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Riassunto Psicologia delle Organizzazioni, Sintesi del corso di Psicologia Delle Organizzazioni

Riassunto Psicologia delle Organizzazioni (facoltà di Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni, Università Niccolò Cusano).

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 18/10/2020

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Scarica Riassunto Psicologia delle Organizzazioni e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Delle Organizzazioni solo su Docsity! PSICOLOGIA DELLE ORGANIZZAZIONI I DISPENSA In queste prime lezioni presenteremo la psicologia dell’organizzazione definendone i principali ambiti di ricerca e d’intervento. Tale operazione non risulta esente da difficoltà poiché, sia a livello applicativo che teorico-scientifico, tendiamo a identificare la psicologia delle organizzazioni nel più ampio spettro d’azione scientifico-applicativo della psicologia del lavoro. Bisogna distinguere: 1) La psicologia del lavoro si occupa del lavoratore che prova una serie di esperienze psicologiche di fronte al proprio compito lavorativo: l’individuo che lavora persegue scopi, esperisce emozioni, e interpreta il proprio ruolo nel rapporto con l’ambiente lavorativo. 2) La psicologia delle risorse umane è più orientata ad affrontare una serie di problematiche individuali e organizzative relative al migliore adattamento possibile tra caratteristiche dell’individuo e richieste organizzative. 3) La psicologia delle organizzazioni riguarda lo studio di entità sovra individuali aggregate (gruppi e organizzazione nel suo insieme) e si pone come scopo principale quello di generare e guidare il comportamento organizzativo. La psicologia delle organizzazioni considera le persone “in quanto membri di gruppi, il funzionamento dei team e le organizzazioni come costruzioni collettive e come artefatti sociali. In questo caso l’attenzione è posta sulle percezioni sociali reciproche, sui meccanismi d’influenza sociale, sulle comunicazioni, sulle relazioni intergruppi, in particolare sulla cooperazione e sul conflitto, sul potere organizzativo, sui processi di decisione sociale e di negoziazione, sulla progettazione organizzativa, sulle valutazioni di efficacia ed efficienza.” Tuttavia si deve sottolineare come, nella realtà della ricerca e dell’intervento, molto spesso sia difficile distinguere in modo chiaro in quale dei tre ambiti si stia operando. Psicologia e ambito lavorativo: livelli di analisi La ricerca e l’intervento psicologico in ambito lavorativo si articolano tenendo presente 5 livelli di analisi trasversali alle suddette discipline psicologiche (psicologia del lavoro, psicologia delle risorse umane e psicologia delle organizzazioni): 1) Livello di analisi intrasoggettivo. Il punto di osservazione è solitamente costituito da alcuni processi interni, consapevoli alla persona, che conducono al comportamento, alla presa di decisione o alla elaborazione cognitiva. Es. gestione dello stress lavorativo e le modalità di fronteggiamento delle situazioni problematiche (strategie di coping). Tipico della psicologia del lavoro. 2) Livello di analisi interazione soggetto-compito. L’oggetto di analisi è costituito dall’interazione tra persona e compito lavorativo. La casistica è piuttosto ampia in quanto questo livello di analisi è quello più diffuso in psicologia del lavoro e in psicologia delle risorse umane. Es. come le persone costruiscono script, mappe cognitive e modelli mentali della situazione di lavoro, studi sullo stress lavorativo. 3) Livello di analisi di gruppo. In questo caso l’attenzione dello studioso o dello psicologo professionista si pone a livello di piccolo aggregato sociale (gruppo di lavoro, team, task force). L’oggetto di analisi è di tipo “collettivo”-“condiviso”, quindi tipico della psicologia delle organizzazioni. In molti casi appare più fruttuoso considerare i gruppi di lavoro come unità di analisi complessiva, piuttosto che come somma di tanti individui, come insegnano i fondamenti della psicologia sociale. Es. i team a elevata specializzazione che operano in modo molto integrato - si pensi all’equipe in una sala operatoria- possono essere studiati come un insieme per osservare le forme di sincronismo, la combinazione delle diverse competenze, i modelli mentali condivisi del compito. Un livello di analisi di gruppo è incoraggiato anche per studiare i processi di apprendimento durante le esperienze di formazione e l’efficienza dei gruppi di lavoro o la gestione dei conflitti tra reparti o unità lavorative. 4) Livello di analisi organizzativo. L’organizzazione come ampio aggregato sociale e come entità di analisi è per lo più una prerogativa della psicologia delle organizzazioni. Es. le culture organizzative intese come insieme di assunti impliciti e valori generali che regolano la vita di una organizzazione. 5) Livelli di analisi sociale. L’individuo al lavoro può essere preso in esame anche secondo una prospettiva più ampia che considera i macroprocessi socioeconomici e culturali che regolano una società e caratterizzano una determinata fase storica. A tale livello di analisi la psicologia si avvicina a temi e interessi tipici della sociologia del lavoro e dell’economia del lavoro. Si è parlato in precedenza di atteggiamenti e orientamenti lavorativi. Essi sono considerati come il prodotto di processi economici, culturali, e normativi che caratterizzano diverse fasi storiche e l’appartenenza a diversi gruppi sociali. Es. ricerche che si occupano del modo in cui le persone (soprattutto i giovani) affrontano l’incertezza lavorativa. Nel corso del suo sviluppo, la psicologia delle organizzazioni si è proposta di prendere in considerazione le numerose sfaccettature dell' esperienza organizzativa, ponendo attenzione sia alle diverse condotte lavorative all'interno dei gruppi di lavoro e tra i gruppi, sia ai processi psicologici e psicosociali che le sottendono, sia alle forme di interazione che si instaurano tra le persone e il loro contesto lavorativo esterno. Non c’è una buona psicologia organizzativa che non si impegni in uno sforzo volto a declinarsi con le discipline limitrofe: la sociologia del lavoro e delle organizzazioni, l'economia e l'antropologia. Ciò nondimeno, il nostro sguardo, pur assumendo in alcuni passaggi carattere interdisciplinare, individuerà lo specifico psicologico, e anzi lo rivendicherà, prendendo le distanze da quegli approcci semplicisticamente "manageriali". Il contributo della psicologia allo studio del lavoro: brevi cenni storici Storicamente la psicologia dell' organizzazione intreccia una duplice prospettiva e da essa ancora dipende: quella dell' indagine psicologica sull'attività di lavoro, individuale o di gruppo e quella orientata alla comprensione del lavoro delle persone nelle nuove condizioni dell'industrializzazione moderna (psicologia industriale). Il processo trova la prima applicazione in assoluto nella vecchia Europa, all' interno dell' organizzazione scolastica francese, quando ad Alfred Binet viene affidato il compito di costruire una prova di predittività del comportamento scolastico degli allievi: l'obiettivo è quello di migliorare la didattica, riuscendo a costruire classi omogenee per competenza base degli allievi. Binet costruisce una prima scala di misurazione delle performance intellettive, che trova larga applicazione e successivi sviluppi anche con l'intervento di Simon. Non fu immediatamente evidente l'effetto dell'incontro tra la psicologia sperimentale e i nuovi problemi che le organizzazioni del 900 ponevano, ma lo divenne dopo pochi anni, quando esso si realizzò all'interno di un'organizzazione ben più potente: l'esercito, in quel momento sotto pressione a causa dall'inizio della Prima guerra mondiale. Con il coinvolgimento dello stesso Simon, e grazie al nuovo presidente della APA, fu approntato un primo testing di massa per i soldati alfabetizzati (Army Alpha) e analfabeti (Army Beta), coinvolgendo un milione e mezzo di individui. Le guerre fini prima che la selezione avvenisse in base ai criteri adottati, ma l’effetto dell’operazione fu enorme in tutto il Paese. Ci si comincia a chiedere quale contributo la psicologia potesse fornire ai diversi ambiti della vita umana e così gli strumenti di analisi differenziale, già applicati in ambito scolastico e nell’esercito, trovano ampia diffusione in ambito industriale e nell’organizzazione stessa del lavoro nelle grandi fabbriche. Da queste applicazioni nel mondo industriale sono passati 100 anni: l’evoluzione della cultura psicologica, impiegata nelle organizzazioni, può essere descritta proprio attraverso le forme con cui è stata considerata la variabile della condotta individuale all'interno dei più complessivi processi del sistema produttivo. In questo lasso di tempo si è profondamente modificata la valutazione dell’incidenza attribuita alle condotte individuali e alle variabili psicologiche soggettive all’ interno del Sistema produttivo. Da una visione altamente ingegnerizzata e altamente meccanica del processo manageriale sostenuta dal primo teorico dell'organizzazione industriale, Taylor con lo scientific management, si è passati a riconoscere la centralità strategica della motivazione e della realizzazione individuale delle persone, protagoniste prime del processo manageriale. Proprio questa dimensione sembra essere il contributo più significativo della psicologia applicata alle organizzazioni; nel corso di questo secolo si sono intrecciati 2 processi di fondo: una evoluzione nella concettualizzazione del ruolo e del peso della variabile-uomo rispetto al sistema, e una riformulazione dei caratteri del sistema stesso (rigidità, efficienza, variabilità, ecc.) in base alle dimensioni comportamentali dei singoli soggetti. Lo scenario attuale Nel corso di questi anni stiamo vivendo un processo storico di cambiamento delle organizzazioni moderne che ha pochi precedenti. I mutamenti politici, economici e sociali degli ultimi 20 anni a cavallo del nuovo millennio hanno profondamente trasformato le condizioni-base con cui i cittadini delle nazioni occidentali, tecnologicamente avanzate, vivono e gestiscono le loro organizzazioni. Ci riferiamo, in particolare, agli effetti dell' apertura globale dei mercati; con sempre più rapidi processi di internazionalizzazione degli scambi nei mercati finanziari, sostenuti dalla tecnologia online della rete Internet; con le conseguenze della globalizzazione dei mercati dovuta a una domanda sempre più variabile e imprevedibile; con la progressiva incertezza degli scenari internazionali. non sono disponibili a considerare come essenziale il riconoscimento della soggettività e dell'intersoggettività. Questo riconoscimento non solo assegna un ruolo centrale alle logiche di tipo relazionali, ma sottolinea che l'organizzazione non è data ma costruita dalle decisioni, dalle azioni, dalle speranze di coloro che in essa operano. Morgan sottolineando che le organizzazioni sono fenomeni complessi e paradossali che possono essere rappresentati e compresi in molti modi diversi, usa le metafore per accede re alle diverse dimensioni delle organizzazioni. Le metafore alle quali Morgan fa ricorso sono 8: le organizzazioni come macchine, composte da parti interfacciabili che svolgono funzioni ben definite integrate nel funzionamento generale dell'insieme; le organizzazioni come organismi che nascono, crescono, si sviluppano, declinano e muoiono; le organizzazioni come cervelli, in grado di elaborare informazioni, di apprendere e di compiere atti intelligenti; le organizzazioni come sistemi culturali, socialmente fondati e composti di credenze, valori, norme e riti; le organizzazioni come sistemi politici, insieme di interessi, di conflitti, di relazioni di potere; le organizzazioni come prigioni psichiche nelle quali si rimane intrappolati a causa dei propri pensieri, delle proprie credenze e preoccupazioni alimentate da forze profonde ed inconsce; le organizzazioni come flusso e divenire: come flusso circolare di feedback positivi e negativi e come divenire sia nel senso che si autoriproducono e si ricreano a propria immagine sia come sviluppo dialettico per cui ogni fenomeno tende a generare il suo opposto; le organizzazioni come strumenti di potere, di dominio nell'ambito del quale alcuni impongono la propria volontà sugli altri. II DISPENSA Esamineremo in questa sede alcune tematiche fondanti della psicologia delle organizzazioni: la relazione dell’organizzazione con l’ambiente esterno, gli obiettivi dell’organizzazione, la struttura dell’organizzazione, i sistemi tecnologici, i sistemi normativi e retributivi, l’ambiente e l’organizzazione del lavoro e i processi organizzativi. La relazione dell’organizzazione con l’ambiente esterno. La teoria generale dei sistemi di Ludwig von Bertalanffy segnò un punto di svolta nell’analisi delle dinamiche organizzative introducendo il concetto di “livelli di analisi”. Da allora gli studiosi dell’organizzazione iniziarono a definire l’ambiente organizzativo come il sistema sovraordinato che comprende i sistemi organizzativi. “Questa idea appariva rivoluzionaria ai teorici di Management inclini fino ad allora a trattare le organizzazioni come se le loro attività interne fossero l’unica fonte di preoccupazione per il gruppo dirigente, a parte ovviamente le iniziative della concorrenza. L’analisi dell'organizzazione deve iniziare dall'interazione tra dimensioni organizzative e ambiente esterno. Ciò che chiamiamo ambiente esterno non costituisce un'entità omogenea, ma è un insieme che risulta dalla combinazione complessa di fattori. Ogni organizzazione interagisce con altri soggetti o attori (individui, gruppi, organizzazioni) all’interno del proprio ambiente. L’esito di queste transazioni consente all’organizzazione di ottemperare agli obiettivi preposti. Gli attori che interagiscono per creare l’ambiente in cui opera un’organizzazione vengono definiti stakeholder (letteralmente: “portatore di interesse”). In relazione al tipo di organizzazione, alla sua missione e ai suoi obiettivi, ciascuno degli stakeholder può giocare un ruolo centrale o marginale ma, in ogni caso, l'organizzazione per operare dovrà necessariamente confrontarsi con l'ambiente esterno ed elaborare modalità specifiche di relazione e di intervento. Il processo dinamico di adattamento ai cambiamenti e all'incertezza ambientale, allineando ad essi la gestione delle interdipendenze interne, risulti complesso e implichi una serie di decisioni e di comportamenti ai diversi livelli organizzativi. Ovviamente l'adattamento può assumere la forma prevalente dell'accomodamento, un mero adeguamento alla pressione ambientale, o la forma prevalente dell'assimilazione, un’attiva trasformazione e un intraprendente intervento nell'ambiente e sull'ambiente. Le relazioni che si vengono a stabilire tra gli stakeholder di un’organizzazione formano la rete inter-organizzativa, o “network inter-organizzativo”. I nodi della rete rappresentano i canali attraverso cui fluiscono risorse, opportunità e influenza. L’esame delle dinamiche all’interno della rete inter-organizzativa può fornire delle importanti indicazioni sulle strategie poste in essere dal management per ottemperare gli obiettivi dell’organizzazione. Possiamo considerare la strategia come la determinazione degli obiettivi a medio e lungo periodo, e l'adozione di piani di azione e di allocazione delle risorse necessarie per raggiungere quegli obiettivi. Si tratta di esprimere una visione dell' organizzazione come sistema globale, di scegliere gli ambienti nei quali e sui quali intervenire e di definire strutture, tecnologie e processi che consentano adattamento e sviluppo alla luce delle opzioni valoriali e culturali compiute sul modo in cui le persone possono interagire e convivere nel contesto organizzativo. Strutture, tecnologie, processi e cultura sono dunque i principali componenti del sistema globale che chiamiamo organizzazione e che esamineremo in questo e nelle successive dispense. Secondo Miles e Snow le strategie di adattamento dell'organizzazione all'ambiente possono essere ricondotte a 4 tipi: 1) Organizzazioni che adottano una strategia di difesa. Organizzazioni orientate a migliorare l’efficienza del proprio dominio di attività, operano in ambiti di prodotto/mercato ristretti e sono poco propense a estendersi in nuove fasce di mercato o a investire nella creazione e nella diffusione di nuovi prodotti, hanno una struttura di tipo funzionale, un elevato grado di formalizzazione e di divisione delle mansioni; ad accentrare le decisioni; ad utilizzare il canale gerarchico per la trasmissione delle informazioni e per la risoluzione dei conflitti. 2) Organizzazioni che adottano una strategia di ricerca. Sono organizzazioni propense principalmente a posizionarsi in nuovi mercati, a sviluppare nuovi prodotti. Sono per lo più caratterizzate da strutture di tipo divisionale o per prodotto; a preferire un basso grado di formalizzazione e gerarchizzazione; a effettuare un perenne monitoraggio con le altre organizzazioni. E’ molto marcata l’attenzione verso la ricerca sperimentale e la soluzione dei problemi; le persone che operano nella ricerca e nel marketing sono molto valorizzate. 3) Organizzazioni che adottano una strategia di analisi. Organizzazioni che operano su un doppio livello parallelo: di prodotto (con margini di stabilità) e di mercato (maggiormente soggetto al cambiamento). Nel primo gruppo utilizzano strutture e processi formalizzati; nel secondo vengono monitorate le azioni dei competitors, dai quali derivano suggerimenti su idee, processi e prodotti che appaiono più promettenti. Questa compresenza di diversi livelli favorisce in termini di struttura organizzativa, la soluzione della struttura a matrice. 4) Organizzazioni che adottano una strategia di reazione. Organizzazioni che, seppure consapevoli e sensibili ai cambiamenti dell’ambiente esterno e degli ambienti organizzativi interni e esterni, trovano difficoltà ad adattarsi efficacemente a tali sollecitazioni. Spesso temporeggiano fino a quando sono costrette alla adozione di nuove modalità di adattamento. Le organizzazioni che adottano una strategia di reazione sono quindi caratterizzate da lunghi periodi di immobilità causati prevalentemente da un management “indolente” o incapace di delineare direzioni chiare e coerenti degli obiettivi dell'organizzazione, e di progettare e sviluppare strategie complessive riguardanti la struttura e i processi organizzativi. Altri autori hanno cercato di comprendere i cambiamenti nel rapporto tra ambiente interno e ambiente esterno all'organizzazione e le conseguenti relazioni tra le diverse parti della stessa organizzazione, facendo ricorso a 2 dimensioni considerate lungo un continuum. Le forze di connessione creano nuove alleanze, nuovi legami, aprono nuove frontiere, nuove possibilità di scambio di informazioni, nuovi progetti. Le forze di connessione sono diversamente accolte dagli individui che operano nelle organizzazioni: alcuni le vivono come un'opportunità di crescita, come un'occasione di nuovo sviluppo, mentre altri percepiscono la situazione con un senso di perdita, di isolamento, di crescente difficoltà a relazionarsi in un mondo plurimo e variabile. Le forze di separazione che, al contrario delle precedenti, tendono a isolare sistemi e comunità, a creare confini, barriere, ostacoli. Anche in questo caso la reazione è duplice: a chi vive la situazione con il fastidio della chiusura, dell'isolamento, si affianca chi, invece, si sente rassicurato e protetto. Le organizzazioni reagiscono a questi cambiamenti attuando poderose operazioni di de-compattamento: aziende che si scorporano, che si frammentano, che si separano dando vita a nuovi organismi autonomi, inducendo negli individui sentimenti di perdita, di vuoto, ma aprono anche la strada a nuove opportunità, a nuove esperienze, a nuove conoscenze. In altri casi, ma nello stesso arco temporale, il cambiamento prende una via opposta: quella del compattamento. Organizzazioni o parti di esse si fondono, si ricongiungono, creando gruppi più chiusi. Per alcuni lo stato d'animo conseguente è di soffocamento, di costrizione, mentre per altri prevale la rassicurazione e il valore della coesione e della protezione. Gli obiettivi dell’organizzazione Il concetto di obiettivo organizzativo discende da quello più ampio di funzione dell’organizzazione. La funzione di un ospedale è quella di diagnosticare e curare le patologie; quella di un’università formare e fare ricerca; quella di un tribunale amministrare la giustizia: In altri termini, la funzione coincide con la missione per cui è sorta un’organizzazione. Perché la funzione per cui è sorta un'organizzazione si trasformi in realtà, occorre che sia tradotta in obiettivi. Gli obiettivi rappresentano le varie strategie attraverso i quali un'organizzazione intende realizzare la propria funzione. Gli obiettivi delineano direzioni, mobilitano le risorse: si traducono in azioni da sviluppare con precise scadenze temporali. Thompson ha individuato 4 obiettivi connessi con la sopravvivenza delle organizzazioni, definendoli obiettivi strategici: 1) L’ obiettivo di marketing. In tale gruppo troviamo gli obiettivi che si concretizzano in strategie di conoscenza, e di rapporto con gli stakeholder ritenuti maggiormente rilevanti per l'organizzazione. Le aziende operanti in regime di libera concorrenza, sia produttrici di beni o servizi, hanno la necessità prioritaria di collocare, coniugando efficienza e profitto, i prodotti in determinati segmenti di mercato. Tutto ciò richiede analisi approfondite della tipologia di target (potenziali clienti), dei canali di distribuzione, delle articolazioni di mercato, etc. Gli obiettivi di marketing, dunque, definiscono le strategie di conoscenza, di contatto e di interlocuzione con i soggetti ritenuti rilevanti per l'organizzazione. 2) L’ obiettivo di innovazione. Tutte le organizzazioni hanno l'esigenza di mantenere e conservare, ma anche di innovare e cambiare. Il cambiamento è una caratteristica intrinseca di quasi tutte le organizzazioni: gli ambienti cambiano, le organizzazioni crescono, l’innovazione produce nuove tecnologie, insorgono dei conflitti e cosi via. Gli obiettivi strategici di innovazione riguardano, fondamentalmente i prodotti o i servizi, oppure le strutture organizzative, oppure i processi organizzativi, oppure i nuclei culturali sui quali si fonda l'organizzazione, oppure due o più di questi elementi. Il tema dello sviluppo organizzativo è, ovviamente, molto connesso agli obiettivi strategici di innovazione. 3) Gli obiettivi di produttività. Vi devono essere obiettivi per procurare, impiegare e sviluppare risorse finanziarie, umane e materiali. Le risorse, per la sopravvivenza e il progresso dell’organizzazione, devono essere impiegate produttivamente e in maniera armonica. La produttività implica i concetti di efficacia ed efficienza. L'efficacia riguarda la capacità di raggiungere gli effetti desiderati; l'efficienza riguarda produzione dei risultati attesi contenendo la spesa di risorse umane, di tempo impiegato, di materiali o di altre risorse produttive. Un ospedale, ad esempio, è efficace quando risponde alle esigenze di diagnosi e di terapia dei suoi utenti. E’ efficiente quando riesce a erogare il servizio a un costo contenuto. Se l'ospedale riesce, senza far scadere la qualità della prestazione, a diminuire il numero medio di giorni di degenza per paziente possiamo affermare che quell'ospedale sta migliorando la sua efficienza. 4) La responsabilità sociale dell’ organizzazione, cioè il fatto che l'organizzazione esiste nell’ambito di un preciso sistema economico e di uno specifico contesto culturale e sociale. Problemi di impatto ambientale e di assetto del territorio per l’insediamento dell'organizzazione, problemi di accettazione e di consenso sociale, problemi legati al possibile degrado e inquinamento dell’ambiente sono dimensioni che richiedono precisi obiettivi dai quali dipende la stessa possibilità di avvio e di sviluppo dell' organizzazione. Questo discorso, certamente chiaro per le imprese di produzione di beni o servizi diventa particolarmente rilevante per organizzazioni che hanno una specifica responsabilità sociale. Ogni organizzazione è chiamata, dunque, a porsi obiettivi di responsabilità sociale. Per alcune organizzazioni questi obiettivi sono talmente impliciti nella funzione originaria dell'organizzazione, che l'inefficienza o l'inefficacia del suo operato comporta automaticamente una drastica caduta degli obiettivi di responsabilità sociale. Abbiamo detto che gli obiettivi strategici indicano un impegno, una direzione, sui quali i diversi attori della scena organizzativa sono chiamati a confrontarsi, a collaborare, a mobilitare le energie, individuali e collettive, di pensiero e di azione. Gli obiettivi strategici sono tradotti, infatti, in obiettivi gestionali e questi ultimi in obiettivi tecnico-specialistici e in obiettivi operativi. La struttura dell’Organizzazione Il termine struttura indica le relazioni più o meno stabili tra le componenti di qualunque sistema o entità. Per perseguire gli obiettivi le organizzazioni si dotano di una una struttura finalizzata a facilitare il coordinamento delle attività e a controllare le azioni dei diversi operatori. Gli studiosi dell’organizzazione sono interessati a 2 tipi di struttura: Il termine cultura dell'organizzazione indica i valori dominanti di un'organizzazione, le norme che invalgono e si sviluppano nei gruppi di lavoro e nell'interazione tra i membri dell'organizzazione; i modelli di comportamento utilizzati con regolarità e frequenza; l'atmosfera, il clima che l'organizzazione comunica attraverso l'aspetto e le modalità di interazione tra i membri dell'organizzazione e i soggetti esterni. Secondo la definizione classica di Schein la cultura dell'organizzazione è: “L’insieme coerente di assunti fondamentali che un dato gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato imparando ad affrontare i suoi problemi di adattamento esterno e di integrazione interna, e che hanno funzionato bene da poter essere considerati validi, e perciò tali da essere insegnati ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a quei problemi”. Alcuni fattori possono influenzare, direttamente o indirettamente, la formazione, lo sviluppo e il cambiamento di una cultura organizzativa, come l’ambiente esterno, il tipo di leadership, le crisi aziendali, le pressioni esterne. Le culture organizzative risultano influenzate dai fattori ambientali queste si formano e sviluppano dall’interazione tra individuo e organizzazione. Un'ulteriore modalità di visione delle culture dell’organizzazione ci viene fornita da Harquail e Cox: le culture possono essere presentate sulla base di 2 principali dimensioni di forza e contenuto. • La forza di una cultura organizzativa : “…una combinazione di quanto le norme e i valori siano chiaramente definite e di quanto sono rigorosamente rispettate”. • Il contenuto: “… I valori specifici, le norme, e gli stili che caratterizzano l’organizzazione”. Le funzioni della cultura organizzativa La cultura, o le culture, assolvono numerose funzioni in seno alle organizzazioni. Svolgono, in primo luogo, una funzione adattiva e regolatoria facilitando l'unione degli individui; trasmettono un sentimento di identità organizzativa che aiuta e sostiene il senso dell'appartenenza e della causa comune; definiscono le regole dell'interazione professionale e umana e influenzano la dinamica organizzativa ed istituzionale; incrementano, inoltre, la stabilità dell'organizzazione incoraggiando l'integrazione e la cooperazione tra i membri. La cultura, inoltre, impronta il clima organizzativo; coagula l'operato dei responsabili, orienta il processo di socializzazione e di acculturazione dei giovani o, comunque, dei nuovi membri. Secondo Schein la cultura svolge essenzialmente 3 funzioni: - risoluzione dei problemi di integrazione interna; - risoluzione dei problemi connessi all’adattamento esterno e alla sopravvivenza; - contenimento dell’ansia. I livelli di analisi delle culture organizzative Nell'analisi della cultura o delle culture si possono distinguere 3 livelli: • Gli artefatti. Sono manifestazioni concrete, tangibili della vita organizzativa e delle norme e dei valori dell’organizzazione. L’attenzione è quindi rivolta all’ambiente fisico dell’organizzazione e all’ambiente sociale dell’organizzazione. Si tratta, dunque, di elementi visibili ma non sempre di immediata decifrabilità e comprensione in termini culturali. • I valori. Sono i principi, gli obiettivi e gli standard attorno ai quali vita di un'organizzazione si incentra e a cui viene attribuita una valenza intrinseca, indicano ciò che è giusto o sbagliato. I valori sono originariamente formulati dal fondatore o dal gruppo dirigente e, qualora si siano dimostrate valide ed efficaci, tendono a restare permanenti; a queste i dipendenti fanno riferimento in maniera automatica. • Gli assunti di base. Sono la parte centrale della cultura di un’organizzazione. Rappresentano la componente implicita (quindi invisibile) che orienta la vita di un’organizzazione: l’”implicito” che quotidianamente dà indicazioni su come pensare e intervenire nelle azioni organizzative. La sovrapposizione con la precedente componente valoriale è innegabile. Gli assunti derivano dai valori: il valore, se risulta efficace è dato sempre più per scontato, sfugge alla consapevolezza degli attori e ne orienta in modo automatico il comportamento, diviene un assunto. Gli assunti di base, secondo Schein, costituiscono l’autentica essenza della cultura di un’organizzazione: i valori e i gli artefatti derivanti da tali assunti, ne costituiscono le manifestazioni esteriori. Schein individua i seguenti assunti di base di un'organizzazione: 1. I rapporti del genere umano con la natura: ruolo dell’organizzazione rispetto all'ambiente fisico e socioculturale (dominante, sottomesso, di equilibrio, ecc.); 2. La natura della realtà e della verità: i criteri e i processi di costruzione del reale e di determinazione di ciò che si considera vero, fondato. 3. Le concezioni sulla natura dell'uomo: si tratta di assunzioni metascientifiche su cosa significa essere “umani” e quali attributi sono considerati impliciti o determinanti, sulle potenzialità di cambiamento, sulla perfettibilità dell’essere umano, sulla sua intrinseca bontà o cattiveria, etc. 4. Il valore e il significato dell'attività lavorativa: considerazione e valutazione dell'apporto umano al contesto lavorativo, investimento personale, rilevanza o disconoscimento della soggettività lavorativa; attività, passività, autonomia, fatalismo; natura del lavoro e del gioco. 5. La concezione degli stili di convivenza interumana e dei rapporti personali: cooperazione e competizione, individualismo e integrazione, distribuzione del potere e dell’amore, valorizzazione del carisma, delle norme, della competenza, del consenso, dell’autorità. Come si trasmette la cultura: eventi organizzativi La cultura organizzativa tende ad essere trasmessa attraverso una serie di eventi organizzativi. - Una prima categoria di eventi ha la funzione di ribadire e rinforzare particolari norme o specifici valori sottolineandone e dimostrandone la rilevanza nella vita delle organizzazioni. Così le cerimonie sono eventi speciali nei quali i membri di un'organizzazione celebrano i miti, gli eroi e i simboli della loro cultura. Spesso le cerimonie incorporano vari riti, attività cerimoniali finalizzate ad inviare particolari messaggi o ad assolvere a specifici obiettivi. Riti di iniziazione, riti legati all'avanzamento di carriera, riti finalizzati all'integrazione dei membri costituiscono gli esempi più frequenti. Quando un rito si ripete con regolarità si può parlare di rituali organizzativi. - Una seconda categoria di elementi attraverso i quali si consolida e si trasmette la cultura di un'organizzazione sono le storie e i miti. Le storie sono resoconti di eventi passati che sono riprodotti ed enfatizzati per renderli comuni e familiari ai membri di un'organizzazione quali dati esemplificativi di valori culturali. Molte storie si riferiscono alla nascita dell'organizzazione e ai suoi momenti evolutivi e critici. I miti possono considerarsi un particolare tipo di storia che fornisce una spiegazione enfatizzata e fantastica ma plausibile per qualcosa che, altrimenti, potrebbe apparire misteriosa o incomprensibile. - L'ultima categoria, e forse la più importante, di fattori attraverso i quali viene trasmessa e perpetuata la cultura di un'organizzazione sono i simboli e il linguaggio. I simboli sono oggetti, azioni o eventi ai quali i membri di un'organizzazione hanno attribuito speciali significati. I simboli consentono di esprimere idee complesse in un modo semplice e facilitano l'espressione di messaggi emotivi che non possono essere espressi con la parola facilmente. Il linguaggio, infine, è un sistema di simboli che i membri di un'organizzazione usano per comunicare idee e significati culturali. Tipologia delle culture Nella letteratura specialistica sono state elaborate numerose tipologie delle culture organizzative. Tra queste può essere utile ricordare quella proposta da E. Enriquez: - La cultura autoritaria: caratterizzata dalla presenza di un capo carismatico, di un'autorità indiscussa e indiscutibile che costituisce il perno del funzionamento dell'intera struttura. L'identificazione con l'autorità, l'ammirazione incondizionata del capo, la subordinazione nei suoi confronti sono i criteri sui quali si fonda la valutazione dell'operato dei singoli e la progressione della carriera. Le comunicazioni sono ad una via, in senso discendente. Chi è "superiore" utilizza la propria posizione per controllare gli altri. - La cultura burocratica: Il valore fondamentale è l'osservanza della norma come a criterio guida per l'organizzazione del lavoro, la definizione dei ruoli e delle responsabilità, la progressione di carriera. Sono le norme che regolamentano con ogni dettaglio il lavoro Il capo è il garante dell'osservanza delle norme; i rapporti tra le persone e tra capi e dipendenti tendono ad essere formali ed anonimi. La cultura burocratica è nata come antidoto all'arbitrio e al potere assoluto, come fonte generatrice di equità e di imparzialità. Nel corso del tempo, tuttavia, la cultura burocratica ha prodotto – specialmente nella pubblica amministrazione – fenomeni degenerativi. La cultura del compito, dell'adempimento formale sembra aver preso il sopravvento sul processo di finalizzazione dei comportamenti organizzativi verso gli obiettivi; fenomeni di disimpegno e di disaffezione al lavoro sembrano diventati la regola più che un'eccezione; sentimenti di impotenza e di rassegnazione trovano ampio spazio di legittimazione. - La cultura paternalistico-clientelare: Il valore fondamentale è l'appartenenza ad un gruppo. L'organizzazione assume un volto bifronte: da un lato la struttura formale, gli obiettivi dichiarati, i ruoli formalizzati e, dall'altra, l'organizzazione informale, i gruppi di potere, verticali, orizzontali e trasversali, con i loro valori, le loro norme, i loro modelli di comportamento. L'appartenenza al gruppo è in se stessa un valore e scandisce gli spazi professionali nei quali misurarsi e gli avanzamenti retributivi e di carriera. Quando questo tipo di cultura prevale, l'appartenenza all'organizzazione finisce sullo sfondo e si attiva una dinamica dicotomica tra ciò che è l'interno (il gruppo) e l'esterno (gli altri gruppi) spesso vissuti in termini minaccianti e persecutori. L'appartenenza al gruppo è incentivante, protetta e premiata, la defezione o il tradimento del gruppo comportano sanzioni drastiche ed esemplari. - La cultura tecnocratica: L'autorità, non più impersonale, assume la funzione dinamica di ottimizzare la prestazione di singoli e di gruppi incoraggiando l'iniziativa, la capacità di rinnovarsi, la stessa produzione creativa entro i limiti di compatibilità con gli obiettivi. Il valore fondamentale è la competenza professionale. Si attribuisce la massima rilevanza all'efficienza e all'efficacia, al rendimento e al successo. Si sostiene il perfezionamento e l'evoluzione professionale, si stimolano le capacità di analisi e di diagnosi e un'apertura mentale. I rapporti interpersonali sono fluidi e scevri da formalismi; alta è la competizione, stressante l'impegno quotidiano per dimostrare di essere sempre all'altezza della situazione. La cultura tecnocratica bandisce l'obbedienza all'autorità o l'osservanza delle norme come valori ed è portatrice, enfatizzando la competenza professionale, di una concezione di fiducia incondizionata nella razionalità. - La cultura cooperativa: Il valore fondamentale è la partecipazione e il consenso. I membri dell'organizzazione, abituati a lavorare stabilmente in gruppo, godono di grande autonomia e sono tenuti a rispondere dei risultati conseguiti. La comunicazione è fluida e informale. I livelli gerarchici sono ridotti all'essenziale. Si impiega più tempo per produrre decisioni ma queste ultime, una volta adottate, sono sostenute da una lunga analisi e dal consenso dei membri. I conflitti non sono nascosti o negati ma si considerano funzionali alla dialettica interna all'organizzazione. C'è in questa cultura un nucleo problematico che la rende di difficile attuazione: un’opzione e una fiducia quasi illimitate nella dimensione gruppale e collettiva e un'ipotesi su un’uguale capacità e tensione propositiva in tutti gli uomini. Le posizioni di ritiro e di disimpegno vengono così stigmatizzate. Culture e sottoculture Sia nell'approccio funzionalista sia nella tradizione interpretativa, c’è la tendenza a concettualizzare la cultura come unitaria configurando i sistemi organizzativi come operanti in una totalità coerentemente condivisa. In realtà molte organizzazioni possono essere viste come multiculturali o come composte da sottogruppi culturali con differenti professioni, etnie, ideologie o culture. Sebbene sia possibile per un’organizzazione avere una cultura unitaria, molteplici fattori operano contro tale possibilità, specialmente quando le organizzazioni divengono ampie e complesse. Normalmente si pensa che una cultura organizzativa omogenea sia possibile solamente nelle piccole organizzazioni dato che è più facile mantenere degli intensi legami sociali ed un modello normativo unitario. Ma le organizzazioni, a prescindere dalle loro dimensioni, differenziano intenzionalmente i loro membri assegnando loro ruoli specifici ed a volte isolati, ed è proprio in questa situazione che si vengono a creare delle sottoculture, i membri delle quali condividono uno stesso status ed un medesimo ruolo.” Definizione e tipologie di sottocultura Con il termine sottocultura organizzativa definiamo il sottoinsieme dei membri di un’organizzazione che interagiscono regolarmente tra loro, si identificano come un gruppo distinto all’interno dell’organizzazione, condividono una serie di problemi che vengono considerati comunemente problemi di tutti e agiscono abitualmente sulla base di schemi collettivi di comprensione specifici del gruppo. I processi sociali che possono generare delle sottoculture organizzative sono la segmentazione, l’importazione, l’innovazione tecnologica, la differenziazione ideologica, i movimenti controculturali, i filtri di carriera. a) se le persone sentono il bisogno di tener fede ai ruoli, è proprio la formalità di questi ruoli a tenere unita l’organizzazione e a fungere da principio guida; b) se le persone non hanno la necessità di vivere secondo ruoli prestabiliti, l’organizzazione è tenuta insieme da una serie di negoziazioni ad hoc, in cui viene richiesta una grande capacità di tollerare l’incertezza che ne deriva. La cultura organizzativa può essere definita come “il programma mentale collettivo” che distingue i membri di un’organizzazione da quelli di un’altra e che rappresenta, “per un collettivo umano”, ciò che la personalità è per un individuo: qualcosa che ne definisce l’identità. La ricerca e l’intervento culturale L'analisi della cultura ha una grande rilevanza per comprendere il funzionamento dell'organizzazione e la soddisfazione dei suoi membri. La cultura di un'organizzazione produce effetti sull'elaborazione della strategia; sulla capacità di innovazione e di cambiamento; sulla disponibilità ad introdurre nuove tecnologie; sui processi di fusione e di integrazione tra più organizzazioni o tra diversi comparti della stessa organizzazione; sui processi di socializzazione e di comunicazione, sui criteri di selezione del personale; sulla concezione e sulla prassi formativa, sulla gestione dei conflitti e, comunque sulle categorie di analisi e di diagnosi della realtà e sui conseguenti processi di presa di decisione. Dal punto di vista della ricerca e dell'intervento professionale dello psicologo del lavoro il tema della cultura organizzativa è di crescente interesse. Per un'organizzazione comprendere la propria cultura significa entrare in contatto con la parte nascosta, implicita e inconsapevole degli assunti, dei valori, dei modelli di comportamento interiorizzati che influenzano la dinamica interpersonale ed organizzativa. Per questo motivo molte organizzazioni sono del tutto resistenti a questo tipo di analisi e per lo stesso motivo lo studio delle culture organizzative è atto preliminare e non sostituibile di ogni intervento psicologico nelle organizzazioni. Può una cultura organizzativa essere cambiata? Le culture di un'organizzazione hanno una loro storia; sono state e sono funzionali ad alcune esigenze ed ansie dell'organizzazione. Si tratta allora di scoprire e di elaborare questa funzionalità come premessa per poter progettare interventi di cambiamento culturale. C'è, poi, da tener presente che è raro che un'organizzazione, specialmente se di grandi dimensioni, sia caratterizzata da un'unica cultura monolitica. È molto più frequente rilevare parecchie sottoculture che rendono fortunatamente impraticabile il sogno ingenuo ed autoritario di una completa omogeneizzazione culturale. Interventi di cambiamento culturale Secondo Schein, il leader o il fondatore di un’organizzazione è il principale creatore e gestore della sua cultura organizzativa. Pertanto è lui al centro dei processi di cambiamento culturale. La funzione unica ed essenziale della leadership è la manipolazione della cultura”. Shein sottolinea i requisiti che deve possedere il leader come manager culturale: sensibilità, motivazione, competenza, forza emotiva, profondità di visione, capacità di cambiare gli assunti culturali e di creare coinvolgimento e partecipazione in tutti i soggetti coinvolti nel processo di cambiamento. Secondo altri autori invece, il ruolo del leader non è così centrale nel processo di creazione e cambiamento culturale. Il fondatore non fa altro che rappresentare ed esprimere una cultura a lui preesistente, che è la sintesi ed il risultato di vari fattori interagenti: la situazione ambientale, la cultura nazionale, le sottoculture. Creare una cultura è come fare surf, non puoi creare un’onda, l’unica cosa che puoi fare è aspettare, guardare e cavalcare l’onda giusta (metafora del surfer). Qualsiasi intervento di ricerca e cambiamento culturale implica ineludibili problemi etici: fino a che punto è lecito spingersi nella manipolazione di una cultura organizzativa? È difficile dare risposte univoche a queste domande: la massima trasparenza e correttezza riguardo agli obiettivi, ai metodi e ai risultati di un intervento costituisce sicuramente un prerequisito indispensabile, così come il coinvolgimento ed il consenso di tutti, o della maggior parte, dei soggetti coinvolti. Bisogna però essere molto cauti, ad esempio, nella divulgazione dei risultati di un’analisi di una cultura organizzativa, soprattutto qualora questa possa violare la sua integrità o la sua privacy. Come si indaga la cultura organizzativa L’analisi di una cultura organizzativa costituisce una fase preliminare ed ineludibile dell’intervento nelle organizzazioni ma in letteratura non si è giunti ancora ad un consenso univoco su quali siano i metodi e gli strumenti più idonei. I metodi possono essere collocati lungo un continuum. Su un versante troviamo le metodologie non strutturate e di tipo induttivo realizzati utilizzando l’osservazione partecipante, le interviste in profondità ad individui o gruppi e cosi via. Sull’altro polo ci sono gli approcci altamente strutturati, quali i questionari, le interviste strutturate, le check-list, e cosi via. Metodi qualitativi Secondo Schein l’approccio più adatto per indagare dimensioni profonde quali gli assunti di base di una cultura è il colloquio clinico esplorativo, individuale e di gruppo, con diversi informatori motivati, interni all’azienda. Un altro metodo qualitativo è l’inchiesta di stampo antropologico: una comprensione profonda della cultura attraverso la partecipazione, per un lungo periodo di tempo, alla vita organizzativa. Altri metodi possibili d’indagine sono: l’analisi di incidenti critici e delle metafore ad essi associate, l’audio o video registrazione delle riunioni aziendali e l’analisi del contenuto delle trascrizioni; lo studio degli artefatti (miti, leggende, storie, atti costitutivi). I vantaggi di questi approcci sono: la ricchezza dei dati; la contestualizzazione dei dati; la possibilità, attraverso l’ascolto empatico, di ottenere un’intuizione. Gli svantaggi, invece, sono: i costi (in termini di tempo e denaro); il rischio che il ricercatore imponga il suo punto di vista; la difficoltà di analisi dei dati; la difficoltà di realizzare confronti tra organizzazioni diverse; l’impossibilità, in molti casi, di coinvolgere ogni membro dell’organizzazione, per cui si rende necessario un campionamento, con tutte le complicazioni ad esso legate. Metodi quantitativi Molti ricercatori hanno utilizzato le dimensioni da loro prese in esame come criteri generativi di items per costruire un questionario (quasi sempre a scala Likert) da somministrare ai membri dell’organizzazione. Il questionario e gli altri metodi strutturati presentano i seguenti vantaggi: l’economicità, la velocità e la semplicità di costruzione e di utilizzo; la possibilità di trattamento statistico dei dati (ad esempio, analisi fattoriale e analisi della varianza); la possibilità di confrontare dati provenienti da organizzazioni diverse; la possibilità di coinvolgere tutti i membri di un’organizzazione, evitando così il problema del campionamento; la disponibilità di diversi strumenti standardizzati. A fronte di questi vantaggi abbiamo diversi inconvenienti, quali: l’impersonalità del questionario, che lo rende inadatto ad indagare dimensioni più profonde; la superficialità dei dati raccolti; il pericolo di distorsioni nelle risposte dovute all’effetto desiderabilità sociale; la scarsità di informazioni sul contesto. Per limitare tali inconvenienti, può essere utile ad esempio far seguire al questionario delle interviste in profondità, oppure coinvolgere i membri dell’organizzazione in discussioni di gruppo sui principali risultati del questionario. Molti ricercatori concordano sul fatto che è utile integrare diversi metodi, sia quantitativi che qualitativi, per giungere ad una comprensione più dettagliata di una cultura organizzativa. IV DISPENSA: Il Clima Organizzativo Nelle pagine seguenti focalizzeremo la nostra attenzione sul costrutto di Clima Organizzativo, in particolare su un ambito di ricerca e intervento saliente negli attuali contesti economico-sociali: il clima organizzativo inerente i servizi erogati. Quest’ultimo si riferisce al senso che le persone che lavorano per e / o vengono a contatto con un'organizzazione hanno per quanto riguarda la qualità dei servizi erogati dall'organizzazione. Sia i dipendenti e sia gli utenti clienti di un organizzazione sperimentano il clima di servizi. Il costrutto di clima organizzativo: definizione e brevi cenni storici La ricerca sul clima si fonda sulle teorie della Gestalt di Kurt Lewin. Uno dei costrutti fondanti la teoria è quello del “tutto” inteso come Gestalt vale a dire che singoli elementi di percezione si formano in insiemi che rappresentano più della semplice somma delle specificità dei singoli elementi. Il senso dato dalle persone che elaborano modelli di esperienze e comportamenti che hanno nella situazione, o che soggetti terzi hanno della situazione, costituisce il clima della situazione. Lewin e colleghi coniarono il termine 'clima' per descrivere gli atteggiamenti, i sentimenti, e i processi sociali delle organizzazioni. Il clima secondo questa visione può essere classificato in tre categorie principali: autoritario, democratico e lassista. Il clima è l’insieme delle esperienze soggettive condivise dai membri di un’organizzazione che hanno conseguenze importanti per funzionamento organizzativo ed efficacia. Il concetto di clima organizzativo si sviluppa, dunque, nell’ottica in cui si inserisce l’attenzione verso il contesto psicosociale delle relazioni lavorative, attenzione che acquista notevole importanza durante i primi anni ’70, ovvero quando dagli studi di persone isolate, cioè considerate isolatamente dal contesto, si è passati all’interesse per la relazione che intercorre tra le persone e tra queste e il loro ambiente circostante. In quegli anni è avvenuto un passaggio da una concezione atomistica del lavoro ad una di tipo olistica (gestaltica), nella quale vengono appunto presi in considerazione anche gli strumenti usati e i rapporti che intercorrono tra i membri del gruppo. L’evoluzione del costrutto Argyris è tra i primi psicologi sociali a utilizzare il costrutto di organizational climate sviluppando anche un vero e proprio modello. In esso trovano spazio 3 gruppi di variabili organizzative: 1) le politiche, le procedure e le posizioni formali nell’organizzazione; 2) i fattori personali che includono bisogni, valori e capacità individuali; 3) l’insieme delle variabili associate con gli sforzi degli individui per conciliare i propri fini con quelli dell’organizzazione. Queste variabili nel loro complesso permettono di definire il comportamento organizzativo complessivo organizational behavior ovvero quel “livello di analisi discreto, risultante dall’interazione dei livelli di analisi individuale, formale, informale e culturale”. Il clima visto come un processo dinamico è un elemento di regolazione del sistema organizzativo che ne permette il funzionamento. Un’ulteriore classificazione del costrutto ha riguardato la suddivisione dello studio del clima in clima psicologico e clima organizzativo. Il clima psicologico si riferisce a un fenomeno percettivo basato sull’esperienza condivisa dai membri di una specifica organizzazione. Questa serie di percezioni rappresentano una sorta di mappa cognitiva individuale del funzionamento di un organizzazione, in grado quindi di guidare il comportamento degli individui in relazione alla situazione stessa. Il clima organizzativo si riferisce a caratteristiche organizzative e ai loro effetti principali, o stimoli. Il clima psicologico è la percezione del clima organizzativo; e un ulteriore modalità di definizione consiste nella descrizione delle differenze tra clima e soddisfazione lavorativa. In generale, la percezione del clima è separata dalla percezione di soddisfazione lavorativa poiché le percezioni del clima comprendono le valutazioni delle esperienze dei dipendenti nell’organizzazione riguardanti l’organizzazione; mentre la soddisfazione lavorativa comprende le risposte valutative o affettive dell’individuo verso il proprio lavoro. Le differenze tra clima e soddisfazione appaiono maggiormente chiare se consideriamo i seguenti 3 punti di analisi: -Livello di astrazione: Le percezioni si differenziano sulla base della complessità. Le micro- percezioni sono chiaramente meno complesse delle macropercezioni. -Livello di affettività: nel clima organizzativo abbiamo una percezione descrittiva che è contrapposta alla percezione valutativa della soddisfazione lavorativa. Inoltre il clima rappresenta qualcosa che è “altro” rispetto all’individuo; mentre la soddisfazione dovrebbe riflettere uno stato interno dell’individuo. -Livello di analisi: nel caso del clima il livello di analisi è l’organizzazione; mentre per quanto concerne la soddisfazione lavorativa l’unità di analisi risulta costituita dall’individuo. Negli ultimi 40 anni sono stati sviluppati diversi modelli teorici nel tentativo di spiegare il modo in cui il clima organizzativo si forma, questi diversi approcci possono essere classificati in 4 categorie generali: “strutturale”, “percettivo”, “interattivo”, “culturale”. -L’approccio strutturale considera il clima come caratteristica o attributo appartenente all’organizzazione indipendentemente dalle percezioni individuali dei membri. La principale critica mossa a questo approccio riguarda il trascurare la sfera soggettiva. -Per questa ragione, l’approccio percettivo ha riscosso un discreto successo tra gli psicologi delle organizzazione poiché il focus di ricerca viene incentrato sull’individuo. In questo approccio viene infatti sottolineata l’importanza della significatività psicologica per l’individuo delle variabili contestuali. Da questo punto di vista il clima è osservato soltanto Inizieremo esaminando la natura dei gruppi di lavoro. Successivamente focalizzeremo la nostra attenzione sugli aspetti chiave dei gruppi: la creazione, lo sviluppo, il funzionamento e la gestione di gruppi di lavoro. Infine, suggeriremo lo sviluppo e la progressione di aree tematiche. Il gruppo di lavoro I gruppi (e i gruppi di lavoro) sono composti da 2 o più individui che (a) esistono per eseguire le attività rilevanti per l’organizzazione, (b) condividono uno o più obiettivi comuni, (c) interagiscono socialmente, (d) mostrano attività interdipendenti (ad esempio, flusso di lavoro, obiettivi, risultati), (e) mantengono e gestiscono confini, e (f) sono incorporati in un contesto organizzativo che imposta i limiti e veicola il gruppo e gli scambi con le altre unità della entità organizzativa più ampia. In questa sede considereremo i gruppi dal punto di vista dei sistemi organizzativi. I gruppi sono inseriti in un sistema, che seppure sia limitato, è aperto e composto da più livelli. Questo sistema più ampio generalmente predispone dei vincoli sul funzionamento del gruppo dall’alto verso il basso (top-down). Allo stesso tempo, le risposte del gruppo sono generalmente complessi fenomeni bottom-up (dal basso verso l’alto) che emergono nel tempo dalle cognizioni, dagli affetti e dai comportamenti dell’individuo e dall’interazione tra i membri all'interno del contesto del gruppo. Da questo punto di vista, riteniamo che 4 questioni concettuali sono fondamentali negli sforzi per valutare e comprendere i gruppi di lavoro: l’interdipendenza delle attività di lavoro e i flussi comunicativi, le costrizioni del contesto organizzativo, le influenze multilivello, e le dinamiche temporali. 1) Il tema dell’interdipendenza Nella letteratura sulle organizzazioni, la tecnologia denota il mezzo attraverso il quale gli ingressi (inputs) del sistema sono trasformati o convertiti in uscite (outpouts). La tecnologia, e i compiti ad essa associata, creano una struttura che determina il flusso di lavoro e i collegamenti attraverso i membri del team. Le interazioni tra i membri del team di lavoro sono sostanzialmente influenzati dal flusso strutturale della tecnologia, che collega gli ingressi individuali, i risultati e gli obiettivi. Tutto ciò, ha un'influenza sui processi e sull’efficacia del gruppo. 2) Le costrizioni contestuali I gruppi sono inseriti in un contesto organizzativo più ampio, e lo stesso gruppo funge da contesto per i membri del team. Il più ampio contesto organizzativo risulta caratterizzato da tecnologia, struttura, leadership, cultura, e clima che guidano i gruppi e ne influenzano le loro risposte. Tuttavia, i gruppi rappresentano anche un contesto di riferimento per le persone che li compongono. I membri del team operano in un contesto interattivo delimitato che in parte creano in virtù dei loro attributi, interazioni e risposte. Le aspettative normative a livello di gruppo, le percezioni condivise, e le conoscenze sono generate da interazioni individuali. I processi dinamici del gruppo in parte creano la struttura contestuale che vincola i processi di gruppo. Quindi, il contesto del gruppo risulta derivante da una duplice influenza: topdown (dall’alto verso il basso) e bottom-up (dal basso verso l’alto). 3) I sistemi multilivello Le organizzazioni, i gruppi e i singoli individui sono legati insieme in un sistema multilivello. Mentre i gruppi non mostrano comportamenti, gli individui hanno comportamenti; ma, lo fanno in modo da avere comportamenti a livello di gruppo. Gli individui sono raggruppati all'interno dei team, che a loro volta sono collegati raggruppati in un sistema multilivello più ampio. Questo raggruppamento gerarchico e di accoppiamento richiede l' utilizzo di livelli multipli (individuali, di gruppo, e contestuale) per comprendere e studiare i fenomeni di gruppo. 4) La dimensione temporale Infine, la dimensione temporale è una caratteristica importante dei gruppi di lavoro. I gruppi hanno un ciclo di vita; essi si formano, maturano, e si evolvono nel tempo. Le caratteristiche e i fenomeni del gruppo non sono statici. Il tempo è rilevante per quasi tutti i fenomeni di gruppo. E 'impossibile capire l’efficacia del gruppo senza prestare attenzione ai processi che si svolgono nel tempo durante l’azione di un gruppo. Tipologie dei lavori di gruppo I gruppi di lavoro possono assumere varie forme; essi non sono entità unitarie. Consideriamo alcune delle principali distinzioni. Le tipologie generali Le tipologie generali costituiscono uno sforzo per distinguere a grandi linee i gruppi di lavoro. Ad esempio, Sundstrom ha elaborato 6 categorie di gruppi di lavoro: (a) gruppi di produzione, ( b) di servizio, (c ) gestionali, ( d ) progettuali, ( e) di performance, e ( f) di consulenza. I gruppi di produzione rappresentano il nucleo di coloro che ciclicamente producono prodotti tangibili (ad esempio automobili) e variano in termini di percepito ambito discrezionale (controllo sul posto di lavoro). I gruppi di lavoro impiegati nei servizi si impegnano nelle transazioni ripetute con la clientela/utenza (ad esempio, assistenti di linea aerea ) caratterizzata da esigenze diverse, rendendo la natura delle transazioni variabile. I dirigenti d'azienda con responsabilità di direzione e coordinamento di unità di livello inferiore comprendono i team di gestione. I gruppi di progetto sono generalmente entità temporanee che eseguono compiti in ristrette unità temporali e sviluppano nuovi prodotti. I gruppi di performance sono composti da professionisti altamente specializzati che sono impegnati in eventi complessi in unità temporali abbastanza ristrette; alcuni esempi includono i gruppi di chirurghi, le unità militari e i musicisti. Infine i gruppi di consulenza riguardano i gruppi di professionisti altamente specializzati in grado di fornire consulenze che si protraggono in unità temporali variabili (ad esempio i gruppi di avvocati con diversa specializzazione). Le classificazioni specifiche Oltre alle tipologie generali, i ricercatori hanno identificato tipologie più specifiche di gruppi di lavoro. Una delle distinzioni chiave riguarda la capacità e la necessità dei membri di aggregarsi in tempi rapidi per lavorare su compiti specifici massimizzando la loro efficienza in gruppo. I gruppi di top management (manager con alte responsabilità gestionali) rappresentano un'altra classificazione specifica poiché basata su un alto livello nella gerarchia organizzativa. Poiché risulta difficile accedere al TMT, la quantità di lavoro empirico in questa area è esigua rispetto alla ricerca riguardante le tipologie generali dei gruppi di lavoro. Più recentemente, il fenomeno della globalizzazione ha cambiato la natura del lavoro e di alcuni gruppi di lavoro, dando forma a nuove modalità di aggregazione basate sulla cultura (gruppi misti e/o transnazionali) e sulla collocazione nel tempo e nello spazio (gruppi virtuali). Ad esempio, i gruppi misti e transculturali hanno dimostrato che è possibile superare le barriere culturali dei membri del gruppo basate sui differenti valori, stereotipi e presupposti culturali, e che è possibile coordinare con successo diverse mansioni ed eseguire congiuntamente e in modo efficace diversi lavori. Una delle maggiori sfide concettuali in questa area di lavoro riguarda il trattare con livelli multipli di analisi: individuali, di gruppo, organizzativi, e culturali, che sono rilevanti per la comprensione di tali gruppi. Bell e Kozlowski distinguono i gruppi di lavoro virtuali da quelli convenzionali sulla base di 2 caratteristiche: (a) distanza spaziale: i membri dei gruppi di lavoro virtuale sono geograficamente distanti, e (b) mediazione tecnologica di informazioni, dati, e comunicazione personale: i membri dei gruppi virtuali interagiscono tramite mezzi di comunicazione avanzati. Queste due caratteristiche necessitano di diverse competenze che devono essere combinate in gruppi che trascendono i consueti confini dello spazio e del tempo. Il ruolo della tipologia nella comprensione dei gruppi A nostro avviso, è più utile concentrarsi sulle variabili che sottendono le differenze nelle classificazioni delle tipologie dei gruppi. Esaminando le diverse dimensioni descritte nei vari modelli realizzati al riguardo, si possono trarre delle conclusioni sulle variabili che distinguono le diverse forme di gruppi di lavoro: • L'ambiente esterno o il contesto organizzativo in termini di (a) dinamica e (b) richieste di collaborazione (appaiamento); • La permeabilità e il livello di espansione dei limiti del gruppo; • La distribuzione dei membri del gruppo sulla base della (a) diversità e (b) collocazione e spaziale. • I requisiti di accoppiamento interni . • L’interdipendenza dei flussi lavorativi, con le sue implicazioni per (a) obiettivo, (b) ruolo, (c) processo , e (d) richieste di prestazioni. • Le caratteristiche temporali che determinano la natura degli (a) episodi e dei cicli produttivi e ( b) il ciclo di vita del gruppo. Analizzando l’azione delle variabili che contraddistinguono i gruppi nella loro complessità, saremo meglio attrezzati per individuare le contingenze critiche rilevanti per l'efficacia dei diversi tipi di gruppo. Capire quali dimensioni limitano l'efficacia e l'influenza dei diversi tipi di gruppo consente di progredire dal punto di vista teorico e di elaborare interventi maggiormente mirati. Tale questione rappresenta attualmente una delle principali lacune nella teoria e nella ricerca, limitando notevolmente la nostra capacità di sviluppo di applicazioni significative e di interventi mirati per migliorare l'efficacia del gruppo. La composizione del gruppo di lavoro Quello che accade all’interno dei gruppi spesso è il riflesso del numero e del tipo di persone che costituiscono i suoi membri. La composizione del gruppo è argomento di ricerca e di interesse pratico perché la combinazione delle caratteristiche dei componenti può avere una potente influenza sui processi di gruppo e sui suoi risultati. Una migliore comprensione di tali effetti aiuterà i consulenti a scegliere e a costruire gruppi più efficaci. Moreland e Levine hanno focalizzato le ricerche sulla composizione del gruppo in 3 aspetti. In primo luogo, le diverse caratteristiche di un gruppo e dei suoi membri possono essere studiate, tra cui le dimensioni del gruppo, la demografia, le abilità e le competenze, e la personalità dei membri. In secondo luogo, la distribuzione di una data caratteristica di un gruppo può essere valutata. Misure di tendenza centrale e variabilità sono tipicamente utilizzate, ma le configurazioni speciali sono talvolta pure misurate. In terzo luogo diverse prospettive analitiche, possono essere prese in considerazione per quanto riguarda la composizione di un gruppo. L’ampiezza del gruppo di lavoro I ricercatori hanno formulato diverse raccomandazioni relative all’ampiezza ideale dei vari tipi di gruppo. Alcuni hanno ad esempio suggerito che i gruppi di lavoro devono essere costituiti da una dozzina di membri, mentre altri che 7 componenti era la dimensione migliore. Alcune ricerche suggeriscono che dimensioni hanno una relazione curvilinea (non lineare) con l’efficacia lavorativa, tale che avere troppo pochi o troppi membri riduce le prestazioni; mentre altri studi non hanno trovato correlazioni significative tra le dimensioni del team e le prestazioni o hanno scoperto che aumentando le dimensioni del team effettivamente vi sono miglioramenti delle prestazioni Questa diversità nelle raccomandazioni e nelle conclusioni è probabilmente dovuta al fatto che un’ appropriata dimensione del gruppo è condizionata dal tipo di compito e dall'ambiente in cui il gruppo opera. Per esempio, i gruppi più grandi possono avere accesso a più risorse, quali tempo, energia, denaro e competenze, tuttavia, i gruppi più ampi possono anche sperimentare problemi di coordinamento che interferiscono con le prestazioni e perdite di motivazione causate da una dispersione di responsabilità. In conclusione, la questione della dimensione ottimale del gruppo è una questione complessa. Le caratteristiche demografiche La misura in cui i processi e i risultati di un gruppo risultano influenzati dalla omogeneità o dall’eterogeneità delle caratteristiche demografiche dei membri del gruppo è stato al centro di notevole attenzione, anche se è difficile determinare se la diversità del gruppo è auspicabile. Alcuni autori hanno concluso che i gruppi composti da membri simili hanno prestazioni migliori di quanto non facciano quelli composti da membri dissimili, mentre altri conclusero che la diversità tende ad avere un rapporto positivo con l'efficacia del team. In primo luogo, gli effetti della diversità probabilmente dipendono dalla natura del compito che il gruppo deve espletare. In secondo luogo, gli effetti della diversità possono dipendere dai particolari esiti studiati. Terzo, l'impatto della diversità può variare nel tempo. Infine, l' impatto della diversità può dipendere da attributi su cui viene valutata l’omogeneità vs l’eterogeneità. Alcune ricerche suggeriscono che la diversità delle caratteristiche demografiche può avere conseguenze negative, ma che la diversità di competenze e conoscenze può avere effetti positivi. La ricerca futura deve esaminare questi fattori e come essi possono limitare o ampliare l'impatto della diversità sui processi e sui risultati del gruppo. Disposizioni e abilità Oltre alla diversità demografica, i ricercatori hanno considerato gli effetti della composizione del gruppo di costrutti come la personalità e l’abilità cognitiva sull'efficacia del gruppo. - La personalità. L'ultimo decennio ha visto un rinnovato interesse nella personalità che è stato esteso anche ai gruppi, dal momento che i ricercatori hanno esaminato l'impatto della personalità del gruppo sull’efficacia del team. In generale, questo filone di ricerca ha trovato un legame tra le dimensioni della personalità del gruppo e le prestazioni del gruppo. Coerente con la ricerca a livello individuale, la coscienziosità a livello di gruppo appare essere un predittore abbastanza potente e positivo di efficacia del team. Sebbene la coscienziosità sia stata la più frequentemente studiata, alcune ricerche suggeriscono che altri fattori di personalità del modello dei Big Five, come ad esempio l’estroversione e l’amicalità, possono anche svolgere un ruolo nella determinazione dell'efficacia del gruppo di lavoro. VI DISPENSA: I gruppi di lavoro pt.2 Lo sviluppo Il modello classico a fasi Diversi modelli descrivono le fasi di sviluppo che i gruppi attraversano durante il loro ciclo vitale. Le caratteristiche descrittive di questi modelli sono molto simili all’ampiamente citato modello di Tuckman di sviluppo del gruppo. Inizialmente i membri del gruppo si riuniscono durante la fase di formazione e cautamente cominciano a esplorare il gruppo e a tentare di stabilire una struttura sociale. I membri quindi tentano di definire la attività di gruppo e stabilire come saranno realizzate. Nel momento in cui i membri del gruppo si rendono conto che definire il compito è più difficile di quello che si aspettavano che fosse, passano alla fase di contrasto. I membri del gruppo discutono delle azioni che il gruppo dovrebbe adottare. Diverse fazioni possono contribuire alla progressione del conflitto. Appena il gruppo ricompone le diverse vedute e responsabilità, inizia a stabilire le regole di base, i ruoli e lo status dei differenti membri. Durante questa fase di tipizzazione si riduce il livello di conflitto emotivo del gruppo e i singoli membri diventano più cooperativi, sviluppando un senso di coesione e di obiettivi comuni. Nel momento in cui tali aspettative normative sono stabilite, il gruppo passa a una fase di prestazione (performance). I membri sono in grado di prevenire i problemi del gruppo o di lavorare su tali problemi quando si presentano. Essi diventano sempre più attaccati al gruppo e soddisfatti con i suoi progressi nel momento in cui propendono verso un obiettivo comune. “In sostanza i membri del gruppo risolvono i problemi iniziali di assestamento mettendo a fuoco gli scopi della propria associazione e verificando il grado di attrazione reciproca, tradotto in strutture di regolazione interna che stabilizzino il cammino comune. Come si può notare l’attenzione è posta su criteri di definizione che privilegiano la “vita interna” del gruppo, ignorando sistematicamente la sua collocazione in un preciso contesto sociale e le eventuali influenze di altre entità sociali (gruppi, organizzazioni, etc.,) contigue.” Implicazioni per il lavoro di gruppo I modelli classici dello sviluppo del gruppo hanno la tendenza a concentrarsi sui tipi più semplici di gruppi di lavoro con attività che hanno flussi di lavoro indefiniti e processi internamente guidati. Così, essi hanno concentrato primariamente l'attenzione sull’ambiguità e sul conflitto interpersonale che i nuovi membri del gruppo sviluppano nel tentativo di creare una gerarchia sociale con norme comuni per guidare le interazioni tra i membri. Questa attenzione ha diverse implicazioni. In primo luogo, tali modelli non sono sensibili al ruolo del contesto organizzativo. In secondo luogo, tali modelli riportano una concettualizzazione limitata del compito, delle sue contingenze, delle dinamiche e dei vincoli temporali. In terzo luogo, l'eccessiva enfasi sulle attività non strutturate significa che i modelli non considerano lo sviluppo di modelli di interazione e di scambio tra i membri rilevanti per l’attività del gruppo, tale attività risulta derivata dalla struttura dell’organizzazione. In quarto luogo, i modelli sono orientati da un punto di vista collettivo, con il gruppo di lavoro concettualizzato come entità olistica. Questa è una prospettiva rilevante quando il contributo dei singoli membri sui risultati del gruppo sono rappresentabili tramite semplici aggregazioni. Tuttavia , quando la composizione è rappresentabile da modelli più complessi, vi è la necessità di distinguere meglio i contributi dell'individuo, delle unità diadiche, e del livello di gruppo. Infine, i modelli forniscono solo una descrizione generale di particolari problemi che si presentano durante lo sviluppo, le modalità con cui sono affrontati, e i risultati del processo. Così, come la letteratura sulla socializzazione del gruppo, gran parte della letteratura sullo sviluppo del gruppo fornisce relativamente poche informazioni per quanto riguarda lo sviluppo dei gruppi di lavoro. Ci sono , tuttavia, alcune eccezioni. Un tema centrale riguarda la necessità di considerare il fattore tempo, la sua dinamica, e i suoi effetti. I gruppi di lavoro sono legati a un contesto esterno che imposta il ritmo di lavoro e i cicli di attività del gruppo, che possono cambiare nel tempo richiedendo adattamento; tutto ciò ha importanti implicazioni per lo sviluppo del gruppo di lavoro, che non è necessariamente rappresentabile come una serie uniforme di tappe fisse. Gersick ha analizzato i processi di sviluppo di 16 gruppi di progetto con cicli di vita che vanno da 1 settimana a 6 mesi e ha proposto un modello di sviluppo del gruppo a 2 stadi: il modello di equilibrio “punteggiato”. L’assunto chiave di Gersick è che lo sviluppo del gruppo non è dettato da una progressione lineare di stadi. Piuttosto, è legato all’adempimento di scadenze temporali dettate dall’esterno che regolano l’evoluzione del gruppo. Le prime interazioni di gruppo stabiliscono norme stabili che modellano le attività di gruppo attraverso un periodo iniziale di inerzia. A metà strada, una trasformazione significativa verifica come i gruppi riorganizzano la loro focalizzazione sul completamento del compito. Morgan ha elaborato un modello di sviluppo del lavoro di gruppo che ha integrato i modelli di Tuckman e Gersick. Il modello è stato progettato per essere applicato nei gruppi di lavoro che operano in ambienti complessi nei quali il coordinamento è un aspetto centrale della efficacia della performance del gruppo. I presupposti del modello sono che (a) i processi di sviluppo del gruppo cambiano nel corso del tempo, (b) i processi di cambiamento formano reciproci legami processo e (c) i membri del team acquistano contestualmente una serie di abilità che esitano in miglioramenti di efficacia del team nel tempo. Questa integrazione dei modelli di Gersick e Tuckman ha prodotto un modello con 9 stadi di sviluppo: preformazione, formazione, contrasto , tipizzazione, prestazione I, riformazione, prestazione II, conformazione, e deformazione. Un'altra caratteristica fondamentale del modello è la distinzione fatta tra la mansione lavorativa (le conoscenze pertinenti la mansione del singolo lavoratore, nonché lo sviluppo di competenze) e il lavoro di gruppo (conoscenze e competenze che migliorano la qualità delle interazioni tra i membri del gruppo, cioè, il coordinamento, la cooperazione, e la comunicazione) che devono essere integrati in parallelo come aspetto centrale del processo di evoluzione del gruppo. Più recentemente, Kozlowski ha proposto un modello normativo di formazione-sviluppo di gruppo che integra lo sviluppo del gruppo con una prospettiva legata alle prestazioni. Ci sono 3 aspetti chiave caratteristici della teoria. In primo luogo, le dinamiche temporali vengono viste in termini sia di fasi lineari che cicliche, in grado di rappresentare rispettivamente gli effetti dei processi di sviluppo e delle attività. Le capacità di gruppo migliorano nello sviluppo del gruppo richiedendo transizioni a fasi più avanzate di acquisizione di abilità. All’interno di una fase, le variazioni delle attività o i cicli forniscono opportunità per l'apprendimento e l'abilità di acquisizione. In secondo luogo, le transizioni di sviluppo forniscono attenzione al diverso contenuto che è al centro del nuovo apprendimento, ai diversi processi con cui le conoscenze e le competenze vengono acquisite, e ai diversi risultati che comprendono le capacità attuali. In terzo luogo, la formazione del gruppo è vista come un fenomeno multilivello emergente. Le conoscenze, le competenze e i risultati delle prestazioni si formano in una progressione successiva che va dall’individuo, allo scambio diadico, e infine alla rete di gruppo adattiva. Deshon fornisce un supporto preliminare per la proposizione di base che cambiamenti di sviluppo multilivello: dall’ individuo al gruppo facilitano le prestazioni di adattabilità del gruppo. Le implicazioni di ricerca e applicative La socializzazione In nessun altra fase lavorativa e della carriera i dipendenti sono “malleabili” e aperti all’orientamento come lo sono durante i loro primi incontri con l'organizzazione e il loro gruppo di lavoro. Ciò fornisce un evidente opportunità sulla formazione dei nuovi dipendenti, che non è passata inosservata da parte delle organizzazioni. Infatti, la maggioranza delle organizzazioni si sforzano per socializzare i nuovi arrivati, inculcando norme, obiettivi, e valori attraverso la promozione di corsi di formazione e programmi di orientamento. Eppure le evidenze disponibili suggeriscono che questi sforzi hanno effetti solo moderati e transitori, che sono offuscati da processi di socializzazione più intensi e prossimali che avvengono all'interno dei gruppi di lavoro. I leader del gruppo e i membri del gruppo di lavoro svolgono un ruolo critico nel processo di socializzazione del nuovo arrivato. Può essere un utile strategia la formazione di leader del gruppo e dei membri del gruppo a essere agenti di socializzazione maggiormente efficaci. In tal senso vi sono ancora pochi sforzi sviluppati nelle organizzazioni. Lo sviluppo Analogamente alla fase di socializzazione, il periodo di sviluppo del gruppo di lavoro offre un'opportunità senza precedenti per modellare la natura e il funzionamento dei nuovi gruppi. Purtroppo, a differenza della socializzazione, in cui vi è una crescente base empirica, vi sono relativamente poco indirizzi di ricerca sullo sviluppo dei gruppi di lavoro. L’efficacia dei gruppi, i processi e i miglioramenti Da un punto di vista di psicologia organizzativa, l'efficacia del gruppo è il principale focus della teoria e della ricerca sui gruppi. L’efficacia del gruppo di lavoro La maggior parte dei modelli di efficacia del gruppo di lavoro iniziano dove la maggior parte dei modelli di sviluppo del gruppo terminano. I modelli di efficacia del gruppo di lavoro in generale considerano gruppi maturi che hanno completato un formativo processo di sviluppo. La maggior parte dei modelli di efficacia del team sono formulati tenendo conto dell’ ampio quadro teorico ipotizzato da McGrath: ingressi-processo-conseguenze (IPO: inputs-process-outcome); gli ingressi (inputs) sono la causa primaria dei processi che a loro volta mediano gli effetti degli ingressi sui risultati. Gli ingressi rappresentano le varie risorse a disposizione dei gruppi di lavoro sia internamente che esternamente a più livelli. I processi rappresentano i meccanismi che inibiscono o facilitano la capacità dei membri del gruppo di unire le loro capacità e il loro comportamento. Gli esiti (outpouts) rappresentano i criteri per valutare l'efficacia delle azioni del gruppo. L'efficacia del team è generalmente concepita come una dimensione multicomponenziale, con particolare attenzione sia a criteri interni che a criteri esterni. In pratica, l'efficacia del team è ampiamente definita e valutata in vari modi. Manca perciò la precisione di un costrutto teorico, bisognerebbe analizzare le sue specifiche per particolari tipi di gruppo per determinare il suo autentico significato. I processi del gruppo. Vi è una vasta letteratura sui processi di gruppo. Organizzeremo la nostra successiva discussione sui processi del gruppo distinguendo 3 ordini di processi: cognitivi, affettivo-motivazionali, e meccanismi comportamentali. 1) Meccanismi e costrutti cognitivi Tre meccanismi cognitivi primari sono rappresentati in letteratura: i modelli mentali del gruppo, la memoria transattiva, e l’apprendimento nel gruppo. I modelli mentali di gruppo riguardano la comprensione organizzata e la rappresentazione mentale degli elementi chiave del compito e dell’ambiente in cui si muove il gruppo, condivisi dagli stessi membri. In letteratura sono stati proposti 4 ambiti contenutistici: (a) modello delle attrezzature: la conoscenza delle attrezzature e degli strumenti utilizzati dal team; (b) modello delle mansioni: la comprensione circa il lavoro che il gruppo deve realizzare, compreso gli obiettivi, i requisiti di prestazione e i problemi del gruppo; (c) modello del membro: la consapevolezza delle caratteristiche del membro del gruppo, comprese le rappresentazioni di ciò che i singoli membri conoscono e percepiscono sulle loro competenze, preferenze e abitudini; e (d) modello del lavoro di gruppo: ciò che è conosciuto dai membri del team a riguardo di quelli che sono i processi del gruppo appropriati o efficaci. Connessi ai modelli mentali, ma ad un livello più alto di generalità troviamo le concettualizzazioni del clima di gruppo. Il clima rappresenta percezioni condivise a livello di gruppo di importanti fattori contestuali che influenzano il funzionamento del gruppo e i prodotti dell’azione performativa del gruppo tramite la mediazione delle percezioni di clima del gruppo. La coerenza del gruppo è un'altra variante del costrutto di modello mentale del gruppo. La differenza principale è che la coerenza di gruppo non assume che i membri condividano tutta la conoscenza in maniera identica, anzi, viene assunto che una specifica conoscenza delle persone sia diversa, ma comunque compatibile o complementare. La coerenza di gruppo è alla base dei processi di sviluppo del gruppo che si dipanano nel corso del tempo, condividendo esperienze, e facilitando l’azione dei leader. 2) La memoria transattiva è un sistema condiviso a livello di gruppo per la codifica, l’archiviazione e il recupero delle informazioni, un insieme di sistemi di memoria individuali che unisce la conoscenza posseduta dai particolari membri con la comune coscienza di chi conosce cosa. Essa è stata introdotta per spiegare come le relazioni all’interno dei gruppi di lavoro favoriscono lo sviluppo della memoria condivisa. Lo sviluppo della memoria transattiva comporta la comunicazione e l’aggiornamento delle informazioni che ogni membro ha circa la aree di conoscenza dell'altro. Oltre a conoscere chi è l'esperto nelle diverse aree di conoscenza, la memoria transattiva implica anche la memorizzazione di nuove informazioni con individui che hanno corrispondenti competenze e l'accesso di materiale pertinente dagli altri nel sistema. La memoria transattiva è in grado di offrire ai gruppi il vantaggio dell'efficienza cognitiva. 3) L’apprendimento nel gruppo si riferisce ai cambiamenti relativamente permanenti nella conoscenza di un insieme di individui interdipendenti. Tali modifiche della conoscenza sono associate con l'esperienza e possono essere distinte concettualmente dall’apprendimento individuale. Argote ha evidenziato che i processi di apprendimento di singoli lavoratori qualificati non necessariamente convergono e si traducono in un gruppo di dipendenti che apprendono insieme. Il modello di Edmonson dell'apprendimento di gruppo suggerisce che la sicurezza psicologica, una convinzione condivisa tra i membri del gruppo sulla sicurezza a livello gruppale per l’assunzione di rischi interpersonali, contribuisce L’efficacia dei processi decisionali del gruppo è stato un rilevante tema di oggetto nella ricerca in particolare degli anni 90. Tale filone è stato in particolar modo attivato da problemi avuti nei contesti militari causati da disfunzioni nel coordinamento dei processi di gruppo; sono state quindi effettuate diverse ricerche per comprendere meglio l’efficacia decisionale del gruppo e per sviluppare interventi volti al miglioramento di questi. In questa sede prenderemo in esame 2 ricerche in tal senso. Hollenbeck ha sviluppato una teoria della decisione per gruppi gerarchici i cui membri sono caratterizzati da competenze distribuite, da ruoli distinti e dal fatto che hanno accesso a differenti informazioni rilevanti per la presa di decisioni. Questo permette loro di elaborare raccomandazioni sulle decisioni che trasmettono al leader- coordinatore del gruppo (team leader), che poi materializza la decisione del gruppo. Il paradigma di ricerca è temporalmente sensibile nel fatto che il leader prende le decisioni, ottiene un feedback, e fa in modo che le valutazioni siano incorporate in decisioni successive. Hollenbeck ha introdotto la teoria e l’hanno testata in 2 contesti di ricerca, evidenziando che i team leader sono generalmente sensibili alla qualità e all’accuratezza della consulenza che ricevono dai membri del gruppo e, nel tempo, si adattano regolarmente ad essa di conseguenza. Cannon-Bowers ha condotto una ricerca multidisciplinare nell’arco di 7 anni: il programma di presa di decisioni sotto stress (TADMUS), che è stato progettata per migliorare la formazione del gruppo e dei fattori umani nelle squadre decisionali. Una delle caratteristiche chiave del programma TADMUS è stata l’integrazione tra sviluppo della teoria, ricerca di base, prove sul campo, e applicazione. Il programma TADMUS ha rappresentato un ottimo esempio del modo in cui la teoria e la ricerca di base possono essere trasferite a un efficace applicazione organizzativa. Le competenze e la performance del gruppo La rilevanza dei processi di gruppo per migliorare l'efficacia dei gruppi di lavoro si presume dal modello teorico IPO (Inputs-Process-Outcomes); i processi quindi sono predittori prossimali dei risultati di performance di gruppo. Quindi, sebbene ci siano diverse strategie per migliorare l’efficacia del gruppo, il diretto potenziamento dei processi di gruppo utilizzando lo strumento della formazione risulta essere l'intervento di efficacia di gruppo maggiormente diffuso. Questa strategia richiede 2 focalizzazioni: (a) la specificita delle competenze che sono alla base delle prestazioni di gruppo efficaci e (b) la progettazione e l’implementazione di strategie formative in grado di migliorare tali competenze e i processi di gruppo, e in grado di incrementare l’efficacia del gruppo. La prestazione del gruppo può essere definita come il prodotto o il risultato delle azioni del gruppo in grado di soddisfare le richieste esterne. Tuttavia, a un livello più specifico di fattori identificanti che costituiscono le dimensioni critiche di performance di gruppo, possiamo incontrare diverse nodi identificativi da dirimere. Come osservato nella nostra discussione sulle tipologie di gruppo, è molto difficile sviluppare una comune definizione della prestazione di gruppo; questa generalmente varia in base al tipo di gruppo. I vincoli provenienti dall’esterno del gruppo, il suo compito, e le implicazioni per i collegamenti interni ed esterni portano ad avere differenti dimensioni della prestazione rilevanti per diversi tipi di gruppo. Pertanto, la specificazione e la misurazione della performance di gruppo dovrebbe essere stabilita dal contesto e dal compito del gruppo. Avere misure rigorose, affidabili e validi di prestazione del gruppo sono strumenti essenziali per migliorare l'efficacia del gruppo. E’ importante tenere presente l'orientamento assunto dai ricercatori quando analizzano la prestazione del gruppo nei loro sforzi analitici per migliorare l'efficacia del gruppo. L'orientamento è stato molto incentrato sui processi rispetto ai risultati. A questo proposito, i ricercatori hanno generalmente distinto tra competenze di compito lavorativo: vale a dire le competenze tecniche o di livello lavorativo individuale; e competenze a livello di gruppo: le conoscenze, competenze e gli atteggiamenti che permettono al singolo individuo di lavorare efficacemente con gli altri membri del gruppo per raggiungere un obiettivo comune. Le competenze a livello di gruppo riguardano i processi cognitivi, affettivo- motivazionali e comportamentali descritti in precedenza e le conoscenze, competenze e atteggiamenti in grado di facilitarle. In questa sede presenteremo tre lavori empirici che hanno fornito un contributo conoscitivo nelle competenze a livello di gruppo. Fleishman e Zaccaro hanno descritto una tassonomia di compiti in grado di facilitare le prestazioni del gruppo. Essi hanno sintetizzato 7 categorie principali di compiti funzionali per le prestazioni del gruppo: l’orientamento, la distribuzione delle risorse , le caratteristiche dello scadenzario temporale , il coordinamento delle risposte , la motivazione , il monitoraggio dei sistemi , e le procedure di mantenimento Sulla base del loro ampio lavoro con equipaggi di cabina degli aeromobili, Salas ha sintetizzato una serie di 8 dimensioni di abilità di gruppo: l’adattabilità, la consapevolezza situazionale condivisa, il monitoraggio delle prestazioni e dei feedback, la leadership, le relazioni interpersonali,il coordinamento, la comunicazione, la presa di decisioni. Inoltre, essi hanno sviluppato una tipologia per classificare le competenze del gruppo e specificare le conoscenze essenziali (cioè, i fatti, i concetti, le relazioni), le competenze (ad esempio, le procedure cognitivo - comportamentali), e gli atteggiamenti (le componenti affettive del lavoro di gruppo). La tipologia “due a due” è basata sul compito e sulle dimensioni del gruppo. Ciascuna dimensione è ulteriormente distinta dal fatto che le competenze sono specifiche o generiche. Il risultato è 4 distinte classi di competenze appropriate per differenti tipi di gruppo. Ad esempio, le competenze trasferibili sono generalizzabili tra i gruppi e sono più appropriate per situazioni in cui gli individui sono membri di più gruppi di progetto. In contrasto, le competenze generate dal contesto risultano appropriate per i gruppi di lavoro con stretti legami con un ambiente esterno dinamico e con flussi di lavoro interni complessi e caratterizzati da una forte enfasi sul coordinamento, dalla conoscenza e dall'adattabilità di richieste di ruolo interconnesse. La formazione del gruppo Una varietà di interventi diretti sono stati proposti per migliorare le prestazioni del gruppo e la loro l'efficacia. In questa sede analizzeremo alcune tecniche che hanno ricevuto attenzione empirica. Il team building è forse la tecnica di formazione più diffusa e generalmente si concentra sul miglioramento delle competenze del gruppo in una o più delle 4 aree di seguito descritte: (a) goal setting: la capacità di fissare e raggiungere obiettivi; ( b) le relazioni interpersonali: competenze per sviluppare la comunicazione, il sostegno, e la fiducia tra i membri, (c) problem solving, competenze per l'identificazione dei problemi, la generazione di soluzioni, implementazione, e valutazione; e (d) chiarificazione di ruolo, le competenze per migliorare la comprensione delle necessità e delle responsabilità del ruolo altrui. Sebbene ci siano molte testimonianze sull’efficacia delle tecniche di team-building, è comunque debole il supporto empirico della loro efficacia. La leadership e la motivazione nei gruppi di lavoro La leadership nei gruppi La maggior parte dei modelli di efficacia dei gruppi di lavoro riconoscono il ruolo fondamentale del leader del gruppo. Molte teorie della leadership sono incentrate sullo studio dei tratti, come l'intelligenza, o sulla frequenza delle attività del leader, come le il numero di telefonate durante la giornata e il numero di incontri durante la giornata. Relativamente trascurato è quello che i leader dovrebbero effettivamente fare per migliorare l'efficacia del team - il loro ruolo funzionale, una prospettiva che crediamo sia più produttiva. Inoltre, molte teorie della leadership si concentrano sul livello individuale, ci sono relativamente pochi tentativi di esaminare le differenze tra i comportamenti di leadership nel contesto dei lavori di gruppo e tra i leader stessi. Il ruolo funzionale dei leader Anche se ci sono stati solo pochi sforzi per specificare il ruolo funzionale dei leader dei gruppi di lavoro, assistiamo a una ragionevole coerenza nelle importanti funzioni di leadership che devono essere realizzate nei gruppi di lavoro. Sono state utilizzate differenti etichette per descrivere tali funzioni, tuttavia queste possono essere raggruppate in 2 categorie fondamentali: (a) lo sviluppo e la definizione di processi di gruppo e (b) il monitoraggio e la gestione delle prestazioni del gruppo. Per quanto riguarda i team di sviluppo, i leader devono spesso fronteggiare la sfida di costruire un nuovo gruppo. In queste situazioni, il ruolo funzionale di un leader è quello di sviluppare individui in una coerente, senza soluzione di continuità e ben integrata unità di lavoro. In altre circostanze, i gruppi sperimentano deflussi e afflussi di personale nel tempo. Nel momento in cui nuovo personale afferisce in un gruppo, questi necessita di essere socializzato e assimilato. I leader sono fondamentali per questo processo di assimilazione dei nuovi membri. Le funzioni di sviluppo dei team leader si concentrano sulla implementazione di attività di orientamento di gruppo e di coaching per sviluppare la coerenza del gruppo. Un secondo importante ruolo funzionale del team leader è quello di stabilire e mantenere le condizioni di performance favorevoli per il gruppo di lavoro. In questa veste, i leader si impegnano in 2 tipi di comportamento : monitorare e intraprendere azioni. Il monitoraggio riguarda il raccogliere e l’interpretare i dati sulle condizioni di performance e gli eventi che li possono influenzare. L’autogestione dei gruppi I gruppi descritti negli studi sull’ auto-gestione hanno diverse caratteristiche distintive. A loro sono stati dati da espletare compiti di lavoro relativamente completi ed è permesso una maggiore autonomia e controllo sul proprio lavoro. Inoltre, i membri di tali gruppi sono responsabili di molte funzioni gestionali tradizionali, come l'assegnazione dei membri ai vari compiti, la risoluzione all’interno del gruppo di problemi interpersonali e di qualità, e la conduzione di riunioni di gruppo. I gruppi di lavoro autogestiti hanno spesso un leader, tuttavia, la loro funzione primaria è quella di permettere il processo di autogestione. Molti benefici sono stati attribuiti ai gruppi in autogestione, tra cui una maggiore produttività, una migliore qualità del lavoro e della qualità della vita lavorativa dei dipendenti, così come diminuiti livelli di assenteismo e turnover. Sebbene la ricerca suggerisca che i gruppi di lavoro possono essere molto efficienti a volte falliscono negli obiettivi. È stato suggerito che questi fallimenti sono spesso legati ai comportamenti dei leader. Il leader ottimale per i gruppi autogestiti è colui che mostra un coinvolgimento non intrusivo nelle attività del gruppo e un democratico orientamento al potere. Tali leader guidano i gruppi attraverso la presentazione di modelli di comportamento e assistendo-aiutando il gruppo a sviluppare auto-direzione e senso di padroneggiamento delle attività. Recenti ricerche suggeriscono che anche il contesto sociale all'interno di un gruppo e il compito di questi possono moderare l'efficacia dei team autogestiti. Applicazioni pratiche La ricerca e la teoria sulla leadership è stata condotta su molteplici livelli di analisi. Anche se alcune teorie si concentrano sulle caratteristiche specifiche dei leader o dei loro collaboatori, altre teorie quale quella dello scambio leader-membro del gruppo (LMX) si concentrano sulle relazioni diadiche tra un leader e un membro del gruppo, e ancora altre teorie si concentrano in particolare sulla leadership nei contesti di gruppo. È importante riconoscere che gli ambienti dei gruppi creano una serie di sfide uniche per i leader. La motivazione nei gruppi La maggior parte della teoria e della ricerca sulla motivazione si è focalizzata a livello individuale. Infatti, relativamente poca ricerca ha esaminato specificamente come opera la motivazione nei contesti dei gruppi di lavoro. Molto di quello che sappiamo sulla motivazione a livello dei gruppi di lavoro proviene dalla ricerca nel campo della psicologia sociale che ha esaminato temi quali la produttività o i processi di perdita che spesso si verificano quando gli individui lavorano nei gruppi. Anche se gran parte di questo lavoro si concentra sulla motivazione individuale e sulle prestazioni nei contesti di gruppo, i ricercatori di frequente hanno estrapolato gli effetti a livello di gruppo. Nel seguente paragrafo forniremo una breve rassegna delle ricerche sulla perdita di produttività nei gruppi di lavoro. La perdita di produttività Numerose ricerche hanno dimostrato che gli individui tendono a esercitare meno fatica quando i loro sforzi sono combinati piuttosto che meramente individuali. Questo effetto – riferito come di condivisione sociale - è considerato robusto e generalizzabile tra diverse mansioni e popolazioni lavorative. Tuttavia, la ricerca ha dimostrato anche che ci sono numerose variabili che modulano la tendenza a impegnarsi nella condivisione sociale. Per esempio, la condivisione sociale può essere eliminata aumentando l'identificabilità dei singoli contributi e fornendo standard di prestazioni chiare. In effetti, la ricerca suggerisce che molte delle variabili che attenuano la condivisione sociale servono anche a migliorare le prestazioni del gruppo. Questo effetto è noto come facilitazione sociale, che deriva principalmente dalla motivazione di mantenere una positiva immagine di sé in presenza di altri, soprattutto quando gli altri sono visti come potenziali valutatori. Teorie della motivazione di gruppo Come abbiamo accennato, rispetto alla ricerca sulle motivazioni a livello individuale, pochi lavori empirici hanno investigato la motivazione nei gruppi di lavoro. Infatti, non ci sono teorie sulle motivazioni di gruppo chiaramente sviluppate e indagate. Ciò che è interessante, tuttavia, è che gran parte del lavoro su questo tema si è concentrato sull’allineare il livello individuale della motivazione con quello di gruppo. Weaver per esempio ha differenziato tra il livello individuale della motivazione, denominandolo motivazione a livello di compito lavorativo, e livello di motivazione di gruppo, denominandolo motivazione a livello di gruppo di lavoro. Essi hanno sostenuto che le prestazioni del gruppo di lavoro migliorano quando le motivazioni a livello individuale e a livello di gruppo sono congruenti non solo tra loro, ma anche con gli obiettivi dell'organizzazione. Commissione Consultiva permanente per la salute e la sicurezza del lavoro il compito di "elaborare le indicazioni necessarie alla valutazione del rischio stress lavoro-correlato". Evoluzione della normativa Tra le novità introdotte dal D.Lgs 81/08, di certo un ruolo di primo piano assume la definizione, mutuata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, del concetto di "salute" intesa quale "stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità",premessa per la garanzia di una tutela dei lavoratori anche nei confronti dei rischi psicosociali. Contestualmente, con la definizione anche del concetto di"sistema di promozione della salute e sicurezza"come "complesso dei soggetti istituzionali che concorrono, con la partecipazione delle parti sociali, alla realizzazione dei programmi di intervento finalizzati a migliorare le condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori", viene introdotta una visione più ampia della prevenzione della salute e sicurezza sul lavoro che rimanda a quelli che sono i principi della "Responsabilità Sociale" definita come "integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle aziende ed organizzazioni nelle loro attività commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate". Nel complesso delle attività di prevenzione, un ruolo di primo piano è assegnato allo studio dell’organizzazione del lavoro, del "rispetto dei principi ergonomici nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo". Le indicazioni per la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato Come riportato nella nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di accompagnamento alle indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato, le linee di indirizzo che hanno guidato l’elaborazione delle stesse sono: a) "brevità e semplicità"; b) "individuazione di una metodologia applicabile ad ogni organizzazione di lavoro"; c) "applicazione di tale metodologia a gruppi di lavoratori esposti in maniera omogenea allo stress lavoro-correlato"; d)"individuazione di una metodologia di maggiore complessità rispetto alla prima, ma eventuale" da utilizzare nel caso in cui la conseguente azione correttiva non abbia abbattuto il rischio; e) "valorizzazione delle prerogative e delle facoltà dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e dei medici competenti"; f) "individuazione di un periodo transitorio per quanto di durata limitata per la programmazione e il completamento delle attività da parte dei soggetti obbligati". Premessa indispensabile che la Commissione Consultiva opera è quella di precisare che "il documento indica un percorso metodologico che rappresenta il livello minimo di attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato per tutti i datori di lavoro", sottolineando così che l’approccio per fasi alla valutazione (percorso metodologico) viene vincolato a prescrizioni solo minime (livello minimo) non precludendo, quindi, la possibilità di un percorso più articolato e basato sulle specifiche necessità e complessità delle aziende stesse. Valutazione preliminare Consiste nella rilevazione di "indicatori di rischio da stress lavoro-correlato oggettivi e verificabili e ove possibile numericamente apprezzabili", a solo titolo esemplificativo individuati dalla Commissione Consultiva, appartenenti "quanto meno" a tre famiglie distinte: 1) eventi sentinella; 2) fattori di contenuto del lavoro; 3) fattori di contesto del lavoro. Relativamente agli strumenti da utilizzare, in tale prima fase "possono essere utilizzate liste di controllo applicabili anche dai soggetti aziendali della prevenzione". Se la valutazione preliminare non rileva elementi di rischio da stress lavoro-correlato e, quindi, si conclude con un "esito negativo", tale risultato è riportato nel Documento di Valutazione del Rischio con la previsione, comunque, di un piano di monitoraggio. Nel caso in cui la valutazione preliminare abbia un "esito positivo", cioè emergano elementi di rischio "tali da richiedere il ricorso ad azioni correttive, si procede alla pianificazione ed alla adozione degli opportuni interventi correttivi"; se questi ultimi si rilevano "inefficaci", si passa alla valutazione successiva, cosiddetta "valutazione approfondita". Figura 1 – percorso metodologico di valutazione del rischio da stress lavoro correlato secondo le indicazioni della Commissione Consultiva Valutazione approfondita Tale fase va intrapresa, come approfondimento, nel caso in cui nella fase precedente, a seguito dell'attività di monitoraggio, si rilevi l'inefficacia delle misure adottate e relativamente "ai gruppi omogenei di lavoratori rispetto ai quali sono state rilevate le problematiche". A tal fine, le indicazioni della Commissione Consultiva prevedono la "valutazione della percezione soggettiva dei lavoratori sulle famiglie di fattori/indicatori" già oggetto di valutazione nella fase preliminare con la possibilità, per le aziende di maggiori dimensioni, del coinvolgimento di "un campione rappresentativo di lavoratori". Gli strumenti indicati per la suddetta valutazione della percezione soggettiva sono individuati a titolo esemplificativo, tra "questionari, focus group, interviste semistrutturate". Considerazioni La "collaborazione" del MC e del RSPP dettata dall’art. 29 c. 1 del D.Lgs 81/08, nella valutazione del rischio qui trattato, non può che, naturalmente, trasformarsi in una "partecipazione attiva e fondamentale". Il "percorso metodologico" per il rischio da stress lavoro-correlato così come individuato dalla Commissione Consultiva, prevede il sostanziale coinvolgimento dei lavoratori e/o degli RLS/RLST, soprattutto in alcuni specifici momenti della valutazione quali quelli relativi alla valutazione dei fattori di contesto e di contenuto, ma non preclude la possibilità del loro coinvolgimento anche nell’individuazione e valutazione dei cosiddetti "eventi sentinella"; allo stesso modo, si ritiene che tutte le figure della prevenzione presenti in azienda e gli stessi lavoratori possano portare un valido contributo. Le indicazioni delineano, quindi, un percorso preciso che pone innanzitutto il datore di lavoro e le figure della prevenzione quali chiari destinatari della valutazione del rischio da stress lavoro- correlato. Alcune riflessioni sono, comunque, necessarie, particolarmente in riferimento ad alcuni passaggi delle indicazioni della L’approccio preliminare, proprio per le sue caratteristiche di semplicità e del coinvolgimento di un numero limitato di attori, può non sempre rendere chiaro ed identificabile questo importante e centrale obiettivo ponendo, tra l’altro, il datore di lavoro in una condizione dicotomica di identificazione della presenza/assenza del rischio e della necessità o meno di adottare misure correttive. Gli errori umani Secondo Pheasant il ruolo dell’errore umano incide fino al 45 per cento degli incidenti critici nelle centrali elettriche nucleari, fino al 60 per cento degli incidenti aerei, fino all’80 per cento degli incidenti marittimi e al 90 per cento degli incidenti stradali. L'identificazione, l'isolamento e la misurazione dell’errore è quindi fondamentale per migliorare l'affidabilità umana nella progettazione dei sistemi organizzativi. L'errore umano può essere definito come la carenza/insuccesso da parte di un soggetto umano nello svolgere un atto prescritto con precisione, riportando danni, disagi o incidenti. Le tassonomie degli errori Gli errori umani sono stati classificati in una varietà di modi, ciascuno derivante da un diverso approccio disciplinare. Ad esempio, alcuni classificano gli errori in termini di omissioni (operazioni volontariamente non commesse), esecuzioni (azione non eseguita correttamente), azioni estranee (azioni selezionate in maniera scorretta), sequenze errate (azioni fuori da un ordine sequenziale prestabilito), e inadempienze temporali (azioni svolte al momento sbagliato). Altri propongono 3 tipi di errore: in ingresso (sensoriale o input percettivo), a livello di mediazione (durante l’elaborazione delle informazioni) e in uscita (output, di risposta). Se da un lato tali tassonomie sono utili perché orientate al disegno, dall’altro non chiariscono le sottostanti cause cognitive dell’errore, ma semplicemente le descrivono. Un approccio maggiormente cognitivo viene offerto da Norman classificando gli errori nel modo seguente: • errore in fase di progettazione o intenzione (per esempio, l'acquisto di una cartuccia di inchiostro per la penna sbagliata). • errore nella fase di esecuzione di una sequenza di azioni (ad esempio, una persona che entra in un negozio per comprare una cartuccia di inchiostro, ma invece acquista un’altra cosa); La tassonomia di Reason Il modello di Reason (1990) considera errori e intenzioni come 2 concetti inscindibili. Per capire i primi è necessario cogliere il livello di intenzionalità degli atti. La tassonomia degli errori si basa in primo luogo su una distinzione generale tra: • atti non intenzionali, cioè privi di pianificazione da parte degli individui; • atti intenzionali, cioè conseguenti una pianificazione dell’agente. I comportamenti senza intenzioni o che non rispettano le intenzioni o che non sono eseguiti seguendo le intenzioni, a loro volta, sono distinti in due categorie a seconda della loro natura: 1) disattenzioni (“slips”). L’incidente o l’errore è provocato da azioni che deviano dal loro corso previsto, senza che l’individuo se ne renda immediatamente conto; 2) dimenticanze (”lapses”). Errori di memorizzazione, di recupero di dati dalla memoria o cadute attentive nell’esecuzione di un compito. I comportamenti intenzionali si articolano anch’essi in 2 sottocategorie: 1) errori (“mistakes”). L’incidente o l’errore è provocato da un’azione guidata da una intenzione non appropriata; cioè vi è discrepanza tra intenzione originaria e conseguenze del comportamento; 2) violazioni. L’incidente o l’errore è provocato da un comportamento deliberatamente adottato non congruente a istruzioni, norme e codici. I comportamenti “non sicuri” dovuti ad atti non intenzionali (slips e lapses) sono riferiti solitamente a malfunzionamento cognitivo e costituiscono dei fallimenti di esecuzione di un compito. Derivano da cadute di attenzione, sviste, errata memorizzazione, malfunzionamento degli automatismi comportamentali e altri processi cognitivi che possono compromettere l’adeguato svolgimento di sequenze di azioni pianificate. Tali atti non intenzionali sono perlopiù presenti in compiti di routinario, molto familiari e basati sull’uso di competenze elementari e di processi cognitivi automatici. Alla base dell’errore c’è, secondo il modello di Reason (1990), una errata interpretazione del problema o delle soluzioni adottate per risolverlo. I mistakes, secondo lo schema di Rasmussen (1986), possono essere a loro volta articolati in 2 categorie: - errori riferiti a prestazioni rule based; - errori riferiti a prestazioni knowledge-based. 4) infine, forniscono un richiamo potente dei rischi che il sistema deve affrontare, ostacolando cosi il processo di oblio organizzativo. Tornando all’esempio i 4 quasi incidenti verificatisi in passato sulla linea Verona-Bologna in condizioni di scarsa visibilità avrebbero potuto costituire un chiaro segnale di rischio per l’organizzazione. Da questo segnale, l’organizzazione stessa avrebbe potuto ricavare una serie di indicazioni di intervento per ridurre la probabilità di incidenti.” Il Clima psicosociale per la sicurezza “Con riferimento agli incidenti organizzativi è stato riconosciuto il ruolo del clima psicosociale inteso come l’insieme delle percezioni collettive in merito al come sono affrontati i temi della sicurezza in un dato contesto lavorativo. In concreto, esso esprime quanto il tema della sicurezza sia percepito come prioritario dalla propria organizzazione di lavoro e quanto essa, ai vari livelli gerarchici, operi in termini di comunicazione e di politiche di gestione in favore della sicurezza lavorativa. Un buon clima di sicurezza sembra avere un ruolo decisivo nel ridurre i fallimenti attivi, nell’incoraggiare il rispetto delle regole e delle procedure, nel promuovere l’attenzione collettiva e la proattività personale rispetto ai difetti del sistema e delle procedure e all’adozione di comportamenti sicuri. Riconoscendo l’importanza del clima di sicurezza si verifica un passaggio dalla tradizionale attenzione ai predittori individuali di incidenti e infortuni alla considerazione di variabili psicosociali che possono avere un ruolo nella genesi degli eventi avversi e che debbono essere tenute presenti anche per la correzione delle situazioni lavorative più rischiose e per la prevenzione. Alcune riflessioni conclusive L’adozione di misure preventive e correttive in favore della sicurezza lavorativa trova impulso e sostegno dal rinnovamento del quadro normativo effettuato in Italia negli ultimi anni. Il decreto legislativo 626/1994 richiede alle organizzazioni (pubbliche o private): a) di progettare gli impianti e la stessa organizzazione del lavoro nel rispetto delle linee di prevenzione dei rischi; b) l’eliminazione o riduzione del pericolo (in base alle attuali conoscenze scientifiche); c) l’obbligo di messa a norma degli impianti e relativo aggiornamento. E tali operazioni devono essere sviluppate mediante il coinvolgimento di tutti gli attori che partecipano sistematicamente alle fasi progettuali e di costante verifica delle decisioni prese e dei loro effetti. Le misure adottabili riguardano aspetti strutturali, gestionali, di emergenza e partecipative. Naturalmente avere a disposizione buone opportunità normative non fa miracoli. IX DISPENSA: Elementi di psicologia organizzativa positiva Il comportamento organizzativo (OB) è lo studio della comprensione, previsione, e del controllo del comportamento individuale e di gruppo nei contesti organizzativi. I ricercatori che si sono occupati di comportamenti organizzativi sono stati influenzati dalla psicologia e dalle tematiche del management, e come queste discipline si sono spostate verso il versante positivo. Il comportamento organizzativo positivo (POB) è un'estensione dell'iniziale psicologia positiva sviluppata da Martin Seligman. Essa focalizza la propria attenzione sugli stati, i tratti e i processi positivi all’interno delle organizzazioni. Il nostro punto di vista è inclusivo, e accogliamo con favore la varianza che la facilita. Comprendendo una serie di variabili all'interno del POB, possiamo riflettere sulla diversità che esiste nella ricerca organizzativa positiva. La psicologia positiva Nel 1998 il presidente della APA, Martin Seligman , in un articolo ormai storico descrisse le attività in cui gli psicologi dovrebbero essere impegnati nel ventunesimo secolo. Egli ha sostenuto un ri-orientamento nella scienza psicologica in grado di porre attenzione alle qualità umane positive, e delineò questo filone come "psicologia positiva". Non solo è un approccio unificato per lo studio di argomenti come la felicità e le virtù; ma è anche un tentativo sistematizzato per promuovere la condizione umana ottimale. MSeligman ha sollecitato un “allontanamento scientifico” dallo studio della guarigione e della riparazione del funzionamento umano, in favore dell’investigazione sulle qualità positive che aiutano gli individui e le società a prosperare. Per facilitare la ricerca e la pratica e per evidenziare quelle che consideravano le lacune nella comprensione, la psicologia positiva è stata divisa in 3 livelli di indagine che costituiscono i 3 pilastri alla psicologia positiva. Il primo livello di indagine studia la speranza, la fiducia, e la sicurezza di sè. Gli studi di secondo livello sulla forza e sulle virtù, tra cui la capacità di amare, il coraggio, il perdono e la perseveranza. Il terzo livello studia le istituzioni e le comunità positive come la democrazia, le famiglie, le organizzazioni con un ruolo pubblico che operano positivamente. I comportamenti Organizzativi positivi La psicologia organizzativa positiva (POP) ha radici nella psicologia positiva, ma considera sia il versante positivo che quello negativo; la costruzione degli aspetti positivi migliorando le debolezze. Nel posto di lavoro, in cui il successo richiede prestazioni sempre più migliorative, la POP risponde alla richiesta di studi di ciò che accade positivamente nelle organizzazioni: individuando i punti di forza degli individui, evidenziando coloro che mostrano efficienti capacità di recupero e di risposta, e promuovendo la vitalità attraverso la focalizzazione sugli stati positivi, sui tratti e sui processi. Gli stati positivi rappresentano risorse psicologiche positive che possono dare un vantaggio alle organizzazioni; infatti , molti stati positivi sono risultati collegati a positivi effetti sul lavoro. I tratti, d'altra parte, sono relativamente duraturi, stabili, e si sviluppano nell'arco vitale. I tratti comprendono vari aspetti della personalità, compresa l’autovalutazione, il carattere, la virtù, e la resilienza. Data la loro natura più stabile, i tratti possono essere importanti nello sviluppo degli stati, così come nel determinare l’adattamento dell’individuo all'interno delle organizzazioni. I processi positivi di comunicazione, perdono, compassione, etc, coinvolgono sequenze di azioni che facilitano risultati positivi. Luthans, ha elaborato 4 capacità di risorse psicologiche in grado di soddisfare queste caratteristiche: la speranza, l’auto- efficacia, l'ottimismo, e la resilienza. Con le sue radici accademiche in psicologia clinica, la speranza è stata definita come uno stato motivazionale positivo derivato dalla combinazione della forza di volontà e dalle sequenze di azioni per raggiungere gli obiettivi prefissati. L'auto-efficacia si fonda sulla teoria social cognitiva di Bandura, e sulla percepita fiducia nella capacità di mobilitare le risorse necessarie per eseguire un compito. L'ottimismo è uno stile di attribuzione in cui gli eventi positivi sono raffigurati tramite cause personali, permanenti, e pervasive e gli eventi negativi attraverso cause esterne, temporanee e specifiche della situazione. La resilienza è la capacità di recupero dalle avversità e di abbracciare eventi positivi come il progresso e la maggiore responsabilità. La resilienza consente alle persone di apprendere dalle battute d'arresto. Attraverso la resilienza gli individui vedono le avversità come possibili esperienze di apprendimento. Luthans sostiene che la speranza, l’auto-efficacia, l'ottimismo, e la resilienza risultano più incisivi sul nostro apprendimento quando sono combinate. Come osservato in precedenza, il costrutto di “capitale psicologico” (PsyCap) comprende un costrutto di ordine superiore che riflette la combinazione di questi quattro costrutti di ordine inferiore. E' stato dimostrato che tale costrutto risulta associato con le prestazioni e la soddisfazione sul posto di lavoro. I processi interpersonali positivi I processi interpersonali positivi si concentrano sugli scambi interpersonali che si verificano nei contesti organizzativi. I nostri obiettivi di discussione saranno una sana comunicazione, il perdono, e lo sviluppo fiorente come 3 processi positivi nelle organizzazioni. 1) La comunicazione sana è un aspetto importante del lavorare insieme quando "Lavorare insieme" viene preso per il suo senso intrapersonale e interpersonale. In linea di massima, la comunicazione interpersonale avviene tra due o più persone e si traduce in un significato condiviso. La comunicazione sana può essere considerata come comunicazione sincera, l'assenza della quale ha notevoli conseguenze negative. La comunicazione malata risulta caratterizzata da solitudine e isolamento sociale. La comunicazione sana è la chiave per sbloccare il sostegno sociale. A livello sociale e interpersonale, la comunicazione diventa malsana quando diventa difensiva, estrema (violenza ) o si rompe completamente (silenzio). In sintesi, la comunicazione sana favorisce e promuove sostegno sociale e rafforza i legami positivi nei luoghi di lavoro. 2) Il secondo processo interpersonale positivo che prenderemo in considerazione riguarda il perdono o remissione. Il processo di remissione nelle organizzazioni non è molto rilevante, a meno che non si siano verificati eventi negativi e non siano stati prodotti danni ad alcuno. Nelle organizzazioni può accadere che ci si comporti in maniera sbagliata, a volte intenzionalmente. Ciò si traduce in dolore, sia fisico o emotivo. Il perdono/remissione, che è considerata una forma specializzata di clemenza, può avere una funzione rimarginativa e trasformativa. Tuttavia, essa richiede rischio, sforzo, apprendimento. Il perdono è raramente unidirezionale. Inoltre, viene attuata non necessariamente escludendo la responsabilità legale o personale. Perdono comporta il chiedere scusa quando si ha torto nei confronti di un'altra persona e perdonare se stessi per ogni manchevolezza. Il processo del perdono può essere catartico, sebbene le conseguenze dell’alleviamento possono non essere immediatamente evidenti. 3) Il terzo processo interpersonale positivo, lo sviluppo fiorente, riguarda lo stato psicologico durante il quale gli individui sperimentano sia la vitalità e un senso di apprendimento dal lavoro. Lo sviluppo fiorente nelle organizzazioni contribuisce ad auto- sviluppo, salute, migliori prestazioni e al contagio positivo tra colleghi, superiori e dipendenti. L’auto-sviluppo e la crescita sono fondamentali per la capacità degli individui di esplorare i loro mondi, realizzare il loro potenziale, e trovare soddisfazione con il lavoro e la vita. Sia la salute fisica che la salute psicologica sono risultati positivi del processo fiorente. Questi è un processo interpersonale nelle organizzazioni, così come la qualità della performance è principalmente una caratteristica collettiva. Prendendo in prestito dall’epidemiologia il concetto di epidemia al positivo, possiamo vedere come il processo fiorente possa avere un impatto contagioso sul lavoro. Gli effetti positivi, le emozioni positive, e l’energia positiva può diffondersi da persona a persona. In questo modo la vitalità e il benessere possono diventare "epidemie" nell’organizzazione, a beneficio di tutti. Il benessere delle organizzazioni Probabilmente ciò che meglio caratterizza i luoghi di lavoro in salute è il concetto di equilibrio. Il Lavoro sano promuove contemporaneamente gli aspetti positivi negli individui e nelle organizzazioni, e previene o risolve gli aspetti negativi. Ryff e Singer hanno presentato 3 principi che riguardano una visione positiva di ciò che costituisce il costrutto di salute: 1. La salute è in relazione al significato di una vita “sana”; è più che semplicemente una condizione medica. 2. La salute riguarda la mente (mentale) e il corpo (fisico) e come interagiscono. Il dualismo tra mente e corpo non è una prospettiva funzionale quando si considera la salute. 3. La salute è un costrutto multidimensionale, un processo dinamico piuttosto che uno stato discreto finale. Sulla base di questi tre principi, Quick e Macik-Frey hanno proposto che le organizzazioni sane operano per garantire 3 principali risultati di salute per i loro membri: A) Condurre una vita fatta di propositi: B) Rapporti di qualità con altri agenti: C) Positiva autostima e senso di padronanza Dal 1999, il programma dell'American Psychological Association (APA) incentrato sulle Organizzazioni Sane o Benessere Organizzativo ha premiato le organizzazioni che favoriscono la salute dei lavoratori e il benessere, migliorando la performance organizzativa e la produttività. Diverse pratiche distinguono gli ambienti di lavoro psicologicamente sani tra cui: coinvolgimento dei lavoratori, l’ equilibrio vita lavorativa sfera extralavorativa, la crescita e lo sviluppo dei dipendenti, la salute e la sicurezza, e il riconoscimento dei dipendenti. Un “terreno”epistemologico controbilanciato Cameron sottolinea che nel recente dominio della Psicologia Organizzativa Positiva, il positivo e il negativo sono spesso intrecciati in modo che sia difficile studiare il positivo in modo unilaterale . Concettualmente e teoricamente , tuttavia , vi è il rischio di unilateralità nel nostro pensiero. Freud ha differenziato tra tre sistemi "di pensiero ": il sistema animistico (mitologico) , il sistema religioso, e il sistema scientifico. Secondo Freud , il sistema scientifico di pensiero sostiene che non vi è più spazio per l'onnipotenza umana. Così, la nostra conoscenza di noi stessi e del nostro mondo deve fondarsi su un sistema di conoscenza incrementale, incerto, scientifico appunto. Gli estremi del dogmatismo e dello scetticismo dovrebbero essere rigettati come prospettive di conoscenza. Come nuovi domini di avanzamento della conoscenza,è essenziale tenere bene in considerazione dei fondamenti epistemologici della conoscenza. L’avanzamento della conoscenza richiede un continuo processo dialettico di tesi, di contro-tesi, di dibattito e di visioni alternative della prova. Questo processo modella la nostra conoscenza e controbilancia ogni visione unilaterale di ciò che sappiamo e come lo sappiamo. Il Benessere Organizzativo Avallone e Bonaretti hanno definito il benessere organizzativo come: “l’insieme dei nuclei culturali, dei processi e delle pratiche organizzative che animano la dinamica della convivenza nei contesti di lavoro promuovendo, mantenendo e migliorando la qualità della vita e il grado di benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità lavorative”.
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