowering e team leadership L'empowerment è divenuto un tema cruciale negli studi organizzativi: sempre più persone reclamano maggiore potere nelle loro vite, maggiore partecipazione e coinvolgimento a diversi livelli. Quinn e Spreitzer evidenziano come l'empowering sia un obiettivo e una dimensione trasversale del leader. Alla leadership è chiesto di essere empowering attraverso alcuni comportamenti principali: – Fare in modo che i collaboratori ricevano informazioni puntuali e continue – Fare in modo che i collaboratori possano apprendere conoscenze e competenze adeguate – Dare ai collaboratori il potere di prendere decisioni significative – Aiutare i collaboratori a comprendere il significato del loro lavoro – Riconoscere il contributo dei collaboratori La centralità dell'empawerment si accompagna alla specificità della team leadership: la sua efficacia si fonda su un insieme di comportamenti quali: – Riconoscere i bisogni individuali – Identificare i punti di forza – Costruire e consolidare la fiducia – Sviluppare le capacità del team di anticipare e affrontare il cambiamento – Delegare e condividere la responsabilità – Ispirare e motivare il team verso livelli di prestazione sempre maggiori – Riconoscere i risultati raggiunti La leadership autentica Il concetto di autentiità associato alla leadership si fonda su un ampio spettro di contributi: Avolio, Burns distingue tra: – Follower passivi, per identificare coloro i quali forniscono un indifferenziato supporto in campo di favori – Follower partecipativi che amano far parte del gruppo di lavoro – Close follower che sono in genere leader essi stessi ma subordinati a un capo Kelley e il potere della followership Identifica cinque profili di follower – Passive: manca di pensiero critico e allo stesso tempo dimostra estrema passività – Alienated: è una persona passiva e poco motivata, ma indipendente e critica nelle modalità di pensiero – Conformist: è un individuo attivo ma sostanzialmente dipendente e un pensatore acritico – Pragmatic suvivor: in grado di adattare e modificare il proprio comportamento e stile di followership a seconda della contingenza – Effective: è un follower indipendente e creativo, dotato di coraggio e forte senso dell'etica Kellerman: followership ed engagement Kellerman ha proposto un modello fondato sul concetto di engagement. L'autrice classifica i differenti tipo di follower sulla base del posizionamento lungo un continuum, dal non sentire o fare niente all'essere appassionatamente impegnati e coinvolti: – Gli isolate sono distaccati: sono scarsamente consapevoli di quanto accade intorno a loro. Non sono interessati a i leader, ne a conoscerli o rispondergli. – I bystander osservano ma non partecipano: decidono deliberatamente di rimanere in disparte e non esprimere alcun tipo di coinvolgimento – I partecipant sono in qualche modo coinvolti: indipendentemente dal fatto che questi follower supportino o no l'organizzazione e i leader sono abbastanza interessati per partecipare alle attività – Gli activist si sentono fortemente coinvolti dal leader e dall'organizzazione e agiscono di consegrenza. Sono follower appassionati, energetici e coinvolti – I dehard sono pronti a morire per la causa, sia essa un individuo, un'idea o le due cose insieme Potter, Rosenbach e Pittman: l'iniziativa dei follower Inidivduano nell'iniziativa l'aspetto cruciale per saminare comportamenti di followership efficaci. L'iniziativa si esplica su due versanti: – Performance iniziative PI: ha a che fare con la prestazione fornita e include: - svolgere il proprio lavoro con competenza - operare efficacemente con gli altri - riconoscere nella propria persona una risorsa - abbracciare il cambiamento – Relationship initiative RI: riguarda la relazione e comprende: - identificarsi con il leader come partner in success - costruire fiducia - comunicare in modo onesto - negoziare le differenze Dall'incrocio di queste due dimensioni derivano quattro stili di follower: – Subordinate: bassa PI e bassa RI – Politician: bassa PI e alta RI – Contributor: alta PI e bassa RI – Partner: alta PI e alta RI Tipologie comportamentali prescrittive Gli studi di Chaleff pongono l'accento sul coraggio: l'autore descrive cinque dimensioni nelle quali il coraggio espresso dal follower può declinarsi – Fornire supporto al leader – Assumersi responsabilità per metà condivise – Sfidare il leader costruttivamente – Partecipare ad ogni trasformazione necessaria a migliorare la relazione – Prendere una posizione in senso morale per mantenere un atteggiamento etico La prima e la terza definiscono gli assi della tipologia di follower di Chaleff: – Resource: basso supporto e bassa sfida – Individualist: basso supporto e alta sfida – Implementer: alto supporto e bassa sfida – Partner: alto supporto e alta sfida Teorie situazionali Sono teorie che si occupano di descrivere la followership in relazione alle caratteristiche del contesto in cui la relazione leader-follower prende forma. – Stile partecipativo, in cui il leader condivide le idee e facilita la presa di decisione – Stile selling: può migliorare l0efficacia di un follower passivo che necessiti di direzione e guida – Stile telling: potrebbe potenziare dei collaboratori conformisti Una definizione univoca Gli elementi che ricorrono nelle diverse concettualizzazioni sembrano essere tre: – Asimmetria – Condivisione di un obiettivo comune – Possibilità per i follower di esercitare un'influenza sul leader CAP. 11 CAMBIAMENTO E SVILUPPO ORGANIZZATIVO In un contesto in continua evoluzione, diventa fondamentale la capacità di favorire e sostenere programmi di cambiamento, sia pianificati sia come reazioni a improvvisi eventi non prevedibili. Tra le principali spinte verso il cambiamento organizzativo, vi sono la globalizzazione, le nuove tecnologie, le nuove caratteristiche della forza lavoro. Gli attori organizzativi si muovono verso una condizione in cui la rapidità, la tempestività, la gestione dell’urgenza e la velocità di esecuzione della propria risposta sono caratteristiche fondamentali per il mantenimento della posizione sul mercato. Le spinte interne sono perlopiù connesse con la gestione delle Risorse umane, le spinte esterne con i mutamenti dei mercati e con pressioni politiche e sociali. Definizioni di cambiamento Come afferma Quaglino (1990), il cambiamento nelle organizzazioni è un atto pianificato e deliberato caratterizzato da un “passaggio” o da una “transizione” (movimento) nel tempo da uno stato presente A (collocato al tempo 1) a uno stato futuro B (collocato al tempo 2). Lo stato A è caratterizzato dall’insorgenza di una situazione di funzionamento problematico che interferisce con la stabilità o col miglioramento della prestazione dell’organizzazione; lo stato B rappresenta la situazione auspicata in cui l’organizzazione riacquista la sua stabilità oppure raggiunge il livello di prestazione atteso attraverso l’introduzione di una o più innovazioni. Il cambiamento è quindi un intervento volto ad affrontare una situazione critica, agendo sul sistema tecnico o sociale. – Il cambiamento organizzativo è un atto intenzionale in cui si combinano capacità diagnostica, per comprendere le nuove esigenze organizzative, e abilità tecnica, per progettare interventi trasformativi. – Il cambiamento accidentale accade spontaneamente in modo casuale e non rimane che minimizzare le conseguenze negative e massimizzare ogni beneficio ottenibile, per cui non si può parlare di vero e proprio cambiamento. – Il cambiamento pianificato è invece il risultato di uno specifico sforzo da parte di agenti di cambiamento ed è la risposta alla percezione di una discrepanza, in termini di prestazione; uno scarto che può rappresentare un problema da affrontare, o un’opportunità da esplorare. I contenuti del cambiamento sono le attrezzature e i flussi di lavoro, il sistema gestionale, i piani strategici e operativi, la cultura organizzativa, i processi e l’ambiente di lavoro, la struttura e le strategie organizzative, la mission e gli obiettivi strategici, l’organizzazione del gruppo. Modelli di cambiamento: il modello di Lewin Lewin propone un modello dinamico del comportamento dei gruppi che punta l’attenzione sulla tendenza a mantenere uno stato di equilibrio costante nel tempo (omeostasi), anche in presenza di spinte al cambiamento. Lo studioso definisce il cambiamento come una temporanea instabilità che agisce sull’equilibrio esistente e considera il suo modello più come una teoria della stabilità che del cambiamento. Ogni organizzazione presenta, infatti, forze per il cambiamento e forze per la stabilità. Partendo da un’ipotetica situazione di equilibrio, le spinte al cambiamento iniziano ad agire scontrandosi con le resistenze che vengono opposte al cambiamento stesso (tempo 1). Quando le spinte riescono a sconfiggere le resistenze, si verifica la fase di scongelamento (unfreezing). La fase dello scongelamento si verifica quando si realizza la rottura dell’equilibrio esistente e il management è chiamato a individuare tali fonti di insoddisfazione per attivare lo scongelamento, agendo sulle spinte e inibendo le resistenze al cambiamento; quando lo scongelamento della situazione è avvenuto, si dirige il cambiamento attivando specifiche azioni di cambiamento che coinvolgono attori, compiti, strutture (seconda fase del processo); attraverso questa fase è possibile esercitare una certa influenza sulla direzione che prenderà il sistema sbilanciato, potendo agire sia sui singoli attori organizzativi in termini di nuovi modelli di comportamento, sia sulle strutture organizzative in generale; solo se sarà stato raggiunto un nuovo equilibrio, avrà luogo la fase di ricongelamento (refreezing) (terza fase del processo). qualitativa. È una pratica riflessiva e di cooperazione. A differenza della ricerca in laboratorio, la RA si svolge in contesti inevitabilmente attraversati da ambiguità e imprevedibilità, con interazioni precarie e convergenze non sempre stabili. Lo sviluppo della ricerca è collettivamente negoziato dai soggetti organizzativi, che sono co-ricercatori. Per la costruzione di questa condizione di libertà e di cooperazione è quindi fondamentale costruire un setting in grado di facilitare la nascita e la crescita di rapporti costruttivi e produttivi tra tutti gli stakeholder del progetto di ricerca, sia che siano nel gruppo di lavoro di ricerca sia che siano collocati al suo esterno. Ogni RA segue un ciclo che si basa su: - diagnosticare (identificare o definire un problema) - pianificare l’azione (considerare corsi d’azione alternativi) - agire (selezionare un corso d’azione) - valutare (studiare le conseguenze di un’azione) - esplicitare gli apprendimenti (identificare risultati generali) Le prospettive – La RA classica sperimentale di Lewin: la realtà sociale è fuori, cognitivamente accessibile perchè indipendente dal ricercatore. – L'action Science di Aryris e Schon: si pone l'obiettivo di accedere induttivamente alla cultura dei partecipanti alla ricerca, operando all'interno del contesto naturale – RA partecipativa: pongono enfasi sulla dimensione partecipatoria e il forte orientamento democratico. Il ricercatore si allontana dal ruolo di esperto che osserva in maniera distaccata per diventare un facilitatore – RA post-moderna decostruttivista di Barry e Treleaven: sostengono l'impossibilità di affidare al linguaggio la capacità di arrivare a una rappresentazione certa del linguaggio e ipotizzano che i discorsi che costruiscono gli oggetti popolano le iper-realtà, quali conoscenza, verità e realtà, che diventano entità linguistiche costantemente soggette a revisione CAP. 12 PRENDERE DECISIONI NELLE ORGANIZZAZIONI Definizione ed elementi costitutivi Una definizione di decisione può essere: il processo che comporta l'individuazione e la scelta tra soluzione alternative per giungere a una situazione auspicata. Le caratteristiche fondamentali delle decisioni costituiscono le dimensioni dell'organizzazione, influenzandosi a vicenda. Le 3 principali dimensioni di una decisione sono: • Rilevanza. La rilevanza di una decisione ne specifica l’impatto su tutta l’organizzazione; • Temporalità. Questa dimensione esprime il periodo di tempo in cui si avvertiranno le conseguenze; • Contesto. Le condizioni ambientali in cui viene presa una decisione possono influenzare la possibilità di reperire le informazioni necessarie alla definizione del problema e delle possibili soluzioni. L’interazione tra le 3 dimensioni individua 2 grandi famiglie di decisioni: • Le decisioni programmate: affrontano i problemi strutturati, ovvero di routine, ben conosciuti, richiedendo di scegliere la procedura standard pianificata in anticipo più adatta ad affrontare il problema in questione. Hanno effetti a breve termine, non comportano particolari rischi. • Le decisioni non programmate: affrontano problemi non strutturati, ovvero situazioni inaspettate su cui si possiedono poche informazioni e che non è possibile affrontare con le procedure standard, richiedendo invece una soluzione originale e innovativa, “su misura”. Questo tipo di decisione si articola a sua volta in: - Decisioni tattiche: non devono affrontare grandi problematiche, ma questioni con effetti a breve-medio termine - Decisioni strategiche: hanno la più ampia rilevanza e il più alto livello di rischio Modelli di decision marketing: modello razionale Il primo modello assume che l’essere umano sia un decisore perfettamente razionale, e per questo è stato chiamato modello razionale, o normativo, o classico. Si tratta di un modello prescrittivo, che indica il processo che i decisori devono seguire per raggiungere la soluzione che soddisfa il principio della massimizzazione dei risultati. Questo modello consiste in una serie ordinata di fasi. Qui è proposta una versione in 8 passaggi: – Ricognizione del problema – Definizione del problema e degli obiettivi. – Definizione dei criteri della decisione – Generazione delle alternative. – Valutazione delle alternative – Scelta della soluzione – Implementazione della soluzione – Valutazione e controllo della decisione. L’efficacia del processo decisionale razionale si basa su diversi presupposti rispetto al decisore: • Razionalità assoluta del decisore: con illimitate capacità di analisi e di calcolo; • Indipendenza del decisore dall’ambiente in cui è inserito • Irrilevanza dello stato emotivo: le emozioni e i sentimenti non influenzano le sue capacità; • Disponibilità totale delle informazioni • Capacità di valutare le informazioni “in parallelo” I modelli di decision making: modello della razionalità limitata Simon dimostrò che la rappresentazione del decisore come “scienziato infallibile” era inadeguata, e la sostituì con quella di un decisore che dispone di una razionalità limitata e intenzionale. Secondo Simon, pur aspirando a decidere nel modo più razionale possibile, gli individui sono limitati da costrizioni interne ed esterne, a differenti livelli: – Elaborazione delle informazioni: le informazioni necessarie per trovare una soluzione ottimale superano la reale capacità di elaborazione degli individui, perciò essi tendono ad accontentarsi di una quantità di informazioni gestibile. – Utilizzo delle euristiche: le euristiche sono strategie generali di comportamento costruite a partire dai dati immagazzinati nella memoria a lungo termine a seguito delle esperienze passate. Consentono una buona probabilità di trovare soluzioni soddisfacenti – Principio della soddisfazione: non si dispone sempre di risorse e di tempo sufficienti per la soluzione ottimale, e può accontentarsi della prima soluzione che risponda ai criteri minimi. Il modello di Simon è di tipo descrittivo anziché prescrittivo: – Ricognizione del problema - Definizione del problema e degli obiettivi – Definizione dei criteri della decisione - Generazione delle alternative – Implementazione della soluzione di scelta - Valutazione e controllo della decisione – Valutazione delle alternative e scelta della soluzione Il modello di Simon risulta più adatto di quello classico a dar conto di certe scelte poco ragionevoli in cui si esprime l’”irrazionalità” delle organizzazioni. Altri modelli di decision making Thompson e Tuden (1960) hanno messo a fuoco il tema del disaccordo rispetto agli obiettivi da raggiungere, che determina ambiguità, e al metodo per conseguirli, che determina incertezza, proponendo una matrice di analisi che individua 4 diverse situazioni e altrettanti modelli decisionali a esse: 1) Modello razionale: è la situazione che presuppone l’accordo, completo o sufficiente, sugli obiettivi e sui metodi. 2) Modello incrementale (o metodo prova/errore): è il modello su cui si basa la decisione quando tutti gli attori coinvolti nel processo decisionale sono d’accordo sugli obiettivi da raggiungere ma non sul metodo da utilizzare. 3) Modello politico: descrive le situazioni in cui c’è accordo sui metodi, ma non sugli obiettivi, spesso inconciliabili perché ciascun decisore cerca il proprio vantaggio o quello della propria coalizione. Anziché puntare a risolvere il problema, il processo decisionale consiste nella ricerca di alternative 4) 4) Modello del cestino della spazzatura: quando non esiste accordo né sugli obiettivi, né sui metodi per raggiungerli. Cohen, March e Olsen hanno definito questi contesti “anarchie organizzative”, e li hanno descritti mediante questo modello, secondo il quale le decisioni sono il risultato di una complessa interazione tra 4 correnti di eventi indipendenti: • I problemi rappresentano un divario tra la situazione presente e la condizione desiderata. • Le soluzioni sono le idee che scorrono continuamente all’interno dell’organizzazione. • I partecipanti sono le persone che fanno funzionare le organizzazioni. • Le opportunità sono le occasioni in cui ci si aspetta che un’organizzazione prenda una decisione: alcune si presentano regolarmente, altre sono il risultato di crisi. L’interazione tra le 4 correnti di eventi indipendenti è fortuita e rende il processo decisionale l’esito di un incontro casuale. Le anarchie organizzative diventano un “cestino della spazzatura”, e le buone decisioni vengono prese quando le correnti di eventi si incontrano nel momento giusto. Le influenze sul processo decisionale Le ricerche che hanno analizzato le limitazioni e gli errori propri del processo decisionale hanno Quindi riformulò il fenomeno definendolo “Polarizzazione di gruppo”: l'interazione di gruppo sposta le posizioni degli individui, ma la tendenza al rischio o alla cautela dipende da diverse variabili Teoria della descrizione prescrittiva: PDT Bordley ha cercato di superare la dicotomia tra modelli prescrittivi e modelli descrittivi proponendo la teoria della decisione prescrittiva: è un modello di decisione, assumendo le influenze interne ed esterne che intervengono nella decisione, propone dodici passaggi che consentono di prendere una buona decisione. 1. Definire correttamente il problema 2. Utilizzare il brainstorming per identificare tutte le questioni aperte e la sequenza delle diverse scelte da compiere 3. Condurre un'analisi approfondita degli obiettivi chiave 4. Identificare tutti i fattori che potrebbero influire sul raggiungimento degli obiettivi definiti 5. Riconoscere quali di questi fattori sono controllabili e quali no 6. Specificare un piano di emergenza da attivare in assenza di ulteriori analisi 7. Utilizzare il brainstorming per ceare diverse alternative al piano d'emergenza 8. Utilizzare il brainstorming per prevedere i possibili esiti dei fattori incontrollabili legati al processo decisionale 9. Costruire un modello che specifichi i vantaggi di ogni alternativa e quanto questa incontri le specifiche organizzative 10. Identificare i fattori (controllabili e incontrollabili) realmente decisivi 11. Costruire un modello basato solo su questi fattori decisivi 12. Definire la decisione finale integrando al suo interno i migliori aspetti di tutte le alternative analizzate Il principale punto di forza della PDT è rappresentato dalla possibilità di sintetizzare una soluzione capace di trarre i suoi elementi costitutivi da tutte le alternative a disposizione. CAP. 14 LA QUALITÀ NELLE ORGANIZZAZIONI La qualità viene oggi richiamata nei contesti organizzativi attraverso il suo marchio di riconoscimento ufficiale, rappresentato dalla certificazione. La qualità nasce con l’intento di fornire un elemento di garanzia del prodotto e del servizio e/o del processo di produzione/erogazione. Se agli inizi del 900 la qualità era legata alla difettosità o meno di un prodotto, oggi è un concetto che va oltre la tangibilità e la fisicità, proiettandosi verso la sfera dell’eccellenza e dell’immaterialità. La registrazione di dati e informazioni e l’adozione di strumenti di misura, nelle aziende più grandi, hanno dato avvio all’applicazione della statistica nel controllo di qualità. Si è passati quindi dal controllo di qualità all’assicurazione di qualità, come tecnica orientata a monitorare il processo produttivo e a istituire azioni correttive finalizzate a ridurre i costi della presenza di difetti. La qualità assume progressivamente un significato molto più ampio che comprende il risultato (prodotto/servizio), ma anche i processi, ovvero le modalità organizzative con le quali si è ottenuto. Le principali diversità tra il modello di impresa tradizionale di derivazione tayloristica e fordista e il modello di impresa CWQC sono: • Priorità al profitto VS priorità alla soddisfazione del cliente, • Qualità come ostacolo alla produttività con costi aggiuntivi VS qualità come investimento e fattore di riduzione dei costi, • La qualità riguarda il prodotto VS la qualità riguarda tutta l’organizzazione, • La qualità si basa sul miglioramento condizionato VS la qualità si basa sul miglioramento continuo e pianificato, • Enfasi sull’azione VS enfasi sulla pianificazione, azione, verifica e standardizzazione del’azione organizzativa. L’espressione “qualità totale” significa che la ricerca della qualità deve essere perseguita da tutti i soggetti dell’organizzazione lungo tutto il processo produttivo. Le responsabilità vengono così suddivise tra tutti e ognuno deve sentirsi coinvolto come parte integrante nella gestione dell’organizzazione. Anche i singoli individui devono quindi essere trattati secondo regole ispirate ai principi della qualità. È la dimensione soggettiva, che costituisce il tessuto connettivo dell’organizzazione giocando un ruolo centrale nel divenire della qualità: la qualità totale. La qualità e il cliente Dal punto di vista del cliente, la qualità può assumere diverse sfumature, a seconda che si tratti di: • Qualità attesa: può essere espressa oppure implicita, cioè data per scontata anche dallo stesso cliente; • Qualità progettata: quella che l’organizzazione si propone di raggiungere. • Qualità erogata: è associata a un prodotto o a un servizio in fase di erogazione. Il divario tra ciò che l’organizzazione ritiene che il cliente debba ricevere (qualità progettata) e ciò che l’organizzazione realmente fornisce (qualità erogata) è definibile un gap di realizzazione; • Qualità percepita: quella che il cliente riscontra nel prodotto o nel servizio fornito. La qualità percepita è sintesi di aspetti oggettivi e soggettivi. La distanza tra la qualità erogata e la percezione che di essa ha il cliente (qualità percepita) è definita gap di comunicazione; • Qualità confrontata, quella che il cliente confronta riferendosi a esperienze precedenti, che egli stesso ritiene assimilabili. Il sistema qualità Il Sistema qualità (Quality management system) è un insieme di attività coordinate per dirigere e controllare l’organizzazione, al fine di migliorare continuamente l’efficacia e l’efficienza delle sue prestazioni: Il quality management system soddisfa due importanti esigenze: – Le esigenze dei clienti, le loro aspettative; – Le esigenze dell’organizzazione, che ha come obiettivo il miglior utilizzo delle risorse disponibili a un costo ottimale. Il quality management system può essere suddiviso in 4 componenti attive: • Enti normatori, che hanno la funzione di realizzare e armonizzare standard internazionali, cioè regole uniformi per tecnologie simili in regioni o paesi differenti. • Enti di accreditamento, che sono autorizzati a riconoscere formalmente che un altro ente è in grado di svolgere compiti specifici • Enti di certificazione, che sono organizzazioni preposte a verificare che la norma adottata da un’azienda sia conforme ai requisiti richiesti e che le procedure previste siano applicate. • Le aziende. L’adozione delle norme da parte delle aziende è volontaria, ed è motivata da esigenze di carattere esterno (immagine, contratti, fiducia) o di carattere interno (verifiche dell’operato, correzione, obiettivi I caratteri distintivi della qualità totale Nell’approccio organizzativo ispirato alla qualità totale è possibile individuare 3 caratteristiche distintive: i principi, le pratiche e le tecniche. I PRINCIPI sono implementati da attività semplici, le pratiche, e supportati dalle diverse tecniche. Si declinano in: 1. Attenzione al cliente: è un principio che ispira le organizzazioni con visioni di lungo periodo, cioè che ritengono fondamentale elemento di successo la soddisfazione dei propri clienti. 2. Principio di miglioramento continuo: riguarda i processi che compongono il sistema organizzativo; le pratiche quindi si concentreranno sull’analisi dei processi e sulla soluzione dei problemi, con il ciclo plan-do-check-act (PDCA) di Deming (o “ciclo di Deming” o “ruota di Deming”), composto di 4 parti: - plan (la pianificazione: individuare il problema e gli obiettivi e proporre strategie), - do (l’implementazione: l’attuazione delle azioni pianificate), - check (la verifica : misurazione e monitoraggio delle azioni intraprese), - act (il consolidamento dei risultati raggiunti); 3. I gruppo di lavoro: tutti i membri, indipendentemente dal ruolo, possono dare il loro contributo per il successo dell’impresa; le pratiche comprendono la formazione di gruppi di problem solving, e il training per lo sviluppo di abilità; le tecniche sono mutuate dal team building. Il Total quality managment Il Total quality management è una strategia manageriale volta a diffondere la consapevolezza della qualità in tutti i processi organizzativi. Gli elementi chiave del total quality management sono: • I valori di base, comuni e diffusi a tutti i soggetti aziendali interni ed esterni • La strategia operativa, orientata al perseguimento della qualità • Il miglioramento continuo, tendente all’eccellenza, obiettivo virtualmente irraggiungibile poiché, nel momento in cui fosse raggiunto, diventerebbe migliorabile per definizione • Il coinvolgimento di tutte le componenti dell’organizzazione, affinché il perseguimento della qualità da processo subito diventi processo agito • Il kaizen contrapposto al breaktrhough: secondo il breakthrough l’innovazione è un evento singolo che si manifesta in grandi rivoluzioni; secondo il kaizen l’innovazione è un processo costante e per piccoli passi. Il modo di intendere l’innovazione come kaizen è forse l’apporto più significativo della cultura giapponese al total quality management: esso origina dalla consapevolezza che il divenire dell’uomo è il risultato del piccolo contributo di tutti. L’applicazione evoluta del total quality management, che Cole (2000) definisce “nuovo modello” in antitesi al “vecchio modello”, è più spinta verso la soddisfazione del cliente, intendendo per cliente non solo i fruitori esterni all’organizzazione, ma anche il cliente interno, cioè i dipendenti e i collaboratori. In questa accezione le azioni manageriali sono orientate alla prevenzione, all’integrazione della qualità in tutte le funzioni aziendali, alla cooperazione e all’incentivazione. Eston e Jarrel sintetizzano le caratteristiche chiave del sistema di gestione Total quality L'approccio psicodinamico La prospettiva psicodinamica recupera l’antico significato di emozione associandolo a quello derivante dal più recente francese émotion. Ne consegue una visione plastica e dinamica delle emozioni, che hanno in sé l’energia del “movente” (non a caso emozione e motivazione hanno la stessa radice etimologica). In psicoanalisi le emozioni sono dunque un impulso profondo che spinge. Le emozioni rappresentano il collante dei gruppi, ma sono anche le forze che portano alla distruzione. In quest’ottica, un comportamento sbagliato è sempre il prodotto di una qualche emozione e non il risultato di un’intenzione errata perché viziata in partenza dalla scarsità di elementi conoscitivi. L’ansia è l’emozione posta in primo piano negli studi classici psicodinamici dei contesti organizzativi. l tema dominante è coinciso con la convinzione che gli individui costruiscono e costituiscono le organizzazioni per ripararsi da 2 tipi di ansie: – Ansie paranoidi, ossia le forme più primitive di angoscia, che coincidono con la paura di essere annientati e distrutti, – Ansie depressive, vale a dire i profondi timori per la perdita di un oggetto desiderato e amato. Le due forme di ansia giocano un ruolo fondamentale per tutta la vita di un individuo, assoggettandolo a meccanismi di difesa concepiti come forme di protezione dal riaffiorare di quelle ansie primordiali. Jaques sostiene che le istituzioni sono il mezzo di cui i loro singoli membri si servono per rafforzare i meccanismi individuali di difesa contro l’ansia, e in particolare contro il riaffiorare delle prime ansie paranoidi e depressive. In tal senso si può pensare che gli individui esteriorizzino quegli impulsi e oggetti interni che altrimenti darebbero origine a un’ansia psicotica, e li facciano confluire nella via delle istituzioni sociali di cui entrano a far parte. L’autore sottolinea la visione strumentale dell’organizzazione: gli individui si utilizzano reciprocamente, caricando tra loro le relazioni di significati che “disturbano” la relazione stessa. L’organizzazione offre meccanismi di difesa dalle forme di angoscia primaria, ma nelle sue dimensioni di struttura e modalità di coordinamento e controllo delle attività produce un effetto controintuitivo, ossia diventa essa stessa fonte di ulteriore ansia. – Freud concepisce le emozioni in termini dinamici, potendo esse cambiare oggetto e trasformarsi sia in altre emozioni, sia soprattutto in altre forme d’ansia. – Baum ha trovato nelle organizzazioni burocratiche delle caratteristiche che le rendono luoghi dove l’ansia può attecchire facilmente e diventare un disturbo tossico. Una specificità della burocrazia è il massiccio ricorso alla gerarchia, che concentra il potere nelle mani di pochi e parallelamente definisce in modo ambiguo le responsabilità. Questi due aspetti creano uno spazio psicologico vuoto che viene colmato dalle fantasie che alimentano emozioni intense. L'approccio costruttivista La prospettiva costruttivista sostiene che le emozioni sono apprese nei contesti sociali e organizzativi, e che alla loro espressione sono associate reazioni corporee, anch’esse apprese (“inculcate”), ma con un significato che dipende dalle particolari circostanze e dalle interazioni discorsive degli attori organizzativi. Nelle organizzazioni, i soggetti sono sospesi o intrappolati in un intreccio di emozioni e sentimenti inscritti nel linguaggio appreso durante i processi di socializzazione culturale. Sono centrali il lessico e i racconti che veicolano significati emotivi, e che sono carichi di significati sociali. Ciò comporta che si attribuisca un valore positivo o negativo alle emozioni in relazione al contesto culturale in cui esse si presentano. I concetti elaborati sono: • La fatica o lavoro emotivo: (emotion work) è quello sforzo psicologico che gli individui sostengono per gestire la discrepanza tra i sentimenti più sinceri che provano e le emozioni lecite nei contesti organizzativi. • L’emotion work diventa emotional labour (lavoro emozionale) quando l’espressione di un sentimento viene richiesta dal lavoro o dal ruolo ricoperto: in queste situazioni i soggetti alterano intenzionalmente il loro stato emotivo. • Quando la tensione tra emotion work e emotional labour diventa insostenibile il rischio è la caduta nel burnout, nello stress lavorativo e nell’alessitimia (un insieme di deficit della competenza emotiva ed emozionale, palesato dall'incapacità di mentalizzare, percepire, riconoscere e descrivere verbalmente i propri e gli altrui stati emotivi), come risultato di questa dissonanza emotiva. I tre concetti di emotion work, emotional labour e emotional script (copione emozionale) gettano luce sull’ipocrisia emotiva, nel senso dell’antico greco Hypokrisis, ossia “recitare una parte su un palcoscenico”, in questo caso quello dell’organizzazione. Nei contesti organizzativi, alcune aree emotive (emotional zones) sfuggono al controllo. I setting organizzativi sono infatti socialmente costruiti secondo le categorie di pubblico/privato, esposto/protetto, indifeso/sicuro, back stage/front stage. I due approcci condividono la distinzione tra carattere pubblico (manifesto ed esibito) e dimensione soggettiva delle emozioni, che possono essere in opposizione tra loro, ma differiscono soprattutto nelle qualità che attribuiscono alle emozioni: ordinate, regolate da norme culturali e prevedibili (visione costruttivista); imprevedibili, incontrollabili e irrazionali (visione psicodinamica). La psicoanalisi mette in guardia rispetto al fatto che le emozioni possono essere sempre manipolate e controllate da norme. La vita organizzativa è soffusa di emozioni; decisioni, azioni e prodotti del lavoro sono sempre investiti da sentimenti. CAP. 16 PSICOLOGIA DEI CONSUMI E DEL MARKETING DA UNA PROSPETTIVA ORGANIZZATIVA Introduzione: assunti fattuali e teorici Nella psicologia dei consumi, nelle sue relazioni applicative al marketing, a partire da un punto di vista mutuato dalla psicologia delle organizzazioni sembrano evidenti alcune “radici comuni”: – Organizzazione come artefatto generato dal campo sociale e regolato nei suoi sviluppi/mutamenti dalle dinamiche di campo, con un ancoraggio forte alle dimensioni concrete, storiche del fenomeno; – Organizzazione come fenomeno complesso sul piano dei fini, della struttura, del funzionamento; – Specificità di funzionamento dei soggetti posti in contesti organizzati; – Reciprocità di influenzamento fra individui e organizzazioni, da cui l’analisi del fenomeno focalizzata sulla relazione di interdipendenza. Lo statuto della psicologia delle organizzazioni quale oggi si configura nel nostro paese sembra permettere una migliore comprensione dei “nuovi fenomeni”, oggi per lo più oggetto di analisi autoreferenziali di tipo specialistico. In questa prospettiva, la psicologia dei consumi, nella sua dimensione teorica e di applicazione al marketing, può rappresentare un’area di prova per esplorare i vantaggi ottenuti da una rilettura del fenomeno di consumo in prospettiva organizzativa. I percorsi della psicologia dei consumi: polarizzazioni La psicologia dei consumi si configura come un corpus di conoscenze disomogeneo, caratterizzato da un marcato pluralismo teorico-metodologico e regolato da forti polarizzazioni e tensioni interne, tra cui: – Il rapporto fra saperi di base e saperi locali. Ne consegue un intreccio tra due sviluppi disciplinari molto diversi: uno applicativo di categorie e teorie mutuate dalla psicologia di base sul funzionamento della mente/comportamento umano, l’altro orientato a costruire in modo autonomo e autogeno le proprie teorie, a partire da un sapere locale generato direttamente in rapporto al fenomeno del consumo “grounded”. A Katona si deve la prima costruzione sistematica di una psicologia dei comportamenti economici e di consumo, con un’analisi sul comportamento del consumatore psicologicamente fondata. A fronte di un homo oeconomicus, proposto dalla visione neoutilitarista, astratto e imperturbabile calcolatore dell’utilità connessa alle varie opzioni di scelta, Katona evidenzia un homo psychologicus, caratterizzato da: - un modello di funzionamento complesso (la nozione di consumer sentiment da lui proposta si configura come un costrutto di sintesi articolato su dimensioni integrate da un mood emotivo ottimismo vs. pessimismo); - criteri di valutazione e di giudizio non metrici, ma ancorati a confronti storici e al flusso di esperienza; - propensione a formulare previsioni sul futuro e a orientare il proprio comportamento sulla base di tali previsioni, piuttosto che limitarsi a una semplice valutazione dell’esistente (da qui il valore predittivo attribuito all’indice di misurazione del consumer sentiment); - orientamento a condividere e a socializzare i propri sistemi di riferimento, da cui la possibilità di inferire dalle testimonianze individuali una stima relativa al clima sociale di consumo; – I saperi della comunità scientifica e delle comunità di pratica. Tensione si osserva anche tra le conoscenze sviluppate dalla comunità accademica e quella professionale. Teorie formalmente eccellenti e riconosciute sul piano scientifico hanno avuto riscontri quasi nulli nella professione, mentre opzioni teorico-metodologiche sviluppate dai professionisti hanno spesso goduto di scarso credito in ambito accademico. La polarizzazione tra approcci cognitivisti e dinamici o fra metodi quantitativi e qualitativi rappresenta un buon esempio; caratteristiche della “variabile indipendente” (offerta) al fine di massimizzare la probabilità di scelta, nella prospettiva del “condizionamento del consumatore” che offre una doppia promessa implicita: la sicurezza di un “robusto” apparato scientifico e la speranza di poter maneggiare nuove leve per orientare i comportamenti di consumo. L’attuale prorompente successo del neuromarketing, specialmente negli USA, pare esemplificare in modo evidente quanto detto; 2_ “Idea” di consumatore: paradigma macrosociale. Organizzazione della relazione di scambio: focus su domanda (consumatore). Di orientamento opposto risulta la costruzione teorico-pratica operata all’interno del livello macrosociale. L’articolazione del mercato in segmenti di consumatori descritti nelle loro peculiarità statistiche ed esplorati nelle loro aspettative rappresenta una risorsa indispensabile per un marketing orientato a operare in termini di targeting e a configurare il mix della sua proposta (prodotto, prezzo, distribuzione, promozione/comunicazione) come una “riscrittura aziendale” delle caratteristiche e delle attese del target di riferimento. Rispetto al precedente approccio, il consumatore e le sue caratteristiche diventano qui la guida e il riferimento per sviluppare un’offerta “su misura”. Inseguire i progetti “in progress” significa per l’azienda acquistare vantaggi rispetto agli altri competitor di un mercato. Eppure le distanze tra i due approcci risultano meno forti dell’apparenza. A parte un uso a volte celebrativo e retorico della “centralità del consumatore”, nella prospettiva macrosociale il primato del consumatore è perlopiù “luogo di conoscenza” su cui scatenare un’intensa attività di indagine per ricavarne vantaggi competitivi; i risultati dell’indagine sono ricondotti all’interno del’azienda e tradotti in termini di empowerment aziendale, ovvero di capacità di interpretare le attese del consumatore. Insomma, la centralità del consumatore sul piano conoscitivo tende a occultare un’altra centralità, quella dell’azienda, sul piano operativo. Su questo sottile equilibrio basato sulla distinzione dei ruoli pare reggersi il “periodo d’oro del marketing”; 3_ “Idea” di consumatore: paradigma microsociale. Organizzazione della relazione di scambio: focus su relazione (((). La transizione postmoderna accentua elementi di crisi: crisi nei paradigmi di ricerca, e crisi nelle dimensioni applicative. Sintomatici alcuni fenomeni: tanto più il marketing allarga il suo raggio d’azione, oltre i confini classici del mercato, tanto più crescono la diffidenza e l’ostilità dei consumatori; tanto più ci si impegna nell’introdurre correttivi all’azione di marketing, tanto meno il marketing sembra in grado di proporsi come elemento guida dei percorsi di scambio tra domanda e offerta. Questo punto di crisi può essere ben letto all’interno dello schema proposto: La prospettiva postmoderna appare portatrice di un’istanza critica proprio nella lettura delle relazioni che organizzano lo scambio di mercato. L’idea di un’azienda produttrice in esclusiva dell’offerta e la tradizionale distinzione di ruoli fra domanda e offerta non sembrano più proponibili, a fronte di una prospettiva di co-costruzione dell’offerta stessa; L’indagine sul consumatore cerca di sintonizzarsi con la nuova prospettiva di riferimento, ma appare ancora allo stadio esplorativo e lontana dal produrre una nuova sistematica visione sulla https://www.docsity.com/documents/download/id/4118892/lang/it/ 11/10/18, 19=03 Pagina 66 di 77 ricerca; forse la sistematicità rappresenta un attributo addirittura estraneo al mainstream postmoderno. Di fatto, il marketing sembra vivere entro una condizione paradossale: di accettazione dell’idea di co-costruzione dell’offerta, ma di difficoltà nel dare attuazione pratica a tale idea sul piano organizzativo. La speranza implicita pare essere quella di poter continuare a guidare dall’interno dell’azienda un processo che necessita invece di una profonda rinegoziazione e di operare un reframing dei rapporti di scambio fra offerta (interno) e domanda (esterno). Agli esiti pare connessa la regolazione di un altro problema relativo alla ricerca sul consumatore: quello etico. Entro quale prospettiva può essere “di buon senso” sviluppare una conoscenza sul consumatore? Romano (2009), a proposito della relazione di scambio fra consumatore e marca-azienda, identifica nella riduzione/aumento dell’asimmetria relazionale la cifra (più/meno) etica di un uso delle conoscenze sul consumatore. Aggiungiamo che una buona gestione della simmetria relazionale fra azienda e consumatore passa proprio attraverso la soluzione del nodo postmoderno qui illustrato, affrontato soprattutto dall’approccio relazionale di marketing della scuola scandinava a partire dagli anni 90. Cimentarsi con la sfida a ricontestualizzare la relazione “interno-esterno”, in riferimento alla psicologia dei consumi in ambito post-moderno, potrà sostenere per questa disciplina un’operazione di reframing del proprio oggetto, oggi tendenzialmente più orientato a costituirsi sulle dimensioni interne dell’organizzazione piuttosto che sulla relazione di scambio internoesterno.
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