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Riassunto Riccardo II, Sintesi del corso di Letteratura Inglese

Riassunto atto per atto Riccardo II

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Caricato il 02/03/2022

annachiara_franco1
annachiara_franco1 🇮🇹

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Scarica Riassunto Riccardo II e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! RICCARDO II È il dramma della caduta di un re che non domina ma subisce gli eventi, inetto al governo; un personaggio volubile, fantasioso, emotivo, che si trova imprigionato in un ruolo deciso dalla sorte: quello di re per diritto divino. In questo dramma possiamo distinguere tre fasi: 1. ci mostra Riccardo nelle sue funzioni di sovrano; deve confrontarsi con colpe ed errori del passato e il colloquio tra Gaunt e la vedova di Gloucester getta su di lui una luce sinistra, ed egli stesso rivela la natura irresponsabile del suo governo. Un monarca succube di adulatori corrotti: rappresenta la negazione del buon principe rinascimentale; 2. il re è assente dalla scena; mostra l’estendersi rapido della ribellione e l’impotenza delle forze lealiste. Gli eventi precipitano perché nessuna forza morale, politica o militare è in grado di opporvisi. Lo spettatore, in questa seconda fase, prende coscienza del dramma che si sta consumando; 3. comincia con lo sbarco del Re sulla costa gallese, un re sconfortato perché non ha scampo. Dopo l’incontro con Bolingbroke, egli si priva da solo di ogni attributo regale. Inevitabile è la morte del re deposto (per ragioni di Stato). La terza fase è dunque la storia del calvario di una vittima predestinata; Riccardo II è un’opera ricca di suspense ed è il dramma della non-azione: la tensione non si scarica mai nell’agire. Ad esempio, la contesa iniziale tra Bolingbroke e Mowbray si risolve in un nulla di fatto e viene rinviata. O ancora, una forte armata gallese attende lo sbarco del sovrano ma, al ritardo di questi, si dissolve. La congiura di Aumerle è sventata ancor prima di prender corpo. Perfino il voto finale del nuovo re è una non-azione: il pellegrinaggio in Terrasanta non avrà luogo né ora né mai. Un’opera in cui la parola è musica e il linguaggio è tutto (l’esiliato Mowbray identifica nella perdita del linguaggio la perdita della patria e della sua stessa identità inglese) ed è interamente scritta in blank verse (decasillabi sciolti con rari esempi di rime baciate). La nobiltà e la grandezza della tragedia si esprimono nella misura, nell’unità di tono, nella sua geometria strutturale, e in un linguaggio libero da eccessi. Le immagini sono fondamentali, percorrono il testo dall’inizio alla fine. Troviamo le immagini legate ai quattro elementi della creazione: Fuoco, Aria, Terra e Acqua. A questi quattro elementi corrispondono i quattro ‘umori’ dominanti dell’uomo. Il sangue, caldo e fluido (fuoco e acqua), è emblema di vita e di morte, di un ordine superiore (nobiltà di sangue) come del caos e del degrado (contese civili). Riccardo, il Re sole di fuoco, si scontra con il torrenziale Bolingbroke. Il conflitto annega il fuoco di Riccardo e trasforma in fuoco devastatore Bolingbroke, il sole nascente. A Riccardo non resta che la malinconia dell’Acqua (le lacrime) e della Terra (la tomba). La Terra è l’elemento centrale del dramma e il cerimoniale di corte si manifesta attraverso Terra e Aria: inchini, in alto il Re, a terra i sudditi, omaggi feudali fatti d’aria). Il linguaggio è fatto d’aria e il suo strumento è la lingua. Come tutti i drammi storici, Riccardo II ha anche un interesse politico. Sono anni in anni in cui la regina Elisabetta è oggetto di critiche per la mancanza di un erede al trono e si teme la preminenza accordata a questo o quel favorito. Il Conte di Essex arriverà a tentare un colpo di stato e sarà decapitato. Quando la compagnia di Shakespeare porta sulla scena Riccardo II, che rappresenta la deposizione di un sovrano come conseguenza dei suoi errori, è costretta a eliminare la scena dell’abdicazione. Elisabetta stessa spesso ricorreva a metafore teatrali per descrivere la sua condizione di regnante (“Riccardo II sono io: non lo sapete forse?”). Questo dramma pone una serie di interrogativi: Riccardo merita o no di essere deposto? Il nuovo Re può mai acquisire una novella legittimazione? E in che forma, e a quale prezzo? Shakespeare, come sempre, non prende posizione e lascia che le due visioni della funzione regale si confrontino per bocca dei personaggi. Per una parte la persona fisica del Re è inscindibile dal carattere sacro della funzione regale; per gli altri la sacralità è limitata al trono e la persona del Re è in tutto e per tutto umana. Viene ripresa la dottrina dei “due corpi” del re, una duplice natura che lo distingue dal resto dei sudditi: un corpo mortale, fallibile, umano, e un corpo immortale, immune da pecca; l’incoronazione fonde questi due corpi in un tutto unico, quasi a riprodurre l’incarnazione di Cristo, il Dio fattosi uomo, di cui il Re diventa rappresentante sulla terra. Per questo Riccardo vede se stesso come un novello Cristo tradito dai Giuda. Questa è la croce di ogni monarca: subire un forte dissidio interiore a cui solo la morte può porre fine. La contraddizione tra uomo e attore, invece, non è insanabile. Nelle scene iniziali Riccardo è ben consapevole di recitare una parte (quella del sovrano giusto e autorevole che sa di non essere), mentre in altre scene è all’angosciata ricerca di un ruolo alternativo quando gli vengono meno gli applausi del pubblico. Riccardo, cattivo re, può ricattarsi come attore. Secondo alcuni esteti, ammiratori di Riccardo, le colpe del Re sono riscattate dalla sua beltà fisica, dalla musicalità del suo parlare. L’antagonista di Riccardo, Henry Belingbroke, rappresenta l’uomo forte della situazione. In lui si è voluto vedere l’uomo del Rinascimento, destinato ad oscurare i valori medievali del regno di Riccardo. Le sue virtù sono le virtù dell’uomo di governo. È dunque evidente la contrapposizione tra Bolingbroke (uomo d’azione) e Riccardo (principe inetto). Bolingbroke non fa che approfittare delle situazione che possono essergli favorevoli, cavalca l’onda della Fortuna. Controlla solo in parte le situazioni anche se poi sa muoversi con destrezza. Non dimostra di avere una strategia, non conosce abbastanza se stesso né tantomeno il mondo in cui dovrà operare e che da subito gli da’ segni di disaffection. L’uomo forte, nel momento in cui accede al potere assoluto, conclude il dramma nel lutto e nell’espiazione. Il Duca di York incarna la fedeltà all’istituto monarchico, il senso dello Stato. È portavoce di alti ideali, un conservatore moderato diremmo oggi. I tre favoriti, Bush, Bagot e Green hanno un ruolo insignificante: restano personificazioni del Vizio. Shakespeare sposta su Riccardo la responsabilità delle loro azioni (il responsabile del malgoverno è il Re). Il mondo di Riccardo II è limitato alla corte e alla Chiesa (esclusi popolani e borghesi). PRIMO ATTO Riccardo II si apre con uno scambio di accuse tra Bolingbroke e Mowbray: accusato, quest’ultimo, di aver tramato la morte del Duca di Gloucester. Il Re cerca di capire cosa abbia spinto Bolingbroke (accusatore) a lanciare una tal simile accusa a Mowbray: vecchi rancori o prove certe? Entrambi si difendono animosamente dalle accuse ma uno dei due mente, o sono entrambi sinceri. Bolingbroke sembra ignorare che possa trattarsi del Re in persona, il quale evita di Fuoco (Re Sole) a quello dell’Acqua (il pianto di Riccardo). Tramonta l’immagine risplendente di un potere creato da Dio e quindi creduto eterno e immutabile. Riccardo, che si illude di riportare la luce nel regno, alla notizia delle defezioni perde ogni certezza: i suoi tre favoriti sono stati condannati a morte; li chiama “tre Giuda” perché si sente tradito dai suoi amici. Comincia qui la sua identificazione con la passione e il calvario di Cristo. Si lascia andare ad un monologo che altro non è che una meditazione sulla mortalità: scopre che la parola e il suo significato sono due cose diverse e che lui stesso non è tutto quello che era stato chiamato, ma questa presa di coscienza arriva troppo tardi per evitare il disastro. Questa è la vera abdicazione di Riccardo che avviene nel momento del crollo delle illusioni, ancor prima di incontrare il rivale. È anche, in un certo senso, la sua incoronazione, poiché egli viene fatto Re del Dolore. Riccardo ha scoperto che le parole esprimono desideri e non fatti, che chiamare un uomo “amico” non assicura la realtà dell’amicizia, che il nome di Re non investe un uomo di autorità regale. In questo mondo nuovo egli non sa e non vuole riconoscersi, preferisce tornare un uomo come gli altri, “impasto di carne e sangue”. I ruoli si invertono: dalla notte di Riccardo si passa all’alba di Enrico. Quando poi apprende che lo stesso York marcia con Bolingbroke, getta la spugna e va a rintanarsi nel castello di Flint. Qui lo raggiunge Bolingbroke, pronto a sottomettersi, ma a patto di una revoca del bando e dell’iniqua confisca. Riccardo minaccia, tentenna, fantastica; Aumerle gli suggerisce di battersi con “le belle parole”, ma anziché prender tempo, il Re già si vede nei panni del pellegrino ramingo. Un re divino non si piega a un ultimatum. Piuttosto che accettare la sottomissione del cugino ribelle, egli sceglie la capitolazione totale. È in questo momento che Bolingbroke decide di soppiantarlo sul trono, e la bilancia pende dalla sua parte. Anche la regina si crogiola nel suo dolore, invano confortata dalle sue ancelle, dal Giardiniere del Palazzo e dal suo braccio destro, che paragonano il regno a un giardino invaso dalle malerbe, e le danno la notizia dell’avvenuta resa del Re. Il giardiniere esprime un giudizio di condanna sull’operato del Re. La sua deposizione è conseguenza diretta del suo malgoverno. In tale cornice Shakespeare immette una semplice allegoria politica, quella del giardino come microcosmo, secondo la tendenza rinascimentale a vedere nell’ordine della natura il riflesso emblematico di più ampie realtà umane. Il giardiniere è re di un piccolo universo, e il Re dovrebbe fare del suo regno un giardino. Se questo dramma ha un messaggio politico, esso è racchiuso in questa breve scena. QUARTO ATTO In Parlamento si torna a parlare dell’assassinio di Gloucester. Bagot accusa Aumerle di aver cospirato contro Bolingbroke, così Aumerle per provare la sua innocenza lancia il suo guanto a Bagot. Anche Fitzwater (dice di aver sentito Aumerle dire che fu lui il responsabile della morte di Gloucester) e Percy si schierano contro Aumerle e gli lanciano il proprio guanto. Surrey, invece, lancia il suo guanto a Fitzwater poiché sa di per certo che sta dichiarando il falso. Anche Norfolk ha accusato Aumerle di aver mandato due emissari ad uccidere il Duca. Aumerle lancia il suo guanto a Norfolk che non potrà sfidarsi poiché è morto e a darne la notizia è Carlisle. York annuncia la spontanea abdicazione del Re in favore di Bolingbroke; il vescovo di Carlisle pronuncia un coraggioso anatema, in nome del diritto divino dei re, profetizzando all’Inghilterra un futuro senza pace. Northumberland ne dispone l’arresto per alto tradimento e Bolingbroke chiede che gli venga portato Riccardo in modo che possa abdicare davanti a tutti. Riccardo, con sublime retorica, pronuncia l’atto di abdicazione, ma rifiuta di dichiararsi colpevole. Si fa invece portare uno specchio (coup de theatre: un espediente a sorpresa per guadagnare tempo per sottrarsi all’umiliazione che infatti non avrà luogo). Questo episodio costituisce il climax emotivo e simbolico del dramma. Lo specchio è antico simbolo di vanità nell’iconografia medievale, ma è anche simbolo della Verità rivelata. Riccardo, non tollerando la vista della propria immagine di uomo privo di un titolo che per lui era tutto, lo manda in frantumi. Lo specchio che va in frantumi significa anche la distruzione di ogni possibile dualismo. È la fine di Riccardo e la nascita di un nuovo ‘corpo naturale’. Lo specchio dice la verità a Riccardo, mostrandolo per quello che è, un uomo come gli altri. E al tempo stesso gli mente, mostrandogli il bel volto di sempre. Lo portano alla Torre, e in scena restano Carlisle, Aumerle (figlio di York) e l’abate di Westminster, già pronti a cospirare contro il nuovo ordine. QUINTO ATTO Sulla via della Torre Riccardo incontra la Regina, che gli rimprovera la sua passività e vorrebbe seguirlo nel suo calvario. Non le viene concesso: il Re deposto è incarcerato nel nord del paese e la Regina deve partire per la Francia. Il Duca di York descrive alla Duchessa il corteo dell’incoronazione, col trionfo di Bolingbroke e il disprezzo della folla per un Riccardo rassegnato e dolente. Arriva Aumerle e il padre scopre una lettera che nasconde nella giubba: Aumerle è complice della nuova congiura: ha giurato sul Vangelo di assassinare il re a Oxford. York, invano trattenuto dalla consorte, corre al Palazzo a denunciare il figlio. Aumerle lo precede, e si getta ai piedi del nuovo sovrano. Lo stesso fa la Duchessa, che ottiene il perdono, in barba all’intransigenza di York. Usciti i protagonisti di tale scena tragicomica, compare Exton: Bolingbroke cerca invano un amico che lo liberi da “questo incubo vivente”, Riccardo. Sarà lui, Exton, questo amico. A Riccardo, solo nel cupo castello di Pomfert, non resta che meditare su se stesso: “ho fatto un pessimo uso del tempo, e il tempo fa pessimo uso di me”. Si lascia andare ad un soliloquio: è finalmente solo con la sua coscienza e il suo tormento non ha più testimoni. Si domanda se ha qualcos’altro per cui vivere ora che tutto il resto è perduto, qual è la sua vera identità, se si rende conto degli errori e delle colpe commessi, se può riscattarsi moralmente. A quest’ultima domanda la risposta crediamo sia no. La sua è un’autocritica parziale: delle sorti dell’Inghilterra non pare gli importi molto, né prima né ora. Riccardo in prigione rimane lo stesso Riccardo che sedeva sul trono. Il suo eloquio ha una rassegnata dignità che non ha mai avuto prima. Egli parla come un uomo che ha imparato qualcosa dalla propria sofferenza, un uomo che la sofferenza non ha del tutto sconfitto. C’è in lui una sofferta accettazione della morte, intesa come liberazione, che da’ voce al tema della transitorietà di gloria e bellezza. Unica voce amica, un umile staffiere, che gli ricorda il suo cavallo Berbero, oggi orgoglioso di portare in groppa l’usurpatore. All’entrata di Exton, con i sicari, Riccardo combatte strenuamente ma viene ucciso: e già Exton ne prova rimorso. Bolingbroke, ora re Enrico IV, denuncia la congiura appena scoperta. Cadon le teste dei cospiratori (ma il vescovo di Carlisle si conquista il perdono). Poi arriva Exton con “la fine dell’incubo”: la bara con il corpo senza vita di Riccardo. Bolingbroke lo rinnega, quale novello Caino (“non ama il veleno chi fa ricorso al veleno”). Quanto a lui, ad espiazione di tanta colpa, andrà pellegrino in Terrasanta.
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