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riassunto psicologia delle organizzazioni, Sintesi del corso di Psicologia Delle Organizzazioni

riassunto con descrizioni concetti fondamentali

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 24/11/2021

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francesco-giove-1 🇮🇹

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Scarica riassunto psicologia delle organizzazioni e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Delle Organizzazioni solo su Docsity! Modulo 1: la psicologia delle organizzazioni Le tre aree della psicologia in ambito lavorativo 1. La psicologia del lavoro si occupa del lavoratore che prova una serie di esperienze psicologiche di fronte al proprio compito lavorativo (analisi del suo ruolo, delle sue emozioni ecc.) (soggetto: l’individuo). 2. La psicologia delle risorse umane affronta la relazione tra l’individuo e l’organizzazione, studiando le problematiche individuali e il miglior adattamento psicologico al gruppo (soggetto: l'individuo in relazione con il lavoro). 3. La psicologia delle organizzazione riguarda lo studio di entità sovra individuali aggregate (gruppi e organizzazione) e ha lo scopo di guidare il comportamento collettivo (soggetto: il team). Tale ripartizione ha un carattere prevalentemente didattico. Ovviamente la psicologia delle organizzazioni, così come la psicologia del lavoro, ha una forte valenza applicativa. Livelli di analisi psicologica A seconda del soggetto, si useranno differenti tipologie di analisi: 1. Livello di analisi intrasoggettivo: si occupa di diversi processi intrapsichici del soggetto e mette in relazione tra loro le diverse sfere dell’esperienza psicologica. 2. Livello di analisi interazione soggetto-compito: l’analisi riguarda l’interazione tra persona e compito lavorativo. 3. Livello di analisi di gruppo: analisi di piccoli aggregati sociali. Livello di analisi organizzativo: analisi di grandi aggregati sociale. 5. Livelli di analisi sociali: analisi di macroaree sociali e macroprocessi socioeconomici e culturali (ad esempio, analisi di una determinata fase storica). La psicologia in relazione al lavoro nella storia La psicologia del lavoro nasce in seguito alla Rivoluzione industriale. Nel corso del Novecento si sviluppa in Francia (psychologie du travail) e in Italia come “psicotecnica” o “psicologia industriale”, e solo successivamente come “psicologia del lavoro”. Questa psicologia nasce inizialmente proprio per studiare la produttività industriale delle fabbriche, e non tanto per tutelare il benessere dei lavoratori. Taylor e Mayo I principali contributi alla storia della psicologia del lavoro sono stati dati da Taylor e Mayo. Taylor (1850) è l’iniziatore della ricerca sui metodi di miglioramento dell’efficienza nella produzione (da cui non a caso deriva il termine taylorismo). Egli elaborò uno studio scientifico del lavoro dei singoli movimenti del lavoratore, per ottimizzare il tempo del lavoro; tale ottimizzazione è basata sulla distribuzione di compiti ben definiti (task management — organizzazione scientifica del lavoro). Dalle teorie i Taylor, base della produzione in serie, nascerà poi la famosa “catena di montaggio” di Ford; ovviamente, questa tipologia di produzione avrà poi la conseguenza di spersonalizzare l’individuo e renderlo al pari di una macchina, poiché in realtà non tiene conto 2 dell’emotività dei dipendenti, ma solo della produzione (il lavoro diventa una routine estenuante e alienante). Principi dell’organizzazione scientifica del lavoro L'organizzazione scientifica del lavoro si basa su quattro principi fondamentali: - definizione scientifica dei metodi di lavoro per garantirne l'efficienza - selezione dei migliori lavoratori - formazione e addestramento del dipendente - retribuzione economica adeguata al lavoratore Molto importante è anche Elton George Mayo. Mayo (1920), a differenza di Taylor, motivato solo da interessi economici, sviluppa un'immagine di “uomo sociale”, cioè in relazione con gli altri uomini, e ritiene che sia proprio la dimensione sociale a rappresentare il punto fondamentale della condizione lavorativa. Pertanto, l'uomo al lavoro, secondo Mayo, tende a pensare e ad agire sulla base di un concetto relazionale. L'organizzazione, quindi, deve investire sui rapporti sociali dei lavoratori, perché è quello che determina in maniera diretta la loro motivazione e quindi la loro efficacia sul lavoro. Il contributo più importante di Mayo è quello relativo agli esperimenti presso lo stabilimento della Western Electric di Hawthorne: i ricercatori si resero conto che, dopo alcuni anni trascorsi in fabbrica, le dattilografe e le operaie producevano di più non per le variazioni apportate alle condizioni di lavoro (illuminazione — la produzione rimaneva la stessa anche se l'illuminazione diminuiva —, durata delle pause e delle giornate lavorative, retribuzione ecc.) ma perché si rendevano conto di essere oggetto di attenzione: a far cambiare i livelli di produttività erano fattori di ordine psicologico e non sociologico (effetto Hawthorne). Robert Yerkes Robert Yerkes sviluppò dei test di intelligenza a cui sottopose più di 2 milioni di soldati statunitensi della prima guerra mondiale per il reclutamento dell'esercito americano. I soldati alfabetizzati e analfabeti furono sottoposti a test differenti (i primi al cosiddetto army alfa e i secondi all’army beta). I risultati più bassi furono conseguiti dagli immigrati, e questo contribuì a un inasprimento delle leggi sull’immigrazione). Zaleznik Nel secondo dopoguerra Zaleznik effettuò uno studio sui gruppi informali (ovvero i gruppi che si formano spontaneamente, anche all’interno di organizzazioni) e sui meccanismi che permettono ai gruppi di lavoro di migliorare la propria produttività. Egli divise gli operai in integrati e non integrati (corrispondenti a quelli che facevano o non facevano parte di gruppi informali). Zaleznik scoprì che i gruppi informali erano molto coesi e avevano ognuno le proprie regole interne; tuttavia, tali gruppi non permettevano di sviluppare il successo individuale; non a caso, gli operai facenti parte di gruppi informali risultavano congelati (“frozen”), in quanto avevano livelli di produttività molto bassi, rispetto invece agli operai non integrati, che avevano livelli di produttività variabili. interfaccia. Le relazioni che si vengono a stabilire tra gli stakeholder di un organizzatore formano la rete inter- organizzativa. I nodi della rete rappresentano i canali attraverso cui fluiscono risorse, opportunità e influenza e rappresentano le relazioni degli stakeholder con l’organizzazione. Le strategie di adattamento dell’organizzazione all’ambiente Secondo Miles e Snow le strategie di adattamento dell’organizzazione all’ambiente possono essere ricondotte a quattro tipi: 1. Organizzazioni che adottano una strategia di difesa: prevalentemente orientate a migliorare l’efficienza del proprio dominio di attività. In genere operano in ambiti di mercato ristretti e sono poco propense a estendersi in nuove fasce di mercato. La divisione delle mansioni è molto strutturata. 2. Organizzazioni che adottano una strategia di ricerca: sono le organizzazioni propense principalmente a posizionarsi in nuovi mercati, a sviluppare nuovi prodotti, a investire nel collaudo di prototipi. In queste organizzazioni c’è un basso grado di formalizzazione e gerarchizzazione. 3. Organizzazioni che adottano una strategia di analisi: in questo gruppo troviamo organizzazioni che operano su un doppio livello parallelo, ovvero di prodotto (con margini di stabilità) e di mercato (maggiormente soggetto al cambiamento). 4. Organizzazioni che adottano una strategia di reazione: sono le organizzazioni che hanno difficoltà di adattamento ai cambiamenti dell’ambiente esterno; sono quindi caratterizzate da lunghi periodi di immobilità, incapaci di progettare e sviluppare strategie complessive. L’adattamento delle organizzazioni spiegato attraverso forze di connessione e separazione Altri autori hanno cercato di comprendere i cambiamenti dell’organizzazione come adattamento all'ambiente facendo ricorso a due dimensioni considerate lungo un continuum: le forze di connessione e di separazione da una parte, le azioni di compattamento e decompattamento dall'altra. - Forze di connessione: creano nuove alleanze, nuovi legami, aprono nuove possibilità di scambio e nuovi progetti. - Forze di separazione: isolano sistemi e comunità, creano confini, barriere e ostacoli. - Azioni di decompattamento: azioni che si scorporano, che si frammentano, che si separano dando vita a nuovi organismi autonomi. -. Azioni di compattamento: organizzazioni o parti di esse si fondono, si ricongiungono, creando gruppi più chiusi. Gli obiettivi dell’organizzazione L'obiettivo, ovvero la funzione dell’organizzazione, coincide con la missione per cui è sorta l’organizzazione stessa: ad esempio, la funzione di un ospedale è quella di diagnosticare e curare le patologie, quella di un’università di formare e fare ricerca ecc. Gli obiettivi strategici Sono gli obiettivi connessi con la sopravvivenza delle organizzazioni (Thompson e Strickland); si dividono in: - Obiettivi di marketing: sono le strategie di conoscenza e di rapporto con gli stakeholder 6 ritenuti maggiormente rilevanti per l’organizzazione. - Obiettivi di innovazione: che mirano al cambiamento dell’organizzazione. - Obiettivi di produttività: che mirano a procurare, impiegare e sviluppare risorse umane, finanziarie e materiali. - responsabilità sociale dell’organizzazione: fa sì che l’organizzazione resti nel suo ambito, ossia il suo preciso sistema economico e il suo specifico contesto culturale e sociale. La trasformazione degli obiettivi strategici Gli obiettivi strategici rappresentano l’impegno e la direzione sui quali gli attori della scena organizzativa sono chiamati a confrontarsi e a collaborare. Da strategici, gli obiettivi si trasformano poi in obiettivi gestionali e poi in obiettivi tecnico-specialistici, per diventare infine obiettivi operativi. (ovvero, prima si crea la strategia, poi si pianifica la gestione, poi viene modificata l’organizzazione nella sua sfera tecnico-specialistica per la realizzazione dell’obiettivo e infine si mette in pratica la trasformazione). La struttura dell’organizzazione L'organizzazione ha due tipi di strutture: - La struttura fisica (ad esempio i suoi edifici) - La struttura sociale (i suoi componenti e i ruoli che hanno al suo interno) Tre componenti fondamentali dell’organizzazione - La complessità: rappresenta il grado di divisione o differenziazione delle attività all’interno dell’organizzazione. Esistono tre tipi di differenziazione: o Differenziazione orizzontale (indica il numero dei reparti in cui è divisa). o Differenziazione verticale (indica il numero dei livelli gerarchici che ci sono). o Differenziazione spaziale (indica il grado di concentrazione o dispersione sul territorio). - La formalizzazione: si riferisce al livello di standardizzazione delle procedure (se è bassa, ci sarà tanta inventiva e iniziativa dei singoli, se è alta, sarà molto formalizzata e lascerà poca autonomia). - La centralizzazione: indica il luogo in cui risiede l’autorità per la presa di decisione. Classificazione delle strutture di un’organizzazione Le strutture di un’organizzazione possono classificarsi nel seguente modo: - Struttura funzionale: raggruppa le attività secondo un criterio di similarità dei processi produttivi, Sen mettendo insieme dipendenti che svolgono funzioni o processi simili o che hanno conoscenze Amm.nee! | Ricorca& fmmolo (Saiiond | Acquisti | Produzione | Vendite e capacità analoghe. Il limite di questa struttura è che è molto rigido e poco flessibile. - Struttura divisionale o per prodotto: è su un’organizzazione composta da diverse divisioni che = perseguono in maniera relativamente autonoma le Lesire proprie attività. La divisione perciò non è in base alle ea _ funzioni ma in base all’ambito della divisione. Le molti Silio | Acquisti | Produzione _ Vendite 7 mid % } $ pz Y 4 } è pma è + divisioni sono supervisionate da un gruppo dirigente. Lo svantaggio è quello di dover duplicare le funzioni di diversi dipendenti, che nella struttura funzionale invece vengono accorpati in un unico reparto. - Struttura matriciale: è una combinazione delle due precedenti strutture, con lo scopo di superare i limiti di entrambe. Una stessa persona può venire utilizzata in più progetti; si forma così una doppia appartenenza e una doppia dimensione gerarchica. Questo però può appesantire il lavoro e causare confusione piuttosto che semplificare. Lean organization Negli ultimi anni si è diffuso il convincimento che le organizzazioni sono spesso appesantite dalle stesse strutture organizzative delle quali sono dotate. Si è così diffusa una metodologia, che ha preso il nome di organizzazione snella (lean organization), finalizzata alla semplificazione e alla velocizzazione dei processi gestionali e operativi. La lean organization concentra la sua attenzione non sulla struttura, ma sui processi e ha come intento primario l’eliminazione di tutto ciò che è superfluo. Utilizza dunque tutta una serie di tecniche di tipo informatico, volte a snellire la struttura dell’organizzazione da difetti, eccessi e varie operazioni inutili. I processi organizzativi Sono l’insieme di attività svolte per giungere agli obiettivi dell’organizzazione stessa. In base alle varie attività professionali all’interno dell’organizzazione, si distinguono tre tipi di processi: - Processi operativi: i processi legati all’acquistare, al produrre e al vendere. - Processi gestionali: legati alla pianificazione e al coordinamento del lavoro. - Processi manageriali: il governo dell’organizzazione e la gestione strategica. Se invece assumiamo come soggetto dei processi il destinatario (ovvero i clienti), possiamo dividerli in: - Processi primari: tutti i processi recepiti dal soggetto esterno per la produzione del prodotto. - Processi di supporto: tutti i processi (come la gestione e il coordinamento anche) non percepibili dai soggetti esterni. Modulo 3: le culture organizzative Definizione di cultura organizzativa La cultura organizzativa è l’insieme di credenze, regole esplicite e non esplicite e di valori di un’organizzazione. Secondo la definizione classica di Shein, per dirlo in altre parole, l’insieme coerente di assunti fondamentali che un dato gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato. I modelli interpretativi della cultura organizzativa Le 5 prospettive La Smircich ha descritto 5 prospettive, distinguendo tra quelle funzionaliste, che considerano la 8 5. La concezione degli stili di convivenza interumana e dei rapporti personali: cooperazione e competizione, distribuzione del potere e dell’amore, valorizzazione delle norme e del carisma. Come si trasmette la cultura: gli eventi organizzativi La cultura organizzativa tende a essere trasmetta attraverso una serie di eventi organizzativi. Una prima categoria di eventi ha la funzione di ribadire o rinforzare particolari norme o valori sottolineandone e dimostrandone la rilevanza nella vita delle organizzazioni. Si organizzano cerimonie con particolari riti (riti di avanzamento di carriera, integrazione di nuovi membri ecc.), i quali, quando si verificano con regolarità, divengono rituali organizzativi (come ad esempio le convention annuali d’azienda — festa di natale just con premiazioni dei vari risultati raggiunti). Una seconda categoria di eventi attraverso i quali si consolida e si trasmette la cultura di un’organizzazione sono le storie e i miti. Le storie sono resoconti di eventi passati, riprodotti ed enfatizzati per renderli comuni e familiari ai membri dell’organizzazione quali dati esemplificativi di valori culturali. I miti sono un particolare tipo di storia che fornisca una spiegazione plausibile per qualcosa che, altrimenti, potrebbe apparire misteriosa e incomprensibile (come le azioni dei fondatori o le origini dell’azienda, al fine di creare uno stimolante punto di riferimento). L’ultima categoria di eventi sono i simboli e il linguaggio. I simboli sono oggetti. azioni o eventi ai quali i membri di un’organizzazione hanno attribuito speciali significati. Il linguaggio è invece un sistema di simboli che i membri di un’organizzazione usano per comunicare idee e significati culturali (“corazzata potiomkin”). Le tipologie di culture organizzative Enriquez stabilisce 5 tipologie di culture organizzative. La cultura autoritaria Caratterizzata dalla presenza di un capo carismatico, di un’autorità indiscussa e indiscutibile che costituisce il perno del funzionamento dell’intera struttura. I criteri sui quali si fonda la valutazione dell’operato dei singoli e la progressione della carriera sono l’identificazione con l’ autorità e l'ammirazione incondizionata del capo. Le comunicazioni avvengono solo in senso discendente. Richiesta e incentivata la competizione tra operatori dello stesso livello. La cultura burocratica Il valore fondamentale è l'osservanza della norma, criterio per la definizione dei ruoli e delle responsabilità, per l’organizzazione del lavoro e la progressione di carriera. Comunicazioni solitamente in via discendente. Il capo è il garante dell’osservanza delle norme. Nasce come cultura equa e imparziale. La crescita all’interno dell’azienda è data spesso da anzianità e non da merito. La cultura paternalistico-clientelare Il valore fondamentale è l'appartenenza al gruppo. 11 - L'organizzazione assume un volto bifronte: o unastruttura formale (gli obiettivi dichiarati, i ruoli formalizzati) © una struttura informale (i gruppi di potere) - L'appartenenza al gruppo è protetta e premiata, mentre il tradimento del gruppo comporta sanzioni drastiche ed esemplari. La cultura tecnocratica - Il valore fondamentale è la competenza professionale. - Si sostiene il perfezionamento e l’evoluzione professionale e c'è una grande apertura mentale. - La competizione è alta e l’impegno è stressante. La cultura cooperativa - Il valore fondamentale è la partecipazione e il consenso. - Imembri dell’organizzazione godono di grande autonomia. - La comunicazione è fluida e informale. - Ilivelli gerarchici sono ridotti all’essenziale. La tipologia che più appartiene al mio lavoro Ho preso in esame l’unico lavoro che ho svolto all’interno di un’organizzazione (altre volte ho svolto lavori autonomi da libera professionista e attualmente sono in maternità); l’organizzazione era una casa editrice, di cui sono stata per due anni circa caporedattore. Ho riflettuto molto sulla tipologia di cultura organizzativa che potesse avere la mia azienda. Inizialmente ho pensato che fosse una cultura autoritaria, poiché comunque l’autorità era molto presente. Tuttavia la mia ultima analisi mi porta a considerarla una cultura paternalistico-clientelare. Vedo infatti molto l’appartenenza al clan, poiché venivano fatte molte richieste che non si basavano sull’impegno professionale, ma più che altro su una sorta di “riverenza” nei confronti del gruppo. Esemplare può essere la partecipazione della casa editrice a un evento tenutosi diverse sere in Roma centro per autopromuoversi. Da dipendente dell’azienda, era richiesto e necessario presenziare uno stand, senza compenso alcuno, con la seguente motivazione: “è importante per la crescita dell’azienda”. Chi non rimaneva a lavorare fino a tardi era additato come “ingrato”, e lo stesso accadeva a chi si rifiutava di lavorare nei giorni festivi o non accettava di lavorare senza compenso. Tutte queste ragioni mi spingono ad associarlo a questa tipologia di cultura organizzativa, che vede per l’appunto la fedeltà al “clan” come la più importante in assoluto all’interno della struttura ste: dell’organizzazione. Inoltre, nonostante vi fosse un capo al di sopra di tutti, il suo ruolo, in effetti, non era così marcato da farmi considerare la cultura organizzativa come autoritaria, proprio perché, più che il capo, il centro dell’azienda sembrava essere proprio il gruppo (nonostante poi ovviamente, in maniera più o meno dichiarata, vi fossero comunque delle gerarchie all’interno). Culture multiple, sottoculture e controculture Molte organizzazioni possono essere viste come multiculturali e composte da sottogruppi culturali con differenti ideologie o culture. Le culture multiple Le culture multiple non sono semplicemente sottoculture, perché non sono gestite da una cultura 12 dominante, ma tagliano trasversalmente più organizzazioni (ad esempio, questo può succedere se due aziende si fondono: le culture delle relative aziende originarie potrebbero continuare a coesistere). I fattori che contribuiscono allo stabilirsi di più culture - l’importazione di nuovo personale dall’esterno - l’introduzione di nuove tipologie - le diverse affiliazioni professionali - la pluralità e la diversità delle funzioni organizzative - la molteplicità di vincoli e di confini Le sottoculture È un sottoinsieme di membri di un’organizzazione che interagiscono regolarmente tra loro e si identificano come un gruppo distino all’interno dell’organizzazione, condividono una serie di problemi e agiscono abitualmente sulla base di schemi collettivi. La cultura organizzativa è perciò intesa come un'entità ombra, sostenuta dalle sue sottoculture. Processi sociali che generano le sottoculture organizzative - la segmentazione (come la divisione per funzioni, la specializzazione ecc.) - l’importazione (in seguito a processi espansivi come acquisizioni e fusioni) - l’innovazione tecnologica - la differenziazione ideologica - i movimenti controculturali (membri di varie sottoculture che si uniscono in base a convinzioni ideologiche comuni) - i filtri di carriera (i processi di selezione del personale e le promozioni possono causare separazione) Tipologie di sottoculture Martin e Siehl identificano tre tipi di sottoculture: 1. la sottocultura rafforzativa (dove c’è una fervida adesione ai valori della cultura dominante) 2. la sottocultura ortogonale (dove si accettano in parte i valori della cultura dominante ma che si differenzia in alcuni punti — non conflittuali — da essa) 3. la controcultura Le controculture La controcultura è una sottocultura i cui valori centrali costituiscono una sfida diretta ai valori centrali della cultura dominante. In ogni sottocultura c’è una potenziale situazione conflittuale nascosta; se il conflitto viene attivato, nasce la controcultura. La cultura nazionale di Hofstede Hofstede fece uno studio comparativo sulle differenze culturali di più di 40 nazioni, trovando problematiche comuni a tutte le società e la diversità delle soluzioni che ogni paese propone a seconda della propria cultura. Tali problematiche sono: 1. L’ineguaglianza sociale ovvero la distanza di potere. 13 I quattro approcci alla definizione di clima di Moran e Volkwein Negli ultimi 40 anni sono stati sviluppati diversi modelli teorici nel tentativo di spiegare il modo in cui il clima organizzativo si forma. Moran e Volkwein presentano quindi quattro diversi approcci: - l'approccio strutturale: il clima è una manifestazione oggettiva della cultura organizzativa e si forma perché gli individui sono esposti agli st timoli. Ci sono tendenzialmente 4 aspetti oggettivi a determinare il clima: la dimensione aziendale la centralizzazione dei processi decisionali il numero dei livelli gerarchici o latecnologia impiegata - l'approccio percettivo: il clima dipende dalle persone ed è il prodotto delle elaborazioni percettive dell’interpretazione del contesto da parte dei membri dell’organizzazione. - l'approccio interattivo/interazionista: il clima è un insieme di percezioni soggettive socialmente condivise dai membri dell’organizzazione. La comunicazione è dunque la componente essenziale del clima organizzativo - l’approccio culturale: il clima è il prodotto dell’interpretazione della cultura organizzativa da parte dei membri dell’organizzazione. o 00 Differenze tra clima e cultura organizzativa Poiché il clima è l’insieme degli atteggiamenti dei membri all’interno delle organizzazioni, chiaramente non coincide con la cultura, che invece è l’insieme di credenze e regole all’interno di un’organizzazione; tuttavia, è chiaro che il clima può influenzare molto la cultura di un’organizzazione (e viceversa), tanto da essere spesso l’uno il prodotto dell’altro. Cosa condividono clima e cultura? - Entrambi chiamano in causa la dimensione umana. - Entrambi influenzano e determinano il comportamento. Le differenze tra clima e cultura - La cultura è una caratteris ica intrinseca a un’organizzazione e si sviluppa lentamente nel corso del tempo. Viene definita da Lewin come una funzione di personalità e ambiente (C= f(P, A)). - Il clima invece è meno stabile e più DIFFERENZE TRA I DUE COSTRUTTI mutevole. cima CULTURA - Inoltre, mentre il clima esiste a un » poco resistente al - resistente al cambiamento livello più superficiale, di cambiamento . . È , interpretazione dei valori, la cultura * effimero ed instabile * duratura e stabile . . . n esiste al livello degli assunti di base, * superficiale-vi * profonda-nascosta . Lu (livello conscio) (livello inconscio) ovvero credenze implicite, nascoste, * riferito ad attività + riferita alle norme spesso inconsce dei membri sottostanti , . . * descrittivo * prescrittiva dell’organizzazione. 16 * metodologia quantitativa * metodologia qualitativa Come rilevare il clima La rilevazione del clima può essere fatta seguendo principalmente tre modalità: 1 L’approccio quantitativo: il clima viene studiato attraverso la somministrazione di un questionario ai membri dell’organizzazione. L'approccio qualitativo: il clima viene studiato attraverso la conduzione di interviste che vengono rivolte ai membri dell’organizzazione. Integrazione delle prospettive di ricerca (questionario + interviste). 4 tipologie di clima: il modello De Cock De Cock distingue 4 tipi di clima, definiti da due dimensioni bipolari: flessibilità versus controllo, orientamento all’individuo versus orientamento all’organizzazione. 1 Clima di supporto (flessibilità / individuo): l’organizzazione si focalizza sull’individuo e la flessibilità è diretta all’interno. Si rileva una mancanza di struttura (il pericolo è che l’organizzazione assuma più l’aspetto di un’associazione); la direzione della comunicazione è bottom-up (dal basso all’alto). Clima innovativo (flessibilità / organizzazione): l’organizzazione è focalizzata sugli obiettivi ed è flessibile verso l’esterno. La struttura è a rete; il pericolo di questa organizzazione è che possa degenerare nel caos. Clima volto al rispetto delle regole (controllo / individuo): l’organizzazione è focalizzata sull’individuo e sul controllo del suo comportamento. C°è una forte struttura gerarchica; il pericolo è che le regole e le procedure diventino più importanti della realizzazione stessa degli obiettivi. Clima orientato all’obiettivo (controllo / organizzazione): l’organizzazione è centrata sugli obiettivi e sul controllo dei mezzi per raggiungerli; il pericolo è di essere troppo focalizzato sugli obiettivi e non considerare i segnali che provengono da fattori esterni. Tuttavia, bisogna ricordare che il clima è il risultato delle pratiche quotidiane, ed è quindi dinamico ein costante trasformazione. Clima organizzativo e soddisfazione lavorativa La percezione del clima è separata dalla percezione di soddisfazione lavorativa poiché le percezioni del clima comprendono le valutazioni delle esperienze dei dipendenti nell’organizzazione, mentre la soddisfazione lavorativa comprende le risposte valutative o affettive dell’individuo verso il proprio lavoro. Per identificare maggiormente questa differenza, consideriamo tre punti di analisi: 1. Livello di astrazione: il clima, a differenza della soddisfazione lavorativa, è un insieme di micro-percezioni e macro-percezioni, molto più complesso quindi della soddisfazione stessa. Livello di affettività: nel clima organizzativo abbiamo una percezione descrittiva, mentre nella soddisfazione lavorativa abbiamo una percezione valutativa. Inoltre, il clima rappresenta qualcosa di “altro” rispetto all’individuo, mentre la soddisfazione riflette uno stato interno. 17 3. Livello di analisi: nel caso del clima il livello di analisi è l’organizzazione, mentre nel caso della soddisfazione è l’individuo. Il clima per la salute dell’organizzazione e del lavoratore Il clima come strumento di cambiamento Il clima, in quanto strumento di consapevolezza e di diagnosi organizzativa, può essere un utile strumento di progettazione di cambiamento. Tuttavia, spesso il cambiamento può essere subito e determinare incertezza, ed essere perciò un’arma a doppio taglio nei confronti del clima. La salute dell’organizzazione e del lavoratore È dunque fondamentale per l’organizzazione cercare di conoscere sempre il proprio clima organizzativo, per mantenerlo sempre positivo e il meno possibile negativo (poiché un clima negativo porterebbe a ‘sa coesione e scarsa produttività). Dunque, il clima è un ottimo strumento per migliorare la salute dell’organizzazione e la salute dell’individuo stesso: - Nei confronti dell’organizzazione perché aumenta l'efficacia (la capacità di raggiungere gli obiettivi), l’autonomia e la soddisfazione; - Nei confronti dell’individuo perché aumenta l’adeguatezza, l'ottimismo e il coinvolgimento. Modulo 5-6-7: i gruppi Definizione di gruppo di lavoro I gruppi sono composti da due o più indivdui che: - condividono uno o più obiettivi comuni - interagiscono socialmente - mostrano attività interdipendenti (come flusso di lavoro, obiettivi, risultati) - sono incorporati in un contesto organizzativo che imposta i limiti e veicola il gruppo I gruppi Il gruppo lavorativo è un insieme interdipendente di individui che lavorano in connessione tra loro per conseguire obiettivi comuni, che condividono la responsabilità di specifici risultati verso la loro organizzazione , che è riconosciuto come tale da coloro che operano all’interno e all’esterno del gruppo stesso. Quattro prerogative dei gruppi di lavoro L’interdipendenza delle attività di lavoro e i flussi comunicativi La tecnologia rappresenta ormai il flusso comunicativo più preponderante all’interno dei gruppi di lavoro. Le interazioni tra i membri del team di lavoro sono sostanzialmente influenzati dal flusso strutturale della tecnologia; tutto ciò ha un’influenza sui processi e sull’efficacia del gruppo. Le costrizioni del contesto organizzativo I gruppi sono inseriti in un contesto organizzativo più ampio, e lo stesso gruppo funge da contesto per i membri del team. Quindi, il contesto del gruppo risulta derivante da una duplice inflenza: top- down (dall’alto verso il basso) e bottom-up (dal basso verso l'alto). 18 Abilità cognitive Anche le capacità cognitive ovviamente influenzano l’efficacia del gruppo di lavoro. Se _i componenti del gruppo hanno grandi capacità cognitive, infatti, anche le prestazioni del gruppo sono più alte. I processi di formazione, socializzazione e sviluppo dei gruppi di lavoro La formazione La formazione è il processo con cui si forma un gruppo; può avvenire in due modi: 1. Il gruppo può formarsi da zero, e quindi essere formato solo da nuovi membri 2. Il gruppo può essere già esistente e fondersi con altri gruppi, ed essere così composto da vecchi e nuovi membri. La socializzazione La socializzazione è un aspetto fondamentale dei gruppi di lavoro, in quanto può influenzare moltissimo l’efficienza del gruppo stesso (infatti, se la socializzazione viene a mancare, può minare la cooperazione tra i membri e dunque anche l’efficienza stessa). Il lavoro di socializzazione di gruppo è un processo di influenza reciproca in cui i nuovi arrivati cercano di ridurre l’incertezza per conoscere il contesto lavorativo e di gruppo, mentre i membri cercano di facilitare l’assimilazione delle norme esistenti. Allo stesso tempo, i nuovi membri cercano anche di influenzare il gruppo con le proprie esperienze lavorative pregresse e cercano una mediazione tra le proprie esigenze e quelle del gruppo stesso. Modello di socializzazione di gruppo di Moreland e Levine Questo modello esplora le fasi di vita di un membro all’interno di un gruppo 1. Fase dell’investigazione: un individuo cerca nell’ambiente che lo circonda un gruppo che in qualche modo possa soddisfare i suoi bisogni. 2. Fase della socializzazione: l'individuo trova un gruppo e cerca di entrare nella sua cultura, di socializzare coni membri. 3. Fase di mantenimento: l'individuo e il gruppo cercano il ruolo ideale per il nuovo membro all’interno del gruppo. 4. Fase della risocializzazione: quando ci si trova in condizioni di divergenze, il gruppo e il membro si impegnano a cercare delle strade di mediazione per trovare un equilibrio tra le aspettative di entrambi. 5. Fase del ricordo: quando l’individuo esce dal gruppo: potrà ricordare i momenti positivi che gli ha lasciato quest'esperienza, oppure conservare dei rancori per i torti subiti; e allo stesso modo anche il gruppo potrà ricordare l’ex membro. Lo sviluppo Modello classico di sviluppo di gruppo di Tuckman Diversi modelli descrivono le fasi di sviluppo che i gruppi attraversano durante il loro ciclo vitale. Questi modelli si rifanno tutti al primo modello classico di sviluppo, scritto da Tuckman. Nel modello di Tuckman, lo sviluppo del gruppo si svolge attraverso il seguente processo: 1. Fase della formazione (forming): gli individui vengono riuniti e si forma la squadra, ovvero 21 si dà loro un obiettivo comune. 2. Fase del contrasto (storming): i membri del gruppo non sono ancora uniti, perciò cominciano a scontrarsi per cercare di prevalere l’uno sull’altro e tentando di costruire il gruppo sulle proprie regole. 3. Fase normativa/della tipizzazione (norming): è la fase normativa, quando il team comincia a stabilirsi e si creano norme e valori comuni. Il team comincia a diventare un’unità coesa. 4. Fase della prestazione (performing): Il team è pienamene formato e dunque inizia la fase di produttività. Il limite di questo modello è che ignora il contesto sociale in cui si crea il gruppo, tenendo conto solo della sua “vita interna”. Modello di sviluppo di Gersick Il principio del modello di Gersick è che lo sviluppo del gruppo non è dettato da una progressione lineare (non può essere quindi diviso in fasi come fa invece Tuckman). Piuttosto, è legato all’adempimento di scadenze temporali dettate dall’esterno che regolano l'evoluzione del gruppo. In generale, i gruppi seguono il seguente sviluppo: 1. Un periodo iniziale di inerzia; le prime interazioni stabiliscono norme stabili che modellano le attività di gruppo 2. Una trasformazione significativa verifica come i gruppi riorganizzano la loro focalizzazione sul completamento del compito. Questo modello, di soli due stadi, viene definito modello di equilibrio punteggiato. Anche se il modello di Gersick è spesso considerato come una sfida diretta al modello di Tuckman, alcuni studiosi considerano le due prospettive come complementari. Modello di Morgan Morgan ha elaborato un modello di sviluppo del lavoro di gruppo che integra i modelli di Tuckman e Gersick. Il modello è stato progettato per essere applicato nei gruppi di lavoro che operano in ambienti complessi e in cui il coordinamento è un aspetto centrale dell’efficacia del gruppo. I presupposti del modello sono che: 1. I processi di sviluppo del gruppo cambiano nel corso del tempo. 2. I processi di cambiamento formano dei legami processo-risultato, tali che i risultati intermedi sono utilizzati come input peri successivi proce: 3. I membri del team acquistano una serie di abilità e ciò migliora l’efficacia del team nel tempo. Questo modello presuppone nove stadi: 1. Preformazione Formazione Contrasto Tipizzazione Prestazione I SRO 22 Riformazione (fase di transizione verso un nuovo equilibrio) Pr ne II Conformazione Deformazione LELLA Modello di Kozlowski e colleghi Questo modello presenta tre aspetti chiave: 1. Le dinamiche temporali vengono viste in termini sia di fasi lineari che cicliche. 2. Le transizioni di sviluppo forniscono attenzione sia al contenuto, sia ai processi, sia ai risultati che si presentano. 3. La formazione del gruppo è un fenomeno multilivello emergente. E quattro fasi: 1. Gli individui sono focalizzati sulla risoluzione del loro adattamento nello spazio sociale. 2. Le persone si concentrano sull’acquisizione di conoscenza dei compiti attraverso l’acquisizione di processi di abilità. 3. Si negoziano le relazioni di ruolo e si impostano i processi di routine per guidare le interazioni che regoleranno le mansioni. 4. Il gruppo crea una rete flessibile di interdipendenze di ruolo che consente un miglioramento continuo e adattabilità alle richieste nuove e stimolanti. L’efficacia dei gruppi, i processi e i miglioramenti L'efficacia L'efficacia del gruppo è il principale focus della teoria e della ricerca sui gruppi. I modelli di efficacia del gruppo di lavoro in generale considerano gruppi maturi che hanno completato un formativo processo di sviluppo; perciò, i modelli di efficacia del gruppo di lavoro iniziano dove la maggior parte dei modelli di sviluppo del gruppo terminano. Rispetto ai modelli di sviluppo, i modelli sull’efficacia sono più statici. Il modello di McGrath La maggior parte dei modelli di efficacia dei team sono formulati secondo lo schema IPO di McGrath, ovvero ingressi-processo-conseguenze (inputs-process-outcome): 1. Gli ingressi sono la causa primaria dei processi e rappresentano le varie risorse a disposizione dei gruppi di lavoro 2. I processi rappresentano i meccanismi che inibiscono o facilitano la capacità dei membri del gruppo di unire le loro capacità e il loro comportamento. 3. Le conseguenze rappresentano i criteri per valutare l'efficacia delle azioni di gruppo. Andiamo quindi a vedere nello specifico cosa sono i processi. I processi Distinguiamo tre ordini di processi: - Meccanismi e costrutti cognitivi, che si dividono a loro volta in: o Modelli mentali del gruppo (e coerenza del gruppo) 23 La leadership e la motivazione nei gruppi di lavoro La leadership nei gruppi Il leader ha un ruolo fondamentale nell’efficacia del gruppo. Egli ha due funzioni principali: 1. La funzione di monitoraggio, che riguarda il raccogliere e l’interpretare i dati sulle condizioni di performance e gli eventi che li possono influenzare. Tra le funzioni di monitoraggio ci sono: a. La vigilanza b. La diagnosi delle carenze di gruppo c. La capacità di raccolta dei dati d. La previsione di imminenti modifiche ambientali e. Le informazioni utilizzate nella soluzione dei problemi 2. La funzione di implementazione di azioni: le azioni di un leader possono essere progettate per migliorare l’attuale stato delle cose, per sfruttare le opportunità esistenti o per scongiurare problemi lavorativi imminenti. Le azioni principali possono essere: a. Chiarire la direzione del gruppo b. Rafforzare la struttura del gruppo L’autogestione nei gruppi I gruppi autogestiti hanno una maggiore autonomia e controllo sul proprio lavoro. Inoltre, i membri di tali gruppi sono responsabili di molte funzioni gestionali tradizionali, come: - l'assegnazione dei membri ai vari compiti - la risoluzione all’interno del gruppo di problemi interpersonali - la conduzione di riunioni di gruppo Anche i gruppi autogestiti hanno spesso un leader, che però ha solo lo scopo di permettere il processo di autogestione. Questi gruppi hanno presentato una maggiore produttività, una migliore qualità del lavoro e della qualità della vita lavorativa dei dipendenti e diminuiti livelli di assenteismo; tuttavia, spesso questi gruppi falliscono negli obiettivi. La motivazione nei gruppi La maggior parte della teoria e della ricerca sulla motivazione è stata fatta a livello individuale; abbiamo quindi ben pochi dati sulla motivazione nei contesti dei gruppi di lavoro. Solo nella psicologia sociale, sempre negli studi di motivazione a livello individuale, sono stati estrapolati gli effetti a livello di gruppo. Motivazione e produttività L’ambito in cui viene studiata la motivazione di gruppo è quello della produttività. Sono stati identificate due situazioni: 1. La condi isione sociale: gli individui tendono a esercitare meno fatica (e a essere più motivati) quando i loro sforzi sono combinati piuttosto che meramente individuali 2. La facilitazione sociale: la semplice presenza degli altri aumenta la nostra prestazione (e motivazione) Raccomandazioni pratiche per migliorare la motivazione di gruppo 26 Secondo Sheppard, ci sono tre soluzioni per salvaguardare la perdita di produttività: 1. Fornire incentivi per il lavoro dei singoli membri del gruppo 2. Dare contributi che siano percepibili come indispensabili sociati alla singola mansione Mantenimento e declino dei gruppi Vitalità di gruppo La vitalità di gruppo è la soddisfazione, la partecipazione e la volontà di continuare a lavorare insieme in futuro, da parte dei membri del gruppo. Chiaramente, assieme all’efficacia di gruppo, la vitalità è un’altra prerogativa indispensabile, perché è quella che permette il mantenimento del gruppo nel tempo. Quindi, per essere mantenuto nel tempo, un gruppo dev'essere efficace e vitale nel tempo. Studi sul mantenimento dei gruppi La ricerca sui gruppi suggerisce che ci sono picchi di efficacia tra i 2-3 anni e i 4-5 anni di età del gruppo, con netto calo dopo i 5 anni. Spiegazioni del calo delle prestazioni Ipotesi di Hackman Il gruppo, man mano che progredisce, sviluppa una familiarità sempre maggiore. Questa familiarità, positiva e utile nelle prime fasi di esistenza del gruppo (perché favorisce coordinamento e integrazione dei membri), è deleteria in seguito, perché la mancanza di cambiamento dei membri del gruppo contribuisce all’entropia del gruppo stesso. Ipotesi di Katz Suggerisce che la comunicazione all’interno dei gruppi diminuisce quando questi progrediscono nel tempo. È quindi la caduta della comunicazione la causa principale del declino dei gruppi. Raccomandazioni per aumentare la vitalità di gruppo West e Anderson hanno evidenziato quattro fattori che permetterebbero di fronteggiare il declino del gruppo nel tempo. Questi fattori sono: 1. La visione 2. La sicurezza partecipativa 3. L'orientamento al compito 4. Il supporto per l'innovazione Hackman invece sostiene che, per sopravvivere, ai gruppi dovrebbe essere fornita anche assistenza continua lungo tutto il loro ciclo di vita, attraverso tre modalità: 1. Ai gruppi può essere fornita l’ opportunità di rinegoziare le loro prestazioni 2. Può essere fornito un costante monitoraggio dei processi per promuovere le sinergie di gruppo positive 3. Ai gruppi devono essere fornite le opportunità per apprendere dalle loro esperienze Modulo 8: Lo stress lavoro-correlato 27 La legislazione comunitaria e nazionale sulla sicurezza lavorativa La salute nella storia del lavoro Prima del Novecento la concezione della salute come oggetto di tutela nei confronti dei lavoratori era assolutamente assente; è agli inizi del secolo che ci sono le prime considerazioni. In seguito, essa assume un ruolo sempre più importanti: - negli anni 30-40 si comincia a dare importanza ai rischi di infortunio - negli anni 50-60 c’è un primo interesse verso gli aspetti mentali della salute -_ negli anni 70 inizia la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali - negli anni 80-90 inizia a esserci un approccio sistemico e il concetto di promozione della salute - infine, a fine anni 90 la salute diventa uno stato di benessere psicofisico e nasce ufficialmente una cultura di promozione della salute e della sicurezza Valutazione e gestione del rischio da stress lavoro-correlato Con il decreto legislativo 81/2008 è stato ufficialmente riconosciuto lo stress lavoro-correlato, una condizione di malessere lavorativo. Il decreto nasce per allinearsi ai contenuti dell’ Accordo europeo dell’8 ottobre 2004; questo decreto va a integrare il precedente, ovvero il decreto legislativo 626/1994. Nella medicina del lavoro lo stress lavoro-correlato può essere definito come la percezione di squilibrio avvertita dal lavoratore quando le richieste dell'ambiente lavorativo eccedono le capacità individuali, portando inevitabilmente nel medio-lungo termine ad un vasto spettro di sintomi o disturbi psicosomatici (mal di testa, disturbi gastrointestinali, fino al collasso nervoso). Definizione di “salute” dell'OMS L'organizzazione mondiale della sanità definisce la salute come uno stato di completo benessere sistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità (pertanto, lo stress lavoro-correlato rientra in uno stato che non è di salute). Questa definizione viene trascritta sempre col decreto 81/2008 e serve proprio per tutelare i lavoratori anche nei confronti dei rischi psicosociali. fisico, mentale e sociale, non coi Rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro Parte importante del decreto è il rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro. Bisogna quindi rispettare un criterio per cui dev’esservi una scelta consona nelle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, al fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e ripetitivo, valutandone sempre gli eventuali rischi, anche da stress lavoro-correlato. Le indicazioni per la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato Le linee guida per delle giuste indicazioni per la valutazione del rischio sono: 1. Brevità e semplicità 2. Individuazione di una metodologia applicabile a ogni organizzazione di lavoro 3. Applicazione di tale metodologia a gruppi di lavoratori esposti in maniera omogenea allo stress lavoro-correlato 4. Individuazione di una metodologia di maggiore complessità rispetto alla prima, da utilizzare nel caso in cui non si sia abbattuto il rischio 5. Valorizzazione delle prerogative e delle facoltà dei rappresentanti dei lavoratori per la 28 Alcune tipologie di stimoli possono essere anche fattori di moderazione, oltre che fattori di stress; questi possono essere: - Individuali (personalità, ottimismo ecc.) - Organizzativi (clima psicosociale, sostegno sociale ecc.) Conseguenze (strain) Le conseguenze dello stress possono essere acute o croniche e possono essere: 1. Psicofisiche Disagio psichico e patologie da stress Condotte lavorative Esiti per la vita personale Economiche e organizzative SRO Teorie sullo stress lavorativo Teoria di Hacker Hacker sostiene che le caratteristiche del lavoro che possono indurre stress sono appartenenti a due categorie: 1. Il contesto del lavoro (come rapporti interpersonali sul lavoro, evoluzione della carriera, ruolo nell’ambito dell’organizzazione ecc.) 2. Il contenuto del lavoro (come l’ambiente e le attrezzature di lavoro, l’orario, il carico e il ritmo di lavoro ecc.) Gli errori umani L’errore incide sulla sicurezza delle organizzazioni Secondo Pheasant l'errore umano incide fino al 45% degli incidenti critici nelle centrali elettriche nucleari, fino al 60% degli incidenti aerei, fino all’80% degli incidenti marittimi e il 90% degli incidenti s li. L’identificazione, l’isolamento e la misurazione dell’errore è quindi fondamentale per migliorare stemi organizzativi. l’affidabilità umana nella progettazione dei Definizione di errore umano L'errore umano è stato definito come la carenza/insuccesso da parte di un soggetto nello svolgere un atto prescritto con precisione, riportando danni, disagi o incidenti. Tassonomia (ovvero classificazione) degli errori Gli errori umani sono stati classificati in una varietà di modi, ciascuno derivante da un diverso approccio. La classificazione di Kantowitz e Sorkin 31 Kantowitz e Sorkin dividono gli errori in: - omissioni (operazioni volontariamente non commesse) - esecuzioni (azione non eseguita correttamente) - azioni estranee (azioni selezionate in maniera scorretta) - sequenze errate (azioni operate in ordine errato) - inadempienze temporali (azioni svolte al momento sbagliato) La classificazione di Payne e Altman Payne e Altman propongono tre tipi di errore: - iningresso (sensoriale o input percettivo) - alivello di mediazione (durante l’elaborazione delle informazioni) (output, di risposta) La classificazione di Norman Norman invece classifica gli errori nel modo seguente: - errore in fase di progettazione o intenzione (l’errore è quindi alla base dell’intenzione) - errore nella fase di esecuzione di una sequenza di azioni (l’intenzione quindi è corretta ma l’esecuzione dell’azione viene fatta in modo errato) Tassonomia degli errori di Reason I limiti della razionalità umana Uno degli studiosi più importanti della tassonomia degli errori è Reason. Innanzitutto, egli sostiene che gli errori si vengono a formare a causa dei limiti della nostra razionalità. La nostra razionalità è infatti: - Limitata (la nostra capacità di formulare e risolvere problemi complessi non è nulla se paragonata alla dimensione dei problemi). - Imperfetta (nel ragionamento umano sono presenti numerose scorciatoie — euristiche — ed errori strutturali nei processi di stima, giudizio, scelta e decisione). - Riluttante (abbiamo difficoltà a intraprendere elaborazioni di informazioni complesse e per lunghi periodi di tempo. Riluttanza nella conduzione del ragionamento analitico e un problema dell’attenzione come risorsa scarsa). L’intenzionalità Il modello di Reason considera errori e intenzioni come due concetti inscindibili. La tassonomia degli errori si basa in primo luogo su una distinzione generale tra: - atti non intenzionali, cioè privi di pianificazione da parte degli individui - atti intenzionali, cioè conseguenti una pianificazione dell’agente Comportamenti senza intenzioni Gli atti non intenzionali si dividono a loro volta in: 1. Disattenzioni (slips): errori di esecuzione che si verificano a livello di abilità (errori provocati da azioni che deviano dal loro corso previsto) 2. Dimenticanze (lapses): errori provocati da un fallimento della memoria o dell’attenzione Questi comportamenti, detti anche “non sicuri”, sono normalmente causati da malfunzionamento 32 cognitivo e costituiscono dei fallimenti di esecuzione di un compito. Comportamenti intenzionali I comportamenti intenzionali si dividono anch'essi in due tipologie: 1. Errori (mistakes): errori che si sviluppano durante i proc nascono da un malfunzionamento cognitivo, ma legato appunto al giudizio e all’elaborazione dell’azione (“fallimenti di pianificazione”) 2. Violazioni: errori provocati da un comportamento deliberatamente adottato non congruente a istruzioni, norme e codici. Queste non rappresentano un malfunzionamento cognitivo, ma una deliberata scelta dell’individuo. Hanno perciò un forte legame con il contesto sociale. i di pianificazione; anche questi Distinzione dei mistakes di Rasmussen I mistakes, secondo lo schema di Rasmussen, possono essere a loro volta div - errori riferiti a prestazioni rule based: questi si manifestano principalmente in compiti di problem solving nei quali non vengono applicate le adeguate regole di soluzione (ad esempio, l’errata interpretazione di un segnale di allarme antincendio). - errori riferiti a prestazioni knowledge based: sono dovuti a limiti conoscitivi associati al compito e a circostanze impreviste e non familiari (quindi a conoscenze insufficienti); è un errore tipico di ranghi elevati, dove sono in gioco le capacità interpretative delle persone coinvolte, come ad esempio nel lavoro manageriale o di supervisione. i in: Distinzione delle violazioni di Reason Reason propone un'ulteriore distinzione delle violazioni: - Violazioni di routine: fanno parte del comportamento abituale della persona e si ripetono regolarmente. - Violazioni eccezionali: si manifestano in occasioni particolari a fronte di circostanze specifiche. Le contromisure Gli errori non intenzionali e i mistakes sono il prodotto di deficit mentali perlopiù imprevedibili, essendo limiti del nostro sistema cognitivo. Possono però essere prese delle contromisure per ridurre il potenziale impatto negativo di tali errori. Queste sono proprio delle misure di “protezione” che impediscono all’inaffidabilità umana di generare incidenti, infortuni e catastrofi. La sicurezza sul lavoro Il modello del formaggio svizzero di Reason Modello sistemico di Reason La premessa fondante di questo modello è che gli esseri umani sono fallibili e l’errore dev'essere atteso anche nelle migliori organizzazioni. Dividiamo gli errori in due tipologie: 1. Gli errori attivi: causati dalle prestazioni degli operativi 2. Gli errori latenti: generati a “distanza” dall’organizzazione (inadeguate attrezzature, de sioni manageriali e cultura di sicurezza). 33 spiegare la causa del comportamento proprio e altrui; è un processo che le persone mettono in atto per spiegare gli eventi sociali. al fine di controllarli. prevederli e quindi mettere in atto comportamenti appropriati. Uno stile di attribuzione causale è dunque una modalità di attuare questo processo. Locus of control una concezione molto simile ma riguardante più l'attribuzione di successo personale è quella detta del Locus of control. Nelle scienze psicologiche, “luogo di controllo” indica la modalità con cui un individuo ritiene che gli eventi della sua vita siano prodotti da suoi comportamenti o azioni, oppure da cause esterne indipendenti dalla sua volontà. Ad, esempio, un ottimista dà spiegazioni interne (ovvero di cui si assume la responsabilità), stabili e globali per gli eventi positivi; viceversa dà spiegazioni esterne (ovvero derivanti da fattori esterni di cui non è responsabile), instabili e specifiche per gli eventi negativi. Processi interpersonali positivi I processi interpersonali positivi sono quei processi di scambi interpersonali che si verificano nei contesti organizzativi; per una relazione organizzativa positiva, abbiamo bisogno di: - Una comunicazione sana: è la chiave per sbloccare il sostegno sociale. A livello sociale e interpersonale, la comunicazione diventa malsana quando è difensiva, estrema (violenta) o si rompe completamente (silenzio). Una comunicazione sana è in genere permessa grazie a un corretto locus of control, una buona personalità e una buona intelligenza emotiva (capacità di comprendere le proprie e altrui emozioni). - Il perdono o remissione (forgiveness): il perdono comporta il chiedere scusa quando si ha torto nei confronti di un’altra persona e perdonare sé stessi per ogni manchevolezza. Esso ha una funzione rimarginativa e trasformativa, ed è raramente unidirezionale; è un processo catartico, sebbene le conseguenze dell’alleviamento possono non essere immediatamente evidenti. Nelle organizzazioni questo processo non è molto rilevante tuttavia, a meno che non si siano verificati eventi negativi e non siano stati prodotti danni ad alcuno. - Lo sviluppo fiorente: riguarda lo stato psicologico durante il quale gli individui sperimentano la vitalità e un senso di apprendimento al lavoro. Lo sviluppo fiorente migliora le prestazioni e porta al contagio positivo tra colleghi, superiori e dipendenti; in questo modo la vitalità e il benessere possono diventare “epidemie” nell’organizzazione, a beneficio di tutti. Il benessere delle organizzazioni Salute e benessere Il concetto di salute, come abbiamo già visto, non consiste solo in una componente fisica. E: è anche in relazione con il concetto di “vita sana”, ed è quindi molto di più che una semplice condizione medica. Pertanto, per far sì che gli individui di un’organizzazione siano in salute, è necessario anche che si trovino in una condizione di benessere. Definizione di benessere organizzativo Avallone e Bonaretti hanno definito il benessere organizzativo come l’insieme dei nuclei culturali, dei processi e delle pratiche organizzativa che animano la convivenza nei contesti di lavoro. promuovendo, mantenendo e migliorando la qualità della vita e il grado di benessere fisico. 36 psicologico e sociale delle comunità lavorative. Prerogative per un’organizzazione in salute dal punto di vista del benessere Un’organizzazione può considerarsi in buona salute (dal punto di vista del benessere) se: LIDIA 10. 11. 12. Allestisce un ambiente di lavoro salubre (o: igiene), confortevole e accogliente Pone obiettivi espliciti e chiari ed è coerente tra enunciati e pra a che garantisca le fondamentali regole di si operative Riconosce e _ valorizza le competenze e gli apporti dei dipendenti e stimola nuove potenzi Ascolta le ze (ossia le richieste e le proposte) dei dipendenti, le considera come elementi che contribuiscono al miglioramento dei processi organizzativi Mette a disposizione le informazioni pertinenti al lavoro Adotta tutte le azioni per prevenire gli infortuni e i rischi professionali Stimola un ambiente relazionale franco, comunicativo e collaborativo Assicura scorrevolezza operativa, rapidità di decisione, supporta l’azione verso gli obiettivi (i problemi vengono affrontati con l’intenzione di superarli) Assicura equità di trattamento a livello retributivo, di assegnazione di responsabilità, di promozione del personale Stimola dei dipendenti, il senso di utilità sociale contribuendo a dare senso alla giornata lavorativa dei singoli e al loro sentimento di contribuire ai risultati comuni È aperta all’ambiente esterno e all’innovazione tecnologica e culturale Si tiene conto dei fattori di stress, della conflittualità e si hanno adeguate caratteristiche dei compiti (ovvero adeguato contenuto e carico di lavoro) Gli indicatori di benessere Considerando queste prerogative, si individuano i seguenti indicatori di benessere, rilevabili a livello individuale: LLRIDSDUAILRWON 10. Soddisfazione per l’organizzazione Voglia di impegnarsi per l’organizzazione Sensazione di far parte di un team Voglia di andare a lavoro Elevato coinvolgimento Speranza di poter cambiare le condizioni negative attuali Percezione di successo dell’organizzazione Rapporto tra vita lavorativa e privata (giusto equilibrio tra lavoro e tempo libero) Relazioni interpersonali Valori organizzativi (condivisione dei valori espressi dall’organizzazione) . Immagine del management (fiducia nelle capacità gestionali e professionalità della dirigenza — credibilità — e apprezzamento delle qualità umane e morali della dirigenza — stima) Gli indicatori di malessere L Insofferenza nell’andare al lavoro 3. 4. Disinteresse per il lavoro Desiderio di cambiare lavoro 37 10. Il 12. 13. 14. 15. Alto livello di pettegolezzo Covare risentimento verso l’organizzazione Aggressività inabituale e nervosismo (aggressività anche solo verbale e che si manifesta anche fuori dall’ambito lavorativo) Disturbi psicosomatici Sentimento di inutilità Sentimento di irrilevanza (la persona si sente poco rilevante) . Sentimento di disconoscimento (la persona non sente riconosciuti le proprie capacità e il proprio lavoro) Lentezza nella performance Confusione organizzativa in termini di ruoli, compiti ecc. (il dipendente non ha chiaro “chi fa cosa”) Venir meno della propositività a livello cognitivo (non si assumono iniziative né si ha voglia di incrementare le proprie conoscenze professionali) Aderenza formale alle regole e anaffettività lavorativa (il dipendente si comporta come una macchina quando svolge i propri compiti e si attiene alle regole senza partecipare emotivamente a esse) 38
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