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Riassunto Riassunto Corbetta 1, Appunti di Tecniche Di Analisi Dei Dati

Riassunto tecniche raccolta dati

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 17/02/2022

alice-benedicenti
alice-benedicenti 🇮🇹

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Scarica Riassunto Riassunto Corbetta 1 e più Appunti in PDF di Tecniche Di Analisi Dei Dati solo su Docsity! La ricerca sociale: metodologia e tecniche Barbara Loera | Libro Introduzione Fra metodologia e tecniche corre la stessa distinzione che esiste tra la riflessione su una certa materia e la materia stessa. Essa è implicita nella struttura stessa del primo dei due termini. • La Metodologia → non può che assumere il significato di studio - o meglio ancora di logica - del metodo: essa cioè si riferisce a quella parte della logica che ha per oggetto le regole, i principi metodologici, le condizioni formali che stanno alla base della ricerca scientifica in un certo ambito disciplinare e che consentono di ordinare, sistemare, accrescere le nostre conoscenze. • Le Tecniche → intendiamo invece le specifiche procedure operative, riconosciute dalla comunità scientifica e trasmissibili per insegnamento, di cui una disciplina scientifica si avvale per l'acquisizione e il controllo dei propri risultati empirici. Il terreno che separa metodologia e tecniche non presenta fratture, ma può anzi essere immaginato come una sorta di continuum. Paradossalmente, se della metodologia la ricerca sociale può fare a meno, essa non può fare a meno delle tecniche. Certamente la metodologia non è necessaria alla ricerca (es. in altre parole, la critica letteraria non produce arte, anche se puoi aiutare a capirla). Capitolo 1: i paradigmi della ricerca sociale Si presentano le origini filosofiche dei due fondamentali approcci alla ricerca sociale, che hanno generato rispettivamente le famiglie delle tecniche quantitative e qualitative. Inizialmente si presenta il concetto di paradigma, e successivamente vengono illustrate le origini storiche e i principi ispiratori del paradigma positivista e di quello interpretativo. - Khun e i paradigmi delle scienze La riflessione di Khun ha per oggetto lo sviluppo storico delle scienze, e costituisce un rifiuto della concezione tradizionale di “scienza” intesa come “accumulazione progressiva e lineare di nuove acquisizioni”. Per la tradizionale concezione cumulativa, le singole invenzioni e scoperte si aggiungerebbe al corpo conoscitivo precedente, alla stregua di mattoni che si sovrappongono nella costruzione di un edificio a più piani. Secondo Khun, invece, se questo è il processo della scienza in tempi tra “normali”, esistono anche dei momenti rivoluzionari nei quali il rapporto di continuità con il passato si interrompe e si inizia una nuova costruzione. Che cosa cambia, in una determinata disciplina, a seguito di una di queste rivoluzioni? Si produce un cambiamento dei problemi da proporre all'indagine scientifica e dei criteri con i quali la professione stabiliva che cosa si sarebbe dovuto considerare come un problema ammissibile o come una soluzione legittima a esso, e si realizza un riorientamento della disciplina che consiste nella trasformazione della struttura concettuale attraverso il quale gli scienziati guardano al mondo. Questa struttura concettuale è quella che Khun chiama paradigma. Cosa intende con per paradigma? Con questo termine egli designa una prospettiva teorica: * Condivisa e riconosciuta dalla comunità di scienziati di una determinata disciplina. * Fondata sulle acquisizioni precedenti della disciplina stessa. * Che opera indirizzando la ricerca in termini sia di individuazione scelta di fatti rilevanti da studiare, sia di formulazione di ipotesi entro le quali collocare le spiegazioni del fenomeno osservato, e sia di approntamento delle tecniche di ricerca empirica necessarie. Senza un paradigma una scienza è priva di orientamenti e di criteri di scelta: tutti i problemi, tutti i metodi, tutte le tecniche sono ugualmente legittimi. Corso di Laurea in Scienze e tecniche Psicologiche – 2017/2018 Lamberti Valerio Il paradigma è qualche cosa di più ampio e anche più generale di una teoria: è una visione del mondo, una finestra mentale, una griglia di lettura che precede l'elaborazione teorica (es. Il paradigma copernicano dell'universo, così come quello della meccanica quantistica, rappresentano dei quadri generali di sfondo entro i quali si collocano specifiche teorie sui moti orbitali o sulla struttura dell'atomo). Kuhn definisce scienza normale quelle fasi di una disciplina scientifica durante le quali predomina un determinato paradigma, che risulta ampiamente condiviso dalla comunità degli scienziati. Durante questa fase essa si sviluppa effettivamente secondo quel modo di procedere lineare cumulativo che è stato attribuito al complesso dello sviluppo scientifico. La ricerca nell'ambito della scienza normale è dunque rivolta all'articolazione di quei fenomeni di quelle teorie che sono già fornite dal paradigma. Quando si contrappongono una serie di scuole e sottoscuole in competizione fra loro, ognuno con un suo punto di vista e una sua teorizzazione, il risultato puro e semplice della loro attività è qualcosa di meno che scienza. In questa prospettiva le scienze sociali, prive di un unico paradigma largamente condiviso dalla comunità scientifica, si trovano in una collocazione pre-paradigmatica. In alcuni casi viene dunque escluso il carattere della condivisione da parte della comunità scientifica e in questo modo si apre la possibilità di compresenza, all'interno di una determinata disciplina, di più paradigmi. Tali discipline diventano da pre-paradigmatiche a discipline multi-paradigmatiche. Questa interpretazione del concetto di paradigma nei termini di prospettiva teorica globale, ma non esclusiva e anzi in aperta competizione con altre prospettive, è certamente l'interpretazione più diffusa e corrisponde all'uso corrente del termine nelle scienze sociali. Tuttavia, tale concezione non va banalizzata identificando il paradigma con la teoria o la corrente di pensiero. Rimane Infatti fondamentale nel concetto di paradigma il suo carattere pre-teorico, in ultima analisi metafisico, di visione che orienta, di immagine fondamentale che una disciplina ha del suo oggetto. - Tre questioni di fondo Quali sono stati i paradigmi fondativi della ricerca sociale, dai quali sono nate le prime procedure operative e che hanno successivamente guidato lo sviluppo della ricerca empirica? Sappiamo che tra le funzioni di un paradigma ci sia anche quella di definire i metodi e le tecniche di ricerca accettabili in una disciplina. Nessuna teoria o metodo di indagine si giustifica da sé: la sua efficacia, la sua stessa qualifica di strumento di indagine dipende in ultima analisi da giustificazioni di tipo filosofico. Vi sono visioni sufficientemente generali, coerenti e operative, tale da poter loro attribuire i caratteri del paradigma della crescita della ricerca sociale? I quadri di riferimento di fondo che hanno storicamente orientato fin dal suo nascere la ricerca sociale, sono la visione empiristica/positivismo e quella umanista/interpretativismo. Si tratta di due visioni organiche fortemente contrapposte della realtà sociale e dei modi per conoscerla, che hanno generato due blocchi coerenti e fra loro fortemente differenziati di tecniche di ricerca. Occorre, tuttavia, esplorare le matrici di pensiero che le hanno generate, in quanto solo un'adeguata comprensione della loro genesi filosofica ce ne permetterà una comprensione adeguata e pienamente consapevole. Innanzitutto confrontiamo i due paradigmi appena nominati, cercando di capire come essi rispondono agli interrogativi fondamentali di fronte ai quali si trova la ricerca sociale. Questi possono essere ricondotti a tre questioni fondamentali: • La realtà sociale esiste? (Essenza/che cosa) → Nella questione ontologica ci si chiede se il mondo dei fatti sociali sia un mondo reale e oggettivo dotato di una sua autonoma esistenza al di fuori della mente umana e indipendente dall'interpretazione che ne dà il soggetto. Ci si interroga cioè se i fenomeni sociali siano cose in sé stesse oppure rappresentazioni di cose. • È conoscibile? (Conoscenza/chi e che cosa) → La questione epistemologica riguarda la conoscibilità della ricerca della realtà sociale, innanzitutto pone l'accento sulla relazione fra studioso e realtà studiata. È evidente la dipendenza di questa questione dalla risposta data Corso di Laurea in Scienze e tecniche Psicologiche – 2017/2018 Lamberti Valerio naziste) e la sintonia che si venne a creare fra questo approccio il pragmatismo americano, contribuirono notevolmente alla diffusione del pensiero neopositivista. Il nuovo modo di vedere assegna un ruolo centrale alla critica della scienza, ridefinendo il compito della filosofia, che deve abbandonare il terreno delle grandi e incomprensibili teorizzazioni per passare a quello dell'analisi critica di quanto viene elaborato nelle teorie delle singole discipline. Da qui il rifiuto delle grandi questioni e di tutte le metafisiche definite prive di senso (pseudoproblemi) in quanto indimostrabili; per dedicare invece la massima attenzione ai problemi metodologici di scienza. Appare evidente in questo movimento di pensiero la centralità delle questioni epistemologiche; e risulta quindi comprensibile l'influenza che ebbe sulla metodologia delle scienze, scienze sociali incluse. Va ricordato come uno dei postulati del neopositivismo sia la diffusa convinzione che il senso di una formazione derivi dalla sua verificabilità empirica. Cosa ha significato questa concezione di scienza e di conoscenza scientifica per la ricerca sociale e quali ne sono state le conseguenze sulle procedure operative e sulle tecniche di indagine? La principale conseguenza fu lo sviluppo di un modo di parlare della realtà sociale del tutto nuovo, tramite un linguaggio mutuato dalla matematica, dalla statistica (il linguaggio delle variabili). Ogni oggetto sociale, a cominciare dall'individuo, veniva analiticamente definito sulla base di una serie di attributi e proprietà (le variabili), e a queste ridotto; e i fenomeni sociali analizzati in termini di relazioni fra variabili. La ricerca sociale risultava così spersonalizzata. In questo modo tutti i fenomeni sociali potevano essere rilevati, misurati, correlati, elaborati e formalizzati, e le teorie convalidate o falsificate in maniera oggettiva e priva di ambiguità. Si svilupparono rapidamente tecniche come le scale di atteggiamento, i test psicologici, il campionamento casuale, la modellistica matematica, e tutte le procedure di analisi multivariata dei dati, dalla path analysis all'analisi fattoriale, ai modelli causali, e via dicendo. Ma niente poteva più essere come prima. La concezione novecentesca di scienza era ormai assai lontano dalle solide certezze del positivismo ottocentesco, in cui dominava la concezione “meccanica” della realtà, la sicurezza nelle leggi immutabili, la fede nell'irresistibilità del processo scientifico. Le teorie vengono a perdere l'impronta cogente delle leggi deterministiche per assumere il connotato della probabilità. Viene in questo modo meno la certezza della legge, tramonta l'ideale classico della scienza come sistema compiuto di verità necessarie. Le teorie scientifiche non sono più destinate a spiegare i fenomeni sociali mediante schemi di natura logica necessitante, e alla legge deterministica si viene a sostituire la legge probabilistica, che implica elementi di accidentalità, la presenza di disturbi e fluttuazioni. Un elemento importante introdotto nel pensiero scientifico nella sua evoluzione dall'iniziale modello positivista è la categoria di falsificabilità, essa stabilisce che il confronto fra teoria e ritrovato empirico non può avvenire in positivo, mediante la prova (o verifica) che la teoria è confermata dai dati; ma si realizza soltanto in negativo, con la non falsificazione della teoria da parte dei dati, mediante cioè la constatazione che i dati non contraddicono l'ipotesi. La verifica positiva non avviene in quanto gli stessi dati potrebbero essere compatibili anche con altre ipotesi teoriche. Da questa impostazione deriva un senso di provvisorietà di ogni ipotesi teorica, mai definitivamente valida è sempre esposta alla mannaia di una possibile falsificazione. Crolla l'idolo della certezza. L'esigenza dell'oggettività scientifica rende ineluttabile che ogni asserzione della scienza rimanga necessariamente e per sempre allo stato di tentativo. Infine, e veniamo qui alla alle acquisizioni più recenti dell'orientamento post positivista, è venuta Corso di Laurea in Scienze e tecniche Psicologiche – 2017/2018 Lamberti Valerio affermandosi la convinzione che l'osservazione empirica, la stessa percezione della realtà, non è una fotografia oggettiva, ma dipende dalla teoria, nel senso che anche la semplice registrazione della realtà dipende dalla finestra mentale del ricercatore, da condizionamenti sociali e culturali. In altre parole, fermo restando che la realtà esiste indipendentemente dall'attività conoscitiva e dalla capacità percettiva dell'uomo, l'atto del conoscere resta condizionato dalle circostanze sociali e dal quadro teorico nelle quali si colloca. Questo processo di allontanamento dall'ortodossia positivista originaria, prima attraverso il neopositivismo e poi approdando al positivismo, non comporta una fuoriuscita dello spirito empirista. Il positivismo moderno perde le certezze, ma tuttavia non ripudia il fondamento empirista. Il nuovo positivismo ridefinisce i presupposti iniziali e gli obiettivi della ricerca sociale; ma il modo di procedere empiricamente ha alla sua base linguaggio osservativo di sempre, fondato sui capisaldi della operativizzazione, della quantificazione e della generalizzazione. Le procedure operative, le modalità di rilevazione dati, le operazioni di misurazione, le lavorazioni statistiche, non subiscono variazioni di fondo. Si ha un'importante apertura alle tecniche qualitative, ma senza intaccare la centralità di quelle quantitative. Postpositivista: • Ontologia → realismo critico: si presuppone l'esistenza di una realtà esterna all'uomo; ma differentemente dal positivismo essa è solo imperfettamente conoscibile: sia per l'inevitabile imprecisione di ogni conoscenza umana, sia per la natura stessa delle sue leggi, che hanno carattere probabilistico. Questo punto di vista è stato anche chiamato “realismo critico”: “realismo”, in quanto assume che relazioni di causa-effetto esistono nella realtà di fuori della mente umana; “critico”, per sottolineare l'atteggiamento di continuo sospetto. • Epistemologia → dualismo-oggettività modificati; leggi di medio raggio; probabilistiche e provvisorie: per quanto riguarda la questione della relazione studioso-studiato, il dualismo nel senso di separazione e non interferenza tra le due realtà non è più sostenuto. Si ha consapevolezza degli elementi di disturbo introdotti sull'oggetto studiato dal soggetto studiante e dell'effetto di reazione che ne può derivare. L'oggettività della conoscenza può essere raggiunta solo in maniera approssimata. • Metodologia → sperimentale-manipolativa modificata: le fasi operative della ricerca sono ancora fondamentalmente quelle che furono impostate dal neopositivismo nel nome di un sostanziale distacco fra ricercatore e oggetto studiato (esperimenti), manipolazione delle variabili, interviste quantitative, analisi di fonti statistiche ecc. Apertura, tuttavia, ai metodi qualitativi. - Interpretativismo Sotto il termine generale di interpretativismo vi sono tutte le visioni teoriche per le quali la realtà non può semplicemente essere osservata, ma va interpretata. Come nasce questa nuova visione della scienza sociale? La critica più radicale del positivismo viene alla luce nel contesto dello storicismo tedesco (Dilthey). Dilthey, nell'”Introduzione alle scienze dello spirito”, opera una celebre distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito, fondando la loro diversità proprio nel rapporto che si instaura tra ricercatore e realtà studiata. Mentre infatti l'oggetto delle scienze della natura è costituito da una realtà esterna all'uomo che tale resta anche nel corso del processo conoscitivo, il quale assume le forme della spiegazione (leggi di causa-effetto ecc). per le seconde, non essendoci questo distacco fra osservatore e realtà studiata, la conoscenza può avvenire solo attraverso un processo totalmente diverso, quello della comprensione. Noi spieghiamo la natura mentre intendiamo la vita psichica, dice Dilthey. Egli sottolinea l'esigenza Corso di Laurea in Scienze e tecniche Psicologiche – 2017/2018 Lamberti Valerio che lo storico si accosti alla sua materia con una sorta di identificazione psicologica tale da poter rivivere il passato in un'esperienza interiore che sola può condurlo alla conoscenza. Negli stessi anni un altro studioso tedesco proponeva una diversa distinzione, strettamente collegabile tuttavia alla precedente. Ci riferiamo a Windelband, che introduce la separazione fra scienze nomotetiche, cioè finalizzata all'individuazione di leggi generali, e scienze idiografiche, orientate a cogliere l'individualità dei fenomeni, la loro unicità e irripetibilità. È tuttavia con Max Weber che questa nuova prospettiva entra a pieno titolo nel campo della sociologia. La preoccupazione di Weber è quella di non cadere, accogliendo il principio del Verstehen, nell'individualismo soggettivista e nello psicologismo; egli vuole salvare l'oggettività della scienza sociale sia nei termini della sua avalutatività, cioè indipendenza da giudizi di valore; sia in quelli della possibilità di arrivare a enunciati aventi un qualche carattere di generalità, pur partendo da un orientamento verso l'individualità. L'avalutatività delle scienze storico-sociali resta quindi un caposaldo irrinunciabile. La capacità di realizzare la distinzione tra il conoscere e valutare, cioè tra l'adempimento del dovere scientifico di vedere la realtà dei fatti e l'adempimento del dovere pratico di difendere i propri ideali, questo è il principio al quale dobbiamo attenerci più saldamente. Se le scienze storico-sociali non possono ammettere al loro interno presupposti di valore, tuttavia - secondo Weber - non si può impedire che questi interventi vengano nella scelta dei problemi da studiare, assumendo un ruolo orientativo nei confronti della ricerca. Sia pure privi di una funzione valutativa, i valori restano dunque presenti con quella che potremmo chiamare una funzione selettiva. Le scienze sociali, secondo Weber, si distinguono dalle scienze naturali non per l'oggetto (secondo la contrapposizione di Dilthey fra scienze dello spirito e scienze della natura); né perché abbiano come obiettivo quello di arrivare a studiare fenomeni sociali nella loro individualità (secondo la contrapposizione di Windebald fra scienze nomotetiche e scienze idiografiche), ché anzi esse pure intendono arrivare a forme di generalizzazione; ma per il loro orientamento verso l'individualità. Orientamento che è soprattutto di metodo. E per Weber il metodo è quello del comprendere. Comprendere un'azione individuale significa procurarsi i mezzi di informazione sufficienti per analizzare le motivazioni che hanno ispirato l'azione. L'osservatore comprende l'azione del soggetto osservato allorquando può concludere: nella stessa situazione, avrei agito senza dubbio nel medesimo modo. Come si vede, la comprensione nel senso di Weber suppone che l'osservatore possa mettersi al posto dell'attore, ma non implica in alcun modo che la soggettività del secondo sia immediatamente trasparente per il primo. Ma da questo orientamento verso l'individualità come può nascere l'oggettività? A questo problema risponde la concezione weberiana del tipo ideale. Per Weber i tipi ideali sono forme di agire sociale che possono venir riscontrate in maniera ricorrente nel modo di comportarsi degli individui umani (uniformità tipiche di comportamento costituite attraverso un processo astratto che, isolando entro la molteplicità del dato empirico alcuni elementi, procede a coordinarli entro un quadro coerente e privo di contraddizione). Il tipo ideale è dunque un'astrazione che nasce dalla rilevazione empirica di uniformità. Weber ce ne ha dati degli esempi formulando dei tipi ideali con riferimento alle strutture sociale (es. capitalismo), alle istituzioni (es. burocrazia, chiesa e setta, forme di potere), al comportamento dell'individuo (es. agire razionale). Questi tipi ideali non vanno confusi con la realtà, essi sono stati costruiti in maniera ideale euristica; sono ideali nel senso che sono delle costruzioni mentali dell'uomo; svolgono una funzione euristica nel senso che ne indirizzano la conoscenza; non hanno un corrispettivo concreto nella realtà; purtuttavia sono modelli teorici che aiutano il ricercatore a interpretarla. Corso di Laurea in Scienze e tecniche Psicologiche – 2017/2018 Lamberti Valerio Capitolo 2: ricerca quantitativa e ricerca qualitativa Vengono inizialmente presentati due esempi tipici di ricerca quantitativa e qualitativa, con l'intento di fornire una visione di insieme per ciascuno dei due approcci. Successivamente si illustrano analiticamente tutte le fasi di una ricerca sociale, mettendo a confronto, sinotticamente, il modo di affrontarle da parte dell'approccio quantitativo e di quello qualitativo. - Paradigma neopositivista: “crime in the making” di Sampson e Laub La discussione tra paradigmi è entrata in una fase di latenza che ha visto negli anni 40, 50 e prima degli anni 60, il dominio della prospettiva quantitativa. È stato a partire dalla seconda metà degli anni 80 che l'approccio qualitativo ha affermato con forza la sua presenza non solo nel dibattito metodologico ma anche sul piano della ricerca empirica. Inizieremo questo capitolo descrivendo due ricerche, una condotta sotto l'ispirazione del paradigma neopositivista e l'altra all'insegna del paradigma interpretativo: La prima ricerca che prendiamo in considerazione è quella di Sampson e Laub, “Crime in The making”. (1993). Ipotesi I due autori lamentano il fatto che, essendo i reati commessi da adolescenti più che proporzionale alla loro presenza nella popolazione, gli studi di sociologia criminale si sono per lo più concentrati su questa età, trascurando sia l'infanzia, nella quale secondo alcuni vanno ricercati i germi del comportamento antisociale, sia l'età adulta, nella quale passaggi cruciali come l'inizio dell'età lavorativa e il matrimonio possono introdurre cambiamenti radicali nell'atteggiamento sociale dell'individuo. Questo punto di vista implica la necessità di superare l'impostazione sincrona o trasversale tra (cross-sectional) caratteristica di studi condotti su un gruppo di individui “fotografati” in un dato momento, per passare a studi diacronici (longitudinali), attraverso i quali si segue per un determinato periodo di tempo un gruppo di individui, rilevando su di essi informazioni e dati in momenti successivi della loro vita. Assunto questo punto di partenza, Sampson e Laub hanno affrontato il comportamento criminale in una prospettiva di ciclo di vita dove per ogni età vengono discusse sia le variabili di fondo tradizionalmente considerate come le cause del comportamento deviante, sia i meccanismi informali di controllo sociale operanti in quel momento del ciclo di vita. Disegno della ricerca Questi autori raccolsero informazioni su 500 autori di reato giovani, maschi bianchi, che all'inizio dell'indagine, nel 1939, avevano fra i 10 e i 17 anni, e su 500 ragazzi normali (non autori di reato). I ragazzi furono seguiti sistematicamente dal 1939 al 1948 con interviste a loro stessi, alle famiglie e agli insegnanti. Ci furono poi due studi successivi sugli stessi soggetti, quando avevano l'età di 25 e di 32 anni (fra il 1949 e il 1963), nel corso dei quali i ricercatori riuscirono a raggiungere 438 e 442 dei rispettivi originali 500 autori e non autori di reato. Nell'arco della vita fra i 17 e i 32 anni, di 500 autori di reato iniziali 90 furono arrestati per rapina, 225 per furto con scasso e più di 250 per furto. Sì noti inoltre che tra i 500 normali, cento di essi iniziarono a commettere dei reati da adulti. Rilevazione empirica i risultati delle analisi I dati raccolti rappresentano l'integrazione di differenti fonti di informazioni; informazioni disomogenea che tuttavia vennero codificato in schede standardizzate. Vennero registrati tutti i comportamenti non solo illegali ma anche di semplice “cattiva condotta” (es. Fumare, bere, scappare di casa ecc). Vennero fuse le informazioni provenienti dalle diverse fonti e furono costruiti sia degli indici di Corso di Laurea in Scienze e tecniche Psicologiche – 2017/2018 Lamberti Valerio devianza per ogni comportamento, sia un indice di devianza complessiva (ocn un punteggio da 1 a 26). Questo rappresentava la devianza “non ufficiale”, mentre la devianza “ufficiale”, definita sulla base dei dati effettivamente denunciati all'autorità giudiziaria, era rappresentata dalla variabile dicotomica (autori di reato/non autori di reato) posta alla base del piano di campionamento dei 500 più 500 soggetti. Sono queste le variabili dipendenti della ricerca. Gli autori distinguono fra variabili di base e variabili di processo. Le prime sono le classiche variabili (es. povertà, disgregazione familiare, criminalità dei genitori ecc.) normalmente chiamate in caso in questo genere di studi. Le seconde fanno riferimento a quei legami informali (in questo caso con la famiglia), e nei capitoli successivi con la scuola, il lavoro ecc. Su questa base gli autori ipotizzano un modello teorico. Le variabili strutturali di base influirebbero sul comportamento deviante non in maniera diretta ma in maniera mediata dalle variabili intervenienti rappresentate dal controllo familiare. I due autori passano alle variabili individuandone 9 strutturali di base, e 5 che sono invece le variabili processuali familiari. La variabile dipendente dell'intero modello è naturalmente rappresentata dal comportamento deviante; a seconda dei casi si tratterà della devianza ufficiale o della devianza non ufficiale, come già precisato. Possiamo a questo punto passare ai risultati delle analisi. Gli autori utilizzano lo strumento statistico della regressione multipla. Essi dispongono di 3 blocchi di variabile: 1. Quelle strutturali di base. 2. Quelle processuali familiari. 3. Quelle dipendenti (comportamento deviante). Mettono in relazione i tre blocchi a due a due, e riscontrano sempre forti correlazioni: • Fra variabili di base e variabili processuali (le condizioni strutturali della famiglia influenzano i legami affettivi e il rapporto pedagogico); • Fra variabili di base devianza (la situazione familiare precaria favorisce il comportamento deviante); • Fra variabili processuali e devianza (l'indebolimento dei legami familiari la favorisce). Ma il fatto interessante è che quando si analizza il modello completo (variabili strutturali di base e variabili processuali familiari assunte tutte insieme come indipendenti e comportamento deviante come dipendente), l'effetto delle variabili strutturali di base quasi sparisce. Cosa significa ciò? Significa che le variabili strutturali non hanno effetto diretto sul comportamento deviante, ma la loro azione è mediata dalle variabili processuali. Corso di Laurea in Scienze e tecniche Psicologiche – 2017/2018 Lamberti Valerio Affollamento abitativo Disgregazione familiare Dimensione familiare Basso status socioeconomico Nascita all'estero Mobilità residenziale Occupazione della madre Devianza paterna Devianza materna Padre erratico, freddo e minaccioso Madre erratica, fredda e minacciosa Mancanza di supervisione materna Rifiuto, ostilità da parte dei genitori Rifiuto dei genitori da parte del ragazzo Reato In questo risultato tutte le variabili processuali sono altamente correlate con il comportamento deviante (fatto interpretabile nel senso che lo influenzano direttamente); mentre fra le variabili strutturali una sola lo influenza direttamente in maniera statisticamente significativa (si tratta della dimensione della famiglia). Gli autori calcolano calcolano che il 73% dell'effetto delle variabili strutturali è mediato dalle variabili processuale familiari. Gli autori ricavano dai loro dati la conclusione che i processi familiari di controllo informale hanno un importante effetto inibitorio sulla delinquenza degli adolescenti. Questi risultati sostengono la loro teoria integrata dei controlli sociali informali, per quanto concerne la prima fase, quella relativa al controllo familiare. - Paradigma interpretativo: “Islands in the street” di Jankowski Sampson e Laub → questo libro ha voluto rispondere alla seguente sfida: riusciremo noi a sviluppare sono e a sottoporre a controllo empirico un modello teorico in grado di spiegare crimine e devianza nell'infanzia, nell'adolescenza e nell'età adulta? Martin Sanchez Jankowski → noi, nelle scienze sociali, così come le politiche pubbliche, non abbiamo mai completamente compreso le gang. Per cominciare abbiamo fallito nel comprendere adeguatamente gli individui che sono nelle gang, poi il fatto che le gang non siano state comprese come organizzazione ha impedito la nostra comprensione del loro comportamento. La semplice differenza lessicale fra i due brani, con lo “spiegare” assunto a obiettivo nel primo caso e l'insistenza sul “comprendere” nel secondo, esprime eloquentemente la differenza di impostazione metodologica esistente fra le due ricerche. Disegno della ricerca e raccolta dei dati La ricerca di Jankowski è un esempio di osservazione partecipante. Sono state studiate 37 gang, dedicando allo studio 10 anni, durante i quali J. ha partecipato pienamente alla vita delle gang, inserendosi nelle loro attività, condividendo la loro quotidianità. La raccolta dei dati, come è normale nel caso dell'osservazione partecipante, avveniva mediante registrazione di appunti su un taccuino nel corso dell'osservazione. Ipotesi Nel capitolo iniziale Jankowski non passa in rassegna la letteratura mettendo a confronto le differenti tesi, ne avanza ipotesi; ma già attinge ampiamente alla ricerca effettuata ed espone le conclusioni alle quali la sua esperienza l'ha portato. Questa impostazione non nasce da una scelta personale dell'autore, ma deriva dalle caratteristiche stesse dell'approccio interpretativo, che procede in maniera essenzialmente induttiva, evitando un forte condizionamento teorico iniziale: la teoria dovrà essere scoperta nel corso dell'indagine. L'originalità dell'approccio di Jankowski sta nel fatto che egli non vede nella gang una deviazione patologica delle norme sociali, ma piuttosto interpreta l'adesione a essa come una scelta razionale. Secondo Jankowski le aree a basso reddito dei sobborghi metropolitani americani sono in realtà organizzate sviluppando un ordine sociale alternativo a quello tradizionale. La riflessione di Jankowski si sviluppa su tre linee: • L'individuo e il suo rapporto con la gang → Egli elabora il concetto di carattere individualistico e ribelle connotato da un intenso senso della competizione, che spesso arriva all'aggressione fisica, sfiducia verso gli altri, isolamento sociale, necessità di contare soltanto su se stessi, e visione esistenziale per la quale la vita è una lotta in cui sopravvivono solo i più forti. Le domande che questo individuo pone alla società trovano nella gang un possibile strumento di realizzazione. L'autore definisce la gang come un sistema sociale quasi privato e quasi segreto, governato da una struttura di leadership che ha ruoli definiti e il suo agire è finalizzato non solo alla erogazione di servizi sociali ed economici ai suoi membri, ma alla Corso di Laurea in Scienze e tecniche Psicologiche – 2017/2018 Lamberti Valerio Rilevazione 8. Disegno della ricerca → comprende le scelte di carattere operativo con le quali si decide dove, come e quando si raccolgono i dati. Nel caso quantitativo il disegno della ricerca è costruito a tavolino prima dell'inizio della rilevazione ed è rigidamente strutturato e chiuso. Nella ricerca qualitativa il disegno della ricerca è invece destrutturato, aperto, idoneo a captare l'imprevisto, modellato nel corso della rilevazione. Da questa impostazione chiusa o aperta, stabilita a priori oppure nel corso della ricerca, discendono altre due caratteristiche differenzianti. 9. Rappresentatività → nella ricerca quantitativa il ricercatore è preoccupato della generalizzabilità dei risultati, è preoccupato della rappresentatività del pezzo di società che sta studiando più che della sua capacità di comprenderla. L'opposto vale per il ricercatore qualitativo, che mette al primo posto la comprensione, anche a costo di perdersi nell'inseguimento di situazioni atipiche e di meccanismi non generalizzabili. Al ricercatore qualitativo la rappresentatività statistica non interessa per nulla. 10. Strumento di rilevazione → nella ricerca quantitativa tutti i soggetti ricevono lo stesso trattamento. Lo strumento di rilevazione è uniforme per tutti i casi. Questo perché l'obiettivo finale della raccolta di informazione è la matrice dei dati. La ricerca qualitativa non ha questo obiettivo di standardizzazione. Anzi, presenta disomogeneità delle informazioni come abbiamo visto nel punto precedente, è un suo fatto costitutivo. Ancora una volta questa differenza di impostazione va ricondotta alla diversità di obiettivo conoscitivo, che nell'un caso è scoprire le uniformità del mondo umano e nell'altro è capirne le manifestazioni nella loro individualità. 11. Natura dei dati → nella ricerca di orientamento quantitativo essi sono affidabili, precisi, rigorosi; Il termine inglese che viene utilizzato per definire sinteticamente questi attributi è hard, o meglio dire in italiano tra “oggettivi e standardizzati”. La ricerca quantitativa cerca comunque sempre di arrivare a dati hard. La ricerca qualitativa, all'opposto, non si pone il problema dell'oggettività e della standardizzazione dei dati, preoccupandosi invece della loro ricchezza e profondità; nella letteratura di lingua inglese i dati che produce sono definiti in contrasto con i precedenti, soft. Analisi dei dati Il forte impatto della strumentazione matematica e statistica utilizzata nel caso quantitativo fa da stridente contrasto con la sobrietà di un'analisi qualitativa, dove manca una parte statistica- matematico e limitata a pura ausilio dall'organizzazione del materiale empirico e l'apporto di strumenti informatici. Ma prima ancora che nella strumentazione tecnologica da analisi dei dati e nella differenti presentazioni finali dei risultati, la diversità sta nella logica che sovrintende l'analisi stessa. 12. Oggetto dell'analisi → Nel caso quantitativo vi è una rilevazione di variabili dipendenti e indipendenti che si traduce nell'attribuzione a ogni soggetto di un punteggio, che per semplicità l'autore limita a sole due possibilità: presenza/assenza (es. presenza o assenza di comportamenti aggressivi nell'adolescenza). L'autore mette in relazione statistica le variabili e sulla base delle correlazione tra variabile dipendente e variabile indipendente, e sulla base di una successiva analisi nella quale vengono messi in relazione tra loro le variabili dipendenti, l'autore arriva alla conclusione. Qual è stato l'itinerario logico e operativo che ha permesso di arrivare a queste conclusioni? L'équipe ha innanzitutto raccolto i dati per soggetto. Nel senso che sui soggetti di studio sono state raccolte tutte quelle proprietà Corso di Laurea in Scienze e tecniche Psicologiche – 2017/2018 Lamberti Valerio individuali che in fase di analisi dei dati chiamiamo variabili. Il soggetto non verrà più ricomposto dal ricercatore nella sua interezza di persona. L'analisi dei dati avverrà Infatti sempre per variabili, in maniera impersonale. Nel caso qualitativa l'analisi avviene attraverso l'interessa e l'individualità del soggetto. 13. L'obiettivo → nell'analisi quantitativa l'obiettivo sarà spiegare la varianza delle variabili dipendenti, trovare cioè le cause che provocano il variare delle variabili dipendenti fra i soggetti, e cioè, detto ancora in altro modo, i fattori che spiegano perché alcuni soggetti sono aggressivi in un determinato tempo e altri no. Tale ricerca può essere interpretata come un ritrovamento di una variabile. L'approccio interpretativista critica questo modo di procedere, accusandolo di assunzione impropria del modello scientifico delle scienze naturali. In questa prospettiva si sottolinea infatti come l'individuo sia qualcosa di più della somma delle sue parti, in una complessa interdipendenza che non può essere ridotta alla relazione tra alcune variabili (vi è uno snaturamento del soggetto). 14. Tecniche matematiche e statistica → Il linguaggio della matematica viene inteso tout court con il linguaggio della scienza nel caso quantitativo. Nell'altro caso, quello qualitativo, la formalizzazione matematica viene considerata non solo inutile ma anche dannosa, ed è per questo che viene completamente ignorata. Risultati Dalle diversità di impostazione, di rilevazione di analisi dei dati, deriva naturalmente anche una profonda diversità nel tipo di risultati raggiunti. 15. Presentazione dei dati → tabella nell'ambito quantitativo. Le informazioni di carattere quantitativo che la tabella ci fornisce sono succinte, parsimoniose, compatte: con pochi numeri essa ci illumina su una caratteristica che riteniamo importante. Narrazione nell'ambito qualitativo. Il fatto stesso di riportare le parole dell'intervistato permette meglio di vedere la realtà con gli occhi dei soggetti studiati; in secondo luogo, essa conferisce al dato una dimensione pittorica del tutto sconosciuta alla semplice tabella Va detto a questo proposito che se tabelle e narrazione sono due modi tipici di presentare i risultati nella ricerca quantitativa e in quella qualitativa, Tuttavia essi non sono strumenti unilaterali, utilizzabili solo per l'uno per l'altro tipo di ricerca. È assai comune il caso di ricerca di impostazione neopositivista nelle quali la narrazione viene utilizzata a fini illustrativi. Assai più raro è il caso opposto. Il ricercatore dell'approccio interpretativo difficilmente usa una tabella per le sue variabili rilevanti, in quanto è restio ad applicare delle proprie categorizzazione alle risposte e agli atteggiamenti degli intervistati, essendo suo obiettivo quello di riportare la visione della realtà dei soggetti studiati, più che di individuare dei tratti generalizzabili. 16. Generalizzazioni → l'obiettivo della ricerca non può essere solo quello di descrivere la realtà nelle sue articolazioni, ma di fornire delle schematizzazioni e delle sintesi d'ordine superiore. È questo l'unico modo per connettere la ricerca alla teoria, che rappresenta una forma di astrazione razionale sintetica della realtà. L'itinerario che conduce a questa sintesi è chiaro nella ricerca quantitativa, ed è costituito dal processo che porta, attraverso lo studio delle relazioni tra variabili, all'enunciazione di rapporti causali fra le variabili stesse. Nell'approccio qualitativo è più difficile trovare degli itinerari di sintesi e delle informazioni sufficientemente generali e condivise dai ricercatori. Molti autori indicano nell'individuazione di “tipi” la via per raggiungere questi obiettivi di sintesi. E Questa è d'altra parte anche la soluzione suggerita dall'approccio interpretativista dell'originaria ispirazione weberiana, con la formulazione del concetto di tipo ideale (ovvero una categoria concettuale che non ha un corrispettivo effettivo nella realtà). Va sottolineato come in tutti questi casi la realtà non è semplicemente descritta, ma viene Corso di Laurea in Scienze e tecniche Psicologiche – 2017/2018 Lamberti Valerio interpretata, letta, analizzata e alla fine ricomposta e sintetizzata a partire dalle categorie classificatorie o dai tipi ideali individuali. Lo scopo ultimo della ricerca quantitativa sta nell'individuazione del meccanismo causale, anche se non sempre sarà possibile arrivare alla formalizzazione di un modello causale, con variabili indipendenti legate fra loro. All'opposto nelle ricerche qualitative, non c'è traccia di interrogativo sui meccanismi causali che hanno portato alle differenze di atteggiamenti, comportamenti e stili di vita fra i soggetti, emerse nel corso dell'analisi dei dati. 17. Portata dei risultati → date le sue esigenze di approfondimento e di immedesimazione nell'oggetto studiato, la ricerca qualitativa non può operare su un numero rilevante di casi. La norma è costituita da studi condotti su poche pochissime unità. Assai frequentemente si presenta il cosiddetto studio di caso, una ricerca condotta su una sola specifica per situazione. Com'è possibile da situazioni così specifiche inserire osservazioni e conclusioni dotate di un'ampia generalità? Tutto questo non potrà non andare a scapito della generalizzabilità dei suoi risultati. Profondità e ampiezza sono dunque di inversamente correlate. Più la ricerca sarà ampia, cioè investirà un numero maggiore di soggetti, più il suo campione sarà rappresentativo della variegata situazione reale. In conclusione, resta in dubbio la maggiore generalizzabilità dei risultati della ricerca quantitativa rispetto a quelli della ricerca qualitativa. - Due diversi modi di conoscere la realtà sociale E dunque meglio fare ricerca sociale utilizzando la prospettiva quantitativa o quella qualitativa? È possibile affermare che uno dei due approcci sia dal punto di vista scientifico superiore all'altro? Si possono individuare tre posizioni in proposito: 1. Il paradigma neopositivista e il paradigma interpretativo rappresentano due punti di vista incompatibili in quanto epistemologicamente incommensurabili, caratterizzati da divergenti impostazioni filosofiche di fondo. I paladini dell'approccio quantitativo dicono che quello qualitativo semplicemente non è scienza; i secondi all'opposto sostengono che i primi con il loro scimmiottamento delle scienze naturali sono incapaci di cogliere la vera essenza della realtà sociale. 2. All'interno della componente quantitativa degli scienziati sociali non negano che un valido contributo possa venire anche dalle tecniche qualitative. Queste vengono collocate tuttavia in un contesto esplorativo pre-scientifico, assolvendo una funzione di stimolazione intellettuale in una sorta di brainstorming preliminare che resta tuttavia esterno alla fase scientifica vera e propria. 3. La terza posizione infine, sostiene la piena legittimità, utilità è pari dignità dei due metodi, e auspica lo sviluppo di una ricerca sociale che, a seconda delle circostanze delle opportunità, scelga per l'uno o per l'altro approccio (o per entrambi). La distinzione tra ricerca quantitativa e ricerca qualitativa è una questione di puro carattere tecnico, dove la scelta fra l'una o l'altra a che fare solo con la sua adeguatezza a rispondere al particolare problema posto dalla ricerca; oppure i due modi di fare ricerca non differiscono fra loro per mere questioni procedurali, ma sono le espressioni dirette logicamente conseguenziali a due diverse visioni epistemologiche. Ma perché l'assunzione di una diversità fra i due approcci deve anche indicare il fatto che l'uno sia giusto e l'altro sia sbagliato? Due differenti prospettive della stessa realtà non possono dare entrambe contributi significativi alla sua conoscenza? Per concludere, approccio neopositivista e approccio interpretativista, tecniche quantitative e tecniche qualitative, portano conoscenze diverse. Ma questo non è un limite, ma un arricchimento, in quanto c'è la necessità di un approccio multiplo differenziato alla realtà sociale per poterla effettivamente conoscere, quella stessa esigenza di diverse angolature visuali che al museo ci fa girare attorno alla statua per poter effettivamente afferrarla nella sua completezza. Corso di Laurea in Scienze e tecniche Psicologiche – 2017/2018 Lamberti Valerio
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