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Riassunto/relazione de ''La Bibbia al Rogo'' Gigliola Fragnito, Sintesi del corso di Storia Moderna

realizzata per un esame di storia moderna.

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 23/02/2019

martina_saraceni
martina_saraceni 🇮🇹

3.5

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Scarica Riassunto/relazione de ''La Bibbia al Rogo'' Gigliola Fragnito e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! RELAZIONE DI STORIA MODERNA LIBRO PRESO IN ESAME: La Bibbia al rogo, Gigliola Fragnito Con questo interessante testo infatti, Gigliola Fragnito si impegna a ripercorrere il sentiero che ha portato la Chiesa della Controriforma a proibire le traduzioni ed ogni altro adattamento in volgare della Bibbia. L’opera analizza la questione a partire dal 1471 (anno della prima edizione in volgare ad opera del monaco Nicolò Malerbi) alla definitiva condanna ai primi del Seicento. In verità, ad eccezione di una serie di indagini sul dibattito circa l’opportunità o meno di proibire le traduzioni della Scrittura nelle lingue materne, che occupò alcune sessioni del Concilio di Trento nel 1546, il problema dei volgarizzamenti in quanto tale non è mai stato compiutamente affrontato. Le argomentazioni degli avversari dei volgarizzamenti erano condizionate sia dal progetto pedagogico che riservava alla Chiesa la funzione di mediatrice tra la Scrittura e il fedele, sia dalla più immediata preoccupazione di arginare la diffusione del protestantesimo. Essi vedevano nelle traduzioni una delle cause, se non la principale, della nascita e della propagazione dell’eresia. Per dare legittimità alla volgarizzazione, invece, veniva ricordato che fin dal principio la Bibbia era stata scritta e tradotta nelle lingue del popolo, affinché questo potesse meglio comprenderla. Ci si richiamava alla presunta traduzione slava realizzata da San Girolamo ad uso delle popolazioni della Dalmazia, ormai diventata un topos. Nella discussione vennero anche evocate le situazioni locali: in Spagna e in Francia le traduzioni erano state vietate da tempo dalle autorità civili. Il richiamo agli usi locali riguardava, peraltro, anche la penisola e dovette pesare nella posizione favorevole alle traduzioni assunta dalla maggioranza dei padri conciliari italiani. La lunga ed incontrastata consuetudine degli italiani con la Bibbia dovette influire non poco sulle tergiversazioni delle autorità ecclesiastiche. La Chiesa esitò a lungo prima di adottare misure restrittive. Bisognerà, attendere l’indice del 1559 (anno del primo indice romano, emanato precedentemente all’assunzione del pontificato da parte di Pio IV) per imbattersi nel primo divieto, che verrà comunque rimesso in discussione fino alla promulgazione dell’indice clementino nel 1596. Dalla prima condanna nell’indice del 1559 al definitivo divieto in quello del 1596, i volgarizzamenti della Sacra Scrittura erano stati oggetto di ripetuti, ma contraddittori interventi delle autorità censorie centrali. L’interpretazione delle direttive romane creò molte difficoltà sia a chi era chiamato a eseguirle, sia a chi doveva subirle. E se gli esecutori dell’indice clementino non ebbero esitazioni di fronte agli esemplari superstiti di edizioni integrali della Bibbia o del Nuovo Testamento nelle lingue vernacole, assai più complessa si rivelò l’applicazione dell’indice in relazione a quel settore di molto più vasto e meno definito di opere di contenuto biblico. Dopo l’emanazione dell’indice Clementino, la Congregazione dell’Indice (organismo della Curia romana, creato nel 1571 da Pio V con la funzione di gestire l'elenco dei libri proibiti) proseguì la sua battaglia a favore di una più ampia diffusione della Scrittura nelle lingue materne. Il divieto dei volgarizzamenti, sancì quindi l’equiparazione tra Scrittura ed eresia e costituì la più drastica replica di Roma ai protestanti, interrompendo il cammino verso una fede consapevole su cui gli italiani si erano avviati fin dall’età medievale. Questo consentì al clero – bloccando ogni esperienza di individualismo religioso – di esercitare il suo controllo sulla società. Per capire a pieno questa controversa vicenda è stato fondamentale, individuare - come avviene nel libro in questione - quali fossero gli organi effettivamente deputati al controllo della circolazione libraria e gli uomini che si avvicendarono alla loro guida, modificandone spesso strategie e orientamenti. Solitamente considerata di esclusiva competenza della Congregazione dell’Indice, la censura preventiva, repressiva ed espurgatoria continuò, anche dopo la creazione di quest’organo ad essere esercitata dal Sant’Ufficio (creato nel 1542) e dal Maestro del Sacro Palazzo, il quale, era membro ex officio delle due Congregazioni. La pluralità di centri decisionali che si era creata, non poté che generare confusione. I loro rapporti furono spesso caratterizzati da conflitti basati più sui confini delle rispettive competenze che sull’oggetto delle condanne. Ciò provocò, in certi momenti, una vera e propria paralisi dell’apparato censorio. A questa disparità di situazioni si appellarono i Legati per evitare che lo scontro tra fautori e contrari alle traduzioni assumesse dimensioni incontrollabili e la questione della volgarizzazione della Bibbia fu per il momento accantonata. Emerge inoltre, l’assenza di una qualsiasi progettualità delle gerarchie ecclesiastiche nel gestire quella che dovette essere una domanda senza precedenti di conoscenza biblica e di cultura religiosa. Tali gerarchie non sembrano, infatti, essere state pienamente consapevoli della nuova “intimità” venutasi a creare tra il credente e la pagina scritta. I dati quantitativi sulla produzione biblica volgare, tra il 1471, data della prima edizione, e il 1567, data dell’ultima edizione stampata in Italia fino alla seconda metà del ‘700, documentano inoltre il sostanziale consenso tacito della Chiesa di Roma alla produzione e diffusione dei volgarizzamenti all’indomani della chiusura del Concilio di Trento. Salvo una breve inversione di rotta tra la pubblicazione dell’indice nel 1559, che vietò la stampa di traduzioni bibliche, e quella del 1564, che tornò ad autorizzarla. Un dato interessante, ritrovato in questo saggio e dimostrato da Edoardo Barbieri con l’indagine sulle edizioni a stampa quattro e cinquecentesche della Bibbia in Italiano, mostra che una forte domanda ci fosse persino prima della comparsa sulla scena europea di Lutero. E durante il diffondersi della Riforma Protestante, ad un’analisi meno superficiale, sembrano esservi all’origine dell’impennata della produzione, ragioni assai più complesse che non consentono di interpretare il fenomeno soltanto come la risposta del mercato ad una domanda fortemente accresciuta in seguito alla penetrazione nella penisola delle idee riformate, considerate eresia. L’ansia di distinguere il sacro dal profano però, fondava le radici durante il pontificato di Leone X, quando l’umanesimo romano si era posto al servizio della Chiesa e si era fatto strumento di esaltazione del papato mediceo. Gli umanisti romani avevano, infatti, prodotto quella commistione tra i temi sacri e profani, tra verità cristiana e favola pagana, che si sarebbe rivelata, oltre che rischiosa, assolutamente inadeguata a difendere le istituzioni e la dottrina della Chiesa dalle devastanti accuse dei riformatori d’oltralpe. Questa avversione alla mescolanza tra sacro e profano si sarebbe riversata anche sulle opere profane e analoghe condanne si sarebbero abbattute su gran parte della lirica italiana che, divinizzando la donna e l’amore ed attribuendo al fato ed alla fortuna un ruolo preminente, verrà reputata veicolo di “bestemmie orrende”, mentre gli autori sarebbero stati accusati di “peccati mortali gravissimi”. Nonostante queste preoccupazioni da parte della chiesa, nel Seicento, le tradizioni locali, cui ci si era appellati a Trento nel 1546 e la necessità di attrezzare i cattolici domiciliati nei paesi passati alla Riforma di una conoscenza della Scrittura adeguata a quella dei loro interlocutori protestanti, avevano finito con l’imporre una revisione del divieto “universale” delle traduzioni in volgare e col ridisegnare la mappa della loro circolazione. Autorizzati nei paesi dell’Europa centro-settentrionale ed orientale, essi continuarono ad essere tassativamente vietati dalle Inquisizioni nella penisola iberica e sul territorio italiano. Solo per l’Italia, che pure era stata inclusa al Concilio di Trento, con la Germania e la Polonia, tra i paesi che avevano una lunga consuetudine di lettura delle traduzioni, non valse il criterio della tradizione. Dunque, proibita e rimossa perché fonte d’eresia, la Sacra Scrittura finì col confondersi, nel vissuto degli italiani, con gli scritti degli eretici. Ad alimentare questa assimilazione saranno sufficienti gli spettacolari roghi dei libri vietati.
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