Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto psicologia delle organizzazioni, Dispense di Psicologia del Lavoro

Riassunto ben fatto del libro "Psicologia delle organizzazioni" di P. Argentero e C.G. Cortese

Tipologia: Dispense

2020/2021
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 24/05/2021

Elisa9827
Elisa9827 🇮🇹

4.5

(34)

13 documenti

1 / 37

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto psicologia delle organizzazioni e più Dispense in PDF di Psicologia del Lavoro solo su Docsity! PSICOLOGIA DELLE ORGANIZZAZIONI (Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni) Cap. 1: Psicologia delle organizzazioni: sviluppo della disciplina L’essere umano è nato e cresciuto in contesti organizzativi anche se non ne è cosciente e percepisce la loro presenza solo quando qualcosa smette di funzionare, il vissuto dell’organizzazione è antropologicamente nascosto. La psicologia considera la dinamica relazionale come cardine della dimensione organizzativa, da un verso l’organizzazione è il contesto che contiene ed esprime certe attività, dall’altro è la forma della stessa attività riferibile ad un dato contesto. Il termine organizzazione ha quindi una doppia accezione, denota la connessione tra le diverse parti o componenti e denota una determinata categoria di enti sociali fondati sulla divisione del lavoro e delle competenze. La rivoluzione industriale del XIX secolo ha ridefinito la struttura dei contesti organizzativi e nella seconda metà del 900 è stata loro rivolta un’attenzione per gli aspetti psicologici. La psicologia delle organizzazioni viene applicata e trasferita nel mondo industriale grazie a nuove forme di approccio scientifico ispirate da Binet e dai suoi studi sul comportamento scolastico degli allievi. (scala Binet-Simon). Il primo testing di massa venne applicato da Simon ad un organizzazione di tipo militare (soldati alfabetizzati e analfabeti). Gli strumenti d’analisi applicati nelle scuole e nell’esercito si diffondono nel contesto sociale e nelle organizzazioni lavorative delle grandi fabbriche. Taylor definisce lo scientific management con una visione altamente ingegnerizzata e meccanica del processo manageriale, oggi invece si riconosce la centralità strategica della motivazione e della realizzazione individuale all’interno dell’attività manageriale. Nel corso di un secolo è cambiata la concettualizzazione del ruolo e del peso della variabile-uomo all’interno delle organizzazioni e il sistema stesso è stato riformulato in base alle dimensioni comportamentali dei singoli soggetti, l’evoluzione ha descritto complesse dimensioni interattive tra la condotta individuale e la ricostruzione del sistema organizzativo. Il mercato globale negli ultimi anni è mutato profondamente e tutt’ora è in continua evoluzione, uno dei cambiamenti più rilevanti è rappresentato dalla crescita dei contratti atipici, introdotti per ridurre il tasso di disoccupazione, ad oggi non garantiscono certezze lavorative. (lavoratore flessibile, atipico e precario). Il lavoratore è precario finché percepisce il proprio lavoro come instabile e temporaneo, questo senso pervade la sfera personale, ecco perché si parla di precarietà di vita che porta a bassi livelli di soddisfazione, stati ansiosi, depressione e generalmente ne conseguono atteggiamenti e pensieri negativi verso il passato ed il futuro oltre che all’incapacità di reagire. In Italia l’assimilazione della tecnologia relazionale è ancora fortemente bloccata della cultura, radicata nelle generazioni del secolo scorso. Gli studi sullo sviluppo organizzativo sottolineano che i fattori di successo nel quadro quotidiano dominato dall’incertezza dipendono dalla componente umana, il vero valore aggiunto si basa sulle persone, occorre accrescere il capitale umano. • Fattori hard delle imprese: tecnologie, impianti, strutture… • Fattori soft: modelli di cultura, stili direzionali, climi organizzativi… Le organizzazioni oggi non possono essere programmate e dirette tramite progetti a lungo termine ma devono essere costantemente monitorate nelle loro dimensioni di costante cambiamento. Il tratto comune che le aziende devono affrontare oggi è l’assoluta volatilità della domanda da parte dei clienti, l’instabilità della domanda di beni e servizi trova la sua origine in un complesso insieme di comportamenti, esigenze e desideri che i consumatori mostrano con maggior frequenza rispetto al passato. Questa tendenza può essere 1 dannosa per i produttori perché non sempre riescono ad andare incontro alle esigenze dei consumatori. Le organizzazioni che non rispondono prontamente alle nuove esigenze dei consumatori possono trovarsi in poco tempo fuori dal mercato. L’apertura dei mercati dal punto di vista della domanda porta alla standardizzazione dei bisogni e quindi all’estensione della dimensione del mercato a tutto il mondo, questo ha messo in crisi le particolarità locali e i tratti distintivi dei prodotti non fondati su qualità tecnologiche. Le aziende produttive per essere più competitive si concentrano sui costi della manodopera dei paesi in via di sviluppo che permettono di ridurre gli oneri di produzione. Le organizzazioni di servizi invece si confrontano con l’elevarsi e l’estendersi della domanda di benessere sociale e l’incidenza sempre più rilevante dei costi nell’offerta di prestazioni elevate e competitive. Queste organizzazioni, soprattutto se pubbliche faticano ad adottare le strategie gestionali più adeguate, probabilmente a causa di un certo lassismo nell’applicazione delle regole che caratterizza il nostro paese. Il concetto di sostenibilità prevede che la gestione di una risorsa non intacchi la sua naturale capacità di rigenerarsi, quando la gestione non è sostenibile, la risorsa viene deteriorata e distrutta, questo tema solitamente riguarda le risorse naturali rinnovabili, per le risorse esauribili invece si parla di sfruttamento ottimale della risorsa Inizialmente lo sviluppo veniva valutato in prospettiva economica, una reinterpretazione più equilibrata invece utilizza il termine sviluppo per considerare una serie di caratteristiche non strettamente economiche, come gli aspetti sociali, considerati fondamentali nel processo di crescita. Lo sviluppo sostenibile comporta una crescita ottimale in quanto non danneggia l’ambiente. Cap. 2: Comunicare e organizzare La parola organizzazione può essere intesa come un intreccio di rapporti tra persone che si passano informazioni e si scambiano messaggi, un'altra accezione vede l’organizzazione come un corso di decisioni e azioni, facendo cosi ricadere l’attenzione sugli scopi. Se nel parlare di organizzazione l’attenzione cade sulla permanenza e sulla ripetizione, la definiremo “processo”. Con il termine comunicazione invece intendiamo il passaggio di significati tra due o più attori coinvolti nel processo. Il disegno organizzativo è il modo in cui viene rappresentato l’insieme delle attività e delle relazioni proprie di un’organizzazione e che ne descrive la fisionomia (es organigrammi). Data una dimensione del disegno, es gerarchia, si può descrivere il flusso delle comunicazioni come fosse dipendente da essa, distinguendo percorsi top-down da percorsi bottom-up. Dato uno stesso disegno gerarchico si possono osservare intrecci comunicativi differenti, l’intreccio che la comunicazione assume ci dice come le persone interpretano la gerarchia, ovvero come ordinano se stessi. La funzione di ordinamento è sempre stata esercitata dagli attori ed è indice di un certo grado di consapevolezza e condivisione. Analizziamo due assunti che riguardano ogni processo organizzativo: 1. il processo volto a mettere in essere un prodotto si declina nel tempo 2. gli attori e gli enti che a vario titolo vi partecipano hanno una collocazione variabile rispetto ai suoi contorni. Il comunicare comporta sempre una relazione costitutiva (il passaggio di significati costruisce) ma ciò non esclude che non esista un rapporto tra comunicazione e agire strumentale. I partecipanti alla comunicazione possono essere singoli individui che si rivolgono ad altri singoli individui o possono essere enti e collettività. Un pubblico può essere più o meno esteso e lo scambio comunicativo può essere unidirezionale o bidirezionale. Secondo il criterio della finalità, la comunicazione può essere intesa a influenzare il corso delle azioni in maniera esplicita e diretta oppure a modificare, ribadire e generare significati che connotano un certo ente e quindi ad influenzare il corso delle azioni in una seconda istanza In base agli strumenti, la comunicazione si diversifica, l’uso degli strumenti diretti caratterizza le situazioni comunicative “in presenza” e si basa sul rapporto interpersonale. Gli strumenti indiretti invece fanno riferimento a mezzi e tecnologie che permettono di moltiplicare i contatti di un messaggio e lo rendono disponibile in tempi e 2 l’organizzazione all’ascolto dei messaggi posti dal pubblico (circuito di tipo bidirezionale) Solitamente questo circuito appartiene alla Pubblica Amministrazione ma moltissime organizzazioni ricorrono a questo tipo di comunicazione, es costumer satisfaction. I modi in cui questa comunicazione si concretizza sono due: il cliente si rivolge all’organizzazione per esprimere un giudizio o una lamentela – vengono svolte indagini campionarie per raccogliere le opinioni di utenti. In entrambi i casi si deve fare in modo che la comunicazione costituisca uno strumento di partecipazione e non di mere finzioni. È importante mettere a punto strumenti che riflettano il modo in cui i processi sono rappresentati tagli utenti e non impongono il punto di vista di chi richiede feedback su di essi. È necessario accogliere le osservazioni provenienti dall’esterno anche se mettersi in discussione e ridefinire l’organizzazione richiede grandi sforzi. Cap. 3: L'organizzazione come cultura L’approccio culturale o simbolico-interpretativo ha aperto territori di ricerca nuovi e originali, alla fine degli anni 70 le organizzazioni erano viste come organismi, sistemi sociotecnici razionalmente progettati per il raggiungimento di fini prestabiliti, capaci di adeguarsi ai cambiamenti dell’ambiente esterno. All’inizio degli anni 80 invece si inizia a guardare le organizzazioni secondo l’approccio culturale, venivano concepite come forme espressive, insiemi di significati condivisi e socialmente costruiti all’interno dei quali, sistemi strutturati di simboli condizionano comportamenti, pensieri, emozioni e la vita organizzativa. Cos’ha favorito la nascita della prospettiva culturale? La frustrazione di numerosi studiosi davanti ad un paradigma neopositivista che implicava la misurazione di “fenomeni oggettivi” consentendo loro di sperimentare nuove teorie. La crisi delle aziende occidentali che si confrontavano con la potenza economica giapponese, l’emergere di questa nazione, riorganizzò i pensieri degli studiosi delle organizzazioni, nasce l’idea della cultura come unica forza in grado di fare la differenza. La tendenza socioculturale che ha portato a concepire il lavoro è il successo personale in termini di qualità della vita. Sociologia e antropologia cercarono di definire per prime il concetto di cultura, secondo l’approccio antropologico, la cultura è ciò che distingue i gruppi umani da quelli animali. Selznik: l’organizzazione è uno strumento concepito razionalmente per raggiungere gli obbiettivi ma è anche una realtà naturale e adattiva, prodotto delle esigenze e dei bisogni degli individui e delle pressioni sociali. (precursore approccio culturale) Linda Smircich ha distinto 3 modi differenti per intendere la cultura: 1) Variabile indipendente esterna all’organizzazione; 2) Variabile dipendente interna all’organizzazione; 3) Metafora di base di ciò che è un organizzazione. È quest'ultima l’interpretazione più originale proposta dall’approccio culturale. 1) I teorici che interpretano la cultura come variabile indipendente esterna sostengono che norme e valori, in quanto elementi culturali, siano costituiti dal contesto istituzionale e fatti propri dall’organizzazione attraverso processi di isomorfismo istituzionale, assorbendo pratiche consolidate. Le regole istituzionalizzate esterne vengono incorporate in varie forme. (Cerimonialismo istituzionale: il conformarsi delle organizzazioni a miti istituzionalizzati diffusi e approvati dal contesto circostante, secondo criteri tattici e di convenienza, perseguendo l’approvazione sociale talvolta anche a scapito dell’efficienza e di un miglior coordinamento interno.). 2) Nel secondo caso, l’interesse si rivolge ad aspetti gestionali, la cultura è composta da riti e miti che mescolati tra loro producono un circolo virtuoso, aumentano la motivazione individuale, la coesione sociale e la fedeltà diffusa all’organizzazione. 3) Infine se la cultura è intesa come metafora di base, l’organizzazione è cultura che si esprime con l’interazione dei propri membri, la cultura in quanto metafora di base è assimilabile ad un insieme di significati in grado di dare senso all’organizzazione. 5 Schwartz spiega le situazioni di crisi o fallimento attraverso processi collettivi di fissazione su posizioni narcisistiche, chiama negazione della differenza la tendenza a sostituire la realtà con i simboli dell’ideale narcisistico, ciò penetra nelle attività fondamentali dell’organizzazione e genera un circolo vizioso. La cultura organizzativa è quell’insieme di significati che racchiudono assunti, valori e credenze che un gruppo ha scoperto o inventato imparando ad affrontare situazioni problematiche di adattamento all’ambiente esterno e di integrazione interna. Schein sostiene che i valori della cultura rimangono nel tempo e che devono essere tramessi ai nuovi membri dell’organizzazione consentendo loro di orientarsi all’interno dell’organizzazione. Piccardo con il binomio cultura-organizzativa, sottolinea che i contesti di azione collettiva presentano un materiale predisposto a livello cognitivo, emotivo, etico ed estetico che rappresenta un punto d’appoggio a partire dal quale è possibile prefigurare l’azione e ottenere l’orientamento per affrontare le diverse problematiche. Una cultura genera modelli cognitivi che permettono di interpretare ciò che accade all’interno dell’organizzazione ed emotivi-affettivi, con ricadute sull’impegno e sull’energia che i singoli sono disposti a spendere nell’azione. La cultura stabilisce anche chi è amico e chi è nemico dell’organizzazione. Alcuni studiosi affermano che all’interno della cultura possano formarsi sottoculture vista la tendenza degli uomini a rapportarsi con persone simili (livello gerarchico, interessi, età…) la sottocultura composta dai vertici aziendali prende il nome di corporate culture, le sottoculture che si oppongono prendono il nome di controculture. L’etnografia è il metodo di ricerca utilizzato nell’ambito dell’approccio culturale che consente di mettere meglio a fuoco le implicazioni costruttiviste, è una prospettiva di stampo interpretativo per lo studio delle organizzazioni, è l’esplorazione di pratiche e processi multiformi di cui si rivelano l’incoerenza e l’anarchia cosi come la coerenza e l’ordine. Contenuti fondamentali della cultura delle forme simboliche ed espressive secondo Trice e Beyer: • Il logos: insieme di credenze, ovvero di codici attinenti la sfera cognitiva e inerenti ciò che è vero e ciò che è falso, che indicano le interpretazioni adottate dai soggetti nei confronti di quanto accade. • L’ethos: valori che corrispondono a giudizi di preferibilità e che assumono valenza deontologica rispondendo alle domande in merito a ciò che è giusto o sbagliato. • Il pathos: modo particolare di percepire e sentire la realtà attraverso tutti i sensi, la conoscenza comprende anche l’esperienza percettiva del soggetto. • L’aistheis: percezione di ciò che è bello e ciò che è brutto. • Il genus: il campo simbolico organizzativo è sessuato, leggibile quindi in termine di genere. • La polis: dinamica di potere. • Il methodo: sapere cosa fare e come fare, sapere cosa non fare e come non fare Espressioni simboliche classificate da Cohen • Il linguaggio: insieme di segni vocali che caratterizzano e stabilizzano l’esperienza umana, non è solo un insieme di parole ma è in grado di modificare processi percettivi e di pensiero, ogni cultura tende a svilupparne uno. • I miti: narrazioni drammatiche di vicende passate che hanno la funzione di legittimare le azioni contenute negli episodi raccontati, rappresentano gli antecedenti che giustificano i comportamenti, sospendono gli eventi dalla logica. • Le storie e le saghe: sono collezioni di aneddoti ed episodi che caratterizzano la quotidianità della vita organizzativa, offrono risposte a dilemmi organizzativi. • I riti e cerimonie: i riti sono azioni che necessitano un consumo, sono caratterizzati da un grado di progettazione e elaborazione formale, un insieme di riti da luogo ad una cerimonia. Trice e Beyer hanno classificato i riti in riti di passaggio, di esaltazione, di degradazione, di ricomposizione e contenimento dei conflitti, riti di integrazione e di rinnovamento. • Gli artefatti: prodotti tangibili della vita organizzativa che portano gli studiosi a riflettere sui prodotti materiali e sull’articolazione del setting fisico, rivolgendo lo sguardo alle strutture fisiche dell’organizzazione (palazzi, decorazioni, arredi…). L’ipotesi è che quanto più credenze, valori e ideologie sono radicati e sentiti dai membri dell’organizzazione tanto più troveranno un rispecchiamento nella fisicità dell’organizzazione per richiamare i soggetti alla loro identità. 6 In conclusione bisogna interrogarsi in merito a quali siano le vie più promettenti intraprese dall’approccio culturale, lo studio degli artefatti ha aperto un territorio estetico che appare oggi uno dei più innovativi ponendo l’attenzione su ciò che gli attori provano nella loro esperienza organizzativa. L’approccio estetico è fondamentale se consideriamo le culture come mappe sensoriali costruite attraverso le risposte estetiche dei soggetti al loro setting fisico e culturale. Secondo Gagliardi, l’estetica è alla base di ogni forma di conoscenza. In sintesi l’approccio estetico riporta in primo piano le sensazioni e i sentimenti degli attori. Le organizzazioni sono arene emotive dove gli individui possono provare sentimenti di repulsione o attrazione ma possono essere fiere di lavorare in un luogo che per loro rappresenta l’idea astratta di bellezza. Cap. 4: Conoscere e apprendere nelle organizzazioni L’approccio che stiamo per analizzare (APPROCCIO TRANSDISCIPLINARE che unisce il punto di vista della “Work and Organizationnal Psychology” con altri quadri teorici) vede le organizzazioni come contesti sociali in cui l’efficacia e l’efficienza dei processi produttivi sono strettamente connesse alla soggettività degli attori presenti e alla concretezza e affidabilità delle loro azioni, alle culture di cui sono portatori e alla capacità di attribuire significato agli eventi e alle problematicità incontrate. La realtà organizzativa è un artefatto socialmente costruito che prevede un processo di costruzione culturale, da qui il passaggio dall’organizzazione all’organizzare. La psicologia del lavoro cerca di comprendere e descrivere il rapporto tra attori organizzativi e pressioni interne ed esterne storicamente presenti e come da esso derivino interpretazioni e corsi d’azione, prese di decisioni e trasformazioni del contesto operativo di appartenenza. (Vedi tabella pag. 77) La visione performativa dell’organizzazione mette in evidenza i processi intersoggettivi attraverso i quali i diversi interlocutori organizzativi si scambiano conoscenze e affrontano compiti, confrontandosi con pratiche, confini operativi e compiti che ogni giorno producono sistemi di attività in cui sono inseriti e che contribuiscono a modificare. Gli esseri umani sono coinvolti ogni giorno in molteplici attività, focalizzate e dirette da un oggetto che ne configura senso e significato. L’oggetto evolve nel tempo secondo configurazioni storicamente determinate ed è mediato da regole, strumenti, divisione del lavoro e linguaggio in uso. L’apprendere nei contesti è parte dell’esperienza di transazione sociale che connette compiti, situazioni operative e concrete, artefatti tecnologici e materiali, ruoli sociali, dinamiche comunicative e conversazionali. A Tommassini si deve il merito di aver svolto un attento lavoro si rilettura storica, critica e sinottica, del legame tra organizzare, apprendere e conoscere nelle sue progressive e varie manifestazioni, con l'aggregazione dei principali concetti di apprendimento nelle categorie degli schemi gerarchici, trasformativi, ricorsivi e contestuali/riflessivi. A Lanzara va il merito di aver elaborato un approccio alle organizzazioni connotato dalla consapevolezza dei fattori di complessità e di profonda mutazione dei contesti, cosi come dalla capacità di posizionarsi all’interno di scenari in profonda trasformazione, in cui si rompono equilibri consolidati e salta il terreno, prima stabile e sicuro, delle risposte tradizionali, consolidate in routine, aprendo lo spazio a forme alternative e inedite di conoscenza. Conoscere e apprendere diventano cosi modi e possibilità di concepire, rappresentarsi e realizzare una disposizione proattiva al cambiamento, anticipando scenari di nuovi ambienti (organizing) e di connessione tra conoscenza e azione (knowing). (1) La prima dimensione di cornice che ruota attorno al mondo delle organizzazioni evidenzia la mutazione degli scenari contemporanei: crisi, disoccupazione, disuguaglianza nelle condizioni socio-economiche tra gruppi e popolazioni, il collasso ecologico, le profonde trasformazioni demografiche, geopolitiche e migratorie. I contesti operativi e organizzativi sono in profonda trasformazione, con mutamenti rapidi e tuttora in corso delle forme di rapporto tra soggetto ed esperienza lavorativa. I confini delle organizzazioni sono meno definiti, si chiede di essere rapidi, flessibili, capaci di apprendere, si parla di prodotti e servizi ad alta intensità di conoscenza distribuita. Questi scenari hanno portato alla quarta rivoluzione industriale, profonde, radicali e rapide trasformazioni scientifiche-tecnologiche che stanno drasticamente cambiando il modo di produrre, consumare e partecipare. 7 programmato per la sistematizzazione e quello femminile per l’empatia. Le differenze biologiche sottolineate dall’aspetto fisico, rendono apparentemente più adatti gli uomini a mansioni che richiedono forza fisica rispetto alle donne. L’approccio socioculturale si concentra sugli aspetti di socializzazione e l’attribuzione a donne e uomini di ruoli di genere, la base è di tipo sociale e culturale, frutto dell’interazione tra donne e uomini. Questa differenziazione si può notare in ogni cultura, da qui si deduce che il corpo sessuato sia uno dei primi elementi discriminatori, il sesso è la base per l’attribuzione di un ruolo di genere. Il ruolo di genere viene acquisito per imitazione fin dalla primissima infanzia (cultura gendered). Le gender practices costituiscono quel repertorio di regole ed esempi che la società mette a disposizione degli individui per esprimere l’appartenenza ad un genere. L’approccio psicoanalitico parte dalla teoria dello sviluppo dell’identità femminile di Freud, ipotizza che lo sviluppo sessuale abbia il suo momento centrale nel complesso edipico. Le culture moderne sono innervate dalla logica maschile in quanto ripropongono le dinamiche del complesso edipico. Gli uomini temono la castrazione del potere quindi ingaggiano una lotta per esso, mentre le donne ne sopporterebbero la mancanza (invidia del pene). Le donne che vengono escluse dal possesso del potere e dalle logiche dell’organizzazione tendono o ad uscire dall’organizzazione o ad accettare un compromesso accettando di poter ricoprire solo alcuni ruoli. Le donne raramente riescono a percorrere una carriera internazionale perché viaggiare spesso le renderebbe meno presenti in famiglia. Genere invisibile: quando le donne fecero il loro ingresso nel mondo del lavoro, ricoprivano solo ruoli di secondo piano, i vertici delle organizzazioni appartenevano agli uomini, questa regola invisibile veniva percepita dalla maggioranza delle persone Il riconoscimento della differenza si avverte quando si inizia a prendere coscienza del progressivo aumento della presenza femminile nei contesti organizzativi, le donne potevano sopperire al calo della forza lavoro e apportare nuove risorse e competenze all’interno delle organizzazioni. Quando acquisirono una maggiore consapevolezza riguardo le loro qualifiche, iniziarono a chiedere di poter accedere a posizioni di responsabilità, prendono coscienza delle discriminazioni e non sono più disposte ad accettarle. Due linee di azione per combattere la discriminazione: modello dell’uguaglianza e modello della differenza Il primo modello fa leva sulle pari opportunità mentre il secondo sulle specificità individuali L’approccio WIM (women in management) ha per oggetto il ruolo che le donne possono ricoprire nelle organizzazioni a partire dalle possibilità in ingresso, il modo in cui esse possono essere presenti senza mettere in discussione le norme e i presupposti della struttura organizzativa. La fase più recente è segnata dal post-strutturalismo e dalla teoria queer che hanno rinnovato il modo di concepire il genere Queste teorie prevedono che il genere non sia un attributo o una qualità del soggetto ma che si costruisca continuamente. Per Butler è dal linguaggio che si da la possibilità alla prima costruzione del genere, vestiamo e muoviamo il nostro corpo in modo mascolino o femmineo conformandoci con le aspettative rispetto a ciò che dev’essere maschile o femminile e da qui nasce il genere. Con matrice eterosessuale si sottolinea l’insieme di norme che costituiscono una relazione apparentemente coerente tra sesso biologico, genere e desiderio. Questa matrice istituisce un ordine tale per cui una femmina è di genere donna e indirizza il suo desiderio verso un uomo. L’eteronormatività identifica il modello eterosessuale come quello normale e fa si che l’eterosessualità sia data per scontata, agisce nei seguenti modi: • riproducendo il genere come sistema binario, maschile è opposto di femminile • prescrivendo il desiderio eterosessuale come l’unico coerente con la differenza di genere • facendo si che il comportamento degli individui sia valutato sulla base di norme e regole progettate per persone eterosessuali Nelle organizzazioni l’identità normativa è quella maschile eterosessuale. 10 Cap. 6: Le risorse personali e la loro espressione nel contesto organizzativo Competenze attitudini e comportamenti costituiscono il capitale umano, le reti di relazioni tra persone costituiscono il capitale sociale di cui l’organizzazione può avvalersi. La psicologia positiva è orientata allo sviluppo delle persone e alla comprensione dei fattori alla base del benessere piuttosto che del malessere, rappresenta il patrimonio conoscitivo di riferimento per comprendere, analizzare e orientare pratiche HR efficaci. Dopo la seconda guerra mondiale, alcuni uomini si distinsero perché capaci di mantenere la propria integrità e continuavano a perseguire uno scopo incoraggiando altre persone, si iniziò ad indagare quali forze interne muovono persone di questo tipo. Alcune ricerche sulla prevenzione, evidenziarono che ci sono qualità umane in grado di attutire e contrastare le malattie mentali come il coraggio, la fede, l’ottimismo, la perseveranza… questi studi portarono alla nascita della psicologia positiva La psicologia positiva studia le determinanti del vivere bene in riferimento ai diversi domini in cui l’esperienza umana si realizza. Le risorse personali sono caratteristiche della persona che generalmente aiutano a fronteggiare lo stress e a raggiungere determinati obbiettivi, queste risorse facilitano il successo individuale e allo stesso tempo apportano alle organizzazioni un vantaggio competitivo sostenibile, alimentabile e poco soggetto all’obsolescenza. Con il termine risorse personali intendiamo tutte quelle dimensioni che concorrono a determinare il potenziale psicologico e quindi sono un bagaglio individuale ma anche un patrimonio per l’organizzazione. L’agenticità è la caratteristica che consente ad una persona di autodeterminarsi, promuovendo le proprie qualità e creando i presupposti per progredire nella propria realizzazione, secondo questa teoria l’essere umano è “agente”, ovvero in grado di agire in modo intenzionale su se stesso e sul proprio contesto. L’agenticità è la facoltà umana di agire in modo trasformativo sugli eventi affrontandoli in modo proattivo e facendosi promotori di cambiamento. Il modello del determinismo triadico reciproco comprende tre tipi di variabili: 1. intra-individuali, 2. comportamentali 3. ambientali. Lascia intendere che la volontà non si realizza solo facendo leva sui propri interessi, aspettative e obbiettivi ma deve tener conto di vincoli esterni. La proattività è una preziosa risorsa in ambito lavorativo, facilita la crescita personale, di riflesso e lo sviluppo organizzativo Secondo Bandura, l’agenticità individuale è sostenuta da 5 capacità cognitive: simbolizzazione, anticipazione, autoregolazione, autoriflessione e apprendimento vicario. • Simbolizzazione: capacità umana di tradurre le proprie esperienze e conoscenze in rappresentazioni cognitive, attribuire significato all’ambiente e codificarlo in simboli, è la base delle altre 4 capacità agentiche. • Anticipazione: capacità di svincolarsi dal presente e proiettarsi nel futuro, elaborando rappresentazioni cognitive delle conseguenze delle proprie azioni (aspettative di esito). • Autoregolazione: governare il proprio operato in modo autonomo allineando emozioni e condotte agli obbiettivi prefissati e intervenendo in caso di azioni improduttive. • Autoriflessione: saper riflettere sulla propria esperienza, al termine di una sequenza di azioni orientate a un obbiettivo, gli individui sono in grado di elaborare un pensiero sul proprio operato, cosi da valutarne l’efficacia. È uno strumento fondamentale per l’apprendimento individuale. • Apprendimento vicario: è la capacità di capitalizzare dall’osservazione di altri, gli individui sono in grado di apprendere osservando altre persone in azione. Gli individui creano rappresentazioni cognitive delle azioni altrui assimilandone le determinanti sottostanti cosi da poterle riprodurre. 11 Efficacia personale: aspetto fondamentale nello sviluppo e nell’esercizio delle facoltà individuali è il credere di potercela fare, secondo Bandura il costrutto di efficacia personale corrisponde alle convinzioni che le persone hanno circa le proprie capacità di organizzare ed eseguire le azioni necessarie per produrre determinati risultati o raggiungere specifiche mete entro un particolare contesto. Determinazione: oltre alla convinzione di poter riuscire è centrale anche la spinta interna alla realizzazione e al conseguimento di specifici risultati, la determinazione è uno stato motivazionale basato sull’interazione tra: agenticità, obbiettivi e percorsi verso essi. Ottimismo: deriva dalla psicologia positiva e secondo Seligman consiste in uno stile di attribuzione positivo che interpreta gli eventi positivi attribuendoli a cause interne, permanenti e pervasive e riconduce gli eventi negativi a cause esterne transitorie e contingenti. Resilienza: capacità di riprendersi dalle avversità, dall’incertezza e dai fallimenti recuperando lo stato di equilibrio. Le risorse psicologiche si integrano e si intrecciano le une con le altre e nella condizione ottimale operano in sinergia tra loro. Nel suo insieme, il capitale psicologico dipinge uno stato positivo della mente che aggrega in sé le risorse psicologiche più rilevanti che nel tempo sono state studiate in ambito organizzativo e le integra in una comune dimensione di agenticità, rileggibile come la valutazione positiva delle circostanze e delle probabilità di successo basato sulla perseveranza. Cap. 7: I climi organizzativi Il clima organizzativo è un costrutto complesso in cui sono concentrati ricerca organizzativa e numerosi interventi operativi. Il clima organizzativo vede al centro l’uomo e si preoccupa del versante soggettivo, emotivo e psicologico delle organizzazioni, nella convinzione che solo conoscendo a fondo i vissuti, gli atteggiamenti, le emozioni, i problemi le aspettative ecc. sarà possibile decidere ed impostare un efficace politica di sviluppo delle risorse umane. Secondo Field e Abelson il clima è una descrizione percepita dall’ambiente di lavoro mentre la soddisfazione lavorativa rappresenta la risposta di valutazione affettiva delle persone in relazione ad aspetti del loro lavoro. il clima organizzativo viene spiegato attraverso il concetto di atmosfera sociale, quel sistema di percezioni e attribuzioni di significato che i protagonisti di un campo psicologico giudicano pertinente in uno spazio e in un tempo dato. L’approccio strutturale (A) raggruppa modelli accomunati dal fatto di considerare il clima una caratteristica dell’organizzazione, un suo attributo che esiste indipendentemente dai membri e dalle loro percezioni. Il clima è una manifestazione oggettiva della struttura organizzativa che da luogo a percezioni comuni dei membri di una stessa organizzazione. Elementi organizzativi che determinano le percezioni di clima: • dimensione dei gruppi, • struttura dell’autorità e delle relazioni tra persone e gruppi, • stile di leadership, • complessità sistemica, • direzione delle mete organizzative. Secondo Litwin e Stringer i climi organizzativi vanno in funzione dei diversi stili di leadership esercitati, secondo questi autori, il clima organizzativo consente l’analisi delle determinanti dei comportamenti motivati in complesse ed effettive situazioni sociali, semplifica i problemi della misura delle determinanti situazionali legati alle percezioni e ai convincimenti individuali, consente la specifica definizione della situazione globale di influenza sia dell’ambito esterno sia dei vari tipi di ambienti interni all’organizzazione. Secondo Campbell e collaboratori, il clima è costituito da 4 dimensioni: 1) autonomia individuale, 2) struttura e posizioni, 12 effettuata dai responsabili aziendali e dalla lettura, comunque indispensabile, della documentazione di rito (organigramma, fatturato, etc.). Gli strumenti principali utilizzati in questa fase sono l’osservazione delle prassi organizzative e i colloqui con le persone che in essa operano. Si tratta di “girare” per l’organizzazione e dialogare con chi vi opera, in modo informale, cercando di influire il meno possibile sulla situazione. Si potrà inoltre avviare un programma di interviste individuali semistrutturate ad alcuni testimoni privilegiati selezionati casualmente in base a variabili organizzative rilevanti (es. lavoro, anzianità). • Step IV. La definizione degli obiettivi specifici. Il team definirà nel dettaglio, alla luce delle informazioni raccolte, gli obiettivi che realisticamente potranno essere conseguiti, e le fasi operative di lavoro. • Step V. Scelta della popolazione che sarà direttamente coinvolta nel processo di raccolta delle informazioni. In organizzazioni di grandi dimensioni si potrà talvolta ritenere più funzionale analizzare per alcune fasce l’intera popolazione, per altre si potrà ricorrere a un campione rappresentativo della popolazione di riferimento. Nell’effettuare questa scelta è importante avere la consapevolezza del messaggio e dell’influenza che essa veicolerà all’interno dell’organizzazione. • Step VI. Messa a punto della metodologia e scelta degli strumenti di rilevazione . Si possono individuare 2 distinti approcci nell’analisi del clima organizzativo: quantitativo e qualitativo. L’approccio quantitativo, con carattere prevalentemente descrittivo, si riferisce generalmente all’utilizzo di questionari strutturati, e consente la raccolta di informazioni direttamente da parte dei soggetti, attraverso analisi ripetute a intervalli ragionevoli in relazione sia agli accadimenti organizzativi interni sia in concomitanza a eventi esterni. L’approccio qualitativo, con forti potenzialità esplicative, si può avvalere di interviste individuali e/o di gruppo, consentendo di prendere in carico gli aspetti soggettivi che emergono. Quando i contenuti e gli obiettivi della ricerca ne evidenziano l’opportunità, si potranno utilizzare congiuntamente analisi qualitative e quantitative, facendo dialogare tra loro gli outcome che ne emergeranno. La letteratura presenta due tipologie di strumenti utili al fine dell’analisi del clima, che si possono definire tailor-made e ready-made. Nel primo caso sono strumenti costruiti “su misura”, per la realtà organizzativa specifica, situazioni e problematiche che sono rilevanti per quell’organizzazione. Come limite va rilevato che l’approccio tailor-made consente solo analisi intraorganizzative e, spesso, non possiede un sufficiente livello di qualità metriche scientificamente validate. Gli strumenti ready-made forniscono informazioni utili e scientificamente garantite per capire la reale situazione climatica di un’organizzazione e, inoltre, consentono di effettuare analisi interorganizzative facendo riferimento a parametri, condizioni e statistiche nazionali. Il questionario multidimensionale per la diagnosi del clima organizzativo MDOQ_10, Majer_D’Amato Organizational Questionnaire risulta uno strumento valido per tutti i ruoli lavorativi e tutti i livelli di scolarità, è attendibile e ampiamente validato, è di semplice utilizzo sia per la somministrazione che per la fase di scoring. Esso indaga 10 principali dimensioni: 1) comunicazione, 2) autonomia, 3) team, 4) coerenza/ fairness: immagine dell’organizzazione, 5) job description: chiarezza dei ruoli e dei compiti, 6) job involvement, 7) reward: equità, sensibilità sociale e sentimento di imparzialità, 8) leadership, 9) innovatività, 10) dinamismo/sviluppo: apertura al progresso e ai bisogni sociali e personali. In sintesi, si ritiene più utile adottare un approccio “ibrido”, ossia costruire delle procedure personalizzate in cui trovano spazio strumenti costruiti ad hoc (tailor) e strumenti standardizzati (ready). • Step VII. Verifica della funzionalità della procedura e delle tecniche. La verifica della funzionalità e dell’applicabilità della procedura messa a punto sarà effettuata su un gruppo campione estratto dall’organizzazione. Si tratta di una simulazione molto precisa della procedura, alla fine della quale i partecipanti saranno sollecitati a formulare riflessioni e commenti sulle domande e sulla procedura. Tale somministrazione “sperimentale” consentirà, inoltre, di verificare “sul campo” i tempi e le modalità di somministrazione. L’obiettivo è far sì che l’intero procedimento, e gli strumenti in particolare, risultino il più possibile friendly in termini di comprensione, chiarezza, adeguatezza e applicabilità. • Step VIII. Raccolta estensiva dei dati. La popolazione (o il campione) prescelta sarà convocata. In questa fase i dipendenti parteciperanno attivamente, fornendo informazioni e interagendo con il gruppo di ricerca. • Step IX. Elaborazioni statistiche. I dati di tipo quantitativo raccolti verranno sottoposti a elaborazioni statistiche atte a evidenziare la rilevanza organizzativa delle variabili indipendenti individuate a priori dal gruppo di ricerca, procedendo al confronto dei risultati dell’organizzazione con i dati a livello nazionale per individuare i punti di forza e le aree di criticità dell’organizzazione nel suo insieme e in ciascun sottogruppo. • Step X. Prima lettura dei risultati e stesura del report provvisorio. La prima lettura dei risultati è effettuata all’interno del team. Vengono avanzate le prime ipotesi interpretative dei dati utilizzando le informazioni di tipo quantitativo e qualitativo. Il gruppo di ricerca stenderà quindi un report che conterrà, oltre ai dati emersi e elaborati, anche ipotesi interpretative che verranno discusse con i responsabili dell’organizzazione. 15 • Step XI. Incontro con i responsabili/committenti. Il feedback dei dati emersi nel corso della ricerca dovrà essere condiviso con tutti i membri dell’organizzazione, seppur con modalità diverse. Si preferisce che i gruppi dei dirigenti e dei rappresentanti sindacali siano i primi ad essere informati, per lo più separatamente, e con essi verranno discusse le ipotesi interpretative, con il possibile emergere di linee di azione. • Step XII. Ritorno delle informazioni ai partecipanti. Duplice obiettivo. Da un lato, i dipendenti hanno il diritto e l’esigenza di conoscere la situazione globale presente all’interno della loro organizzazione. Esprimere il proprio punto di vista determina sia una maggiore consapevolezza individuale sia l’assunzione di responsabilità da parte del singolo dipendente; inoltre, la conoscenza del punto di vista altrui può favorire una presa di coscienza collettiva e l’individuazione dei percorsi comuni per il miglioramento della qualità della vita organizzativa. Dall’altro, è proprio nel momento della discussione dei risultati che i dipendenti, fornendo la loro lettura dei dati, possono riuscire a evidenziare nessi logici sfuggiti al gruppo di ricerca, che non vive quotidianamente “sulla propria pelle” le problematiche dell’organizzazione indagata. • Step XIII. Stesura del report finale. La stesura del report finale terrà conto di tutte le informazioni, quantitative e qualitative raccolte e in particolare di quanto emerso dalle riunioni con i diversi gruppi aziendali nel momento del feedback. Verranno formulate ipotesi interpretative e proposte atte a promuovere il cambiamento auspicato per migliorare la qualità della vita di lavoro dei dipendenti e l’efficacia e l’efficienza dell’agire organizzativo. Il report finale costituisce inoltre un primo momento per verificare, a valle delle azioni mirate che si intende intraprendere, quali e quanti saranno i cambiamenti e i miglioramenti. • Step XIV. L’osservatorio permanente. Come in tutte le realtà vive, la dimensione temporale ha un grande significato per l’organizzazione e, se si vuole passare “dalla fotografia al film”, sarà necessario che i primi dati raccolti dall’analisi di clima (fotografia) possano essere confrontati con quelli che verranno raccolti in momenti successivi (altri fotogrammi), per consentire con ciò una visione organica e diacronica dei fenomeni (come i vissuti dei dipendenti). L’implementazione di un osservatorio permanente consentirà alle organizzazioni di disporre di dati certi e aggiornati per le decisioni di politica gestionale e organizzativa. Cap. 8: Gruppi di lavoro Sebbene oggi l’imprenditoria viene immaginata come l’affermazione di un unico individuo, in realtà gran parte delle imprese nasce con una funzione imprenditoriale concentrata su un team. Il gruppo ha una struttura propria, fini peculiari e relazioni particolari con altri gruppi, i membri del gruppo sono interdipendenti. Il gruppo è un insieme numericamente ridotto di persone in relazione tra loro, il gruppo di lavoro è una pluralità di integrazione. La differenza tra interazione e integrazione viene dettata dal raggiungimento dell’interdipendenza (l’acquisizione di consapevolezza da parte dei membri rispetto a quanto dipendono gli uni dagli altri) Il gruppo è caratterizzato dalla collaborazione, resa possibile da: • fiducia, ognuno si sente sicuro delle proprie e altrui capacità • negoziazione continua, tiene insieme le differenze e i diversi punti di vista al fine di elaborarne uno unico, valido per il gruppo di lavoro nel suo insieme • condivisione delle decisioni prese L’elemento di impegno comune è inoltre un tratto distintivo dei gruppi di lavoro, con esso il gruppo diventa una potente unità di performance collettiva. Passaggi necessari affinché un gruppo diventi un gruppo di lavoro: • la leadership diventa attività condivisa • la responsabilità da individuale diventa sia individuale che collettiva • il gruppo sviluppa un proprio scopo o una missione • il problem solving diventa un attività full-time • l’efficacia viene misurata dai risultati collettivi del gruppo Il gruppo di lavoro è caratterizzato da due esigenze di funzionamento: 1. La dimensione del fare insieme, è legata all’operatività dinamica e all’agire con gli altri mettendo in campo piani d’azione 2. La dimensione dello stare insieme, è caratterizzata dalle relazioni tra i membri e dalle dinamiche psicologiche che ne derivano. 16 • I gruppi action end performing affrontano le emergenze e le crisi. • I gruppi advisory offrono consulenza. • I gruppi menagement hanno compiti di gestione. • I gruppi production si occupano della realizzazione di un prodotto. • I gruppi project sviluppano le idee. • I gruppi service offrono assistenza. • I gruppi formali vengono esplicitamente istituiti con compiti e ruoli definiti in modo preciso, i gruppi informali si formano in modo spontaneo e le task forces sono gruppi creati ad hoc in riferimento ad uno specifico obbiettivo. Sette fattori di analisi di un gruppo di lavoro secondo Quaglino. 1- Obbiettivo: variabile fondamentale che da senso all’esistenza stessa del gruppo di lavoro, ogni gruppo di lavoro nella fase iniziale deve dedicare del tempo alla definizione dell’obbiettivo affinché tutti lo comprendano, l’obbiettivo dovrebbe essere SMART, acronimo di: • Specifico, deve essere definito in modo chiaro e se possibile va quantificato • Misurabile, è importante stabilire a priori in che modo possa essere misurato e valutato il raggiungimento • Attuabile, l’obbiettivo deve essere realistico • Orientato al risultato, la descrizione dell’obbiettivo dovrebbe rendere chiaro in che modo l’obbiettivo del gruppo Contribuisce al raggiungimento del risultato finale che sostiene la visione organizzativa • Legato al tempo, è fondamentale determinare le tempistiche dell’obbiettivo 2- Metodo: il metodo è il modo di funzionamento del gruppo di lavoro, caratterizzato da principi, criteri e modalità che strutturano e organizzano l’attività stessa. Le principali attività per le quali è fondamentale che il gruppo di lavoro definisca un metodo sono: • analisi delle risorse e dei vincoli, è importante che il gruppo conosca bene ciò di cui dispone in termini di risorse e vincoli • discussione, la sopravvivenza del gruppo si basa in maniera sostanziale sul dialogo e il confronto tra i membri • decisione, ai gruppi di lavoro è costantemente richiesto di prendere delle decisioni, è fondamentale stabilire il metodo che stabilirà come prendere una decisione • pianificazione del tempo, il gruppo deve definire come pianificare l’agenda di lavoro • problem solving, darsi un metodo per affrontare e risolvere i problemi permette di creare un modo di pensare orientato alla ricerca di cause e non di colpevoli 3- Ruoli: i ruoli possono essere definiti come l’insieme dei comportamenti che ci si aspetta da parte di chi occupa una determinata posizione, assegnati a ciascuno in funzione del riconoscimento delle sue specificità. Alcune aree di un gruppo di lavoro richiedono di essere presidiate attraverso ruoli precisi: • area del risultato, necessaria per garantire il raggiungimento degli obbiettivi, generalmente presidiata dal conservatore, colui che mantiene e costruisce la memoria del gruppo e dal realizzatore, colui che spinge alla concretezza • area del lavoro, si realizzano la coesione, la condivisione delle responsabilità e l’assunzione dei rischi, presidiata dal metologo, colui che orienta il problem solving e dal negoziatore, capace di aumentare il livello di partecipazione e condivisione. • area delle relazioni, dalla quale dipendono il clima e le possibilità di scambio e di espressione da parte dei membri, presidiata dal comunicatore, colui che facilita la comunicazione e dal facilitatore, colui che coinvolge i membri meno partecipativi, attento alle esigenze di tutti • area della qualità, fondamentale affinché il gruppo possa produrre risultati condivisi, presieduta dal creativo, colui che propone nuovi punti di vista e dall’innovatore, colui che spinge per cambiare modi e strumenti di lavoro. 4- Comunicazione: rappresenta una funzione fondamentale per il funzionamento del gruppo in quanto garantisce l’aggiornamento, orienta le relazioni, alimenta la collaborazione e il conflitto e decide dell’accordo e del disaccordo. La comunicazione efficace in un gruppo di lavoro dovrebbe essere finalizzata agli obbiettivi, pragmatica, trasparente e situazionale. Componenti principali: • confronto e scambio, a livello di contenuto e di relazione • ascolto, reso possibile dalla fiducia e dalla consapevolezza che gli altri possano essere una risorsa per la propria 17 coordinamento, rendendolo nuovamente chiaro e visibile a tutti • garantire il metodo, significa proteggerlo e preservarlo • padroneggiare risorse e vincoli, promuovere la consapevolezza relativa alle condizioni in cui il gruppo è chiamato a operare Il coordinamento è un’azione che non può mancare, il coordinatore, ossia colui che fa coordinamento è un aspetto secondario. I gruppi autogestiti sono gruppi di lavoratori ai quali vengono riconosciute autonomia e controllo nella supervisione gestionale del loro lavoro e delle loro attività, rendendoli supervisori di se stessi. Generalmente questo tipo di gruppi ha come riferimento un leader esterno che non interviene nelle attività e decisioni del gruppo ma ha la funzione di facilitarne l’autonomia. I gruppi virtuali sono gruppi di lavoro che non richiedono la presenza fissa dei membri ma vengono gestiti e realizzati virtualmente, i vantaggi di questi gruppi comprendono la flessibilità, l’efficienza, il risparmio economico e la possibilità di coinvolgere esperti da ogni parte del mondo. I gruppi transculturali sono il frutto della crescente globalizzazione, vedono riunite persone provenienti da diverse zone geografiche, portatrici quindi di culture differenti tra loro. Questi gruppi favoriscono l’apertura mentale e la capacità di generare approcci diversi di problem solving (se si superano i pregiudizi). Cap. 9: La leadership La leadership è una relazione di influenza tesa a realizzare significativi cambiamenti. Il management è una relazione di autorità finalizzata a produrre e vendere beni e/o servizi come esito dell’attività coordinata. Le prime teorie sulla leadership si focalizzavano sui “grandi uomini”, leader che sono stati in grado di raggiungere elevati livelli di popolarità, alla base di queste teorie vi è la concezione che alcune persone abbiano caratteristiche particolari che le rendono leader naturali. Negli ultimi anni si registrano molteplici lavori di ricerca sulla relazione tra personalità (big five factors) e leadership. I ricercatori del Michigan identificano due stili principali di leadership: • Centrato sul lavoro, rilevato da scale che misurano l’enfasi sugli obbiettivi e la facilitazione del lavoro • Centrato sulla persona, rilevato da scale che misurano il supporto ai collaboratori e la facilitazione dell’interazione. Quattro distinti modelli culturali: 1. Autoritario minaccioso, 2. Autoritario benevolente, 3. Consultativo, 4. Partecipativo I ricercatori dell’Ohio fecero emergere due dimensioni principali: • il comportamento di realizzazione, l’insieme dei comportamenti tesi alla realizzazione del compito • il comportamento di sostegno, l’insieme dei comportamenti tesi al riconoscimento dei bisogni dei collaboratori e allo sviluppo delle relazioni Dall’intreccio di queste due dimensioni: • leader molto orientati alla realizzazione del compito e poco attenti alle persone, fanno comunicazioni unidirezionali e non si confrontano coi collaboratori • leader molto attenti alle persone e meno orientati alla realizzazione del compito fanno ricorso a comunicazioni bidirezionali e tendono a condividere il processo decisionale Secondo Tannenbaum e Schmidt il continuum della leadership rappresenta una descrizione degli stili di decisione del capo in relazione alle due dimensioni opposte dell’uso dell’autorità da parte del capo e della discrezionalità concessa 20 ai subordinati (vedi figura pag. 246) • Manager: ciascuno ha un idea precisa circa la leadership appropriata • Collaboratori: possono variare molto in termini di indipendenza, assunzione di responsabilità, tolleranza dell’ambiguità, conoscenza ed esperienza ecc • Situazione: la cultura organizzativa prevalente in un dato contesto può determinare in una certa misura il tipo di leadership adottato. La griglia manageriale che segnala il legame forte tra leadership e cambiamento, favorisce la selezione dello stile d’azione più adeguato, quello che può sostenere al meglio la tensione verso il futuro Il modello in figura 9.2 a pagina 248 riconosce la leadership come scelta di uno stile che oscilla tra l’interesse per la produzione e l’interesse per le persone. Entrambi gli interessi sono misurati attraverso un questionario che consente di identificare il diverso tipo di leadership, ne esistono 5: 1. Leader debole: limita i suoi sforzi al minimo indispensabile per mantenere la sua posizione 2. Leader manipolatore: è interessato soprattutto alla produzione, per questo tende ad utilizzare le persone come strumenti 3. Leader amichevole: è interessato alle relazioni con le persone e a mantenere un clima amichevole, non è molto interessato alla produttività 4. Leader moderato: ha un interesse intermedio, sia per la produzione, sia per le persone ed è orientato a mantenere una prestazione soddisfacente e un buon clima 5. Leader della squadra: ha un elevato interesse sia per le persone sia per la produzione ed è teso ottenere la migliore prestazione possibile alimentando un buon clima di gruppo (leader ideale) Fiedler riteneva che lo stile di leadership fosse un atteggiamento stabile, distinguendo due tendenze motivazionali: • la motivazione al compito: distintiva di chi cerca di soddisfare il proprio bisogno soddisfando gli obbiettivi dati • la motivazione alle relazioni: è distintiva di chi cerca di soddisfare principalmente il proprio bisogno di costruire e mantenere relazioni con i follower Gli stili di leadership secondo Fiedler devono essere valutati secondo le caratteristiche della situazione: • La relazione tra leader e follower è la relazione più importante, più le relazioni sono positive, maggiore sarà l’influenza del leader, la cooperazione, la fiducia, il rispetto ecc... • La struttura del compito fa riferimento alla strutturazione del compito stesso, compiti semplici da comprendere consentono al leader di essere maggiormente influente • Il potere di posizione, se è elevato, il leader ha facoltà di assegnare compiti, di riconoscere/punire i collaboratori, la situazione si connota come più favorevole e il leader ha maggiore influenza Quando la situazione in cui il leader si trova non è coerente con il suo stile di leadership, il leader può tentare di modificare la situazione cercando di renderla adatta al proprio stile. Il modello della maturità dei collaboratori di Hersey e Blanchard mostra come dopo aver valutato la maturità dei collaboratori, il leader può scegliere lo stile più adeguato tra i seguenti 4: • Prescrivere, con collaboratori di basso livello di maturità deve fornire istruzioni molto dettagliate e descrivere come dev’essere svolto esattamente il compito, il processo decisionale appartiene al leader che nella maggior parte del tempo è impegnato a istruire i collaboratori • Vendere, con collaboratori di livello medio-basso, deve fornire specifiche istruzioni e sostenerli affinché il compito venga portato a termine, il leader prende le decisioni finali anche se può consultarsi con i collaboratori • Coinvolgere, con collaboratori di livello medio-alto, dedica poco tempo a fornire indicazioni generali, concentrandosi solo sull’obbiettivo, il processo decisionale coinvolge i collaboratori che non hanno il bisogno di essere motivati, la decisione dev’essere approvata da tutti • Delegare, livello di maturità dei collaboratori alto, il leader deve fornire le informazioni che i collaboratori richiedono limitando le istruzioni, lasciando che siano i follower a prendere le decisioni relative al compito in questione Il modello path-goal di House tenta di individuare alcuni moderatori situazionali della relazione tra leadership 21 orientata al compito e leadership orientata alla persona, si ipotizza che il leader possa fare ricorso allo stile maggiormente indicato per una specifica situazione, scegliendo fra i quattro tipi principali. Secondo il modello è possibile innalzare la motivazione dei collaboratori attraverso la chiarezza puntando maggiormente su quei riconoscimenti a cui i collaboratori danno maggior valore. Il modello si concentra sulle modalità attraverso cui il leader influenza la percezione degli obbiettivi da parte dei collaboratori e sul percorso da seguire per raggiungere gli obbiettivi stessi . I fattori situazionali sono ricondotti ai collaboratori e al contesto: • Collaboratori, le caratteristiche rilevanti fanno riferimento al grado in cui i collaboratori hanno bisogno di essere guidati nel realizzare il lavoro • Contesto, le caratteristiche rilevanti del contesto includono la struttura del compito e in particolare la sua ripetitività, l’autorità formale del leader, il gruppo di lavoro Una volta definita la situazione, il modello consente di identificare lo stile più adeguato scegliendo fra quattro possibili identificati come: • Direttivo, stile appropriato quando i follower richiedono una leadership autoritaria, il contesto prevede un compito complicato e ambiguo • Di sostegno, i follower sono competenti ed esperti, funziona in un contesto con un compito semplice, l’autorità formale è bassa • Partecipativo, i follower vogliono essere coinvolti, sono piuttosto abili, il compito è complesso e il leader tende a includere i collaboratori nel decision making • Realizzativo, i follower sono aperti a una leadership autocratica, abilità elevata, il contesto è caratterizzato da un compito semplice e da un’elevata autorità, il leader pone obbiettivi elevati ma raggiungibili Vertical dyad linkage theory, relazione diadica tra il leader e ciascuno dei suoi collaboratori, la formazione della diade verticale è un processo che risulta dall’azione del leader per delegare o assegnare ruoli di lavoro, il risultato può essere di due tipi: 1. In-group exchange, leader e follower sviluppano una partnership basata su reciprocità e condivisione 2. Out-group exchange, il leader esprime un forte bisogno di controllo attraverso richieste formali La teoria leader-member exchange (LMX) si concentra sulla relazione diadica e i suoi effetti in termini di raggiungimento degli obbiettivi organizzativi, un elemento di questa teoria è lo scambio sociale, i subordinati si sentono in dovere di ricambiare le relazioni di elevata qualità. I collaboratori con relazioni LMX di elevata qualità, ricompensano i loro leader con comportamenti di cittadinanza organizzativa e di partecipazione che a loro volta incidono positivamente sulla qualità della vita organizzativa La leadership transazionale si basa sulla transazione interpersonale tra leader e collaboratori, i leader sono visti come professionisti impegnati in comportamenti che mantengano un’interazione di qualità con i loro collaboratori Le caratteristiche della leadership transazionale sono relative all’uso di sistemi di ricompensa da parte del leader per mantenere la collaborazione dei collaboratori. La leadreship trasformazionale invece enfatizza il comportamento simbolico del leader, la comunicazione non verbale, il richiamo ai valori, i messaggi ispirazionali, la fiducia è alla base di questa relazione. Questo approccio è finalizzato alla trasformazione e alla crescita Il leader trasformazionale è colui che riconosce i bisogni del follower ed è in grado di trasformarlo in leader. Le quattro “I” di Bass rappresentano al meglio il modello trasformazionale: • Considerazione individuale: comunicazione personalizzata tesa verso l’obbiettivo di crescita • Stimolazione intellettuale: considerata come la via per dare energia, indipendente dai sistemi di riconoscimento formali • Motivazione ispirazionale: fa riferimento all’azione di dotare il lavoro di un significato • Influenza idealizzante: chiama in causa l’attenzione alla fiducia divenendo modello di ruolo in cui i collaboratori possano identificarsi L’empowerment è divenuto un tema cruciale negli studi organizzativi, sempre più persone reclamano maggiore potere nelle loro vite, maggiore partecipazione e coinvolgimento a diversi livelli, Quinn e Spreizer evidenziano come l’empowering sia un obbiettivo del leader e si realizza attraverso alcuni comportamenti principali: 22 sono abbastanza interessati a scegliere di investire parte delle proprie risorse nell’attività che svolgono • Gli activist si sentono fortemente coinvolti dal leader e dall’organizzazione e agiscono di conseguenza • I diehard sono pronti a morire per la causa, sia essa un individuo, in idea o le due cose insieme, caratterizzati da profonda abnegazione sono follower molto rari Potter, Rosenbach e Pittman individuano nell’iniziativa l’aspetto cruciale per esprimere comportamenti di followership realmente efficaci, la performance iniziative ha a che fare con la prestazione fornita, include a sua volta 4 comportamenti: 1. Svolgere il proprio lavoro con competenza, 2. Operare efficacemente con gli altri, 3. Riconoscere nella propria persona fisica una risorsa 4. Abbracciare il cambiamento. La relationship iniziative riguarda la relazione e comprende: identificarsi con il leader come partner in success, costruire fiducia, comunicare in modo onesto e coraggioso e negoziare le differenze. Dall’incrocio tra queste due dimensioni derivano quattro stili di followership: • Subordinate, un collaboratore di questo tipo non ofre un approccio personale all’attività • Politician, riesce a cogliere le prospettive del leader, risulta meno coinvolto nel compito e poco concentrato • Contributor, svolge il proprio lavoro con entusiasmo e competenza affrontando il cambiamento come una sfida positiva, raramente cerca di comprendere le prospettive del leader • Partner, elevato commitment e lavora insieme al leader per raggiungere gli obbiettivi Chalef distingue due dimensioni, il coraggio di fornire supporto al leader (support) e il coraggio di sfidarlo (challenge), queste due dimensioni definiscono gli assi della sua teoria. In virtù del coraggio di supportare il leader, il buon collaboratore non esita a lavorare duramente. Grazie al coraggio di sfidare invece affronta il conflitto in modo costruttivo in modo che giovi al gruppo e all’organizzazione. 5 profili secondo Chaleff: 1. Resource: follower che si limita a fare il minimo indispensabile 2. Individualist: indipendente, tende a pensare per se distinguendo la propria linea di pensiero da quella del gruppo 3. Implementer: si limita a eseguire ciò che gli viene richiesto 4. Partner: con il proprio comportamento costituisce uno stimolo e una sfida intellettuale per il leader Gli elementi che ricorrono nelle diverse teorie sulla followership sono tre: • un’asimmetria sottesa al rapporto tra i ruoli che può essere più o meno riequilibrata dall’influenza che il follower è in grado di esercitare • la condivisione tra leader e follower di un obbiettivo comune • la possibilità per i follower di esercitare un’influenza sui leader Cap. 11: Cambiamento e sviluppo organizzativo Le organizzazioni cambiano perché sottoposte a molteplici spinte verso il cambiamento, tali spinte possono essere esterne e interne a esse, la globalizzazione, l’introduzione di nuove tecnologie, le nuove caratteristiche della forza lavoro, le pressioni sociali, politiche ed economiche costituiscono le principali spinte esterne che sollecitano gli attori organizzativi. Le spinte interne sono prevalentemente connesse con la gestione delle risorse umane, hanno a che fare con la dimensione che si colloca tra individuo e organizzazione come la soddisfazione e la motivazione lavorativa e sono verificabili quando si verificano eventi tangibili come ad esempio il calo della produttività. Il cambiamento nelle organizzazioni secondo Quaglino è un atto deliberato caratterizzato da un “passaggio” o da una “transizione” nel tempo da uno stato A collocato in un tempo 1 ad uno stato B collocato in un tempo 2. Lo stato A rappresenta l’insorgenza di una situazione di funzionamento problematico che interferisce con la stabilità o con il miglioramento della prestazione dell’organizzazione, lo stato B rappresenta la situazione auspicata dove l’organizzazione riacquista la sua stabilità. Il cambiamento è quindi un intervento volto ad affrontare un problema o una situazione critica agendo sul sistema tecnico o sociale. Molti studiosi sostengono che si possa parlare di cambiamento organizzativo quando questo è pianificato ed è il risultato di uno specifico sforzo da parte di agenti di cambiamento ed è la risposta alla percezione 25 di una discrepanza tra uno stato desiderato e quello presente. Il modello di Lewin punta l’attenzione sulla tendenza a mantenere uno stato di equilibrio costante nel tempo anche in presenza di spinte al cambiamento. Ogni organizzazione presenta forze per il cambiamento e forze per la stabilità. (Vedi figura pag. 305) Partendo da una situazione di equilibrio, le spinte al cambiamento iniziano ad agire scontrandosi con le resistenze che vengono opposte al cambiamento stesso, quando le spinte riescono a sconfiggere le resistenze si verifica la fase di scongelamento che porta al cambiamento vero e proprio e alla successiva fase di ricongelamento Il modello di Lussier integra la proposta di Lewin proponendo un modello di cambiamento composto da 5 fasi che evidenziano gli aspetti gestionali del cambiamento: • definire il cambiamento, chiarire se l’obiettivo del cambiamento è diretto agli aspetti strutturali tecnologici o sociali • identificare le resistenze al cambiamento, comprendere la fonte e l’intensità delle resistenze messe in atto dagli attori organizzativi • pianificare il cambiamento, progettare e sostenere il cambiamento garantendo la supervisione • promuovere il cambiamento, renderne espliciti gli effetti, mettere in relazione i nuovi obbiettivi con i valori esistenti, coinvolgere gli attori organizzativi • controllare il cambiamento, accettarsi se esso sia attivato e mantenuto nel tempo Il modello sistemico è basato sull’assunto che ogni cambiamento possa avere un impatto a cascata all’interno dell’organizzazione intesa come sistema composto da parti in stretta interazione tra loro. Questo modello prevede l’azione congiunta di: input, oggetti o obbiettivi di cambiamento e output. • l’input fa riferimento alla missione e alla visione dell’organizzazione, ogni cambiamento dev’essere coerente con esse e derivare rigorosamente da un piano strategico. • gli oggetti del cambiamento rappresentano gli aspetti dell’organizzazione che possono essere oggetto di mutamento (aspetti organizzativi, fattori sociali, metodi, obbiettivi del cambiamento, attori organizzativi) • gli output, costituiscono i risultati attesi dal processo di cambiamento Quasi il 70% delle iniziative di cambiamento organizzativo tende a fallire, si parla di fallimento quando l’organizzazione non cambia nella direzione desiderata, cambia parzialmente o cambia per poi ritornare nella posizione originaria. La comprensione dei meccanismi che mantengono la stabilità all’interno dell’organizzazione permette di fare luce sulle pratiche e sulle procedure di intervento per la realizzazione del cambiamento. È fondamentale non sottovalutare le dimensioni soggettive emotive e relazionali del comportamento organizzativo, soprattutto quando si parla di cambiamento, accettare un cambiamento non è cosa da poco, il cambiamento genera negli attori organizzativi una gamma di emozioni che vanno dalla completa accettazione al completo rifiuto, è dunque evidente l’importanza di diagnosticare e gestire un cambiamento. La dimensione difensiva nella maggior parte dei casi è un fattore fisiologico perché rappresenta una normale reazione ad una situazione che sta mutando. Tre tipi principali di resistenze individuali: 1) l’incertezza e l’insicurezza per il nuovo, gli individui resistono al cambiamento quando lo percepiscono come minaccia alla propria sicurezza, questi tipi di resistenza si classificano in psicologiche (minaccia alla propria identità occupazionale) e in economiche (minaccia riduzione dello stipendio) 2) la selezione percettiva delle informazioni, gli individui tendono a selezionare le informazioni coerenti con le loro opinioni e gli schemi consolidati e utilizzati abitualmente, si attivano le resistenze quando queste credenze vengono minacciate 3) le abitudini, il cambiamento può creare situazioni poco prevedibili in grado di mettere in discussione le routine, gli schemi mentali individuali e i comportamenti consolidati. La reazione al cambiamento varia in base alle caratteristiche individuali dei lavoratori come il locus of control, l’autoefficacia, gli stili di coping e i bisogni motivazionali. Quattro sottodimensioni indicative delle resistenze individuali: • Routine Seeking, riluttanza ad abbandonare le abitudini consolidate • Emotional Reaction, reazione emotiva connotata da stress legata alla partecipazione al cambiamento • Short-term Focus, tendenza a individuare gli svantaggi a breve termine connessi al cambiamento, piuttosto che 26 individuare i vantaggi a lungo termine • Cognitive Rigidity, rigidità del pensiero nel considerare idee e prospettive alternative allo status quo Le resistenze di gruppo sono legate alle seguenti dinamiche: • le dinamiche legate al potere e ai conflitti, quando il cambiamento è percepito come occasione per conferire maggiore potere ad alcuni individui a discapito di altri, si possono attivare forti resistenze • la struttura e la cultura organizzativa, una struttura burocratica e centralizzata, caratterizzata da una suddivisione rigida di ruoli e procedure risulta maggiormente resistente ai tentativi di cambiamento. Lo sviluppo organizzativo secondo Bell è un tentativo guidato e sostenuto dal top management volto a migliorare l’azione di sviluppo della visione dell’organizzazione, l’empowerment, l’apprendimento e i processi di soluzione dei problemi attraverso una gestione collaborativa e continua della cultura organizzativa. La ricerca-azione (RA): • è un modo di intervenire all’interno del contesto organizzativo con un intento trasformativo • è un modo di conoscere nella relazione e attraverso la relazione • è una filosofia, un modo di essere e di vivere che interpreta e vive la partecipazione come testimonianza e come metodologia • è un processo di cambiamento • è una metodologia di ricerca, prevalentemente ma non esclusivamente, qualitativa (Vedi figura 11.3 p 319) Cap. 12: Prendere decisioni nelle organizzazioni Decidere è ciò che impegna tutti gli attori organizzativi, ogni giorno, sulle questioni più varie e di differente importanza, una definizione generale di definizione può essere il processo che comporta l’individuazione e la scelta tra soluzioni alternative per giungere ad una situazione auspicata. Le caratteristiche fondamentali della decisione costituiscono le sue dimensioni che si influenzano l’una con l’altra individuando la natura e il tipo della decisione stessa. Le dimensioni principali di una decisione sono: • Rilevanza, misura l’impatto che la decisione avrà sui processi organizzativi • Temporalità, esprime il periodo di tempo in cui si avvertiranno le conseguenze della decisione • Contesto, le condizioni ambientali in cui viene presa una decisione possono essere di certezza, rischio o incertezza a seconda del grado di conoscenza delle condizioni ambientali Due tipologie di decisioni: 1. Decisioni programmate, affrontano problemi strutturati, di routine, famigliari e ben conosciuti, richiedono di scegliere la procedura standard in anticipo, hanno una grande rilevanza, effetti a breve termine e non comportano gravi rischi, vengono anche chiamate decisioni operative 2. Decisioni non programmate, affrontano problemi non strutturati, richiedendo una soluzione su misura, si articolano in: • decisioni tattiche- effetti a medio breve termine che richiedono una certa dose di improvvisazione, richiedono un certo livello di responsabilità • decisioni strategiche- alta rilevanza e alto livello di rischio, modificano strategie a lungo termine, richiedono tutta l’attenzione e la creatività di cui dispone l’organizzazione Il modello razionale assume che l’essere umano sia un decisore perfettamente razionale, è un modello prescrittivo che indica il processo che i decisori devono seguire per raggiungere la soluzione migliore, quella che soddisfa il principio di massimizzazione dei risultati. Questo modello prevede 8 passaggi: 1. Ricognizione del problema, il manager rileva un divario tra la situazione attuale e quella desiderata 2. Definizione del problema e degli obbiettivi, l’organizzazione analizza in modo approfondito il problema rilevato 3. Definizione dei criteri e della decisione, l’organizzazione definisce i criteri con i quali verranno create, analizzate e scelte le possibili soluzioni 4. Generazione delle alternative, l’organizzazione sfrutta le risorse a disposizione per trovare un certo numero 27 aggiunto. Più avanti Stoner si accorse che il gruppo poteva portare anche ad una maggiore cautela, ecco perché inizierà a parlare di polarizzazione di gruppo, l’interazione sposta le posizioni degli individui. Bordley, teoria della decisione prescrittiva, propone 12 passaggi per assumere una buona decisione (tabella pag. 351). Secondo Cabauntous e Gond il problema della realizzazione di un processo decisionale completamente razionale consta nell’errore sistematico nel considerare la razionalità come un concetto naturale invece di pensarlo come un costrutto che si fonda su un insieme di principi teorici e la cui realizzazione dipende dai portatori di razionalità Naturalistic Decision Making, presa di una decisone naturale, termine coniato da Klein durante studi su decisioni prese in condizioni complesse (scarsità di tempo, ambiguità, incertezza ecc). Simon aveva individuato l’utilizzo di scorciatoie mentali per risolvere velocemente problemi complessi, uno strumento rozzo, capace di portare a risultati subottimali Principio della razionalità ecologica: le persone, sfruttando la loro esperienza, sono in grado di prendere buone decisioni (Todd e Gigerenzer) Il ruolo dell’etica nelle decisioni a lungo termine ne determina l’efficacia, Teske e Hallam sostengono che molte organizzazioni raccolgano i dati da fonti limitate, per assicurarsi un profitto, devono ampliare la loro prospettiva adottando un approccio multidimensionale che permetta di discriminare le decisioni giuste e quelle sbagliate in situazioni moralmente ambigue (modello della scatola grigia). Secondo questi due autori, le organizzazioni dovrebbero organizzare il loro processo decisionale in questo ordine: • Prima dimensione, contesto economico/finanziario, analisi costi benefici per raggiungere un utile nel minor tempo possibile • Seconda dimensione, contesto legale/politico, le organizzazioni pur rimanendo nei limiti della legalità possono fare danni alla società • Terza dimensione, contesto etico/morale/sociale/ambientale, in questa dimensione si lavora a livello qualitativo e si riferisce alla consapevolezza dei valori etici dell’azienda • Quarta dimensione, modello di leadership/management dell’organizzazione, si passa dalla considerazione dei principi etici dei decisori a quelli degli implementatori, non basta prendere una decisione, occorre realizzarla Cap. 13: Leggere e gestire il conflitto nelle organizzazioni Il tema del conflitto, assume una presenza e una rilevanza cruciale sulla scena dei contesti organizzativi e lavorativi, ha una valenza negativa ma in questo capitolo verrà proposto in un ottica differente. Sheppard paragonava la ricerca sul conflitto organizzativo a una realtà schizofrenica per le molteplici facce della sua configurazione. Erikson definisce la capacità generativa, propria della maturità adulta, come la rinuncia alla difesa del proprio interesse particolare e la messa a disposizione dell’esperienza per la crescita di altri e di interessi collettivi. La dimensione conflittuale è l’intreccio di interessi, differenze, dinamiche, valenze e significati contestuali, assume una progressiva messa in ordine e mobilita l’investimento di energie soggettive e collettive. La parola conflitto indica uno scontro tra due identità differenti che reagiscono tra di loro, di per se questo incontro non ha connotazioni positive o negative, alle origini del pensiero filosofico era tematizzato soprattutto in riferimento alla questione politica. Per Eraclito è il principio della realtà, motore delle cose, Anassimandro al contrario ritrova elementi negativi e ingiustizia (lo stesso vale per Platone e Socrate) Rousseau vede il conlitto come una malattia di una società organica. Per Macchiavelli e Hobbes le relazioni umane sono per natura portate alla competizione individualistica Hegel: il conflitto diventa principio metafisico al quale è necessario riferirsi per spiegare la realtà Simmel identifica da un lato la tendenza associativa che spinge alla socializzazione, dall’altro la tendenza dissociativa che rinforza l’individualismo, il conflitto in tale logica assume la funzione fondamentale di riconoscimento reciproco tra le parti perdendo cosi la caratteristica di minaccia sociale. Lewin vede il conflitto come la struttura fondamentale che regola il gioco delle forze psichiche presenti nel campo 30 psicologico dell’individuo. Luhmann affronta il conflitto concependolo come prezioso indicatore di disfunzioni nel sistema sociale, in ogni sistema sono necessarie istituzioni che diano spazio al conflitto orientandone lo sviluppo. Per Pierce il conflitto si colloca nella prospettiva della gestione coordinata dei significati a partire dalla diversità e unicità dei singoli sistemi e dalle differenze delle storie da essi raccontate. De Araujo e Carreteiro individuano quattro aree concettuali: 1) Antropologica/fisica, Hobbes, (desideri come fonte del conflitto), Kant (insocievole socievolezza dell’uomo), Hegel (schema servo-padrone), Mauss (logica dello scambio nell’economia del dono) 2) Sociopolitica, posizioni funzionaliste (conflitto come perturbatore dell’equilibrio sociale), neo-cripto funzionaliste (enfasi sulla funzione adattiva del conflitto), postfunzionaliste (conflitto come elemento intrinseco e necessario alla dinamica sociale) 3) Psicoanalitica, analisi della problematica del conflitto nei gruppi e nella società, del senso di colpa e dell’introiezione delle regole sociali, del conflitto intrapsichico alla base dei processi di individuazione e differenziazione soggettiva ecc. 4) Psicosociologica, orientata al superamento di una razionalità aziendalistico-efficientistica per cui con una buona struttura gerarchica verrebbe soddisfatta l’aspettativa di organizzazione richiesta e ridotti i conflitti Concezioni di conflitto: • Deviazione pericolosa, conseguenze distruttive e disfunzionali entro strutture normative che dovrebbero conservare e garantire ordine ed efficienza, ottica Fordista e Taylorista di progettazione di regole, strutture e procedure allo scopo di rimuovere l’insorgenza di conflitti e mantenere un ordine e un controllo razionali • Paradigma interazionista, concetto di conflitto come aspetto ineludibile, il conflitto viene quindi visto come un fenomeno da gestire in modo da trarne il massimo beneficio per l’organizzazione, prefigurando conseguenze non sempre negative, interrogandosi rispetto a situazioni dove non emerge conflittualità • Paradigma culturale, il conflitto viene visto come condizione strutturale, l’organizzazione viene vista come un insieme articolato in condizione naturale di conflitto dinamico. • Paradigma della complessità, ruolo centrale del conflitto, considerato determinante nei sistemi complessi per il raggiungimento degli obbiettivi e per l’innovazione organizzativa Elementi comuni nelle teorie del conflitto: • Percezione del conflitto, non tutti i conflitti percepiti sono reali • Dimensione relazionale, il conflitto esiste entro la relazione tra due o più parti • Minaccia per il se, il conflitto rende minacciose e destabilizzanti le visioni altrui del mondo se messe in confronto con le proprie • Densità emotiva, il conflitto mobilita risonanze emotive ed affettive I modelli strutturali trattano gli aspetti relativi ai parametri del sistema (norme, incentivi, procedure standardizzate ecc). I modelli processuali si focalizzano, invece, sulla sequenza temporale degli eventi che accadono durante la genesi e lo sviluppo del conflitto Nel 1976 Thomas divide le variabili strutturali in quattro categorie: 1) Predisposizioni comportamentali 2) Pressioni sociali 3) Struttura degli incentivi 4) Ruoli e procedure Tosi e colleghi identificano nella nascita del conflitto fattori individuali e fattori riguardanti la sfera strutturale (fattori istituzionali e organizzativi). I fattori istituzionali riguardano il grado di interdipendenza, il bisogno di consenso, le differenze di status e l’ambiguità nelle responsabilità mentre quelli organizzativi riguardano il goal setting, la scarsità di risorse, l’influenza e le autorità multiple, le regole e le procedure. 31 Tipologie di conflitto secondo Rahim: • Intrapersonale, conflitto che origina dal contrasto tra le richieste dell’organizzazione e le caratteristiche personali dell’individuo • Intragruppo, conflitto che origina tra membri di uno stesso gruppo • Intergruppi, conflitto tra gruppi di lavoro diversi, all’interno della stessa organizzazione Livelli di conflitto secondo Ferrari: • Intrapsichico, strettamente connesso al concetto di se • Interpersonale, conflitto che coinvolge due o più persone, può anche generare soluzioni creative • Nei gruppi di lavoro, conflitto permanente tra esigenze dei membri e del gruppo, entrambi interessata a raggiungere il massimo risultato con il minimo sforzo • Intergruppi, si manifesta tra gruppi appartenenti alla stessa organizzazione Sheppard sostiene che esistano tre livelli di conflitto: istituzionale, relazionale e microsociale L’oggetto del conflitto: • i conflitti connessi al compito riguardano dispute circa la distribuzione delle risorse • i conflitti relazionali riguardano discordanze connesse a gusti e stili personali Esiti e ricadute del conflitto: può avere esiti sia negativi che positivi, gli aspetti negativi riguardano un clima ostile, aumento di ansia, frustrazione, paura di essere rifiutati ecc, gli aspetti positivi riguardano un incremento del dibattito costruttivo, un uso migliore delle risorse disponibili, una maggiore qualità delle idee generate, una maggiore possibilità di manifestare i problemi . Conflitto, soddisfazione e benessere lavorativo: il conflitto evoca emozioni come rabbia, disgusto, paura, deteriorando cosi il clima lavorativo con possibili influenze sul sistema fisiologico, andando ad intaccare lo stato di benessere degli individui. La self-efficacy o efficacia personale, è un giudizio personale che riguarda le proprie capacità di portare a termine gli obbiettivi. Secondo l’information-processing perspective, la relazione tra conflitto ed efficacia individuale, flessibilità cognitiva, pensiero creativo e capacità di problem solving, avrebbe una forma a U rovesciata concependo come funzionale per il benessere organizzativo la presenza di una quota di conflitto se moderata La conflict tipology framework si basa sulla distinzione tra conflitto task e conflitto relationship oriented, sostiene che mentre il conflitto relazionale interferisce con i compiti di performance, il conflitto task conduce i soggetti a considerare più prospettive e diverse soluzioni dei problemi. Conflitto e team di lavoro: la cultura organizzativa del conflitto determina come vengono visti e valutati i contrasti, quali strategie di gestione sono ritenute adeguate e quali no. Se il conflitto viene visto come funzionalmente correlato al compito, il dibattito aperto e il confronto sui problemi sono considerate strategie appropriate di gestione, se il conflitto viene visto come fonte di minaccia, le strategie adeguate sono l’inattività, l’evitamento e le varie forme di ritiro. Tipi di pattern: • dominio (alto interesse per se, basso per l’altro) • sottomissione (basso interesse per se, alto per l’altro) • compromesso (moderato interesse per se e per l’altro) • integrazione (alto interesse per se e per l’altro) • evitamento (basso interesse per se e per l’altro) Ricerche sulle reazioni emozionali dei membri del team e le loro percezioni della natura dei conflitti (task versus relationship) evidenziano che: • la scelta di modalità cooperative è positivamente associata a esperienze e a emozioni positive • la scelta dei pattern dominio è collegata sia a emozioni negative che positive 32 La maturità dell’organizzazione dipende dalla qualità dei processi di pensiero espressi dalle risorse umane, il successo di qualsiasi processo di cambiamento dipende dai livelli di consapevolezza delle percezioni dei soggetti dell’organizzazione. La psicologia del lavoro può dare un contributo valorizzando le soggettività, generando innovazione nelle risorse umane. I requisiti di una corretta gestione del personale secondo le norme della qualità si declamano in termini di: • competenza necessaria a svolgere attività connesse alla qualità del prodotto • formazione, stimolata dall’obbiettivo del miglioramento continuo • valutazione dell’efficacia delle azioni messe in atto per il raggiungimento dell’obbiettivo qualità • consapevolezza da parte di tutti dell’importanza dei propri comportamenti • documentabilità dei progressi conseguiti da tutti i soggetti dell’organizzazione nell’acquisizione di abilità Dean e Bowen elencano gli obbiettivi prioritari del sistema di gestione della qualità totale: leadership orientata alla comunicazione, sviluppo di una cultura della qualità, formazione continua e commitment. La leadership è il fattore principale del total quality management, il leader è portatore della vision di qualità, in questo modo la vision diviene codice di comportamento per se e per gli altri. Cap. 15: Le emozioni nella vita organizzativa La prima teoria delle emozioni si deve a William James, egli sosteneva che i cambiamenti fisici stimolano i sentimenti, ossia che se ridiamo siamo contenti. Non c’è accordo fra i ricercatori in merito alla definizione di un’emozione e a ciò che la costituisce, si può ricostruirne il senso. • Affetto: utilizzato in letteratura come sinonimo di sentimento o di emozione, è un termine generico di ampia portata • Emozione: è uno stato affettivo intenso di breve durata associato ad una causa esterna o interna al soggetto • Sentimento: secondo Fineman è l’elemento più soggettivo di ciò che si prova, è ciò che sentiamo in maniera autentica, intima • Umore: è uno stato affettivo con intensità minore ma durata maggiore rispetto alle emozioni Gli studi sulle emozioni nella teoria dell’organizzazione vengono fatti nella Western Electric Company di Hawthorne, negli anni 30 del 900 da Mayo. Il paradigma di matrice fordista-taylorista dominante prevedeva che un organizzazione efficiente fosse il risultato di assetti strutturali ben organizzati volti a minimizzare i costi per raggiungere gli obbiettivi. Mayo e colleghi affermano la necessità di considerare la morale dei lavoratori per capire davvero i comportamenti organizzativi. La vita emotiva dei lavoratori rimane marginale fino agli anni 80, secondo Fineman non viene presa in considerazione a causa della cultura occidentale che ha diffidato e sospettato dell’espressione di emozioni e sentimenti, considerati un disturbo per l’efficienza organizzativa. Weber sostiene chela burocrazia raggiunge la sua massima espressione in termini di efficacia ed efficienza quando è completamente deumanizzata, sottratta cioè dall’interferenza dei sentimenti. Fra gli anni 50 e 60 l’interesse verso le emozioni nell’organizzazione inizia a dispiegarsi in due direzioni principali: 1. il discorso sulle emozioni si collega agli studi su alcuni atteggiamenti che possiedono una componente affettiva (soddisfazione lavorativa), questi studi troveranno una loro sintesi concettuale nel modello dell’affective events theory. Tale modello mostra come la soddisfazione lavorativa, i comportamenti di cittadinanza organizzativa e la performance siano influenzati dal modo in cui le persone reagiscono emotivamente agli eventi lavorativi. 2. la seconda direzione invece è rappresentata dagli studi svolti presso la Tavistock di Londra, le ricerche di Jaques e Menzies descrivevano dinamiche organizzative centrate sulle diverse configurazioni delle angosce primarie che le persone rivivono all’interno dei contesti lavorativi. Dalla metà degli anni 80, gli studiosi delle organizzazioni hanno riscoperto le emozioni come riflesso di una tendenza socioculturale più ampia, nell’ambito delle organizzazioni troviamo almeno due prospettive: psicodinamica e costruttivista. L’organizzazione viene vista come arena emotiva, un arena in cui le emozioni vengono rappresentate a 35 favore di un pubblico che si intende influenzare, spaventare, stupire ecc... Da questa metafora emerge che i soggetti sono gli individui emozionati che costituiscono l’organizzazione e che tali attori organizzativi compiono azioni modellate, negoziate e modificate in virtù delle forze emotive da cui sono animati. L’approccio psicodinamico ha una visione plastica e dinamica delle emozioni che hanno in sé l’energia del movente, in psicoanalisi le emozioni sono un impulso profondo che spinge a lavorare, lottare per il potere, ricercare la verità e appassionarsi alla conoscenza, tutte queste azioni sono mosse dalle emozioni. Le emozioni sono il collante dei gruppi ma sono anche le forze che portano alla distruzione. L’ansia è l’emozione posta in primo piano, dagli studi di Bion e Klein nasce il paradigma delle difese contro l’ansia, l’idea principale è che il lavoro sia un attivatore di ansie, quando un lavoratore deve svolgere un lavoro insieme ad altri si attivano in automatico due tipi di ansie: ansie paranoidi che coincidono con la paura di essere distrutti e ansie depressive, profondi timori di non essere capaci. Per proteggersi da tali ansie, le persone ricorrono a meccanismi di difesa individuali e collettivi. Secondo la Klein, gli individui costruiscono una struttura organizzativa per ripararsi dai due tipi di ansie. Bion invece ha affermato che la vita affettiva del gruppo è comprensibile solo in termini di meccanismi psicotici. Secondo Jaques gli individui si uniscono in organizzazioni per proteggersi da angosce, dalle paure e dalle loro ansie caricando tra loro le relazioni di significati che disturbano la relazione stessa Secondo Weber, i membri dell’organizzazione, per far fronte all’emergere dell’ansia persecutoria e depressiva, mettono in atto meccanismi di difesa attraverso forme di introiezione e proiezione, cosicchè la razionalità organizzativa si scontri con le emergenze irrazionali di volta in volta camuffate da vittimismo, autosvalutazione, arroganza, passività… Jaques e Menzies si rifanno principalmente ai lavori di Klein per concludere che l’organizzazione è un sistema di difesa contro l’ansia ma in realtà genera altrettanta ansia. L’organizzazione diventa essa stessa fonte di ulteriore ansia. L’ingresso nell’organizzazione genera nuove angosce portando cosi ad un circolo ansiogeno, potenzialmente distruttivo. Hirschhorn ha elaborato il concetto di sistema dei normali danni psicologici per descrivere l’insieme di offese che gli attori organizzativi subiscono quando tentano di collaborare. Baum sostiene che le cause di queste ansie sono la burocratizzazione e la gerarchia con i suoi derivati più perversi con la conseguente cattiva organizzazione che generano nei singoli sentimenti di biasimo, vittimismo e meccanismi difensivi come il capro espiatorio. L’approccio costruttivista propone una visione che enfatizza il contesto sociale e culturale in cui le emozioni sono apprese nei contesti sociali e organizzativi, alla loro espressione sono associate reazioni corporee, anch’esse apprese ma con un significato che dipende dalle particolari circostanze e dalle interazioni discorsive degli autori organizzativi. I costruttivisti sostengono che l’esibizione di un’emozione, con i suoi connotati corporei, è parte di un processo di costruzione di significati che coinvolge più attori ed è soggetta a norme e regole. In questa prospettiva, sono centrali il lessico e le narrazioni che veicolano significati emotivi. I costruttivisti affermano che le emozioni non sono solo qualcosa che si prova ma sono anche qualcosa che si impara a mostrare, esibire ed esprimere in relazione alle circostanze Hochschild distingue l’emotional labour dall’emotion work, quest’ultimo fa riferimento alla gestione e al controllo dei sentimenti per creare una facciata accettabile nei contesti sociali, il primo invece possiede un valore di scambio e coincide con la gestione della vita emotiva nei contesti di lavoro, fa riferimento a quelle emozioni che le persone devono gestire e mostrare al fine di ricevere una retribuzione e che sono sfruttate dalle organizzazioni per ottenere un profitto L’emotional labour implica due compiti principali: non mostrare emozioni incoerenti con le regole organizzative e mostrare allo stesso tempo le emozioni richieste dall’organizzazione Le persone usano due tecniche per mostrare la faccia richiesta: il surface acting e il deep acting, letteralmente 36 recitazione superficiale e recitazione profonda, il primo indica l’operazione di mettersi la maschera nascondendo ciò che si prova mentre il secondo indica la tecnica attraverso la quale il soggetto modifica coscientemente e realmente i propri sentimenti per poter esprimere le emozioni richieste. Entrambe le modalità sono forme di alienazione che incidono negativamente sul benessere delle persone. I modi attraverso i quali le organizzazioni controllano le emozioni sono molti, per esempio, forme di ricompensa e promozioni, oppure la socializzazione alla cultura organizzativa o ancora l’esercizio del controllo da parte dei pari. Quando la tensione tra ciò che si prova e ciò che si mostra diventa insostenibile, quando cioè le risorse per sostenere la maschera della finzione si assottigliano, il rischio è la caduta nel burnout, nello stress lavorativo e nell’alessitimia. Nei contesti lavorativi le emotional zones sfuggono al controllo, in questi luoghi i soggetti hanno la possibilità di sottrarsi alla fatica emotiva e al lavoro emozionale in quanto nascosti dalla vista dei datori di lavoro e dei clienti, queste zone hanno un effetto catarchico. 37
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved