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Riassunto "Retrotopia" Zygmunt Bauman, Prove d'esame di Sociologia

Abbiamo invertito la rotta e navighiamo a ritroso. Il futuro è finito alla gogna e il passato è stato spostato tra i crediti, rivalutato, a torto o a ragione, come spazio in cui le speranze non sono ancora screditate. Sono gli anni della retrotopia.

Tipologia: Prove d'esame

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Caricato il 07/01/2018

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Scarica Riassunto "Retrotopia" Zygmunt Bauman e più Prove d'esame in PDF di Sociologia solo su Docsity! “Retrotopia”- Z. Bauman Retrotopia la direzione del pendolo della mentalità e degli atteggiamenti pubblici è cambiata: le speranze di un miglioramento, che erano state riposte in un futuro incerto e palesemente inaffidabile, sono state reimpiegate nel vago ricordo di un passato apprezzato per la sua presunta stabilità e affidabilità (nazionalismi: dediti alla mitizzazione della storia in chiave antimoderna). Con tale dietrofront il futuro, da habitat naturale di speranze e aspettative legittime, si trasforma in sede di incubi (terrore di perdere il lavoro, paura di perdere il proprio status sociale, paura per i propri figli e di ritrovarsi con abilità faticosamente apprese ed assimilate ma che hanno perso ormai qualsiasi valore di mercato). 1. Ritorno a Hobbes? Fino a non molto tempo fa si credeva che il Leviatano di Hobbes avesse assolto a dovere la missione attribuitagli: domare la crudeltà innata degli esseri umani, dando così all’uomo la possibilità di vivere in compagnia di altri uomini. In realtà, nella società odierna l’aggressività endemica dell’uomo che spesso sfocia nella violenza non sembra affatto diminuita e oramai si è convinti che il “processo di civilizzazione” che avrebbe dovuto essere concepito e controllato dallo Stato moderno somigli sempre di più ad una “riforma delle buone maniere” e non delle capacità, predisposizioni e pulsioni degli esseri umani: nel corso di questo processo, gli atti di violenza dell’uomo sono stati celati alla vista, non eliminati dalla natura umana. • Goffman “inattenzione civile”: arte di distogliere lo sguardo dagli estranei con l’intento di non farsi coinvolgere in un rapporto, per timore che una interazione tra individui che non si conoscono porti alla perdita di controllo sugli istinti sgradevoli e quindi alla scoperta imbarazzante dell’ “animale nell’uomo”. Grazie ad accorgimenti ed espedienti (Goffman, ad esempio), l’animale hobbesiano nell’uomo è emerso dalla moderna riforma delle buone maniere indomito ed integro nella sua forma primitiva e violenta, che il processo di civilizzazione è riuscito sì a camuffare o ad “esternalizzare” (trasferendo le manifestazioni di aggressività nei campi da calcio, ad esempio) ma non a correggere. Sempre più spesso, il Leviatano si rivela incapace di dimostrare che la linea divisoria che traccia tra violenza legittima e illegittima è davvero inviolabile. La concezione dello Stato hobbesiano come garante della sicurezza dei propri protetti e come loro unica possibilità di difendersi dall’aggressività istintiva e impulsiva insita nell’uomo deve essere rivista e deve essere addirittura presa in considerazione l’eventualità che lo Stato, in realtà, debba essere ricollocato tra i principali fattori del clima di insicurezza e di vulnerabilità alla violenza che dominano l’attuale era liquido-moderna. CAUSA Processo di globalizzazione: ha condotto alla “deterritorializzazione del potere”, ovvero alla emancipazione del potere dal territorio. Il Leviatano che gli Stati moderni avevano assunto come modello da emulare era pensato come un corpo pesante,saldamente ancorato al suolo, al contrario la progressiva globalizzazione del potere ha creato una porosità ed una permeabilità di confini resa praticabile, sorretta e riprodotta dalla “liquefazione” dell’attività bellica e dalla tecnologia al suo servizio. FATTORI: • Lo Stato ha abbandonato nella pratica il proprio ruolo di paladino e custode della sicurezza, per diventare uno dei tanti fattori che cooperano nell’ elevare al rango di condizioni umane permanenti l’insicurezza, l’incertezza e il rischio per l’incolumità. Altri fattori: • Sovrabbondanza di armi: mentre l’attenzione internazionale si concentra sulla necessità di controllare le armi di distruzione di massa, il commercio di quella convenzionali prosegue in un vuoto morale e legale: scarsi controlli sulla proprietà di armi da fuoco, sulla loro gestione e sull’uso improprio, senza contare che il mercato mondiale delle armi è dominato dai paesi che sono membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ Onu. La nostra esistenza è, dunque, ben rappresentata dalla “Metafora del campo minato”: una cosa sappiamo con certezza dei campi minati, essi sono pieni di esplosivo: è dunque ragionevole supporre che prima o poi ci saranno delle esplosioni; ciò di cui non abbiamo la pù pallida idea è solo quando e dove. Altre tendenze legate alla presenza delle armi che vanificano del tutto l’illusione di poter bonificare i campi minati: 1)attraverso i media planetarii colpi esplosi anche nel più piccolo dei borghi vengono convertirti in eventi choc costringendoci a vivere in uno stato permanente di rischio e di emergenza; 2) la crescente convinzione che una maggiore disponibilità di armi ed una maggiore facilità di ottenerle siano la migliore medicina contro i danni creati sul pianeta dal gran numero di quelle stesse armi che è tanto facile procurarsi ed usare. • Fenomeno dell’emulazione: deriva la propria forza d’attrazione dalla promessa di conciliare due aspirazioni umane dalle finalità apparentemente in contrasto: l’interesse per la socialità (tendenza alla sicurezza)e quello per l’individualità (tendenza all’originalità). [Nella società odierna i rapporti tra individuo e gruppo, tra la ricerca dell’appartenenza e l’attrazione magnetica dell’autoformazione, e la conseguente formazione dell’opinione non necessita più né della presenza di una folla numerosa né dell’incontro faccia a faccia. I nuovi metodi di comunicazione e, in particolare, l’avvento di internet hanno reso possibile l’ ”azione a distanza” la quale, intrinsecamente caratterizzata dalla interattività, viene ad attenuare la netta contrapposizione tra soggetto ed oggetto.] La categoria particolare di “condotta emulativa” che ci interessa in questo discorso è quella che influisce direttamente sull’aumento della quantità e dell’intensità della violenza: l’emulazione di azioni violente. • Rabbia: resa ancora più acre e violenta dall’esasperazione per la mancanza di valvole di sfogo. Spesso gli atti di aggressione sono disinteressati, l’aggressività nasce dal senso intollerabile di umiliazione e mortificazione, dall’esclusione e dal degrado sociale, spesso non si focalizza su qualcosa in particolare (terrorismo suicida). “Rabbia autotelica”: fine a sé stessa; ad esempio gli atti di terrorismo sono costituiti dal loro carattere non mirato e dalla scelta casuale delle vittime: il messaggio che tale casualità vuole trasmettere è che nessuno è al sicuro. La violenza al giorno d’oggi esercita una grande forza di attrazione dovuta al temporaneo sollievo al proprio umiliante stato di inferiorità; Allegoria della lepre di Esopo: perennemente impaurita, sempre in fuga da animali più forti, si sente rassicurata e confortata accorgendosi che, al primo segnale del suo arrivo, la rana è stata colta dal panico ed è corsa a nascondersi; la violenza priva di senso tende ad auto propagarsi e auto amplificarsi: ciò che perde in qualità cerca di recuperarlo in quantità. Infine, spesso gli atti di violenza autotelica vengono iscritti nell’ideale della “storia come complotto”, questo aumenta enormemente il loro valore e innalza i carnefici che li commettono ai vertici del coraggio e dell’importanza. La sensazione che proviamo è quella che il nostro mondo sia tornato ad essere un teatro di guerra combattuta da tutti contro tutti e quindi da e contro nessuno in particolare. La nostra società è caratterizzata da una sensazione universale di “angoscia d’impotenza”, di impotenza assoluta. l’impulso a porvi rimedio. La nostra condizione odierna è, dunque, rivoluzionaria; tuttavia, essendo la nostra società completamente individualizzata ed essendo la nostra condizione esistenziale fomentata dalla filosofia manageriale e dalla nuova strategia di dominio è minima la possibilità di assistere ad un’azione comune mossa da condivisi scopi (rivoluzione), assistiamo al venir meno della solidarietà, la nostra società è ormai governata dal sospetto, dall’antagonismo e dalla competizione. Inoltre, le moderne dinamiche sociali stanno evidenziando una tendenza verso un clima di “privazione universale” e non più relativa, uno stato perenne di privazione fluttuante che non è più agganciata ad uno specifico “gruppo di confronto” ma che getta a caso l’ancora in uno qualsiasi degli infiniti porti che incontriamo nel corso della nostra vita e; è ormai evidente che tale sensazione di privazione sia insanabile: non c’è nulla che io possa fare nell’ambito della politica della vita per scacciare tale senso di deprivazione e disuguaglianza sociale. In questo nuovo sviluppo si sviluppano gli effetti sociali di due processi paralleli: 1) la globalizzazione dei poteri in grado di decidere della nostra sorte; 2) la globalizzazione dell’informazione. I recenti studi hanno, inoltre messo in luce come la divisione della società in due nazioni (quella dei ricchissimi e quella dei poveri) si sia oggi completata: gli appartenenti alle due categorie sembrano sviluppare ed utilizzare linguaggi reciprocamente intraducibili, grazie ai nuovi accorgimenti forniti dalle aziende gli abitanti dei due mondi possono trascorrere le proprie vite senza incontrarsi mai. POSSIBILE SOLUZIONE: l’unica ricetta contro l’avanzare della disuguaglianza odierna sembra essere l’Ubi (reddito universale di base) guidato da tre principi basilari: 1) essere pagato ai singoli e non alle famiglie; 2) essere indipendente da qualunque entrata proveniente da altre fonti; 3) versato senza richiedere lo svolgimento di alcun lavoro né la disponibilità ad accettare un lavoro qualora venisse offerto. L’Ubi promette e promuove non l’esclusione ma l’inclusione,non la frammentazione dei legami di solidarietà e la divisione sociale, ma la solidarietà sociale e l’integrazione della società. Welfare State anziché ridistribuire ricchezza è responsabile dello stigma sociale che colpisce chi “vive di assistenza”, assolve la coscienza pubblica da tutte le sue colpe nel contribuire a tollerare la disuguaglianza sociale. Vivere di assistenza è sinonimo di “parassitismo” e si sviluppa l’idea che chi “vive di assistenza”non goda a pieno titolo dei diritti umani e sia socialmente inutile. 4. Ritorno al grembo materno. Nell’odierna società stiamo assistendo alla disgregazione dei legami: la maggior parte degli individui si sentono inadeguati, aspirazioni e responsabilità si stanno muovendo dalla società ai nostri universi individuali, stiamo perdendo la “speranza di natura sociale” (qualunque aspirazione ad un mondo più libero, egualitario e vivibile). La frustrazione ed il dolore di questa situazione sono autentici: continuiamo a ritirarci nel rifugio falsamente sicuro dell’egoismo e dell’autoreferenzialità. Lo stile di vita che ci è stato imposto dalla cultura consumistica tende a mascherare e a rendere sopportabili la nostra mancanza e il nostro dolore attraverso l’illusoria gratificazione di bisogni immaginari. PASSAGGIO DALL’UTOPIA ALLA RETROTOPIA (Lasch) lungo il cammino che dall’utopia della prima modernità (positiva, esuberante, fiduciosa) conduce all’attuale retrotopia (diffidente, abbattuta e rassegnata) vi è un cambio d’uomo: dall’ “uomo economico” si passa all’ ”uomo psicologico” perseguito dall’ansia e dalla colpa, che vede in chiunque un rivale con cui competere avendo perso la sicurezza che derivava un tempo dalla solidarietà di gruppo, vive in uno stato di insoddisfazione ed inquietudine perenni, vive per sé stesso, non per i predecessori o i posteri. La società contemporanea è caratterizzata dal narcisismo, dall’egoismo e dalle sue manie di grandezza; il narcisismo, tuttavia, non deve essere visto come un disturbo della personalità, ma piuttosto come un disturbo sociale: la nostra società è permeata da pericoli, incertezze e tutta la responsabilità per gli insuccessi dell’esistenza è stata spostata sulle spalle degli individui. Poiché abbiamo perso e voltato le spalle a tutte le visioni di una società del futuro alternativa e migliore a quella attuale, e poiché ormai il futuro è per noi associato a un’ idea di “sempre peggio” non sorprende che quando cerchiamo idee che abbiano davvero un significato finiamo per rivolgerci carichi di nostalgia alle grandiose idee sepolte nel passato. Melissa Broder In un mondo del genere dare alla luce un bambino senza il suo consenso sembra immorale, dal primo giorno sulla Terra si scopre si non essere abbastanza, il grembo materno è il nirvana, la ricerca di una condizione di “non-sé”: annullamento di aspirazioni, desideri, assilli e tormenti, indica lo spegnersi di tutti gli stimoli e le passioni che essi siano positivi o negativi, dolorosi o gratificanti. Il grembo materno diviene in questo modo il sogno del precariato liquido moderno, se nel Medioevo la “terra di Cuccagna” era un appello a mettersi in marcia, l’immagine del nirvana a cui noi ci appelliamo rappresenta una disperata richiesta di riposo. GREMBO MATERNO: utopia che deriva dalla sovrabbondanza eccitante ma anche logorante di persone che sono condannate a subire, affaticate e demoralizzate dalle scelte, opzioni, occasioni possibili che seppur seducenti sono colme di rischi di sconfitta. 5. Epilogo. Guardare avanti, per cambiare. Stiamo vivendo un’epoca di crisi permanente e disagio, confusione e angoscia sono fatti pressoché scontati. Ma come siamo arrivati allo stato attuale della nostra condizione? La storia del genere Homo sapiens è costellata nelle varie epoche da diversi modelli di associazione stabile e coalizioni più o meno durature tra due gruppi: “noi” e “loro”, l’identificazione del “diverso, lo straniero” è sempre stata condizione della nostra auto-identificazione; tuttavia, in un epoca governata dalla globalizzazione la nostra ideologia sembra essere nettamente in ritardo, come se la nostra indubbia condizione cosmopolitica ( interdipendenza, interscambio e interazione su scala planetaria) avesse preceduto la formazione di una consapevolezza cosmopolitica: a differenza del nostro passato, la società odierna non può più servirsi dell’arma della “designazione di un nemico condiviso” né del meccanismo del “noi contro loro”. La sfida del momento consiste nel ricercare una consapevolezza cosmopolitica attraverso l’abbandono dei concetti di “nemico”, “straniero”, “diverso” e nel progettare un integrazione che per la prima volta nella storia dell’umanità non sia più fondata sulla separazione. Papa Francesco (unica personalità pubblica attuale dotata di autorità significativa a livello planetario che abbia abbastanza coraggio da sollevare a viso aperto simili questioni) E’ necessario per noi oggi promuovere una cultura che privilegi il dialogo come forma d’incontro, così da avere una società giusta, capace di memoria e senza esclusioni. Una cultura del dialogo è fondamentale per guarire le ferite del nostro mondo multiculturale, multicentrico e multi conflittuale; condizione affinché questo avvenga è il rispetto reciproco e il mutuo riconoscimento dell’eguaglianza di status. Per arginare le correnti del “ritorno a Hobbes, alle tribù, alla diseguaglianza e al grembo materno” non esistono scorciatoie che portino a risultati diretti, facili e rapidi; l’integrazione umana deve essere innalzata al livello dell’umanità intera, ci troviamo in una situazione di aut aut: possiamo scegliere se prenderci per mano o finire in una fossa comune.
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