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Riassunto quasi completo del libro Arte, una storia naturale e civile Vol 2., Dispense di Storia dell'arte medievale

Riassunto molto preciso e quasi completo del secondo volume del testo sopra citato. Per ogni spiegazione ho aggiunto anche l'immagine annessa. NB: non sono presenti tutte le opere al suo interno.

Tipologia: Dispense

2020/2021

Caricato il 05/01/2024

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Scarica Riassunto quasi completo del libro Arte, una storia naturale e civile Vol 2. e più Dispense in PDF di Storia dell'arte medievale solo su Docsity! Lineamenti Storici Allora tre città primeggiano nel grande scenario del Mediterraneo tra quinto e sesto secolo d.C.: Ravenna Costantinopoli e Roma. Ravenna capitale: nessuna città italiana conserva tante testimonianze architettoniche artistiche del quinto secolo quanto Ravenna; infatti, la città romana nel 402 venne elevata quasi all'improvviso al rango di capitale. Fu infatti agli inizi del quinto secolo che si decise di trasferire la Corte imperiale da Mediolanum, Milano, a Ravenna. La scelta di una nuova capitale si dimostrò molto efficace: nel 410 Roma venne sediata e conquistata dai visigoti di Alarico. Il famoso sacco di Roma segnò la fine di un'epoca. Proprio i visigoti di Alarico riuscirono anche a catturare la figlia dell'imperatore Teodosio, Galla Placidia. Tornata a Ravenna dopo la morte di Ataulfo, Galla Placidia sposò il generale Flavio Costanzo, più tardi imperatore con il nome di Costanzo III. In seguito in Europa centrale verso ovest e verso sud arrivarono nuovi popoli: Goti, i vandali, i burgundi, i franchi e gli alemanni. Nel 476 viene deposto l'ultimo imperatore d'occidente Romolo e il potere passò ad un re barbaro Odoacre dopo poco più di 10 anni arrivò un nuovo popolo gli ostrogoti guidati da Teodorico che dopo aver eliminato Odoacre divenne egli stesso sovrano dando vita a un Regno romano barbarico. Sotto l'operato di Teodorico venne avviata una politica di grandi restauri venne risistemato l'acquedotto di Ravenna e ci fu una ripresa dell'attività edilizia, Ravenna Verona e a Pavia. Nel frattempo, in Oriente, Giustiniano riuscì ad insediarsi come imperatore proprio l'anno seguente la morte di Teodorico iniziò così quella che viene definita un'età d'oro per la storia dell'arte. Giustiniano e l’Avorio Barberini: Sotto il periodo di giustiniano venne creata l'opera nota come avorio Barberini, che prende il nome dalla collezione romana in cui era conservato dagli inizi del diciassettesimo secolo. Nel pannello centrale viene riconosciuto l'imperatore Giustiniano a cavallo, in abiti militari nell'atto di conficcare a terra una lancia; In basso la personificazione di Tellus, la Terra, gli sostiene il piede destro. Come si vede, per celebrare Giustiniano viene proposta un'articolata simbologia del trionfo, dell'abbondanza del dominio e della sottomissione secondo forme già ampiamente sperimentate nell'arte di età imperiale di Roma. Capitolo I L’età d’oro di Ravenna: l’arte di una capitale tra V e VI secolo. Ravenna: la forma della città: In Emilia Romagna, Ravenna è l'unica città di Fondazione romana che non si trova sulla via Emilia Ravenna ha addirittura conservato lo stesso nome che aveva nell'antichità; la forma della città moderna-cosa che si ripete del resto per tutti i centri fondati in età romana tra conserva tracce consistenti delle vicende storiche dell'età imperiale in poi: nella zona sud-ovest si trovava la porta aurea, rimasta integra fine all'età rinascimentale sì la cattedrale il suo Battistero sorsero proprio entro il perimetro della città quadrata, gli altri edifici sacri eretti tra quinto e sesto secolo si distribuirono sia nella zona più a nord che in quella ad Est. Alle necropoli fu riservata l'area verso il mare: lo dimostrano gli scavi del diciannovesimo secolo e la posizione del mausoleo di Teodorico. Ben conservato è anche Sant’Apollinare in Classe, anche in questo caso il toponimo moderno, Classe, deriva direttamente da quello antico. Gli anni di Galla Placidia e della fine dell’impero. Anche se diversi monumenti antichi sono andati distrutti, Ravenna tutt'oggi possiede un notevole numero di edifici databili alla fase finale del mondo antico: uno di questi è senz'altro il mausoleo di Galla Placidia, piccolo edificio cruciforme che prende il nome dall'imperatrice; il mausoleo arriva fino a noi intatto. Il piccolo edificio a pianta cruciforme oggi è isolato ma in origine era collegato al suo nartece, cioè al suo portico addossato alla facciata appunto è probabile che Galla Placidia avesse pensato a questo ambiente per la propria sepoltura. L'aspetto esterno è quanto mai semplice: esso presenta un paramento murario e laterizio, animato dalla sene arcate cieche della lunetta di fronte all'ingresso, c'è san Lorenzo vestito con la toga che si dirige verso una graticola; ci sono altre scene figurate anche nelle altre lunette: nei bracci laterali che , due cervi si abbeverano; È un richiamo al salmo 42; i sottarchi e le volte sono rivestiti da un'impressionante serie di motivi decorativi e liberate variazioni di forme vegetali e geometriche. La Domus dei tappeti di pietra Una delle più importanti scoperte archeologiche effettuate a Ravenna negli ultimi decenni riguarda l'edilizia residenziale privata tra quinto e sesto secolo. Si tratta della cosiddetta Domus dei tappeti di pietra, venuta alla luce nel 1993 all'interno della settecentesca chiesa di Sant’Eufemia. Il proprietario di questo edificio era certamente un personaggio di altissimo rango sociale, poiché ebbe il potere di modificare la topografia della città in quel punto preciso; il pavimento al centro un emblema con la danza dei geni delle stagioni: diversamente abbigliate, quattro figure si prendono per mano e girano in tondo al suono di un raro strumento a fiato, che un quinto personaggio in tunica bianca tiene tra le mani. La riconquista bizantina: la Basilica di San Vitale Poco più di 10 anni dopo la morte di Teodorico, avvenuta nel 526, l'esercito di giustiniano riconquistò Ravenna poco prima che avvenisse questo grande mutamento politico, sotto la guida del vescovo Ecclesio., iniziò la costruzione della basilica di San vitale. Il finanziatore Della Chiesa fu il banchiere Giuliano, lo stesso che curò la costruzione di altre due chiese ravennati, Sant’Apollinare in Classe e San Michele in Africisco. L'edificio è a pianta ottagonale, preceduto da un lungo atrio, un'nartece, appoggiato a uno degli angoli del poligono. L'interno non suggerisce un'unica direzione visiva ma a una pluralità di punti di vista, entro i quali quello verso il presbiterio, la zona destinata ai sacerdoti, è particolarmente marcato dalla ricchezza dei mosaici. Anche i capitelli imposta, non appartengono alla tradizione occidentale, ma trovano precisi confronti in edifici sacri del medesimo periodo a Costantinopoli. Il raffinatissimo traforo che assomiglia a un tessuto lavorato a merletto è la conferma di una visione artistica che predilige la bidimensionalità e la leggerezza delle forme I Mosaici San Vitale e il vescovo Ecclesio vengono presentati a Gesù Tutte le pareti attorno all’altare, la volta sovrastante e l'abside sono rivestite di mosaici i colori squillanti e l'abbondanza dei motivi decorativi servivano a suggerire al fedele di allora un ambiente paradisiaco i mosaici accanto all'altare si incentrano su scene di sacrificio dell'antico testamento. E la conca absidale, San vitale, il martire cui è dedicata la chiesa, viene presentato da un Angelo a Gesù, il quale, giovanile imberbe, siede su un globo azzurro rappresentante dell'universo. Dalle rocce più sotto escono i quattro fiumi del paradiso descritti nella genesi; a destra un altro angelo presenta Gesù Ecclesio, che era il vescovo in carica all'inizio dei lavori e che per questo tiene in mano una chiesa in miniatura, come segno di offerta a Dio Giustiniano e Teodora Poco sotto questa grandiosa scena, due gruppi di persone procedono verso l'immagine di Cristo: sono i protagonisti dei celebri mosaici che descrivono l'imperatore giustiniano da una parte (sinistra) e l'imperatrice Teodora dall'altra (destra) Giustiniano non venne mai a Ravenna, ma la sua immagine serviva a rendere visibile il recentissimo cambiamento dello scenario politico che aveva riportato alla città nella sfera di Costantinopoli nel riquadro con l'imperatore vediamo a sinistra 5 soldati della guardia del corpo- ben visibile il monogramma di cristo sui loro scudi-, quindi due dignitari che indossano una clamide e poi giustiniano con indosso un abito sfarzoso da cerimonia e con un grande bacile d'oro nelle mani. Accanto a giustiniano c'è un altro dignitario quindi tre membri del clero: tra essi spicca il vescovo Massimiano che tiene in mano un libro dei Vangeli con la copertina rivestita di gemme con un altro diacono che regge il turibolo in cui veniva bruciato l'incenso. Il mosaico di fronte mostra invece 7 dame riccamente vestite al seguito dell'imperatrice Teodora, che ha sul capo il camaleuco, un copricapo a forma di cesta con gioielli e perle per trattenere in modo ordinato i capelli. Sul manto sono ricamate le figure dei Magi in un evidente parallelismo. Infatti, Teodora ha in mano un calice tempestato di gemme e sembra dirigersi verso due dignitari, uno dei quali sta scostando una tenda. Proprio questo gesto indica che il gruppo si sta muovendo. Con queste due opere gli artisti hanno voluto descrivere una processione quasi disinteressandosi dell'effetto di movimento. I personaggi si sono girati verso lo spettatore e, fissandolo, gli comunicano il proprio grado attraverso gli abiti volti e la rispettiva posizione nell'ordine di corteo. Il momento aureo di Ravenna Ingresso Sant’Apollinare Sant’Apollinare in preghiera, mosaico Capitolo 2 L’arte bizantina e la fioritura dell’arte islamica Santa Sofia a Costantinopoli Anche oggi nel panorama di Istanbul, l'antica Costantinopoli, spicca la grandiosa sagoma della Chiesa di Santa Sofia trasformata in moschea dopo la conquista da parte dei turchi nel 1453. Anche la chiesa precedente a quella attuale, costruita all'inizio del quinto secolo, era intitolata alla Sofhìa, La Sapienza di Dio. Quella chiesa più antica venne distrutta durante la cosiddetta rivolta di nika nel 532; Nello stesso anno l'imperatore giustiniano, in carica tra il 527 e il 565, decise di ricostruire l'edificio; il progetto e la sua realizzazione furono affidati ai Isidoro di Mileto il vecchio e ad Antemio di Tralles. La costruzione della Chiesa fu quanto mai rapida, se si pensa che venne conclusa in solo 5 anni e infatti crollo nel 500 la ricostruzione fu affidata a un altro architetto, Isidoro il giovane che ne modificò il profilo alzandola di circa 6 m ma mantenendo il diametro di oltre trenta metri. Una volta entrati constatiamo che il compito di sostenere la cupola è affidata ai quattro enormi pilastri che occupano lo spazio centrale del rettangolo costituente il perimetro della Chiesa; nonostante questo, abbiamo come l'impressione che lo sforzo sia compiuto dai pennacchi, quei triangoli curvilinei che dalla base della cupola vanno assottigliandosi verso il basso, ma si tratta solo di un effetto visivo poiché il peso della cupola è effettivamente sorretto dai pilastri. Dopo avere analizzato minuziosamente la chiesa, Procopio concluse dicendo che tutti gli elementi connessi tra loro in modo incredibile hanno come effetto un'armonia unica e straordinaria nell'opera. La visione muta di continuo e gli spettatori non riescono a scegliere un dettaglio su cui indirizzare la propria ammirazione. Effettivamente si osserviamo la pianta di Santa Sofia, vedremo che i quattro grandi pilastri su cui poggia la cupola sono collegati tra loro con il resto dell'edificio da un elaborato sistema di colonnati, esedre e volte. Avvertiamo che si tratta di uno spazio vasto, ma tuttavia non riusciamo a dominarlo interamente con lo sguardo, perché c'è sempre qualche struttura architettonica che si interpone tra noi e le pareti perimetrali. Il codice di Rossano Una cittadina del meridione, Rossano Calabro, conserva uno dei più importanti libri illustrati della prima età cristiana, il più antico codice illustrato dei Vangeli arrivato fino a noi: il codice purpureo di Rossano. Non si tratta solo di un oggetto rarissimo, ma di un'opera di alta qualità tecnica e artistica: i fogli di pergamena furono immersi nella porpora per far assumere loro il colore che nel mondo romano rappresentava il potere imperiale i testi dei Vangeli vi sono illustrati da miniature ora a piena pagina ora con scene di minori dimensioni disposte nella parte alta o nella parte bassa La scena in cui Cristo viene condotto davanti a Pilato occupa quasi tutto lo spazio della pagina. Il governatore romano siede su un trono, dietro di lui due guardie, accanto sono piazzati due quadri su cui sono raffigurati i personaggi a mezzo busto, certamente dei ritratti ufficiali. Pilato guarda verso i due ufficiali che scortano Gesù e le due guardie che trascinano barabba. Pilato deve scegliere tra l'uno e l'altro. L'artista ha prestato grande attenzione ai gesti e agli atteggiamenti nella parte inferiore della pagina, barabba viene costretto a piegare la testa a tenere le mani legate dietro la schiena come si addice a un prigioniero una delle guardie ci volge le spalle così l'ufficiale alla sua sinistra: il pittore tenta in questo modo di rendere la diversità di posizioni e di movimenti all'interno di un unico ambiente la composizione caratterizzata da un così grande respiro spaziale, dipende forse da un ciclo pittorico monumentale. Tra le molte ipotesi sul luogo di esecuzione del codice sembra prevalere quella siriaca, forse la stessa Antiochia. L’arte islamica Gerusalemme tramonto cristiano e mondo islamico. L'imperatore giustiniano intraprese un'impegnativa politica di rinnovamento urbano anche in Palestina a Betlemme venne ingrandita la basilica della Natività fondata da Costantino; a Gerusalemme fu risistemata l'arteria porticata, fu fondata nel 453 una basilica dedicata a Maria, che il popolo chiamava Nea ekklesìa nuova chiesa. La chiesa è riconoscibile accanto al cardo nella cosiddetta Mappa di Madaba. Gerusalemme nella mappa di Madaba Dopo la chiesa del Santo sepolcro voluta da Costantino la Nea ekklesìa accentuò la dimensione cristiana della città a discapito di quella ebraica. Nel 614 Gerusalemme fu poi conquistata dai persiani e in seguito venne presa infine dagli arabi nel 637. Il volto della città cambiò nuovamente e gli edifici della religione islamica andarono ad addensarsi nella zona orientale, in particolare in quella che oggi viene chiamata spianata delle moschee. La cupola della roccia Gerusalemme Il primo edificio assorgere sulla spianata per iniziativa di Abd al Malik, califfo della dinastia degli omayyadi, fu la cupola della roccia, un edificio a pianta centrale che conserva ancora la sua struttura originaria. La cupola poggia su una serie di pilastri alternati a tre colonne; segue poi un ambulacro a pianta ottagonale a sua volta costituito da pilastri e coppie di colonne. Il ricorso all'ottagono e alla cupola e la prova che i modelli di riferimento furono quelli dell'architettura tardo antica e bizantina. Le scene della navata destra Tra le altre scene della navata destra spiccano i protagonisti di un episodio narrato nella Bibbia, nel secondo libro dei Maccabei destinati al martirio assieme alla loro madre Salomone e a Eleazaro La cappella di Teodato I due spazi a sinistra e a destra dell'abside ripropongono forme di pensioni dei pastophoria, gli ambienti destinati alla preparazione della liturgia che caratterizzano le più antiche chiese bizantine. L’immagine qui mostrata riporta un’iscrizione che rivela il nome di chi offri gli affreschi: Teodoto, un alto funzionario della Chiesa Romana vissuto al tempo di papa Zaccaria. Sotto la croce vi sono Maria, San Giovanni e in secondo piano il centurione Longino con un altro soldato; Gesù veste il colobium, la tunica dei monaci e dei membri del clero e tiene gli occhi aperti. In quest'opera il legame con la tradizione bizantina è evidente dall'impaginazione generale della scena, ma anche dai dettagli come la fila di irregolari gradini rocciosi, che fanno apparire i personaggi come disposti su una sorta di palco. Le icone di Maria a Roma La presenza nella Roma alto medievale di alcune icone di Maria è un'altra prova della penetrazione di modelli di forme dell'impero d'oriente tra sesto e settimo secolo. La Madonna Hodighìtria del Pantheon Una delle più importanti e certamente l'icona della vergine conservata da secoli nel Pantheon, la chiesa di Santa Maria ad Martyres. La Madonna della Clemenza di Santa Maria in Trastevere. La datazione delle icone romane dell'alto medioevo è molto discussa, ma forse si può attribuire agli anni del papato di Giovanni VII la cosiddetta Madonna della clemenza in Santa Maria in Trastevere. La Vergine col bambino è seduta su un trono, tra due arcangeli vestiti con tuniche bianche. La corona sul capo identifica la Vergine come regina proprio come in uno dei più antichi affreschi della parete palinsesto di Santa Maria Antigua. Tipi iconografici di Maria Vergine Tra le icone mariane, alcune erano attribuite alla mano di san luca evangelista altre erano ritenute addirittura acheropite, ovvero non eseguito da mano umana, ma di origine divina. La fama di queste immagini fu così grande che esse furono replicate per secoli secondo lo stesso schema in modo da conservarne di effetti miracolosi. L'immagine della vergine seguì perciò dei tipi iconografici precisi, che i pittori adottarono di volta in volta come fossero formule fisse. Uno dei più diffusi fu quello della Madonna Hodighìtria. in questo tipo iconografico, la Vergine a volte viene raffigurata a figura intera. Un altro tipo iconografico e quello della vergine Blaherniotìssa che prende il nome di un quartiere di Costantinopoli quello delle Blacherne. Qui si trovava una chiesa dedicata a Maria in cui si venerava una sua immagine nell'atteggiamento di orante: la Vergine è in piedi con le braccia alzate e aperte in quello che era il gesto della preghiera degli antichi e dei primi cristiani. Il tipo della Haghiosoritìssa prende il nome dall'icona venerata nella cappella della Haghìa Soròs a Costantinopoli. Nella cappella, la Vergine è raffigurata a mezzo busto e parzialmente di profilo nell'atto della preghiera come si vede nella Madonna già nel monasterium Tempuli e oggi in Santa Maria del Rosario a Roma. C'è infine il tipo di Maria regina ben rappresentata a Roma dalla cosiddetta madonna della clemenza in Santa Maria in Trastevere Maria Haghiosoritìssa detta anche Madonna di San Luca abbazia di Pomposa Sono abbazie rurali anche Sesto al Reghena, Nonantola, Pomposa, San Salvatore sul Monte Amiata sant’Antimo (Siena) Capitolo 5 Oreficeria e motivi ornamentali longobardi L’attrazione per l’ornamento i manufatti Longobardi più antichi provengono quasi unicamente da corredi funerari. Nel medesimo tempo, essi prediligevano le oreficerie: esibire oggetti in oro e pietre preziose significava dimostrare la propria posizione sociale il prestigio acquisito. I Longobardi, come altri popoli del mondo antico, deponevano accanto al defunto oggetti che erano appartenuti loro in vita: accessori legati al vestiario e, per gli uomini, anche armi e parti dell'armatura le fibule e le armi Un esempio eloquente è la fibula il disco scoperta in una tomba femminile a Parma tg caratterizzata da una decorazione chiamata cloisonné: l'orafo ha realizzato una serie di minutissimi alloggiamenti in oro. La decorazione si sviluppa lungo tre corone attorno al tondo centrale, che doveva contenere una pietra preziosa andata perduta. Gli studiosi un tempo attribuivano fibule come questa a botteghe longobarde ma oggi ritengono che siano opera di orafi bizantini che cercavano di soddisfare il gusto dei nuovi arrivati imitando oreficerie della tradizione tardo antica e barbarica, in particolare ostrogota. Negli oggetti rinvenuti nelle sepolture di alto rango è sempre evidente la ricerca della preziosità, tanto più quanto si congiunge un'arma come la spada, strumento di guerra e simbolo del potere politico. Quella che è stata scoperta nella necropoli di Nocera umbra apparteneva certamente a un personaggio di alto livello sociale poiché l'impugnatura è rivestita di decorazioni in oro con inserimenti di almandino. Le crocette auree. A volte l’oro basta a sé stesso, come nel caso delle cosiddette croci Bratteate, dal latino bracteatus “ricoperto di lamine di metallo”. Queste crocette auree sono oggetti tipici della cultura longobarda usate sempre in contesti funerari tra sesto e settimo secolo: venivano molto probabilmente cucite sui vestiti o su un velo posto sul petto del defunto. Si tratta di piccole lamine in oro a forma di croce con bracci di uguale lunghezza. Un esempio è la croce del museo archeologico di Cividale che presenta sui quattro bracci fitti intrecci bordati da perlinatura; verso l'incrocio, essi si concludono con un volto umano dai capelli lunghi. Il recupero dei motivi classici. Il frontale di Agilulfo Una delle testimonianze più importanti e più antiche dell'uso delle immagini da parte dei Longobardi è la lamina in origine montata sulla parte frontale di un elmo oggi conservata a Firenze; al centro, Agilulfo siede sul trono; due figure alate gli si avvicinano con le gambe a compasso nel faticoso tentativo di indicare che stanno volando: sono due vittorie, che reggono una cornucopia e un labaro, su cui è scritto Victoria. Seguono, sia a destra che a sinistra, due coppie di offerenti che portano corone sormontate da croci. Chiudono la scena due torri che simboleggiano il palazzo o la città in cui si svolge l'evento. L'immagine prende senza dubbio un modello le scene di omaggio all'imperatore da parte di popoli stranieri, ben attestate nell'arte romana. La copertina dell’Evangelario di Teodolinda Si deve alla moglie di Agilulfo, la regina Teodolinda la copertina che rivestiva una copia lussuosa dei Vangeli è solo uno dei doni preziosi che Teodolinda fece alla basilica. Nella parte orientale dell'impero, Costantinopoli, avevano speso grandi somme per costruire nuove chiese sia Giustiniano che altri esponenti dell'aristocrazia come Anicia Giuliana. I due lati della copertina presentano un'elaborata cornice costituita da alveoli che contengono granati; Entro la cornice si trova una croce a bracci espansi punteggiata di pietre preziose smalti; nei quattro spazi accanto ai bracci della Croce sono incastonati altrettanti cammei, a loro volta abbordati da cornicette a squadra. Loro e le gemme servono ad esaltare il tema della Croce; La loro preziosità circonda di luce il segno cristiano per eccellenza, cosicché lo splendore dei materiali ti viene splendore simbolico. Anche i cammei fanno parte di questa trasformazione di significati: i volti non rappresentano persone precise, ma servono ad arricchire la lucente bellezza dell'oggetto. Uno degli otto lati sul fronte battesimale presenta un pluteo commissionato da un successore di Callisto il patriarca Sigualdo; Il tema è quello della Croce e dei quattro esseri viventi dell'apocalisse di Giovanni. Tre scultori e un ciborio Lo schema adottato per il fonte battesimale di Callisto è diffuso anche in altre località durante l'ottavo secolo; in un paese dell'attuale provincia di Verona, San Giorgio di Valpolicella si conserva un monumento simile per strutture e decorazioni: il ciborio di Orso, Gioventino e Gioviano. Ciò che rende speciale questa scultura e la firma, scritta logicamente in latina, degli autori su una delle colonnine: “il maestro Orso con i suoi discepoli Gioventino e Gioviano, innalzò questo ciborio”. I nomi degli autori sono accostati a quello del re longobardo Liutprando così che riusciamo a datare anche questo ciborio in modo preciso. Il tempietto di Cividale A Cividale è possibile rinvenire il tempietto di Santa Maria in Valle. Esso è costituito da un’aula alta circa dieci metri e coperta da una volta a crociera; il presbiterio è invece coperto da tre volte a botte che sono sorrette da archi travi e da coppie di colonne. Per quanto piccolo, l'edificio aveva in origine un aspetto ricco e sontuoso, a cominciare dal rivestimento in lastre marmoree abbelliva le pareti fino a quasi 3 m di altezza. Nella zona alta della parete nordoccidentale del tempietto corrono due fregi paralleli stucco con fiori a 8 petali in erano inserite piccole ampolle in vetro. Tra i due fregi, sono raffigurate in alto rilievo sei sante in piedi; quelle più vicine alla finestra sono leggermente girate aprono le mani in segno di devozione rivolte verso il centro della parete. Le altre quattro Sante invece sono ritratte frontalmente ed indossano abiti estremamente raffinati e stringono nelle mani una croce e una corona. Una larga aureola circonda il capo di tutte le 7 figure femminili. Più in basso sopra la porta d'ingresso un elaborato archivolto ancora in stucco alterna cornici con fiorellini ha un raffinatissimo fregio con grappoli e foglie di vite; quest'ultimo è traforato, come il coronamento, a foglie stilizzate. Da secoli non si vedevano figure tanto imponenti e in rilievo da essere quasi paragonabili a statue. Brescia La Chiesa di Desiderio e Ansa Oltre a Cividale un altro importante centro longobardo in Italia settentrionale fu Brescia. Nel 753 il duca Desiderio e sua moglie Ansa fondarono il monastero femminile di San Salvatore. La chiesa del complesso monastico, perciò, dovette essere concepita come segno visibile del potere dei fondatori; anche per questo Ansa fece portare qui importanti reliquie, in particolare quelle di Santa Giulia dall'isola di Gorgona. La chiesa di San Salvatore divenne anche un mausoleo della dinastia, perché vi furono sepolti Desiderio e Ansa. Benevento Il Longobardi si spinsero ben più a sud di Spoleto e dell'Umbria occupando Abruzzo Molise e Campania e parte di Puglia e Calabria, zone di confine con l'impero bizantino. La chiesa di Santa Sofia Arechi II, a capo del Ducato di Benevento dal 758, fondo nella città campana la chiesa di Santa Sofia, con la funzione di cappella e di palazzo. La dedica alla Sofia, ricorda quella delle più importante chiesa di Costantinopoli, ma la struttura architettonica è del tutto originale con la sua pianta a forma stellare e un doppio giro di colonne. Nelle due absidiole restano poche tracce del ciclo di affreschi che raccontava a episodi del Vangelo di Luca. L'abbazia di San Vincenzo al Volturno Una simile forza espressiva si trova nella crocifissione un affresco della cripta della Chiesa abbaziale di San Vincenzo al Volturno in Molise abbazia fondata nel corso dell'ottavo secolo è divenuta nel corso del nono secolo sempre più ricco e potente grazie all'appoggio degli Arechi e della nobiltà longobarda. Grandi lettere che richiamano la forma delle capitali romane indicano nome e ruolo dell'abate mentre si inginocchia devotamente ai piedi della Croce. Appena sopra di lui, Maria si slancia verso Gesù ancora vivo; a destra San Giovanni porta la mano sul volto e si piega dalla parte opposta della Croce; i vestiti di Maria e Giovanni, con pieghe ripetute gonfie d'ombra, sottolineano i movimenti dei due. Viaggi e contatti fra l'Italia ed Europa del nord Anche se non si direbbe che territori così lontani potessero essere in contatto, l'Italia e le isole britanniche durante il settimo e l'ottavo secolo ebbero importanti rapporti culturali nei decenni successivi il fenomeno del pellegrinaggio verso la sede del papato condusse nel nostro paese anche a Bobbio a molti esponenti del clero e delle aristocrazie insulari. Un codice sul Monte Amiata È proprio della fine del settimo secolo il cosiddetto codice sul Monte Amiata oggi a Firenze. Il codice era un dono per il Papa da parte dell'abate inglese Ceolfrid. È un grande codice della Bibbia Miniato attorno al 700 nei monasteri di Jarrow e Wearmuth in Northumbria. Il testo deriva dalle bibbie che cassiodoro aveva fatto eseguire per il monastero di Vivarium in Calabria. Una miniatura mostra il personaggio biblico di Esdra, che secondo la tradizione riscrisse ad essi sacri dopo l'esilio babilonese del popolo ebraico. Il caso del Codex Amiatinus si può riassumere così: i testi sacri miniati monasteri italiani arrivano fino alle isole britanniche e vengono presi a modello per i nuovi codici che a loro volta possono essere inviati nel nostro paese. L'evangeliario di Lindisfarne Su una piccola isola vicino alle coste della Northumbria venne scritto uno dei capolavori della miniatura altomedievali: l'evangeliario di Lindisfarne, Così chiamato dal nome del monastero in cui venne realizzato e a cui era destinato. Colui che scrisse e decoro il codice si chiamava Eadfrith, che fu a capo del monastero e vescovo dell'isola tra il 698 e il 721 e che per alcuni anni si dedicò alla faticosa confezione del libro. La pagina con l'inizio del Vangelo di Giovanni si apre con una sorta di esplosione delle prime tre lettere di in principio. Esaltazione per nulla casuale, visto che il vangelo di Giovanni inizia proprio con la celebrazione della parola come essenza stessa di Dio. Accanto a pagine come questa troviamo quelle con le figure degli evangelisti inquadrate in modo simile a quello dello scriba Esdra del Codex Amiatinus: è la prova che anche Lindisfarne erano arrivati i modelli grafici da centri monastici italiani. Codici miniati a Bobbio Immagine dal libro pagina 80. Diversi codici irlandesi arrivarono a Bobbio insieme ai pellegrini diretti a sud; di uno di questi resta il frammento di solo quattro pagine appartenenti a un evangeliario degli inizi del nono secolo, oggi a Torino. In quest'opera il pittore immagine nel momento solenne del secondo ritorno di Cristo come una scena del tutto astratta dalla realtà. La decorazione a intreccio Una delle maggiori innovazioni dei secoli che stiamo osservando nel tempo dell’ornamentazione fu senz'altro l'introduzione e la diffusione dell'intreccio la cui idea non è tratta dalla natura ma da oggetti fabbricati dall'uomo come i canestri realizzati con i vimini e un processo di lento distacco dal mondo naturale e le immagini e le opere registrano fedelmente. La mimesis che aveva contraddistinto l'intera civiltà classica viene ora sostituita dal piacere per la decorazione astratta. Capitolo 7 L’arte dell’Età carolingia Rinascenza carolingia? In passato si è parlato spesso di rinascenza carolingia per indicare la consistente presenza di motivi classici nell'arte dell'ottavo e del nono secolo. La cappella palatina di Aquisgrana Carlo Magno fece portare marmi antichi dall'Italia fino in Germania proprio per ribadire questo legame con la storia antica; a proposito del palazzo di Carlo ad Aquisgrana il cronista Eginardo ricorda proprio che non avendo la possibilità di procurarsi altrove colonne e marmi per la sua costruzione, li fece venire da Roma e da Ravenna la cappella palatina di Aquisgrana offre una chiara prova di quanto fosse importante il modello di Ravenna la politica carolingia o la struttura architettonica della cappella infatti imita deliberatamente la basilica di San vitale; anche qui la pianta è ottagonale, preceduta da due torri scalari che conducono ai matronei, a loro volta caratterizzati da logge trifore; lo spazio interno è nobilitato dai marmi venati che rivestono le pareti. Derivano da modelli antichi anche i parapetti bronzei delle logge dei marroni, così come le decorazioni con teste di Leone del grande portale di bronzo. Un'opera d'oro e d'argento: l'altare di Vuolvinio Basilica di Sant’Ambrogio a Milano Dell'età tardoantica in poi, nell’Europa della crisi dell’Impero Romano e dell'immigrazione dei popoli del nord, l'oreficeria occupa un ruolo centrale nella scena artistica. La più importante opera d’oreficeria di tutta l'Europa carolingia, arrivata fino a noi. è l'altare di Vuolvinio nella basilica di Sant'Ambrogio a Milano; l'altare è rimasto nel luogo originario, mantenendo nei secoli la stessa funzione. I quattro lati dell'altare sono rivestiti da una decorazione estremamente varia nei materiali, nelle tecniche, nei temi narrati per immagini la fronte divisa invece in tre scomparti in quello centrale le cornici formano una croce che contiene la figura di cristo trionfante e i quattro esseri viventi dell'apocalisse di san Giovanni. Nei quattro spazi al di fuori della Croce si raggruppano i 12 apostoli a tre a tre; Nei due compartimenti laterali 12 formelle d'oro approfitto rettangolare raccontano episodi della vita di Cristo. Anche il retro dell'altare è suddiviso in tre scomparti: in quelli laterali 12 formelle d'argento dorato raffigura un episodi della vita di Sant'Ambrogio vescovo di Milano dal 374 al 397 non mancano però gli episodi più vivaci come quelli in cui si racconta la fuga e il ritorno di Sant'Ambrogio a Milano: il Santo fugge dalla città, ma viene persuaso dallo Spirito Santo a tornare loro cerca di rendere il ripensamento di Ambrogio con il brusco movimento all'indietro del suo corpo, talmente rapido da coinvolgere anche il cavallo Il committente e l'artista il compartimento centrale lato posteriore ospita infatti la stella cioè la finestrella formata dalle due piccole ante che presentano quattro tondi due in alto gli arcangeli Michele e Gabriele; sotto, a sinistra, Sant'Ambrogio che incorona l'arcivescovo Angilberto. La testa di Angilberto è circondata da una regola di forma quadrata- nimbo quadrato-, soluzione usata nell'alto medioevo per indicare che il personaggio in questione era ancora vivo; il tondo di sinistra celebra dunque con forza il committente dell'altare l'arcivescovo che in pieno nono secolo riorganizzò la diocesi milanese in linea con la politica imperiale. Nel tondo accanto a quello di Angilberto, a destra, il Santo protettore di Milano in corona questa volta lo stesso Vuolvinio che però non ha aureole come Angilberto, ma riceve pur sempre una simbolica corona anch’egli, indossa un abito nobile e viene lodato da una scritta che ne sottolinea la qualità. Iconografie consuete rare Le scene dipinte sulle pareti dell'abside sono disposte su due registri e si susseguono l'una all'altra senza cornici altri elementi di divisioni; gli affreschi sono estremamente interessanti sia sul piano iconografico sia su quello stilistico. Una scena del tutto inusuale nell'arte dei primi secoli del cristianesimo è infatti quella della prova delle acque amare che si riferisce a un episodio narrato in alcuni dei Vangeli apocrifi. Non è l'unico episodio derivato dai Vangeli apocrifi. Nella scena della Natività una delle levatrici è ritratta nell'atto di sorreggersi una mano; è infatti rimasta ustionata penalizzata perché non aveva creduto alla verginità di Maria e aveva voluto verificarla. Le scelte iconografiche e persino i dettagli secondari come le bracae (indumenti maschili simili a calzoni) tipicamente orientale dei Magi, riannodano gli affreschi alla cultura artistica tardo antica e della prima età bizantina. Capitolo 8 L’arte dell’età ottoniana Gli Ottoni e l'idea di Roma: le miniature L'evangeliario di Liuthar L'arte della miniatura di età ottoniana offre uno straordinario esempio di come il potere politico e quello religioso si sostenessero l'un l'altro recuperando modelli celebrativi antichi: il cosiddetto evangeliario di Liuthar. In una pagina del codice è dipinto Liuthar un monaco dell'abbazia di Reichenau. Ottone terzo è ritratto nello stesso modo in cui nei secoli precedenti era stato dipinto Cristo: su un trono, entro una mandorla, sovrastato dai simboli dei quattro Evangelisti ripresi dall'apocalisse di Giovanni; il trono è sostenuto da una figura maschile inginocchiata virgola che rappresenta bene l'idea di soggezione al potere assoluto. Bernoardo a Hildesheim Nell'anno in cui morì Edgberto a Hildesheim un'altra città tedesca divenne vescovo nobile della Sassonia, Bernoardo già precettore di Ottone III. A lui si deve la chiesa del monastero di San Michele le due coppie di torri e le solide strutture che li affiancano all'esterno ricordano il Westwerk, letteralmente opera a ovest. Si deve alla committenza di Bernardo un monumento unico come la colonna bronzea destinata alla chiesa di San Michele che doveva servire da sostegno per il cielo Pasquale: alta quasi 4 m, la colonna avvolta da un bassorilievo a spirale cioè che racconta 24 episodi della vita di Gesù. Il vescovo Leone a Vercelli Nella primavera del 1001 Bernoardo si recò a Vercelli in visita al Leone, un ecclesiastico legato come lui agli ottoni virgola che era stato nominato vescovo della città dal 998. Ehi durante l'episcopato di Leone venne eseguito il colossale crocifisso e lamina d'argento sbalzata che si trova nel Duomo della città di Vercelli. Il Cristo dal corpo possente e con una corona sul capo ha gli occhi aperti: si tratta dell'iconografia del Christus Triumphans, trionfante, che indicava la vittoria sulla morte e la redenzione degli uomini dal peccato. Gli occhi presentano l'iride rossa e L'organizzazione dello spazio Compattezza e saldezza sono obiettivi che gli architetti si prefiggono anche all'interno degli edifici. Lo spazio tridimensionale definito da una volta e dai quattro pilastri che ne portano il peso e la campata: il succedersi di campate da luogo; perciò, ha uno spazio caratterizzato da volumi distinti e concatenati, uno spazio ben diverso da quello pacato e uniforme delle basiliche paleocristiane. Le pareti interne degli edifici romanici, in conclusione, presentano un'organizzazione del tutto nuova e un'articolazione più complessa rispetto a quelli alto medievali. La fusione di architettura e scultura Uno degli aspetti che maggiormente caratterizzano l'arte romanica in tutta Europa è il rapporto tra architettura e scultura. Nelle chiese romaniche ci sono senz'altro spazi privilegiati per la scultura, ma non esistono neppure limiti netti: i portali sono spazi prediletti; infatti, le parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni “io sono la porta” offrire agli architetti romanici l'occasione per caricare di uno speciale valore simbolico all'ingresso delle chiese. Quello che accade ai capitelli è indicativo. Ereditato dall'architettura romana, il capitello Corinzio continuava ad avere un ruolo importante, ora con un trattamento del tutto canonico, ora con varianti più o meno accentuate. Gli esempi in Europa: centri irradiatori del romanico: le abbazie e le cattedrali Negli ultimi decenni, gli studiosi si sono trovati d'accordo su un punto: in quel grandioso fenomeno artistico che definiamo romanico non c'è stato un solo centro irradiatore. Protagoniste di questa lenta, ma grandiosa evoluzione del linguaggio, furono in tutta Europa le chiese di grandi abbazie le cattedrali delle città. Un’abbazia prima di tutto: quella di Clooney in Francia. Essa fu uno dei luoghi in cui si tentò di reagire all'invadenza nel potere imperiale e dei grandi feudatari tentava di esercitare nei confronti dello spazio religioso. Oltre alle abbazie, un ruolo sempre maggiore venne assunto dalle cattedrali. La chiesa abbaziale di San Philibert a Tournus La solenne facciata della Chiesa abbaziale di San Philibert a Tournus è un esempio dell'uso generalizzato della pietra. La chiesa vera e propria è preceduta da un atrio che affiancata da due torri di diversa altezza: la facciata affiancata da torri, deriva dall'architettura carolingia e precisamente dal Westwerk. La chiesa abbaziale di Jumièges la cattedrale di Spira L'idea della facciata inquadrata da due torri è presente anche nella chiesa abbaziale di Jumièges, oggi in rovina. La cattedrale di spira offre uno degli esempi più antichi di adozione delle volte di un coerente sistema di sostegni in pietra; Alla fine dell'undicesimo secolo vennero innalzate grandi volte a crociera appoggiate agli archi trasversali. Questi ultimi scaricano il loro peso su possenti semicolonne che si congiungono i pilastri, definendo una sequenza di sei grandiose campate. Capitelli e portali scolpiti alcuni dei più straordinari capitelli figurati dell'intera storia dell'arte romanica furono eseguiti nella chiesa di Saint Lazar ad Autun da Gislebertus- I capitelli figurati possono costituire un intero ciclo, come avviene nell'abbazia di Saint Pierre a Moissac, località tra bordeaux e Tolosa, lungo la strada che portava a Santiago de Compostela, la città spagnola che ancora oggi conserva le reliquie di san giacomo maggiore ed è perciò una delle più importanti mete dei pellegrinaggi medievali. Uno degli esempi più rilevanti di portale scolpito e proprio a Moissac. La scena nel grande timpano è tratta dall'apocalisse di San Giovanni. Più in basso, da un lato e dall'altro, le figure di Isaia e San Pietro, mentre sul pilastro che sostiene l'architrave al centro, detto trumeau, si dipingono coppie di leoni e leonesse. Questi episodi vennero raffigurati nel transetto poco dopo la metà del XIII secolo: le due scene servivano a ribadire la perdurante devozione per San Marco e a sottolineare la speciale santità della Chiesa; in fondo alla chiesa le donne, precedute dagli uomini, quindi il clero, poi dignitari e i procuratori, il dolce e il vescovo come si nota dalla scena della preghiera in cui si descrivono sia all'interno sia all'esterno della basilica, il profilo delle cupole era molto differente da quello attuale decisamente più basso. L'esterno i trofei della quarta crociata l'esterno di San Marco è costituito da pezzi di dimensione materiali, colori differenti: una sorta di museo all'aperto di esposizione della decorazione scultorea bizantina forse in seguito al saccheggio di Costantinopoli del 1204 che arrivarono a Venezia anche alcuni dei pezzi di oreficeria che compongono uno degli oggetti d'arte più straordinari del medioevo italiano: la Pala d'oro, composta da legno, oro argento, smalto, perle e pietre preziose. La basilica patriarcale di Aquileia La basilica di San Marco a Venezia non è l'unica testimonianza del dominio quasi assoluto che la cultura bizantina esercito sull'area dell'alto Adriatico tra XI e XIII secolo. Gli affreschi della cripta Nella cripta le pareti e le volte vennero rivestite di affreschi agli inizi del XII secolo. Vi si raccontano episodi della passione di Cristo, ma anche della vita di San Marco di sant’Ermagora, di San Fortunato. Il racconto e gli affreschi stabilivano così un legame diretto tra Aquileia e un Santo importante come Marco, di cui però era Venezia vantare le reliquie Una delle scene più riuscite e quella della deposizione mentre a destra e si avvicina San Giovanni piangendo e Nicodemo si accinge a staccare i chiodi dai piedi di Cristo, Maria e San Pietro e ne sorreggono il corpo inerte. Il pittore ha adottato schemi certamente bizantini; Lo dimostra un mosaico frammentario della fine del XI secolo appartenente alla prima fase della decorazione di San Marco a Venezia: le quattro donne sulla sinistra della scena sono disposte allo stesso modo e piangono esattamente come quelle dell'affresco di Aquileia, coprendosi il volto con l'abito e con le mani. È la prova che il pittore era culturalmente vicino agli artisti bizantini attivi in San Marco a Venezia. Sant'Ambrogio a Milano Mentre Friuli e Veneto furono sensibili al linguaggio artistico bizantino il resto dell'Italia settentrionale andava in una direzione diversa ed elaborava temi e forme tipici già dell'età ottoniana. Dalla basilica paleocristiana alla chiesa romanica Se ne ha una prova nella chiesa di Sant'Ambrogio a Milano, l'edificio che conserva le reliquie del Santo patrono della città. Ambrogio era stato vescovo di Milano dal 374 fino alla sua morte, e tra le sue iniziative architettoniche c'era stata anche la costruzione della Basilica Martyrum, intitolata ai martiri Gervasio e Protasio; l'edificio cambio dedica quando il Santo stesso vi venne sepolto nel 397. La struttura della basilica paleocristiana si mantenne fino al 784, quando presso la chiesa venne fondato un monastero benedettino e si insediò una comunità di sacerdoti. La chiesa, priva di transetto, è preceduta da un grande quadriportico su pilastri di eccezionali dimensioni. il colore dominante è il rosso dei mattoni che si combina con la pietra grigiastra dei pilastri. La facciata a capanna si innesta sul lato corto del quadriportico. Da una parte e dall'altra della facciata si innalzano due campanili a pianta quadrata a destra quello dei monaci e a sinistra quello dei canonici L’interno Grandi novità riserva l'interno: scompaiono le colonne della primitiva chiesa fondata da Sant'Ambrogio, per lasciare il posto a una serie di massicci pilastri che si alternano a pilastri minori. Questi grandi supporti servono a sostenere le ampie volte a crociera costolonate che coprono la navata maggiore. Si rinnovano le strutture e l'aspetto dello spazio interno. A questa nuova scansione dell'Interno si adeguano anche ai capitelli, il cui schema complesso deriva dalla struttura articolata dei pilastri. Il capolavoro di Lanfranco e Wiligelmo: Il Duomo di Modena La strada intrapresa dal romanico padano ha nel Duomo di Modena uno degli esempi più precoci e rappresentativi basta un'occhiata rapida per accorgersi che si tratta di tutt'altra atmosfera rispetto a Venezia. Infatti, nel Duomo di Modena, almeno nella fase più antica, tutto è invece proiettato all'esterno, con sculture che punteggiano ogni zona dell'edificio e si congiungono saldamente con le strutture architettoniche. Una relazione preziosa C'è un documento straordinario che descrive uno scenario entro cui sorse l'attuale cattedrale modenese si tratta del manoscritto conservato nell'archivio capitolare presso il Duomo stesso; L'antico e il nuovo testamento si congiungono di nuovo nel portale centrale, preceduto da un protiro, una sorta di piccolo portico che culmina con un’arcata ed è sostenuto da due colonne. All'esterno degli stipiti, Wiligelmo riprende il motivo del tralcio abitato. Alla base degli stipiti esterni incontriamo una figura che in Wiligelmo diventa un tema ricorrente, il telamone, un personaggio che sorregge una struttura architettonica. lI telamone e un corpo umano che si salda alle strutture in animate dell'edificio, la figura in cui si realizza perfettamente la fusione tra architettura e scultura voluta sin dall'inizio da Lanfranco che caratterizzerà poi le chiese romaniche. (vedere immagine pagina 140) La lezione dell'antico Nella parte mediana della facciata, due genietti nudi alti spingono verso terra una torcia per spegnerla. Wiligelmo conosce dunque l'antico e lo ammira, ma il suo linguaggio non è fatto di citazioni riscopre la corporeità delle figure nel primo bassorilievo; nel secondo riprende la forza dei gesti che esprimono da sempre il dolore; nel terzo bassorilievo imprime una improvvisa quanto drammatica accelerazione al ritmo del racconto: il colpo che Caino sfera ad Abele è un vero sussulto. Infine, nell'ultimo bassorilievo riesci a passare dal tono violento dell'uccisione di Caino a quello pagate solenne della scena in cui i figli di Noè escono dall'arca. Il maestro di Artù Basterebbe la personalità di Wiligelmo per rendere unico il Duomo modenese, ma attorno a lui lavorarono anche altri artisti che pur seguendo il suo esempio, furono capaci di esprimere un linguaggio personale uno di essi è colui che lavoro al portale detto della pescheria, sul lato settentrionale della cattedrale; i temi scolpiti sugli stipiti e sull'architrave sono quanto mai vari. Ciò che più colpisce però è, sulla, la scena in cui alcuni cavalieri assaltano un castello dove è rinchiusa una donna: si tratta di Artù e dei cavalieri della tavola rotonda una leggenda che non era ancora stata fissata per iscritto nella letteratura europea e che quindi era arrivata qui a Modena grazie ai racconti dei pellegrini in viaggio dal Nord Europa fino a Roma Nicolò A Ferrara: il Duomo in tutta Italia settentrionale le cattedrali sono un segno della vita politica delle città agli inizi del XII secolo, una vita tutt'altro che immobile, anzi in continua evoluzione. portale e protiro I committenti del Duomo di Ferrara furono differenti: il comune, il vescovo e le famiglie nobili che stavano dalla sua parte. Anche a Ferrara, dunque come a Modena, il Duomo fu voluto dalle diverse forze politiche della città e non solo dal vescovo. Come a Modena, anche qui a Ferrara un protiro precede il portale vero e proprio: due telamoni poggiano su due leoni accosciati e sostengono le colonne. San Giovanni Evangelista e San Giovanni Battista indicano-nel punto più alto dell'arco-Gesù rappresentato come agnello di Dio. Il portale A differenza di quanto aveva fatto Wiligelmo nel portale del Duomo di Modena egli non lasciò vuota la lunetta, ma anzi vi collocò l'impresa più importante del Santo titolare della Chiesa: la lotta di San Giorgio con il drago nel suo momento culminante. Dopo aver conficcato una lancia tra le fauci del mostro, il Santo ha girato il cavallo e agita la spada per finire l'animale. In questo modo si mostrano le due armi per eccellenza-la lancia e la spada-dell'armamento dei cavalieri, come anche la maglia metallica, lo scudo, i finimenti della cavalcatura. Appena sotto la lunetta, l'architrave accoglie entro piccole arcate episodi della vita di Gesù: La visitazione, la Natività, l'Annuncio ai pastori, l'Adorazione dei magi, la Presentazione al tempio, la Fuga in Egitto, il Battesimo di Gesù. La venuta del Redentore e annunciata da altre quattro figure che Si incuneano tra le strombature del portale, i profeti Geremia, Daniele, Isaia ed Ezechiele, ciascuno con cartigli che contengono lunghe scritte. (immagine dal libro pagina 143) Nicolò a Verona: San Zeno La chiesa di San Zeno fu oggetto di un ampio rinnovamento agli inizi del XXI secolo la chiesa di San Zeno fu oggetto di un ampio rinnovamento gli inizi del XII secolo. Il protagonista di questo rinnovamento fu Nicolò. Rilievi della facciata A Modena il programma decorativo della facciata è incentrato sul primo libro della Bibbia, la Genesi. e l'adorazione dei Magi. Anche in questo portale lo scultore cerco delicate disarmonie: al centro una Vergine rigida e rigorosamente frontale ai lati l'agitarsi delle mani e delle gambe dei pastori e dei Magi. L'architrave ospita tre medaglioni con le personificazioni della fede della carità e della speranza, virtù cristiane per eccellenza. Un altro cambio di tono è quello delle strombature del portale. Due slanciate figure di guerrieri armati di tutto punto presidiano infatti l'ingresso.; sulla spada di uno dei due si legge DURINDARDA, strano nome che però non lascia dubbi, oggi come medioevo, nei fedeli che entravano in chiesa: è il nome della spada di Orlando. I due guerrieri sono dunque Orlando e Oliviero, gli eroi della chanson de geste. (immagini pagina 147) Il senso della loro presenza doveva essere altrettanto chiaro: come una volta Orlando Oliviero difesero con le armi e con il loro coraggio la cristianità, così ora proteggono la chiesa di Dio. Come nel caso di re Artù a Modena, gli eroi della Chiesa cortese entravano nello spazio sacro, evocando racconti la cui fama a testa alla cultura dell'artista e fa da ponte fra la storia degli uomini e la storia sacra. Capitolo 11 Le cattedrali e le chiese delle città: Pisa e il Sud Italia Un grandioso scrigno di pietra: il Duomo di Pisa In lunghe scritte su pietra, incise sulla facciata della cattedrale di Santa Maria Assunta- il duomo di Pisa-, si parla di guerre. Sono le spedizioni che le flotte di Pisani condussero sul mare contro gli arabi ottenendo schiaccianti vittorie a Messina, in Sardegna, abbona. In una di queste epigrafi viene descritta come un animato reportage di guerra, la conquista di Palermo e viene ricordata, nello stesso tempo la Fondazione del Duomo, avvenuta nel 1063. Il progetto di Buscheto La grandiosa cattedrale dedicata a Maria Assunta divenne allora espressione visibile dell'imponente espansione politica e mercantile delle città del Mediterraneo. Le iscrizioni vengono concentrate nella zona sinistra della facciata del Duomo Infatti, è qui che si legge una delle più belle iscrizioni in onore di un'artista medievale, quella per Buscheto, il primo architetto della cattedrale. Il colore bianco della Chiesa e quanto l'iscrizione vuole sottolineare, dal momento che era proprio quello che colpiva gli uomini dell'epoca; era stato infatti un Monaco, Rodolfo il glabro annotare che tutta l'Europa si stava allora rivestendo di un candido manto di nuove chiese; anche il colore oltre alle dimensioni contribuiva a far spiccare la cattedrale rispetto agli edifici circostanti e nel paesaggio perché ben visibile da lontano. L'iscrizione in lode di Buscheto affermava che il tempio in candido marmo non aveva precedenti, eppure l'architetto seppe fare i conti con la tradizione. Il progetto pur essendo del tutto originale, è risaputo che Buscheto guardava anche all'arte e all'architettura orientale; ed è sempre in oriente che si possono trovare precedenti esempi di losanghe che percorrono tutto l'esterno. Uno dei segni più impressionanti di questo sguardo rivolto all'arte orientale e il Grifone Bronzeo al culmine dell'abside maggiore: si trattava in origine di un getto di Fontana, opera realizzata nella Spagna araba nel XI secolo. L'interno Buscheto progetto una grandiosa chiesa a 5 navate sorrette da gigantesche colonne; alcune di esse vennero eseguite appositamente mentre altre erano di spoglio, cioè tratte dalle rovine antiche. D’altra parte, il fenomeno del ripiego che caratterizza tutto il medioevo italiano ed europeo qui a Pisa assunse proporzioni mai viste prima: infatti non sono capitelli o colonne, ma anche sarcofagi, rilievi basi, cornici, vennero presi da fabbriche classiche e riusati in punti diversi del grande edificio. Un grande transetto a sua volta costituito da tre navate con absidi suoi due d'estate, interrompere 5 navate; All'incrocio tra quella maggiore e il transetto, sorge una cupola a spicchi impostata su un ottagono e di profilo ovoidale alla fine delle navate più piccole, ci sono due scali monumentali che conducono ai matronei, una vera e propria chiesa superiore. Adottare i coronati e al di sopra una copertura con travi lignee significava collocarsi nella scia della grande architettura paleocristiana. A volte, nel nostro immaginario, una città coincide con un monumento; è proprio quello che avviene nel caso di Pisa il cui simbolo è proprio la torre campanaria, ovvero la Torre di Pisa. Ma a cosa si deve la sua fama? Nel caso di Pisa l'immensa notorietà della torre nasce dalla sua straordinaria pendenza è insomma una situazione curiosa e rara ad attirare l'attenzione sulla torre; Eppure, ci sono altri episodi altrettanto singolari che rimangono nell'ombra. Per restare fra le torri campanarie romaniche, chi direbbe che esiste un campanile doppio, un campanile matrioska? A Bologna la cattedrale di San Pietro ha un grande campanile a base quadrilatera che risale alla seconda metà del XVI secolo, ma al suo interno c'è ancora il precedente campanile cilindrico, databile tra il decimo e l'undicesimo secolo: quello più moderno ha letteralmente inglobato quello più antico. Naturalmente, affermare che la celebrità della Torre di Pisa deriva dalla sua strabiliante inclinazione non significa sostenere che il campanile non abbia alcuna importanza, tanto più che oggi possiamo dire di riconoscere con certezza il nome del suo architetto: Bonanno Pisano, già attivo nel Duomo come scultore. Il Battistero di San Giovanni a Firenze Nella prima cantica della commedia, Dante racconta un fatto che gli era successo anni prima: mentre assisteva a un rito battesimale, un ragazzo immerso nell'acqua rischio di annegare; Per salvarlo allora Dante ruppe la vasca, forse di terracotta. La scena si svolse in quello che il poeta, con tono carezzevole, chiama il mio bel San Giovanni, il Battistero di Firenze. La bellezza di questo edificio, come dimostra anche il passo dantesco è indiscussa da secoli; è stata invece oggetto di dibattiti infiniti, la sua datazione dal Trecento si sono alternate opinioni contrastanti sul Battistero; chi lo voleva antico a chi lo considerava di età paleocristiana, chi di epoca romanica. Le indagini recenti hanno definitivamente tolto ogni dubbio: si tratta di un edificio medievale. La pianta dell'edificio è ottagonale, ha cioè quella forma che dall'età paleocristiana diviene canonica per i battisteri; l'abbiamo incontrata anche a Ravenna e continuerà a essere usata in Italia ancora nel 200 e nel 300. La struttura architettonica i suoi modelli antichi l'esterno è ovunque rivestito di pietra; mentre nel Duomo di Buscheto e Rainaldo dominava il candore delle pietre bianche e grigie, qui a Firenze vennero usati serpentino verde di Prato e il bianco di Carrara. Le pietre bianche e verdi vennero tagliate congiunte in modo tale da formare compartimenti geometrici sempre varianti per profilo e misura nella zona più bassa due lesene ne dividono il lato in tre in campi entro cui si dispongono delle serie di rettangoli di altezza diversa. Regna dappertutto un ordine misurato, un ritmo regolare di superfici scandite da pochissimi elementi scultorei a quanto pare nel progetto originale dell'esterno non c'era alcuna scultura figurata e non se ne trovano esempi fino agli inizi del 200 con i doccioni con teste di animali e in seguito con le porte bronzee di Andrea pisano e quelle quattrocentesche di Lorenzo Ghiberti. Più che nell'adozione di figure geometriche regolari, il classicismo dell'anonimo architetto del Battistero consiste in questo desiderio di esattezza, di precisione, nelle cornici che separano gradatamente una zona dall'altra ne profili minuziosamente scolpiti delle finestre. Del resto, sono proprio questi elementi che caratterizzano il romanico fiorentino; li ritroviamo anche nella facciata della Chiesa di San Miniato al Monte. Le combinazioni di marmi verdi e bianche nella zona più bassa sono ancora semplici come all'esterno ma si fanno sempre più complesse a mano a mano che si sale e a livello dei matronei anche all'interno la scultura sottolinea i passaggi architettonici con scansioni sottili quanto nette; le lesene sono scanalate e rudentate come nell'architettura antica. Dai tessuti al pavimento Tra il dodicesimo e il tredicesimo secolo la gestione dell'edificio passò nelle mani dell'Arte di Calimala, la potente corporazione che riuniva i mercanti di stoffe. Una delle prime iniziative più rilevanti di questa fase è la decorazione del pavimento. La superficie ottagonale venne suddivisa in tanti settori, triangolari, quadrati o rettangolari. L'area in prossimità della porta orientale è sovrabbondante di motivi e di soluzioni nuove; è qui che si trova il grande riquadro dello zodiaco, con figure bianche su fondo scuro, in accordo con la bicromia che governa l'esterno e l'interno del Battistero il quadrato contiene un doppio rosone; Nel primo i 12 tondi con i segni zodiacali sono separati da colonnine e circondati da una elaborata vegetazione; Al centro del secondo rosone si riconosce l'immagine del sole, circondato da una frase a dir poco speciale: “Sole avvitandosi su me stesso compio dei cicli e ruoto con il fuoco”. Tutto attorno al rosone maggiore ruota una lunga iscrizione, accuratissima nelle forme grafiche, dove vi si dichiara l'orgoglio per l'opera compiuta e vi si celebra il committente, che è la città tutta. Una bellezza cinematografica: San Pietro a Tuscania Beno e Maria sono i committenti anche di un altro episodio, purtroppo oggi rovinatissimo; il fallito tentativo di mettere in prigione il Santo da parte dei suoi persecutori il prefetto romano Sisinnio, sulla destra, dà ordini ai suoi uomini, e lo fa con le parole che non lasciano dubbi sul suo umore e sulle sue intenzioni: “Figli di puttana, tirate!” Questo è ciò che dice Sisinnio rivolgendosi ai suoi uomini che credono di aver preso san Clemente: ma al posto del Santo gli uomini si ritrovano a trascinare una pesante colonna. Sotto le due arcatelle al centro della scena altre iscrizioni propongono la giusta interpretazione dell'episodio: “per la durezza dei vostri cuori avete meritato di trascinare delle pietre”. San Nicola a Bari Una chiesa per le reliquie del Santo Bari si trovava in un'area politicamente molto instabile già dall'alto medioevo; era infatti una zona di influenza dell'impero bizantino ma anche un obiettivo delle incursioni saracene e poi dell'espansione normanna. L’abate Elia Nello stesso 1071, cambiò anche l'abate di una delle più importanti istituzioni religiose della città, il monastero di San Benedetto. E in questo arco di tempo, precisamente nel 1087 che un evento incise sia sulla vita religiosa sia sulla storia artistica di Bari tre punti un gruppo di 62 marinai baresi trafugò dalla città di Myra (Turchia) le reliquie di San Nicola. Assente Da Bari il vescovo Urso, le reliquie furono prese in affidamento dall'abate media che fece costruire una chiesa dedicata al nome e all'onore di San Nicola nell'area che prima era occupata dal palazzo pubblico. La chiesa è a tre navate e tre absidi, che all'esterno sono chiuse da un muro rettilineo che va a congiungersi al transetto; All'interno, per la prima volta nell'area pugliese, compaiono i matronei la facciata, in pietra chiara come tutto il resto dell'edificio, è affiancata da due possenti torri a base quadrangolare, ben diverse l'una dall'altra nell'altezza e nella struttura. La decorazione scultorea della cripta è interessante anche perché è certamente databile entro la fine dell'undicesimo secolo; i capitelli, che presentano soprattutto motivi vegetali e figure di animali, a volte risentono di modelli ornamentali bizantini ma spesso dimostrano che gli scultori conoscevano bene il romanico della pianura padana. La cattedra dell'abate Elia La scultura più rilevante di San Nicola si trova nel presbiterio la cattedra marmorea di Elia, sulla quale egli sedeva in qualità di arcivescovo; sulla fronte il seggio è abbellito da piccoli animali compresi entro di quadri romboidali. Tutt'altra cosa la zona inferiore dell'opera, che si anima all'improvviso con sculture a tutto tondo: l'artista, infatti, ha immaginato che il piano della cattedra sia sostenuto in parte da piccole colonne, in parte da figure umane. Nella parte posteriore, in mezzo alle tre colonnette, due leonesse stanno azzannando degli uomini; Sul davanti, invece, due uomini seminudi e inginocchiati sorreggono la cattedra. Non c'è dubbio che queste sculture, in particolare i due telamoni, abbiano un sapore antico, vale la pena notare che l'arcivescovo elia, in punto di morte, venne sepolto in un sarcofago romano con figure di filosofi, oggi posto lungo la scala d'accesso alla cripta. Ogni tanto, nella storia dell'arte, ci imbattiamo in veri e propri problemi: la cattedra di Elia è uno dei maggiori per quanto riguarda l'Italia meridionale in età romanica. Non hanno precedenti né di iconografia né lo stile: non c'è infatti alcun confronto nell'arte meridionale dell'epoca, mentre il richiamo all'antico e la forte espressività delle figure ricordano il linguaggio di Wiligelmo nel Duomo di Modena. Alcuni studiosi ritengono che la cattedra sia stata realizzata non al tempo di elia, ma alcuni decenni più tardi Trani L'inconfondibile paesaggio urbano di Trani, sulla costa pugliese a nord di Bari, nasce da una scelta compiuta alla fine del quinto secolo quella di costruire la cattedrale a pochi metri dal mare; Questo edificio sorto in età tardo antica venne del tutto rinnovato alla fine del XI secolo, quando si decise di riporvi le reliquie di San Nicola Pellegrino, morto a Trani nel 1094. Accanto alla facciata sorge il campanile, eretto nel XVI secolo da un Nicolò, sacerdote e protomaestro. Agli inizi del XVI secolo sorsero anche la chiesa della Trinità è quella di Sant'Andrea sorge sul mare poco a ovest della cattedrale anche il castello Svevo eretto verso la metà del tredicesimo secolo. Duomo di Otranto dal libro perché alle 22:20 ho dimenticato di riassumerlo. Uno sforzo regale: la cappella palatina di Palermo palazzo dei Normanni il destino Della Sicilia durante il medioevo non fu affatto l'isolamento. I re Normanni, che alla fine dell'undicesimo secolo avevano conquistato Palermo e il resto dell'isola strappandola gli arabi, fondarono un Regno in cui riuscirono a convivere elementi culturali bizantini, arabi occidentali; la popolazione di Palermo era estremamente composita dal punto di vista sociale e culturale e lo dimostra la presenza di almeno quattro lingue diverse. Palermo e Ruggero II Il soffitto arabo Secondo alcuni studiosi la chiesa nel XVI secolo servì anche come sala del trono; questa ipotesi spiegherebbe come mai sul soffitto decorato a muqarnas, troviamo soggetti del tutto diversi rispetto ai mosaici appena descritti. Il muqarnas è un tipo di decorazione geometrica tridimensionale già applicato in moschee arabe all'inizio del secolo: con un complicato sistema di incastri di tavolette lignee si otteneva un fitto reticolo geometrico ora in piano, ora in rilievo; in quest'ultimo veniva a sua volta rivestito da un’ornamentazione pittorica con decine e decine di figure. In questo caso si vedevano intrecci animali fantastici, persone che Conversano, altre che bevono ecc…Sono i piaceri e gli svaghi del re, come confermano le iscrizioni in arabo visibili in diversi punti del soffitto, con frasi augurali nei confronti di Ruggero II Cefalù e Ruggero II Le iniziative artistiche di Ruggero II si estesero anche ad altri centri siciliani. A Cefalù il re fondò nel 1131 una grande basilica ap tre navate, La cui esecuzione del mosaico absidale risale al 1000 nella zona absidale strette alta, spicca la presenza di archi a ogiva. Nella conca absidale c'è una grandiosa immagine a mezzo busto che guarda verso i fedeli; Quattro grandi lettere di colore nero dicono in greco il suo nome abbreviato “Gesù Cristo”. Oro su tutte le pareti: il Duomo di Monreale Il teologo Italo tedesco Romano Guardini rimase impressionato dalla magnificenza e dalla vastità delle decorazioni a mosaico che rivestono l'interno della Chiesa. I mosaici bizantini Anche questa straordinario edificio venne fondato da un re normanno, Guglielmo II. Sono soprattutto i mosaici a rendere imparagonabile il Duomo di Monreale; La pianta presenta tre navate, tre absidi e il transetto. Il programma iconografico seguito nella decorazione musiva delle pareti si svolge a partire dalla navata maggiore dalla controfacciata. Se osserviamo quest'immagine accanto a quella di Palermo riusciamo a capire meglio l'idea che il mondo bizantino ebbe dell'arte. Nell'arco di circa quarant’anni, infatti, in mosaicisti usarono uno schema identico: Il Cristo guarda verso i fedeli stringendo nella sinistra un libro aperto in cui si legge un passaggio del Vangelo di Giovanni sia in greco che in latino. La mano destra invece benedice secondo la maniera che era in uso nella chiesa orientale, cioè congiungendo il pollice e l'anulare. Le porte bronzee Guglielmo II volle che l'aspetto del Duomo risultasse magnifico anche all'esterno addirittura due ingressi, quello principale e quello sul fianco settentrionale, furono abbelliti da porte bronzee, opera rispettivamente di Bonanno Pisano e di Barisano da Trani. Il chiostro e le sue sculture La decorazione del chiostro, accostato al fianco meridionale del Duomo, è altrettanto fastosa: 228 colonnine sostengono, a due a 2,3 tanti capitelli scolpiti; i temi di queste sculture sono quanto mai vari: storie dell'antico e del nuovo testamento, ma anche motivi profani come il ciclo dei lavori dei mesi. Palermo Percorrere le strade di Palermo significa incontrare continuamente la complessa stratificazione culturale e artistica che contraddistingue la storia del capoluogo siciliano dalla Fondazione fenicia alla modernità il lungo periodo della presenza araba che va 831 al 1072 lascia consistenti segni nella forma urbana. Almeno sin dall'epoca bizantina l'area dell'attuale Palazzo dei Normanni era stata sede del potere; è proprio qui che si trova la cappella palatina eretta per volontà di Ruggero II tra il 1130 e il 1140, una delle più straordinarie prove della sintesi tra la cultura bizantina, quella araba e quella normanna. Sant'Angelo in Formis Una chiesa nei pressi di Capua, in Campania, ci riporta a desiderio Abate di Montecassino: Sant'Angelo in Formis. Qualche mese dopo la consacrazione di Montecassino, Riccardo, principe di Capua, donò un'area- un luogo bellissimo e piuttosto adatto per un monastero. Quest'area era tutt'altro che un territorio qualunque: sin dal IV secolo a.C. sorgeva infatti il santuario di Diana Tifatina. La chiesa è stata costruita su quella che era la base in blocchi di tufo dell'antico tempio di Diana al punto che il perimetro della Chiesa e quello del tempio praticamente coincidono; addirittura rimangono in uso parti dell'originaria pavimentazione; siamo davanti a un clamoroso episodio di reimpiego di strutture antiche. Prima che Riccardo donasse l'area della Abate desiderio esistevano certamente una chiesa e un monastero, che vendono completamente le sistemati alla fine se. Sull'architrave del portale leggiamo infatti il nome dell'abate di Montecassino: se conoscerai te stesso potrai salire in cielo; così fece Desiderio, il quale, pieno di spirito divino, compiendo la legge innalzò un tempio addio, così da ottenere un frutto eterno. Un intero ciclo di affreschi L'interno della Chiesa venne decorato ad affresco con storie dell'antico e del nuovo testamento. Nell'abside centrale Gesù in trono è circondato dai simboli degli Evangelisti, su uno sfondo squillante d'azzurro; nel registro sottostante San Michele è in piedi tra due arcangeli. Sulla sinistra e proprio desiderio che gli offre il modellino della Chiesa. Al Cristo in trono dell'abside corrisponde un'altro Cristo in maestà sulla parete opposta, la controfacciata; La scena è al centro di un grandioso giudizio universale. Come si vede, siamo all'interno di un contesto artistico bizantino; Desiderio aveva fatto venire i mosaicisti da Bisanzio per decorare l'interno della Chiesa di Montecassino. Affreschi della Chiesa di Sant'Angelo in Formis, tuttavia, non sono del tutto uniformi; A tratti scorgiamo figure solenni, eleganti, compassate, insomma rivediamo il linguaggio bizantino, e a tratti invece abbiamo come l'impressione che un tono dialettale abbia fatto diventare più scorrevole il racconto, lo abbia reso meno rigido, meno severo Monte Sant'Angelo sul Gargano Per lungo tempo, uomini e donne di qualunque posizione sociale compirono viaggi verso i luoghi santi: soprattutto Roma, ma anche Santiago de Compostela e persino la Terra Santa. Meta dei pellegrinaggi era anche il santuario di San Michele Arcangelo a Monte Sant'Angelo che si trova al centro del Gargano a circa 800 m di altitudine. Il santuario è un esempio di come natura e paesaggio possano essere modificati anche in situazioni estremamente difficili, come quelle di una grotta. Riusciamo a riconoscere i nomi di alcuni sovrani Longobardi sin dalla fine del settimo secolo- Romualdo I e Romualdo II- e persino quelli di pellegrini provenienti dal mondo anglosassone. Pantaleone e le porte bronzee da Costantinopoli Proprio a Monte Sant'Angelo resta una straordinaria opera che documenta un contatto diretto con Costantinopoli: la porta bronzea della chiesa. Sulla porta di Monte Sant'Angelo non compare alcuna firma di artista; In compenso, una scritta dichiara che quest'opera venne realizzata nella città regale di Costantinopoli. Ognuna delle due ante della porta presenta 12 formelle, a loro volta fissate sul telaio ligneo, con episodi dell'antico e del nuovo testamento qui erano protagonisti gli angeli; le immagini sono realizzate mediante linee incise che dovevano poi essere riempite con mastici colorati, secondo la tecnica del niello. È stupefacente la scritta che leggiamo in alto a sinistra: “Prego e scongiuro i rettori di San Michele Arcangelo perché una volta all'anno facciate pulire queste porte nel modo che ora vi abbiamo mostrato, così che siano sempre lucide e splendenti”. Nel 1140 invece iniziarono i lavori a est per un nuovo coro; L'anonimo architetto realizzò un doppio di ambulatorio in cui le cappelle erano collegate l'una all'altra senza muri divisori. Le vetrate L'insistenza sulla luminosità della Chiesa non è un modo per fare sfoggio della propria bravura poetica, ma per dichiarare apertamente la propria idea: la luce ha una natura spirituale, proviene da Dio e conduce a lui. Con coerenza arricchì la finestra del deambulatorio del coro e delle cappelle con grandi vetrate. Nonostante i danni subiti dalla chiesa in particolare durante la Rivoluzione francese è oggi possibile analizzare il complesso delle vetrate volute da Suger e ricollegarle a suoi scritti. Riusciamo a ricostruire in gran parte i programmi iconografici su cui egli stesso si sofferma. Nella scena dell'annunciazione, poi compare la base stesso, in abiti monastici e prostrato umilmente ai piedi della Vergine. Gli elementi dell'architettura gotica: la luce le finestre Perché potesse aumentare la luce interna c'era un solo mezzo, allargare le finestre; Ma in questo modo si indebolivano i muri; gli architetti gotici e i loro committenti non vollero rinunciare alle volte. Esse, anzi, diventarono ancora più grandi rispetto a quelle delle chiese romantiche, inoltre, il peso che gravava sui muri non era solo quello delle volte, poiché al di sopra di esse erano fissate le enormi travi che dovevano reggere il tetto. (Pianta dal libro pagina 212) I pilastri arco rampante La soluzione escogitata dagli architetti gotici fu straordinariamente efficace a livello funzionale per mezzo di grandi archi, o archi rampanti, il peso delle volte e del tetto sovrastante venne trasferito all'esterno su enormi pilastri, i cosiddetti contrafforti fuori dal perimetro dell'edificio. L'obiettivo di aprire enormi finestre era così raggiunto senza mettere in pericolo la stabilità delle costruzioni Le vetrate istoriate L'ingrandimento delle finestre stimolò la produzione di grandi vetrate istoriate con episodi delle scritture, figure di profeti o santi le lastre di vetro venivano ritagliate secondo il disegno prestabilito ma a questo punto si poteva ridurre le uniformità dei colori e ottenere effetti di chiaroscuro con la pittura a grisaille: una tecnica basata sull'uso di una vernice grigiastra ricavata dalla macinazione del vetro che poi veniva temperata a fuoco per farla aderire all'interno delle vetrate stesse. Le vetrate gotiche ebbero il ruolo di raccontare la storia della salvezza ma anche quello dimostrare la multiforme vivacità della luce, simbolo della luce divina. E se la nuova architettura si presentava come il punto d'approdo di un percorso di avvicinamento e mediante squarci di luce ne conservava la memoria. La Saint Chapelle a Parigi e il Gotico Rayonnat Luigi IX fece costruire e decorare la Saint chapelle, la cappella del Palazzo Reale, per ospitare e venerare le preziosissime reliquie della passione di Cristo, che egli si era procurato negli anni precedenti spendendo somme elevatissime; tutto il programma decorativo della Chiesa si concentra appunto sulla passione. Siamo davanti a quella fase del gotico che è stata definita radiante le proporzioni delle chiese si esasperano in lunghezza e in altezza. Nella Saint Chapelle le vetrate diventano le protagoniste principali dello spazio architettonico, tanto da sostituire quasi del tutto le pareti in pietra. Perfetta fusione fra architettura e scultura: la cattedrale di Chartres La ricchezza dei portali delle tre facciate esterne ha un corrispettivo nel vasto insieme delle vetrate. Esse sono molto particolari; la vetrata in foto dislocata nella navata meridionale contiene scene della parabola del buon samaritano Notre Dame di Reims La cattedrale di Reims era un luogo del tutto speciale poiché qui si incoronavano i re di Francia. Anche in questa città, come a Chartres, un incendio distrusse la vecchia cattedrale e obbligo a costruirne una nuova, che ripresa in gran parte la novità architettonica di Chartres; il grande cantiere si aprì nel 1211 e lavori proseguirono fino alla metà del secolo sotto la guida di quattro diversi architetti; questa varietà di stili emerge chiarissima nelle figure che compongono l'Annunciazione e la Visitazione: in tutti e quattro, il processo che aveva portato alle statue colonna è ormai arrivato alla conclusione: le figure si sono per così dire liberate e si stagliano sulla parete del tutto autonome; ma se confrontiamo tra loro le quattro statue, restiamo stupiti: si tratta di due scultori diversi, con visioni artistiche ben distante. L'autore della visitazione ha compiuto una scelta senza incertezze, ha cioè preso a modello stato femminili di età romana. Lo scultore della visitazione fai imparato dall'arte antica a prestare attenzione al volume dei corpi, a rendere il loro peso, a imprimere ai panneggi una marcata valenza espressiva, il problema era però che questi modelli antichi erano del tutto statici, mentre l'incontro fra Maria Elisabetta è animato da un colloquio vivace. (modelli antichi pagina 220) Del tutto diverso è lo stile dell'autore dell'Annunciazione: un Angelo elegantissimo nei movimenti guarda sorridendo verso la Vergine. La Vergine della visitazione è una matrona ben consapevole della propria bellezza; questa è una ragazzina tanto intimidita da guardare fisso davanti a seta e irrigidirsi su entrambe le gambe. L'assenza di modelli classici non sminuisce la qualità dell'annunciazione, ma la porta in un'altra sfera espressiva sentimenti delicati descritti con un tono altrettanto pacato e misurato. La raffinata eleganza di Uta a Naumburg Nel ricchissimo panorama della scultura gotica d'oltralpe c'è un'opera del tutto speciale per il soggetto, la collocazione e lo stile: la serie delle statue dei fondatori nel Duomo di Naumburg. Nel 1249 il vescovo affidò un maestro anonimo che gli storici dell'arte chiamano un maestro di Naumburg, la realizzazione di 12 statue a grandezza naturale di questi fondatori. che vennero addossati alle pareti all'interno dello stesso coro. Il maestro di Naumburg si rivela uno dei più grandi artisti del 200 europeo e lo vediamo in particolare nelle statue di Ekkehard marchese di Meissen, e di sua moglie Uta, che conservano ancora tracce dei colori originali. Il maestro di Naumburg descrive figure che assistono immobili ad una cerimonia religiosa, eppure ne fa cogliere la delicata animazione, ma soprattutto riuscì a dare un tono ai sottili movimenti di Uta: il gesto con cui copre la gota con il bavero del mantello e il modo in cui apre le dita della mano sinistra per sorreggerne un limbo sono specchio dei comportamenti della nobiltà del tempo, della sua ricerca di eleganza nelle maniere, prima ancora che negli abiti. Capitolo 16 Molte arti sotto Federico II I codici miniati Federico, uomo di cultura, e lo studium di Napoli solo uno statista e lungimirante come Federico II poteva capire che stimolare la cultura aveva effetti positivi anche sulla vita politica ed economica dell'impero per questo egli prese la decisione di fondare lo studium di Napoli, nel 1224. La caccia ai falconi Il cronista Riccobaldo ferrarese, nell'opera Historia Imperatorum descrisse così Federico II: “saggio con gli uomini, piuttosto colto, conoscitore delle lingue, abile maestro in tutte le arti meccaniche a cui si dedicò ebbe una passione speciale per la caccia con uccelli (rapaci)”. Quest'ultimo aspetto è confermato dalla cronaca di jamsilla, una delle fonti più preziose per il periodo di Federico e del figlio Manfredi:” compose un libro sulla natura e la cura degli uccelli”. L'opera a cui si riferisce il cronista e il trattato intitolato “sull'arte della caccia con i falconi” in cui viene esaminato il mondo degli uccelli, le varie specie e i rispettivi comportamenti. Le Terme di Pozzuoli Una delle opere più rappresentative del 13 secolo nel meridione è il “sui bagni di Pozzuoli” scritto da Pietro da Eboli, un letterato che prima di entrare nella Corte federiciana aveva fatto parte di quella normanna. Tra il 1211 e il 1221 egli raccontò i pregi delle Terme del territorio dei Campi Flegrei, in Campania. Gli ambienti termali sono caratterizzati da volte da altri elementi architettonici: forse si trattava dei complessi termali dell'antica cittadina di Baiae, nei dintorni di Pozzuoli. La miniatura che illustra il bagno di Sant'Anastasia e su due registri: in quello inferiore vediamo un gruppo di donne immerse nell'acqua fino alla vita; le onde in primo piano i pesci che vi nuotano indicano la riva del mare. Nel registro superiore invece due donne si riposano entro ricche tende. La Porta di Capua Nel terzo decennio del Duecento delle più grandi imprese di Federico fu la costruzione della porta di Capua, un monumento unico in quell'epoca, a cominciare dalla sua collocazione rispetto alla città medievale. I due bastioni che affiancavano la porta vera e propria, infatti, furono eretti davanti al ponte sul fiume Volturno, al di là del quale sorgeva Capua. Non stupisce che un cronista del tempo, l'abbia chiamata castellum: aveva notato insomma che l'edificio serviva prima di tutto alla difesa del ponte che conduceva in città. A Capua costituiva l'ingresso nel Regno di Federico II. La porta fu demolita nel corso del sedicesimo secolo, ma alcuni disegni di età rinascimentale, in particolare quello di un grande architetto come francesco di Giorgio Martini, ci permettono di ricostruirne la struttura. La porta vera e propria era affiancata da due imponenti torri cilindriche che poggiavano su una base poligonale in blocchi di pietra accuratamente rifiniti. (vedere pagina 247) Le sculture il tratto di muro compreso tra una torre e l'altra era animato da colonnine al loro interno erano collocate sculture in marmo al centro l'imperatore in trono affiancato forse da figure allegoriche. Appena sotto, un tondo conteneva una grande testa femminile- la personificazione della giustizia-, mentre due tondi più piccoli ospitavano busti maschili. La tradizione vuole che si trattasse di due giudici, Pier delle Vigne e Taddeo da Sessa, illustri uomini di legge e consiglieri dell'imperatore. Il tema era dunque quello del potere imperiale e del suo diritto esercitare severamente la giustizia. Con esattezza geometrica: Castel del Monte. Nel 1876, dopo anni e anni di abbandono, lo stato italiano acquistò uno degli edifici più rappresentativi dell'epoca Sveva, Castel del Monte. La pianta è costituita da un ottagono regolare che ha al centro un cortile a sua volta ottagonale; sugli spigoli dell'ottagono principale si innestano altrettante torri anch'esse a pianta ottagonale. All'interno, sono 8 anche le sale del piano terra e 8 quelle del piano superiore, livelli collegati dalle scale a interne ad alcune delle torri; ciascuna sala ha una pianta trapezoidale. La copertura di ogni sala è suddivisa in due triangoli un quadrato sovrastato da una volta a crociera costolonata. La decorazione scultorea non è particolarmente ricca, ma molto raffinata nei capitelli e nelle cornici delle sale interne. Spicca, in una delle sale al piano terreno, quella decorata con una testa di sileno sorridente: nelle orecchie aguzze, nella barba fluente nei capelli circondati da pampini di vite è evidentissimo il desiderio di riproporre un modello antico. Le fonti ci confermano che in più occasioni Federico assunse maestranze che avevano già lavorato nelle abbazie cistercensi. L'assoluta singolarità della struttura di Castel del Monte nella storia dei castelli eretti da Federico II, e in genere di quelli medievali, ha sollevato grandi discussioni. La raffinatezza degli ambienti interni alcuni accorgimenti strutturali fanno pensare che Castel del Monte sia nato come residenza temporanea destinata al sovrano, e sotto la sua diretta influenza.
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