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Riassunto Psicologia e Qualità - Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni, Sintesi del corso di Psicologia del Lavoro

Riassunto Psicologia e Qualità - Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 24/05/2022

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Scarica Riassunto Psicologia e Qualità - Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia del Lavoro solo su Docsity! PSICOLOGIA E QUALITÀ La qualità è stata intesa in senso ingegneristico, soprattutto durante la seconda rivoluzione industriale, come risultato di un processo tecnico derivato da un corretto assetto organizzativo all’interno del quale l’essere umano era utensile insieme ad altri utensili fisici. Con l’affermarsi della visione antropocentrica e con l’approccio ergonomico, questa concezione è andata modificandosi acquisendo significati psicologici. Come sostengono Cameron e Barnett (1996), le differenze tra i diversi significati di qualità dipende essenzialmente dal fatto che non esiste una definizione univoca e onnicomprensiva di tutti gli aspetti della qualità e nemmeno un consenso su come la qualità debba essere misurata e/o resa operativa. Alcuni autori hanno proposto di ordinare i diversi approcci in due macro-gruppi: gli approcci con la q minuscola (little q) sono associati a un concetto di qualità inteso in modo generico come attributo di un prodotto o di un processo; gli approcci con la Q maiuscola (big Q) interpretano la qualità alla luce della cultura organizzativa e del funzionamento globale dell’organizzazione. La prospettiva che si è diffusa più di recente è quella della big Q, ovvero un approccio di tipo olistico, onnicomprensivo, esteso alla componente culturale, ovvero all’identità organizzativa nel senso più profondo del termine. Tuttavia, non si riscontra un’ampia letteratura sugli effetti dei fenomeni culturali sull’adozione di un sistema di qualità e viceversa. Little q Approcci Definizioni Esempi 1. Trascendente La qualità non è né una causa né effetto, ma un’entità indipendente tra i due; Anche se la qualità non può essere definita, si sa che cosa è Eccellenza innata Bellezza senza tempo Attrazione universale 2. Basato sul prodotto La qualità si riferisce all’ammontare di attributi senza prezzo contenuti in ogni attributo valutato Durabilità Attributi desiderati Caratteristiche utili 3. Basato sull’uso La qualità è idoneità all’uso La qualità consiste nella capacità di soddisfare i desideri Clienti soddisfatti Venire incontro ai bisogni Soddisfare le aspettative 4. Basato sulla produzione Qualità significa conformità ai requisiti Affidabilità Rispondenza alle specifiche variazioni entro i limiti di tolleranza 5. Basato sul valore Qualità significa il meglio per le circostanze Prestazioni a prezzi accettabili Valore per i soldi spesi L’eccellenza si può acquistare Big Q o TOM Approcci Definizioni Esempi 1. Basato sul sistema La qualità è un sistema di espedienti per produrre beni o servizi che soddisfano le richieste dei clienti Seguire le procedure accettate della qualità Qualità nei processi Metodo integrato 2. Culturale Qualità significa che la cultura delle organizzazioni è delineata e supporta la costante realizzazione della soddisfazione del cliente attraverso un sistema integrato di strumenti, tecniche e formazione Filosofia manageriale Stile di vita Set mentale L’evoluzione del concetto Nella transizione commerciale di tipo artigianale è sopravvissuta un’antica procedura di comunicazione: l’artigiano rileva i bisogni e le aspettative dell’utente e cerca di garantire un prodotto adeguato, cioè di qualità. Questa modalità è attiva e dominante fino all’epoca industriale, quando quantità e qualità diventano due momenti distinti, separati e spesso in rotta di collisione: la quantità è obiettivo della produzione; la qualità spetta a chi deve valutare, ed eventualmente scartare, ciò che non è riuscito bene. Ai primi del Novecento, il panorama industriale è caratterizzato da espansione della domanda e si verifica uno spostamento delle verifiche di qualità da fasi terminali del ciclo di produzione a fasi sempre più anticipate, fino a diventare un fattore aziendale strategico. L’approccio manifatturiero inizialmente era molto centrato sul prodotto e sulla sua conformità a specifiche tecniche ritenute idonee, ma quando agli inizi del Novecento la produzione industriale si allarga e diviene produzione di massa, la competizione commerciale crea le premesse per un progressivo aumento qualitativo dei prodotti, sempre più orientato alle esigenze del consumatore. La qualità, aristotelicamente intesa, è il modo in cui una cosa è, il complesso di caratteristiche di un oggetto, l’insieme delle sue proprietà intrinseche ed estrinseche. Tuttavia, il significato nell’uso comune è venuto ormai assumendo connotazioni valutative positive. Gli psicologi di formazione aristotelica collocano la qualità dentro l’oggetto: questa è la posizione derivata da una visione oggettivistica. Coloro che invece ritengono che le qualità siano il prodotto di elaborazioni mentali collocano tali proprietà fuori dagli oggetti percepiti: per esempio la rosa è profumata solo quando, e nella misura in cui, il soggetto è in grado di percepirne l’odore. Queste posizioni così antitetiche sono state superate da evidenze sperimentale e ci si rifà alla concezione di Favretto secondo cui la qualità è quell’area di interazione tra soggetto, con i suoi bisogni e le sue aspettative, e l’oggetto, con le sue caratteristiche intrinseche ed estrinseche. Un grosso passo in avanti nel definire il fenomeno qualità è rappresentato dalla nuova prospettiva di studio che sposta l’attenzione dalle caratteristiche del prodotto alle necessità, ai bisogni, alle richieste esplicite- implicite del cliente. In particolare, questo punto di vista è espresso nella concettualizzazione di Juran (1989) come idoneità all’uso di un prodotto o di un servizio, atto appunto a soddisfare le richieste dell’utente-cliente. La qualità, pertanto, si sposta dalla dimensione manifatturiera di conformità alle specifiche alla funzione di conformità, cioè disponibilità e di servizio per il cliente. Fasi dell’evoluzione 1. Tentativo di superamento della qualità negativa connessa ai limiti, ai difetti, alle non-conformità del prodotto o del processo tecnico che tende al raggiungimento della “difettosità zero”. Non si distinguono gli aspetti di convenienza produttiva da quelli tesi alla ricerca della soddisfazione del cliente. 2. Allargamento del concetto verso il significato di qualità positiva: diventano importanti le aspettative misurate o supposte dell’ipotetico cliente. Ciò elicita la prospettiva del miglioramento continuo e quindi la necessità di incessanti aggiornamenti e revisioni. La qualità ha progressivamente assunto diversi significati per le aziende: dagli anni ’50 fino ai primi anni ’80, fare qualità rappresentava un costo significativo che portava benefici, soprattutto in contesti organizzativi complessi ove erano più frequenti le inefficienze generate dalla veloce crescita e dal rapido sviluppo tecnico. Oggi, più modernamente, l’idea competitiva associata alla qualità è progressivamente mutata verso il significato di investimento e profitto stabile nel tempo. La qualità del prodotto. È la conformità che esso presenta a norme specifiche di fabbricazione. “Il valore effettivo di qualità è giudicato in base a quanto esso si avvicina alla qualità della progettazione”. La qualità dell’organizzazione. È un livello di consapevolezza elevato dei fenomeni inter-aziendali e intra- aziendali, in grado di recepire positivamente le strategie elaborate dal management e di finalizzare i propri atteggiamenti e comportamenti al raggiungimento di obiettivi di qualità. In questa prospettiva di conoscenza/competenza socializzata e condivisa, il controllo inteso come ispezione finale del prodotto diviene superfluo, poiché la qualità è in nuce già nel progetto. Viene così rivoluzionata la vecchia logica del controllo. Se qualità di prodotto è qualità dell’organizzazione e qualità organizzativa è derivata dal benessere nell’organizzazione e dell’organizzazione, non si può ottenere uno sviluppo armonico quando alla base della risorsa umana aziendalmente intesa compaiono elementi instabili. La qualità come soddisfazione del cliente. La qualità determinata, normata, certificata in azienda non necessariamente soddisfa le esigenze del cliente per cui bisogna individuare quegli elementi che determinano la soddisfazione di chi usa un prodotto. Vengono puntualizzate due variabili importanti: insoddisfazione intesa come qualità negativa, per presenza di difetti; soddisfazione intesa come qualità positiva, per assenza di difetti ma anche per presenza di requisiti superiori alle aspettative. Le organizzazioni di successo sono quelle che tentano di ridurre a zero la probabilità di difetti del prodotto e sono in grado di attrarre il cliente con una lettura accurata dei suoi bisogni inespressi: questo plus costituisce la qualità latente. pertanto verso questo obiettivo, ad esempio attraverso la ricerca delle informazioni sui bisogni dei clienti, e le tecniche saranno prevalentemente metodi che trasformano queste informazioni in specifici prodotti o servizi. Il principio di miglioramento continuo ha come presupposto di base un’idea di organizzazione come sistema di processi tra loro interrelati: è migliorando tali processi che le organizzazioni possono incontrare le aspettative dei loro clienti. Le pratiche, quindi, si concentreranno sull’analisi dei processi, mentre le tecniche associate a questo principio comprenderanno i controlli statistici e i flow charts. Il principio del gruppo di lavoro presuppone invece che tutti i membri, indipendentemente dal ruolo rivestito, possono dare il loro contributo al successo dell’impresa: le pratiche comprendono la formazione e costituzione di gruppi di problem-solving mentre le tecniche sono mutuate dai team building. Philip B. Crosby Uno dei più famosi creatori di slogan per la qualità, il quale sostiene che la qualità è gratis e che essa comincia con le persone e non con le cose: egli crede nell’innato bisogno di chi lavora di svolgere bene il proprio lavoro. Armand V. Feigenbaum È il padre fondatore del Total Quality Control. Secondo l’autore la qualità è determinata dal cliente, non dalla progettazione, né dal marketing, né dal management: la qualità è soddisfare le attese del consumatore. Joseph M. Juran Ha il merito di aver diffuso tra i giapponesi il management della qualità. Grande rilievo viene dato al top management che deve promuovere una vera e propria trasformazione della qualità. William E. Deming Ha introdotto la cultura statistica nell’organizzazione della qualità. Afferma che il 94% dei problemi della qualità dipende dal top management in quanto responsabile del sistema organizzativo. Masaaki Imai Sostenitore ed estensore del Kaizen, i quali principi fondamentali sono la perfettibilità continua, sperimentazione del cambiamento, fare collaborativo e cultura condivisa. Modo di pensare orientato al miglioramento continuo per piccoli passi e al processo. Kaoru Ishikawa “Quality first”: il profitto non può precedere le considerazioni sulla qualità. Management incentrato sulle risorse umane. Giovanni Mattana La qualità è un fattore strategico per l’azienda, infatti deve rientrare nel vertice dei suoi interessi; la qualità ricopre la funzione di integratore delle varie funzioni e insieme stimolatore di attività di diagnosi delle carenze e di incentivazione al miglioramento. CAPITOLO 2 La qualità totale L’aspetto totalizzante dell’agire organizzativo e i richiami al fondamentale ruolo delle risorse umane nel perseguimento di obiettivi di qualità possono essere fatti risalire al filone scientifico-culturale che muove dalle human resources come esigenza di prendere distanze dal taylorismo. Il dipendente è il cliente interno dell’organizzazione, non solo collaboratore consultato ma esso stesso agente di cambiamento e di miglioramento continuo. La qualità, in quanto valore comunicato e interiorizzato, diviene codice interno e strategia operativa. Infatti, Merli afferma che nessuno può migliorare i processi esistenti meglio di colui che li espleta effettivamente cioè il personale operativo. Questi processi sono contenuti anche nel Kaizen, la strategia giapponese del miglioramento continuo, il quale esprime l’adesione di tutta l’organizzazione a una logica di comportamento tesa al cambiamento incrementale e costante, orientato al breve e medio termine e centrato sui piccoli processi e sui dettagli. Il Kaizen si contrappone al Kayro, cioè al grande miglioramento imposto dalla direzione, più discontinuo e radicale, che richiede investimenti rilevanti ma non necessariamente riesce a potenziare la creatività e la motivazione del personale. Tra il Kaizen e il Kayro un ruolo importante gioca l’innovazione - Kakushin - che, nella filosofia giapponese è graduale e integrata con un processo di miglioramento costante, a differenza di quanto avviene nel mondo occidentale dove spesso l’innovazione è sinonimo di drastici cambiamenti – Breakthrough. Citiamo Bagdadli in merito a due sue affermazioni importanti, quella con cui siamo concordi (nota positiva) e quella da cui ci dissociamo (nota negativa): Nota positiva La qualità totale ha il merito di aver riallineato teoria e pratica, di aver proposto alle aziende sfide reali e non ideologiche, di avere interiorizzato la teoria costruendovi sopra un sistema coerente all’interno e all’esterno. Nota negativa La qualità totale eredita dallo scientific management il rigore metodologico e scientifico. Circoli di qualità. Un piccolo gruppo costituito allo scopo di portare avanti attività per il controllo di qualità in forma volontaria all’interno del medesimo luogo di lavoro (Ishikawa, 1985). I circoli di qualità sono stati introdotti nei primi anni Sessanta in Giappone come strumento innovativo per il coinvolgimento, la partecipazione diretta e attiva dei dipendenti e la diffusione dei principi della qualità a tutti i livelli di organizzazione (contrario del taylorismo nella quale non vi era nessuno spazio per la soggettività, la gruppalità, l’informalità, la cultura bottom-up, la socialità). Nel Total Quality Management la dinamica di gruppo o dei gruppi, la comunicazione trasversale e la soggettività sono agenti di auto strutturazione organizzativa e di apprendimento culturale. Le dinamiche intersoggettive e intra-soggettive non devono essere trascurate. Sinteticamente potremmo affermare che la qualità dipende dalla qualità dell’organizzazione che è anche qualità delle relazioni interne dell’organizzazione, determinata dalla valorizzazione delle soggettività e delle unicità. Il clima organizzativo nella qualità All’interno dell’organizzazione possono esistere microclimi conflittuali, competitivi ecc. L’efficienza di una realtà organizzativa è frutto tanto dei climi quanto delle strutture, tanto degli aspetti soft quanto di quelli hard. Il clima può essere inteso come un fenomeno esclusivamente percettivo e quindi presente solo nella mente degli individui o come una caratteristica reale delle organizzazioni ovvero come il prodotto dell’ambiente in cui le persone interagiscono. - Una prima distinzione è quella proposta da JAMES E JONES, i quali osservano che la struttura di un’organizzazione è l’azione combinata del sistema delle relazioni, delle procedure decisionali, dei modelli di comunicazione, delle norme o regole di comportamento, dei sistemi di valutazione dei risultati e dei sistemi di ricompensa. È il funzionamento della struttura organizzativa a creare quell’ambiente emozionale che può essere chiamato clima. Il clima organizzativo deve essere differenziato dal clima psicologico. Il clima organizzativo si riferisce ad attributi organizzativi e ai loro effetti principali mentre il clima psicologico si riferisce alla percezione del clima organizzativo da parte degli individui. - Secondo SCHNEIDER il concetto di clima va riferito alle percezioni molari che le persone hanno del loro ambiente di lavoro. Tali percezioni hanno un’entità psicologica in quanto sono basate su eventi esistenti o dedotti, su pratiche e procedure proprie della vita quotidiana di un sistema e fungono da metro di giudizio di adeguatezza del proprio comportamento rispetto alle pratiche e procedure del sistema stesso. - FOREHAND E GILMER propongono un modello che individua, come elementi costituitivi e causali del clima, le caratteristiche di ruolo dei soggetti e, più in generale, le loro caratteristiche di personalità, i valori condivisi e le qualità personali. Il clima è inteso come insieme di qualità durature che descrivono un’organizzazione: tali qualità sono distintive, relativamente prolungate nel tempo e, soprattutto, influenzano il comportamento degli individui che in essa operano. Possiamo distinguere, inoltre, chi inserisce il concetto di clima all’interno di quello di cultura organizzativa e chi, invece, li distingue. - Secondo EKVALL il clima è un attributo dell’organizzazione che esiste a prescindere dalla percezione e comprensione dei membri dell’organizzazione stessa. - Secondo LITWIN E STRINGER il clima è un insieme o un aggregato di aspettative e di incentivi e anche un costrutto molare che consente l’analisi delle determinanti dei comportamenti motivati in complesse ed effettive situazioni sociali. Il metodo di indagine lewiniano permette agli autori di sostenere la costituzione di differenti climi organizzativi a seconda degli stili di leadership. - TAGIURI E LITWIN definiscono clima organizzativo “una qualità relativamente duratura dell’ambiente interno di un’organizzazione, che: 1. È sperimentata dai suoi membri 2. Influenza il loro comportamento 3. Può essere descritta in termini di valori di una particolare serie di caratteristiche e attributi dell’organizzazione.” - Secondo CAMPBELL E BEATY (1971) il clima è specificato da una gamma di attributi caratteristici di un'organizzazione. Tali attributi possono essere determinati dal modo in cui essa si occupa dei suoi membri e dell’ambiente. - DE VITO PISCICELLI (1991) sottolinea che per gli individui membri di un’organizzazione, il clima è la percezione di una serie di attitudini e aspettative, che descrive l’organizzazione in termini sia di caratteristiche statiche, sia delle conseguenze ambientali, sia dei risultati contingenti. Si possono, quindi, identificare diverse dimensioni di clima, basate su diverse variabili quali autonomia individuale, struttura basata sulle posizioni (relazione tra superiori e subordinati, modo in cui i leader comunicano), grado di considerazione (cordialità e tolleranza), capacità di ricompensa (prospettive di carriera, soddisfazione generale). In quest'ottica il clima è visto come un processo psicologico determinato dalla situazione in cui le variabili organizzative sono considerate o come fattori casuali o come fattori che influenzano le prestazioni e gli atteggiamenti. - Spaltro (2001) ritiene che le variabili di clima possano essere infinite per questo occorre operare una distinzione tra il tipo di variabili che il clima può rappresentare: una variabile dipendente, effetto di atteggiamenti e comportamenti, una variabile indipendente, causa di atteggiamenti e comportamenti, e una variabile interveniente, mediazione tra comportamento individuale e organizzativo. Un’altra importante distinzione, condivisa da numerosi autori, sottolinea la diversità tra variabili organizzative e variabili individuali: - Le variabili organizzative riguardano i processi decisionali, la struttura, il sistema di ricompense, la chiarezza delle politiche e delle promozioni ecc. - Le variabili individuali sono l’apertura alle relazioni, l’assunzione di rischio, l’identità, l’immagine dell’organizzazione ecc. In sintesi, il clima può essere inteso in senso ampio, comprendendo nel concetto tutti gli aspetti organizzativi, o in senso più ristretto riservandolo solo ad alcuni aspetti, come secondo Quaglino, Cortese e Ronco (1995) che definiscono il clima organizzativo una valutazione della qualità delle relazioni interne. L'aspetto del clima nelle organizzazioni orientate alla qualità è rilevante poiché non è possibile operare un cambiamento senza una corretta e ripetuta analisi di clima. La cultura organizzativa nella qualità La cultura della qualità è una proposta per un cambiamento a livello degli artefatti visibili ma soprattutto degli assunti di base: essa richiede una diversa concezione dell'organizzazione in grado non solo di far fronte e reagire alle novità ma soprattutto di anticiparle. La cultura organizzativa è per SCHEIN (1985) "un insieme di assunti di base inventati e sviluppati da un gruppo determinato quando impara ad affrontare i propri problemi di adattamento con il mondo esterno e di integrazione al suo interno a quanti entrano nell'organizzazione, come il modo corretto di percepire quei problemi". La cultura nasce, si sviluppa e cambia nell'organizzazione. Per sottolineare la radicalità con cui la cultura diventa patrimonio dell'organizzazione possiamo dire che essa è una variabile hard, che possiede tre caratteristiche fondamentali: la profondità, l'ampiezza e la stabilità. La profondità è l'elemento distintivo della cultura. Può essere descritta attraverso le manifestazioni visibili (tecnologia, architettura, modelli di comportamento) ma può essere spiegata solo a livello di valori e assunti di base. La profondità della cultura si esprime nel controllo diretto sul comportamento organizzativo che avviene a tre livelli: 1. Livello delle espressioni visibili degli artefatti, che rappresentano il livello più manifesto e superficiale. 2. Livello dei valori, cioè le spiegazioni consapevoli dell’agire delle persone e dei motivi dei loro comportamenti. 3. Livello degli assunti di base, cioè quei valori accettati che hanno originato risposte positive e sono diventati scontati perché interiorizzati. Gli assunti di base rappresentano la parte sostanziale della cultura. L’ampiezza è un aspetto della cultura che riguarda i suoi confini. È possibile che organizzazioni nuove di piccole dimensioni formino una cultura omogenea e che la cultura coincida con l'organizzazione stessa, ma è anche possibile che organizzazioni complesse generino al loro interno diverse sottoculture, derivate da una cultura madre più grande, oppure si configurino come culture autonome. Le sottoculture possono essere: - Il sistema per la circolazione delle informazioni è quello che promuove reti di relazioni che assicurano scambio continuo ed efficace della conoscenza del sapere. La scelta del canale comunicativo definisce la qualità di un progetto teso alla pianificazione della comunicazione organizzativa. A seconda di come il messaggio viene trasferito il significato può cambiare e ogni volta che l'informazione giunge a destinazione può avere significati diversi: le comunicazioni formali si caratterizzano per rigidità, precisione e autorevolezza; le comunicazioni informali per elasticità, libertà di codici/canali e relatività. In un sistema di qualità la comunicazione diretta è preferibile. Quanto più completa è la comunicazione all'interno di un'organizzazione, tanto più facile è raggiungere alti livelli di efficienza. In alcune organizzazioni è prevista una figura ad hoc a cui viene attribuita la responsabilità della gestione della comunicazione interna. La pianificazione della comunicazione interna Una corretta pianificazione della comunicazione interna consente di modificare comportamenti nei confronti della qualità e rende possibile l'accettazione del cambiamento. La diagnosi della situazione esistente nell’organizzazione consiste nel raccogliere le informazioni per formulare una strategia efficace di comunicazione. La leadership dovrebbe concordare un piano strategico di comunicazione con tutto il management, coerente con gli obiettivi organizzativi, flessibile e non ridursi alla mera applicazione di strumenti informativi. Secondo NELLI (1994), gli strumenti della comunicazione possono essere classificati in base ad alcuni criteri: 1. In base alla loro natura. Strumenti organizzativi (organigrammi, regolamenti, manuali di procedure ecc.), informativi (house organ, newsletter, bacheche, riunioni ecc.), formativi (corsi, seminari), strutture fisiche e operative (disposizione degli ambienti di lavoro, architettura e arredamento); Strumenti di socializzazione (gite, ritrovi, celebrazioni, open day). 2. In base alle caratteristiche tecniche degli strumenti: strumenti di comunicazione diretta in micro e macro- gruppo (colloqui individuali, incontri, riunioni ecc.); strumenti cartacei (circolari, manuali ecc.); strumenti informatici (newsletter ecc.); strumenti audiovisivi e tecnologici (filmati, diapositive ecc.); strumenti iconici; 3. In base agli obiettivi di comunicazione interna: strumenti di informazione organizzativa e direzionale; strumenti di coinvolgimento e motivazione; strumenti per la realizzazione personale ecc. 4. In base all’analisi dei bisogni: strumenti per la soddisfazione dei bisogni di sicurezza e sociali (retribuzioni, benefit) ecc. La combinazione più appropriata di strumenti da attivare in un sistema di qualità è in funzione degli obiettivi da perseguire, del contenuto da trasmettere, della coerenza con l'intero sistema. Infine, è necessario un feedback sull'utilità degli strumenti usati, attraverso un contatto con i responsabili di settore e un monitoraggio continuo della situazione aziendale interna ed esterna. Attraverso un piano adeguato di comunicazione interna è possibile: veicolare la cultura; modulare il clima; implementare la motivazione; ridurre occasioni di conflitto; migliorare identità; ridurre ambiguità di ruolo; favorire conoscenza; diffondere la visione aziendale; orientare alla missione aziendale. La comunicazione, tuttavia, non può essere limitata ad un insieme di tecniche più o meno efficaci e diversamente applicabili nell'organizzazione, quello che fa la differenza è la qualità delle risorse umane che le esercitano e le esperiscono. La formazione della qualità La formazione non può essere ridotta a mero trasferimento di strumenti operativi, ma deve essere essa stessa una formazione di qualità per realizzare qualità totale. L'aspetto quantitativo non è determinante: fare tanta formazione non equivale per forza a fare buona formazione. L'impostazione deve essere orientata al cliente dell'azione formativa, personalizzata, ritagliata a misura delle specifiche necessità del soggetto, al fine di far emergere le componenti culturali e organizzative atte a sviluppare qualità. É, pertanto, un divenire psicopedagogico che contribuisce a creare learning organization, apprendimento continuo per l'organizzazione, nell'organizzazione, con i soggetti dell'organizzazione. La learning organization è l'organizzazione che apprende, che sviluppa professionalità e che è proiettata naturalmente al miglioramento. Un'organizzazione che si autoalimenta nello scambio, nella pluridirezionalità con l'obiettivo di acquisire nuove competenze. È molto importante formare i dipendenti a non essere semplici esecutori ma soggetti in grado di sapere, saper fare, saper essere. Essere di qualità prima ancora di fare qualità. Sanare situazioni storiche è prerequisito per avviare azioni di formazioni alla e per la qualità. La valutazione della formazione La valutazione è un momento conoscitivo di autoregolamentazione per prevedere correttivi in via di realizzazione di un progetto. FRACCAROLI e VERGANI (2004) forniscono un dettagliato elenco di sapere indispensabile per fare una buona ricerca valutativa: saper individuare obiettivi e criteri di valutazione; saper scegliere l’approccio più adeguato (qualitativo-quantitativo); saper analizzare i dati; saper sintetizzare i risultati; saper scegliere gli strumenti adatti ecc. L'essenza della valutazione della formazione consiste nel misurare la qualità e la quantità della coerenza delle procedure di apprendimento, previste per il raggiungimento di un obiettivo definito, con le caratteristiche psico-socio-biologiche di gruppi o di individui posti in condizioni di apprendimento. L'ipotesi, la progettazione e l'intervento formativo costituiscono un trittico fondamentale al quale si aggiunge un quarto, che consiste nelle ricadute che l'azione formativa ha sul contesto d'origine. La valutazione deve essere prevista nel processo fin dall'inizio, in tal modo il percorso è scandito da momenti di feedback auto correttivi che evitano situazioni del tipo "prima-dopo". Per ragioni di coerenza interna al modello qualità, la valutazione della qualità della formazione finalizzata al TQM è in centrata sugli effetti. Questo modello valutativo risale nella prima versione a KIRKPATRICK (1959). Si tratta di quantificare le ricadute di un intervento formativo che, in fase ipotetica, prevedeva il raggiungimento di obiettivi riconosciuti, certi, concordati. Nella prima formulazione Kirkpatrick individua quattro ambiti entro i quali misurare gli effetti dell'attività formativa: 1. le reazioni, valutabili in base alle risposte dei soggetti quali soddisfazione, gradimento, ecc. rispetto all’esperienza formativa; 2. l'apprendimento che si valuta in base alle conoscenze acquisite; 3. i comportamenti ovvero gli effettivi cambiamenti comportamentali 4. i risultati, nella quale si opera una distinzione tra risultati organizzativi (qualità e quantità del prodotto) e quelli economico-gestionali (profitti-perdite). Questa impostazione valutativa risente di un'impronta meccanicistica meno attenta alla rilevazione delle componenti organiche (aspetti sociali e psicologici della vita organizzativa). Come si insegna la qualità? E chi la insegna? Il leader non solo è creatore di vision e professionista di mission, ma decide i piani di formazione che verranno attuati. Il formatore leader non può essere solo un traduttore di norme, ma è l'esperto in quello che QUAGLINO chiama l'apprendimento di modalità di apprendimento. Solo così si giunge allo sviluppo di meta-qualità ovvero di focalizzazione dell'azione dell'esperto nella direzione di un trasferimento all’utente del controllo dei processi che governano l’apprendere, dunque, una crescita globale del soggetto, che si impadronisce della materia. Questa impronta rinvia ai principi di fondo dell'action training e del self development. Il contributo che la psicologia può dare è quello di reinventare (non insegnare), culture organizzative antropocentriche poiché sono in tal modo si realizza qualità, con la consapevolezza che l'ottimizzazione delle risorse è un principio antitetico a quello della qualità. Il cambiamento e l'innovazione, processi ricompresi nell'idea di qualità, non avvengono per caso e sono strettamente connessi alla formazione. La leadership nella qualità KOTTER (1999) afferma che "la leadership e il management sono due modalità d'agire distinte e complementari, ciascuna connotata di attività e funzioni proprie. Entrambe sono necessarie per avere successo in un contesto di mercato sempre più complesso e incerto". La leadership completa il management, non lo sostituisce; il management si misura con la complessità mentre la leadership con il cambiamento. La qualità della leadership risulta determinante nei contesti in cui è più spinta la necessità di cambiamento rispetto a situazioni che sono già orientate alla qualità. Gli studiosi della qualità totale sostengono che la funzione del leader è centrale nell'affermazione dei principi della qualità. Solo una leadership di qualità può fare qualità. Non tutti i manager sono leader e non sempre i leader sono bravi manager. SCHEIN (1985) insegna che leadership e cultura organizzativa sono strettamente interdipendenti: per carisma o per metodo comunicazionale il leader trasmette i valori di base in modo consapevole o inconsapevole: i leader non possono scegliere se comunicare o meno, possono soltanto scegliere il modo in cui gestire quello che comunicano. Gli studi hanno evidenziato due propensioni di base del comportamento del leader: una orientata al compito (production-oriented), l'altra orientata alle persone (employee-oriented). In particolare, BLAKE e MOUTON (1964) individuano sugli assi cartesiani nove gradi di interesse per ognuno dei due orientamenti, ottenendo così una griglia (grid) nella quale sono rappresentati tutti i possibili stili di leadership. Gli autori sostengono che i risultati migliori si ottengono da un leader capace di conciliare entrambi gli orientamenti. SCHEIN (1985) indica quali sono le competenze necessarie per traghettare una situazione culturale verso la nuova cultura: 1. Percezione e sensibilità, saper diagnosticare i punti deboli e le incoerenze del vecchio modello; 2. Motivazione, saper condurre il gruppo verso un radicale cambiamento attraverso metodi di comunicazione interpersonale e gruppale adeguati; 3. Forza emotiva, saper contenere l’ansia e l’insicurezza del nuovo e infondere sicurezza nelle prospettive future; 4. Capacità di cambiare gli assunti culturali, saper guidare le persone verso una ristrutturazione cognitiva della situazione contingente; 5. Creazione di coinvolgimento, saper coinvolgere il gruppo facendolo partecipare al processo decisionale; 6. Profondità di visione, saper percepire i fattori culturali interni, ma anche esterni all’organizzazione per renderla adeguata alla competizione; Non a caso, ai fini della certificazione di qualità, si richiede all'azienda di specificare come i comportamenti dei responsabili siano ispirati ai principi culturali della qualità totale e come a loro volta da essi siano ispirati. A questa valutazione non sfugge l'adeguatezza o meno della leadership al modello TQM, sia nelle manifestazioni estrinseche (ad esempio comunicazioni verbali) sia in quelle intrinseche (atteggiamenti, motivazioni, orientamenti culturali). Nella concezione innatista (Galton, 1869), secondo la quale "leader si nasce", e nelle teorie dei tratti che si sono affermate nella prima metà del Novecento, la leadership era ritenuta la risultante delle qualità che un soggetto speciale possedeva. Diverso è l'approccio dei modelli di contingenza che introducono variabili situazionali. Ad esempio, Il modello di decisione normativa di VROOM e YETTON (1973) indica una procedura per preparare i leader a prendere decisioni in base al reale grado di partecipazione dei membri del gruppo e alla rilevanza delle decisioni stesse. Non esistendo uno stile di leadership valido per tutte le situazioni, è necessario scegliere quello più adeguato rispetto alle condizioni del contesto. La qualità delle decisioni è derivata dal grado di accettazione e di supporto alle decisioni da parte dei collaboratori, nonché al tempo richiesto per prenderle. La teoria del raggiungimento degli obiettivi (Path Goal Theory) di House e Mitchell (1974) e House e Dessler (1974) parte da uno studio di Evans (1974) in cui si metteva in evidenza la distanza del leader dai collaboratori in relazione alla vision, agli obiettivi e alle strategie per raggiungerli. House e Mitchell (1974), in particolare, stigmatizzano come il comportamento di un leader sia accettato dai collaboratori quando percepiscono di poter trovare soddisfazione immediata alle loro aspettative. La teoria della leadership situazionale di HERSEY e BLANCHARD (1982) deriva dalla combinazione a matrice del comportamento supportivo (orientato alle relazioni) e di quello direttivo (orientato alla produzione). Da tale combinazione derivano quattro stili: 1. Telling: il leader dà molti ordini, decide molto, delega poco e fornisce poco sostegno emotivo. 2. Selling: il leader fornisce molto sostegno e agevola la consultazione. 3. Partecipative: il leader assegna grande importanza ai rapporti interpersonali, è poco direttivo nei confronti dell’operatività dei collaboratori. 4. Delegative: il leader fa ampio uso della delega e cura poco le relazioni interpersonali. Lo stile di leadership da adottare è quello che si rapporta meglio al livello di maturità delle componenti sociali dell'organizzazione e del gruppo. La maturità viene collocata in un continuum suddiviso in quattro livelli: 1. maturità bassa, il collaboratore ha scarse capacità; 2. maturità medio-bassa, il collaboratore ha capacità scarse ma buona disponibilità; 3. maturità medio-alta, il collaboratore è capace ma la disponibilità non è costante; 4. maturità alta, il collaboratore è capace e disponibile. Un leader di qualità, orientato a fare qualità, deve essere in grado di superare le resistenze al cambiamento proprie e dei suoi collaboratori per adeguarsi costantemente alla variabile contestuale. I modelli transazionali di leadership sono incentrati sul processo relazionale tra leader e collaboratori: se da un lato il leader riconosce ai collaboratori un ruolo attivo, dall’altro i collaboratori ricambiano la responsabilità conferita loro dal leader. Il leader trasformazionale è colui che risponde alle aspettative del gruppo, stabilendo relazioni causa-effetto, in funzione degli obiettivi da perseguire. La leadership trasformazionale si caratterizza per una forte identificazione dei collaboratori con il leader e una condivisione profonda della Effetti del lavoro organizzato La riflessione sul benessere spinge ad interrogarsi sui fattori del malessere in ambito lavorativo. Con il contributo delle teorie organizzative, della psicologia del lavoro e dell’ergonomia è possibile sviluppare una riflessione con l’intento di rendere esplicita la relazione tra lavoro, organizzazione, benessere e malessere. Un primo aspetto è la relazione tra individuo e organizzazione espressa in termini di rinuncia o perdita di autonomia decisionale. Un secondo aspetto riguarda la capacità di adattamento degli individui al lavoro e al processo organizzativo. Entrambi i casi forniscono spunti per comprendere il peso che le scelte organizzative hanno sul benessere/malessere. La rivoluzione industriale ha spinto ogni lavoratore a circoscrivere il suo settore operativo, costringendolo a nuove rinunce. I tempi di lavoro sono predefiniti, le decisioni sul come, quanto e quando lavorare si concentrano in funzioni specifiche dell'organizzazione, relegando il lavoratore ad applicatore della norma. L'organizzazione costringe a rinunciare all'autonomia decisionale in cambio di benessere, inteso come possibilità di acquisire maggiori alternative nei consumi (accezione meramente economica). La Human Factors Society (HFS) ha analizzato i mutamenti del lavoro significativi sotto il profilo ergonomico. I risultati più interessanti riguardano: 1. Le innovazioni: l'evoluzione tecnologica ha visto una considerevole accelerazione del cambiamento nei modi di lavorare; 2. L'invecchiamento: progressivo invecchiamento della popolazione lavorativa; 3. La femminilizzazione: ambienti di lavoro sempre più popolati da manodopera femminile con una tendenza positiva e progressiva; 4. Il cambiamento dei valori: i lavoratori manifestano nuove esigenze, bisogni di responsabilità, meno depersonalizzazione, più partecipazione. La minaccia al benessere prodotta da questi eventi aumenta se l'organizzazione non è in grado di fronteggiare il cambiamento in modo adeguato. A partire dal 1950 l'ergonomia e la qualità totale (TQM) si prefiggono di ridare valore all'individuo, re- interpretando il lavoro in chiave antropocentrica. Il merito di queste prospettive è stato quello di esplicitare il legame che esiste tra risultato dell'agire organizzativo, del benessere organizzativo e di quello individuale. Quanto più l'attività svolta sarà espressione dell'individuo tanto migliore sarà il risultato anche sul piano economico. Il percorso di evoluzione dell'ergonomia è in parte opposto a quello della qualità. Il punto di partenza è l'individuo e la relazione che egli instaura con il proprio lavoro. MURRELL, padre dell'ergonomia, la definisce come "lo studio scientifico della relazione tra uomo e ambienti di lavoro, costituito anche da utensili, materiali, metodi di lavoro. Essi devono essere tutti rapportati alla natura dell’uomo stesso, con le sue attitudini, capacità e limitazioni". In quest’ottica l'efficienza della prestazione umana è il risultato dell'interazione tra ambiente e caratteristiche individuali. A questa conclusione Murrell giunse attraverso l'analisi di esempi di mal- adattamento riscontrati nel settore militare e civile. Durante la Seconda guerra mondiale, l’elevata complessità che spesso caratterizzava la strumentazione militare era causa di numerosi inconvenienti durante l’utilizzo in condizioni reali. L'ergonomia favorisce lo sviluppo di sistemi di lavoro centrati sull'uomo e per questo contraddistinti da un equilibrato rapporto tra variabili tecniche, organizzative e caratteristiche individuali, opposto ad un'ottica meccano-centrica. Murrell evidenzia l'importanza di considerare le attitudini, le capacità e le limitazioni del fattore umano. É necessaria un'analisi preliminare delle capacità individuali (ergonomia di concezione), in caso contrario sarà sempre possibile intervenire in una prospettiva ergonomica, adattando la situazione alle esigenze umane con minore libertà di azione ed efficacia (ergonomia di correzione). Il più recente ambito di intervento dell'ergonomia è quello di prodotto e di servizio, in cui la conoscenza ergonomica viene impiegata a beneficio dell’utente-cliente finale, allo scopo di garantire a quest’ultimo un'elevata qualità d'uso (usabilità degli oggetti). Questa migrazione dei principi ergonomici dall'ambiente industriale all'esperienza quotidiana di interazione con i prodotti ha incrementati gli effetti positivi che l'ergonomia produce sulla qualità della vita. Qualità e l'ergonomia condividono la stessa impostazione di base, risultando complementari se non addirittura sinergiche: la prima facendo leva sulla sua forte capacità di dialogare con l’area gestionale dell’organizzazione, la seconda contribuendo allo sviluppo della componente tecnico-applicativa dei processi, rafforzando il legame impresa-lavoratore e impresa-cliente. Piani di intervento La qualità d'uso di un prodotto/oggetto è condizionata da parametri strettamente legati al contesto fisico e ambientale nel quale l'oggetto viene inserito e dalla modalità di impiego adottate dall'utilizzatore finale. L'ergonomia ha concentrato l'attenzione sullo studio scientifico di queste variabili, sviluppando tecniche di valutazione "in situazione", ovvero test e prove che consentono di capire in che modo il cliente si rapporta a uno strumento. Il fine è prevedere ed eliminare i fattori che possono risultare critici e implementare quelli atti a migliorare la rispondenza del prodotto alle reali esigenze d'uso. I metodi di valutazione dell'usabilità (Usability Evalution Method) hanno in comune il coinvolgimento di una quota degli utilizzatori finali del prodotto, sin dalla fase di sviluppo dell’idea. Essi arricchiscono il progetto con informazioni sul comportamento e sulle percezioni derivate dell'esperienza reale, aiutando il progettista a integrare, già nelle prime fasi, funzioni e caratteristiche prestazionali che sono proprie dell’uomo. Se invece si rivolge l'attenzione al piano interno, ovvero alla qualità interna all'organizzazione, si evidenzia come i principi dell'ergonomia contribuiscano allo sviluppo di un contesto di benessere per i lavoratori. Sicurezza, salute, comfort sono alcuni elementi sui quali l'ergonomia interviene per alimentare la nuova concezione di qualità del lavoro e della vita. La preventiva valutazione delle caratteristiche della componente umana e il successivo coinvolgimento dei lavoratori per la regolazione del sistema sono utili strumenti in un'ottica di qualità totale. Metodologie sviluppate per controllare la qualità ergonomica del lavoro nei suoi aspetti più tangibili (variabili tecniche o fisiche) o soggettivi (risposte individuali, percezioni) sono: - Le CHECK LIST, proposte nei primi manuali di ergonomia; - L'AET DI ROHMERT E LANDAU (1979), si propone come metodo di analisi universale del lavoro organizzato che fornisce informazioni che vanno dall'idoneità specifica per la mansione alla selezione del personale, dall’inserimento lavorativo al training formativo ecc. - L'ERTOMIS ASSESSMENT METHOD, sistema di valutazione destinato all'analisi delle abilità operative del lavoratore per una corretta configurazione del compito e dell'ambiente di lavoro. Risulta particolarmente utile in fase di inserimento lavorativo di soggetti con forme di svantaggio fisico, percettivo, cognitivo o relazionale. Nella pratica ergonomica si ricorre spesso anche all'impiego di strumenti propri di discipline affini (psicologia del lavoro, medicina del lavoro), utili per evidenziare la risposta individuale alla situazione organizzativa. L'applicazione di questi metodi di indagine porta a un duplice beneficio: da un lato consente di individuare e monitorare aspetti critici presenti nell'organizzazione al fine di correggere l’azione organizzativa sulla base di dati empirici; dall’altro la rilevazione delle informazioni diventa importante strumento di coinvolgimento di tutti i soggetti all'interno dell'azienda. Qualità ergonomica certificata Nel campo dell’ergonomia occorre utilizzare con la dovuta attenzione il termine “certificazione”. La certificazione di un sistema o prodotto, infatti, è il risultato finale di un processo di valutazione alla base del quale esiste un sistema di riferimento che garantisce efficacia e imparzialità alla luce delle importanti conseguenze sociali e commerciali che ciò comporta. È evidente che le motivazioni che oggi spingono le aziende a intraprendere la strada della certificazione (di processo o di prodotto) sono prevalentemente di natura competitiva. Certificazione ergonomica. Attualmente gli standard indicano principi, metodi e dati di riferimento per valutare la rispondenza a requisiti ergonomici di specifici prodotti o sistemi, ma non una certificazione comparabile alle norme sui sistemi di qualità. Mancano, inoltre, alcuni degli elementi necessari nel processo di valutazione che assicurino la completa tutela dell'utilizzatore finale. Nell’ambito degli studi condotti dalla Human Factors and Ergonomics Society (1997) è emerso che l'intervento ergonomico a livello di prodotto (microergonomia) produce un risultato ridotto se non inquadrato in un ambito più ampio di organizzazione dell'attività di formazione individuale, ovvero di sistema (macroergonomia). É prematuro parlare di certificazione con un'accezione ampia, è più corretto mantenere un approccio tradizionale, basato sul concetto di conformità ad una norma. La natura sistemica di un'applicazione ergonomica comporta, inoltre, la possibilità di impiegare più norme in una situazione per cui non esistono ancora linee guida armonizzate e condivise. Sul risultato finale non pesa solo il problema della disponibilità di norme di riferimento, ma anche il sapere chi ha competenza e autorità per decidere quali norme applicare. Manca un organo super partes che indichi il percorso da intraprendere per la certificazione e che verifichi la qualità del risultato. Questi aspetti non si devono sottovalutare poiché si rischia di diffondere una cultura della certificazione in ergonomia priva di fondamenti ancorati ai principi di chiarezza, trasparenza e garanzia. CAPITOLO 4 La misurazione della qualità La misura degli effetti delle procedure ispirate alla qualità nelle organizzazioni appare centrale nel TQM. Nella fase iniziale di applicazione delle procedure di qualità, la forte connotazione quantitativa richiedeva di disporre di dati di riscontro del miglioramento nelle prestazioni a seguito dell'introduzione dei nuovi metodi. Gli effetti della qualità (outcomes) erano esaminati dal punto di vista economico cioè quantificati in termini di riduzione costi e aumento profitti nonché di ampliamento di quote di mercato. Ben presto gli indicatori di carattere oggettivo hanno evidenziato limiti perché non fornivano informazioni adeguate su quali fossero i fattori che migliorano la capacità competitiva delle organizzazioni. Per questo sono state elaborate tecniche alternative: le procedure sono diventate più articolate come dimostrano gli assessments (o self assessments) previsti nei premi qualità, competizioni finalizzate alla valutazione e autovalutazione delle aziende sia rispetto a modelli internazionali sia rispetto alle altre organizzazioni. I modelli di riferimento sono di eccellenza aziendale come il modello EFQM (European Foundation For Quality Management), sulla base del quale e viene assegnato il premio europeo per la qualità delle aziende che dimostrano livelli di eccellenza nell'applicazione dei principi di qualità e propone un modello di valutazione basato su otto criteri: 1. Orientamento ai risultati: il criterio valuta se i risultati ottenuti dall'azienda soddisfano tutti gli stakeholder; 2. Attenzione rivolta al cliente: il criterio valuta se l'organizzazione produce valore per il cliente ed è in grado di sostenerlo nel tempo; 3. Leadership e coerenza negli obiettivi: valuta la capacità dell'organizzazione di sviluppare una leadership che esprime una visione, promuove il cambiamento ed è coerente con gli obiettivi prefissati; 4. Gestione in termini di processi e fatti: il criterio valuta se l'organizzazione gestisce i processi come sistemi interdipendenti e in relazione fra loro; 5. Coinvolgimento e sviluppo delle persone: il criterio valuta se l'organizzazione è in grado di massimizzare il contributo dei dipendenti attraverso lo sviluppo della persona; 6. Apprendimento, innovazione e miglioramento continui: il criterio valuta se l'organizzazione realizza il cambiamento tramite l'apprendimento per generare innovazione e creare opportunità di miglioramento; 7. Sviluppo della partnership: il criterio valuta come l'organizzazione sviluppa, mantiene e produce valore attraverso i rapporti con i partner; 8. Responsabilità sociale dell'organizzazione: il criterio valuta se l'organizzazione si sforza di migliorare l'ambiente sociale in cui opera e se è in grado di rispondere alle attese degli stakeholders sociali; Il sistema di valutazione dell'EFQM è stato messo a punto alla fine degli anni Ottanta in collaborazione con le maggiori società europee e l'appoggio della Commissione europea ed è stato formalizzato nel ‘91. La procedura di valutazione prevede diverse fasi di maturità dell'organizzazione rispetto agli obiettivi contenuti nei criteri: 1. La fase iniziale prevede che l’organizzazione: - abbia identificato tutti gli stakeholder - sia in grado di valutare la soddisfazione del cliente - abbia definito la vision e la mission Ecc. 2. La fase intermedia prevede che l’organizzazione: - valuti in modo strutturato le diverse esigenze degli stakeholders - ricerchi elementi di fidelizzazione - evidenzi un modello di leadership Ecc. 3. La fase di maturità prevede che l’organizzazione - sia in grado di diffondere ed integrare l’innovazione e il miglioramento - promuova l’interdipendenza tra i partner - misuri le attese della società per farne basi di azione Ecc. Il Malcolm Baldarige National Quality Award è il premio di qualità legato al Balaridge National Quality Program (BNQP), il Dipartimento americano del commercio. Istituito nel 1987, rappresenta negli USA il più alto principi di funzionamento della qualità totale (modelli EFQM e BNQP) e tramite la rilevazione delle valutazioni soggettive delle risorse umane sugli effetti prodotti da nuove politiche di gestione. Il problema comune rimane l'individuazione di parametri di riferimento ai quali rapportare i risultati che emergono dalla valutazione interna. A questo proposito si possono individuare due casi: quello delle organizzazioni di servizio nelle quali è possibile confrontare le percezioni dell'organizzazione con le percezioni dei clienti, e quello di altre realtà organizzative, nelle quali i parametri prestazionali da confrontare sono incerti e di diversa natura. Risultati empirici evidenziano che l’analisi concomitante dei comportamenti e dei risultati è una buona prassi organizzativa. Ciò non solo motiva i soggetti all’adozione di comportamenti efficaci ma li spinge a raggiungere gli obiettivi desiderati. La qualità organizzativa si può valutare attraverso metodi qualitativi/quantitativi o ricorrendo alla misura delle percezioni interne dell’agire organizzativo, attraverso specifici indicatori finalizzati al controllo dell’applicazione delle strategie di qualità o analizzando il benessere dei lavoratori quale indicatore indiretto di un’organizzazione di qualità (per esempio istituzionalizzazione). Nello sviluppo del TQM si possono individuare quattro stadi (BOSSINK, GIESKES, 1992): l'ispezione di qualità (quality inspection), l'assicurazione di qualità (quality assurance); il controllo della qualità totale (total quality control) e la qualità totale (total quality management). Per distinguere le caratteristiche specifiche di ogni fase ognuna va analizzata in base a: - Prospettiva tecnica e di utilizzo: centrata sugli sforzi che un'organizzazione mette in atto per rispondere alle richieste del cliente e su quanto vengono prese in considerazione le capacità e i limiti nella produzione di beni e servizi; - Prospettiva strutturale e culturale: riferita all'introduzione degli standard di qualità nella cultura dell'organizzazione e a come il sistema qualità si sovrappone alla struttura organizzativa; - Prospettiva del mantenimento, miglioramento e innovazione: si concentra sull'osservazione degli sforzi dell'organizzazione per perseguire gli obiettivi del miglioramento e dell'innovazione. La gestione della qualità secondo le tre prospettive ha portato alla definizione di alcuni elementi di base che contribuiscono alla sua definizione: 1. globalità (la gestione della qualità riguarda organizzazione nel suo insieme); 2. relazioni line-staff (la responsabilità per la qualità è diffusa a tutta l’organizzazione e ai responsabili di qualità spetta il compito di supervisionare e coordinare la realizzazione e l’implementazione del sistema qualità; 3. approccio tecnologico; 4. radicamento della cultura (la propensione al miglioramento e alla qualità devono divenire parte delle normali abitudini di ogni membro dell’organizzazione); 5. impegno del management; 6. enfasi sui flussi a monte (sottolinea l’importanza della qualità dei processi a monte, come le ricerche di mercato o la ricerca e sviluppo che consentono di identificare le esigenze dei clienti e indirizzare la produzione, evitando la realizzazione di progetti che non rispondono alle specifiche richieste dei consumatori); 7. approccio market-in (tutta l’organizzazione deve essere orientata alle richieste di mercato e alle esigenze espresse dai clienti); 8. integrazione (il mantenimento, lo sviluppo, e l’innovazione di qualità sono processi integrati, espressi dall’organizzazione nel suo complesso). Sulla base degli otto elementi individuati è stato realizzato uno strumento operativo composto da sessantatré concetti la cui attuazione indica il grado di applicazione del TQM. Gli elementi sono organizzati secondo le quattro categorie di attività del modello di VORSTMAN (1990): attività primarie, attività di supporto, attività di regolazione e concettuali, attività di top management. PERIN, GARZITTO E GABASSI (autori del libro) hanno proposto un questionario in grado di indagare le variabili contenute nei criteri previsti dall'EFQM, nella versione italiana per il Premio qualità Italia. Inizialmente costituito da 45 item, una parte degli item finalizzata ad analizzare il significato del concetto di qualità e la conoscenza dei principi fondamentali della qualità totale; altri erano volti a rilevare il grado di applicazione nella prassi aziendale dei principi derivati dal modello EFQM. L'analisi condotta sui dati raccolti nelle sperimentazioni ha consentito di ridurre a 18 il numero di item del questionario significativi per la descrizione di tre macroaree: - Livello di soddisfazione della qualità totale - Livello di fiducia nella qualità totale - Livello di conoscenza della qualità totale I tre fattori estratti mediante analisi fattoriale identificano le dimensioni latenti del questionario. Il primo fattore indicativo del livello di soddisfazione della qualità totale (quality pratice) consiste nella percezione che i soggetti hanno della qualità messa in pratica dall'azienda. Il secondo fattore estratto sintetizza il livello di fiducia espresso dalla strategia della qualità (quality faith) e consiste nella percezione dell'efficacia che tale strategia può avere sia all'interno sia all'esterno. Il terzo fattore (quality knowledge) rappresenta un indicatore di quanto e di che cosa i soggetti sanno sulla qualità. I punteggi complessi riassunti nelle tre dimensioni individuate (quality pratice, qualty faith, quality knowledge) vengono differenziati su tre livelli (alto, medio, basso). Il punteggio alto indica la prevalenza di percezioni positive della qualità, il punteggio medio evidenzia una situazione intermedia, mentre un punteggio basso è indicativo di percezioni negative o di indecisione. I punteggi ottenuti nelle tre dimensioni sono utili a pianificare interventi che possono essere definiti di sviluppo, di implementazione o di mantenimento della qualità totale. Le carenze possono essere: nella pratica, nella formazione del management, nella fiducia dei dipendenti, nella conoscenza. Gli interventi proposti non si escludono a vicenda e anzi possono integrarsi in funzione delle necessità che emergono dopo la fase di diagnosi. Il posizionamento delle alternative in prevalenza di punteggi alti, medi o bassi nelle tre dimensioni comporta il ricorso a diversi tipi di azione: - Mantenimento: necessario in caso di profili ritenuti positivi che hanno un punteggio alto nella dimensione principale. L'azione consiste in una conservazione dell'organizzazione esistente. - Miglioramento: la dimensione principale ha profili intermedi. É necessario effettuare degli interventi migliorativi. - Intervento pervasivo: la dimensione più importante ha un punteggio basso e sarà quindi necessario intervenire in maniera profonda. Lo strumento si è rivelato affidabile e interessante per diversi settori.
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