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Riassunto Purezza e Redenzione, Sintesi del corso di Storia Delle Dottrine Politiche

libro sintetizzato senza perdere l'importanza dei dettagli

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 03/05/2023

aurora-badolato
aurora-badolato 🇮🇹

4.3

(6)

4 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto Purezza e Redenzione e più Sintesi del corso in PDF di Storia Delle Dottrine Politiche solo su Docsity! L’uomo naturale JJR tentò di pensarsi in una dimensione di purezza vicina a quella primigenia che su un piano puramente ipotetico definiva il “puro stato di natura” La prima immagine dell’uomo di natura è quella di R stesso. Sul piano teorico R distingue l’uomo naturale dello stato di natura con ragione e coscienza in uno stato quasi letargico e l’uomo di natura apparente a una specie evoluta che utilizza appropriatamente le proprie facoltà. Questi due hanno però tratti comuni: cercano di soddisfare semplicemente i bisogni davvero naturali. Ed entrambi sanno ascoltare la voce della natura: cioè il sentimento. La consapevolezza di R di rappresentare l’unico esemplare di uomo naturale è successiva alla costruzione del modello astratto dell’uomo dello stato di antur esposto nel “discorso sull’origine della disuguaglianza” L’uomo naturale è quello che vive secondo il dettato della natura legislatrice. Ciò può accadere per istinto nello stato di natura, per educazione o scelta nello stato civile. Emilio in quanto uomo morale avvezzo all’uso appropriato della ragione può accingersi a recitare nella società la parte del testimone di una umanità diversa anzi opposta, riconciliata con la propria natura. La purezza Queste situazioni diverse sono accomunate dalla dimensione della purezza. La purezza informa il modello utopico retrospettivo della società descritta nel contratto sociale—> recuperando i valori dello stato di natura in una dimensione di politica integrale potrebbe porsi in una prospettiva politico-morale di mutamento radicale della società esistente come modello di progetto politico alternativo se non fosse che troppi segni sembrano indicare l’ardua praticabilità di ciò. Purezza è concetto di ascendenza primitiva che va distinto da quello di trasparenza poichè la coppia antinomica puro/impuro e essere/apparire non sono totalmente sovrapponibili. Entrambe partono dalla bramosia di autentico e incontaminato ma diversa. La trasparenza è il mezzo per gli uomini per vivere la natura individuale e sociale, la quale è condizione necessaria della libertà. Mentre l’idea di purezza si salda fortemente al concetto di bontà naturale e va a definire un’area immune dall’impurità (vizio). Rousseau come uomo naturale Rousseau infelice nella realtà si lanciò in un mondo di chimere degne del suo giudizio. La sua immaginazione lo portò a sostituire lo stato reale con uno stato fittizio. Le confessioni è un viaggio all’interno della coscienza nel tentativo di mostrare un uomo nella nuda verità della sua natura al fine di mostrare la sua purezza e innocenza. I tratti con cui si descrive ricordano quello dell’uomo nello stato di natura: sensibile alle ingiusrizie, sentimenti puri e onesti… In definitiva nei suoi libri si trova l’uomo di natura e in lui è possibile trovare l’uomo dei suoi libri. Quattro immagini dell’uomo naturale pag 10 La purezza va dunque ricercata individualmente nel mondo naturale giacche non è più possibile perseguirla nella società. Le immagini di uomo di natura assumono un significato esemplare: l’uomo naturale dello stato di natura può davvero costituire un ideale regolativo per l’uomo naturale morale, cioè per l’uomo civilizzato che ha preso coscienza di se medesimo. Per seguire la coscienza occorre preliminarmente saperla riconoscere. Il processo di estraniazione dell’uomo da se stesso. L’occultamento della sua vera natura ad opera della società artefatta, procede di pari passo con la scissione tra cultura e mondo naturale: la società corrotta è una società corruttrice. D’altro canto l’uomo naturale morale non può tornare veramente allo stato naturale Il puro stato di natura Il giusnaturalismo critico di R Di certo il punto di partenza di R è il giusnaturalismo: egli muove l’ipotesi dello stato di natura, popolato da individui singolarmente considerati, in una condizione di primigenia condizione di libertà ed uguaglianza in assenza di potere politico. Il passaggio allo stato politico avviene tramite contratto sociale. Il principio di legittimazione politica è il consenso. La teoria di R comprende anche concetti relativi alla scuola di diritto naturale moderno come individualismo, razionalismo e secolarizzazione. Tuttavia differisce in maniera radicale in punti decisivi e in generale nel suo significato etico-politico. La dottrina giusnaturalista si presenta come nuova forma di legittimazione del potere politico e della nuova società in formazione e sancisce la tendenziale superiorità della società civile rispetto allo stato. I giusnaturalisti hanno creato una narrazione parallela a quella della tradizione giudaico cristiana che nel suo complesso. ≠ la dottrina giusnaturalista rousseauiana contiene caratteristiche diverse: - il suo pensiero politica si presenta come delegittimazione del processo di civilizzazione umana . L’elemento di critica radicale nei confronti della società è predominante. - quanto alla funzione di legittimazione la teoria di R la svolge nei confronti di una società dai tratti involontariamente utopici. La dottrina del doppio contratto sociale: il contratto sociale che per gli altri giusnaturalisti serviva a giustificare il potere politico e garantire la proprietà privata secondo R è un patto ingiusto che istituzionalizza la disuguaglianza, è una forma di estorsione legalizzata con i ricchi gravano di catene i poveri. Il vero contratto deve essere ancora fatto: dovrà essere basato su presupposti opposti, dar vita a una libertà egualitaria, la sola legittima per R. Quindi ciò che era stato oggetto di legittimazione per gli altri per R diventa oggetto di indignazione e critica morale. R manifesta una totale sfiducia nelle capacità auto-organizzatrici della società civile. Nella dottrina politica di R non esiste una legittimazione politico-morale della società come insieme dei rapporti privati e di rapporti economici in misura cospicua indipendenti. Solo un potere politico capace di assorbire il più possibile la società, dando luogo a uno stato-comunità è ing rado di minimizzare le pretese degli individui che la compongono, di ridurre le sfere private che per R costituiscono l’insieme della cultura delle disuguaglianze e una minaccia permanente al bene comune. - i diritti che i cittadini acquisiscono con il contratto sociale non traggono la loro legittimazione dalla condizione prepositiva dell’uomo: lo stato è l’unica fonte di legittimazione dei diritti e delle sfere di libertà. Nello stato sorto dal contratto sociale la legge positiva si pone come superamento del diritto naturale. Il diritto naturale nella dottrina rousseauiana ha funzione di generico ideale regolativo oltre al ruolo di impedire che il potere sovrano venga limitato. -R costruisce una narrazione sostitutiva a quella biblica e incompatibile la quale sancisce che l’uomo necessiti di una divinità redentrice per riscattarsi dal male. Per R essendo il male un prodotto storico, la “redenzione” non potrà che essere opera dell’uomo Il puro stato di natura Puro: per due ragioni distinte e complementari. Da un lato la purezza è raggiungibile solo dopo una pulizie dalle incrostazioni culturali che nei secoli hanno alterato l’anima umana. Occorre quindi distinguere ciò che appartiene all’essenza dell’uomo da ciò che le circostanze e i suoi progressi hanno aggiunto al suo stato primitivo. Con ciò R cerca di dimostrare lo scandalo di un assetto sociale costruito su basi inegualitarie e presentato invece come conseguenza naturale. Dall’altro lato lo stato di natura è puro dal punto di vista filosofico-teologico: l’uomo è buono o meglio innocente. La sua natura non è macchiata da malvagità acquisita tramite un atto volontario. Gli altri filosofi della corrente avevano presentato l’uomo come degenerato ab origine: lo stato di natura diviso in due momenti, il primo positivo, il secondo negativo. Questi sono posti in successione logica non cronologica. La dottrina giunsaturalista appare come speculazione sulle cause della corruzione dello stato di natura che rende necessario il potere politico, che non una teoria sulle motivazioni della corruzione dell’uomo La bontà naturale L’uomo naturale di Rousseau è un uomo estraneo a quello del racconto biblico. L’uomo naturale è buono in quanto nella sua intima essenza non conosce il male, poiché il male è risultato dell’opera corruttrice della società. La dottrina sulle origini del male di Rousseau è talmente radicale da far ritenere l’uomo responsabile di buona parte del male fisico, oltre che quello morale—> pelagianismo estremo Rousseau presenta il puro stato di natura: ipotetico, senza peccato, spogliato di tutti i doni soprannaturali. Nello stato di natura l’uomo è puro poiché privo di tutte le qualità e le caratteristiche dell’uomo civile che esistono in lui solo in maniera latente che una volta sviluppate determinano l’inesorabile ingresso dell’uomo nell’impurità. La condizione di purezza è determinata quindi da una negatività nel senso che l’uomo è puro perché è senza: senza legami, senza guerra, senza parola. La stessa libertà di cui gode l’uomo naturale presenta, in parte significativa, caratteri negativi: data dall’assenza di costrizione. L’isolamento in cui vive l’uomo naturale è strettamente correlato all’uguaglianza. Tra i due termini esiste un rapporto biunivoco: è proprio la mancanza di relazioni sociali a far si che l’impercettibile disuguaglianza fisica non si trasformi in disuguaglianza morale; il fatto che gli uomini nello stato di natura siano fondamentalmente eguali scoraggia lo sviluppo di rapporti stabili perchè nessuno necessita la dipendenza da altri. produsse maggiori occasioni di contrasto: è il diritto naturale a farsi giustizia da se. Un diritto che in questo stato della civilizzazione non era ancora in grado secondo R di creare una situazione di insostenibile incertezza. Altre più gravi minacce erano nel futuro dell’uomo morale in formazione: -la crescente consapevolezza della propria superiorità rispetto agli altri animali, realizzazione che originò la trasformazione dell’amor di se in amor proprio. -la nuova condizione di sedentarietà spinse gli uomini a procurarsi molte specie di comodità ignote prima, aspetto che R riconosce come prima fonte dei mali in quanto gli agi determinano sempre un indebolimento del corpo e dello spirito. -le nascenti relazioni sociali produssero la nascita del confronto e l’insorgere di preferenze personali. Tocchiamo qui il punto più radicale di critica illuministica della società: una critica che parte dalla contestazione dell’esistente. Il sapere critico si aggroviglia e diventa critica della critica e finisce col travolgere lo stesso pensiero critico che l’ha generato. Il risultato è la radicale delegittimazione dall’interno delle sue fondamenta. La libertà del selvaggio era garantita dall’isolamento e dall’indipendenza: fu la vita fondamentalmente solitaria a impedire ai selvaggi di cadere nella dipendenza personale. Senza l’agricoltura il barlume di proprietà personale sbocciato in questo periodo non avrebbe avuto modo di espandersi. Senza sviluppo della proprietà terriera, non poteva conseguentemente nascere la necessità di proteggere i beni con le leggi, cioè con il potere politico. Tutto sembrava allontanare l’uomo selvaggio dalle tentazioni e i mezzi di por fine alla sua condizione. L’uomo è naturalmente pigro oltre che buono. Quale natura? La coerenza di questa ricostruzione non si rivela tuttavia cristallina. Per quali ragioni infatti l’uomo ha peccatola prima volta, rompendo il meraviglioso equilibrio tra desideri e bisogni? Ci troviamo di fronte al problema della definizione precisa della causa prima: di fronte ad essa la dottrina rousseauiana sembra sovrapporre due concezioni diverse della natura. Da un lato Rousseau presenta la natura in termini morale come una madre provvida e benefica per cui l’uomo naturale sarebbe vissuto in una terra utopica senza sentire il bisogno degli altri. Cosa avrebbe potuto dunque spingere l’uomo fuori da questa condizione se non una serie di eventi del tutto accidentali. Nel discorso sull’origine delle lingue è chiaramente evocata l’idea di una causa accidentale ed esterna attraverso catastrofi e mutamenti climatici. Rousseau chiarisce che l’equilibrio dello stato di natura non era opera dell’uomo ma frutto dell’incontrollabile azione della natura. Intere foreste andarono distrutte e gli uomini furono spinti a cercare riparo in terre meno ospitali. Allora come i primi bisogni li avevano tenuti divisi, così i nuovi li avrebbero spinti ad associarsi. Nel discorso sulla uguaglianza R individua questa grande rivoluzione che produsse la civilizzazione degli uomini nell’invenzione della metallurgia e agricoltura—> conditio sine qua non per l’uscita dallo stato selvaggio. Fu questo un passaggio fondamentale nella storia della disuguaglianza tra gli uomini in quanto premessa necessaria per lo sviluppo della proprietà, la cui istituzione segnò il termine dello stato di natura. R adombra inavvertitamente anche un’altra spiegazione parallela se non alternativa a quella menzionata. Scrive che nello stato di natura non tardarono a presentarsi delle difficoltà e bisognò imparare a vincerle, tutto obbligò l’uomo a dedicarsi agli esercizi fisici. Secondo questa versione fu dunque la necessità e non un evento provvidenziale a opporre l’uomo alla natura e a metterlo in movimento. L’uomo si oppose quindi alla natura perchè essa si oppose a lui. E questo accadde fin dall’inizio perchè tale è la condizione ordinaria della natura. L’immagine della natura sottesa a questa seconda appare pertanto diversa da quella della natura provvida e generosa che emerge da molti passi delle opere considerate. Se dunque l’uomo naturale non fu mai così armoniosamente inserito in un ambiente altamente ospitale ne consegue che il progresso e la società per l’uomo non possono essere intesi come potenzialità e possibilità ma devono essere giudice ali come necessità di autoconservazione che per R è il vero e forse unico sentimento pienamente operante nel puro stato di natura. In definitiva in accordo con questa versione lo scarto tra il momento potenziale e quello attuale delle facoltà umane si ridurrebbe a tal punto da essere considerato fondamentalmente insussistente. La natura perde il suo carattere morale. Provvidenza o necessità, il percorso che ha portato l’uomo alla costituzione della società civile appare molto più dettato da circostanze fortuite che da scelte consapevoli o libere. R considera la libertà la caratteristica principale che differenzia l’uomo da una bestia comunque, riferita però all’individuo singolarmente considerato. Ne consegue che l’umanità viene caricata di una colpa collettiva senza che possa essere individuato il principale requisito dell’imputabilità. R rifiuta la dottrina del peccato originale ma relativamente all’inizio della civilizzazione dell’uomo occorre ammettere che il filosofo non ha fornito una spiegazione plausibile al trasferimento della colpa dell’introduzione del male nella storia dal primo uomo all’umanità come soggetto collettivo. La logica del ragionamento costringe dunque a spostare più avanti nel percorso di civilizzazione, la vera colpa del genere umano, macchiatasi del peccato di aver creato la proprietà privata: scelta davvero volontaria e che ha tutti i requisiti per poter essere pensata come il surrogato laico e politico della dottrina del peccato originale. L’innocenza dell’uomo naturale è in ogni caso salva, perchè non a lui va imputata la caduta nella storia e l’inizio della degenerazione. La città antica e la purezza politica Il diritto civile. Il passaggio dallo stato di natura allo stato politico comporta il passaggio dal diritto naturale al diritto civile. R conclude che nello stato civile il diritto naturale è inutile e difficilmente conoscibile. La legge naturale non è affatto il principio attivo di tutta la macchina sociale. D’ora innanzi l’uomo ricaverà solo dall’ordine sociale che vige nella società le idee dell’ordine che essa crea. La legge di natura non è altro che la proiezione nell’interiorità di una morale collettiva che l’uomo ricava dalla società in cui vive. Ciò che l’uomo naturale trovava nel suo istinto l’uomo civile lo può ricavare unicamente dalla legge, espressione del corpo sovrano. Quest’ultimo, essendo essere morale è dotato della volontà generale che tende alla conservazione e al benessere. Questa costituisce quindi la regola del giusto e dell’ingiusto per tutti i membri dello stato. La città antica Nella città antica -organismo vicino allo stato di natura ma società politica perfetta per R- la legge dello stato divenne l’unica regola della morale. La fuoriuscita dell’uomo dallo stato di natura ha avuto come effetto anche la perdita della purezza naturale. Ciò non ha significato però la rinuncia definitiva alla purezza tout court: come la libertà e l’uguaglianza cos’ la purezza può essere vissuta nuovamente dagli uomini. La città antica è l’esempio di una società che ha saputo creare l’unica forma di purezza possibile poiché è riuscita ad attivare una socialità totalizzante, capace di prevenire sul nascere ogni movimento di impurità e di corruzione. Benché mito politico, la città antica è anche fatto storico che necessita una collocazione nella filosofia della storia rousseauiana. R colloca la città antica, specialmente Sparta e Roma, a ridosso del patto iniquo istitutore della proprietà privata. In un periodo dove il nascente diritto di proprietà non si era consolidato. Come i selvaggi si presentano puri in quanto prossimi alla nascita dell’uomo cos’ la città antica costituisce l’esempio di una società nascente che in quanto agricola è storicamente e idealmente poco distante dall’età d’oro dei cacciatori e pastori. La città antica viene utilizzata non solo come modello ideale ma anche come strumento di denuncia dell’impurità e della corruzione dell’epoca presente, conferendo un tono originale alle antiche repubbliche. Dobbiamo evidenziare che mentre la contrapposizione tra stato di natura e società politica risponde a una contrapposizione tra ideale e reale, qui la contrapposizione è tutta interna al tempo storico. Che tuttavia la città antica costituisca per R un riferimento molto più mitico-utopico lo si evince dal fatto che egli la presenta in forma retorica e stilizzata, eludendo il problema dell’uguaglianza politica soprattutto quella sociale ed economica nel mondo antico. Ad attirare l’attenzione del filosofo egualitario erano però altri aspetti, che tendevano ad oscurare il summenzionato vizio costitutivo: la relativa uguaglianza politica, ma anche socio-economica che in alcune società antiche vigeva tra i cittadini liberi, e dunque la presenza di libertà - intesa come autonomia ed esercizio diretto del potere politico- e uguaglianza. Montesquieu, la repubblica Il grande M, liberale e illuminista moderato aveva fissato il canone del governo repubblicano, in gran parte incentrato sulla città antica: una società tendenzialmente egualitaria, di ridotte dimensioni territoriali, animata dal principio di virtù politica intesa come amore dell’uguaglianza, per tutte queste caratteristiche legata quasi irrimediabilmente all’antichità e destinata a qualche futuro acquisendo alcune delle caratteristiche degli stati moderni, come il territorio. Ma a rendere difficile la sopravvivenza della repubblica è proprio l’emergenza dell’economico nel mondo moderno e la sua sostanziale incompatibilità con la virtù repubblicana. Il commercio infatti ha permesso all’Europa di divenire una potenza senza eguali. Esso però corrompe i costumi puri su cui si fondano le repubbliche. Lo spirito del commercio ha guadagnato presso i moderni uno spazio, immaginario e materiale, sconosciuto agli antichi. Esso si fonda in parte sull’economia di lusso che presuppone una società diseguale, rendendo impossibile l’esistenza della repubblica virtuosa e democratica. R arriverà a presentare la repubblica di Ginevra come una sorta di rediviva Sparta, pentendosene poi più avanti. Dotata delle più encomiabili qualità morali e politiche la città antica risulta per R priva di un elemento essenziale alla sua dottrina: l’individuo portatore di libertà negativa. È esso a rendere difficoltosa la proposta politica rousseauiana. Atene R s’indignava moralmente davanti ad Atene per aver costituito una sorta di prologo troppo anticipato, troppo splendidamente isolato per potersi radicare in un contesto così ostile, della libertà dei moderni, proprio in virtù della sua valorizzazione dell’individuo e della libertà economica. Atene, la ricca, opulenta capitale dai gusti raffinati e decadenti, corrotta e infine sfigurata dallo spirito mercantile. Tutto si tiene e tutto si spiega: la disuguaglianza genera le ricchezze da cui sono nati il lusso e l’ozio; dal lusso sono venute le belle arti e dall’ozio le scienze. Sparta e roma R reputava Sparta e Roma come pure. Nonostante le loro differenze, molti erano i punti in comune. Simile era il modo attraverso il quale erano riuscite per diversi secoli a portare ai vertici la purezza politica: una totalità organica nella quale la dimensione morale, quella politica e quella economica si compenetravano creando una struttura sociale coesa, opposto ai popoli moderni. È la differenza tra comunità e società. Nelle due città trionfava la virtù politica poiché entrambe fomentavano l’amor patrio. Sotto il profilo politico Sparta e Roma furono per il ginevrino modelli esemplari di repubblica, struttura in cui il popolo è sovrano ed esercita direttamente. Nella sua continua espansione Roma conservò fino a un certo punto la forma repubblicana nonostante fosse diventato un grande stato. I cittadini romani nonostante il loro considerevole numero, erano soliti prendere le decisioni in grandi assemblee. Il filosofo non risulta del tutto convincente. Sul piano costituzionale le due città erano additate come esempi di governo misto, caratteristica che per i repubblicani erano fattore decisivo nel garantire la stabilità delle loro costituzioni. Ma sappiamo che uno dei punti fermi del pensiero politico rousseauiano consiste invece nel dogma della assolutezza e indivisibilità del potere sovrano. Dunque il ginevrino elogia Roma nel periodo in cui essa era una repubblica dove il potere legislativo era esercitato direttamente dal popolo. Quanto a Sparta appare più difficile individuare un momento nella storia della polis in cui il suo complesso apparato istituzionale e costituzionale potesse essere ricondotto a una concezione radicale di democrazia e indivisa della sovranità. Sul piano economico, finché nelle due città l’economia rimase completamente subordinata alla politica e alla morale, le cose andarono bene. La situa si riuscì a mantenere tale poiché in entrambe si praticava l’avversione per il commercio e il culto della frugalità. Ma quando iniziarono a svilupparsi il lusso e le ricchezze fu l’inizio della fine. Se il fulcro della purezza repubblicana risiede nell’austera uguaglianza, allora le repubbliche commercianti non possono essere state realmente egualitarie. La repubblica commerciante non può che apparire una repubblica degenerata. L’espansione territoriale e la trasformazione del bellicismo difensivo in un militarismo imperialista fu certo una delle cause più rilevanti del declino delle repubbliche + la progressiva scomparsa della purezza dei costumi, dovuta alla crescita delle ricchezze e del lusso. Ne consegue per R una legge generale: la dissoluzione dei costumi è la necessaria conseguenza del lusso, chi ama le ricchezze è nato per servire e chi la disprezza per comandare. A sparta agricoltura e commercio erano praticati dalle classi subordinate. La stessa classe dirigente roana fu a lungo composta da uomini legati alla terra dalla quale traevano anche la loro purezza spirituale. Le più ammirevoli repubbliche del passato riuscirono a conservarsi integre e pure, impedendo non solo lo sviluppo economico ma anche quello delle arti e delle scienze. Generalmente piccolo, povero e felicemente ignorante è dunque assai bello per Rousseau. L’uguaglianza e la libertà delle repubbliche è legata indissolubilmente a queste condizioni. La dimensione ridotta e l’esercizio diretto del potere sovrano, l’economia di sussistenza che favorisce l’uguaglianza tra cittadini liberi: così possono mantenersi puri e i costumi. La forza della città antica è riuscire a creare una dimensione totalizzante dello stato, necessaria per soffocare l’individualismo, la comparsa di bisogni fittizi, materiale e quindi disuguaglianza assume veste economica: da qui la necessità dell’uomo di dipende dal lavoro, infine subentra la legittimazione politica e giuridica della proprietà privata. Intreccio tra dimensione morale, economica e politica in questo preciso ordine. La visione della storia Il secondo elemento concerne il marcato pessimismo con cui R guarda allo sviluppo storico. Egli elabora una dottrina degenerativa della storia che combina elementi della concezione ciclica della storia degli antichi e la concezione lineare della storia dei moderni. Dalla concezione degli antichi recupera l’idea della storia come degenerazione da un momento positivo a un momento negativo per spiegare l’evoluzione delle forme politiche e l’intera civilizzazione. Dalla visione dei moderni riprende il tema della linearità dell’evoluzione storica, di cui inverte il giudizio di valore. Per R la storia si presenta come uno sviluppo lineare: da un elemento positivo e puro, dal carattere naturale e politico ad un elemento fortemente negativo e impuro. Schierandosi a favore degli antichi e contro i moderni non esprime semplicemente la credenza nell’unità della ragione, neppure nega il principio di perfettibilità senza fine: è convinto che il risultato delle operazioni della ragione se si considerano insieme l’aspetto quantitativo e qualitativo, non può portare ad alcun vero progresso dello spirito umano. Impossibilitato a negare la progressione della conoscenza umana, trasferisce la polemica sul piano della contrapposizione tra qualità e quantità. La cultura moderna è una cultura cumulativa che ha perso il genio degli antichi: questi ultimi più vicini alla purezza naturale, avevano certo meno nozioni ma avevano più capacità inventiva. Partendo dall’idea di uno sviluppo indefinito dello spirito la tendenza dell’illuminismo concepisce la storia come un disvelamento della ragione. Questo disvelamento comporta uno sviluppo del sapere, quantitativo e qualitativo. Deriva da ciò l’accentuazione di una prospettiva laica e l’idea che la modernità sia il periodo storico in cui il disvelamento tendenziale della ragione è più marcato. È questo il motivo per cui gli illuministi reputano vicina l’età classica rispetto al presunto oscurantismo medievale e critica l’età moderna perché non ancora sufficientemente moderna. Per R diversamente la ragione ha una storia, che corrisponde a tipi umani differenti. La facoltà razionale dunque morale si sviluppa grazie alla perfettibilità. All’uomo naturale subentra l’uomo denaturato. R è critico del razionalismo dei Lumi, sviluppa un razionalismo diverso. La ragione e la coscienza devono dar luogo per lui a un’attività pragmatica non speculativa. L’uomo morale agisce moralmente, non la disquisisce. l’autonomizzazione della ragione dalla coscienza ha allontanato l’uomo dalla natura. La perfettibilità alla lunga ha reso l’uomo tiranno di se e della natura. Emancipatasi dalla coscienza, la ragione rischia di perdere la bussola perché mentre la coscienza è infallibile, la ragione è soggetta a errore. L’eclissi del sacro e il trionfo della laicità significano per lui l’autonomia della ragione dalla coscienza, dalla natura. R pertanto attacca il principio di modernizzazione in se stesso, la logica modernizzatrice, secolarizzatrice e corruttrice. È in un contesto di sottosviluppo politico, culturale e economico che essa ha la possibilità di essere contrastata poiché l’impuro non ha definitivamente annichilito la purezza originaria. La scienza per se è capace di generare tutti i mali che conosciamo perché l’uomo è debole e non è in grado di dominarla e di piegarla costantemente a fini positivi. Da questo punto di vista, la storia di Roma è paradigmatica. Essa inizia la sua decadenza morale nel momento in cui fu introdotta la filosofia importata dalla Grecia, foriera dell’individualismo, produttrice di un sapere intellettualistico e anti-politico in quanto fondato su dubbio e sulla critica sistematica della dimensione sacrale. A Roma il trionfo dell’impurità fu dovuto all’introduzione di un elemento impuro nell’elemento puro, con il prevalere del primo sul secondo. La caduta in conclusione è un movimento dal puro all’impuro. In Tendenza generale coincide con il percorso della civilizzazione. Ma la caduta si produce anche come tendenza specifica, interna alla dimensione storica: il movimento degenerativo conduce alla perdita della purezza politica che si attua quando si spezza la coesione dello stato. La rottura dell’unità organica risulta elemento caratterizzante del processo che produce la perdita della purezza. Il pessimismo storico Da tutto ciò consegue la visione pessimista che connota la filosofia della storia rousseauiana. È indubbio che le ultime opere di R risentano fortemente sia di quella visione disincantata e realistica prodotta dalla maturità sia del suo stato psicologico causato da persecuzioni politiche. Così come è assodato che precedentemente egli abbia cercato di controbilanciare il pessimismo della ragione con l’ottimismo della volontà. Ma anche qui emerge un pessimismo uniformemente distribuito nei suoi diversi scritti. Appare infondata l’idea per cui il pessimismo storico di R riveste un carattere transitorio., giacché l’impianto generale del suo pensiero è invece improntato sull’ottimismo. La sua visione ottimistica della natura umana non compensa affatto la visione pessimistica del corso storico. Tutte le affermazioni circa l’impossibilità di un ritorno ad una condizione di purezza politica non sono che la conseguenza logica di uno dei principi più rilevanti della sua filosofia della storia: ciò che è stato contaminato in profondità non può più essere reso puro. La teoria rousseauiana delle forme di governo è perfettamente corrispondente a questa visione degenerativa della storia. I governi tendono alla concentrazione del potere e all’espropriazione del potere sovrano. Tale tendenza può certamente essere contrastata ma solo nel senso di un rallentamento della morte del corpo politico. La filosofia della storia rousseauiana si rivela come una dottrina della degenerazione morale: la fine del sistema viene presentita ma viene al contempo dichiarata altamente improbabile. Il male e il tutto Alla dimensione del pessimismo storico è legato l’ultimo aspetto che il tema della caduta ci presenta. Prendiamo l’interpretazione di Nietzsche del “frammento di Anassimandro” per il quale il male deriverebbe all’uomo dall’atto stesso di esistere, che costituirebbe una colpa per il soggetto che sia tacca dal Tutto, colpa che viene espiata nel momento in cui al Tutto il soggetto ritorno con la morta, annullandosi. A questo punto abbiamo due spiegazioni fondamentali delle radici del male, la precedentemente spiegata e quella della Genesi. Sapendo che R rifiuta la concezione biblica del peccato, possiamo dedurre che vada collocato tra coloro che accettano la spiegazione del male secondo l’interpretazione nietzscheniana del mito di anassimandro che si insinua nella visione pelagica di R. A partire dalla morte della madre e dal suo rapporto con il padre tutta la vita di R appare profondamente segnata da un senso di colpa che coinvolge talmente tante figure e situazioni da indurre a qualificare il suo senso di colpa come esistenziale. Il desiderio di totalità sembra emergere in diversi momenti della sua vita, soprattutto quando deluso dalla società si rifugia nel mondo naturale e si sforza quasi di affogare in esso la sua coscienza. Le analogie con la dottrina filosofica sono evidenti. Per il ginevrino la colpa primaria dell’umanità è di essersi staccata dalla natura. In quanto parte della totalità organica naturale, l’uomo di natura non percepisce alcun senso di solitudine. Se lo staccarsi dalla natura è la colpa originaria dell’uomo allora la redenzione non potrà che consistere nel ritorno a una condizione di immersione nella totalità: una totalità naturale sublimata qualora il mezzo di redenzione è una politica trasformatrice della società; una totalità naturale intesa come ricerca di armonia se il mezzo di redenzione è una via individuale di auto-esilio in una struttura sociale irrecuperabile alla virtù politica. Redenzione e purificazione Due percorsi redentivi La risposta costruttiva al problema della Caduta si trova nell’Emilio e nel Contratto Sociale. Evidenzia i due diversi percorsi redentivi in risposta al problema del male cioè la degenerazione della specie umana. Il primo percorso: Emilio; carattere pedagogico-politico, liberazione individuale e privata, attraverso un interramento del diritto naturale. Il secondo: Contratto Sociale, natura socio-politica, liberazione collettiva e pubblica, trasformazione radicale della società. La redenzione individuale La natura è la vera pedagoga dell’uomo. Emilio tramite una educazione “negativa” viene portato a divenire un uomo di natura, cresciuto in una libertà apparente in vista di una libertà futura. Il primo precetto dell’educazione libera è soffocare nella culla il germe della dominazione. Il paragone tra allievo immaginare e uomo immaginare che vive nello stato di natura è suggerito in diversi punti. Il piccolo Emilio è sotto molti aspetti l’immagine del primo uomo: essere creato buono dalla natura che vive nel sonno della ragione, i cui i primi impulsi sono puri e non repressi dalla società. Relativamente ai primi anni di vita si può leggere nello sviluppo di Emilio il progresso dell’uomo nella lunga fuoriuscita dallo stato di natura., lo sviluppo progressivo delle facoltà intellettuali. Per lunghi anni il bambino deve essere obbligato a vivere in una condizione di innocenza, fino ai 20 deve essere prolungata la purezza dei sensi. L’isolamento dalla società risulta propedeutico al corretto sviluppo delle facoltà naturali dell’uomo. Solo a queste condizioni, che impediscono al bambino di esercitare la pratica imitativa nei confronti dell’uomo sociale e assorbirne i principi impuri, sarà possibile preservarne il cuore dal vizio e la mente dall’errore. R impone però precisi limiti al paragone con l’uomo naturale. - Emilio non degenera nel tempo perchè il pedagogo recide alla radice ogni possibilità di sviluppo della facoltà dell’allievo in un senso antiphysis. L’educazione dell’allievo astratto dimostra logicamente che se nessun evento fortuito avesse avvinto gli uomini tra di loro causando l’amor proprio, l’uomo avrebbe mantenuto la purezza dei suoi sentimenti. - Emilio gode di una libertà imperfetta, simile a quella degli uomini viventi nello stato di civiltà. R fa compiere a E un percorso opposto a quello dell’uomo di natura: la traiettoria dell’uomo come specie è quello di passare dall’indipendenza alla dipendenza, dalla forza alla debolezza. Tuttavia se il bambino manca dell’indipendenza può avvalersi di una guida razione esterna necessaria a preservarlo nella sua purezza. La coscienza Nella seconda fase dell’educazione che inizia quando le forze cominciano a eccedere i bisogni, Emilio vine elettamente educato all’uso della ragione e della moralità. La sua situazione a questo punto è assimilabile a quella dell’uomo che va attivando le sue facoltà potenziali. È questa la parte dell’opera in cui R esalta il valore della coscienza, istinto divino che porta ad amare il giusto e il vero, e si sforza di definire il rapporto tra ragione, coscienza e legge di natura, arrivando a individuare nel sentimento innato la vera base di quest’ultima. In questa fase, cercando di indirizzare il nascente amor proprio del suo allievo verso il suo più naturale sviluppo, ossia la pietà, il precettore mostra a Emilio le intollerabili ingiustizie sociali su cui è edificata la società vigente. La strada di Emilio qua diverge totalmente da quella dell’uomo che ha dato vita al patto iniquo. Si palesa con ciò questo paradosso: Emilio effettivamente è stato educato contro la società, al fine di vivere in essa. L’educazione naturale deve rendere un uomo adatto a tutte le condizioni umane. R ripete che l’uomo della natura avrebbe potuto e dovuto condurre una vita sociale. Emilio è membro della società, deve adempiere i doveri, destinato a vivere con gli uomini, è necessario che li conosca. La scelta “catara” Ma considerando le parole e le azioni dell’educatore appaiono poco coerenti con tali premesse. Emilio infatti è stato educato con criteri del tutto dissimili a quelli in uso nella società. È proprio per questo che egli non è l’uomo dell’uomo, è l’uomo della natura. Esiste un divario radicale tra com’è e come dovrebbe essere il mondo, quello che passa tra le tenebre e la luce: nelle consuetudini umane tutto è follia e contraddizione. Il primo libro letto da E è Robinson Crusoe per abituarlo a pensarsi come un uomo isolato in modo da elevarsi al di sopra delle false opinioni che rendono schiavi gli uomini nella società. L’eterogeneo substrato di teismo illuministico, socinianesimo e pietismo che sta alla base del ripudio rousseauiano della rivelazione e della sua proposta di religione del cuore, fondata al contempo su un credo razionale, così come del suo attacco alla filosofia materialista. Tale visione sembra quasi far proprio uno spirito gnostico e cataro nella misura in cui la lotta tra il bene e il male è come il conflitto insanabile tra puro e impuro. Mentre la natura offre un quadro pieno d’armonia e proporzione, il genere umano non mi presenta che confusione e disordine. Certamente una delle idee portanti dell’Emilio è che l’uomo indotto dall’educatore a sviluppare le passioni buone abbia appreso i modi per far trionfare, tramite la virtù lo spirito sulla materia, l’anima sul corpo. Ma tale controllo potrà davvero essere mantenuto in una società irrimediabilmente in preda al vizio e all’ingiustizia, una volta venuto meno il ferreo controllo dell’educatore? Se lo scopo dell’educatore era quello di preparare allievo al governo delle passioni, la conclusione dell’opera rivela il cedimento di R alla tentazione catara: il rischio vero non è quello di rimanere stranieri in un mondo troppo corrotto ma quello di venire travolti dall’impurità. Ecco che la risposta al pericolo della contaminazione del puro risiede nella ritirata strategica in una piccola enclave della purezza. Emilio viene condotto a Parigi proprio allo scopo di vedere con i suoi occhi la società impura. Emilio arriverà dunque alla conclusione alla quale l’educatore voleva giungesse: occorre separarsi dalla società corrotta. La redenzione individuale suggerita dall’emilio consisterà nel ritiro nella vita familiare o in una piccola comunità. Lontani dal mondo Emilio e Sofia potranno ascoltare la coscienza e vivere secondo i dettami della legge naturale. Dall’Economia Politica al Contratto Sociale Rispetto alla redenzione individuale le cose si prospettano diversamente nel percorso di redenzione purificazione politica. Una delle idee più importanti della dottrina filosofico-politica del ginevrino, quella di fissare una linea di totale discontinuità tra stato naturale dell’uomo e società politica, più problematica è la delineazione del rapporto tra individuo e comunità all’interno dello stato e la definizione dei reciproci diritti e doveri. Questo concetto è riflesso maggiormente alla voce sull’economia politica nell’encyclopedie. Vediamo una continua oscillazione tra una prospettica giusnaturalista e individualista volta a valorizzare i diritti di libertà e di Ancora una volta si può vedere che il problema dei limiti del potere sovrano viene risolto rimandando esplicitamente ai limiti delle convenzioni generali. Per r non esiste legge superiore al diritto positivo: la volontà generale è al di sopra ma perchè non è la legge ma la fonte della legge. La proprietà privata come diritto positivo Il contratto sociale trasforma in un titola legittimo il possesso frutto della forza o i diritto del primo occupante, garantendo a ciascun cittadino i beni acquisiti nella società diseguale. Il contratto sociale sembra dunque rendere legittima la disuguaglianza nelle ricchezze che si era formata prima della costituzione dello stato repubblicano, introducendo una discrepanza tra l’eguaglianza politica e la loro diseguaglianza sul piano economico. Dall’altro lato diversamente dal diritto alla vita la PP diventa appunto un diritto legittimo solo in conseguenza al patto sociale. Ciò significa che essa viene a dipendere completamente dalla legge dello stato. Avendo rinunciato a modificare l’assetto proprietario lo stato è libero di prendere un impegno rilevante sul punto. Nello stato repubblicano, il diritto alla proprietà troverà un limite invalicabile nel fatto di essere volto al soddisfacimento dei bisogni necessari. Qua troviamo lo spirito fortemente anticapitalismo di R, contrario al principio di accumulazione e alla creazione di bisogni indotti. Estendere la proprietà oltre questi confini, significa contribuire all’ingresso dei vizi caratteristici dell’homo oeconomus. Il diritto di ciascun privato sul suo terreno è sempre subordinato al diritto della comunità su tutto. R vuole cancellare l’egoismo nell’uomo spegnendo il suo desiderio di denaro, vuole far si che il cittadino si identifichi nella patria. Virtù e religione civile A prevalere dunque nel contratto sociale è uno spirito comunitario, lo stato deve presidiare ogni ambito per evitare la proliferazione dell’amor proprio o individualismo. R infatti pare essere uno degli autori che più ha portato alle estreme conseguenze l’idea che la legge positiva esprima il contenuto più profondo del diritto e che quest’ultimo sia un prodotto monopolistico dello stato. Lo stato rep di R offre un’immagine di una comunità compatta, non plurale e chiusa al libero confronto e non sono contemplate quelle che Constant chiamerà parti dell’esistenza individuale sulle quali la società non ha il diritto di avere una volontà. Lo stato è un organismo politico che deve cercare la semplicità e la staticità. Compito dello stato dovrà dunque essere quello di spronare permanentemente la cittadinanza alla virtù. La virtù politica assume un ruolo così centrale nella dottrina del contratto sociale, da costituire di fatto la condizione più importante per il trionfo della volontà generale e dunque per il corretto funzionamento della repubblica. La compenetrazione tra potere politico e religione è evidente. Di qui la necessità di istituire un nuovo credo. Tra i dogo i positivi della professione di fede puramente civile figurano due articoli esclusivamente religiosi- credenza nell’esistenza di un dio buono e provvido, credenza in premi e pene ultraterreni- ma anche uno politico- la santità del contratto sociale. Tra quelli negativi c’è solo l’intolleranza che R vorrebbe bandita dallo stato repubblicano. La proposta della religione civile vuole tenere insieme l’idea di una religione politica, sul modello antico e l’istanza di libertà della coscienza postulata dai moderni e dai Lumi. Redenzione individuale e redenzione politica Il carattere alternativo di questi due percorsi: il primo è una redenzione privata e personale per mezzo dell’educazione; il secondo prefigura una liberazione politica e collettiva dell’uomo che avviene attraverso una sublimazione del diritto naturale. Come spiegarsi la differenza tra le due: Il contratto sociale descrive la struttura politico-sociale che l’umanità dovrebbe darsi per dar vita a una società giusta e libera. Emilio è invece opera che si propone di indicare la formazione dell’uomo libero all’interno di una società impura. In assenza di una liberazione politica collettiva, l’uomo può liberarsi solo individualmente e privatamente. Diversamente dunque dal contratto sociale dove viene suggerita l’idea che a una storia fondata sull’errore e sul crimine sia possibile porre rimedio, tramite la politica, in Emilio non c’è possibile conciliazione tra natura e storia Il carattere più o meno esplicitamente rivoluzionario di entrambi i percorsi. Esso rende ancor più marcata la distanza da rousseau dal pensiero degli illuministi. Per rousseau nessun compromesso è possibile con la società impura. Considerazioni finali Il rapporto tra diritto naturale e redenzione nel pensiero di R rimanda a quello tra diritto naturale e secolarizzazione. Il giusnaturalismo è per R una dottrina della radicale delegittimazione, morale e politica, della società esistente; ma è anche la dottrina su cui r sviluppa una personale visione dea redenzione che assume significato morale-politico diverso dagli altri autori della scuola L’uomo è libero, senza l’aiuto di Dio, di porre rimedio allo scandalo del male e di salvarsi, e questa salvezza riguarda l’anima, poiché consiste nel trionfo dell’io ideale, espressione della natura razionale comune a tutti gli uomini, sull’io empirico.
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