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Riassunto Puskin, Tolstoj e Dostoevskij, Appunti di Letteratura Russa

Riassunto dal libro UTET delle vita e delle opere di Puskin, Tolstoj e Dostoevskij

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 11/03/2018

jcndsmkfk
jcndsmkfk 🇮🇹

4.3

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Scarica Riassunto Puskin, Tolstoj e Dostoevskij e più Appunti in PDF di Letteratura Russa solo su Docsity! RIASSUNTI AUTORI PUSKIN Puskin fu il grande genio della letteratura russa, la sua caratteristica fondamentale fu quello di aver penetrato profondamente lo spirito delle culture europee, fondendo perfettamente le acquisizioni stranie con la cultura russa. Fu proprio questa sua “umanità universale” (come venne definita da Dostoevskij) che influenzò i successivi scrittori russi, diventando una caratteristica della cultura russa. Sebbene la sua sia una lingua semplice e priva di effetti stilistici, l’’universalità della sua scrittura rende l’opera di Puskin molto complessa da tradurre, nelle traduzioni infatti essa perde spesso il suo splendore. Altra caratteristica di Puskin fu l’eccezionale dinamismo della sua opera, non esiste infatti un Puskin unitario, egli fu sempre in evoluzione, alla ricerca della qualità per lui fondamentale: la libertà intellettuale. La libertà intellettuale non coincide con il libero pensiero: Puskin fu sempre un libero pensatore, incline ad una condotta libertina e a scrivere versi politici in favore della libertà nella sua giovinezza. Nonostante il suo amore per la libertà, Puskin non fu mai libero, tuttavia egli riuscì ad esprimere il suo genio nonostante il confino, la censura, la benevolenza dello zar e i problemi quotidiani. A differenza di altri scrittori russi Puskin non lasciò mai che la circostanze esterne della sua vita, come la povertà che lo colpì durante il periodo pietroburghese, influenzassero la sua psicologia o la sua opera. Le limitazioni che egli visse gli diedero invece forza per consolidare la propria libertà e sebbene egli non visitò mai nessuna delle capitali europee, riuscì ugualmente a conoscerle e ad esprimersi liberamente anche nella condizione di prigioniero. L’ambiente familiare L’evoluzione continua di Puskin spinge a distinguere nella sua vita vari periodi, in ogni periodo Puskin appare nuovo, con nuovi obbiettivi e aspirazioni. Puskin nacque a Mosca nel 1977. Suo padre è un uomo avido e dissipatore, maggiore in congedo, ormai impoverito e decaduto, sua madre aveva origini africane, dalle quali Puskin fu sempre affascinato. I genitori si disinteressarono a dare ai figli un’adeguata educazione familiare e intellettuale, Puskin si legò infatti moltissimo ad un’altra figura, la sua nutrice, che egli chiamava njanja (“mammina”) che sostituì la figura materna. Puskin le dedicò numerosi versi, essa sua figura divenne quasi mitologica in Russia, le fu attribuita infatti la funzione di musa-madre della poesia russa. L’apprendistato poetico al liceo Càrskoe Selò Gli anni del liceo furono decisivi per Puskin, è in questi anni che si sviluppa il primo periodo artistico del poeta, quello <<liceale>>., che egli non dimenticherà mai e idealizzerà nel ricordo. Puskin frequentò il liceo Càrskoe Selò, scuola per giovani privilegiati, in cui veniva impartita una formazione umanistica non stroppo severa, i giovani infatti godevano di molta libertà e la loro dignità non poteva essere umiliata. Qui Puskin cominciò a scrivere i primi versi, dotati di compiutezza e perfezione letteraria, riprendendo tradizioni letterarie eterogenee, con prevalenza dell’influenza francese. In K Natal’e (A Natalja), la sua prima poesia, egli riprende la poesia erotica di Voltaire, in Monach (Il monaco) è ripreso invece il tema monacale mentre in K drugu stichotvorcu (Ad un amico verseggiatore) egli descrive, in maniera caricaturale, le dure sorti di un semplice verseggiatore fingendosi un poeta professionale esperto della vita. Come Karamzin, Puskin ardeva di fervore polemico, tuttavia egli si oppose sempre ai principi del karamzinismo. Il talento di Puskin cominciò ad essere noto nei salotti letterari, entrando nella società letteraria antikaramnziniana dell’Arzamàs. Il <<periodo pietroburghese>> e <<Ruslàn e Ljudmìla>> A Pietroburgo Puskin attraversò un periodo di ribellione e scapestratezza, egli ostentava maniere e condotta provocatorie, che lo spinsero ad aderire alla società <<Zelenaja lampa>> (La lampada verde), il cui principio era l’unione del libero pensiero con una condotta libera. Nel periodo pietroburghese (1817-1820) Puskin accolse numerose influenze, tendendo contemporaneamente ai due poli dell’essere libero: una libertà ludica e un severo eroismo, che unì nella sua opera. Sotto l’influenza di Turgenev, nei suoi versi politici (La libertà; La campagna), innovativi e lontani dalla tradizione poetica settecentesca, egli espresse la sua idea politica volta a rifiutare la felicità individuale a favore della libertà della patria. In Amatore inesperto di paesi stranieri Puskin mise accanto all’altro due ideale alti ed incompatibili tra loro: il cittadino dall’<<anima ardentemente libera>> e la donna di <<ardente bellezza>>; questo parallelismo indica che per il poeta l’amore è sinonimo di libertà, la poesia civile e a lirica amorosa di fondevano nella stessa idea di amore per la libertà. La più importante opera di questo periodo è il poema Ruslàn e Ljudmìla, opera eccezionalmente innovatrice, grazie all’accostamento di brani eterogenei tra loro per stile e genere; nel poema i toni giocosi coesistono con quelli eroici e della lirica alta e il risultato è l’ironia verso la stessa idea di genere. Tuttavia, l’opera fu estremamente criticata per la mancanza di sentimenti nobili e la sensualità delle descrizioni e i critici rimproverarono inoltre che l’eccessiva ironia del poema finiva per eliminare la morale. Nonostante le critiche Ruslàn e Ljudmìla inaugurava la caratteristica fondamentale del genio di Puskin: l’accostamento di frammenti eterogenei tra loro. L’ <<esilio meridionale>>, i nuovi volti dell’eroe romantico e la nascita dell’<<Onegin>> I versi politici di Puskin esasperarono il governo e lo stesso Zar Alessandro fu personalmente ferito ed irritato dalla sua condotta, per questo egli fu spedito nelle regioni meridionali dell’impero. AL Sud l’atmosfera politica era più libera rispetto alle capitali, qui nasceva la più radicale ramificazione cospiratoria del decabrismo: la Società meridionale. NB: i Decabristi (da Dekabr=Dicembre) erano membri delle società segrete della Russia meridionale che organizzarono e parteciparono alla rivoluzione del Dicembre 1825 a Pietroburgo, protestando contro i disagi dell’arretrata organizzazione sociale della servitù della gleba e degli abusi dell’aristocrazia. La rivoluzione decabrista fallì, ma spianò la strada a numerose riforme sociali e ispirò varie opere letterarie. Questo fu il periodo più radicale per Puskin, durante il quale egli elaborò, sotto l’influenza di vecchi amici politici e della poesia byroniana, una poesia seria e costante, accantonando provvisoriamente l’ironia. A causa del freddo Puskin si ammalò in modo serio e la famiglia Raevskij portò con se il malato in un viaggio in Crimea e Caucaso. Nel Kavkazkij plennik (Il prigioniero del Caucaso), Puskin elaborò la sua personale figura dell’eroe romantico viaggiatore: l’eroe romantico descritto da Puskin non è un prigioniero, poiché l’esilio ha un luogo stabilito, ma un fuggiasco sempre in cammino, che ha lasciato alle spalle la sua patria, diventata per lui un carcere, e che nell’amore e nell’amicizia trova solo tradimento. La prigionia e l’amore rappresentano per lui l’assenza della libertà, per questo egli fugge dalla prigionia ed è anche pronto a distruggere l’amore per proseguire il suo vagare solitario. Il tratto fondamentale dell’eroe Puskiniano è la <<precoce vecchiezza dell’anima>>, la contraddizione tra le forze spirituali dell’eroe e l’impossibilità di utilizzarle. L’opera è inoltre caratterizzata da un forte autobiografismo, Puskin conduce infatti il lettore alla conclusione che il prigioniero è lui stesso. Nella descrizione dei selvaggi liberi figli del Caucaso vengono poi riprese le idee illuministe della libertà primitiva opposta all’elemento europeo: i figli della natura sono dotati di forza e freschezza di sentimenti, essi sono eroi della libertà e delle passioni semplici. Il byronismo (il romanticismo psicologico e il tono emozionale) adottato da Puskin nella prima fase della sua opera fu gradulamente abbandonato per inseguire l’ideale di <<nudità>> della narrazione, in cui non c’è più un autore che condivide ed è assente l’autobiografismo (Gli Zingari). Con la Gabrieleide, un’opera sacrilega sull’Annunciazione della Vergine Maria, Puskin si avvicinò alla tradizione dei vangeli apocrifi medievali, nel suo interesse per la passione religiosa del medioevo egli intendeva infatti cercare il vero romanticismo. A Sud ormai Puskin si era formato come uomo da attitudini intellettuali ampie e profonde, egli leggeva di filosofia, geografia politica, massoneria, discuteva di politica e si informava sull’andamento delle rivoluzioni. Egli fu molto vicino alle idee e ai capi delle organizzazioni decabriste, scrivendo versi di intonazione decabrista, tuttavia egli non fu mai accolto nell’organizzazione. Dopo il 1822 le società decabriste cominciarono a trovarsi in difficoltà a causa dei fallimenti della rivolta greca e spagnola; le agitazioni in Russia fecero pensare al pericolo di una dittatura e l’idea di un regicidio cominciava a divenire concreta, nel 1823 inoltre a Sud si verificarono mutamenti amministrativi per cui il centro amministrativo divenne la città di Odessa, in cui Puskin si trasferì. Qui Puskin attraversò una fase di grave crisi, che si espresse un un ciclo lirico in cui egli meditò sull’essenza dell’uomo e della storia, Puskin cominciò a mettere in discussione la tesi rousseauviana della bontà naturale dell’uomo, dubitando anche che le azioni storiche siano compiute nell’interesse del popolo, riconobbe in Napoleone infatti proprio una personalità che sdegna il popolo. rifiuta fermamente ritenendolo una bravata giovanile e pretendendo addirittura che sia spedito in un'altra fortezza per allontanarlo da Mar'ja, ritenendola solo una fonte di distrazione dai doveri del proprio figlio. Nel contempo alla fortezza arriva la notizia che le fortezze vicine sono tutte cadute sotto gli assalti di un gruppo di ribelli guidati da Emel'jan Pugačëv, deciso a portare avanti il suo rivoltoso piano di farsi passare, agli occhi della gente, come lo zar Pietro III. Le notizie sono sconfortanti: i ribelli sono in marcia verso la Belogórskaja; nella fortezza stessa, fra i cosacchi e i kirghisi presenti, si respira aria di rivolta. Non sorprende allora che la fortezza, assalita dai ribelli di Pugačëv cada facilmente. Pugačëv fa sommariamente impiccare il capitano e gli ufficiali che non gli dichiarino fedeltà, e quando Pëtr si rifiuta anch'egli di dichiarare fedeltà all'impostore, questi dapprima lo condanna, ma poi misteriosamente, anche grazie alla supplichevole richiesta di Savél'ič, lo grazia. Dopo essersi ripreso, Pëtr riconosce in Pugačëv il "vagabondo" a cui aveva regalato la pelliccia di lepre e capisce le ragioni della grazia; invitato da Pugačëv a cena, Pëtr chiede e ottiene di poter raggiungere l'esercito regolare a Orenburg. Pëtr sa di lasciare la povera Maša, che avendo perso anche la madre, anch'essa uccisa dagli insorti, è orfana e per giunta malata e alla mercé di Švabrin - nel frattempo unitosi agli insorti e nominato nuovo comandante della fortezza - ma confida che con l'esercito regolare potrà riconquistare presto la Belogórskaja. Giunto alla fortezza di Orenbùrg, Pëtr si unisce al consiglio di guerra per decidere quale strategia applicare. Il giovane ufficiale, chiamato a decidere lui stesso tra i membri del consiglio di guerra, consiglia di attaccare i ribelli presso la fortezza Belogórskaja (in modo da salvare la sua amata da Švabrin), ma, contrariamente alle sue speranze, il consiglio opta per una strategia di difesa. Pëtr allora, dopo aver ricevuto una lettera disperata dalla sua cara Maša, nella quale ella rivela i piani di Švabrin di costringerla a sposarlo, decide di recarsi da solo a Belogórskaja per liberarla. Sulla strada, viene però fermato dagli insorti che lo conducono al cospetto del loro capo. Nuovamente Pëtr riceve i favori di Pugačëv, ed accompagnato dallo stesso capo dei ribelli, riesce a ricongiungersi a Maša. Grazie a Pugačëv, riesce inoltre ad ottenere un lasciapassare dalle mani del nuovo comandante di Belogórskaja, l'ex amico e traditore Švabrin, che gli consente di condurre quella che egli già ritiene sua moglie nella sua tenuta in campagna. Le avventure di Pëtr Andéič Grinëv non terminano qui, infatti nel viaggio di ritorno viene intercettato da una guarnigione dell'esercito regolare che, visto il suo lasciapassare, lo confonde con un insorto. Per fortuna in quella guarnigione presta servizio una vecchia conoscenza: Zurin, che gli aveva vinto al gioco i cento rubli durante il viaggio che dalla sua tenuta di campagna lo conduceva ad Orenburg. Zurin riconosce Pëtr e consente a Maša di proseguire il viaggio, mentre consiglia a Pëtr di non andare con lei, ma di finire di prestare servizio nella sua guarnigione, con l'esercito regolare. Pëtr accetta volentieri il suo consiglio. La rivolta viene finalmente domata, ma quando Pëtr confida di poter ritrovare le braccia della sua amata, ecco che viene arrestato. Lo accusano di essere stato uno degli insorti e chi lo accusa è proprio il perfido Švabrin. Sottoposto al giudizio di una commissione di indagine, Pëtr racconta la sua storia che tuttavia sembra poco credibile; egli sa che basterebbe fare il nome di Maša e che questa, interrogata, potrebbe scagionarlo. Tuttavia tace per amore per evitarle di comparire in giudizio e rivivere quei momenti terribili. La condanna a morte, poi commutata in un esilio permanente in Siberia, è allora inevitabile. Per tutti ora Pëtr è un traditore, ma Maša sa come si sono realmente svolti i fatti e decide di tentare un'ultima possibilità, quella di chiedere la grazia alla zarina Caterina II. Con questo intento si reca a Pietroburgo. Qui riesce a incontrare la zarina e a raccontarle la sua storia. La zarina allora grazia Pëtr, che finalmente potrà riabbracciare e sposare la sua amata. In quest’opera la tempesta di neve assume un significato simbolico simile a quello della rivolta popolare: la tempesta di neve e la rivolta popolare conducono entrambi gli eroi, Grinëv e Pugačëv, a sperimentare su di se e sull’altro i principi di umanità e i percorsi della storia. Notiamo come gli elementi della natura in Puskin non si limitino solo a distruggere: essi pongono gli individui di fronte alla morte, ingigantendo l’intensità della vita stessa. Altro tema focale dell’opera, alla base dell’ultimo periodo dell’opera di Puskin, è il conflitto tra tre forze: la forza della rivolta popolare, la forza del potere e il manifestarsi di una personalità indipendente ed umana. Il conflitto si risolve solo quando la pietà e l’umanità si fondono con una delle forze storiche: ne La figlia del capitano la lotta tra il potere e la rivolta popolare è spietata, ma essa termina quando compare un uomo con aspirazioni individuali pure e onore personale. Il feroce Pugačëv, a capo della massa popolare in rivolta, si volge al giovane Grinëv con la propria individualità ed assume l’aspetto del bandito valoroso e d’animo gentile che si toglie la pelliccia dalle spalle per donarla. Il potere statale si presenta a Maša Mirònova con il volto di una donna matura e soccorrevole, Caterina II, nelle cui mani è il destino di Grinëv. Come capo di Stato ella dovrebbe solo sostenere la giustizia, tuttavia è significativo il colloquio con Maša Mirònova, orfana che le chiede clemenza, non giustizia. La contrapposizione tra clemenza e giustizia, inconcepibile per gli illuministi e per i decabristi, è invece per Puskin un tema fondamentale. Un’epidemia di colera scoppiò ed impedì a Puskin di raggiungere la fidanzata a Mosca; a Bòldino Puskin scrisse i Racconti di Bélkin, prima opera in prosa dell’autore che fu alla base di tutta la successiva prosa russa dell’Ottocento. Nei Racconti di Bélkin Puskin riuscì a mettere a frutto, con la prosa ancor meglio che con la poesia, tutta l’esperienza formatasi con la composizione dell’Onegin: l’espressione di posizioni e punti di vista eterogenei, intrecciati in un’unica composizione. Il narratore è polimorfo: l’autore esprime un punto di vista esterno rispetto al narratore, Ivàn Petrovič Bélkin, gentiluomo di campagna che ha vissuto varie esperienze e che per questo si dimostra bonario nelle diverse situazioni e nei confronti dei vari personaggi, che spesso fanno a lui le loro confessioni. La letterarietà ancora una volta non è assente nel testo: Puskin riprende gli stereotipi della tradizione della prosa dell’epoca di Karamzin, utilizzandola per assicurare all’autore la possibilità di manifestare la propria ironia (ad esempio il nome Liza di una semplice ragazza contadina riprende ovviamente lo stereotipo stabilito da Karamzin nella Povera Liza). Nelle <<Piccole tragedie>> (ricordiamo i racconti Mozart e Salieri e Il Convitato di pietra) Puskin rappresenta conflitti storici fra i caratteri di uomini di diverse epoche ( la cavalleria, l’accumulazione di denaro, Classicismo e Romanticismo, Medioevo e Rinascimento ecc.). Gli eroi delle <<Piccole tragedie>> non sono prodotti passivi dell’ambiente, ogni uomo infatti vive in un <<secolo terribile>> ed egli ha due scelte: identificarsi col suo tempo, dissolvendosi, perdendo la libertà di giudizio e di azione e la responsabilità della propria condotta, oppure elevarsi al di sopra del suo tempo, lottando contro l’ambiente che lo circonda, che è fonte di inumanità e fossilizzazione, per raggiungere la libertà dello spirito. L’ultimo rigoglio creativo, le dorate umiliazioni e la tragica fine del poeta L’ultimo periodo di Puskin è quello più complesso e meno compreso, egli cominciava a perdere pubblico, sia perché il gusto del pubblico stava cambiando, sia perché la sua scrittura divenne sempre più complessa. Egli cominciò a sentire la sua responsabilità verso i destini della letteratura, tentò allora di guidare il gusto del pubblico tramite varie riviste (Il Messaggero di Mosca, La gazzetta letteraria, Il Contemporaneo), che non ebbero però successo. Nel 1831 sposò Natal'ja Nikolaevna Gončarova e con il matrimonio tutta la sua opera fu improntata in un unico spazi: la casa. La casa divenne per lui il simbolo di uno spazio in cui l’uomo trova la sua indipendenza, in cui egli vive la vita autentica e acquisisce la vera cultura nazionale. Questi sentimenti vengono espressi nelle lettere alla moglie, scritte in russo (e non in francese), con uno stile semplice attraverso la parlata popolare. Argomento di ricerca storica per Puskin fu poi il regno di Pietro il Grande, la cui figura complessa, dotata sia di indole barbarica e violenza sia di magnanimità, fu sempre presente nelle opere dell’autore. Nel racconto Pikovaja dama (La dama di picche), il tema è invece quello del Caso, manifestazione di forze occulte di cui l’uomo non comprende l’essenza: l’eroe dell’opera, che crede di essere un uomo trionfante e lungimirante, è solo un burattino nelle mani del Caso, di cui diviene vittima. Puskin ebbe dalle moglie quattro figli, ella amava la vita mondana dei balli di corte, che Puskin invece non apprezzava. Fu proprio questa incompatibilità di ideali che condussero il poeta a battersi in un duello durante il quale egli morì, difendendo la sua casa e il suo ambiente familiare. Puskin divenne dopo la sua morte l’orgoglio della Russia e grazie a lui la letteratura diventò importante per l’intera nazione. DOSTOEVSKIJ Dostoevskij maestro universale Fëdor Michajlovič Dostoevskij è insieme a Tolstoj il più grande scrittore del secolo d’oro della letteratura russa. Ciò che lo contraddistinse furono le sue ideologie innovative, le sue profezie sulla rivoluzione e sulle derive totalitarie dell’umanità, la sua passione per la psiche, che fanno di lui lo scopritore della modernità. Con lui vengono introdotti i grandi temi del secolo: la <<morte di Dio>> e il superuomo, la psicanalisi, l’assurdo, il terrorismo, le rivoluzioni. Dostoevskij ispirò grandi personalità: gli idealisti russi, Nietzsche, Freud, Camus e Sartre; i suoi ispiratori furono invece scrittori tra loro diversissimi: ricordiamo D’Annunzio, Moravia, Woolf, Hesse, Proust. Tra biografia e invenzione La vita di Dostoevskij ebbe un destino fuori dal comune, se le vite di Puskin o di Gogol furono marcate da avvenimenti drammatici, le tragedie sono nel cuore stesso dell’esistenza di Dostoevskij. E’ facile confondere gli eventi della vita dell’autore con la sua opera, da un lato essa risulta <<soggettiva>> in quanto essa riprende avvenimenti che egli visse: la morte brutale nel padre ne I fratelli Karamazov, la condanna a morte ne L’idiota, l’ergastolo in Delitto e castigo, il gioco ne Il giocatore, il complotto politico e la rivolta ne I demoni ecc.; dall’altro l’utilizzo di più soggettività (quelle degli eroi e quelle dell’autore), la rendono invece <<oggettiva>>. E’ importante dunque la distinzione tra autobiografismo ed autografismo: sebbene Dostoevskij utilizzi spesso l’io del narratore, egli non intende parlare di se, anzi egli si nasconde dietro una narrazione di tipo obbiettivo, in cui gli eroi costituiscono coscienze indipendenti ed autonome. Sebbene i cinque grandi romanzi di Dostoevskij, Delitto e castigo, L’idiota, I demoni, L’adolescente, I fratelli Karamazov, ripercorrano il percorso della sua vita, quello di Dostoevskij non è autobiografismo, bensì autografismo, egli non mette mai in scena la persona dell’autore, non si può infatti assimilare l’autore a nessuno dei suoi eroi, ma sfrutta le immagini vissute per nutrire costantemente la sua opera, che fu un autentico grande romanzo. La vita Dostoevskij nacque a Mosca del 1821 e morì Pietroburgo nel 1881. La sua fu una vita tumultuosa e creativa, che può essere ripartita in sei periodi. La sua giovinezza fu studiosa e modesta, durante la preparazione alla carriera militare egli scoprì il la sua vocazione letteraria. Ottenuta una sua indipendenza egli pubblica la sua prima opera, Povera gente. Socialista, viene poi arrestato e condannato a morte, viene salvato in extremis e detenuto in Siberia. Divenne poi soldato semplice e si batté per la propria libertà e per il proprio diritto di scrivere, furono gli anni della malattia, durante i quali egli sposò Marija Dimitrievna. Tornato a Pietroburgo egli si impegna nel dibattito culturale e politico sull’Europa e sulla Russia nelle riviste Vremja (Il tempo) ed Epocha (L’epoca) e conosce il successo con Memorie del sottosuolo. Attraversa un periodo di crisi a causa della morte della moglie e del fratello, del vizio del gioco e dei debiti, scopre inoltre l’Europa e trova conferma del male che già ne pensava. Si afferma come grande romanziere, esplorando la profondità dell’animo umano in Delitto e Castigo e L’Idiota. Sposa Anna Grigor'evna Snitkina e si trasferisce con lei in Europa per sfuggire ai suoi creditori. Scrive infine gli ultimi tre grandi romanzi: I demoni, L’adolescente e I fratelli Karamazov e contemporaneamente si impegna in un dialogo con l’intera Russia nel suo Diario di uno scrittore. Le opere dal 1844 al 1861 Dostoevskij non nacque in campagna, in una famiglia nobile, ma in città nell’ospedale in cui suo padre era medico. La sua infanzia trascorse in una famiglia moscovita tradizionale, suo padre, uomo rude e ansioso, pensò solo ad assicurare un buon avvenire ai suoi figli. Dopo la morte della moglie suo padre si traferì in campagna, fu ritrovato morto in aperta campagna e la sua morte rimase avvolta dal mistero. Dostoevskij fu per questo sempre ossessionato dall’immagine paterna: assente in Delitto e Castigo, indegno in I demoni, odiato ne I fratelli Karamazov, desiderato in L’adolescente. Destinato alle armi perché non abbiente, Dostoevskij non frequenterà l’università, ricevette tutta la sua formazione nel collegio moscovita, poi in quello pietroburghese e infine nella scuola militare. Si appassiono alla letteratura, lesse i romanzi di Dickens, Hugo; si ispirò Goethe, Shakespeare, Byron, Balzac, indagatori dell’animo umano; Puskin e Gogol lo influenzarono stilisticamente e dal punto di vista tematico. Dostoevskij comincia a tradurre, di dimette dall’esercito e decide che il programma della sua vita sarebbe stato quello di scoprire il misero dell’animo umano; egli vivrà sempre povero, incapace di gestire i guadagni che otterrà grazie ai suoi grandi romanzi. Dostoevskij è il primo romanziere russo ad attribuire al denaro il ruolo che esso ha nel mondo moderno: esso affascina e ripugna al tempo stesso ed è oggetto di desiderio ed odio. Nella sua prima opera, Povera gente, il tema è proprio il denaro: si tratta di uno scambio epistolare tra due umiliati, un piccolo funzionario ed una sarta, che si sostengono a vicenda per resistere alla miseria. Considerato il primo romanzo sociale russo, una donna perduta. Ritiratosi nella sua camera, il principe ottiene le scuse di Gavrila per lo schiaffo. Poi, mentre sta uscendo di casa, riceve un biglietto dal generale Ivolgin che lo indirizza in una taverna dove, resosi conto di aver tratto alcuni dei suoi racconti con cui intrattiene gli ospiti dai giornali, è fuori di sé e si sta ubriacando. Il principe, dopo avergli pagato da bere con i suoi ultimi rubli, gli strappa la promessa che lo porterà quella sera in casa di Nastas'ja perché deve compiere una missione, a suo dire, importante. Prima di portarlo da Nastas'ja, il generale Ivolgin passa a fare visita alla sua amante Marfa Borisovna Tereent'ev. Lì il principe incontra il figlio di questa, Ippolit, un ragazzo malato che è molto amico di Kolja e che come lui e con lui vorrebbe sfuggire alla sua famiglia scapestrata, magari andando ad abitare in un appartamento preso in affitto. Il generale Ivolgin si addormenta ubriaco sul divano di Marfa, quindi Kolja si offre di accompagnare il principe da Nastas'ja. Qui Myškin incontra, oltre alla ragazza, la sua amica Dar'ja, Tockij, Epančin, Gavrila, Ferdyščenko, Pticyn che festeggiano il compleanno di Nastas'ja. Durante la festa si decide di raccontare ognuno una piccola storia; infine Nastas'ja, indebolita dalla febbre e resa poco lucida dallo champagne, fa decidere al principe Myškin se debba sposarsi o no. Il principe si mostra timorosamente contrario e Nastas'ja conferma che non sposerà Gavrila, nello stupore generale. Mentre Nastas'ja sta andando via, arriva Rogožin con la sua banda e i 100.000 rubli promessi. Nastas'ja sembra accettare il denaro rinfacciando che non ha altra scelta poiché è una ragazza senza dote e nessuno la prenderebbe altrimenti. A questo punto Myškin si offre di sposarla anche senza dote, riconoscendola come una ragazza onesta; si offre di lavorare se non dovessero avere i soldi, ma esibisce anche la lettera di un famoso avvocato che lo indica come futuro erede di tre milioni di rubli. Tutti festeggiano il principe Myškin e la sua ricchezza tranne Rogožin, che gli impone di rinunciare a Nastas'ja. Anche la ragazza espone al principe i suoi dubbi: è una donna disonorata, e non vuole rovinare un innocente quale è il principe. Quindi chiede a Rogožin il suo denaro: ma a sorpresa Nastas'ja getta i 100.000 rubli nel fuoco e sfida Gavrila, che avrebbe accettato i 75.000 rubli per sposarla, ad andarli a riprendere. Infine Nastas'ja, dopo aver salvato i soldi dal fuoco, ed averli donati al privo di sensi Gavrila, svenuto nel tentativo di salvaguardare il suo onore non raccattando il denaro dalle fiamme, se ne va con Rogožin a Ekaterinhof, un distretto di San Pietroburgo. Parte II Il principe prosegue il suo viaggio verso Mosca per ottenere la sua eredità. Nello stesso periodo Nastas'ja, dopo la notte di baldoria a Ekaterinhof, fugge da Rogožin e trova rifugio a Mosca, dove il suo amante la inseguirà e troverà solo per perderla di nuovo. Anche Myškin scompare da Mosca lasciando i suoi affari agli attendenti. Intanto Kolja e Varvara prendono a frequentare le figlie del generale Epančin. Un giorno Kolja consegna ad Aglaja uno strano biglietto del principe Myškin in cui egli si interessa alla sua salute e alla sua felicità. Stupita, Aglaja nasconde il biglietto in una copia del Don Chisciotte. È giugno: e la famiglia del generale Epančin si trasferisce a Pavlovsk per passarvi l'estate. Myškin si reca a casa di Lebedev dove trova il nipote di questi che reclama del denaro dallo zio e Ippolit malato. Qui il principe scopre che anche Nastas'ja è a Pavlovsk da Dar'ja Alekseevna. Myškin va a trovare Rogožin, da cui viene informato che questi e Nastas'ja si sono riconciliati, tuttavia Rogožin teme ancora che Nastas'ja possa cambiare idea e non sposarlo perché in realtà la ragazza ama Myškin e l'unico motivo per cui non sta con lui è perché crede di non meritarselo. Il principe presagisce che possa succedere a Nastas'ja qualcosa di tremendo: fa la sua comparsa il pugnale di Rogožin, pugnale che ricomparirà in seguito. Segue un capitolo in cui il principe espone le sue idee sulla religione e sul Cristo: Myškin e Rogožin si scambiano le croci che portano, diventando così “fratelli”. Alla fine dell'incontro Rogožin abbraccia il principe e gli dice che rinuncia a Nastas'ja a suo favore. Nonostante questo, mentre il principe vaga per S. Pietroburgo si accorge che qualcuno lo sta seguendo e che questi non è altro che Rogožin, il quale sta per pugnalarlo, ma un attacco epilettico salva il principe dall'aggressione. Rogožin fugge. Fortunatamente Kolja sopraggiunge e presta soccorso al principe. Lo rivediamo poco tempo dopo a Pavlovsk, dove ha scelto di trascorrere la convalescenza, in una villa che ha affittato da Lebedev e dove incontriamo anche un gruppo di nichilisti, gli stessi che erano con Rogožin alla festa di Nastas'ja. I nichilisti leggono l'articolo del loro amico Keller in cui il principe Myškin viene ritratto come un ricco sciocco che ha truffato il medico che lo aveva curato. Tra di loro c'è anche Burdovskij, presunto figlio illegittimo, quindi erede, del tutore di Myskin, che morendo non ha lasciato nulla al suo figlio illegittimo, e, vista ora la cospicua eredità del principe, Burdovskij pretende che egli ripaghi quanto il suo presunto padre ha speso per le sue cure. Myškin si offre di dare a Burdovskij del denaro affermando che in realtà non gli sono mai stati dati i tre milioni e che non crede affatto di avere davanti l'erede del suo benefattore. Burdovskij rifiuta, ma arriva Gavrila a portare le prove che il principe è nel giusto. Tutti vengono a sapere che Nastas'ja è a Pavlovsk. Intanto la generalessa Epančin chiede spiegazioni a Myškin riguardo al biglietto che aveva scritto ad Aglaja. Il principe rassicura che l'ama solo come un fratello, sebbene quando avesse scritto il biglietto ne era innamorato. Parte III Aglaja chiede appuntamento al principe, e così pure Nastas'ja, il cui nuovo obiettivo è far sposare Aglaja e Myškin. Rogožin, credendo all'amore di Myškin per Aglaja, è tranquillo. Il nichilista Ippolit legge a Myškin, Rogožin, Kolja, Keller e vari altri la sua lettera di addio al mondo, poi cerca di spararsi ma la pistola non funziona per la mancanza della capsula e Ippolit sviene. Non è chiaro se si tratti solo di una messinscena o se il ragazzo volesse davvero uccidersi. Myškin si incontra con Aglaja che vuole fuggire all'estero perché si vergogna della sua famiglia. Il principe le parla del suo amore per Nastas'ja, che in realtà è solo tenera pietà. Aglaja gli rivela come Nastas'ja voglia farli sposare e Myškin si adopera per far smettere il loro scambio di lettere. Parte IV Il rapporto fra Myškin e Aglaja oscilla fra litigi e amicizia. A un incontro organizzato da Aglaja e Nastas'ja a casa di quest'ultima, accompagnate da Myškin e Rogožin, le due iniziano a discutere riguardo al principe e ai suoi sentimenti per Nastas'ja. Nastas'ja sfida Aglaja e chiede al principe di scegliere quale delle due voglia sposare. Ferita dall'esitazione del principe, Aglaja se ne va: quando il principe fa per seguirla Nastas'ja lo ferma, incredula che la stia respingendo, e sviene. Al suo risveglio Nastas'ja abbraccia il principe; Rogožin se ne va. Due settimane dopo Myškin e Nastas'ja stanno per sposarsi. Gavrila si dichiara ad Aglaja, ma viene respinto, e muore il padre di Kolja. Ippolit predice al principe che, poiché egli ha tolto a Rogožin Nastas'ja, questo ucciderà Aglaja, che Myškin confessa di amare, a suo modo. Con l'appressarsi del matrimonio, Nastas'ja è sempre più spaventata dall'idea che Rogožin la uccida. Il giorno delle nozze però Nastas'ja, mentre sta per entrare in chiesa, vede Rogožin, gli corre incontro e gli chiede di portarla via. Rogožin la fa risalire in carrozza e la porta a San Pietroburgo. Myškin riceve la notizia con la solita compostezza. Il giorno dopo segue i due a San Pietroburgo. Dopo averli cercati inutilmente facendo la spola fra la casa di Rogožin e quella di Nastas'ja, Rogožin lo avvicina e lo conduce a casa sua senza dargli spiegazioni. Qui scopre il cadavere di Nastas'ja, uccisa da Rogožin stesso con il pugnale che aveva mostrato al principe precedentemente. I due passano insieme la notte: al mattino dopo vengono trovati uno, Rogožin, delirante, e l'altro, Myškin, impazzito nuovamente. Rogožin è processato e condannato a quindici anni in Siberia. Ippolit muore due settimane dopo Nastas'ja. Aglaja si sposa con un emigrato polacco, un finto conte. Myškin torna in clinica in Svizzera. Ne L’idiota Dostoevskij crea un uomo <<positivamente bello>>, privo di desiderio e senza nessun trauma del passato né sogni infantili: il principe Myškin, una sorta di bambino adulto puro e ingenuo. Myškin verrà gettato in pasto al crudele mondo dell’alta società pietroburghese, che lo deride, chiamandolo appunto “L’idiota”, ma che segretamente lo ammira per la sua straordinaria bontà. L’amore che egli mostra verso tutti sarà apprezzato dai cuori semplici (la generalessa Epančina, il giovane Kolja), quelli feriti invece si ribelleranno (Ippolìt, ateo che si rivolta contro il nulla; Nastas’ja Filippovna, peccatrice pentita e straziata; Aglaja, l’altera vergine, esclusiva in amore.) Sarà alla fine proprio Myškin ad essere sacrificato e l’amore che egli porta finirà nel sangue del terribile Rogožin, facendo finire Myškin di nuovo nell’idiozia. Rogožin l’omicida e Myškin il consolatore sussurreranno insieme il loro delirio, accanto al cadavere sgozzato di Nastas’ja Filippovna, comunicando finalmente in modo fraterno, appropriandosi del corpo della donna amata. La constatazione è doppia: la disfatta del bene rappresenta la sconfitta santificante e l’immaturità del mondo. Le opere dal 1871 al 1880 Dostoevskij analizzerà la molteplice esperienza dell’umanità negli ultimi tre grandi romanzi: I demoni, L’adolescente, i Fratelli Karamazov. Besy (I demoni) riprende un fatto di attualità: l’assassinio di uno giovane studente, ucciso col pretesto che egli si accingeva a tradire Nečaev, nichilista seguace dell’anarchista Bakunin. Attraverso la satira e il grottesco Dostoevskij muove una critica contro tutti i “demoni” della società: i nichilisti, gli atei, i socialisti, i comunisti, i terroristi. Il romanzo è ricco di simbolismo: Krillov, ateo che vuole farsi Dio e che si suicida per provare la libertà, annuncia il tema dell’assurdo di Camus; Petr Stepanovic, che incarna il terrorismo assoluto e vuole impadronirsi del potere, rappresenta terrorismi europei e il bolscevismo; šigalev, utopista e seguace del <<dispotismo illuminato>> prefigura i totalitarismi del nostro secolo; a dominare è infine Stavrogin, che incarna l’ipercoscienza, nel bene e nel male. Ne L’adolescente Dostoevskij affronta il tema della nascita del desiderio e del <<pro>> e <<contro>> dell’atto libero. Il giovane Arkadij Dolgorùki, bastardo del nobile Versìlov, cerca di comprendere gli anni dell’adolescenza che ha appena vissuto: all’inizio egli si lascia trasportare dall’idea di prendere potere sugli uomini attraverso il denaro capitalizzato, poco a poco però vede svanire il suo sogno, entrando del l’inferno del denaro, del gioco e del sesso dell’alta società pietroburghese, della quale egli racconta con vergogna. La ricerca del giovane è doppia: quella di se stesso e quella del suo vero padre. Ma chi è il vero padre, quello di sangue, ateo e paradossalmente predicatore di Cristo, che non riconosce legalmente suo figlio, ma è segretamente ammirato da lui o quello legale, quello del cuore, santo e saggio del popolo. Più che un Bildungsroman L’adolescente è un’educazione sentimentale e spirituale, in cui l’anima si costruisce poco a poco, nel disordine sociale, nella disgregazione di famiglie, nella sofferenza. Brat'ja Karamazovy (I fratelli Karamazov) costituisce il compimento di tutta l’opera di Dostoevskij e della lunga discesa nella profondità della psiche. L’azione di svolge in un a cittadina di campagna in cui vive con tre figli illegittimi e un quarto bastardo il vecchio Fëdor Pavlovic Karamazov, nobile degenerato, ubriacone e protagonista di scandali. I suoi figli lo odiano e lo temono ed uno di loro, Dmitrij, è in conflitto con lui per una questione passionale. A tutto ciò si aggiunge una questione di denaro: un imbroglio di tremila rubli a cui sono legate le due eroine della storia: la nobile Katerina, amata dai due fratelli Dmitrij e Ivan, e Gruscenka, popolana russa amata da Dmitrij e dal vecchio Karamazov (ancora una volta il denaro infanga l’amore). Scoppia il dramma: il padre viene trovato morto e una busta con tremila rubli scompare. Chi è il colpevole? Ivàn, ateo ribelle e contestatore di Dio e quindi istigatore intellettuale del delitto; Dmitrij, che oscilla tra l’amore di due donne e che alla fine verrà condannato per errore; il puro Alesa, che adora Dio o il bastardo epilettico Smerdjakov, nato da una donna fetida con cui Karamazov si è accoppiato? La risposta è chiara: tutti, perché tutti siamo colpevoli, in quanto libero e responsabili. Il romanzo apre la strada a riflessioni morali e spirituali: il Padre, genitore rivale, simboleggia il padrone, il capo assoluto, lo Zar, Dio. E’ contro Dio che gli uomini si rivoltano, contro il suo silenzio sul martirio degli innocenti, con il desiderio di usurpare il suo supremo potere e organizzare la felicità degli uomini. L’ampiezza dell’animo umano è rappresentata da Dostoevskij attraverso due strutture incrociate: quella verticale di padri e figli e quella orizzontale dei fratelli, che insieme incarnano tutte le potenzialità dell’animo umano e tutte le scelte dell’uomo. Il diario di uno scrittore Nel cuore del processo creativo di Dostoevskij c’è il dialogo: l’eroe nasce dalla propria parole, prende coscienza di se e manifesta la propria autocoscienza attraverso dei veri e propri psicodrammi, in cui la verità si svela grazie al non detto o alla menzogna nei dialoghi. Il dialogo dello scrittore con gli altri è quindi fondamentale per Dostoevskij, per questo nel suo Diario di uno scrittore egli si rivolge direttamente al popolo russo. Nell’opera egli confessa alla gioventù rivoluzionaria i suoi errori del passato, replica alle accuse di antisemitismo e parla del suo amore per il popolo russo: nel Diario vi è tutto di lui, i suoi entusiasmi, i suoi vizi, le sue contraddizioni. Stile e fortuna di Dostoevskij La scrittura di Dostoevskij abbonda di idee, episodi e personaggi; il caos è però solo apparente: tutto è prodotto da una necessità interiore, lo spazio è quello dei tormenti della psiche, il tempo è accelerato, e gli sviluppa per la prima volta un tema che sarà per lui importantissimo, quello della morte. Il protagonista vaga di notte nella steppa e attraverso lo spavento e la paura della morte, analizza la realtà inconscia. Le opere preparatorie ai grandi romanzi Tutta le opere giovanili di Tolstoj possono essere considerate preparatorie per i suoi grandi romanzi. I racconti di guerra sono studi in forma di lettere (L’incursione, Il taglio del bosco, I racconti di Sebastopoli) in cui egli riflette sulla morte: attraverso le descrizioni della vita di ufficiali e soldati egli osserva e le classifica le persone in base al loro tipo di coraggio, che caratterizza il rapporto con la morte e la possibilità di essere uccisi. La figura militare più cara a Tolstoj è quella di un uomo modesto e privo di atteggiamenti studiati, per il quale la guerra è un modo di vivere imposto dalle circostanze. Il fine di Tolstoj non è infatti quello di rivelare l’essenza conto natura della guerra, ma quello di rappresentare la calma e la rassegnazione dei soldati e degli ufficiali davanti alla morte, elemento che verrà poi ripreso in Guerra e Pace nella descrizione del popolo. Il gruppo definito “russoviano”, per la forte influenza filosofia e illuministica di Rousseau è formato da 5 opere: I cosacchi, Tre morti, Due ussari, Polikuska e Cholostomer. I cosacchi è un’opera ambientata nel Caucaso, luogo di libertà selvaggia, in cui la natura nutre lo spirito libero de propri figli. Tolstoj rappresenta la contrapposizione di natura e cultura attraverso la passione tra i due protagonisti: la cosacca Mar’jana, simbolo della potenza della natura e della vita bella e semplice dei cosacchi e il junker Olenin (trasferitosi dalla capitale nel Caucaso per prestare servizio), rappresentazione del lavoro mentale e spirituale, che riproduce le ricerche fatte dallo stesso Tolstoj. Ne I tre morti Tolstoj analizza Il tema della morte e la contrapposizione tra ragione e natura attraverso la descrizione di tre morti: La signora muore di un male sottile, inquieta ed impaurita senza credere alla propria morte; allo stesso tempo muore il muzik, che prima della morte regala i suoi stivali ormai inutili; il nuovo proprietario degli stivali, per innalzare una croce sulla tomba del muzik, abbatte un albero in una macchia luminosa piena di canti ed uccelli. La signore muore male, poiché è lontana dalla natura e la sua morte è rovinata dall’attività della ragione; il muzik muore bene, poiché appartiene alla natura ed è a contatto con essa, l’albero muore magnificamente, poiché è parte della natura stessa. La descrizione della morte verrà poi ripresa ne La morte di Ivan Il’ic. In Polikuška il tema è quello del suicidio di un contadino che ha perduto il denaro della sua padrona. Nonostante venga descritta la vita contadina, nel racconto la compassione è assente: i dettagli della narrazione descrivono la tranquillità e l’ordine del contadino Polikuška e di sua moglie attraverso le loro sensazioni; la morte del contadino, sebbene egli sia un ubriacone, un ladro ed un imbroglione non suscita indignazione sociale, ma dolore per un’esistenza piena di fervore. Trionfano l’idea di calore e di vita umana, che saranno importanti per l’elaborazione di Guerra e Pace. In Cholstomer Tolstoj si ispira alla sincerità e alla spontaneità dei bambini per descrivere la civiltà dal punto di vista di un’anima semplice: un cavallo. Il cavallo non sa cosa significhi <<mio>> e si meraviglia del significato nella parole nella vita degli esseri umani; descrivendo il mondo con gli occhi del cavallo Tolstoj smaschera i falsi valori della civiltà. Guerra e Pace Vojna i mir (Guerra e pace) è un romanzo storico di Tolstoj, formatosi nel corso di sette anni, riguarda la storia di due famiglie, i Bolkonskij e i Rostov, durante la campagna napoleonica in Russia. In Guerra e pace Tolstoj si concentra sulla storia, descrivendo i momenti storici cruciali della società russa nel XIX secolo: dalle battaglie contro l’invasione napoleonica (1812) fino all’insurrezione decabrista (1856), con cui termina il romanzo. Tolstoj registra la vita di famiglie intellettualmente vivaci, in cui si accumula l’energia di quelle ricerche spirituali che garantiranno in seguito la dinamica storica. I personaggi che possono essere visti in prospettiva storica sono due: Pierre Bezuchov, che attraverso le sue ricerche spirituali comprende gli eventi più importanti, assimila la scomparsa si figure autorevoli (il principe Andrej Bolkonskij), e scopre il senso della vita attraverso l’amore per Nataša Rostova; e Nikolen’ka Bolkonskij, il ragazzo orfano che eredita l’intelletto inquieto del defunto padre, nell’amare chi era amato dal padre e a cui tocca partecipare alla futura insurrezione e morire. La comunità di individui in Guerra e pace non è un insieme nazionale: nel corso del romanzo nasce nei soldati e nei partigiani, isolati dalla crudeltà e dal dolore, un nuovo sentimento di pietà nei confronti dei soldati francesi che fuggono e periscono, con i quali formano un’unica comunità attraverso la misericordia, la conversazione, il riso, riconoscendosi tutti fratelli, in quanto figli dell’umanità (lo stesso maresciallo Davout, noto per la sua crudeltà inumana, non riesce ad ordinare l’esecuzione di Pierre Bezuchov dopo averlo guardato negli occhi). E’ questo per Tolstoj il momento più importante della guerra. La parola in Guerra e pace ha un significato mutevole e si riempie di significato attraverso le opinioni dei personaggi del romanzo. La parola mir oltre che “pace” significa “mondo”, essa è una della prole chiave per a ricerca spirituale di Pierre Bezuchov e il suo significato si amplia e si trasforma. Per Pierre il mir è un tutto armonico, un immenso regno della giustizia in cui si manifesta la Divinità, il mir sono la libertà e la felicità che Pierre acquista, alla fine del romanzo, dopo aver conosciuto la sofferenza. Anche la parola “guerra” ha significato soggettivo: essa è male e menzogna rispetto alla vita pacifica, è caos per i soldati disorientati che fuggono e combattono, è libertà perché risveglia la forze degli uomini ed apre a loro la possibilità di scelta tra la vita e la morte, essa è bella e orribile, è l’opposto dell’armonia del mondo, eppure è parte di esso. Infine, anche il concetto di amore ha due poli: amare il prossimo significa vivere, tuttavia ampliare l’amore, abbracciando sempre più cose ed infine tutto, significa avvicinarsi alla morte, come totale dissoluzione nel mondo attraverso l’amore. La composizione dell’opera è dinamica: la narrazione si alterna alle riflessioni in prima persona e ai dialoghi dettagliati, il continuo cambiamento è volto a rendere la grande universalità del testo. Nel romanzo agiscono infatti due forze: la prima è l’andamento stesso degli eventi, che procedono con un’inesorabile forza vitale, segno della vita che continua senza mai spezzarsi, neppure di fronte alla morte dei personaggi. La seconda forza è lo sforzo dell’autore per dare senso a tutto per comprendere le leggi del vivere e portare giustizia dove essa è stata persa. Nell’epilogo Tolstoj traccia un bilancio delle proprie acquisizioni: le cause degli eventi non possono mai essere comprese a pieno e gli uomini sono sottomessi a forze incomprensibili, la libertà dunque, come possibilità di scegliere tra bene e male, nel romanzo non esiste. Il male è rappresentato nel romanzo come la menzogna, che deforma la realtà, l’eroe della menzogna è Napoleone, che crede di guidare i popolo ma il suo potere è soltanto apparenza; il bene è rappresentato dalla Divinità, di cui anche l’uomo fa parte. Anche i personaggi del romanzo sono mutevoli e cambiano in base alle relazioni col mondo esterno, tuttavia essi possiedono alcuni tratti stabili, caratteristici della propria famiglia, protagonista del romanzo è quindi la stirpe. Tolstoj a differenza degli altri scrittori realisti non tenta di modellare il punto di vista dei personaggi, anzi descrive da narratore onnisciente, caricando le descrizioni dei sentimenti e delle passioni degli eroi. La descrizione passionale e della percezione della vita è caratteristica di tutti i personaggi principali di Tolstoj. Dalla letteratura per l’infanzia a Anna Karenina Tolstoj si dedicò alla letteratura per l’infanzia, raccogliendo ed elaborando una serie di racconti per bambini, componendo cosi un Abbecedario, con scritti pensati per assicurare ai bambini una vita in armonia con la natura e gli uomini, dal linguaggio semplice e preciso, pensati per non sovraccaricare la mente dei bambini con nulla che non avesse applicazione morale o pratica. All’opera di Puskin, Gli ospiti arrivano alla dača, che racconta il tormento interiore di una donna in conflitto tra le norme morali e la passione persona, Tolstoj si ispira per una delle sue grandi opere, Anna Karenina. Le percezioni di Tolstoj dai tempi di Guerra e Pace erano ormai cambiate: se prima Dio era il principio del bene e del male, adesso esso perde chiarezza, e nell’anima dell’uomo Tolstoj individua forze legate al male e alla morte; questo cambiamento influenza i personaggi: se essi prima aspiravano alla liberazione e all’amore universale, in Anna Karenina essi sono invece unidirezionali. Sebbene in Anna Karenina sia presente l’elemento positivo del perdono reciproco nell’incontro tra Anna, Vronskij e Karenin al capezzale di Anna gravemente malata, tutti e tre conosceranno comunque una sorte avversa: Karenin si abbandonerà al torpore mortale nell’anima ed ad una falsa vita religiosa, Anna e Vronskij saranno distrutti dalla loro stessa passione e moriranno. La descrizione della vita familiare e interiore è affidata a due individui, non legati tra loro: Anna Karenina e Konstantin Levin. Attraverso il personaggio di Anna, Tolstoj si interroga sui quesiti ultimi dell’esistenza: il peccato e la morte. Anna, donna bellissima e colma di vita, è destinata a cadere compiendo il mortale peccato dell’adulterio. Perché il peccato ha scelto lei? La fonte del peccato si trova all’interno dell’uomo o in forze esterne ad esso? E soprattutto, la punizione si trova all’interno o all’esterno dell’uomo? Sono questi interrogativi senza risposta. Con il personaggio di Levin, Tolstoj quasi rappresenta se stesso, nei suoi tormenti e nella sua ricerca spirituale. Come Tolstoj, Levin indaga il senso della vita dell’uomo attraverso gli altri personaggi, che fuggono però dai suoi grandi interrogativi. Il costante conflitto interiore di Tolstoj tra gli ideali naturali e la ragione si riflettono nella psicologia di Levin, che aspira all’ideale della vita familiare e del lavoro nei campi ma, dopo aver preso coscienza della morte, sente ancora di più il peso dell’esistenza. Tolstoj-Levin arriverà alla conclusione che è necessario porre un limite all’aspirazione a conoscere l’essenza dell’uomo, poiché essa è contro natura e distruttiva per la vita; bisogna invece affidarsi ad una fede semplice, come quella dei contadini. Anna e Levin sono accomunati dalla stessa forza vitale, dalla stessa sincerità e dalla stessa tensione di fronte alle domande esistenziali. Con Anna Karenina Tolstoj raggiunge la perfezione creativa, ogni elemento, ogni dettaglio, è correlato all’insieme. Il tema e l’immagine della morte appaiono già all’inizio dell’opera, durante il primo incontro tra Anna e Vronskij alla stazione, quando arriva la notizia di un macchinista schiacciato dal treno, e le sensazioni legati alla morte accompagneranno Anna nel corso del romanzo (nella tormenta Anna proverà sensazioni si passioni simili a quelle che proverà prima di morire), esse si impossessano di lei e la controllano: è quasi impossibile quindi distinguere nel suo destino scelta individuale e predestinazione. Molti sono inoltre i parallelismi del romanzo: la passione tra Anna e Vronskij, che condurrà Anna alla morte è accostata alla corsa di Vronskij sulla puledra Frou-Frou, alla quale egli spezza per errore la spina dorsale. La passione tormentosa di Anna è connessa poi alle semplici esperienze di Kitty, tutto è collegato, anche il colore degli abiti del ballo all’inizio del romanzo: il velluto nero di Anna contrapposto al tulle rosa di Kitty. Il dettaglio in Anna Karenina non è solo un mezzo per caratterizzare i personaggi, ma diviene un modo per descrivere un sentimento : il dettaglio delle orecchie a sventola di Karenin, ad esempio, che avevano fatto nascere in Anna il sentimento si repulsione del marito, diventano simbolo del torpore spirituale dell’uomo. Verso il tolstoismo Tolstoj aveva dunque sentito la necessità di fermarsi nella ricerca del senso della vita, avendo compreso che la fede stessa è il senso ella vita. Il cammino di Tolstoj verso la fede viene descritto ne Le confessioni, attraverso una dottrina religiosa razionalistica: l’uomo, che non comprende il senso della vita, riesce a superare l’irrazionalità della fede proprio grazie alla ragione; la vita personale acquista senso solo se messa in relazione con la vita in generale e ciò è possibile attraverso il bene e l’amore. Tolstoj legge i Vangeli e ne respinge l’interpretazione della chiesa, considerandola un mezzo creato per adattare le Scritture alle esigenze della vita, rifiuta inoltre tutto ciò che non può essere verificato dalla ragione (i dogmi, i sacramenti, i miracoli), preferendo un cristianesimo primitivo e dalle idee illuministiche: il vero fine dell’uomo è il raggiungimento della salvezza eterna, ottenuta liberandosi dai peccati terreni attraverso l’osservazione dei sacramenti. Il romanzo Resurrezione sviluppa questa ideologia: la protagonista vede il mondo dominato dal male, ma alla fine, attraverso la lettura dei vangeli, comprende che solo osservando questi ultimi il male può essere sconfitto. La <<resurrezione>> è proprio la rinascita morale della protagonista, che ritorna al bene e alla verità. Tolstoj come sempre descrive il percorso morale dei protagonisti, confermando l’idea che l’uomo non è uguale a se sesso, a mutevole. Trionfano inoltre le idee illuministiche: ogni cosa viene vista come per la prima volta, al di fuori delle convenzioni e attraverso la ragione e l’idea del bene. I racconti popolari e il teatro Tolstoj rifiuta i racconti popolari tradizionali (romanzi di avventura, novelle scabrose) considerandoli nocivi per il popolo, mira invece alla creazione di opere in grado di educarlo moralmente. Si ispira a Solzenycin (che aveva sintetizzato la tradizione quotidiana e <<rurale>> con i principi filosofico-religiosi) cercando di fondere i testi popolari alle Scritture: le trame e i temi dei racconti si ispirano ad episodi della vita dei santi, ma l’azione di svolge nella quotidianità dei villaggi, dove secondo Tolstoj è più forte la presenza di Cristo. Per la scena popolare scriverà La potenza delle tenebre, il cui tema la crescita del male: il peccato commesso provoca sempre nuovi peccati e delitti. Gli ultimi scritti Tolstoj, diventato ormai un’autorità in Europa, analizza il problema del matrimonio ne La sonata a Kreutzer: l’opera si presenta come la confessione di un uomo che ha ucciso la propria moglie per gelosia e per un odio Dopo alcuni anni, in modo del tutto casuale, Živago riincontra il suo fratellastro, Yevgraf (da sempre fervente comunista, aveva fatto carriera nell'Armata rossa, arrivando fino al grado di generale) che, resosi conto della difficile situazione del fratello, lo aiuta economicamente e si attiva per fargli occupare un posto degno in un grande ospedale, posto che però non potrà mai occupare, perché Živago, dopo pochi mesi, viene stroncato da un infarto. Ai funerali, tra la folla convenuta, segno che la fama di Živago era ben superiore a quanto anch'egli credesse, partecipa anche, sconvolta dal dolore, Lara arrivata da poco a Mosca e che abitava, senza saperlo, nelle vicinanze del dottore di cui continuava a essere innamorata. Lara ed Yevgraf, nei giorni successivi decidono di raccogliere e far pubblicare, in maniera sistematica, gli scritti di Živago, ma la donna non potrà portare a termine l'opera: "Un giorno Larisa Fëdorovna uscì di casa e non ritornò più. Evidentemente fu arrestata per strada. E morì o scomparve chissà dove, numero senza nome di qualche irrintracciabile elenco, in uno degli innumerevoli campi di concentramento comuni, o femminili, del Nord". L'epilogo del libro si ha nell'estate del 1943, durante la seconda guerra mondiale, quando Dudorov e Gordon, diventati ufficiali dell'esercito, durante un trasferimento incontrano la lavandaia Tanja che racconta loro la sua triste storia, dalla quale i due capiscono trattarsi della figlia nata dalla relazione di Živago con Lara. Il dottor Zivago è l’occasione di rivalsa per Pasternak su un’epoca che lo ha oppresso, isolato e perseguitato: il protagonista, sconfitto e sballottato dalla Rivoluzione, è un uomo rassegnato ad essere oggetto di una storia che lo controlla e lo ignora; la sua rivalsa è un rapporto diretto con la vita, che nemmeno il fragore esterno riesce a distruggere, il romanzo si conclude infatti con una dolorosa vittoria esistenziale. Il romanzo, nonostante il fondo storico, oscilla perennemente tra realtà e magia e l’unico personaggio artisticamente credibile è quello di Lara, personificazione di un eterno femminino del poeta: Lara è la donna che Zivago conosce in circostanze tragiche, che ritrova fatalmente, dando vita insieme a lei ad una perfetta unione con la natura russa, che poi perde nuovamente e definitamente a causa delle circostanze esterne. Tra le righe della narrazione si manifesta uno dei momenti più alti della lirica di Pasternak: i versi del dottor Zivago. In questi versi, dotati di una grande essenzialità, Pasternak trova un nuovo modo di esprimersi: influenzato dalle avanguardie, egli elabora una poesia più semplice e lineare, diverso da quello metaforico e simbolico iniziale. Nonostante le tensioni dell’attualità Pasternak resta sempre fedele a se stesso, trovando un nuovo e diverso modo di esprimersi in ogni stagione della sua vita e della storia russa. BULGAKOV La normativa del realismo socialista non impedì del tutto la pubblicazione di testi letterari: Bulgakov ad esempio riuscì a sfuggire alle più dure forme di repressione e, nel momento in cui si trovò bisognoso di aiuto, si rivolse direttamente all’autorità suprema, cioè a Stalin. Egli fu aiutato da Stalin stesso in seguito al divieto di rappresentare I giorni dei Turbiny e fu Stalin a permettergli di partire e a dargli la possibilità di guadagnarsi la vita presso il Teatro d’Arte di Mosca, in cui lavorò come assistente regista e librettista. SI tratta di uno degli eccezionali casi in cui Stalin prese le difese degli intellettuali perseguitati. Fra gli anni Trenta e Quaranta la letteratura di Michail Afanas’evic Bulgàkov è diversa ed <<alternativa>>, i suoi romanzi rimasti inediti sono due: Teatral’nyj roman (Romanzo teatrale), in cui con vena satirica vengono mostrati gli intrighi della vita <<dietro le quinte>> di un teatro, e Master i Margarita (Il maestro e Margherita), la più importante opera dell’autore. TRAMA Affresco composto di numerosi episodi collegati fra loro, il romanzo si svolge su due principali piani narrativi, ai quali corrispondono due differenti ambientazioni. La prima di queste è la Mosca degli anni trenta del Novecento, in cui si trova in visita Satana nei panni di Woland (Воланд), un misterioso professore straniero, esperto di magia nera, attorniato da una cricca di personaggi alquanto particolari: il valletto Korov'ev (Коровьев), soprannominato Fagotto (Фагот), un ex-maestro di cappella sempre vestito con abiti grotteschi, il gatto Behemot (Бегемот)[8], il sicario Azazello (Азазелло)[9], il pallido Abadonna (Абадонна), con il suo sguardo mortale e la strega Hella (Гелла)[10]. L'arrivo del gruppo porta scompiglio non solo fra i membri di un'importante associazione letteraria sovietica, la MASSOLIT[11], che ha sede presso la Casa Griboedov, luogo di convegno dell'alta società moscovita, ma in tutta Mosca. Libro primo L'inizio del romanzo si svolge agli stagni Patriaršie di Mosca e presenta un diretto confronto tra il presidente della MASSOLIT, Michail Aleksandrovic Berlioz (Михаил Александрович Берлиоз)[12] ed un gentiluomo forestiero che dice di essere esperto di magia nera, Woland, appunto. Testimone dell'incontro è il giovane poeta Ivan Nikolaevič Ponyrëv (Иван Николаевич Понырëв), detto Bezdomnyj (Бездомный in russo significa "senza casa"). La discussione verte intorno a questioni filosofiche riguardanti l'esistenza di Dio. Woland cerca di convincere i suoi atei e scettici interlocutori che Gesù è esistito davvero, affermando di avere assistito di persona al suo processo a Gerusalemme, di essere stato anche ospite a colazione da Kant, e dicendo persino di sapere come e quando morirà Berlioz. Ritenendo di essersi imbattuto in un folle, o peggio in una spia straniera, Berlioz si allontana per chiedere aiuto. Il letterato esce dal parco ignorando i discorsi di un vagabondo un po' insolente (Korov'ev), ma, arrivato al cancello, trova la morte esattamente come previsto da Woland. Questi tragici eventi si svolgono sotto gli occhi di uno sconvolto e disperato Ivan, che tenterà di far catturare la banda e di informare tutti dei loro poteri magici, ed invece sarà internato in un manicomio, perché ritenuto malato di schizofrenia. Nella sua stanza dell'ospedale psichiatrico Ivan riceve la visita di un altro paziente, uno scrittore condotto alla disperazione dal rifiuto dimostrato dalla casta dei critici letterari sovietici nei confronti del suo romanzo su Ponzio Pilato. Il visitatore dice di essere un Maestro e di non avere più un nome.[13] Raccontando la sua storia, il Maestro rievoca la sua personale discesa verso la pazzia: come l'amore l'avesse folgorato improvvisamente un giorno di primavera, gli incontri segreti nel suo seminterrato con lei che era una donna sposata, la stesura finale del romanzo, le stroncature della critica che lo accusarono di voler «introdurre nella stampa un'apologia di Gesù Cristo», gli incubi notturni, quindi la decisione di dare alle fiamme la sua opera e di fuggire, lasciando la sua amante. Egli ora vive così in ospedale in uno stato di totale lontananza dal mondo reale; ascoltando l'inverosimile racconto di Ivan e, sorpreso dal sentire il nome di Ponzio Pilato, svela al poeta che il professor Woland è proprio Satana. Nel frattempo Woland e la sua banda hanno preso possesso con l'inganno dell'appartamento di Berlioz, mentre l'altro inquilino della casa, Stepan Bogdanovič Lichodeev, il direttore del Teatro di Varietà di Mosca, dopo aver scritturato Woland per uno spettacolo di magia nera, viene spedito istantaneamente con un incantesimo di Azazello a Jalta sul Mar Nero. Il seguente spettacolo di magia nera al Teatro di Varietà è un avvenimento sconvolgente che mette a nudo la vanità, l'avidità e la crudeltà dei cittadini di Mosca. Il romanzo del Maestro La seconda storia, che si sviluppa nel corso dell'intero romanzo interrompendo la narrazione principale sui fatti di Mosca, rievoca gli avvenimenti accaduti a Gerusalemme durante il periodo pasquale al tempo del procuratore romano Ponzio Pilato. L'ambientazione è di fatto introdotta quando agli stagni Patriaršie Woland racconta a Berlioz di essere stato presente al processo al "mite predicatore" Jeshua Ha-Nozri (Gesù), mentre poi questa storia prosegue riportando direttamente alcune pagine del perduto romanzo del Maestro che si soffermano su ciò che accadde a Pilato durante il processo e nei giorni successivi la morte di Ha-Nozri. Sin dall'inizio, Pilato viene colpito dall'atteggiamento e dai discorsi di Yesua, che si dice convinto della bontà di ogni essere umano e sostiene che Dio è uno. La storia prosegue con altre intromissioni nella narrazione, passando per la crocifissione, il patimento di Levi Matteo che giunge a maledire Dio per una tale ingiustizia, infine i tormenti di Ponzio Pilato, concludendosi con le parole: «il crudele quinto procuratore della Giudea, il cavaliere Ponzio Pilato» Libro secondo Nella seconda parte del romanzo appare finalmente Margherita Nikolaevna (Маргарита), l'amante che il Maestro ha abbandonato dopo una relazione segreta durata mesi. La bella e infelice donna non ha rinunciato a ritrovare il suo amante, anche se ne ignora la sorte. Il mattino dopo gli eventi al teatro di Varietà Margherita si ridesta dopo un insolito sogno che le fa credere che presto rivedrà il suo amato; uscita di casa senza una meta precisa, assiste nei pressi del muro del Cremlino al passaggio del corteo funebre di Berlioz e viene avvicinata da un bizzarro sconosciuto (Azazello). Mosca - Il Cremlino all'inizio del Novecento Lo sconosciuto sembra che riesca a leggere i pensieri di Margherita ed ha un "affare" da proporre alla donna: un invito per la sera stessa a casa di uno straniero (Woland) dove la donna potrebbe finalmente sapere qualcosa del suo amato Maestro. Margherita, scossa ma piena di speranza, accetta, ricevendo da Asasiello una crema che dovrà passare su tutto il corpo prima di recarsi all'incontro. La crema ha un effetto miracoloso: Margherita, in un attimo ancor più bella e ringiovanita, come una strega, invisibile a cavallo di una scopa, spicca il volo sulle strade e sui tetti di Mosca nella notte illuminata dalla luna piena. Il suo primo obiettivo sarà l'abitazione del feroce critico Latunski, principale responsabile della sfortuna del Maestro. Arrivata in volo a destinazione la strega mette a soqquadro la casa e procede inesorabile nell'opera di devastazione, interrotta solo nel momento in cui Margherita si accorge che in un altro appartamento c'è un bimbo solo e impaurito nel suo lettino che chiede aiuto. Dopo questa pausa di tenerezza Margherita "rientra" da strega nel mondo della notte e vola nuda al di sopra delle fitte foreste e sui fiumi della Madre Russia. Ritornata infine a Mosca, alla casa occupata da Woland, Margherita accetta la proposta di Fagotto di essere la "regina" del gran ballo del plenilunio di primavera, o "ballo dei cento re", che si tiene la notte che coincide con il Venerdì Santo. Al fianco di Woland accoglie tutti i personaggi tetri ed oscuri della storia che escono dalla porta aperta dell'Inferno. Margherita sopravvive a questa straordinaria prova senza cedere e si guadagna così, col dolore e l'integrità, la possibilità che il diavolo esaudisca il suo più profondo desiderio: ritrovare il Maestro. Desiderio esaudito: il Maestro appare nella stanza e riceve il manoscritto del romanzo, ritornato integro dopo che era stato dato alle fiamme. I due amanti, poveri ma felici, potranno così tornare nello scantinato in cui hanno vissuto la loro storia d'amore. Nel finale del romanzo tornano in scena anche i personaggi della "storia antica" che si fonde così con la storia attuale: Levi Matteo riferisce a Woland che Jeshua ha letto il romanzo del Maestro e desidera che lo scrittore riceva la "ricompensa del riposo": «non ha meritato la luce, ha meritato la pace». Questo incarico passa da Woland ad Azazello che offre agli amanti dell'antico vino Falerno, uccidendo i due[14] ed al tempo stesso rendendoli immortali. Woland ed i suoi accoliti, tornati tutti al loro vero aspetto, si allontanano in volo da Mosca, la mattina della Domenica di Pasqua, e accompagnano i due amanti in un luogo remoto ove si trova una figura solitaria, l'antico procuratore della Giudea (insieme al suo cane), che da millenni si tormenta per aver condannato ingiustamente Jeshua, quando invece avrebbe avuto la possibilità di ascoltare le sue parole di saggezza. Il Maestro chiede ed ottiene che Pilato sia finalmente liberato dal suo tormento ed infine i due amanti vengono lasciati insieme in un "eterno rifugio", dove trovano la serenità. Il libro si conclude con le stesse parole del romanzo del Maestro: «il crudele quinto procuratore della Giudea, il cavaliere Ponzio Pilato». Il Maestro e Margherita è un’opera complessa, organizzata su due livelli. Il primo riprende la vitalità della tradizione gogoliana, nella descrizione di una Mosca contemporanea, in cui l’apparizione di personaggi fantastici e demoniaci (Woland e il suo seguito) provoca uno scontro catastrofico tra una mentalità burocratica e materialistica le forze <<soprannaturali>>, che grottescamente fanno riferimento ai meccanismi diabolici del tempo di Stalin. Mediatrice tra il Maestro e Woland (Satana) è Margherita, una donna che nel suo amore disinteressato e dedizione al Maestro, è pronta a trasgredire anche le norme morali, avendo legami con forze sovrannaturali. I personaggi soprannaturali di Woland e dei suoi accompagnatori diventano infatti quasi più umani dei personaggi della quotidianità moscovita, soprattutto quella letteraria, in cui si possono riconoscere gli esponenti della critica del tempo. Un secondo livello del romanzo è poi la reinterpretazione <<moscovita>> della storia di Gerusalemme: il rapporto tra Jeshua (Gesù), presentato come un poeta-filosofo vagabondo, e Ponzio Pilato è simbolo del conflitto tra l’arte e il pragmatismo politico dei potenti. Ponzio Pilato resterà solo un’aggiunta necessaria alla figura di Jeshua, ma anche Jeshua resterà inconcepibile se non messo in relazione con il potere: nella notte pasquale questi due personaggi saranno compagni inseparabili, mentre degno di disprezzo sarà solo Giuda, simbolo degli effetti negativi di un apparato statale repressivo. La favola <<moscovita>> è legata a quella di Gerusalemme attraverso la figura del Maestro, autore del romanzo su Ponzio Pilato: il Maestro viene rappresentato come un pensatore e scrittore faustiano, esposto ai soprusi e alle prepotenze dell’apparato culturale dominante, che verrà ricoverato in una clinica psichiatrica. Alla fine del romanzo egli resterà un personaggio senza nome, simbolico portatore dell’idea dell’eternità
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