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riassunto riassunto riassunto, Schemi e mappe concettuali di Geopolitica

riassunto riassunto riassunto riasuunto

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

Caricato il 17/03/2023

emma-dal-monte
emma-dal-monte 🇮🇹

2 documenti

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Scarica riassunto riassunto riassunto e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Geopolitica solo su Docsity! Sloterdijk è un filosofo che individua i simboli, i motivi, le spinte che hanno portato alla globalizzazione terrestre e alla costruzione del concetto di globo. È un processo che per funzionare ha avuto bisogno di strumenti e il cui inizio partenza viene individuato nell’Europa del 1500, dalla scoperta dell’America da parte di Colombo. L’avvio è quindi un atto culturale e di appropriazione/assoggettamento. La globalizzazione, che ormai non è più solo terrestre ma è elettronica, è innestata infatti su coordinate economiche e politiche, ovvero relazioni gerarchiche all’interno della società e di potere. Premettendo che: Il mondo è una costruzione culturale, fatta di relazioni, è lo spazio sociale; Terra è una costituzione fisica; La geografia definisce la vita degli individui collocandoli in relazione a Terra e mondo. La carta geografica per secoli è stato anche un titolo legale di possesso, uno strumento per detenere il diritto di proprietà di territorio e persone. Territorio deriva da terrore, è lo spazio sui cui esercita la legge e il potere. Il confine non è geografico, è sempre costruito e definisce un limite che non è mai naturale. Latour attualizza e problematizza le conclusioni di Sloterdijk. La globalizzazione attuale funziona? Ma soprattutto non abbiamo un’immaginazione, né un bagaglio semantico adatto per affrontare e visualizzare la crisi climatica. Serve una nuova mappatura per considerare nuovi problemi che non ci eravamo mai posti, in primis che la dimensione naturale del mondo avrebbe reagito alle nostre azioni: la terra ferma non è più così ferma: un’immagine che deve entrare nel discorso pubblico andando a ri-descrivere il nostro modello di mondo, che non è più operativo. Un sistema di mondo che produce una certa quantità di energia: un consumo e una produzione notevole, e ha una determinata resilienza. Timothy Morton fa notare che è il momento dell’agire etico e politico sulla Terra, di svegliarsi e disperarsi. L’epoca degli oggetti è finita, è cominciata quella degli iperoggetti, talmente grandi che è difficile prevederne la totalità: ciò che noi vediamo è solo una parte che non la esauriscono nella sua interezza, in primis perché vi si trova all’interno. Collassa così la distanza tra gli oggetti e l’uomo, che può solo sperimentarne le sue manifestazioni locali: del clima ne subisce le alluvioni o i tornado, per esempio. Nell’epoca degli iperoggetti non c’è nessuna possibilità di distanziarsi da alcuni grossi problemi della modernità. Bisogna ripensare, rivedere i nostri concetti. La scoperta dell’America, per esempio, ha costretto l’Europa a ripensare la propria posizione nel mondo, i tempi, i suoi modelli in generale. Viene spodestata da una posizione gerarchica di privilegio. Ora è l’umanità stessa a essere spodestata: le entità con cui dover negoziare sono entità non umane, e con cui in realtà non è possibile farlo. E quindi com’è possibile la convivenza spaziale con entità non umane? (Domanda che si è posta proprio l’ultima biennale di archittetura) Viene fuori qualcosa che è sempre stato dato per scontato e non è mai stato effettivamente trattato: la dimensione terrestre. La geografia non si è mai occupata della Terra, al massimo della superficie, non di descrivere sfera e biosfera. Latour afferma che la nuova contemporaneità è segnata da un nuovo regime climatico, non dalla globalizzazione. Il contesto fisico è diventato instabile, dopo essere stato dato per scontato: la Terra è entrata nella scala gerarchica degli attori del palcoscenico terrestre. Per esempio la pandemia, che è un’entità non umana. I cittadini della Terra inoltre devono essere consapevoli di abitare su più pianeti uno dentro l’altro: globalizzazione, Terra, infosfera. Il pianeta della modernità era stato una somma di Stati-nazione: il planisfero, una palla schiacciata su due dimensioni. La situazione attuale ridefinisce il concetto di identità e di luogo. In primis andando a toccare il problema delle migrazioni: il divario socio-ambientale impone un inedito regime di mobilità, sotto spinte di sussistenza, che fanno nascere razzismi, nazionalismi, crisi e discriminazioni. Se si cerca di comprendere e considerare i territori secondo i dettami della cartografia non si capisce nulla, siamo disorientati. La coincidenza tra un territorio occupato legalmente e culturalmente da cui traiamo la nostra autonomia e libertà, i mezzi di sussistenza, è un’utopia: non è affatto così; prende le sue ricchezze e risorse da altri territori e si libera degli scarti altrove. C’è un abisso tra il territorio in cui si vive e il territorio grazie al quale tale territorio si mantiene il proprio equilibrio economico. È un abisso di tipo economico ma soprattutto politico, che porta facilmente a una reificazione dei confini, che sembrano sempre più solidi (fino a diventare muri fisici) e diventano durissimi da attraversare. E allo stesso tempo, per quanto lo si ignori, il mondo da dove arrivano le risorse irrompe inevitabilmente nel mondo dove si trovano gli affetti. Siamo nella nuova era dell’antropocene, in cui l’uomo viene riconosciuto dalle scienze naturali come elemento della natura in grado di influenzare potentemente la Terra stessa lasciando il proprio segno. L’aggiunta di antropos al suffisso -cene sta a significare che le modificazione che il nostro tipo di mondo sta apportando alla natura hanno la stessa valenza dei fenomeni naturali. Il fatto che siano i geologi a doverlo stabilire vuol dire che si riscontra anche nella stratificazione nelle rocce. L’era precedente, l’olocene, undici milioni di anni di stabilità in cui le civiltà si sono sviluppata, la Terra è stata ferma, ora invece si sta muovendo, si sta modificando, e l’uomo viene individuato come agente. Dipende da un modello di produzione; la scelta dell’inizio dell’antropocene non è solo una questione di datazione, ma di responsabilità. L’antropocene è dunque un’istanza che prende le mosse dalla comunità scientifica ma il prefisso rende il concetto sociale e politico. Nella stratificazione degli elementi della Terra troviamo presente l’etichetta made in human. C’è una sorta di metamorfizzazione dell’uomo che rende inutile distinguere tra le scienze umane e le scienze della terra. Deleuze e Guattari, due filosofi, aprono un loro saggio con un capitolo dal titolo Geologia della morale, definiti “cartografi delle contrade a venire”, in cui applicano il concetto di stratificazione, spiegando cos’è uno strato, alla società: uno strato è un grande apparato di cattura, trattiene ciò che passa nelle sue vicinanze, lo scarto, trasformandolo in qualcosa di funzionale, il sedimento. Gli strati sociali sono quindi la materializzazione dell’agire politico ed economico, la memoria di tutto ciò che è stato scartato. Lo sgravio morale non rimanda più solo all’ambito dell’etica: tutto ciò che materialmente viene ritenuto di scarto va a influenzare la Terra. Il pensiero scientifico-tecnico si rimescola con la filosofia per agire su una zona critica, che non è più solo la Gaia, la superficie della Terra, è la zona materialissima dove si svolge la vita di tutti. E allo stesso tempo non si può più separare la Storia dell’uomo dalla Storia della Terra. Si devono redistribuire i vecchi oggetti del simbolico, del sociale, dell’opposizione umano/naturale, secondo una geometria che segue la logica del nastro di Mobius: una figura topologica costituita da una sola faccia, un solo lato e un solo bordo, in cui è impossibile applicare la logica del dentro, fuori, sotto, sopra. La scienza antropocentrica deve porsi la domanda di costruire nuove sfere di immunità. Il concetto di milieu, di interiorità, si ridistribuisce nel concetto di microsfere, necessarie per mantenere la vita, e che di fatto testimoniano la morte stessa di ogni forma di immunità: le grandi sfere di protezione di cui si era servita l’umanità cadono (baldacchini); ora ci si trova in una schiuma. Comunque sia la forma che assume, ognuno ha bisogno di un ambiente in cui vivere, un concetto che è sia sociale sia naturale; refugia, dal punto di vista animale, una zona in cui sia possibile la pratica della vita (della riproduzione): il cambiamento occorso dall’olocene è proprio che questi refugia si sono rotti; la Terra è ora piena di rifugiati. Donna Haraway: bisogna prendere tutte le narrazioni esistenti, le varie connessioni che possono ancora agire nell’antropocene e costruire concatenazioni inedite. C’è urgenza di un pensiero
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