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Le prime tracce di Roma: insediamenti, guerra e politica estera (10-1 secolo a.C.), Schemi e mappe concettuali di Storia Romana

La fondazione di Roma e la sua espansione, dalla prima occupazione del sito di Roma al X-XI sec. a.C., alle prime attività regali e la profonda etnica mischiazione, fino alle politiche estere nel IV secolo a.C. Con la conquista di Veio e la distribuzione di terre, Roma consolidò la sua struttura sociale e politica, e si schierò contro i popoli di montagna e alleati greci. Le devastazioni di Annibale e la guerra siriaca segnarono un periodo di crisi e nuove alleanze, fino alla nascita di un nuovo ceto commerciale e la fine della repubblica romana.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

Caricato il 13/11/2021

Bianca2599
Bianca2599 🇮🇹

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Scarica Le prime tracce di Roma: insediamenti, guerra e politica estera (10-1 secolo a.C.) e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Romana solo su Docsity! Roma Antica (Marrone, Vio, Calvelli). CAPITOLO 1: LA ROMA DELLE ORIGINI La ricostruzione della storia di Roma arcaica presenta molte difficoltà. Tito Livio, Diodoro Siculo e Dionigi di Alicarnasso sono i tre storici antichi le cui opere riferiscono in forma più estesa e continuativa gli eventi, ma vivono e operano a molti secoli di distanza dai fatti oggetto della narrazione; attingono a storici che non risalgono a prima del Ill secolo, perché i Romani affidarono, per molto tempo, la loro memoria storica alla tradizione orale. Le uniche registrazioni scritte dei principali eventi erano curate dal collegio sacerdotale dei pontefici massimi, trascritti e archiviati nella Regia, che fu però bruciata dai Celti. Vennero pubblicati in 80 libri sotto il titolo di Annali Massimi e scandivano la loro esposizione secondo un racconto anno per anno. Si è a lungo ritenuto che i dati delle indagini archeologiche potessero rappresentare la chiave per una verifica, e una nuova prospettiva di indagine è maturata grazie agli studi antropologici, che hanno fornito un’interpretazione per leggende, miti e saghe. Tale approccio ha consentito di valorizzare le notizie sparse rinvenuti negli Antiquaria, cioè opere di autori antichi che si impegnarono a ricercare e trasmettere notizie su feste e cerimonie fondanti per la storia cittadina. Un proficuo campo di studio è rappresentato dall’inserimento dell’esperienza di Roma delle origini nel quadro del popolamento dell’Italia antica. Le prime tracce di insediamenti stabili umani nel sito di Roma risalgono al X-XI sec a.C.: micro comunità risultano stanziate sul colle Palatino ed Esquilino. Esse appartenevano all’etnia paleo-latina. Le evidenze archeologiche relativi a questi antichi insediamenti presentano caratteristiche comuni a quelli dell’area geografica che Plinio il Vecchio definì “Lazio Antico”. Erano piccoli insediamenti di 5-10 ettari, sempre in altura. Le abitazioni erano capanne in legno, fango e frasche di forma ovale, rette da sostegni verticali. La forma delle case è comprovata anche dalle urne sepolcrali, dette “a capanna”. L'economia era di tipo silvo- pastorale; il contesto privilegiato era rappresentato dal bosco, a cui i Latini si riferivano con molti termini. L'agricoltura era circoscritta a forma di mera sussistenza: il solo cereale coltivato era il farro. Non esisteva la proprietà privata, e ciò è testimoniato dal rinvenimento di oggetti nelle tombe che presentano grande omogeneità e prospettano delle differenze, nei gruppi, relative all’età e al sesso ma non rivelano dislivelli patrimoniali. La data della fondazione di Roma è collocata dalle fonti storiografiche all’VIII secolo. In età imperiale finì per accreditarsi la data individuata da Marco Terenzio Varrone, che attesta la fondazione di Roma alla notte tra il 20 e 21 aprile del 753 a.C. Per tutti gli storici la città nacque come un nuovo insediamento su suolo vergine. Il ciclo leggendario della fondazione di Roma conosce molte versioni che si sono stratificate nel tempo. | nemici di Roma sfrutteranno, nel tempo, l'uccisione di Remo per bollare il fondatore col marchio dell'assassino, mentre c’è chi ha inteso la morte di Remo come un rito di sangue finalizzato alla sacralizzazione del confine, con lo scopo di sancire la proibizione a varcare in armi il limite della città (il pomerio, termine che è inerente alle procedure con cui veniva tracciato il limite cittadino). Una scoperta nel 1988 confermerebbe la data della nascita di Roma e alcuni aspetti legati alla fondazione letteraria. È stata però avanzata anche un’altra ipotesi per quanto riguarda la nascita dell’Urbe: i ritrovamenti archeologici testimoniano la presenza di insediamenti su tre colli risalenti all’età del bronzo. Gli insediamenti appartenevano a due gruppi: uno di etnia latino-falisca, l’altro di etnia osco-umbra. A metà dell’VIII secolo sarebbero mutuate, tra i due nuclei, forme di aggregazione che avrebbero portato alla progressiva fusione delle comunità prima indipendenti (sinecismo). Tracce di questo processo si rinvengono nella festa del Settimonzio a cui prendevano parte le comunità di pastori insediate sui tre colli. Lo sviluppo dell’insediamento era dovuto alla sua favorevole ubicazione morfologico-topografica, a cui concorrevano diversi fattori: la natura scoscesa delle alture che le rendeva facilmente difendibili, la presenza di ricchi pascoli, la vicinanza al fiume Tevere. Ma soprattutto, il sito si trovava in corrispondenza dell’antica strada che sarà poi rinominata via Salaria, perché attraverso di essa il sale giungeva dai bacini tirrenici verso le regioni dell’interno appenninico (il sale era impiegato anche per l'integrazione nutrizionale del bestiame). Roma sorse quindi al crocevia di vie di comunicazione, funzionali all’importazione ed esportazione di merci. Per l'VIII secolo non si registrano dati che documentino residenze di tipo monumentali, ma nelle sepolture si rileva una differenza di rango: nelle tombe ricche sono esposti manufatti ceramici di lusso di importazione greca o di fattura locale. Le anfore da vino suggeriscono l’adozione della pratica del banchetto, segno che si erano prodotti, nelle comunità laziali, mutamenti sociali, economici e culturali. Tali innovazioni sono il frutto dell’influenza italica, etrusca e greca. Nell’Etruria di età villanoviana si era prodotta una rivoluzione insediativa, con lo spostamento della popolazione verso mega- insediamenti (le città di Veio, Tarquinia, Vetulonia...), e la fioritura di tali centri comportò crescenti contatti col mondo celtico transpadano e transalpino. Nell’area di Roma e nel Lazio Antico non si verificò un processo simile, ma numerosi abitati si ingrandirono e si munirono di strutture difensive. Lo stimolo al cambiamento provenne di nuovi saperi, come la coltura della vita e ì dell’olivo. AI primo quarto dell’VIII secolo risale il testo scritto più antico rinvenuto finora in Italia. E una iscrizione graffita a cotto, in alfabeto greco, su un vaso a fiasco, ritrovato nel 1984 a Osteria dell’Osa, vicino Roma. CAPITOLO 2: LA ROMA DI RE L’attività di figure regali ai tempi delle origini è comprovata da molti indizi, come quelli di tipo rituale, o i nomi di edifici e istituzioni; le prove sono anche epigrafiche, come nel caso del cippo del foro romano, che menziona nel testo tale carica per due volte. Secondo la tradizione letteraria si sarebbero succeduti sette sovrani. Le loro competenze comprendevano le funzioni religiose (presiedevano ai riti collettivi, traevano gli auspici, fissavano il calendario), per garantire la pax deorum (la concordia tra gli dei e i cittadini), il comando dell’esercito (in virtù dell’imperium, ovvero il potere in ambito militare da esercitare in guerra), si occupava di politica estera e interna, amministrava la giustizia. La monarchia romana era una carica vitalizia, ma non ereditaria. La tradizione letteraria attesta, fin dalla fondazione della città, la presenza di un’assemblea ristretta, il senato, che riuniva i capi delle famiglie (i padri), e il loro assenso agli atti del re era ritenuto necessario in particolare quando si dovevano promuovere campagne militari, in quanto erano loro a fornire i contingenti bellici, e intervenivano in caso di morte del sovrano. Il potere del re era limitato anche dal popolo, in quanto il re non poteva promulgare o cambiare le leggi, ma solo eseguirle. Il popolo possedeva diverse forme di aggregazione interna: era diviso in 3 tribù gentilizie, dette così perché il figlio apparteneva alla stessa tribù del padre, e operavano come base di reclutamento e unità di combattimento. Le tribù erano Tities, Ramnes, Luceres. La popolazione maschile era ulteriormente articolata perché ogni tribù era divisa in 10 curie, per un totale di 30 unità. | membri delle curie prendevano il nome di Quiriti e costituivano il corpo civico dei romani. La suddivisione della popolazione maschile influiva soprattutto sull’organizzazione dell’esercito. La somma delle curie costituiva i comizi curiati, che si riunivano nel Comizio, ed esercitava il potere di decidere provvedimenti in materia di diritto familiare; avevano poteri anche in ambito religioso, e potevano approvare o esprimere dissenso nei confronti delle proposte fornite dal re. Roma nacque sotto il segno della multietnicità e della vocazione espansiva. All’attività bellica si unì, infatti, la progressiva inclusione nella comunità civica di gruppi di etnia, origine, estrazione sociale e numerica diversa; Romolo avrebbe infatti concesso il diritto d'asilo, e si può annoverare tra questi esempi anche il ratto delle Sabine. La città si andò caratterizzando sempre di più per la sua dimensione di città aperta. Nella seconda metà del VI si assistette inoltre allo spostamento di interi clan di etnie diverse da una città all’altra in cerca di posizioni di dominio. L’ascesa al trono di Tarquinio (616 a.C.) segnò l’inizio della dominazione etrusca a Roma; gli ultimi re costituirono una vera e propria dinastia, perché Tarquinio fu succeduto dal genero Servio Tullio, e quest’ultimo a sua volta dal genero Tarquinio il superbo; si andò quindi affermando il principio ereditario della monarchia. Tarquinio Prisco fu il principale attore di una vera e propria rivoluzione tecnologica, in quanto introdusse cambiamenti significativi, che erano il prodotto dei saperi di cui era portatore il suo clan etnicamente eterogeneo. Fra le innovazioni dei clan etruschi figura la capacità di canalizzare le acque, che portò alla bonifica delle aree paludose e all'introduzione di nuove colture cerealicole. L'agricoltura divenne la protagonista dell'economia, implicando la sedentarizzazione delle comunità rurali. Si procedette alla costruzione di una rete fognaria, la Cloaca Maxima, e al posto dell’area paludosa del Palatino nacque la piazza del mercato pavimentata in pietra, il foro. Dal foro al Campidoglio venne lastricata la Via Sacra, e nelle vicinanze del Tevere venne costruito il Foro Boario. Nella valle tra Palatino e Aventino nacque il Circo Massimo. Il volto urbano della città si arricchì anche grazie all'edificazione dei primi templi. Fu, questa, la “grande Roma dei Tarquini”. Delle trasformazioni si produssero anche in campo religioso, in quanto vennero introdotti culti e modalità cerimoniali prettamente etruschi. Si affermò, nella vita pubblica, il ricorso all’aruspicina, cioè la scienza attraverso cui la classe sacerdotale si metteva in contatto con la divinità per interpretarne i voleri. Per la celebrazione delle vittorie militari si adottò un rituale etrusco, cioè il trionfo, durane il quale il generale vittorioso percorreva alla testa del suo esercito la via Sacra fino al tempio capitolino. Servio Tullio si insediò senza aver ottenuto il consenso del senato e del popolo. La tradizione gli attribuisce un’intensa attività di riforme in diversi campi. Procedette a una nuova definizione amministrativa: alle 3 tribù gentilizie ne sostituì 4 territoriali, in quanto la popolazione fu ridistribuita in base al domicilio, e Roma divenne “quadrata”, cioè divisa in quattro distretti amministrativi. Le 4 nuove tribù erano: Suburana, Esquilina, Collina, Palatina. La riforma dell’esercito fu quella più incisiva: con Servio clientele. Nel frattempo si faceva avanti con prepotenza la pretesa di mettere per iscritto le leggi. Tra il 451 e il 450 i plebei ottennero la codificazione del diritto (leggi delle XII tavole, che furono sottoposte all’approvazione dei comizi centuriati). Le energie della plebe si concentrarono nel tentativo di abrogare il divieto delle unioni coniugali miste, e tale obiettivo venne raggiunto nel 445, con l'approvazione della legge Canuleia, e nel 444 ottennero anche l’accesso al consolato. Il decennio tra 450-440 vide l’istituzione di due nuove magistrature: nel 447 vennero introdotti i questori, collaboratori dei consoli in particolari per gli affari finanziari; nel 443 invece vennero introdotti i censori, che avevano il compito di redigere, ogni cinque anni, la stima del patrimonio dei cittadini. Dopo breve tempo i censori furono preposti anche alla cesura e alla revisione delle liste dei senatori. Il 367 fu l’anno della svolta della strategia plebea, che passò alla politica dell’integrazione. Dopo lunghe lotte riuscirono a far approvare un pacchetto di leggi (Licinie Sestie), che intervenivano su tre problemi: la riduzione e la rateizzazione del debito per quanto riguarda la schiavitù per debiti; la spartizione dei bottini di guerra; l’accesso al consolato, che venne risolto istituendo un console (su due) plebeo. Nacque una carica gemella all’edilità plebea, cioè gli edili curuli. La schiavitù per debiti venne abolita nel 326 con la legge Petelia Papiria. Un’altra tappa fondamentale è rappresentata dalla censura di Appio Claudio Cieco (312) che inserì per la prima volta nell’albo dei senatori alcuni plebei. Con i fondi dell’erario promosse un vasto programma di opere pubbliche, come la costruzione di un nuovo acquedotto (Aqua Appia), l'edificazione del tempio di Bellona, e connessa alle guerre in atto fu anche la costruzione della via Appia, che collegava Roma a Capua. L'azione fu completata da Gneo Flavio, che, nel 304, rese pubbliche le procedure processuali. Tale provvedimento assicurò norme giudiziarie omogenee per il trattamento di tutti i cittadini. Con le legge Valeria sul diritto di appello si stabilì che ogni cittadini romano condannato a morte dal pretore avesse il diritto di appellarsi all'assemblea; venne varata la legge Ogulnia, che aprì ai plebei l’accesso al pontificato e all’augurato, e con la legge Ortensia le delibere dell'assemblea dei plebei erano vincolanti anche per i patrizi. A seguito del conflitto si consolidò una stratificazione sociale in cui figurava al vertice un gruppo dirigente composto sia da patrizi che da plebei (nasce la nobiltà senatoria). CAPITOLO 5: LA POLITICA ESTERA NEL IV SECOLO a.C. Il IV secolo a.C. era cominciato, per Roma, con un importante successo militare, ovvero la conquista della città etrusca di Veio. Tuttavia, nel 390 a.C., Roma venne occupata dai Galli Sènoni; era stata l’ultima tribù a stanziarsi in Italia a seguito di un movimento di popoli celtici che erano penetrati nella pianura padana. L’esercito uscì ad affrontare il nemico, ma fu sconfitto in un giorno (18 luglio), presso il fiume Allia. A quel punto, gli abitanti di Roma vennero evacuati a Veio. La città fu interamente occupata, fatta eccezione per il Campidoglio, e si verificarono saccheggi e incendi (venne bruciata la Regia e tutti i documenti pontificali ivi contenuti). Bisogna però precisare che la banda celtica non agì di propria iniziativa, ma sotto le direttive del tiranno greco di Siracusa Dionigi |, per il quale svolgevano il ruolo di mercenari. A Roma il trauma dell’occupazione si tradusse nell’incubo collettivo che l’evento si ripetessi, ma a oggi, gli archeologi minimizzano gli effetti distruttivi del sacco. Questo evento, però, mise in crisi l’alleanza tra Romani e Latini, poiché quest'ultimi si erano astenuti dall’intervenire. La crisi della Lega Latina indusse la città adattare uno strumento di dominio che era stato sperimentato anche in età precedente, ovvero la colonizzazione. Si presentava come un atto ufficiale assunto dallo stato che poteva procedere a due diverse modalità di distribuzione dell’agro pubblico: o all'assegnazione in proprietà a cittadini romani di appezzamenti terrieri a titolo individuale (gli assegnatari restavano sotto la giurisdizione di Roma), o alla fondazione di una nuova città (risultavano organizzati in una comunità auto-amministrata con un proprio centro civico, la colonia). Nel IV sec., la colonizzazione allontanò da Roma i proletari indigenti, che grazie all'assegnazione dei territori, diventavano possidenti, e quindi idonei al servizio militare: in questo modo si otteneva il duplice obiettivo di allentare le tensioni sociali interne e di rafforzare l’esercito. Le colonie potevano sorgere sia in luoghi non abitati in precedenza che su centri preesistenti; a quel punto, l'attuazione pratica ricadeva nella responsabilità del senato: 3 membri dividevano e assegnavano per sorteggio i lotti ai coloni, e quando partivano da Roma per adempiere al loro incarico, avevano l’imperium; ogni distribuzione di terra era accompagnata da interventi di riorganizzazione rurale, e poi la pianta del nuovo inserimento e le sue leggi venivano copiate su tavole di bronzo. La creazione di nuovi insediamenti coloniari si intensificò all'indomani di una grande guerra latina che avvenne tra il 340 e il 338 a.C. La battaglia decisiva si svolse a Suessa Aurunca e vinse l’esercito romano; Roma estese quindi il suo controllo su un territorio chiamato “Lazio aggiunto”. In seguito alla disgregazione della Lega Latina, Roma impostò strumenti federativi diversi da quelli usati in precedenza: strinse, infatti, rapporti diplomatici individuali e differenziati per ogni singola comunità (da qui “dividi et impera”). Nacque allora la Confederazione Italica. Le comunità vennero inserite in quattro categorie: quella del municipio (un’antica città libera vinta e sottoposta al dominio romano, a cui era lasciata autonomia interna, ma a cui era imposto di assumere gli stessi obblighi che i cittadini di Roma avevano nei confronti dello Stato, inoltre gli abitanti del municipio godevano di un diritto di cittadinanza piena); la civitas foederata (o popolazione alleata, con cui Roma aveva stretto un trattato di alleanza, e manteneva l'indipendenza ma si impegnava a fornire truppe ausiliarie a fianco dell'esercito romano); le colonie (divise in quelle di diritto latino, in cui gli abitanti godevano del diritto di commercio, di matrimonio e di trasferimento in Roma, ma non potevano accedere alle magistrature dell’Urbe e per quanto riguarda il voto, potevano esercitarlo venendo inclusi in una sola tribù, però potevano anche ottenere la cittadinanza individualmente, e quelle di diritto romano, in cui gli abitanti erano cittadini a pieno titolo e godevano di tutti i diritti connessi alla cittadinanza; siccome erano estensioni della madrepatria, inizialmente le colonie vennero governate dai prefetti, ma successivamente si dotarono di proprie istituzioni); infine, c'erano le comunità senza diritto di voto (città autonome che avevano conservato le loro istituzioni tradizionali, ma non potevano promuovere in proprio iniziative di politica estera). Il IV sec. Fu il momento in cui in Italia si decise lo scontro tra monte-pianura, agricoltura- allevamento ecc. Roma si schierò con gli insediamenti urbani di pianura, contro le popolazioni di montagna; si alleò e protesse le colonie greche dell’Italia meridionale poiché si sentiva legate a loro da affinità culturali. II modello della pianura e della città uscì vincente dallo scontro e venne esportato da Roma. Il conflitto si svolse nella seconda metà del IV sec., e vide come principali protagonisti i Romani e i Sanniti. Le guerre sannitiche si articolarono in tre fasi: nella prima, Roma intervenne a favore della città di Capua, ma siccome aveva da poco siglato un trattato di alleanza con i Sanniti, ogni intervento era interdetto, e così ricorse a un espediente diplomatico, ottenendo la resa di Capua che venne incorporata nello stato romano; nella seconda, che si protrasse a lungo, i romani vennero sconfitti nella valle di Claudio, in quanto l’esercito venne intrappolato nelle strette montane e costretto alla resa (evento noto con il nome di Forche Caudine); nella terza fase, una coalizione di Sanniti, Galli, Umbri ed Etruschi si oppose a Roma, ma nella battaglia di Sentino nel 295 a.C., i Romani sconfissero sia i Galli che i Sanniti. Il conflitto permise a Roma di sperimentare nuovi strumenti di conquista: la fondazione delle colonie venne usata per circondare i Sanniti; un cordone di insediamenti di diritto latino fu dedotto dal Tirreno all’Adriatico; lungo il litorale tirrenico furono dedotte colonie di cittadini romani. Un altro strumento efficace fu la predisposizione di un’efficiente viabilità terrestre e marittima; Roma iniziò infatti a costruire strade lastricate, venne pavimentata la Via Salaria, poi la via Latina e la via Appia. Tuttavia, al centro delle cure dei dirigenti c’era l’esercito, che venne riformato tra la fine del IV e l’inizio del III sec. a.C. La riforma è nota col nome di “manipolare”, e assicurava alla legione l'autonomia e la flessibilità necessarie ad affrontare anche la guerra in montagna. La legione venne frazionata in 10 manipoli. I consoli detenevano il comando su tutte le legioni in servizio; l'ufficialità era rappresentata dai tribuni dei soldati, coadiuvati dai centurioni. CAPITOLO 6: L'ESPANSIONE DEL III SEC. a.C. Il III sec. a.C. fu un periodo in cui si assistette a un forte impulso espansionistico di Roma in contesto italico ed extraitalico, prodigioso nei risultati e frutto di una società militarista che trovava nella guerra la convergenza di interessi di tutti gli strati sociali, ed è ciò che è chiamato “imperialismo romano”. Le guerre di Roma erano sempre guerre giuste, giustificate, volute dagli Dei; era uno strumento di arricchimento per tutta la comunità. Le classi dirigenti erano attivamente coinvolte nella politica espansionistica, da cui ricavavano un rafforzamento della loro posizione; in caso di esito vittorioso della campagna militare, il senato accordava al comandante l’onore del trionfo (solo nel caso in cui venissero rispettati certi criteri). La cerimonia produceva sul popolo un grande impatto propagandistico, e la riconoscenza del popolo era motivata anche dal bottino di guerra, ed era il generale vittorioso a proporre al senato come utilizzarlo, inoltre era sempre il vincitore a decidere quale trattamento riservare ai vinti, in quanto le popolazioni sottomesse, una volta assorbite nelle strutture dello stato romano, avrebbero continuato a fare riferimento a lui. Il ceto medio era interessato ai profitti della guerra, perché essa consentiva di aprire nuovi mercati. Persino il proletariato urbano e contadino approfittava delle campagne espansionistiche in quanto successivamente venivano loro assegnati i territori conquistati. Roma fu impegnata nella guerra contro Taranto dal 282 al 275 a.C. La città voleva salvaguardare sia la propria indipendenza, sia il suo ruolo egemonico sulle altre città italiote. Nel 302 a.C., in funzione anti-sannitica, aveva stretto alleanza con Roma che aveva promesso di non navigare oltre il capo Lacinio. A rompere l’equilibrio fu la richiesta di Turi di ricevere un presidio militare romano a scopo di difesa contro i Bruzi; la situazione precipitò definitivamente quando una flottiglia romana, nel 284 a.C, penetrò nel golfo di Taranto. Per la prima volta le truppe della Repubblica si trovarono ad affrontare un esercito di stampo ellenistico, formato da contingenti di mercenari e da elefanti. | romani subirono, inizialmente, una grave sconfitta a Eraclea; Pirro, a favore di Taranto, inviò Cinea a Roma per trattare la resa ma il senato rifiutò l'offerta. Pirro decise di trasferirsi in Sicilia per farsi promotore della lotta contro i Cartaginesi; la sua lontananza consentì a Roma di riorganizzare le proprie forza e quando Pirro tornò nella penisola, le legioni lo affrontarono a Malevento; la vittoria dei romani fece sì che il nome della città cambiasse in Benevento. Taranto fu costretta ad accogliere un presidio romano ma le fu concesso di conservare i propri ordinamenti. L'estensione del controllo in Italia comportò per Roma un cambiamento di strategie espansive: fino ad allora, si era sempre occupata delle conquista via terra, lasciando all’alleata Cartagine il compito di contrastare i greci. Tuttavia, il cambiamento degli equilibri di forze in ambito mediterraneo suggeriva la possibilità di contendere la supremazia nella frequentazione tirrenica, a discapito di Cartagine. Roma non esitò a ingaggiare una guerra di logoramento che durò dal 264 al 241 a.C., e tale azione bellica fu voluta dal popolo. Si giocò su diversi fronti: in Sicilia, Africa settentrionale, per terra e per mare. Roma doveva dotarsi di una flotta, e le navi vennero costruite sul modello delle navi da guerra cartaginesi, aggiungendo però i “corvi” (passerelle mobili con arpioni sommitali che agganciavano le navi nemiche e consentivano il combattimento corpo a corpo). Grazie a questo espediente, il console Gaio Dullio vinse la flotta cartaginese a Milazzo nel 260. Nonostante la flotta romana fosse indebolita dalle intemperie, riuscì a conquistare Palermo e la battaglia decisiva venne combattuta in mare nel 241, da Catulo, presso le Isole Egadi, ottenendo la vittoria. Due furono le conseguenze della guerra punica: Roma iniziò a conseguire dominio sul Mediterraneo, e l'attivazione di una politica di provincializzazione, annettendo la Sicilia, la Sardegna e la Corsica. Il progetto egemonico di Roma si estendeva all’area adriatica dove aveva già tre colonie (Rimini, Senigallia e Brindisi). Per questo volle arginare la pirateria degli Illiri che condizionava i traffici marittimi; vennero combattute le due guerre illiriche, in seguito alle quali venne conquistata una parte della costa dell’Albania. La conquista dell’egemonia sul Mediterraneo aveva assorbito risorse ed energie, e dei successi avevano usufruito i ceti dediti all'artigianato e al commercio, però era stata sospesa la deduzione di colonie e l'assegnazione di terre. Nella seconda metà del Il sec., si generò una divaricazione di orientamenti tra gli esponenti sostenuti da clientele artigianali e commerciali, e famiglie sostenute da clientele contadine. Per soddisfare questi ultimi, l'occasione si presentò con un nuovo tumitus Gallicus; in previsione dello scontro, i romani si assicurarono l’alleanza dei Galli Cenomani, stanziati nel Veronese, e l’incursione celtica scese verso il centro, in Etruria, a Talamone. | Romani sconfissero la resistenza dei Galli nel 222 a Casteggio, e si spinsero fino a Milano, che fu presa. Le popolazioni a nord del Po ottennero un foedus. Tuttavia, nel 218 intervenne Annibale. La seconda guerra punica fu una guerra difensiva, e il pretesto si produsse in Spagna: la famiglia dei Barca aveva esteso la propria egemonia a sud della penisola. Tale intraprendenza fu vista con sospetto da Roma, che si alleò con Marsiglia, e siglò con Cartagine il trattato dell’Ebro, nel 226. La città di Sagunto fu attaccata da Annibale e si rivolse a Roma con richiesta di soccorso, e mentre il senato decideva, la città venne espugnata. Annibale valicò i Pirenei e oltrepassò la catena alpina; la sua strategia si fondava su due direttrici progettuali: alienare a Roma l’alleanza delle comunità italiche; aprire nuovi fronti su cui Roma dovesse intervenire per allentare la pressione nei luoghi dove si scontrava con Cartagine. Inizialmente gli esordi dell’offensiva in terra italica sembrarono assecondarne le aspettative: le truppe romane furono sconfitte sul fiume Ticino e sul fiume Trebbia. Nel 217, in una battaglia sul Lago Trasimeno, le legioni furono vittime di un’imboscata e annientate. Le devastazioni di Annibale indussero gli alleati a chiedere un altro scontro campale, che si consumò il 2 agosto 216 a Canne, e fu una delle più devastanti sconfitte dell'esercito romano; la Sicilia venne perduta, mentre rimasero fedeli a Roma le città dell’Italia tirrenica. Si pensò di attuare la strategia di Quinto Fabio Massimo, che progettava di vincere con una guerra di logoramento: incrementò le levi militari, evitò gli scontri diretti. Iniziò il recupero di importanti piazzeforti strategiche (Capua, 211, Siracusa, 211). Nel 209 iniziò a operare in Spagna Publio Cornelio Scipione, poi soprannominato l’Africano. In tre anni annientò l'egemonia cartaginese in Spagna e vi fondò la città di Italica. Nel 207, i rinforzi guidati dal fratello di Annibale furono annientati sul fiume Metauro. Stretto d'assedio a Crotone, Annibale si rassegnò ad abbandonare l’Italia; in Africa era sbarcato Scipione, che impose sul trono di Numidia un re filoromano. Nella pianura di Zama, nel 202, si venne allo scontro finale, ma Annibale non riuscì a evitare la sconfitta e fuggì in Oriente. Scipione impose a Cartagine la pace a condizioni durissime. Con la conquista della Sicilia, Roma si trovò per la prima volta ad attuare l'ordinamento provinciale, e la provincia registrò nel 180 grazie all'approvazione della legge Villia annuale, che regolamentò la successione delle cariche politiche (cursus honorum), e altri tre aspetti: l’ordine di successione delle magistrature; gli intervisti obbligatoriamente tra una carica e l’altra; l’età minima richiesta. Le cariche erano considerate di diverso tipo: inferiori, “sine imperio”, quindi prive del potere militare, e quelle superiori, che avevano l’imperio. Per accedere alle cariche vere e proprie c’era una sorta di apprendistato militare e civile: per un anno si ricopriva un incarico nell’ambito del vigintivirato, poi si accedeva al tribunato militare laticlavio, in cui si imparava il funzionamento della legione, e poi iniziava il vero cursus honorum. Il primo incarico era in questura (età minima 25 anni), poi il tribunato della plebe o l’edilità, poi la pretura, consolato, e infine censura. La classe dirigente romana rimase, nel Il secolo, ridotta, ma con una formazione eccezionale. Per accedere al senato era previsto un requisito patrimoniale di 100.000 denari. Nel Il sec, in Italia si andò consolidando un ceto imprenditoriale di forte peso, perché molte famiglie si erano arricchite con il commercio. Per supplire alle carenze della Repubblica, priva di apparato burocratico, si erano costituite le “società di pubblicani”, ovvero consorzi di privati cittadini che concorrevano alle gare d’appalto bandite dalla Repubblica per la realizzazione delle opere pubbliche. Per quanto riguarda l'esenzione dalle imposte, la Repubblica fissava la quota contributiva che doveva ricevere da ogni provincia, ma non si curava di quanto i pubblicani potessero prelevare con sistemi coercitivi; grazie a tale attività molti imprenditori erano divenuti, in alcuni casi, più facoltosi dei senatori. La Repubblica allora riconobbe l’importanza di tale nuovo ceto attraverso l’atto della legge sulla restituzione dei cavalli, nel 129, e sancì la nascita dell'ordine dei cavalieri. CAPITOLO 9: LA CRISI DELLA REPUBBLICA 11 183 a.C. è l’anno in cui iniziano trasformazioni politiche sociali che condurranno alla crisi dell'assetto repubblicano. L'esercito romano, che aveva garantito a Roma una grande espansione, manifestò gravi manchevolezze, in particolare modo in due contesti: l'assedio della città di Numanzia e la guerra contro Giugurta in Africa. Negli ultimi decenni del Il secolo a.C., gli alleati italici vivevano un forte disagio, poiché obbligati al reclutamento come truppe ausiliarie ma penalizzati rispetto ai legionari, inoltre, l'abbandono della politica di deduzione coloniaria costringeva i ceti subalterni delle comunità alleate alleate a inurbarsi e ciò accresceva l’entità del sottoproletariato di Roma. La forte spinta alla conquista aveva determinato una crescita abnorme del numero di schiavi, le cui condizioni di vita mutarono radicalmente: erano adesso percepiti un oggetto di proprietà del padrone. Emersero anche i problemi scaturiti dall’amministrazione delle province, perché in molti casi i governatori romani depredavano i territori sottoposti alla loro giurisdizione. Tale situazione determinò l’organizzazione di rivolte; nel 133 a.C., Aristonico, sobillò il popolo alla rivolta, e nella sua propaganda si affiancavano riferimenti alle cattive pratiche di amministrazione romana, ma la ribellione venne soffocata nel sangue nel 129 a.C. Tra Il e | secolo si palesò anche una grave crisi delle istituzioni romane, e il processo di messa in discussione di alcuni dei fondamenti del sistema politico scaturì da numerosi fattori. Alcuni aspetti risultarono significativi. Il rapporto clientelare assunse nuove forma, quella della clientela militare, poiché l’esercito affiancò alla sua tradizionale funzione il ruolo di forza politica, al servizio dei singoli comandanti. Il ceto equestre rivendicò il diritto a operare in politica, mentre la plebe fu coinvolta in politica attraverso i canali clientelari, ma venne anche manipolata come strumento di pressione da capi rivoluzionari che se ne assicuravano l’appoggio. Il conflitto determinò profonde devastazioni nell’Italia centro-meridionale che indussero all'abbandono di estese aree di pianura, e in conseguenza alla presenza degli eserciti annibalici sul suolo italico si registrò un forte calo demografico. L'agricoltura di sussistenza venne sostituita dall’allevamento transumane e la villa schiavistica (azienda polifunzionale, in cui si assicurava spazio prioritario all'agricoltura, direzione alla produzione di colture pregiate). Le aree di pianura vennero sfruttate per i pascoli invernali. Tale rivoluzione pastorale fu opera di imprenditori postbellici i quali, con i guadagni che si erano assicurati, disponevano di capitali da investire in schiavi, e in molte zone d’Italia si produsse una riconversione dalle colture cerealicole ad arboricole. Fu Tiberio Sempronio Gracco a cogliere il rapporto di consequenzialità che c’era la ridefinizione degli assetti agrari dell’Italia e la crisi che stava attraversando l’esercito romano. | problemi erano imputabili al calo demografico ma anche alla scomparsa della piccola e media proprietà terriera. Un primo tentativo di soluzione era stato quello di abbassare il limite censitario previsto per l'arruolamento, poi si potenziò l'apporto degli Italici. Ma Tiberio Gracco agì con un'iniziativa legislativa intesa al ripristino delle condizioni socio- economiche che avevano garantito la grandezza di Roma sul fronte bellico. Si candidò al tribunato della plebe con lo scopo di varare una riforma agraria intesa alla ricostituzione di un ceto di piccoli proprietari terrieri arruolabili. Rivitalizzò una delle leggi Licinie Sestie, relativa all'occupazione dell’agro pubblico, innalzando il tetto fino a 250 iugeri in più per ogni figlio maschio, fino a un massimo complessivo di 1000 iugeri. La proprietà veniva negata per rendere i lotti inalienabili, ma comunque sarebbe stato garantito il diritto di trasmissione ereditaria ai figli. La legge di Tiberio incontrò numerose opposizioni e dei senatori indussero Marco Ottavio a interporre il veto, ma Tiberio chiese la deposizione del collega, ottenendola. L'attuazione della riforma agraria comportava un dispendioso lavoro di verifica, e per finanziare tali operazioni Tiberio utilizzò il lasciato testamentario del re Attalo Ill di Pergamo. | comizi incaricarono del compimento del progetto una commissione triumvirale preposta all'assegnazione delle terre. Tiberio ripropose la sua candidatura al tribunato della plebe per vegliare sull’attuazione della riforma; almomento dell’elezione, quando i cittadini si erano espressi favorevoli a Tiberio, i consoli sospesero il voto. Scoppiarono dei tafferugli e Tiberio venne ucciso con 300 dei suoi sostenitori. Dopo la sua morte, la commissione proseguì la sua attività fino al 129 a.C., ma le tensioni sociali si radicalizzarono. Fattore di profonda trasformazione delle dinamiche politiche fu l'approvazione delle leggi tabellare: alla votazione per alzata di mano si sostituì una scheda cerata sulla quale il cittadino doveva indicare la propria volontà, e si affermò quindi la pratica del voto segreto. Le tabelle furono introdotte con la legge Gabinia (139), ma questa nuova procedura compromise il controllo esercitato sul popolo. Nel 123 a.C., Gaio Gracco venne eletto al tribunato della plebe, ottenendo che i comizi tributi legittimassero l’iterazione delle magistrature; ripresentò una seconda volta la sua candidatura, nel 122. Egli era sostenuto da un gruppo molto diversificato al proprio interno; promosse un programma articolato e innovativo che voleva risolvere le criticità palesate dal governo romano, e propose un pacchetto di 17 provvedimenti legislativi che ottennero tutti l'approvazione. Nel Il sec Roma era ormai una metropoli e la vita risultava complessa a causa delle difficoltà di approvvigionamento alimentare. Un primo provvedimento teso a risolvere le condizioni di vita fu la legge agraria: mirava a ricostituire il ceto di piccoli e medi proprietari terrieri. In favore del proletariato urbano c’era la legge Sempronia frumentaria, che attribuiva all’amministrazione centrale l'onere di provvedere mensilmente a distribuzioni di grano. Legge Rubria: riavviava la politica di deduzioni coloniarie, consentendo che venissero fondate nuove comunità sul suolo italico e extraitalico, delegava l’amministrazione all’attività di governatori ed eserciti permanenti. Legge militare: non si sarebbe potuti reclutare giovani sotto i 17 anni. Legge sulla pratica giudiziaria: un cittadino romano poteva subire la condanna alla pena capitale solo in seguito a un pronunciamento popolare. Legge sulla provincia d’Asia: attribuiva alla società di pubblicani l’appalto per la riscossione delle tasse nella provincia. La sola proposta a non essere approvata prevedeva la concessione della cittadinanza romana ai Latini e del diritto latino agli alleati italici. Nel 121 Gaio Gracco non riuscì ad assumere per la terza volta il tribunato della plebe. Il senato emanò un senatusconsultum ultimum, cioè un provvedimento di emergenza che consentiva ai consoli di entrare in città con le armi e placare le sommosse con la forza, ma Gaio Gracco morì tra la folla. In seguito all'esperienza graccana nell’ambito dell’aristocrazia senatoria mutarono due schieramenti opposti: gli ottimati (rappresentavano gli interessi dell’oligarchia conservatrice e delle sue clientele) e i popolari (rappresentavano gli interessi del popolo e favorivano la plebe urbana). CAPITOLO 10: LE SOLUZIONI AI PROBLEMI DELLA TARDA REPUBBLICA Gaio Mario era un “uomo nuovo”, espressione della borghesia municipale centroitalica; la sua carriera prese avvio nel 134 a.C. a Numanzia, e le sue doti si confermarono nel 118 a.C. durante il governatorato della Spagna Ulteriore, quando intraprese azioni militari contro le tribù celtiberiche. L'opportunità per consacrarsi nella scena politica arrivò con la guerra giugurtina, contro Giugurta di Numidia. Nel 116 a.C., una commissione senatoria aveva stabilito che Aderbale avrebbe governato la parte orientale della Numidia, e Giugurta quella occidentale; nel 112, però, questi aveva assalito il cugino a Cirta, e quando la città cadde, sterminò anche i romani e gli italici che vi risiedevano per ragioni commerciali. Fu inevitabile l'intervento armato: la guerra, iniziata nel 112, registrò sconfitte per i romani, finché il comando passò a Quinto Cecilio Metello, che però, nonostante delle vittorie, non condusse a risoluzione. Mario si recò a Roma per presentare la sua candidatura al consolato e l'assemblea popolare gli attribuì la conduzione della guerra in Africa, raggiunta da Mario nel 107, e il suo questore era Silla. Giugurta cadde vittima di un raggiro organizzato da Bocco di Mauretania, suocero di Silla, che glielo consegnò nel 105. Mario aveva proceduto ad arruolare volontari, sottoponendo i suoi legionari a massacranti esercitazioni; l’armuolamento volontario portò molte conseguenze, tra cui la trasformazione dei legionari da mercenari a soldati di professione. L'esercito romano dunque si proletarizzò, divenendo valvola di sfogo sociale. Il governo doveva provvedere all’equipaggiamento e al salario dei soldati, e ed emerse la necessità di corrispondere ai veterani una buonoscita che consentisse loro di sopravvivere dopo il servizio militare, che venne risolta con la colonizzazione e l’assegnazione di terre. Un altro fenomeno che si affermò fu quello della clientela militare: le spedizioni belliche si protraevano per anni, e dunque si creava un rapporto personale tra comandante e truppe, che portava all’instaurazione di un legame di mutua solidarietà e convergenza di interessi tra generale e soldati. Fu il secolo dei “signori della guerra”, cioè di politici che assumevano il comando degli eserciti e miravano a raggiungere il potere personale grazie alla base di consenso rappresentata dai soldati. La riforma di Mario comprese anche aspetti tecnico-tattici: l’unità strategica divenne la coorte, che riuniva i manipoli a 3 a 3; accorpò i 30 manipoli della legione in 10 corti, e ciascuna contava tra i 500 e i 600 uomini. Quando ancora si trovava in Africa, Mario venne eletto per un secondo consolato, e questo incarico rispondeva a un'emergenza, ovvero la minaccia di una nuova invasione di Cimbri e Teutoni; l’esercito romano aveva subito molte sconfitte ma Mario salvò la situazione. Addestrò duramente i soldati e grazie agli schiavi realizzò la Fossa Marianna, un canale navigabile che metteva in collegamento il Rodano con la costa mediterranea. Nel 102 Mario sconfisse i Teutoni presso Aix en Provence, e nel 101 i Cimbri ai Campi Raudii. Riconfermato ancora console nel 100, si dovette impegnare sulla scena politica: la questione più delicata era rappresentava dalle iniziative legislative del tribuno della plebe Saturnino, che proponeva provvedimenti di ispirazione graccana. In politica era attivo anche Gaio Servilio Glaucia, che promuoveva una politica filopopolare. Il senato dichiarò Saturnino e Glaucia nemici pubblici; essi si arroccarono sul campidoglio, e Mario dovette perseguirli. Saturnino venne ucciso dal popolo e Glaucia assassinato in strada. Quando Mario rientrò nel 91 d.C., si radicalizzò la rivalità con Publio Cornelio Silla, esponente della parte ottimate. L’antagonismo scoppiò quando si aprì il conflitto causato dall'invasione della Grecia da parte del re del Ponto, Mitridate VI Eupatore (88 a.C.). Egli nutriva forti mire espansionistiche e in breve tempo i suoi eserciti dilagarono in tutta l’Asia romana. Il senato affidò a Silla la conduzione della guerra, ma dopo conflitti interni i comizi trasferirono il mandato a Mario. Silla marciò su Roma alla testa delle sue truppe e nell’Urbe si consumò un bagno di sangue. Mario scappò, raggiungendo l’Africa, e Silla limitò il potere dei comizi. La campagna orientale di Silla ebbe successo e si venne alla stipula di un accordo a Dardano (85 a.C.) che stabiliva il pagamento di Mitridate di un’indennità di guerra. Si concluse quindi la prima guerra mitridatica. Mario nel frattempo era rientrato a Roma e fu eletto console per la settima volta insieme a Cinna. | due promossero una severa repressione nei confronti dei sostenitori di Silla ma Mario morì nell’86 a.C. Cinna fu console anche nel biennio successivo (87-84), anni che vengono chiamati “dominazione cinnana”. Silla rientrò nella Penisola nell’83 a.C., ma in Oriente scoppiò la seconda guerra mitridatica, che si protrasse fino all’81, e sconfisse l’esercito di Murena. Nell’82 l’esercito di Silla si scontrò, a Porta Collini, con Sanniti e Lucani; vittorioso, Silla tornò a Roma dove inaugurò le proscrizioni: rese pubblica una lista di avversari politici di cui legittimava l’uccisione e la confisca dei patrimoni. Nell’82, attraverso la legge Valeria, Silla venne eletto dittatore con l’incarico di riscrivere le leggi e rifondare il governo, carica che mantenne fino al 79 a.C. Ampliò il numero dei senatori, portandolo a 600, aumentò i questori a 20 e i pretori a 10, e ampliò il confine di Roma fino alla linea Rubicone-Arno. Nel 79 abdicò e si ritirò a vita privata, morendo nel 78 a.C. Tuttavia, già l’anno dopo la sua morte il suo intervento di riforma venne messo in pericolo: il console Marco Emilio Lepido propose la riattivazione delle distribuzioni di grano al popolo; scoppiò una rivolta in Etruria dove il problema delle confische era particolarmente sentito, Lepido si unì ai rivoltosi e marciò su Roma. Il senato conferì il potere militare e l’incarico di intervenire in Etruria a Gneo Pompeo: la ribellione venne repressa e Lepido fuggì in Sardegna. Il suo luogotenente trasferì le truppe in Spagna, dove Quinto Sertorio comandava gli ultimi eserciti mariani, e aveva costituito un senato di esuli presso Osca. Il senato inviò contri di lui Pompeo, che nel 76 subì l’azione militare di Sertorio, che fu ucciso dal luogotenente di Lepido, a sua volta sconfitto e ucciso da Pompeo nel 71 a.C. Nel 70 Crasso e Pompeo Magno ripristinarono i poteri dei tribuni della plebe. All’inizio del I secolo si avviò a una soluzione il problema della richiesta degli alleati italici di essere equiparati giuridicamente con i cittadini romani. La soluzione arrivò dopo uno scontro, detto la guerra degli alleati (91-89 a.C.). Le classi dirigenti degli italicimiravano a ottenere l'elettorato attivo e passivo per esercitare un ruolo nella politica di Roma, mentre i ceti subalterni volevano godere dei vantaggi della plebe romana, tanto che molti di loro si erano trasferiti abusivamente a Roma. Nel 95 la legge Licinia Mucia aveva istituito un tribunale per individuare tali illeciti e i colpevoli venivano espulsi. Il popolo di Roma non voleva condividere con potenziali competitori i privilegi acquisiti. Nel 91 a.C., Marco Livio Druso sollecitò la concessione della cittadinanza agli italici, suscitando una dura reazione presso il senato e presso i cavalieri, tanto che venne assassinato da un sicario. Gli alleati scelsero allora di combattere, e la rivolta contro Roma si estese su buona parte della Penisola. Gli alleati diedero vita a uno stato federale autonomo organizzato similmente alla repubblica romana, stabilirono la propria capitale a Corfinio in un territorio rinominato Italia. Dato che i romani non subito l’importanza di assicurarsi un esercito fedele, e di acquisire credibilità nel partito cesariano che, dopo la morte del leader, visse momenti di disorientamento, faticando a trovare una nuova guida. Colui che pensava di poter ricoprire questo ruolo era Marco Antonio, ma, nel partito di Cesare, il consenso alla successione di Antonio non era unanime, perché molti volevano che la nuova guida fosse Ottaviano. Egli promosse tre iniziative: perseguì con successo un'intesa con Cicerone; pagò al popolo il lascito testamentario del dittatore; arruolò a proprie spese un esercito. In occasione del primo scontro militare dopo il cesaricidio, Ottaviano si alleò col senato, che promuoveva una politica favorevole alla causa dei cesaricidi, contro Antonio. Il contesto in cui Ottaviano scelse tale causa fu la guerra di Modena del 43 a.C.: Antonio assediava Modena, dove si trovava Bruto, che, secondo quanto stabilito da Cesare, aveva assunto il governatorato della Gallia Cisalpina. Antonio voleva quel governatorato, ma Ottaviano lo vinse e Antonio dovette ripiegare sulla Gallia Nerborense. Ottaviano si impose quindi alla guida della fazione cesariana ostile ad Antonio. Egli però invertì la rotta, abbandonando la causa del senato, e pervenne a un accordo con Lepido e Antonio; il 19 agosto del 43 marciò su Roma e ottenne il consolato. Nel 43, la legge Tizia attribuì per cinque anni il potere supremo ad Antonio, Ottaviano e Lepido, triumviri per la ricostituzione della repubblica. Questa nuova alleanza sfociò in una magistratura. Una delle prime iniziative dei triumviri fu l'emanazione di nuove liste di proscrizione su modello Silliano, e la vittima più illustre fu Cicerone. Si trattava di una soluzione necessaria per incamerare i patrimoni necessari per la guerra, perché i cesaricidi si erano trasferiti in oriente e ci si preparava allo scontro finale. Ottaviano si presentò come il solo legittimato a compiere la vendetta per il cesaricidio. La vendetta si attuò a Filippi, nell'ottobre del 42 a.C., e sul campo vinse Antonio. L’aver acquisito il controllo sulle province orientali determinò una nuova spartizione del potere tra Antonio e Ottaviano, e fu il primo tentativo di estromissione di Lepido, che venne accusato di collusione con Sesto Pompeo. Si stabilì che Ottaviano rientrasse in Italia, mentre che Antonio restasse in Oriente. Una ridefinizione dei rapporti tra i due era però necessaria perché tra il 41 e il 40 a.C., era scoppiata la guerra di Perugia, a causa delle contestazioni da parte del fratello di Antonio e della moglie nel metodo di reperimento e di assegnazione delle terre ai veterani di Ottaviano; essi però furono sconfitti a Perugia. Nel 40, a Brindisi, si ripartì il territorio romano tra Occidente (Ottaviano) e Oriente (Antonio), mentre l’Africa andò a Lepido. Nel 39 i triumviri si incontrarono a Capo Miseno per stringere un accorto con Sesto Pompeo, perché volevano risolvere la questione dell’approvvigionamento annonario nell’urbe; riconobbero a Sesto il diritto di controllare Corsica e Peloponneso, ma l'accordo non durò a lungo perché Antonio non cedette il Peloponneso e Ottaviano ottenne Corsica e Sardegna. Il 31 dicembre 38 a.C., si concluse il primo quinquennio della magistratura triumvirale, che fu rinnovata per altri cinque anni a Taranto. Nel 36 si chiuse la partita con Sesto Pompeo: Agrippa allestì una flotta lo affrontò in mare, sconfiggendolo. Lepido rivendicò l'acquisizione della Sicilia e Ottaviano colse l'occasione per estrometterlo definitivamente dal potere. Una volta rientrato a Roma, Ottaviano ottenne la sacrosanctitas, che lo rende inviolabile. Avvertì l'esigenza di consolidare la sua fama di comandante militare. Tra il 35 e il 34 a.C., si dedicò a una campagna contro gli illiri. Antonio ne aveva intrapresa una contro i Parti, ma quella campagna non aveva portato a una risoluzione definitiva. Dal 42 a.C., Antonio aveva intrapreso una serie di alleanze con i sovrani locali, e di particolare rilievo è quella con Cleopatra. L'Egitto rappresentava un alleato importante sia per la sua ricchezza, sia per la sua posizione strategica. Antonio agì con acume politico; nel 36 prese avvio la spedizione e riuscì ad assediare Fraata. Attribuì ai tre figli avuti con Cleopatra alcuni territori sotto il controllo di Roma. Per Ottaviano, Antonio era ormai un nemico: nel 31 a.C. si consumò, ad Azio, una battaglia che Ottaviano aveva formalmente dichiarato a Cleopatra. L'ammiraglio che portò Ottaviano alla vittoria era Agrippa; nel 30 a.C., Alessandria cadde nelle mani di Ottaviano, e l'Egitto divenne sua proprietà privata, mentre Antonio e Cleopatra si suicidarono. CAPITOLO 13: LA RINASCITA DI ROMA: IL PRINCIPATO AUGUSTEO Augusto presentò ai contemporanei e ai posteri l’immagine del nuovo governo come prosecuzione dell’esperienza repubblicana e rivitalizzazione del mos maiorum (costume degli antenati). Quando tornò dall'Oriente, nel 27 a.C., si rese protagonista di un gesto di grande effetto propagandistico, cioè la restitutio rei publicae, ovvero riconsegnò al senato e al popolo romano i poteri eccezionali che gli erano stati conferiti per lo scontro con Antonio; gli venne allora dato il nome di Augusto, un titolo culturale che sottolineava l'eccellenza del suo detentore. Nel 27 gli venne attribuito, per 10 anni, un esteso comando provinciale (Spagne, Gallie, Siria, Cilicia e Cipro). In queste province erano di stanza reparti legionari che costituivano la gran parte delle forze armate romane; si operò quindi una ripartizione delle province in due categorie: quelle non pacificate (sede di reparti legionari perché non ancora sicure sul confine) e quelle pacificate (prive della presenza dell’esercito). Le prime erano province imperiali, affidate al controllo di Augusto, e le seconde erano province pubbliche, ovvero sotto il controllo del senato. L'Egitto ottenne uno statuto particolare: era amministrato da un prefetto specializzato, il prefetto d’Egitto. Augusto scisse i poteri delle cariche che tradizionalmente li esprimevano; in tal modo rispettò i criteri di collegialità, annualità ed eleggibilità delle cariche fissati, ma avendo gli strumenti per gestire Roma in prima persona. A partire dal 23, Augusto amministrava tre poteri fondamentali: la potestà tribunizia perpetua, il potere proconsolare superiore (estensione del comando provinciale eccezionale), il pontificato massimo (fu artefice di numerose riforme in ambito religioso e rese pubblica una parte della sua abitazione sul Palatino dove fece erigere un tempio per le vestali, sua moglie Livia divenne la responsabile del fuoco sacro nel santuario). Augusto sperimentò una gestione collegiale dell'impero, condividendo alcuni dei suoi poteri. Il primo a beneficiarne fu il genero Agrippa, e dopo la sua morte condivise i poteri col figlio Tiberio. Le istituzioni repubblicane continuarono a funzionare come nel passato; il senato fu riportato a 600 membri, e il censo minimo per accedervi si era innalzato a 1.000.000 sesterzi. Il ruolo del senato fu ridimensionato e subì la concorrenza del consilium principis, cioè il consiglio composto da coloro che il principe sceglieva tra amici e servitori, e la domus principis, la famiglia di Augusto. Le magistrature della carriera senatoria rimasero le stesse, seppur in parte svuotate dei loro poteri tradizionali; sopravvissero l’edilità, il tribunato della plebe e la pretura, mentre decadde la censura. La contesa elettorale procedette come ai tempi della libera repubblica, ma venne introdotta una nuova procedura, la destinatio, che rendeva inefficace il voto popolare. Augusto procedette a una riforma dell’esercito, che divenne permanente, stabile, costituito da soldati professionisti e articolato in diversi reparti. Lo stipendio dei legionari fu fissato a 225 denari l’anno ma il soldato doveva pensare da sé ai viveri e all’equipaggiamento. Nel 6 a.C., istituì l’erario militare. Si stabilì che alimento del congedo i veterani ricevessero, con il certificato di buonuscita, una liquidazione: 3.000 denari. Tra il 27 e il 26 a.C. Augusto aveva istituito il gruppo dei pretoriani che assolvevano al compito di presidiare l’Italia. Le ali ausiliarie contavano gli stessi reparti dei legionari, e furono utilizzate soprattutto come cavalleria. Augusto aggiunse due flotte stabili. A Roma erano attivi due corpi di polizia: i vigili (creati nel 6 a.C., organizzati in 7 coorti, dovevano pattugliare e intervenire in caso di incendi) e gli urbanciani (istituiti nel 13 a.C., riuniti in 3 coorti, e si occupavano della sicurezza pubblica). Molti sostenitori di Augusto provenivano dal ceto equestre. Si sperimentò un passaggio dal sistema dell’appalto a quello della gestione diretta, e nasceva l'apparato burocratico di cui Roma era stata priva. Si andò strutturando una carriera equestre, che prevedeva diversi livelli: il primo era costituito dalle milizie equestri, il secondo dai procuratori e il terzo dalle prefetture. Anche la plebe aveva contribuito al successo di Augusto, e il principe ricambiò il favore con delle iniziative a favore del popolo di Roma: istituì aleune commissioni senatori, incaricate della sorveglianza degli acquedotti, della manutenzione delle banchine del Tevere, e se ne occupavano i curatori. Il principe allestì anche spettacoli gladiatori, e mise in atto un programma di edilizia monumentale di pubblica utilità, che garantiva adoro stabile sul lungo periodo alla manodopera cittadina. L'iniziativa più efficace da questo punto di vista fu la costruzione del Foro di Augusto. Roma divenne una città di marmo, e fu tappezzata di iscrizione che elogiavano il principe. Per la plebe rustica venne varato un piano di deduzioni coloniarie in Italia e nelle province; si avviò un processo di urbanizzazione che coinvolse anche le province occidentali dell’Impero. | provinciali quindi trassero giovamento dai provvedimenti augustei. Prevalsero due nuovi tipi di tasse: iltestatico (tributo pagato dalle persone fisiche in età adulta) e un’imposta fondiaria corrisposta dai proprietari terrieri. Per agevolare le comunicazioni tra i governatori e Roma venne istituito un servizio di posta per l’amministrazione dell'impero (cursus publica). In ogni provincia furono istituite assemblee periodiche in cui i rappresentati di tutte le città si riunivano per provvedere al culto di Roma e di Augusto e discutere di problemi di interesse comune. Augusto esercitò anche un’energica azione di tutela della proprietà; risarcì con il proprio patrimonio coloro ai quali erano state requisite le terre in favore dei veterani. Augusto procedette a fini amministrativi a una nuova ripartizione di Roma e dell’Italia. La propaganda augustea sottolineava la centralità dell’Urbe nell'impero. Roma venne suddivisa in 14 distretti, al loro interno ripartiti in quartieri. CAPITOLO 14: IL CONSOLIDAMENTO DEL PRINCIPATO DI AUGUSTO Grazie alla vittoria ottenuta su Antonio e Cleopatra, Ottaviano poté annettere l'Egitto nel 30 a.C.; il territorio fu affidato all’amministrazione di prefetti di rango equestre. Le legioni romane furono impegnate anche nella Spagna nord-occidentale (27-19 a.C.), sconfiggendo gli ultimi gruppi resistenti alla romanizzazione. Nel 25 a.C., furono annesse all'impero le Alpi occidentali, nel 16-15 le Alpi centrali e orientali, tra il 14 e il 9 la Pannonia. In Oriente, nel 25 a.C., fu conquistata la Galazia; comunque, l'estensione dell’egemonia romana in Oriente fu promossa dalla creazione di rapporti clientelari indipendenti con regni indipendenti e imponendo re filoromani. Furono due i contesti in cui le legioni romane non rappresentarono un efficace strumento di conquista: nella Germania contesta dalle tribù stanziate presso il fiume Elba, e nell’Oriente controllato dai Parti. Quest’ultimi rappresentavano, ancora in età augustea, una minaccia all'influenza romana nel Levante e ai traffici commerciali. Spesso i Romani avevano pianificato azioni di vendetta, ma Augusto optò per la soluzione diplomatica: nel 28 iniziò le negoziazioni con Faarte, il re, e nel 20 inviò Tiberio in Oriente, ottenendo un pieno successo diplomatico e che le insegne venissero rimpatriate a Roma. Tuttavia, la soluzione diplomatica suscitò dissenso nei confronti di Augusto: questa venne celebrata dal principe come una vittoria militare e festeggiata con modalità simili a quelle del trionfo. La politica espansionistica augustea conobbe il suo più grande fallimento lungo il fronte settentrionale: l’avanzata in Germania subì un brusco arretramento e il confine, anziché sull’Elba, si assestò sul Reno. Nel 9 d.C., Arminio, capo dei Cherusci, insieme a delle tribù locali, tese un’imboscata a tre legioni romane, che vennero massacrate nella foresta di Teutoburgo: si trattò della strage di Varo (clades Variana). Anche per quanto riguarda la politica interna, Augusto accoglieva in pace coloro che si fossero dimostrati disponibili alla sottomissione, riservando, invece, la distruzione ai ribelli. Dalla storiografia emerge la realtà di un dissenso nei confronti del principe che durò per tutto il suo governo. Il dissenso augusteo fu caratterizzato da tre fasi: le prime manifestazioni si ebbero nel 31 a.C., emiravano a un ritorno alle istituzioni repubblicane, promosse da conservatori filorepubblicani; nel 27 a.C., si assistette a nuove congiure da parte degli integrati; infine, l'opposizione che derivava dalla stessa famiglia di Augusto, maturata in seguito all'assunzione di atteggiamenti molto autocratici da parte dell'Imperatore. L'opposizione non riuscì mai nei suoi intenti ma costrinse Augusto a insanguinare la sua pace interna. La pace fu tema importante nella politica dinastica di Augusto; due circostanze inibivano il principe dal designare ufficialmente un successore: innanzitutto, egli aveva dato vita a una soluzione politica che formalmente non si risolvesse in un regime monarchico; in secondo luogo, Augusto volevo designare un successore dalla canalizzazione di più poteri nella sua persona. Egli testò tre opzioni per scegliere l'erede politico: il criterio del legame di sangue, la via della soluzione dinastica (individuazione dell’erede tra i membri della famiglia imperiale che sarebbero poi stati adottati da Augusto) e la scelta del migliore (coinvolgimento di soggetti estranei alla famiglia del principe). Dato che non aveva figli maschi, si orientò verso un compromesso: scelse dei candidati che vantassero con lui la condivisione del sangue, e nel 25 a.C., disegnò il nipote Marco Claudio Marcello, predisponendone il matrimonio con la figlia Giulia. Tuttavia Marcello morì e la scelta ricadde su Marco Agrippa, suo braccio destro, che nel frattempo aveva sposato Giulia. Nel 17 a.C., alla nascita del nipote Lucio Cesare, Augusto lo adottò insieme al fratello Gaio. Entrambi, però, morirono prematuramente. Nel 4 d.C., adottò Agrippa Postumo e Tiberio (figlio della moglie Livia e del primo marito), il quale aveva maturato esperienza militare. Agrippa Postumo venne però allontanato perché accusato di pazzia. Sarà Tiberio a succedere ad Augusto. CAPITOLO 15: LA DINASTIA GIULIO-CLAUDIA Con Tiberio si apre la dinastia giulio-claudia. Augusto morì nel 14 d.C., e Tiberio dovette affrontare una serie di minacce al suo primato, poiché in senato alcuni si opposero alla successione dinastica. In Germania delle legioni si sollevarono, chiedendo un aumento di stipendio.e sollecitando Germanico ad assumere il potere, ma quest’ultimo rimase fedele al padre adottivo. Germanico però morì in circostanze misteriose, in Oriente, nel 19 d.C., probabilmente avvelenato da Pisone, e di questo fatto si hanno, come testimonianza, tre iscrizioni (Tabula Hebana, Tabula Siarensis, Senatusconsultum de Cnaeo Pisone Patre). Dopo la morte di Germanico, l'erede designato fu Druso Minore, che morì nel 28 d.C., e allora la via della successione parve aprirsi ad accogliere un personaggio esterno ma influente: Lucio Elio Seiano, un prefetto. Tiberio aveva fissato la sua residenza a Capri, lasciando a Seiano e ai pretoriani il compito di gestire l’Urbe; nelle strategie di Seiano rientrava l’eliminazione di tutti coloro che avrebbero potuto minare il suo ruolo nella successione, e così allontanò la moglie e i figli di Germanico nel 29 d.C. Nel 31 d.C., Tiberio lo condannò. In politica estera, Tiberio non promosse campagne di conquista: con lui, l’arretramento del confine in Germania si tradusse in un abbandono della stessa, mentre in Oriente riuscì a consolidare l'egemonia romana con i regni clienti. Vennero inoltre istituite le province di Commagene, Cappadocia e Cilicia. Per la politica interna, fu un buon amministratore: assunse provvedimenti favore dei debitori e perseguì una politica di confronto dialettico con il senato. Morì nel 37 d.C. Aveva indicato come suoi eredi Tiberio Gemello e Gaio, figlio di caratterizzato da numerose iniziative migliorative: si procedette persino a una riorganizzazione della burocrazia imperiale. Assegnò al giurista Salvio Giuliano la codificazione dell’editto perpetuo. Alla sua morte, la scelta per il successore ricadde su Arrio Antonino, che assunse il cognome Pio. Il suo principato fu lungo ma non contrassegnato da eventi particolari. Il governo fu in continuità con quello di Adriano. Antonino trascorse una vita sedentaria, e risiedette quasi esclusivamente a Roma. Promosse la costruzione dell'enorme tempio per la sua consorte, Faustina Maggiore. Adriano aveva ordinato ad Antonino di adottare Marco Aurelio (che sposò Faustina Minore) e Lucio Vero. Nel 161 d.C., alla morte di Antonino, il potere passò nelle mani di Marco Aurelio, che però volle che il fratello adottivo Lucio Vero gli fosse associato su un piano di parità- Il potere era condiviso quindi da due augusti e nacque una forma di diarchia. Dal 161 al 166 Lucio Vero si trovava in Oriente dove mosse guerra all’impero partico. Le legioni ebbero successo, ma Lucio Vero dovette presto rientrare in Europa per affrontare un altro problema: i Quadi e i Marcomanni (germanici) avevano infranto le difese sul fronte danubiano; passarono addirittura nell’Italia nord orientale e incendiarono Oderzo. Ciò riaccese la paura del nemico celtico. Inoltre, la calata dei popoli germanici ebbe altre conseguenze devastanti: le truppe riportano con sé una terribile epidemia, la cosiddetta peste antonina. Nel 169 d.C., Lucio Vero morì, e Marco Aurelio, negli anni successivi, riuscì a cacciare le tribù germaniche. Le vittorie vennero immortalate nella colonna antonina. In politica interna, Marco Aurelio aderì allo stoicismo, infatti viene chiamato l'im peratore-filosofo” (i suoi “Ricordi”, scritti in greco, esprimono dubbi e riflessioni sul ruolo di responsabilità che si era trovato a coprire). Sul piano religioso, diede prova di eclettismo. Marco Aurelio associò a sé stesso col rango di augusto il figlio Commodo (torna a prevalere il principio dinastico). L'imperatore morì a Vienna nel 180 d.C. Commodo stipulò un trattato di pace con le popolazioni germaniche e ciò vanificava gli sforzi del padre sul fronte settentrionale. A Roma, il senato non condivideva la condotta di Commodo: egli favorì l’ascesa alla prefettura del pretorio di personaggi cruenti e dispostici, e infatti furono anni di crescente corruzione dei costumi. Il consenso della plebe urbana venne garantito mediante un incremento degli spettacoli e dei giochi circensi. Nel corso del suo principato si susseguirono le congiure di palazzo, fino all’ultima, ordita dall’amante di Commodo, che lo fece avvelenare e strangolare. Il cadavere venne trascinato fuori dalle mura di Roma e lì abbandonato, punito con la cancellazione della memoria. CAPITOLO 18: ECONOMIA, SOCIETÀ ED ESERCITO NELL’ALTO IMPERO Il periodo fra | e Il secolo d.C., registrò una fioritura della vita economica. L'economia romana continuò la sua vocazione agricola, ma anche altri settori produttivi vissero una fase di sviluppo. Il progresso era reso evidente dall’incremento della presenza umana sulla terra, e l'assenza di conflitti civili accrebbe il mito della pace romana. Le condizioni favorevoli garantite dall’ordine interno consentirono anche il perfezionamento del sistema viario. Per quanto riguarda l’agricoltura, in molti contesti geografici marginali furono messe a coltura terre precedentemente occupate dai boschi. Si diffusero le proprietà fondiarie di dimensioni medio-grandi: inizialmente esse utilizzavano come forza lavoro prevalente gli schiavi, ma poi cominciarono a integrare l’impiego permanente degli schiavi con il ricorso al lavoro stagionale di contadini di stato libero. A partire dai decenni finali del | sec. d.C., essi subirono un progressivo peggioramento delle condizioni di vita: si determinò una contrazione dell’economica di piantagione, che provocò una trasformazione delle modalità di gestione della proprietà terriera con l’affermarsi del colonato (patto fra proprietari terrieri e lavoratori liberi, simile al sistema medievale). A partire dall’età di Augusto, si espanse l’industria mineraria, e furono sfruttati nuovi giacimenti di materie prima; in tutto il bacino del Mediterraneo ebbe diffusione l'estrazione della pietra e dei marmi colorati, in particolare del porfido, che si trovava in cave nei pressi del Mar Rosso. La produzione artigianale fiorì, soprattutto nelle province occidentali: ciò dipese da un aumento della domanda. Anche le esigenze dell’esercito divennero più regolari: le commesse militari determinarono un indotto nelle province in cui erano stanziate le legioni. L'incremento delle richieste venne soddisfatto con la creazione di produzioni seriali di buon livello; gran parte dei manufatti era realizzata in materiali deperibili. Maggiore durata hanno i reperti fittili (in terracotta), che fungono da veri e propri fossili guida, poiché venivano commerciati in tutto l'impero. Ampiamente attestata è anche la ceramica fine demenza a vernice rossa (terra sigillata), che divenne uno status symbol delle borghesie municipali e provinciali. Dunque, si può dedurre che il | e il Il sec. d.C., furono testimoni della massima espansione del commercio a breve e lungo raggio, che si avvalse della diffusione dell’economica monetaria, sistema basato sul denario. Durante l’epoca del principato si consolidarono le premesse per la formazione un sistema economico nuovo, caratterizzato da condizioni paleo-capitalistiche. Per la maggior parte del | sec. d.C., gli imperatori mantennero una posizione liberista nei fronti dell'economia: ovvero, evitarono di intervenire nei processi produtti | diversi territori dell’impero facevano parte di un unico sistema economico il cui complesso equilibrio si era dimostrato funzionante, ma non privo di sperequazioni. Infatti, da un lato, i proprietari terrieri italici avevano destinato i loro fondi al pascolo estivo o a colture arboricole, dall’altro, il suolo di alcune province era interamente utilizzato per produrre cereali, che l'impero acquistava a prezzo politico e trasportava a Roma. Nel frattempo, le province di più antica romanizzazione si dedicarono alla produzione locale di olio e vino a prezzi concorrenziali e determinarono il crollo delle importazioni dll’Italia. Di fronte a ciò, le autorità centrali attuarono una politica dirigista. Traiano elaborò un sofisticato piano di riequilibrio economico, che prevedeva fondamentalmente due punti: l'obbligo per i senatori a investire almeno un terzo del loro patrimonio in beni terrieri ubicati in Italia, e un programma di assistenzialismo statale (alimenta). Esso si fondava sull’investimento di parte delle risorse acquisite dal fisco (cassa privata dell’Imperatore). | capitali imperiali venivano prestati a proprietari di fondi agricoli medio-grandi. Essi prevedevano alla riconversione di parte delle loro colture da arboricole in cerealicole, e pagavano le somme al municipio, che utilizzava le entrate per finanziare sussidi mensili a ragazzi e ragazze. Le fonti testimoniano che oltre 50 municipi aderirono all’iniziativa. Gli alimenta si prefiggevano diverse finalità: agricole, assistenziali, amministrative e militari. Era evidente inoltre il desiderio di facilitare il reclutamento legionario (i sussidi venivano concessi ai ragazzi fino a 18 anni, alle ragazze fino a 14). Per quanto riguarda lo statuto giuridico, si era delicato un quadro che contrapponeva l’Italia alle province. L'estensione della cittadinanza romana nelle province andò di pari passo con un altro fenomeno: la crescente urbanizzazione, che voleva favorire il processo di romanizzazione e delegare ai notabili locali la gestione delle comunità soggette. Le città dell'Impero erano circa 1000. Le città si distinguevano in colonie e municipi, che presentano ordinamenti simili. La popolazione si componeva dei cittadini (godevano del pieno diritto di appartenenza alla comunità locale) e degli incolae (usufruivano di una cittadinanza parziale). L'insieme della popolazione cittadina era diviso in curie e si radunava nei comizi locali. Il governo delle città era amministrato dal senato locale, e i consigliali erano i decurioni, che dovevano essere liberi di nascita, di condotta irreprensibile, possedere la cittadinanza del luogo e vantare un certo patrimonio. Le sedute del consiglio si svolgevano nella curia, e i decurioni si occupavano di tutte le branche dell’amministrazione locale. | magistrati supremi si chiamavano duoviri nelle colonie e quattuoviri giurisdicenti nei municipi, ed erano una coppia di individui in carica per un anno, che convocavano e presiedevano le sedute del senato locale, collaudavano le opere pubbliche ed esercitavano giurisdizione penale e civile per le cause minori. Inferiori a loro erano gli edili (colonie) e quattuoviri con potere edilizio (municipi), che si occupavano dell’approvvigionamento idrico, sorvegliavano le strade e gli edifici pubblici. Poi c'erano i questori, incaricati dell’amministrazione della cassa pubblica. | magistrati cittadini venivano eletti dai comizi locali, e dovevano sostenere ingenti spese per attività di beneficienza pubblica. Erano assistiti da personale subalterno, come segretari. Nelle colonie e nei municipi erano presenti i collegi dei sacerdoti locali, inoltre c'erano i serviri augustali, addetti al culto imperiale. Il bilancio delle città dell’impero era modesto, e le entrate ordinarie derivavano da redditi di case, terre, prati, pascoli... un elemento chiave nel funzionamento delle città era l’evergetismo, ovvero la libera offerta di prestazione materiali da parte di singoli a favore della comunità. La struttura della società romana rimase immutata rispetto all’epoca tardorepubblicana. Comunque, si registrarono aspetti innovativi: alla piramide sociale tradizionale fu sovrapposta la figura dell’imperatore. Si ebbe anche una progressiva integrazione dei provinciali nella compagine statale. Dalla metà del Il sec. d.C., si produsse una bipartizione del corpo sociale: gli honestiores (Membri delle classi dirigenti) e gli humiliores (ceti subalterni). Tale dicotomia si rispecchiò anche nella concessione di privilegi nel campo del diritto penale. L'appartenenza agli ordini sociali era ereditaria; per quanto riguarda l’ordine senatorio, vennero integrati figli di cavalieri benemerriti, gli “uomini nuovi”. L'appartenenza al ceto equestre era individuale, e l’ordine era assai aperto verso il basso. Molti cavalieri si dedicavano ad attività professionali nell’ambito dell’iniziativa privata. Protagonisti della mobilità sociale furono i liberti. In seguito all’emancipazione, iniziavano a ricoprire ruoli di responsabilità alle dipendenza dei loro ex padroni o si dedicavano alla libera iniziativa nel campo imprenditoriale o commerciale. Una posizione di preminenza era occupata dai liberti della casa imperiale. Anche nei contesti italici e provinciali la presenza dei liberti fu rilevante: come nuovi ricchi si dedicarono alla costruzione di monumenti privati e opere pubbliche. Con il progredire dell’età imperiale, la schiavitù ebbe una contrazione numerica e continuò a perpetuarsi quasi esclusivamente per riproduzione all’interno delle famiglie servili. Nei primi due secoli dell’età imperiale l’esercito ebbe un ruolo di decisa centralità. Vespasiano portò le legioni da 25 a 28 e Traiano ne aggiunse altre 2. Nel | e Il sec. d.C., si assistette a un processo di sedentarizzazione dell’esercito, e gli accampamenti cominciarono a divenire più stabili. Dal punto di vista strategico la rinuncia all'espansione promosse due diverse opzioni difensive: quella del controllo diretto, adottata lago i confini occidentali, che comportò la costruzione di opere fisse di difesa (come i limes lungo il reno e il danubio), e quella del controllo indiretto, adottata lungo il confine orientale, che prevedeva il rafforzamento di un’area centrale ampiamente militarizzata. Si consolidò inoltre la tendenza al reclutamento locale. CAPITOLO 19: TRA EQUILIBRIO E CRISI: LA DINASTIA DEI SEVERI Dopo l’uccisione di Commodo, il potere imperiale venne gestito, per un breve periodo, dall’ordine senatorio, la cui scelta ricadde su un anziano consolare, Pertinace; il suo governo, però, durò soltanto tre mesi nel 131 d.C., in quanto venne ucciso dai pretoriani, il soglio imperiale venne affidato a Didio Giuliano, anche lui non rimase a lungo perché le legioni opposero contemporaneamente quattro usurpatori: Clodio Albinio (Britannia), Settimio Severo (Pannonia) e Pescennio Nigro (Siria). Ebbe così inizio una nuova guerra civile. Lucio Settemio Severo era originario di Leptis Magna, in Africa, e non poteva vantare alcuna ascendenza italica fra i propri antenati; ricorse così a un espediente giuridico, proclamando di essere stato adottato da Marco Aurelio. Egli associò al potere i suoi due figlio, Caracalla e Publio Settimio Geta. Settimio Severo fu influenzato dalla moglie, Giulia Domna, che gli fu sempre accanto, anche durante le campagne militari. Il rapporto privilegiato tra l’esercito e i Severi caratterizzò il loro intero principato, definito una monarchia militare. | soldati ricevettero diversi benefici dai Severi. Severo intraprese una nuova campagna contro i Parti, e negli anni che seguirono tali campagne, si soffermò a lungo a Roma, dove rinforzò la presenza dei corpi armati che presidiavano la capitale e il territorio circostante. A partire del 208 d.C., intraprese una spedizione in Britannia, in quanto la frontiera settentrionale era stata messa a repentaglio dalle incursioni dei Caledoni. L'imperatore cercò di ripristinare il vallo Antonino ma senza successo e morì per malattia a York nel 211 d.C. Alla sua morte gli succedettero Caracalla e Geta, ma presto i rapporti tra i fratelli si incrinarono e Caracalla fece uccidere Geta nel 212 d.C., applicando nei suoi confronti la cancellazione della memoria. Nello stesso anno emanò un editto attraverso cui veniva concessa la cittadinanza romana a tutti gli abitanti liberi dell’im pero (constitutio Antoniniana). Tale decisione eliminava le differenze tra italici e provinciali, e perseguiva anche una finalità fiscale poiché era funzionale all'incremento delle entrate statali. A Roma diede vita un imponente programma edilizio di cui sono testimoni le terme. Nel 217 d.C., fu ucciso da un gruppo di congiurati in Siria, e morì senza prole. L'esercito aveva proclamato imperatore un cavaliere, Macrino, e per la prima volta il titolo imperiale veniva assegnato a un esponente del ceto equestre. Il suo governo però non durò a lungo: Giulia Mesa, sorella di Giulia Domna, incitò i soldati a elevare a imperatore un suo nipote. Si trattava di Eglabalo, che si distinse per una condotta contraria al tradizionalismo romano, e cercò di sostituire il culto di Giove Ottimo Massimo con quello del dio Sole. La scarsa popolarità di cui godeva spinse Giulia Mesa ad affiancargli un altro nipote, Alessiano Bassiano. | rapporti tra i cugini si deteriorarono, e nel 222 d.C., durante un’incursione dei pretoriani, Eglabalo e sua madre furono uccisi, mentre Bassiano venne acclamato imperatore col nome di Alessandro Severo. Egli si riavvicinò al senato, e il suo regno fu caratterizzato da un cambiamento in politica estera. | parti volevano costituire un impero e abbandonarono il filellenismo, quindi attaccarono i romani sul confine orientali. Alessandro Severo riuscì a contrastarli ma si presentò un nuovo problema, cioè delle popolazioni germaniche che avevano varcato il limes. L'imperatore morì a Magonza del 235 d.C. Il Ill secolo rappresenta il secolo del collasso economico e si ravvisa un aumento di incursioni e tentativi di invasioni. Ci sono diverse ipotesi che motivano lo scoppio della crisi: gli storici idealisti affermano che si trattò di indebolimento dato da motivi etico-religiosi, come il diffondersi del cristianesimo e il collo dei valori tradizionali che allentarono il pragmatismo dei romani; per gli storici liberali si trattò di un conflitto tra la borghesia urbana e le masse popolari rurali, alleati con l’esercito; per gli storici marxisti la svolta fu determinata dal tracollo dell'economia servile. Ovviamente non è solo una la causa della crisi, i cui segnali si evincono durante il principato di Marco Aurelio. | benefici dei Severi all'esercito determinò un’impennata delle spese militari a cui tentarono di supplire in due modi: con confische nei confronti di chi si era schierato contro di loro durante la guerra civile, e incamerando grandi bottini dopo le battaglie partiche. Le risorse non furono però sufficienti. | severi svalutarono il denario, pratica in atto dai tempi di Nerone. La popolazione ebbe consapevolezza della riduzione del titolo (percentuale di argento presente nella moneta) e i prezzi iniziarono aumentare e si instaurò una spirale inflazionistica, mentre le monete migliori sparivano dai mercati. Caracalla coniò una nuova moneta, l’antoniniano, il cui titolo rimase costante. Caracalla aumentò le imposte gravanti sui cittadini romani. Nel campo privato si registrò carenza di manodopera, determinata dalla crisi demografica. pace tra i romani e le divinità, ma dietro c'erano anche ragioni di natura economica: i beni dei cristiani diventavano sempre più consistenti e infatti il primo dei quattro editti ordinava la confisca dei patrimoni delle comunità cristiane. Il primo maggio del 305 d.C., Diocleziano e Massimiano abdicarono, e la ragione è tuttora incerta. La loro abdicazione si configurò però come una regolamentazione del meccanismo successorio. AI loro posto subentrarono come augusti Galeriano e Costanzo, che si associarono come cesari Flavio Severo e Massimino Daia (nella scelta della successione aveva quindi avuto la meglio il principio del valore militare). Nel 306 d.C., a York, morì Costanzo Cloro, e le legioni britanniche nominarono imperatore suo figlio, Costantino, che fu accolto come cesare. A Roma i pretoriani acclamarono Massenzio, figlio di Massimiano, e negli anni successivi la situazione degenerò in una guerra civile. Le armate di Massenzio vennero definitivamente sconfitte nel 312 d.C., nella battaglia di Saxa Rubra. La svolta politica nell'impero si ebbe nel 313, quando Costantino e Licinio (che aveva sconfitto Massimino Daia), si riunirono a Milano e proclamarono un editto in cui affermavano la libertà di culto in tutto il territorio imperiale. Dopo un conflitto, i due imperatori stipularono un trattato di pace nel 317 d.C., in base al quale si associarono tre cesari: Crispo, Liciniano e Costantino Il. Si rinnovava il principio della condivisione del potere, ma stavolta riguardava l’ambito dinastico. Tuttavia nel 324 Costantino e Licinio si scontrarono a Crisopoli e quest’ultimo venne sconfitto. Costantino divenne dunque l’unico sovrano; nel 325 convocò il primo concilio ecumenico (concilio di Nicea). Comunque, le discordie non terminarono: dei tre cesari era rimasto solo Costantino II, al quale era stato affiancato Costanzo II, e nel 333 venne loro affiancato Costante. Nel 330 Costantino aveva dotato l’impero di una nuova capitale, cioè Costantinopoli, che dal punto di vista topografico voleva presentarsi come una nuova Roma. Costantino sconfisse i Goti lungo il Danubio e stipulò con loro un trattato che li obbligava a fornire contingenti armati per l’esercito romano; stava poi preparando una spedizione contro i Persiani, ma fu colto dalla malattia. Prima di morire ricevette il battesimo e si spense nel 375. Tra la fine del Ill sec e l’inizio del IV, gli imperatori riformarono l’impero. Diocleziano riorganizzò l’esercito, costituendo unità militari mobili e indipendenti, da affiancare alle guarnigioni fisse di frontiera. Costantino abolì le coorti dei pretoriani perché potevano sfuggire facilmente al controllo imperiale, e istituì un nuovo corpo di “guardiani di palazzo” (i palatini). Il fenomeno dell’imbarbarimento delle truppe divenne frequente dal IV sec, e la loro presenza fu sempre maggiore anche nei ruoli dell’ufficialità e dei reparti scelti dell'esercito. Il rafforzamento delle spese militari determinò oneri finanziari; in ambito fiscale fu introdotto un metodo universale di riscossione dei tributi, che si basava su unità astratte (capita) che venivano calcolate per ogni contribuente stimando tutti i beni tassabili in suo possesso. Venne strutturato su cicli annuali di imposizione (indizioni). Alle imposte ordinarie furono aggiunte altre tasse che equivalevano a una tassazione addizionale. Anche Costantino introdusse nuove tasse, come il crisargiro, imposta che colpiva le principali forme di commercio. Avvenne anche una riforma monetaria per bloccare la spirale inflazionistica. Diocleziano coniò una nuova moneta d’oro che Costantino la svalutò di 1/5; il solido divenne la base stabile della circolazione monetaria. Diocleziano e i tetrarchi emanarono l’editto dei prezzi (301), fissando il costo massimo di una vasta gamma di prodotti. Si procedette anche a una riforma amministrativo-territoriale: le province vennero raggruppate regionalmente in distretti più ampi (diocesi). A capo di ogni diocesi c’era il vicario (si occupava anche della raccolta delle imposte). Anche l’Italia fu divisa in diocesi: a nord l’Italia Annonaria, al centro-sud l’Italia Suburbicaria. All’inizio del IV sec, l'impero romano contava dodici diocesi e un centinaio di province; Costantino completò la riforma, raggruppando le diocesi in quattro macro aree geografiche, chiamate prefetture del pretorio. A capo c’erano i prefetti del pretorio che provenivano dal ceto senatorio. Con Diocleziano anche la vita della corte imperiale cambiò: la concezione dell'Impero sempre più autocratica determinò un’orientalizzazione ideologica; i palazzi si riempirono di personale subalterno tra cui i cubiculari che si occupavano della stanza dell’imperatore; furono introdotte cerimonie protocollari complesse e il consiglio ufficiale di stato cambiò nome, da gabinetto divenne concistoro, perché i suoi membri dovevano stare in piedi davanti all’imperatore in segno di riverenza. CAPITOLO 22: VERSO LA DIVISIONE: L’IMPERO NEL IV SECOLO d.C. Alla morte di Costantino gli succedettero i tre figli, che si ripartirono il governo dei diversi quadranti geografici dell'impero: Costantino Il ebbe le province occidentali, Costante l’Italia, l’Africa e la Pannonia e Costanzo Il l'Oriente. Si manteneva il governo collegiale del sistema tetrarchico e dunque anche il frazionamento dell’im pero. | tre figli promossero lo sterminio di tutti i membri maschi della loro famiglia per evitare operazioni di rivalsa, e riuscirono a sopravvivere solo due nipoti di Costantino, Gallo e Giuliano. Nel 340 d.C., Costantino Il mosse guerra a Costante, ma fu ucciso ad Aquileia; i due imperatori rimasti avevano posizioni simili ma non coincidenti sulla politica religiosa; Costante seguiva il cristianesimo di Nicea mentre Costanzo Il l’arianesimo; comunque, furono d’accordo nel contrastare i culti pagani. Nel 350 Costante fu assassinato per un tentativo di usurpazione in Gallia a opera di Magnenzio; una volta asceso al trono, attuò una politica più tollerante nei confronti dei pagani. Nel 351, a Mursa (Pannonia), si svolse una battaglia tra Magnenzio e Costanzo due anni dopo Magnenzio fu sconfitto definitivamente in Gallia e si suicidò. Nel 353 Costanzo rimase l’unico imperatore; la necessità di provvedere a una successione e a una migliore gestione territoriale lo indusse ad associarsi Giuliano, l’ultimo superstite della famiglia, che ebbe il compito di governare la Gallia, dove, nel 360, fu acclamato augusto dalle sue truppe; quando lo scontro col cugino sembrava inevitabile, Costanzo Il morì improvvisamente nel 361, riconoscendo Giuliano come successore. Egli era cresciuto segregato nella corte, dove ebbe dei precettori pagani, da cui apprese i modelli etici della civiltà greco- romana; si distaccò dal cristianesimo e si guadagnò quindi il titolo di apostata (artefice dell'abbandono) della religione cristiana. Giuliano tentò di ripristinare i culti politeistici, e lo fece estromettendo i cristiani dall’apparato governativo. Dovette affrontare la questione orientale, irrisolta: i persiani, da decenni, cercavano di riconquistare i territori del settore mesopotamico che erano stati loro sottratti dalla tetrarchia. Giuliano organizzò una controffensiva militare e assediò la capitale nemica ma senza riuscire a espugnarla; il suo esercito fu costretto alla ritirata, durante la quale l’imperatore morì. Le truppe acclamarono come successore Gioviano, che restò al potere per otto mesi; alla sua morte, gli succedette Valentiniano | (occidente), che si associò come augusto il fratello Valente (oriente). Valentiniano era un seguace della fede di Nicea mentre Valente di quella ariana; si verificò quindi la bipartizione religiosa dell’im pero. Il problema che maggiormente li occupò fu quello della gestione delle province: Valentiniano cercò di salvaguardare il confine renano-danubiano istigando i popoli barbarici l’uno contro l’altro; Valente represse l’usurpazione di Procopio, sostenuto dai Goti, e a combattere contro i Persiani. Queste situazioni indussero gli imperatori ad aumentare la spesa militare e crebbe la pressione fiscale. Nel 375 Valentiniano morì in Pannonia in una campagna contro i Quadi. Le truppe riconobbero come successori i suoi figli: Graziano e Valentiniano Il. Nei territori gestiti da Valente, la situazione precipitò a causa degli spostamenti degli Unni, che invasero la Scizia, sottomettendo gli Ostrogoti e i Visigoti. Essi cercarono riparo all’interno dell'impero, chiedendo di essere insediati nelle province di Mesia Tracia; Valente acconsentì anche per potenziare l’esercito, ma l'accordo non funzionò, perché i romani non fornirono il vettovagliamento previsto i Goti reagirono con rapine e saccheggi. Scoppiò una rivolta e il 9 maggio 378 l’esercito romano fu sconfitto ad Adrianopoli, Valente morì sul campo di battaglia. La sconfitta determinò un vuoto di potere. Nel 379 Graziano si affiancò come augusto un comandante militare, Teodosio, che evitò lo scontro sul campo con i barbari, istigandoli gli uni contro gli altri, e strinse un accordo con i Goti, che ricevettero terreni in Mesia e Tracia dove vivere in un regime autonomo: i Goti “foederati” divennero uno stato nello stato, godendo di una posizione privilegiata. Cambiò anche la politica religiosa: Graziano, dopo la sconfitta ad Adrianopoli, seguì la fede nicena del collega, ed entrambi erano influenzati da Ambrogio. Nel 380 i due imperatori emanarono l’editto di Tessalonica, in base al quale il cristianesimo di Nicea diveniva la religione ufficiale dell'impero. Nel 382 Graziano rinunciò al titolo di pontefice massimo e fece rimuovere l’altare della Vittoria dalla Curia Giulia; ciò destò proteste nel senato, e Simmaco, nel 384, pronunciò una difesa degli antichi culti, alla quale rispose Ambrogio, affermando che gli imperatori dovevano seguire le regole imposte dalla chiesa cattolica. In Britannia insorse Massimo, che nel 383 riuscì a uccidere Graziano; per evitare una guerra civile, Teodosio e Valentiniano Il lo riconobbero come collega, ma dopo aver invaso improvvisamente l’Italia, fu trucidato dai suoi stessi soldati nel 388. Nel 389 Teodosio stipulò una pace con i Persiani. Nel 392 Valentiniano Il fu ucciso e al suo posto venne acclamato Eugenio, sostenuto dall’aristocrazia senatoria romana. Teodosio lo sconfisse sul fiume Frigido, divenendo di fatto l’unico imperatore, ma pochi mesi dopo morì a Milano, indicando come successori i figli Arcadio (Oriente) e Onorio (Occidente). L'avvento del dominato determinò una svolta autocratica che si ripercosse sull’assetto sociale dell’impero. Il sovrano potette irregimentate i suoi sudditi, legandoli al mestiere paterno; questa coercizione professionale coinvolse le categorie legate ai meccanismi dell’approvvigionamento annonario, della panificazione... col passare del tempo ogni cellula associativa e professionale era sfruttata a fini fiscali. Ne derivò una contrazione dell'autonomia amministrativa nelle singole città e casi di commissariamento straordinario, che prevedevano l’invio di funzionari di nomina imperiali per sostituire le amministrazioni locali in crisi. Fra i nuovi funzionari c’erano i correttori e nel frattempo crebbe il ruolo della burocrazia imperiale. L’ascesa sociale divenne un fenomeno statisticamente trascurabile. L'impianto censitario non subì modifiche sostanziali; in epoca tardoantica aumentò il gruppo dei benestanti, infatti il numero dei membri dell’ordine senatorio fu triplicato e costoro godevano di molti privilegi, dovendo però rispettare diversi obblighi. | senatori continuarono a essere grandi proprietari terrieri. Il loro gruppo era caratterizzato da differenze interne; in epoca valentiniana si fissarono le nuove gerarchie dell’ordine: i senatori più potenti avevano il titolo di insigni, e tra gli uffici più prestigiosi ce ne erano alcuni di antica istituzione (prefettura urbana) e di recente creazione (il maestro degli uffici, questore del sacro palazzo, conte delle sacre elargizioni, conte del patrimonio privato). L’organigramma governativo tardoantico si può ricostruire grazie al documento chiamato Notitia dignitatum, un “prontuario per burocrati”. Il ceto medio dei senatori era costituito dagli spettabili, le cui mansioni furono suddivise in civili, ricoperte da un preside, e militari, ricoperte da un duce. AI di sotto dei senatori c’era una sottoclasse composta da titolari degli uffici amministrativi (intellettuali e rappresentanti della gerarchia ecclesiastica). Nel IV secolo il ceto equestre cessò di esistere in quanto Costantino trasformò le più importanti cariche equestri in cariche senatorie. L'assetto socio-istituzionale del dominato si basava quasi esclusivamente sul lavoro forzato. La schiavitù perse di importanza, ma il lavoro libero cadde in declino. Persino la teoria giuridica non distingueva più tra liberi e non liberi: i coloni per esempio vennero legati giuridicamente alla terra che coltivavano ed erano venduti o comprati insieme a essa. La durezza delle condizioni di lavoro portò a conflitti sociali che si esplicarono nella fuga dei coltivatori indebitati. C'erano differenze tra la plebe rurale e quella urbana. La plebe rurale era obbligata a pagare allo stato un’imposta in prodotti agrari e il testatico, e i contadini dovevano rispettare regole e obblighi dei loro proprietari terrieri; la plebe urbana era composta era composta da artigiani e commercianti che lavoravano sotto stretta sorveglianza del governo, e dovevano pagare imposte straordinarie e una tassa sul patrimonio. La situazione economica dell'impero romano fu stabilizzata; nell'età tardoantica accrebbe l’importanza dell’agricoltura ma a ciò conseguì la decadenza del fattore urbano, con una grave crisi del commercio e dell’artigianato. Le uniche industrie che conobbero ampio sviluppo furono quelle d’armi, le fabricae. CAPITOLO 23: L'IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE NEL V SECOLO d.C. Nel corso del V secolo, le due metà dell’impero romano restarono formalmente congiunte, ma le differenze tra i quadranti geografici si accentuarono. In Oriente le condizioni politiche ed economiche erano più favorevoli, tanto da non comportare una frattura tra stato e società; in Oriente nemmeno il commercio entrò in crisi. Il primato di Costantinopoli si impose su tutte le altre città dell'impero, e tale processo indusse l’Impero d'Oriente a considerarsi il legittimo erede del mondo romano. Onorio, quando salì al trono nel 395, aveva quindici anni, e fu lo stesso Teodosio ad affiancargli il generale vandalo Stilicone, e si delineò una chiara dicotomia: l’imperatore regnava, mentre un ministro si occupava di governare in sua vece. Fra i problemi dell'impero c’era quello del rapporto coi Goti, in quanto sulla carta i Romani erano ancora vincolati a loro dall’alleanza di Teodosio, infatti la vittoria riportata nella battaglia del Frigido fu possibile grazie al sacrificio dei visigoti capeggiati da Alarico; le sue aspettative però rimasero deluse e quindi si diressero verso l’area balcanica meridionale. Anche a Costantinopoli il potere dei Goti era aumentato, dato che alcuni di loro ricoprivano incarichi militari di spicco. L'aumento dell’interferenza gotica nell’esercitò causò un diffuso sentimento anti-germanico, tanto che nel 400, la popolazione di Costantinopoli diede il via a una vera pulizia etnica. Nel 402 Milano, la capitale dell’Impero d'Occidente, fu posta sotto assedio, e Onorio trasferì la propria residenza a Ravenna. Nel frattempo era calata in Italia un’ondata di Ostrogoti; nel 406 Stilicone riuscì a fermarli nella battaglia di Fiesole, ma per farlo dovette sguarnire il confine nord-occidentale dell'impero dagli eserciti che lo presidiavano; una coalizione barbarica ne approfittò e invase sia la Gallia che la penisola iberica. L'esercito romano cominciò ad abbandonare le province non più difendibili. In questo contesto, Stilicone tardò a intervenire e il suo operato divenne oggetto di pesanti critiche, tanto che l’imperatore stesso abbandonò il suo tutore, il quale venne accusato di tradimento e giustiziato nel 308. L'uccisione di Stilicone fu accompagnata da una nuova ondata di sentimento anti-barbarico. La reazione dei soldati germanici non si fece attendere e molti di loro disertarono, ponendosi sotto il comando di Alarico; egli cercò invano di ottenere un riconoscimento ufficiale da Onorio, e come vendetta pose ripetutamente sotto assedio Roma, che cadde e fu saccheggiata nel 410. Durante il sacco venne rapita Galla Placidia, sorellastra di Onorio, e data in sposa ad Ataulfo, re dei Visigoti; attorno al 418, essi si insediarono come foederati in un vasto e fertile territorio. Il regno visigotico diede vita a una fiorente cultura romano- barbarica. Gli ultimi anni del regno di Onorio furono contrassegnati dal predominio politico del generale Costanzo, che nel 421 arrivò a essere associato al trono imperiale (Costanzo III); egli aveva sposato Galla Placidia, che di conseguenza ricevette il titolo di augusta. Costanzo morì però pochi mesi dopo, seguito da Onorio nel 428. Ascese al trono Valentiniano III nel 425 sotto la tutela della madre Galla Placidia, che si appoggiò all'operato di Ezio. Egli cercò di gestire la
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