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Riassunto Roma e la sua storia. Dalla città all'Impero - C. Giuffrida, M. Cassia, G. Arena, Appunti di Storia Romana

Riassunto del libro Roma e la sua storia. Dalla città all'Impero - C. Giuffrida, M. Cassia, G. Arena dal cap 1 al cap 8

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 22/05/2023

limonielavanda
limonielavanda 🇮🇹

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Scarica Riassunto Roma e la sua storia. Dalla città all'Impero - C. Giuffrida, M. Cassia, G. Arena e più Appunti in PDF di Storia Romana solo su Docsity! Capitolo 1 la fondazione della città 1. I criteri di datazione ed elementi di cronologia Nell'antica Roma i criteri di datazione furono tre: • Primo: adoperato a partire dall'età repubblicana e si basò sulla menzione dei magistrati «eponimi», ossia «che danno il nome» all'anno, dunque i consoli; • Secondo: venne in uso fra tarda età repubblicana e prima età imperiale e si fondò sul computo degli anni ab Urbe condita, dalla fondazione della città di Roma (754/753 a.C. Data fissata dal grammatico Marco Terenzio Varrone attraverso un ragionamento induttivo basato sulla conoscenza della data di nascita della Repubblica, il 510/509 a.C., e sulla supposizione che ciascuno dei sette re della Roma monarchica avesse regnato trentacinque anni, cioè l'arco cronologico approssimativo di una generazione); • Terzo: criterio attestato nelle iscrizioni d'età imperiale, uso di indicare il numero dei rinnovi annuali della tribunicia potestà (potestà tribunizia) di ciascun imperatore. Come si vede, dunque, dal punto di vista della cronologia non fu adoperato il sistema, per noi consueto, basato sull'indicazione della data in relazione a un evento preciso (la nascita di Cristo, ipotetico “anno zero”, sistema introdotto in Europa a partire dagli inizi del XII secolo da parte di Fibonacci). Su un’immaginaria linea del tempo, la nascita di Cristo costituisce il discrimine per la “misurazione” degli eventi, individuabili secondo una progressione numerica decrescente (dal numero più alto al numero più basso) fino allo zero e poi crescente (dal numero più basso al numero più alto): il II secolo a.C. conterrà gli anni dal 200 al 101 avanti Cristo, il I quelli dal 100 all’1; al contrario. Il I secolo d.C. conterrà gli anni dall’1 al 100; il II quelli dal 101 al 200 ecc. Il 754 a.C. corrisponderà all’VIII secolo prima della nascita di Cristo, il 509 a.C. al VI secolo; il 14 d.C. corrisponderà al I secolo dopo la nascita di Cristo, il 476 d.C. al V secolo. Agli inizi de VI secolo il monaco Dionigi il Piccolo datò la Natività al 753° anno dalla fondazione di Roma, secondo un calcolo ritenuto solitamente errato dagli studiosi moderni, propensi a collocare l’evento intorno al 4 a. C. Nonostante questa «sfasatura» cronologica, l’età cristiana che considera l'anno 1 come l'anno successivo al momento in cui si sarebbe verificata la nascita di Cristo, è rimasta in uso fino ad oggi, ovunque convenzionalmente accolta. 2. Dati onomastici essenziali Il cittadino romano era tale per nascita, in quanto figlio di padre dotato di cittadinanza. È soltanto a partire dall'età tardorepubblicana che si generalizza l'uso dei tria nomina («tre elementi onomastici») per individuare un cittadino di nascita libera: • Praenomen “prenome”: il nome personale, es: Lucius, Marcus, Publius; • Nomen “nome”: gentilizio, il riferimento alla gens di appartenenza, gruppo più ampio, clan entro il quale più famiglie individuavano un capostipite comune e si riconoscevano in uno stesso culto degli antenati, es: Aurelius, Claudius, Licinius; • Cognomen “soprannome”: tratto individuale connesso con una caratteristica fisica (Crassus, “grasso”, con un'attività (Agricola, “agricoltore”) o con l'origine geografica (Siculus, “siciliano”). Qualora l'individuo fosse stato adottato, avrebbe assunto i tria nomina del padre adottivo ai quali avrebbe fatto seguire un secondo cognomen derivante dal suo personale gentilizio. Le cittadine di nascita libera portavano soltanto il nomen paterno al femminile, es: la figlia di Cicerone ebbe il nome di Tullia. L'onomastica femminile costituisce un riflesso del carattere patriarcale della famiglia, che vedeva una supremazia (manus) dell'uomo sulla donna. Il matrimonio in età arcaica presentava forme come: - la confarreatio: divisione di una focaccia di farro tra i due sposi; - la mancipatio: compravendita; - l'usus: convivenza ininterrotta per un anno. il ripudio era il frutto di una decisione unilaterale del marito e il divorzio un atto informale; l'iniziativa del divorzio solo gradualmente poté essere assunta anche dalla moglie. I liberti: individui non di nascita libera (origine servile) in seguito liberati dal padrone attraverso un atto di affrancamento (manumissio) che faceva dell'ex schiavo un cliens (“cliente”, tenuto alla soggezione morale e all’obbedienza politica) e dell'ex padrone un patronus (“colui che esercita il patronatus”, protezione economica e giudiziaria) recavano praenomen e nomen dell'ex padrone e come cognomen portavano il loro originario nome di schiavo, es: Publius Iulius Demetrius. Gli schiavi: avevano il loro unico nome personale, es: Demetrius. Esistevano schiavi per: - debiti: nexi “incatenati”; - servi nati in casa: vernae; - individui ridotti in schiavitù in quanto prigionieri di guerra. I servi, insieme alla moglie, ai figli e al patrimonio, facevano parte della familia sulla quale il capofamiglia esercitava la propria patria potestas: egli poteva accogliere o rifiutare i figli, diseredarli, vincolarne giuridicamente i beni, ucciderli o lasciarli in vita. 3. Il problema delle fonti La storia di Roma arcaica presenta difficoltà derivanti dalla relativa esiguità e dalla difficile interpretazione delle testimonianze. Se è vero che le notizie tramandate da Diodoro Siculo, Dionigi di Alicarnasso e Tito Livio (i primi due in lingua greca, il terzo in latino) offrono una “narrazione continua” degli eventi, è altrettanto indubbio che i loro resoconti risalgono a un'epoca di stesura distante dai fatti raccontati (Diodoro storico d’età cesariana, Dionigi e Livio intellettuali di epoca augustea) si basano su storici precedenti che non risalgono più indietro del III secolo a.C. Sono andate perdute le uniche registrazioni scritte dei principali eventi realizzate a cura dei pontefici, collegio sacerdotale che annualmente su una tabula dealbata provvedeva alla registrazione di notizie di pubblico interesse (militare, religioso, giudiziario), poi archiviate nella Regia (dimora del sovrano, andata distrutta nell’incendio di Roma del 390 a.C. ad opera dei Galli). I documenti furono reintegrati e pubblicati in 80 libri con il titolo di Annales Maximi a cura del pontefice Publio Mucio Scevola intorno al 130 a.C. e costituirono la base delle opere redatte dagli analisti, storici che fra il II e il I secolo a.C. misero per iscritto i propri resoconti seguendo un’esposizione degli eventi anno per anno. Poiché anche gli scritti degli analisti non ci sono pervenuti, i dati in nostro possesso più sono antichi nel tempo più vanno soggetti a interpolazioni, retrodatazioni, travestimenti. In questo quadro, storiograficamente inaffidabile, possono rappresentare un ausilio i risultati delle campagne di scavo, che a partire dagli anni 80 del Novecento hanno offerto nuovi dati da confrontare e collegare con l’impianto narrativo dei testi letterari. Un recente approccio valorizza alcuni aspetti antropologici ricavabili da autori di antiquaria (Catone, Varrone, Sesto Pompeo Festo, Aulo Gellio), attenti ai miti di fondazione, feste religiose, cerimonie funebri e riti ascrivibili all’epoca arcaica della città anche alle sue diverse componenti etniche. Un ulteriore filone di ricerca sulla Roma delle origini è rappresentato dagli studi sul popolamento della penisola italica tra II e I millennio a.C. (tra la fine dell’età del Bronzo e gli inizi dell’età del Ferro), epoca che vide protagonisti i gruppi indoeuropei, gli Etruschi e la civiltà “villanoviana” (da Villanova, provincia di Bologna). In questo contesto la Roma arcaica subì influenze diverse (greca, etrusca, sabina) che ne condizionarono gli esordi, ma espresse anche alcuni aspetti peculiari in campo religioso, politico e culturale non necessariamente riconducibili a influssi esterni. 4. L’Italia preromana Intorno all'VIII secolo a.C. (“nascita” di Roma) esistevano nella penisola italica raggruppamenti etnici significativi, tra i quali si possono ricordare i seguenti: • Liguri: nell'attuale Liguria e in zone del Piemonte e della Lombardia); • Veneti; • Umbri; • Etruschi: (in Toscana, nella Pianura Padana, nel Lazio settentrionale e in Campania); • Sabini: (tra Lazio e Abruzzo); • Latini: (nell'area costiera tirrenica del Lazio); • Osco-Sabelli: (nell'Appennino centromeridionale); • Greci Italioti: (nell'area costiera campana, ionica e tirrenica); • Iapigi: (in Puglia). Nelle isole maggiori si trovavano stanziati invece: • Sicani (nell'area centro-occidentale della Sicilia); • Elimi (all'estremità occidentale della Sicilia); • Siculi (nell'area orientale della Sicilia); nell'onomastica, che presenta una struttura binomia, costituita dal nome e dal nome del padre con suffisso -ius, onde evitare che il singolo nome potesse far nascere equivoci causati dalle omonimie: Numa Pompilius (Numa «figlio di Pompilo»), Tullus Ostilius (Tullo «figlio di Ostilo»), Ancus Marcius a(Anco «figlio di Marco»). Difficilmente si può credere che ciascun re abbia regnato sempre trentacinque anni, mentre è preferibile pensare che a noi siano pervenuti solo i nomi di alcuni sovrani ritenuti più significativi. Altro argomento a sfavore della storicità di queste figure monarchiche è rappresentato dall'associazione sovrano-tipologia di potere, quasi che ciascuna singola personalità costituisse la metafora di uno dei tre poteri: - Romolo: fondatore delle istituzioni civili e politiche; - Numa Pompilio: l'«invenzione», la scoperta, delle funzioni religiose; - Tullo Ostilio: il re guerriero per antonomasia, rappresenta il potere militare; - Anco Marcio: riassumerebbe in sé gli aspetti legislativi, religiosi e militari dei primi tre. Le competenze dei re comprendevano: 1. funzioni religiose: il monarca si faceva garante del mantenimento della pax deorum («pace degli dei»), della concordia fra gli uomini e le divinità; il re esplicava questa sua funzione di «mediazione» traendo gli auspicia (formulazione di previsioni attraverso l’arte della divinazione, l’osservazione dei fenomeni ritenuti segni divini, come il volo degli uccelli o i fulmini), presiedendo ai riti comunitari (sacrifici, processioni festive, ecc.), provvedendo a espiare, tramite esorcismi riparatori, qualunque infrazione commessa, allo scopo di salvaguardare il mos maiorum (costume degli antenati) basato sulla pietas, sentimento di rispetto e timore reverenziale nei riguardi degli dei e degli antenati; 2. potere militare: il re era comandante in capo dell'esercito grazie all'imperium, il supremo potere militare, ed era affiancato da magistrati (magister populi e magister equitum); 3. attività giudiziaria: il monarca amministrava la giustizia, sedendo come giudice presso il tribunal e decidendo della vita o della morte, della libertà o della prigionia degli imputati; poteva acconsentire che il condannato ricorresse alla provocatio ad populum («appello al popolo») per ottenere la grazia. il re, che non poteva andare soggetto a condanna, era preceduto dai littori, coloro che portavano le scuri e i fasci di verghe, simboli del potere di morte e della fustigazione; il sovrano era affiancato da magistrati (quaestores parriciddii, introdotti da Numa Pompilio e incaricati della giurisdizione in materia di crimini contro la persona, più precisamente omicidi di parenti). Il sovrano rivestiva una carica elettiva e vitalizia; la Monarchia per i primi quattro re della tradizione non fu ereditaria, ma lo divenne per i sovrani di origine etrusca. Alla morte del monarca il senato nominava, per estrazione a sorte tra i propri membri, un interrex incaricato di assolvere le funzioni di re per appena cinque giorni, il tempo necessario affinché il popolo provvedesse alla creatio del nuovo sovrano. Senato e popolo erano coinvolti nelle fasi di vacatio (“sospensione”, “vuoto di potere”, temporanea mancanza del titolare del ruolo di una carica) e costituivano anche una «limitazione» ai poteri del re: quest'ultimo poteva far rispettare le leggi ma non promulgarle o modificarle, dal momento che, in merito ai decreti legge e alle dichiarazioni di guerra e di pace proposte dal re, il senato si esprimeva in prima battuta (funzione consultiva) e successivamente il popolo manifestava voto favorevole o contrario (funzione deliberativa). La realtà storica di una fase monarchica a Roma è testimoniata a posteriori da due dati fondamentali: l’esistenza in età repubblicana di un rex sacrorum (re delle cose sacre), sacerdote che officiava i riti in passato compiuti dal re, e di un interrex, magistrato che subentrava nel caso di indisponibilità di ambedue i consoli, scomparsi in modo violento, con l’unico compito di fare eleggere i due nuovi consoli e trasmettere loro gli auspicia. ¨ Il senato: attestato dall'epoca della fondazione (istituito da Romolo), era un'assemblea di capifamiglia, chiamati patres (da cui deriva il termine “patrizi”) “padri”, consiglio costituito da un centinaio di anziani (senatus, senax, “vecchio”) considerati saggi e dunque autorevoli, i quali fornivano il proprio assenso agli atti compiuti dal re, in particolare alle decisioni di intraprendere campagne militari. Erano i membri delle famiglie dei patres a inviare le truppe indispensabili per le imprese belliche. ¨ Il popolo: già a partire dall’età di Romolo, era tripartito in tribù (dividere in tre parti): Tities, Ramnes e luceres. Ciascun gruppo avrebbe rappresentato un terzo della comunità originaria e avrebbe incluso membri legati da stretta parentela, dal momento che il figlio apparteneva alla medesima tribù del padre. La denominazione delle tre partizioni è stata ora ricondotta, sulla base di Plutarco (Vita di Romolo), a un’origine etnica, per cui i Sabini di “Tito” Tazio sarebbero connessi con i Tities, i Latini di “Romolo” con i Ramnes, gli Etruschi con i Luceres, ora invece all’attività principale per cui Tities si sarebbero prevalentemente dedicati all'agricoltura, Ramnes alle funzioni politiche e religiose e i Luceres alla guerra. Ogni partizione costituiva la base di reclutamento e l’unità di combattimento della popolazione maschile. Ciascuna tribù era suddivisa in 10 curiae, dunque 30 curiae in tutto. La parola curia, originariamente indicante “gruppo di uomini” passò a indicare anche la sede presso la quale essi si riunivano; i membri delle curiae costituivano il corpo civico di Roma, si chiamavano “Quiriti” e riconoscevano in Romolo l’incarnazione della loro divinità prorettrice, Quirino. In tempo di guerra ciascuna tribù forniva 100 cavalieri (una centuria), detti celeres, e 1.000 fanti (pedites), al comando dei tribuni militum (tribuni militari): le 30 curie garantivano allo Stato la disponibilità di 3.000 fanti e 300 cavalieri. Le curie non incidevano soltanto sull'organizzazione dell'esercito, ma, riunite nei comitia curiata, potevano: - deliberare sia sull'adozione di un capofamiglia (adrogatio) e sull'accoglienza del suo clan all'interno di quello dell'adottante, sia su quei testamenti attraverso i quali il padre, in mancanza di figli maschi, designava il proprio erede; - esprimere il proprio parere in merito alla rinuncia ai culti gentilizi da parte di un individuo; - emanare ogni anno la lex curiata de imperio, attribuendo al re il supremo comando militare, e dare il proprio consenso alla designazione del nuovo re. I comitia curiata continueranno a esistere per tutta l'epoca repubblicana, anche se perderanno progressivamente i propri poteri, pur mantenendo alcuni compiti formali connessi con il conferimento dell' imperium ai più alti magistrati. ¨ divisione sociale fra patrizi e plebei: già presente nella Roma arcaica e poi significativa durante buona parte dell'età repubblicana, sono state formulate diverse ipotesi: - una di tipo sociale: i patrizi sarebbero stati i patroni dei clientes plebei; - un'altra di tipo etnogeografico: i patrizi sarebbero stati gli abitanti latini del Palatino, mentre i plebei i Sabini residenti sul Quirinale; - un'altra di tipo economico: i patrizi sarebbero stati i grandi proprietari terrieri mentre i plebei avrebbero rappresentato gli artigiani e i commercianti estromessi dalla gestione del potere; - una quarta di tipo etnico, a sua volta sdoppiata in due ipotesi contrastanti secondo le quali: o i clan etruschi sarebbero stati i patrizi conoscitori dell'aruspicina, mentre i Latini plebei avrebbero subito una progressiva estromissione politica, oppure i plebei etruschi sarebbero stati gradualmente estromessi dal potere politico ed economico dai Latini patrizi; - una quinta di tipo socioculturale: i plebei sarebbero stati cittadini privi di clan, confinati al ruolo di fanti, mentre i patrizi sarebbero stati prodi cavalieri aristocratici e grandi proprietari terrieri, connotati da un abbigliamento peculiare (striscia purpurea sulla tunica, corto mantello, stivaletto con stringhe di cuoio) . Qualunque sia l'ipotesi più corretta deve in ogni caso essere sottolineato come il termine «plebeo», oggi comunemente attribuito con una punta di disprezzo al ceto povero e disagiato, non vada equivocato, dal momento che esistevano plebei privi di mezzi o comunque in difficoltà, ma esistevano anche plebei ricchi, i quali si facevano forti della propria posizione economica per avanzare rivendicazioni politiche. 2. Romolo Già al tempo di Romolo (754/753-716 a.C.) Roma avrebbe manifestato la propria vocazione espansiva a spese dei centri vicini, oltre alla politica aggressiva, il sovrano ne avrebbe condotto una di integrazione multietnica, concedendo il diritto d'asilo ai rifugiati, i quali, andando a risiedere nella nascente città, avrebbero condiviso i diritti politici e i bottini di guerra. Il racconto del «ratto delle Sabine» offre una conferma tra le maglie della finzione narrativa, della fusione tra Sabini e Latini attraverso la pratica dei matrimoni misti, così come la compresenza di Tito Tazio (Sabino) al fianco di Romolo (latino) prelude alla successiva alternanza di un secondo re sabino (Numa Pompilio), un terzo latino (Tullo Ostilio) e un quarto sabino (Anco Marcio). Questo processo d’integrazione fra etnie diverse (non solo latina e sabina, ma anche greca ed etrusca) trova conferma nei corredi funerari della seconda metà del VII secolo a.c., rinvenuti nelle tombe principesche di Tarquinia, Veio, Cerveteri. Alla morte di Romolo il Senato avrebbe istituito il primo interregno (prassi politica tipica dell’età successiva, quella repubblicana) durante il quale un gruppo di 10 senatori avrebbe scelto al proprio interno un membro per convocare i comizi elettorali ed eleggere così i successori. 3. Numa pompilio Il secondo re di Roma fu Numa Pompilio (715-673 a C.) al quale la tradizione attribuisce la decisione di lasciare aperto il tempio di Giano (dio degli inizi, dei passaggi e delle porte, rappresentato con due volti, a simboleggiare lo sguardo rivolto contemporaneamente al passato e al futuro, all’interno e all’esterno) durante i periodi di guerra e di chiuderne le porte in tempo di pace, nonché l'istituzione dei più antichi sacerdozi: - famines, cui era affidato il culto delle divinità più importanti; - vestali, le quali si occupavano del focolare della Regia e del tempio di Vesta; - pontefici. 4. Tullo ostilio Tullo Ostilio (672-641 a.C.) fu un re guerriero cui sono attribuiti la conquista di Alba Longa (ubicata nei pressi dell’odierno Castel Gandolfo) e il trasferimento forzato dei suoi abitanti nella città di Roma. A questo evento è connesso lo scontro fra i tre gemelli romani, gli Orazi, e i tre albani, i Curiazi, il cui duello alla spada avrebbe posto fine al conflitto tra le due città ed evitato ulteriori inutili spargimenti di sangue. 5. Anco marcio Anco Marcio (641-616 a.C.) fondò la colonia di Ostia e fece costruire lo scalo portuale presso la foce del Tevere, sul quale venne anche edificato il primo ponte stabile (ponte Sublicio), e la via Ostiense allo scopo di ottenere il controllo dei commerci e delle saline. Fissò i compiti dei feziali, collegio sacerdotale incaricato di celebrare i riti ritenuti necessari a propiziare gli dei nella conduzione di un bellum iustum («guerra giusta»). Capitolo 3 I re etruschi 1. Tarquinio Prisco Con Lucio Tarquinio Prisco (616-579/578 a.C.) ha inizio la fase etrusca della Monarchia a Roma, durata poco più di un secolo, si basa non più sull'elezione del popolo e la ratifica del senato bensì su un principio ereditario: Servio Tullio sarebbe seguito a Tarquinio Prisco in quanto genero del predecessore, e lo stesso Servio sarebbe stato ucciso a sua volta dal successore e genero, Tarquinio il Superbo. La presenza di Lucio Tarquinio detto «Prisco» (“antico” antecedente all’omonimo sovrano etrusco che regnò per ultimo su Roma arcaica) sul trono di Roma rientra in quel processo di mobilità dei clan di etnia etrusca che si spostavano per occupare posizioni di prestigio in nuovi insediamenti. La tradizione letteraria narra che Tarquinio Prisco era figlio di una donna etrusca e di Demarato da Corinto, aristocratico greco costretto all'esilio ed emigrato nella città di Tarquinia, in Etruria; Tarquinio, portatore di nuovi saperi (arte della coroplastica), fu accolto a Roma, insieme alla moglie etrusca Tanaquil, da Anco Marcio e, nonostante fossero ancora vivi i figli del re, il popolo lo designò come successore e il senato ne ratificò la nomina; in questa occasione il nuovo re cambiò il suo nome in Lucio Tarquino. Tarquinio Prisco con il suo clan multietnico rappresenta l'introduzione a Roma di idee e tecniche nuove, di artigiani, costruttori, commercianti, medici e sacerdoti: tutte queste conoscenze ebbero una ricaduta significativa sui modi di produzione, di urbanizzazione e sui riti. Al nome del primo sovrano etrusco si legano infatti: 1. l’introduzione di nuove colture: miglio, vite, olivo; 2. La bonifica dell’area paludosa del Velabro alle pendici del palatino, dove fu realizzata una rete fognaria, e venne pavimentata l’area del Foro, della curia e delle tabernae; 3. la bonifica dell’area compresa tra Palatino e Aventino, dove fu realizzato il Circo Massimo; 4. La lastricatura della strada che conduceva dal foro al Campidoglio, la via Sacra; 5. l’edificazione del Foro Boario, il mercato del bestiame, in collegamento con la “via del sale”; 6. la costruzione di dimore private (domus) in materiale non deperibile al posto delle capanne di legno e fango connesse con un'esistenza seminomade; 7. l'edificazione del tempio di Vesta presso il Foro e dei templi di Mater Matuta («Madre Mattutina») ai piedi del Campidoglio; 8. la progettazione di un tempio sul Campidoglio dedicato a Giove, Giunone e Minerva, la «triade capitolina», connotata da una maggioranza di divinità femminili e destinata a soppiantare la vecchia triade maschile di Giove, Marte e Quirino; Le fonti attribuiscono all’ultimo re di Roma: • l'inizio di un lungo conflitto con i Volsci, antico popolo italico, • l’avvio di relazioni diplomatiche con la città di Tuscolo, • un’alleanza con la città greca di Cuma (in Campania) • l'instaurazione di negoziati con Cartagine destinati a tradursi in un trattato d'alleanza, che fu siglato dopo la cacciata del monarca dalla città nel 509/508 a.C. In questo primo accordo (ne seguirono altri 3) alle limitazioni di commercio e di navigazione imposte ai Romani fa riscontro l'assoluta libertà dei Cartaginesi di navigare per il Mediterraneo, con l'unico vincolo di non attaccare le città latine poste sotto l'egemonia romana e di riconsegnare intatte a Roma le città latine non soggette ai Romani e conquistate dai Punici. In quest'epoca prende corpo una nuova leggenda di fondazione greca, tesa a nobilitare le origini della città, individuate non più nell'umile pastore latino Romolo, bensì nell'eroe troiano Enea. Anche se la tradizione locale poneva la fondazione romana molto più tardi dell'epopea troiana risalente al 1200 a.C., gradualmente le due leggende, la greca e l'indigena, si saldano in una sequenza che individua nella città fondata da Enea, Lavinio (in onore della moglie Lavinia, figlia del re Latino), la «genitrice» di Alba Longa, creata trent'anni dopo da Ascanio/Iulo (figlio di Enea) e a sua volta «madre» di Roma, fondata da Romolo, discendente dello stesso Iulo. Durante il regno dell'ultimo dei Tarquini fu completato il tempio dedicato alla triade capitolina sul Campidoglio, ma inaugurato anche questo dopo la cacciata del Superbo da Roma. Secondo la tradizione letteraria il tiranno fu allontanato dalla città a seguito di una sollevazione da parte dei nobili: la giovane matrona romana Lucrezia, moglie di Lucio Tarquinio Collatino, cugino del monarca, sarebbe stata violentata da Sesto, uno dei figli del Superbo, e si sarebbe suicidata per la vergogna; il marito, insieme a Lucio Giunio Bruto, nipote del Superbo, si sarebbe ribellato anche con l'appoggio di esponenti esterni alla famiglia del sovrano e di etnia latina, Publio Valerio Publicola e Marco Orazio. Costoro chiusero le porte di Roma al tiranno di rientro dalla guerra contro Ardea. I Tarquini furono allontanati dalla città, ma il Superbo non si arrese e si alleò con Porsenna lucumone, re di Chiusi, per riceverne l'appoggio: il sovrano etrusco mosse contro Roma, ma dovette desistere dal tentativo di conquista di fronte agli atti d'eroismo di personaggi come Mucio Scevola, la vergine Clelia e Orazio Coclite, e si trovò costretto a siglare un trattato di pace. Tuttavia, il figlio di Porsenna, Arrunte, non si arrese. Nel 508 a.C. riuscì per breve tempo a imporre l’egemonia etrusca su Roma, anche se nel 507 le città latine ottennero l’alleanza del tiranno greco Aristodemo di Cuma, il quale nel 506 sconfisse Arrunte nella battaglia di Aricia, nel Lazio. La sconfitta degli etruschi da parte dei greci aveva avuto un precedente nella battaglia navale di Alalia, in occasione della quale i Focesi avevano avuto la meglio su una coalizione etrusco-cartaginese, ed ebbe un seguito nella vittoria di Cuma conseguita dai Siracusani guidati da Ierone I. 4. Dalla monarchia alla repubblica Dopo la cacciata dei Tarquini il potere militare sarebbe stato affidato a una coppia di magistrati con carica annuale, i consoli, eletti dai comizi centuriati. I primi consoli sarebbero stati i principali protagonisti della caduta della Monarchia, Lucio Giunio Bruto e Marco Orazio, Quest'ultimo, morto in battaglia, sarebbe stato sostituito nello stesso anno da Publio Valerio Publicola, rappresentante di clan guerrieri di origine latino-sabina, responsabili di un lungo processo di «de-etruschizzazione». Questo resoconto riassume e semplifica un quadro politico complesso all'interno del quale il mutamento dell'assetto istituzionale a Roma rappresenta soltanto un aspetto di un panorama «internazionale» ben più ampio, caratterizzato dalla presenza di un'altra protagonista, Cartagine. Quest'ultima avrebbe siglato nel 509/508 con Roma un trattato interstatale di amicizia e alleanza, che vietava ai Romani e ai loro alleati di navigare al di là di Capo Bello, ma riconosceva loro il controllo del Lazio antico, dove i Cartaginesi non avrebbero potuto pernottare in armi né installare presidi. Questa divisione fra le due sfere d'influenza fu rinnovata in altre tre occasioni con nuovi trattati nel 348, nel 306 e nel 279/278 a.C. Cartagine, intorno alla fine del VI secolo a.C., concluse un altro patto con l'etrusca Cere, documentato da tre laminette auree provenienti da Pirgi che testimoniano l’intesa diplomatica tra Punici ed Etruschi in un momento di espansione dell’elemento greco nell’area tirrenica settentrionale. La cacciata del Superbo, coincise sul piano sociale con una riappropriazione e un monopolio delle cariche più importanti da parte degli aristocratici come i Valeri e i Fabii. Il nuovo ordinamento istituzionale, la res publica (“cosa pubblica”) fu il risultato di una crescente prevalenza delle magistrature e di una parallela perdita di poteri da parte del re. In questa fase di transizione troviamo il rex sacrorum, e il magister populi, figura magistratuale non chiaramente identificata. Di nuova creazione fu il praetor (“colui che precede” l’esercito), forse con funzione militare. La carica che finì per affermarsi fu quella di consul («console»), di durata annuale, ricoperta da due individui ai quali spettavano: - il potere civile (giudiziario e politico) all'interno del pomerio - quello militare e giurisdizionale (imperium domi militiaeque) all'esterno di esso, - il diritto di convocare presiedere il senato, - indire i comizi centuriati destinati all'elezione della nuova coppia consolare per l'anno seguente, - guidare l'esercito in guerra, - provvedere al censimento e alla redazione delle liste dei senatori, - essere scortati da 12 littori recanti un fascio di verghe e una scure, simboli delle pene inflitte dai consoli, - trarre gli auspicia, - dare il nome all'anno (eponimia). In quanto magistratura collegiale, era previsto che uno dei due consoli potesse opporre il proprio veto (intercessio), qualora avesse ritenuto le azioni del collega pericolose per lo Stato. la sostituzione dei re con i consoli sembrerebbe tuttavia essere stata relativamente precoce, dal momento che i Fasti consulares riportano un elenco di consoli a partire già dal 483 a.C. e fino al 13 d.C.; a questo elenco si possono affiancare i dati di Livio e Diodoro concernenti la serie annuale dei consoli. Altra fonte d'informazione è costituita dai Fasti triumphales contenenti la serie dei trionfi con i nomi dei generali e delle popolazioni vinte dal 753 al 19 a.C. I Fasti, consulares e triumphales, sono detti Capitolini perché conservati nei Musei Capitolini di Roma. Si profilano le caratteristiche fondamentali delle magistrature che in età repubblicana si connotarono per la loro differenza rispetto al potere monarchico e per la loro indipendenza dovuta alla separazione dei poteri (civile, militare, giudiziario, religioso): - annualità; - collegialità; - elettività. Va ricordata l'eccezione costituita dal dictator («dittatore»), magistratura adottata soltanto in situazioni d'emergenza e della durata massima di 6 mesi: il dittatore era un individuo singolo, anche se poteva nominare un magister equitum. Il dictator era scelto da un console, un pretore o un interrex su indicazione del senato, godeva di poteri assoluti e, unico magistrato insieme al censore, sfuggiva all’intercessio dei tribuni della plebe. Se le magistrature costituiscono l’elemento di “rottura” rispetto all’età monarchica, il senato, rappresenta la continuità, in quanto organo consultivo destinato a essere ancora molto influente durante tutta l’epoca repubblicana. Capitolo 4 Età altorepubblicana (VI-V a.c.) 1. I patres e il consolidamento dell’aristocrazia A causa delle sospette analogie fra la cacciata del tiranno Ippia da Atene nel 510 a.C. e quella del Superbo da Roma ad opera degli aristocratici, alcuni studiosi hanno avanzato dubbi sulla data di fondazione della Repubblica e proposto in alternativa gli anni 470-450 a.C., quando le fonti archeologiche mostrano un'interruzione dei rapporti con gli Etruschi. Altri elementi potrebbero far pensare che l'anno 509 a.C. sia verosimile. Va ricordata una cerimonia descritta da Tito Livio e relativa a un rito apotropaico: il massimo magistrato della Repubblica a partire dall'anno successivo alla cacciata del re, avrebbe dovuto conficcare ogni anno un chiodo (clavus) nel tempio di Giove Ottimo Massimo, inaugurato proprio nel primo anno della Repubblica, e il numero dei chiodi via via piantati avrebbe costituito un sistema di datazione affidabile. 2. Il conflitto Patrizio-plebeo (prima parte) Durante il V secolo a.C. le fonti letterarie ricordano annate di raccolto scarso, gravi carestie, epidemie, tutti eventi negativi ai quali si aggiungono il calo degli introiti derivanti dalla vendita del sale, il decremento della fruizione della via che dalla Toscana giungeva in Campania e la diminuzione del volume delle ceramiche greche di importazione. I piccoli agricoltori si sarebbero indebitati con i proprietari terrieri più ricchi e sarebbero stati costretti a divenire nexi, “schiavi per debiti” e questo li vincolava al creditore fino a quando il debito non sarebbe stato estinto; il creditore poteva vendere o mettere a morte il nexus, in genere un plebeo indebitato. Quali che fossero le ragioni della separazione fra patrizi e plebei, non v’è dubbio che gli uni godessero di privilegi, mentre gli altri avanzassero rivendicazioni. I privilegi dei Patrizi erano: • trarre gli auspicia, interpellare gli dei per conoscerne le volontà in ogni circostanza, sia politica che militare; • accedere alle magistrature; • aggiudicarsi quote maggiori nella spartizione dei bottini di guerra. Le rivendicazioni dei plebei erano invece: • ammissione alle magistrature (aspetto che stava a cuore agli strati più ricchi della plebe); • equa spartizione dei bottini di guerra e delle terre dello Stato; • abolizione del nexum, che avvantaggiava i patrizi in quanto creditori nei confronti dei plebei indebitati. Nel conflitto fra patrizi e plebei si può individuare una prima fase (494-367 a.C.), connotata dalla “strategia dell'alterità”. La forma aperta di protesta e ribellione di massa posta in essere dai plebei fu la secessione sull'Aventino, che simboleggiava un rifiuto ideologico e si traduceva in un distacco fisico: la comunità plebea non prendeva parte alla vita religiosa della città, con la conseguente rottura della pax deorum, e non forniva il proprio contributo nelle battaglie e nelle assemblee popolari (comizi curiati e centuriati). La prima secessione si verificò nel 494 a.C., quando Sabini e Volsci minacciavano Roma: in quell'occasione Menenio Agrippa, rappresentante del patriziato, pronunciò un apologo nel quale equiparava la Repubblica al corpo umano, dove ogni organo contribuisce al mantenimento della buona salute generale; la plebe rientrò solo dopo aver ottenuto il diritto di riunirsi anch’essa in una sola assemblea, il concilium plebis, le cui deliberazioni avrebbero avuto valore vincolante solo per i plebei. Il concilium plebis eleggeva annualmente due edili plebei (magistrati destinati alla cura dei templi sull’Aventino, quello di Diana e quello della triade di Cerere, Libero e Libera) e due (nel 471 divenuti quattro e in seguito dieci) tribuni della plebe. Questi fungevano da «filtro» nelle relazioni fra patriziato e plebe, potevano presentare rogationes («proposte di legge») ai concilia plebis, e possedevano: • la sacrosanctitas, I'«inviolabilità», che rendeva i tribuni intoccabili fisicamente e inattaccabili moralmente e legittimava chiunque a uccidere impunemente colui che avesse attentato all'incolumità di un tribuno: il reo, per effetto del ius coercitiones (diritto dello stesso tribuno di far rispettare la propria volontà), sarebbe stato maledetto, “votato agli dei infernali”; e così il colpevole poteva essere ucciso e i suoi beni devoluti al tempio di Cerere, Libero e Libera; • il ius auxilii («diritto d'aiuto»), che permetteva ai tribuni di fornire assistenza giudiziaria ai plebei contro gli abusi e le vessazioni dei magistrati patrizi, per questo il tribuno non poteva pernottare lontano da Roma e la sua cada doveva rimanere aperta notte e giorno; • il ius intercessionis («diritto di veto»), consentiva ai tribuni di sospendere qualunque deliberazione di un magistrato patrizio o del senato o degli organi giudiziari, qualora essa fosse stata ritenuta lesiva degli interessi della plebe; • Il ius agendi cum plebe, legittimava il tribuno a riunire e presiedere il concilium plebis. Al fronte di questi poteri il tribuno poteva subire la limitazione del veto posto da parte dei suoi stessi colleghi, al pari degli altri magistrati repubblicani. Nel 471 il tribuno della plebe Publilio Volerone propose di modificare il funzionamento del concilium plebis che, assumendo come unità di voto le tribù territoriali (urbane e rustiche), consentiva ai proprietari terrieri (iscritti nelle più numerose tribù rustiche) di ottenere la maggioranza ed era più egualitario rispetto alla classificazione in centurie. In questo modo si ebbero i concilia plebis tributa - che eleggevano, tra i magistrati inferiori, tribuni ed edili plebei - e i tribuni della plebe aumentarono a quattro in relazione alle tribù territoriali urbane. Una terza tappa di questa prima fase è costituita dagli anni 451-450 a.C., quando fu sospesa l'elezione dei magistrati ordinari e venne creato un decemvirato legislativo, un collegio di dieci magistrati patrizi incaricati di mettere per iscritto le norme vigenti spesso soggette ad abusi e a interpretazioni arbitrarie da parte dei magistrati giudicanti, che erano esclusivamente patrizi. Questi decemviri legibus scribundis («dieci uomini per scrivere le leggi») pubblicarono dieci tavole di leggi nel 451 e altre due l'anno seguente, a cura di un secondo collegio decemvirale, per metà patrizio potente città etrusca di Veio, situata circa 15 km a nord di Roma, in una posizione facilmente difendibile e ubicata in un luogo strategico dal punto di vista delle comunicazioni. Fu una lunga guerra (durata quasi un secolo), solitamente divisa in tre fasi e connotata da varie interruzioni: • 483-474 a.C,. circa: la guerra, scoppiata a causa del conflitto per il controllo di Fidene ubicata sulla via Salaria, vide lo sterminio di 300 membri della gens dei Fabi presso il fiume Crèmera (477) • • 437-426 a.C: Roma conquistò Fidene e il territorio della città divenne ager publicus, «terreno pubblico», cioè di proprietà dello Stato; • • 406-396 a.C.: Roma espugnò Veio dopo un assedio decennale grazie all'intervento del dittatore Marco Furio Camillo, il quale riuscì a penetrare nella città attraverso una galleria sotterranea. Per il sostentamento dei soldati durante la lunga guerra contro Veio fu necessario istituire il soldo (stipendium); al fine di far fronte a queste spese militari venne introdotta una tassa straordinaria, il tributum, che gravava sulle centurie, chiamate a versare questa imposta in misura proporzionale alle proprie ricchezze. 6. L’incendio gallico di Roma Agli inizi del IV secolo a.C. bande di Celti, dalle fonti in genere definiti «Galli», penetrarono nell'area della Pianura Padana: alcuni si dedicarono alle attività agricole e alla vita sedentaria, altri invece si diedero alle razzie. Fu così che i Galli Sènoni, guidati da Brenno, raggiunsero Chiusi e sconfissero poi i Romani presso il fiume Allia nel 390 a.C. Gli abitanti di Roma si spostarono a Veio, mentre le vestali si rifugiarono a Cere; tutta Roma, a eccezione del Campidoglio, fu occupata, saccheggiata e incendiata, la Regia e la documentazione raccolta dai pontefici andarono distrutte. Brenno si risolse ad abbandonare Roma solo dopo aver ricevuto un congruo riscatto in oro, poi recuperato, dal dittatore Furio Camillo. Il pagamento del riscatto viene negato dalla tradizione annalistica, sia per celare il disonore, sia per riabilitare Camillo, esiliato dopo la distruzione di Veio, e farne in tal modo il «secondo fondatore» di Roma, dopo Romolo e prima di Ottaviano Augusto, secondo il calcolo che vede la presenza di tre fondatori a distanza di 363 anni ciascuno: 753 a.C. (Romolo) – 390 a.C. (Camillo) = 363 anni fra il primo e il secondo fondatore; 390 a.C. (Camillo) – 363 = 27 a.C. (Ottaviano assume il titolo di Augusto). Alcuni studiosi moderni, sulla base di una testimonianza dello storico Pompeo Trogo, hanno avanzato l’ipotesi che l’incursione dei Celti avrebbe avuto origine da un’alleanza stretta fra questi ultimi, arruolati come mercenari, e il tiranno di Siracusa Dionigi I, il quale avrebbe concepito un piano espansionistico di vasta portata. L’evento fu tanto traumatico da determinare nei Romani il panico ogniqualvolta si profilasse il rischio di un’ennesima invasione celtica, anche se i riscontri archeologici non offrono conferme della devastazione lamentata delle testimonianze letterarie. Roma, però, tradita dai Latini, si cinse di un perimetro difensivo, ossia le mura “serviane”, attribuite dalla tradizione all’iniziativa del re etrusco. La cinta di mura doveva abbracciare un perimetro ampio, a dimostrazione dell’importanza raggiunta dalla città agli inizi del IV secolo a.C. 7. Occupazione del territorio e controllo delle popolazioni sottomesse Una modalità di occupazione e controllo del territorio messa in atto da Roma a partire dalla seconda metà del V secolo a.C. e poi dal IV fu la colonizzazione: • Adsignatio: «assegnazione» a cittadini romani di appezzamenti ricavati dall'ager publicus (terreno sottratto al nemico e divenuto proprietà dello Stato) sotto forma di proprietà individuale, anche se ricadente nella giurisdizione di Roma; • Deductio: «stanziamento» di cittadini in una colonia, in un nuovo insediamento o in un centro preesistente, dove i neoresidenti ricevevano ciascuno un lotto di terra, in regime di autonomia amministrativa rispetto a Roma. Il termine colonia ha la sua radice nel verbo colo, «coltivo», i coloni non furono soltanto agricoltori, poiché l'insediamento da essi occupato, ubicato in punti strategici, possedeva una vocazione militare e funzione difensiva. Della «deduzione» di una colonia si occupava una commissione di tre membri (di solito ex consoli) in vesti di imperium, incaricati di: - fissare i limiti del sito, - ripartire e assegnare tramite sorteggio i lotti ai singoli coloni, - intervenire nelle dispute tra coloni e incolae (residenti, abitanti preesistenti), - nominare i primi magistrati e sacerdoti. I tre commissari erano accompagnati da agrimensores o gromatici, tecnici che, con l'ausilio di uno strumento (groma), procedevano alla centuriazione, tracciatura sul terreno di un reticolato a incrocio ortogonale, all’interno del quale ogni tassello (centuria) doveva corrispondere a 200 iugeri, 100 lotti costituiti ciascuno da 2 iugeri, considerati l’equivalente della superficie minima di terreno per la sopravvivenza di una famiglia. La «grande guerra latina» ebbe come conseguenza la creazione nell'area del Latium adiectum di insediamenti di tipologia e statuto differenti; dalla seconda metà del IV secolo a.C. possiamo individuare quattro categorie di comunità: 1. coloniae, distinte in coloniae civium Romanorum (colonie di cittadini romani): di diritto romano, e coloniae Latinae di diritto latino. Le prime erano considerate al pari di una madrepatria in miniatura, amministrate, come Roma, attraverso senato, magistrature e assemblee popolari; gli abitanti erano cittadini a pieno titolo, e godevano dei diritti legati alla cittadinanza: - il ius commercii: diritto di svolgere attività commerciali e firmare contratti aventi valore legale sia per i Romani sia per i Latini; - il ius conubii: diritto di matrimonio con cittadini romani; - il ius migrandi: diritto di trasferimento a Roma; - il ius suffragi: diritto di voto a Roma con elettorato attivo e passivo. I coloni di diritto latino godevano dei primi tre diritti (ius commercii, conubii, migrandi), ma non dell'accesso alle magistrature di Roma (ius honorum); potevano esercitare il ius suffragi solo se si fossero trovati a Roma e soltanto nei comizi tributi; potevano ottenere la cittadinanza romana grazie all'intervento di un magistrato o per meriti personali; erano obbligati a militare al comando di Roma; 2. civitates foderatae «città alleate»: legate a Roma da un foedus che le obbligava, in proporzione alla loro consistenza demografica, a fornire auxilia (truppe ausiliarie) all'esercito romano, ma garantiva loro l'indipendenza; 3. municipia: città libere di eleggere i propri magistrati e osservare le proprie leggi, ma vinte e sottomesse alla giurisdizione legale esercitata dal pretore a Roma, obbligate a fornire truppe, a pagare le tasse e a non intraprendere iniziative di politica estera; in cambio di questi “obblighi” gli abitanti godevano della piena cittadinanza e dei diritti di commercio, matrimonio, trasferimento e voto; 4. civitates sine suffragio («città senza voto»): amministrativamente autonome e in possesso del diritto di commercio e di matrimonio; le città non potevano intraprendere iniziative di politica estera, erano obbligate a fornire truppe a Roma e, qualora la possedessero, a mettere a disposizione anche la propria lotta. Gli abitanti delle civitates sine suffragio dovevano pagare il tributum come i cittadini romani, ma non avevano il diritto di votare nelle assemblee popolari né di essere eletti alle magistrature, erano privi del diritto elettorale. Oltre alla fondazione di colonie, di diritto romano e di diritto latino, un altro strumento efficace di controllo e conquista del territorio italico fu l'allestimento di una rete viaria sia per il transito degli eserciti sia per il trasporto delle merci: nella seconda metà del IV secolo, fu rivolta attenzione alla pavimentazione della via Salaria (Roma-Veio), della via Latina (Roma-Fregelle) e della via Appa (Roma-Capua). Per spiegare il fenomeno della diffusione del potere romano sui popoli via via conquistati e gli esiti di tale processo, gli studiosi moderni hanno solitamente utilizzato il termine «romanizzazione», cercando di individuare i tempi e i modi di una supposta uniformazione di tipo socioeconomico, culturale, giuridico, istituzionale delle comunità sottomesse a Roma. Capitolo 5 Età mediorepubblicana (IV-III a.C.) 1. L’ordinamento centuriato Il comizio centuriato si costituì intorno alla metà del IV secolo, nelle cinque classi censitarie note dei pedites («fanti»); gli equites («cavalieri»), invece, rappresentavano una «superclasse» formata da 18 centurie e dotata di equus publicus («cavallo pubblico», cioè fornito dallo Stato); al di sotto delle cinque classi si ponevano infine cinque centurie complessive di fabri («genieri»), cornicines («cornisti») e tibicines («flautisti») e immunes, rispettivamente il genio militare, la fanfara militare e coloro che erano immuni dalla milizia. Quanto alle cinque classi di fanteria, i cives erano censiti in rapporto alle loro ricchezze, da un massimo di oltre 100.000 assi per la prima classe, a un minimo di oltre 11.000 per la quinta; ciascuna classe dei pedites, era divisa in due gruppi di centurie, iuniores (cittadini dai 17 e i 45 anni) e seniores (cittadini dai 46 e i 60 anni); alla prima classe corrispondevano 80 centurie, alla seconda, terza e quarta 20, alla quinta 30. Le centurie dei cavalieri e quelle della I classe costituivano 98 unità militari e di voto (1 centuria = 1 voto) ed erano favorite nelle stesse operazioni elettorali, la centuria prerogativa «chiamata a votare per prima», era estratta tra queste prime centurie e il suo pronunciamento era determinante nell’esito della votazione, al punto che raramente la II classe veniva chiamata a votare e quasi mai la III, se la maggioranza assoluta era già stata raggiunta con 98 voti su 193 complessivi (ammesso che le centurie dei cavalieri e quelle della I classe avessero votato compatte, come di solito accadeva). I membri delle classi di censo inferiore difficilmente potevano esprimere la propria opinione politica nei comizi centuriati, assemblee popolari nelle quali di fatto era una sorta di aristocrazia militare su base censitaria a far pesare il proprio voto sulle decisioni politiche più importanti, quali l'elezione dei magistrati superiori, le votazioni delle leggi, le dichiarazioni di guerra. 2. Il conflitto Patrizio-plebeo (seconda parte) La seconda fase (367-287 a.C.) del conflitto patrizio-plebeo fu connotata da quella che è stata definita «strategia dell'integrazione», per indicare la svolta nella condotta dei plebei, i quali abbandonarono la politica della separatezza e tentarono di percorrere la via dell'assimilazione. Nel 367 a.C, i tribuni della plebe Gaio Licinio Stolone e Lucio Sestio Laterano riuscirono a far approvare un «pacchetto» di leggi: 1. legge sui debiti: mirava a contrastare le conseguenze (cioè il nexum) del mancato pagamento da parte del debitore e stabiliva che, detratti dal saldo complessivo gli interessi già pagati, si liquidasse la restante parte del debito in tre rate annuali di uguale ammontare; 2. legge de modo agrorum: sulla limitazione dell'ager publicus occupabile, nessuno poteva possedere più di 500 iugeri (circa 125 ettari) di terreno requisito al nemico e divenuto demaniale; 3. legge sul ripristino del consolato: «a condizione che uno dei due consoli fosse plebeo»; a distanza di venticinque anni, nel 342, una proposta di legge avanzata dal tribuno Lucio Genucio avrebbe consentito che “fosse lecito eleggere tutti e due i consoli plebei”, attuando il passaggio dal regime di delega a quello della parificazione. Dall'approvazione delle leggi Licinie Sestie il processo d' integrazione subisce una notevole accelerazione: • nel 368 a.C., il numero degli interpreti dei Libri Sibyllini, i duoviri sacris faciundis, fu aumentato a 10 metà dei quali plebei; • nello stesso 367/366 a. C. fu istituita l'edilità curule (dalla sella curulis, sedile pieghevole ornato d’avorio simbolo del potere giudiziario), una carica magistratuale gemella di quella plebea e destinata all'allestimento di giochi e alla sorveglianza sui mercati e sui prezzi delle merci di Roma; l’anno seguente si stabilì che ad anni alterni gli edili ciruli fossero eletti sia fra patrizi e sia fra plebei; • nel 366 venne creato il praetor urbanus, carica per 30 anni riservata ai patrizi e in seguito anche ai plebei, con la funzione di amministrare la giustizia tra i cittadini romani; • nel 356 a.C.i plebei ebbero accesso alla dittatura con Gaio Marcio Rutilo; • nel 351 a.C. Rutilo fu eletto censore; • nel 342 una lex Genucia ammise la possibilità che entrambi i consoli fossero plebei, anche se questa eventualità ebbe a verificarsi soltanto nel 172 a.C.; 5. La guerra tarantina e lo scontro con Pirro Nella prima metà del III secolo e dopo la conclusione della terza guerra sannitica, Roma si trovò a fronteggiare gli Etruschi e poi Taranto e Pirro. Dopo la sconfitta nel 290 di Sabini e Pretuzi, si ebbe con gli Etruschi un breve conflitto (284-282 a.C.), che vide la sconfitta di una coalizione di Etruschi e Galli Boi presso il lago Vadimone ad opera del console plebeo Manio Curio Dentato. Il secondo scontro fu più lungo ed ebbe protagonisti extraitalici. La città greca di Taranto, per difendersi dall'avanzare delle popolazioni italiche, si era rivolta alla madrepatria Sparta, che aveva inviato il re Archidamo III, morto nel 338 a Manduria, e poi, nel 303, il principe Clenomio. Nel 302 a.C. Taranto aveva stretto un'alleanza antisannitica con Roma, la quale si era impegnata a non far navigare le proprie navi oltre il Capo Lacinio; tuttavia Turi, colonia greca situata a nord di Capo Lacinio, rivale di Taranto e minacciata dai Lucani, chiese l'aiuto di Roma nel 285 e, allorché una flottiglia romana di 10 navi sconfinò nel 284 nelle acque del golfo di Taranto, quest'ultima affondo 4 imbarcazioni e ne catturò una. I Tarantini nel 282, espulsero da Turi la fazione aristocratica filoromana. Gli ambasciatori romani, inviati a Taranto per chiedere soddisfazione, ricevettero insulti e il conflitto fu inevitabile. Taranto chiese l'appoggio di Pirro, re dell'Epiro, parente di Alessandro Magno tramite la madre di quest’ultimo, grande generale e, dal 295, marito di Lanassa, figlia del sovrano di Siracusa, Agatocle. I Romani per la prima volta affrontarono un esercito ellenistico, organizzato con schieramento a falange, costituito di mercenari e dotato di una poderosa cavalleria e di 20 elefanti, animali ancora sconosciuti ai Romani: questi subirono due sconfitte a Eraclea (in Basilicata) nel 280 e ad Ascoli Satriano (in Puglia) nel 279. È però vero, che anche il sovrano epirota subì gravi perdite, tanto che le «vittorie di Pirro» furono, in realtà successi pagati a caro prezzo. Il sovrano epirota si fece promotore dopo Eraclea di una «crociata antiromana», la quale si tradusse nell'appoggio a Pirro da parte di Sanniti, Lucani, Bruzi, Apuli, Messapi e delle città di Locri e Crotone. Anche Rhègion (Reggio Calabria) avrebbe adottato la medesima condotta se non fosse intervenuto Decio Vibellio che aveva posto la sua legio Campana a presidio della città, che però si era macchiato di gravi crimini contro la popolazione cittadina. I tentativi di sollevare gli alleati di Roma nell'Italia centrale fallirono e, nonostante Pirro, dopo Eraclea, avesse inviato Cinea a Roma per trattare la pace, l'anziano Appio Claudio Cieco era riuscito a convincere i Romani a resistere alle richieste. Sul proseguimento della guerra incise negativamente per Taranto e Pirro la richiesta di finanziamenti da parte del sovrano dei Molossi. Siracusa, a causa di lotte interne, non era capace di opporsi a Cartagine per imporre il dominio sulla Sicilia e chiese aiuto a Pirro, il quale, ritenendo questo invito un’occasione per accrescere il proprio potere, accettò di recarsi nell'isola. Cartagine nel 279/278 a.C., rinnovò il patto con Roma per la quarta e ultima volta: l'ammiraglio cartaginese Magone siglò un accordo in base al quale la città punica e Roma si impegnavano a sostenersi a vicenda contro Pirro e a non trattare separatamente la pace con quest'ultimo. Questo accordo fu il primo a prevedere una scoietas, un’alleanza militare dettata dalle preoccupazioni di entrambi i contraenti. Pirro si trasferì in Sicilia per contrastare i Cartaginesi stanziati nell'area occidentale dell'isola, ma, dopo i primi successi, non riuscì a conseguire risultati significativi. Il re dei Molossi con le sue richieste di denaro, prese l’appoggio degli alleati siciliani. Quando Pirro tornò in Italia, dopo una difficile traversata dello stretto di Messina durante la quale parte delle sue navi da guerra venne catturata o affondata da Cartagine, dovette scontrarsi con le legioni di Manio Curio Dentato, subì nel 257 una sconfitta a Malaventum, e rientrò in patria dove sarebbe morto ingloriosamente nel 272, combattendo per le strade di Argo, colpito da una tegola scagliata da una vecchia. Roma strinse trattati di alleanze con vari centri magnogreci molti dei quali divennero socii navales, “alleati di marina”. La Repubblica era ormai “padrona” di tutta l’Italia meridionale fino a Reggio. 6. Cartagine I possedimenti di Cartagine comprendevano: l'Africa settentrionale, la Corsica, Sardegna, Sicilia occidentale e Spagna meridionale. La città era il cuore di una potenza basata sul commercio e sullo sfruttamento dei terreni agricoli ed era amministrata attraverso una costituzione «mista» simile a quella individuata da Polibio nel caso di Roma. A Cartagine il potere politico era ripartito fra due supremi magistrati eletti annualmente (i “suftei”), un consiglio dei Cento e un'assemblea popolare, mentre il potere militare era affidato a due «strateghi», che comandavano un esercito costituito da truppe mercenarie e da elefanti. 7. La prima guerra punica La recente disponibilità di flottiglie da parte dei socii navales mise Roma in competizione con l'alleata Cartagine, vocata all'espansione marittima e dotata di una flotta eccezionale. Il pretesto per lo scontro (casus bella) fu la richiesta d'aiuto di Messana, occupata dai Mamertini, mercenari campani, prima al soldo di Agatocle, sovrano di Siracusa, e poi dei Cartaginesi all'epoca dello scontro con Pirro. Ierone (futuro Ierone II, re di Siracusa) aveva sconfitto i Mamertini e questi si erano risolti a chiedere soccorso a Cartagine, e poi a Roma. Secondo Polibio, il senato avrebbe lasciato all'assemblea popolare la facoltà di accogliere o rifiutare la richiesta dei Mamertini e i consoli, prospettando un ricco bottino, avrebbero convinto la maggioranza nei comizi: i Romani, non violavano l'ultimo trattato con la città punica, quello del 279/278 a. C., perché la deditio di Messana rendeva l'intervento in Sicilia un bellum iustum. Iniziò nel 264 la prima guerra punica, conflitto di lunga durata che si sarebbe concluso solo nel 241. Messana fu liberata nel 264 dal presidio cartaginese grazie all'intervento del console Appio Claudio Caudice e i Romani sconfissero la coalizione siracusano- cartaginese. L’anno seguente Manio Valerio Massimo Messala, dopo aver tentato l’assedio di Siracusa, avviò trattative diplomatiche con Ierone II, inducendolo a un cambio di schieramento: questa mossa comportò per il sovrano siracusano una duratura permanenza al potere e per Roma un’agevolazione nel trasporto dei rifornimenti necessari all’esercito per il proseguimento delle ostilità con Cartagine. Nel 261 Roma prese Agrigento, l'anno seguente il console Gaio Duilio conseguì un notevole risultato, sconfiggendo nelle acque di Milazzo (Mylae) la flotta cartaginese, grazie all’espediente dei “corvi”, ponti mobili provvisti di uncini, che, con un meccanismo di funi e carrucole, agganciavano di fianco o a prua le navi nemiche, consentendo l’abbordaggio che permetteva il duello corpo a corpo, combattimento in cui i Romani erano esperti. Nel 256 a. C., dopo la vittoria a Capo Ecnomo (nei pressi dell'odierna Licata), per la quale Roma poté contare su una flotta incrementata di 230 navi, la guerra si spostò in Africa settentrionale, dove, il console Marco Atilio Regolo, dopo un'iniziale vittoria sulla terraferma, subì una sconfitta nel 255 da parte di Santippo (mercenario spartano alla guida dell'esercito cartaginese), fu imprigionato, inviato a Roma per intavolare le trattative e, rientrato a Cartagine, venne giustiziato. La flotta romana nelle acque di Capo Bon, subì gravi perdite a causa di un violento fortunale. Nel 249 la flotta guidata da Publico Claudio Pulcro fu sconfitta nella battaglia navale di Drepanum (Trapani) e dopo un’altra flotta, al comando del console Lucio Giulio Pullo, fu quasi completamente annentata da una tempesta nei pressi di Capo Pachino. I Cartaginesi non seppero sfruttare il vantaggio sui Romani, che, ricorrendo ad un prestito di guerra da parte dei cittadini più ricchi con la promessa della sua restituzione una volta conseguita la vittoria, allestirono una nuova flotta. Lo scontro decisivo si ebbe alle isole Egadi nel 241: questa battaglia navale vide contrapposti Gaio Lutazio Carulo alla guida di 200 quinqueremi e l’ammiraglio cartaginese Annone. Quest'ultimo non riuscì a imbarcare le truppe di terra guidate da Amilcare, padre di Annibale, e Cartagine fu sconfitta. Il trattato impose aspre condizioni di pace alla città punica: i Cartaginesi si impegnavano ad abbandonare la Sicilia, le Egadi e Lipari, a non fare guerra a Siracusa e agli alleati di quest'ultima, a restituire tutti i prigionieri, a versare nell'arco di un decennio 3.220 talenti euboici d'argento. 8. La nascita del sistema provinciale La vittoria su Cartagine proiettò Roma su un vasto scenario mediterraneo e le impose la gestione dei territori extraitalici di recente conquista. La Sicilia, come la Sardinia et Corsica, abbandonate dai Cartaginesi e cadute in mano romana, divennero le prime due provinciae romane, nel 227, due pretori vennero inviati per governare queste isole. Il primo governatore della Sicilia fu Gaio Flaminio: da questo momento l'isola svolse la funzione di cella penaria rei publicae, «dispensa dello Stato», con riferimento all'approvvigionamento cerealicolo della città di Roma. Anche la Sardegna contribuì con le sue produzioni agricole, ma Roma dovette inviare truppe per sedare le rivolte degli abitanti dell'isola. I Il termine provincia, a partire da questo momento desigò il territorio stesso sottoposto a un governatore e abitato da peregrini dediticii, “stranieri che hanno fatto atto di resa”. La provincializzazione comportava passaggi procedurali: • eliminazione di un eventuale precedente potere costituito; • definizione di una lex provinciae, uno statuto a cura di un magistrato, consigliato da 10 delegati scelti dal senato; • delimitazione dei confini e individuazione di un capoluogo; • definizione dei diritti di comunità preesistenti (urbane, religiose, tribali), con riferimento alle città che potevano essere liberae et immunes («autonome ed esenti da tassazione»), foderatae («alleate») o soggette al pagamento di un'imposta; • delimitazione dell'ager publicus; • fissazione dell'ammontare e della tipologia (in natura o in denaro) del tributo da versare a Roma; • amministrazione ad opera di un governatore, coadiuvato da un questore (con compiti finanziari), da alcuni legati, spesso aristocratici all'inizio della carriera, e da uno staff di funzionari subalterni; il governatore non poteva decidere in autonomia di dichiarare guerra, ma poteva estorcere imposte aggiuntive al tributo e esercitare funzioni giudiziarie presso il tribunale itinerante, le cui sedute avevano luogo nei centri della provincia secondo un calendario predefinito di udienze; la carenza di una burocrazia di servizio rese necessario per il governatore il ricorso al sistema degli appalti privati per la riscossione dei tributi, con nocumento per i sudditi delle province sottoposti ad abusi. Gli studiosi moderni tendono oggi a ipotizzare che la creazione di una provincia non si basasse obbligatoriamente su di una lex e che il documento ufficiale che descriveva la consistenza e l'ampiezza della provincia (formula provinciae) comprendesse sostanzialmente l'elenco delle comunità del territorio amministrato dal governatore e indicasse i differenti statuti. Un magistrato cum imperio poteva dare, anche molto tempo dopo la creazione della provincia, un'organizzazione complessiva al territorio amministrato e queste disposizioni potevano essere modificate dai magistrati successivi. 9. La conquista della Gallia Cisalpina Nell'arco di tempo compreso fra la conclusione della prima e lo scoppio della seconda guerra punica Roma si trovò a dover fronteggiare una nuova invasione celtica ad opera di: Galli Boi, Insubri, Lingoni e Gesati. Il tumultus Gallicus incontrò nel 236 l'ostacolo costituito dalla colonia latina di Rimini e in seguito quello rappresentato dalle legioni romane a Talamone nel 255; nel 222 i Galli furono sconfitti a Clastidium, capitale degli Insurbi. A differenza dei Boi, che subirono una pesante ritorsione, le popolazioni stanziate a settentrione del Po furono legate a Roma da un foedus. Per consolidare l’occupazione del territorio fu lastricata la via Flaminia (Roma-Rimini) e vennero dedotte le colonie latine di Placentia (Piacenza) e Cremona nel 218. Nel 232 Gaio Flaminio, in qualità di tribuno della plebe, fece approvare la lex Flaminia de agro Piceno et Gallico viritim dividendo, destinata alla distribuzione di terreni ai singoli agricoltori in difficoltà e al di fuori da una deduzione di tipo coloniale. Questa espansione verso il fronte cisalpino offri l'opportunità di acquisire nuove terre coltivabili, alle quali erano interessate le clientele contadine che sostenevano una parte dell'aristocrazia senatoria. Questo programma d'insediamento e consolidamento di Roma all'interno della Pianura Padana fu messo a dura prova dall'invasione di Annibale nel 218. 10. La prima e seconda guerra illirica Approfittando della morte di Pirro e delle difficoltà del regno d'Epiro, gli Illiri , stanziati lungo la costa orientale dell'Adriatico, si erano costituiti in un regno nel 240 sotto la guida di Agrone e avevano trovato nella pirateria una fonte di arricchimento ai danni dei commercianti greci e italici. Uno dei due ambasciatori romani (Lucio e Gaio Coruncanio), inviati presso la regina Teuta, vedova di Agrone, per chiedere ragione dell'assassinio di negotiatores («commercianti») italici da parte dei pirati, fu ucciso nel 230 durante il viaggio di ritorno. L'accaduto offrì il pretesto per la dichiarazione di guerra, che si articolò in due fasi, l'una nel 229 (prima guerra illirica), l'altra nel 219 a.C. (seconda guerra illirica). Durante la prima guerra i Romani vinsero ad Apollonia e a Durazzo (in Albania), mentre le altre città si arresero fino alla resa definitiva di Teuta nel 228. Demetrio di Faro, che aveva tradito la regina e al quale i Romani avevano affidato il potere in Illiria, si diede ad atti di pirateria e costrinse Roma a intervenire nel 219: in questa seconda guerra Roma sconfisse i nemici a Dimale (vicino a Durazzo) e a Faro, mentre Demetrio trovò rifugio presso il re di Macedonia Filippo V. I risultati di tali guerre furono la vittoria dei Romani sui pirati e la creazione di avamposti romani (presso Durazzo e Apollonia) sull’altro litorale dell'Adriatico, nuova direttrice rispetto a quella “africana”, sperimentata nella prima guerra punica. 11. La seconda guerra punica L'espansione cartaginese in Spagna destava per un verso la preoccupazione di Massalia (odierna Marsiglia), la quale aveva interessi economici in Spagna e aveva stretto un'alleanza con i Romani, e per un altro i timori di Roma, con la quale Asdrubale, genero di Amilcare Barca, aveva siglato nel 226 a.C. il «trattato dell'Ebro», fiume che avrebbe dovuto delimitare le sfere di competenza romana a nord e cartaginese a sud. 13.2. Imperialismo difensivo Alla tesi dell’imperialismo offensivo si contrappose per primo T. Mommsen, secondo il quale i Romani, dopo le vittorie su Cartagine, non avrebbero aspirato a conquistare gli altri Stati mediterranei, ma avrebbero dovuto rispondere agli attacchi subiti, a delle guerre che erano state loro imposte: sarebbero stati indotti all’espansionismo da preoccupazioni e difensive. Così, la condotta tenuta da Tito Quinzio Flaminino sarebbe stata frutto di un filellenismo di “buona lega”. La tesi di Mommsen è stata portata alle sue estreme conseguenze da Holleaux, il quale ha negato l’esistenza di qualunque ambizione militare o di conquista nella politica senatoria, ha ritenuto che il senato, composto da uomini rudi e legati alla terra, con orizzonti politici e coscienze geografiche limitati, avrebbe agito di volta in volta in base alle necessità del momento, assecondando circostanze nelle quali esso sarebbe stato sollevato da ogni responsabilità. Su questa linea di pensiero si sono mossi Pais, Homo, Carcopino, Silva e Badian. All’interno del medesimo filone possono ricondursi anche altri studiosi. Veyne ha paragonato l’imperialismo romano a un “isolazionismo” perseguito sotto gli effetti di una meccanica inconscia, routine, finalizzata alla sicurezza garantita dall’eliminazione dei propri possibili rivali e nemici. Secondo Gabba, il quale pure non ha escluso una componente di “violenza” nell’imperialismo romano a partire dal 167 a.C. 13.3. Imperialismo economico Un terzo filone è rappresentato dagli studiosi inclini a ravvisare nell'imperialismo romano esclusivamente motivazioni di arricchimento economico, di rapina: tra questi P.Guiraud, G. Colin, J. Hatzfeld e D. Musti, il quale, con riferimento al polibiano, ha scritto: aspetti economici dell’imperialismo sono individuabili, oltre che i vantaggi immediati della vittoria che sono rappresentati dai bottini di guerra, nella creazione di province o fondazione di colonie sul territorio divenuto ager publicus, nella sensazione di indennità di guerra, nell’imposizione di tributi a territori sottoposti a stipendium o decima, nella ricerca di immunità, nell’incetta di mano d’opera schiavile, nell’investimento in terre. 13.4. Teoria della negazione dell'imperialismo Una posizione isolata e straniata è quella di L. De Repibus, il quale aveva ritenuto metodologicamente errato parlare di un imperialismo «romano», dal momento che l'iniziativa imperialistica sarebbe partita dai Greci intervenuti in Italia fin dai tempi di Pirro e dunque la teoria della difesa preventiva sarebbe stata da applicare a Greci e Macedoni che miravano a salvaguardare la Magna Grecia dall'espansione degli Italici e la Macedonia dall'espansione romana in Adriatico. Rispetto ai tre principali filoni interpretativi sull'imperialismo romano (offensivo, difensivo ed economico), possiamo individuare altre due teorie, una «sincronico-conciliativa» quanto agli intenti, l'altra «diacronico- tipologica» quanto allo sviluppo delle conquiste. 13.5. Teoria “sincronico-conciliativa” Il portavoce della prima teoria è G. Giannelli: si discute fra i moderni studiosi sull'epiteto che meglio convenga a questo imperialismo: fu esso «imperialismo militare», cioè puro militarismo, bramosia di guerra, orgoglio di vittoria, cupidigia di saccheggio e di preda; o fu «imperialismo economico», desiderio di immensi e facili guadagni, trafficando e speculando in paesi tanto ricchi quanto disarmati e impotenti, esposti senza difesa alle prepotenze e ai soprusi di mercanti senza scrupoli, protetti dalla formula magica civis Romanus sum; o fu un «imperialismo difensivo», un imperialismo che vede, o crede di vedere, ancora minacce o pericoli per la sua potenza e corre a spazzarli via prima che le ombre prendano corpo? Tutte e tre queste tesi hanno trovato sostenitori; forse più la terza, ma in realtà è ragionevole pensare che alla rapida formazione dell'Impero mediterraneo di Roma abbiano contribuito tutti e tre i fattori: spirito militaristico, corsa al monopolio del capitale, politica di sicurezza. Nell’alveolo di questa teoria possono farsi rientrare anche altri studiosi come Linderski, secondo il quale l’imperialismo “difensivo” sarebbe stato in concreto un imperialismo molto “aggressivo”. 13.6. Teoria-diacronico-tipologica Più complessa e articolata è l’ipotesi ricostruita e formulata da M. Le glay, L. Volsinn e Y.Le Bohee, i quali parlando di “evoluzione delle mentalità”, hanno individuato le fasi che seguono: 1. l’imperialismo difensivo: connesso con le conquiste dal 200 al 168 a C. In questa fase sono incluse la seconda guerra macedonica (200-197 a. C.), al termine della quale i Greci non ottennero una vera e propria eleutherìa (libertà), ma una serie di esenzioni, a causa delle quali la Grecia sarebbe divenuta qualcosa di intermedio fra uno “stato cliente” e uno “stato cuscinetto”; e la terza guerra macedonica (171-168 a. C.), al termine della quale Roma si sarebbe comportata da sovrana inflessibile nei confronti della Grecia. 2. imperialismo economico (168-148 a. C.): iscrizioni documentano nella prima metà del Il secolo a,C, la presenza di «commercianti» romani in Illiria, Tessaglia, a Delfi e nelle Cicladi: si tratta dei negotiatores che beneficiarono della decisione presa dal senato romano di rendere porto franco Delo, isola destinata a diventare la cerniera del traffico fra l'Oriente ellenistico e l'Occidente romano. 3. Imperialismo offensivo e «conquistatore» (148-30 a.C.): segnata da eventi fondamentali, la creazione nel 146 della provincia di Macedonia et Achaia e nello stesso anno la riduzione del territorio punico a provincia romana d’Africa; la trasmissione al popolo romano dei beni mobili e immobili di Attalo III, sovrano di Pergamo, nel 133 a.C.; questa lunga fase vedrà la trasformazione del Mediterraneo in un «lago romano». Nell’ultimo anno si è tentato di riportare in auge la tesi dell’imperialismo difensivo. Ad Harris, sostenitore della teoria dell’imperialismo offensivo, sono stati rimproverati i limiti di una prospettiva unilaterale e “metrocentrica”, ancorata a una spiegazione dell’ideologia della conquista solo attraverso le caratteristiche della potenza conquistatrice. A questa prospettiva andrebbero affiancati altri due nuovi approcci al problema dell'imperialismo romano, quello «pericentrico» e quello «sistemico», entrambi finalizzati a superare quello «metrocentrico» che ha condizionato le vecchie teorie sul imperialismo romano, intente a cercare le ragioni dell'espansione di Roma nelle sue istituzioni militari, politiche e sociali e non anche nelle sollecitazioni esterne (approccio «pericentrico») e nelle relazioni internazionali (approccio «sistemico»). 13.7. Teoria “pericentrica” È stata avanzata da C.B. Champion (2004) e ha proposto una riconsiderazione delle spinte all'intervento romano provenienti dall'esterno, dalle “periferie”, nella forma di richieste di soccorso indirizzate al senato da parte di uno Stato minore contro l'aggressione di un'altra potenza, appelli che avrebbero portato alla costruzione di un Impero indipendentemente dalla volontà del senato stesso. 13.8. Teoria “sistemica” (del sistema interstatale che comprende “metropoli” e “periferie”) Proposta da A.M. Eckstein (2006; 2008), il quale, pur ammettendo il carattere aggressivo e militaristico della politica romana, ne contesta l'eccezionalità, a suo giudizio, la Macedonia di Filippo V o il regno di Cartagine non sarebbero diversi dalla Repubblica romana, essi sono assimilati da un carattere aggressivo; la stessa caratteristica ultimativa (incline a dichiarare ultimatum) della diplomazia romana sarebbe propria anche degli altri Stati che, nella guerra, ravviserebbero l'unico strumento di risoluzione dei conflitti. Gli Stati del Mediterraneo antico sarebbero stati tutti «sistematicamente» connotati da «anarchia multipolare» (assenza o scarsa efficacia di forme di legislazione internazionale, stati altamente militarizzati in costante lotta fra loro per il potere e per la sopravvivenza). Eckstein ha considerato più proficuo interrogarsi non sull’aggressività dei Romani, ma sui fattori che di Roma resero possibile l’affermazione sull’intero Mediterraneo, ossia: l’abile gestione delle alleanze che potevano culminare nella concessione della cittadinanza. Per tale ragione il tratto eccezionale della società romana non sarebbe stato il militarismo, ma la sua apertura all’integrazione. Capitolo 6 Età tardorepubblicana (II-I a.C.) 1. La seconda guerra macedonica Una volta conclusosi il secondo conflitto romano-punico, si fece pressante un problema non del tutto risolto attraverso un accomodamento transitorio: le mire espansionistiche di Filippo V, il quale aveva attaccato le città di Lisimachia, Cio, Calcedone, Perinto e Taso. Gli Etoli inviarono una richiesta d'aiuto a Roma senza ottenere risposta. Filippo giunse fino ai territori di Pergamo, sconfisse Rodi nel 201 e si scontrò con Pergamo. Gli ambasciatori di Rodi e di Pergamo invocarono in senato il soccorso dei Romani contro il sovrano macedone. Nel 200 a.C., i comizi centuriati, dietro spinta del console Publio Sulpicio Galba, deliberarono l'intervento in armi; il senato romano, inviò un ultimatum al sovrano macedone, il quale avrebbe dovuto sospendere le ostilità, rinunciare ai potessi tolemaici e accettare l’arbitrato romano nelle controversie fra la macedonia da un lato e Pergamo e Rodi dall’altro: attraverso questo escamotage i Romani si sarebbero presentati come i liberatori della Grecia. Filippo rifiutò e la guerra scoppiò. La lega achea, alleata di Filippo, si schierò con Roma. Flaminio sconfisse filippo nel 197 a Cinocefale e impose una pace durissima alla Macedonia che, pur mantenendo una propria autonomia, era obbligata a lasciare libere le città greche, a rinunciare alla flotta e a versare una notevole indennità di guerra. I rapporti fra Romani ed Etoli cominciarono a deteriorarsi per la divisione sperequata del bottino e per la decisione di Flaminino di concedere subito la pace a Filippo V, il quale mantenne il proprio dominio sulla Macedonia. L'anno seguente (196) Flaminino proclamò l'indipendenza delle città greche durante i Giochi Istmici tenutisi presso Corinto e nel 194 fece sgomberare il territorio greco dai presidia romani. Nel 195 Flaminino dichiarò guerra a Nabide, re di Sparta, venuto in urto con gli Achei, alleati di Roma, per il possesso della città di Argo, ceduta al re da Filippo V durante la seconda guerra macedonica. Il sovrano di Sparta si era fatto promotore di una politica sociale di stampo rivoluzionario, la quale aveva comportato la liberazione di molti iloti e la redistribuzione della terra fra di loro. Tra il 195 e il 194 Nabide fu sconfitto e costretto ad abbandonare Argo, pur conservando Sparta e il territorio circostante. 2. La guerra siriana Nel 204, alla morte del sovrano d'Egitto, Tolemeo IV Filopatore, Antioco III, re di Siria, aveva intrapreso la conquista dei possedimenti egiziani in Asia Minore, giungendo a minacciare le città della costa asiatica. Lampsaco e Smirne chiesero nel 197 il soccorso di Roma e nel 196 a Corinto, Flaminino proclamò l'indipendenza delle città greche d'Asia: il conflitto fra Roma e la Siria appariva inevitabile. Gli Etoli, strinsero un accordo con Antioco III, il quale mosse guerra contro Roma nel 192 a. C., anche se l'apertura delle ostilità romane si ebbe quando a Delio l’esercito siriaco massacrò una guarnigione di soldati romani. La Macedonia e la Lega achea si schierarono dalla parte di Roma e nel 191 il console Manio Asilio Glabrione sconfisse alle Termopili il nemico, ma la battaglia definitiva fu combattuta a Magnesia sul Sipilo nel 189 a.C., e vide la vittoria di Lucio Cornelio Scipione Asiatico, accompagnato dal fratello Publio Cornelio Scipione Africano (il vincitore di Annibale). Gli Etoli furono costretti alla resa nel 189, il loro stato federale subì un notevole ridimensionamento ed essi furono obbligati a riconoscere il dominio del popolo romano. La pace fu siglata ad Apamea (Frigia) nel 188 da Gneo Manlio Vulsone e comportò la distruzione della flotta siriaca, il pagamento di una considerevole indennità di guerra e lo sgombero di alcuni territori d'Asia Minore: Lidia e la Caria, che passarono a Rodi, e l'area a nord del Tauro, che invece fu attribuita al regno pergameno. Annibale, che nel 196 aveva lasciato l'Africa e trovato accoglienza presso il re di Siria, si diede alla fuga per non essere consegnato in mani romane, raggiunse Libyssa in Bitinia e si suicidò. 3. La terza, la quarta guerra macedonica e la guerra acaica La guerra siriaca non aveva soddisfatto le ambizioni di Filippo V, le cui mire suscitavano preoccupazione nei Tessali e nel regno di Pergamo: Roma intervenne per richiamare Filippo al rispetto dei patti e il sovrano macedone restituì la Tracia e la Tessaglia meridionale e inviò a Roma il figlio Demetrio. Al rientro di quest'ultimo, un altro figlio di Filippo (nato da una concubina), Perseo, instillò nel padre il sospetto del tradimento da parte di Demetrio. Al rientro di quest’ultimo, un altro figlio di Filippo, Perseo, instillò nel padre il sospetto del tradimento da parte di Demetrio, il quale fu ucciso nel 180. Alla morte di Filippo V nel 179 a.C., il trono di Macedonia passò a Perseo. Dietro sollecitazione di Eumene di Pergamo, che nel 172 si era recato a Roma per accusare Perseo, Roma intervenne nel 171 a.C., ma subì una sconfitta a Larissa e poi riuscì a sconfiggere i Macedoni nel 168 a Pidna, dove il console Lucio Emilio Paolo conseguì vittoria secolo, in connessione con le opere di Appio Claudio Cieco e con la necessità di valutare i patrimoni sulla base non solo dei beni immobili ma anche di quelli mobili. 7. Senatori e cavalieri Anche se la carriera politica dell'aristocrazia senatoria appariva ben strutturata nei secoli della prima età repubblicana, l'approvazione della lex Villia annalis nel 180 a.C. costituì un'importante tappa nella regolamentazione della successione delle cariche magistratuali. Le magistrature si dividevano in: - inferiori: i magistrati inferiori erano eletti dai comizi tributi ed erano sine imperio, «senza comando», non potevano guidare gli eserciti né infliggere condanne, possedevano solo competenze civili (questura, tribunato della plebe, edilità curule e plebea); - superiori: i magistrati superiori erano eletti dai comizi centuriati ed erano cum imperio, disponevano, del potere militare (pretura, consolato e censura); - dittatura: il dittatore veniva nominato dai consoli. La carriera senatoria, il cui accesso era subordinato al possesso di un censo minimo di 100.000 denarii (= 400.00 sesterzi) prevedeva un percorso a tappe: una prima fase di apprendistato civile (vigintivirato) e militare (tribunato militare laticlavio) e una seconda fase di assunzione di incarichi operativi all'interno di magistrature inferiori e superiori (questura, tribunato della plebe, edilità, pretura, consolato e censura): • vigintivirato: collegio di “20 uomini” eletti dai comizi tributi e in carica per un anno; 10 erano i decemviri silitibus iudicandis (10 uomini per dirimere le contese), 3 erano triumviri capitales (3 uomini per le condanne a morte), 3 erano triumviri monetales (3 uomini addetti alla monetazione), 4 erano quattuorviri viarum curandarum (4 uomini preposti alla manutenzione delle vie di Roma); • tribunato militare laticlavio: ricoperto da uno, di estrazione senatoria, di sei tribuni al comando di ciascuna legione; recava sulla propria veste una banda purpurea larga e viveva nel praetorium; • questura: durata annuale, bisognava avere almeno25 anni; i quaestores aerarii amministravano il tesoro dello Stato custodito nel tempio di Saturno e si curavano dell’archiviazione degli atti ivi depositati; altri quaestores collaboravano con i magistrati superiori nell’amministrazione finanziaria in occasione di spedizioni militari e nella gestione delle finanze provinciali; • tribunato della plebe: bisognava avere 27 anni e che vi fossero due anni di intervallo dalla questura; e originariamente ricoperta da due individui, il cui numero crebbe fino a 10; era una magistratura plebea e i patrizi che avessero voluto assumerla avrebbero dovuto compiere la transvectio ad plebem, il “transito alla plebe”; • edilità: per rivestire questa carica era necessario aver compiuto 27 anni e che vi fossero due anni di intervallo dalla questura; gli edili originariamente erano 4 (due plebei e due curuli), nel 46 a. C. si aggiunsero altri 2 edili plebei, denominati ceriales, addetti alla distribuzione del grano; gli edili sovrintendevano alla manutenzione di acquedotti e strade, alla prevenzione degli incendi, all'organizzazione di ludi («giochi») in occasione di cerimonie religiose e anche all'approvvigionamento della città; • pretura: era necessario aver compiuto 30 anni e che vi fossero tre anni di intervallo dal tribunato della plebe dall'edilità; i potevano porsi al comando di una o più legioni o governare le province attribuite loro in sorte prima dell'entrata in carica; il praetor urbanus amministrava la giustizia inter cives Romsnos (tra cittadini romani), il praetor peregrinus si occupava di quella inter cives et peregrinos (tra cittadini e stranieri); l’uno e l’altro emanavano un proprio editto nel quale definivano le norme che avrebbero applicato; i pretori in caso di processi penali potevano presiedere la quaestio, un tribunale secondario; • consolato: era necessario aver compiuto 33 anni e che vi fossero due anni di intervallo dalla pretura; i consoli, in numero di due (collegialità), entravano in carica il 1° gennaio e ricoprivano la magistratura per un anno (annualità); possedevano il supremo comando militare e in ambito urbano potevano convocare e presiedere senato, comizi centuriati e comizi tributi; potevano avanzare rogationes, proposte di legge; il loro potere era limitato dai tribuni della plebe o dal loro collega in carica; amministravano l’erario e ottennero una proroga dell’imperium alla scadenza dell’anno del mandato, divenendo preconosli, governatori di una provincia; • censura: non esisteva un'età minima o un intervallo fissato; i censori erano due e provvedevano al censimento, effetruando la lectio senatus e la recognitio equitum (la revisione delle liste del senato e dei cavalieri); esercitavano la cura morum (“salaguardia dei costumi”) e con il loro giudizio di biasimo (nota censoria) potevano far radiare un individuo dall'albo dei senatori o dei cavalieri; potevano agire come controllori dei conti ed effettuare verifiche sulla riscossione delle imposte nelle provincie. Se l'accesso al senato era garantito da un censo calcolato su base fondiaria, come richiesto dalla legge Claudia che aveva interdetto l'esercizio del commercio ai senatori, altre fortune derivanti dalla mercatura erano accumulate da un ceto che potremmo definire «imprenditoriale», quello dei cavalieri. Questo ceto forniva beni e servizi richiesti dalle guerre di espansione e suppliva alla carenza di un apparato burocratico, svolgendo attività finanziarie e funzioni amministrative quali la realizzazione di opere pubbliche, lo sfruttamento minerario, la riscossione delle imposte nelle province. Erano queste le mansioni delegate alle societates publicanorum, le associazioni di publicani, coloro i quali si facevano carico dei publica, la riscossione delle imposte nelle province o l'aggiudicazione degli appalti di opere pubbliche. Questi appalti di durata quinquennale offrivano ai pubblicani l'opportunità di arricchirsi attraverso sistemi coercitivi e metodi estorsivi e di accumulare fortune ingentissime. Questo ceto fu riconosciuto attraverso la lex reddendorum equorum («legge sui cavalli da restituire») del 129 a.C.: tale denominazione dipendeva dal fatto che questo provvedimento ordinava ai 300 senatori che dallo Stato ricevevano un cavallo a titolo onorifico di restituire i 300 cavalli per assegnarli ai 300 individui più ricchi esclusi dal senato, i quali assunsero la denominazione di equites equo publico. Il «cavallo pubblico» fu soltanto uno dei segni di prestigio posseduti dal ceto equestre, il quale poté fruire di altri status symbols come l'anulus aureus («anello d'oro»), la banda stretta (angustus clavus da cui «angusticlavio) di porpora sulla veste e posti d'onore alle pubbliche manifestazioni nella fila alle spalle dei senatori. 8. Il regno di pergamo Nel 133 a.C. Il regno di Pergamo, per volontà di Attalo III, passò in eredità ai romani. Tale passaggio di consegne avvenne non senza ostacoli: Aristonico, forse figlio naturale di Eumene II e dunque fratellastro di Attalo III, rivendicò il regno, assumendo Il nome di Eumene III e si fece promotore di una rivolta. La ribellione fu repressa nel 129 da Marco Ebuzio Perperna e Aristonico Roma venne in seguito giustiziato. Nel 126 venne creata la provincia d’Asia da Manio Aquilio. L’animosità dei provinciali nei riguardi i rom aveva un fondamento, i governatori di estrazione senatoria depredavano le province e le societates pubblicanorum in mano al ceto equestre commettevano abusi ed estorsioni attraverso gli appalti per l’esazione fiscale, la manutenzione edilizia, la cura delle aree boschive fiscale la manutenzione edilizia, la cura delle aree boschive. Per arginare il problema fu istituito un «tribunale permanente per i reati di concussione» (quaestio perperra de repetundis), il quale subì ripetute modifiche: 1. lex Calpurnia (149): fu istituito un tribunale permanente destinato a giudicare i governatori accusati di concussione; la giuria era composta da senatori e i provinciali potevano presentare le proprie istanze soltanto per il tramite di patroni; la pena consisteva nel risarcimento del maltolto; 2. lex Acilia (123): la giuria risultò composta da cavalieri, i provinciali poterono ricorrere autonomamente senza intermediazioni e la pena comportò un risarcimento raddoppiato rispetto alla cifra estorta; in tal modo i governatori, posti sotto ricatto dai cavalieri, finirono per coprire le pratiche estortive delle societates publicanorum; 3. lex Cornelia (81): la giuria venne nuovamente affidata ai senatori; 4. lex Aurelia indiciaria (70): la giuria fu costituita per un terzo da senatori, per un terzo da equestri e per un terzo da tribuni aerarii (cittadini che non facevano parte dell’ordine equestre); 5. lex lulia de repetundis (59): fu vietato ai senatori di imporre a propria discrezione tributi nelle province; per i colpevoli, destinati a essere radiati dall'albo senatorio, venne fatto obbligo di risarcimento del quadruplo della cifra sottratta e in caso di suicidio del reo, gli eredi ne avrebbero ereditato il debito; 6. lex Iulia iudiciaria (46): la giuria venne divisa equamente fra senatori e cavalieri e sottratta ai tribuni aerarii. 9. Le rivolte degli schiavi Abolito il nexum, fonte principale di approvvigionamento di manodopera servile, ra ormai divenuta la guerra di conquista: a partire dal III secolo a.C., masse di prigionieri venivano vendute come manodopera schiavile sul libero mercato, alimentato dalla pirateria che riforniva l’isola di Delo, la quale dal 166 all’87 a.C. poté fruire, grazie a Roma, dell’esenzione dei dazi, in quanto porto franco. Nella società schiavistica di Roma i servi erano destinati a svariate mansioni, dall'estrazione nei distretti minerari all'istruzione nelle domus aristocratiche, dalla coltivazione dei campi all'amministrazione delle attività produttive e artigianali. Questa diversificazione di trattamento impedì che si creasse una coesione di intenti, anche se lo sfruttamento intensivo della manodopera servile nelle attività più faticose e rischiose fu all'origine di tensioni che si tradussero in rivolte. Nella prima metà del II secolo a. C. in Etruria e Puglia, gli schiavi si erano fatti promotori di ribellioni; guerre «servili» scoppiarono nella seconda metà del secolo e nella prima metà del successivo e causarono problemi di ordine pubblico tanto gravi da imporre a Roma interventi di repressione militare. La prima guerra servile (135-132) scoppiò in Sicilia ad opera di schiavi-pastori, stanchi dei maltrattamenti subiti dai loro padroni, sotto la guida di un indovino siriaco, Euno, il quale si autoproclamò re con il nome di Antioco I. I rivoltosi si impadronirono di alcune città e sbaragliarono quattro pretori romani, finché il console Publio Rupilio non espugnò Enna, Taormina e Agrigento ed eliminò i capi dei ribelli. La seconda guerra servile (104-101) ebbe come teatro la Sicilia: questa volta l'origine del conflitto risiedeva nella mancata concessione della libertà, nonostante il parere favorevole del senato, da parte dei padroni a liberi ridotti in schiavitù dopo essere stati rapiti dai pirati. Il governatore dell'isola, Publio Licinio Nerva, nel 104 restitui la libertà a più di 800 individui, alimentando la speranza di molti altri; Il governatore però interruppe le procedure di liberazione. La ribellione che ne seguì fu guidata da un indovino siriaco, Salvio e in seguito da Atenione, e venne soffocato dal console Manio Aquilio. La terza guerra servile (74-71) ebbe come epicentro la scuola gladiatoria di Capua e fu condotta dal trace Spartaco e dai Galli Crisso ed Enomao. I ribelli puntarono verso il Meridione dove, dietro pagamento, i pirati avrebbero dovuto traghettare in Sicilia l’esercito di Spartaco; il mancato rispetto dell’accordo impose agli schiavi di ripiegare verso la Puglia e poi di venire allo scontro in Lucania nel 71 con Marco Licinio Crasso. Spartaco restò ucciso e, per ordine di Crasso, i prigionieri furono crocifissi a migliaia lungo la via Appia a scopo deterrente; coloro che erano riusciti a fuggire verso nord furono intercettati in Etruria e sterminati da Gneo Pompeo di rientro dalla Spagna, dove aveva esercitato un comando proconsolare eccezionale per la lotta contro il Quinto Sertorio. 10. Due fazioni della nobilitas: optimates e populares I cambiamenti sociali verificatisi nel II secolo a.C. portarono alla creazione, all'interno della nobilitas senatoria, di due contrapposti schieramenti: - optimates («migliori»): esponenti della fazione oligarchica e conservatrice, arroccata nei propri privilegi (esponenti: Lucio Cornelio Silla, Marco Porcio Catone il Censore, Marco Tullio Cicerone, Tito Annio Milone, Gneo Pompeo); - populares: membri di un «partito» incline a favorire in primo luogo gli interessi della popolazione urbana, ma anche quelli dell'ordine equestre e degli alleati italici e sostenitori della necessità di importanti riforme sociali e politiche (esponenti: Tiberio e Gaio Gracco, Gaio Mario, Lucio Apuleio Saturino, Gaio Giulio Cesare, Publio Clodio Pulcro). 11. L’ager publicus e i fratelli gracchi La vicenda politica connessa con i fratelli Gracchi origina dalla questione agraria sorta all'indomani della seconda guerra punica. Per reagire al tentativo di disgregazione degli alleati italici da parte di Annibale, Roma punì in modo severo gli Italici che avevano defezionato estendendo l'ager publicus e creando numerose colonie. Questo conflitto aveva prodotto pesanti ripercussioni dal punto di vista del decremento demografico e dei sistemi di sfruttamento agricolo. Il passaggio e la permanenza del' esercito cartaginese avevano causato distruzione e abbandono nel Centro e nel Meridione dell’Italia, dove alla piccola e media proprietà terriera si erano andare sostituendo nel corso del II secolo a.C. l'economia pastorale basata sulla transumanza e l'azienda schiavistica organizzata intorno alla villa e desinata alle colture arboricole pregiate (vite, olivo, alberi da frutto), oltre che alla produzione di artigianato fittile (vasellame da trasporto e da mensa, tegole, mattoni). Il modello economico tendeva a divenire quello della villa rustica, caratterizzato dallo sfruttamento della manodopera servile e dall’abbondanza di capitali. I terreni necessari per questa riconversione potevano essere recuperati o grazie a un'occupazione abusiva dell'ager publicus o dai lotti appartenuti ai piccoli proprietari, agricoltori- soldati che, a causa dei lunghi tempi della ferma, non avevano potuto prendersi cura dei propri terreni, si erano indebitati ed erano stati costretti a vendere o a cedere i propri appezzamenti. Costoro, perduta la terra e divenuti proletari, non erano più soggetti al servizio Nel 105 a.C. Mario fu eletto console per la seconda volta per l'anno 104, circostanza irrituale sia perché il condottiero non era a Roma ma ancora in Africa (fu eletto in absentia), sia perché la legge avrebbe Richiesto un intervallo di almeno un decennio. Tale conferimento dipendeva dal profilarsi di una nuova minaccia, costituita dalle incursioni di Cimbri e Teutoni, popoli germanici che avevano inflitto sconfitte alle truppe romane. Mario fu eletto console dal 104 al 100 a.C. per 5 anni consecutivi e riuscì a sbaragliare nel 102 i Teutoni ad Aquae Sextiae e nel 101 i Cimbri ai Campi raudii. L’ultimo anno di consolato di Mario fu turbolento: il tribuno della plebe Lucio Apuleio Saturnino si era fatto promotore di iniziative filopopolari, quali la distribuzione di grano a prezzo ribassato, la donazione di terra in Africa e veterani di Mario, l’assegnazione di ager Gallicus sempre ai veterani dell’esercito mariano, la deduzione di colonie nelle province; inoltre, una lex de maiestate istituiva un collegio di cavalieri per punire i magistrati che avevano compiuto il reato di ledere la maiestas, “autorità”; sulla stessa linea si muoveva anche il pretore Gaio Servilio Glaucia, il quale, con Saturnino, commissionò l'assassinio di Gaio Memmio, candidato al consolato per l'anno 99 e favorito rispetto a Glaucia. Il senato con un senatus consultum ultimum dichiarò Saturnino e Glaucia hostes publici (“nemici pubblici”) e Mario tentò in maniera inefficace di proteggerli: entrambi persero la vita e Mario fu costretto a lasciare Roma. 13. la cittadinanza agli italici: il bellum sociale Gli alleati italici erano costretti a subire un’intollerabile disparità di trattamento rispetto ai cittadini romani: dovevano prestare servizio nelle truppe ausiliarie facendosi carico delle spese militari ed erano soggetti a sperequazioni rispetto ai legionari sia nei provvedimenti disciplinari sia nella spartizione dei bottini di guerra; se i ceti subalterni delle comunità italiche pativano l'esclusione dalle elargizioni frumentarie di cui fruiva il popolo di Roma, le élite delle medesime comunità, prive dell'elettorato attivo e passivo, non si rassegnavano ad accettare l'estromissione dalle decisioni politiche. Nel 95 a.C. con la lex Licinia Mucia era stato istituito un tribunale per giudicare i trasferimenti abusivi di residenza a Roma, messi in atto da Italici che, illegalmente inseriti nelle liste di censo, ambivano a usufruire in maniera illecita delle frumentazioni. Dopo i vani tentativi di Marco Fulvio Flacco nel 125 e Gaio Gracco nel 123, il tribuno della plebe Marco Livio Druso si fece promotore nel 91 a.C. della concessione della cittadinanza romana a tutti gli italici ma incontrò l’opposizione di senatori e cavalieri e venne assassinato. Livio Druso propose anche altri provvedimenti: di tenore e demagogico o filo popolare (lex frumentaria, rivolta ad abbassare il prezzo politico delle distribuzioni di grano; lex agraria, finalizzata alla deduzione di nuove colonie e all’assegnazione di appezzamenti) e di impronta filosenatoria (lex iudicaria, restituisce ai senatori i tribunali incaricati di giudicare i reati di concussione). Tutti i provvedimenti vennero annullati, Druso fu trovato morto e i suoi seguaci colpiti dalla lex Varia del 90, la quale istituì i tribunali chiamati a giudicare coloro che erano sospettati di avere incitato alla rivolta gli alleati italici. Gli alleati scesero in guerra contro Roma e uccisero i cittadini romani residenti ad A(u)scolum nel Piceno, costituirono uno stato federale autonomo, strutturato come quello repubblicano, fissarono la propria capitale a Corfinium, rinominandola Italica, emisero una moneta argentea assimilabile al denario romano. La guerra impegnò Roma dal 91 all’89 contro soldati addestrati a combattere secondo le tecniche proprie dei Romani e per questo gli alleati riuscirono a ottenere una serie di concessioni giuridiche: • la lex Ilia de civitate Latinis et socii danda (legge Giulia sulla cittadinanza da concedere ai Latini e agli alleati) che già nel 90 riconobbe la cittadinanza ai Latini e a tutti i soci che non si erano ribellati ed erano rimasti fedeli a Roma; • la lex Calpurnia de civitate sociorum (legge Calpurnia sulla cittadinanza degli alleati), che nell'89 a.C. conferì ai comandanti romani la facoltà di riconoscere la cittadinanza come premio agli alleati meritevoli; • la lex Plautia Papiria de civitate socis danda, che riconobbe la cittadinanza romana a tutti i residenti in Italia che si fossero presentati dinanzi al censore entro 60 giorni; • • la lex Pompeia de Transpadamis, che concesse la cittadinanza di diritto latino ai residenti transpadani e la cittadinanza romana agli ex magistrati di questo territorio. Tuttavia, la guerra si protrasse ancora sia a nord, dove le operazioni belliche furono concluse da Geo Pompeo Strabone nell'89 con la conquista di A(u)sculum, sia a sud con l'assedio di Nola da parte di Lucio Cornelio Silla nell'88. I ceti italici più elevati ponevano in questo modo le basi per la propria ascesa politica e sociale all'interno delle magistrature e per l'ingresso nel senato romano. 14. La prima e la seconda guerra mitridatica e la prima guerra civile fra Mario e Silla Nel 112 a.C. divenne re del Ponto, Mitridate VI Eupatore, che estese il proprio dominio su: Paflagonia, Galazia, Bosforo Cimmerio, Colchide e in Bitinia e Cappadocia, dove depose nel 91 i re filoromani. L'anno seguente, una commissione guidata da Mano Aquilio ristabili Ariobarzane sul trono di Cappadocia e Nicomede IV su quello di Bitinia; quest'ultimo, effettuò incursioni in Ponto e provocò la reazione di Mitridate. Il re pontico riconquistò la Bitinia, compì in Cilicia e nella provincia d’Asia massacri di commercianti romani e italici e giunse invadere la Grecia nell’88; egli potè contare sull’alleanza di molte città dell’Oriente asiatico (Atene e Delo). In quello stesso anno a Roma Publio Sulpicio Rufo, tribuno della plebe originariamente vicino ai Metelli e a Silla, ma poi passato dalla parte di Mario e dei cavalieri, fece votare alcune leggi: - Una relativa al richiamo in patria di coloro che erano stati esiliati con l’accusa di aver incitato gli italici alla rivolta; - un’altra che disponeva l’inserimento dei nuovi cittadini in tutte e 35 le tribù; - un’altra ancora che fissava un limite di 2000 denari all’indebitamento dei senatori; - un’altra concerne la revoca del comando (imperium) della guerra mitridatica (prima guerra mitridatica, 88- 85 a.C.) già affidato dal senato a Silla console e la sua assegnazione al quasi settantenne Mario, ratificata dai comizi. Silla marciò con le sue truppe su Roma (marcia di Silla su Roma) e fece abrogare le leggi sulpicie. Sulpicio fu assassinato e gli avversari di Silla furono dichiarati «nemici pubblici» e Mario fuggì in Africa. Prima di partire per il Ponto, Silla fece approvare alcuni provvedimenti anticipatori di quelli poi avanzati durante la sua dittatura: - prima del voto popolare il senato avrebbe dovuto approvare le proposte di legge; - l'unica assemblea legittima sarebbe stata costituita dai comizi centuriati. Nella guerra contro Mitridate Silla riportò successo: assediò Atene, e il sovrano pontico fu sconfitto a Cheronea e Orcomeno in Beozia; un altro esercito che non riconosceva l’autorità di Silla, conquistò alcune città d’Asia e cacciò Mitriade da Pergamo. Nell'85, con la pace di Dàrdano (in Troade), si stabilì che Mitridate versasse un’indennità di guerra, consegnasse la flotta e facesse rientro in Ponto con le sue truppe; le città d'Asia furono sottoposte a gravose indennità di pagamento. Nel mentre Mario era ritornato a Roma ed era stato eletto nell'87 console per la settima volta insieme al collega Lucio Cornelio Cinna: entrambi, rientrati in città in armi (marcia di Mario e Cinna su Roma), avevano condotto una repressione nei confronti dei sillani. Anche se l'anno seguente Gaio Mario mori, Cinna esercitò il proprio potere a Roma tra I'87 e l'84 (Cinnae dominatio), periodo in cui furono censiti i nuovi cittadini e assegnati a tutte le tribù, venne votata una legge che condannava tutti i debiti per 3⁄4 e fu promossa una riforma monetaria che stabilizzò il rapporto fra moneta bronzea e moneta argentea. Nell rientro in Italia di Silla dalla campagna mitridatica, Cinna fu ucciso nell’ 84 ad Ancona dai suoi soldati che si ammutinarono. Silla sbarco a Brindisi nell’83 e qui fu raggiunto dai suoi alleati e dopo aver superato l’opposizione dei Consoli dell’83 e dell’82 entrò a Roma (nuova marcia di Silla su Roma). Gaio Mario il giovane, console dell’82, morì suicida a Preneste e le truppe mariane furono sconfitte a Porta Collina. Gneo Pompeo, nell’83 a.C., si era messo alla testa di truppe arruolate presso le sue clientele, aveva sconfitto i mariani in Africa e ottenuto nell’81 da Silla la concessione del trionfo. Frattanto si erano riaperte le ostilità con il sovrano pontico (seconda guerra mitridatica, 83-81 a.C): il governatore della provincia d’Asia, Lucio Licinio Murena, senza essere autorizzato dal senato, attaccò Mitridate per allontanarlo dalla Cappadocia; nell’81 Murena e Mitridate furono bloccati da Silla e Mitridate si ritirò. 15. La dittatura di Silla Silla, rientrato in Italia nell'83 a.C, e sbarazzatosi dei mariani, pubblicò le liste di proscrizione, gli elenchi dei nominativi di cavalieri e senatori nei confronti dei quali erano considerati legittimi l'assassinio e la confisca dei beni; i figli e i nipoti dei proscritti non avrebbero potuto intraprendere la carriera politica. Nell’82 l'interrex Lucio Valerio Flacco, presentò ai comizi una proposta (lex Valeria) che conferiva a Silla la carica di dictator legibus scribundis et rei publicae constituendae («dittatore incaricato di scrivere le leggi e di organizzare lo Stato»). Si trattava di una dittatura eccezionale senza limiti temporali, durante la quale furono presi numerosi provvedimenti: 1. incremento del numero dei senatori a 600 attraverso l'inserimento di 300 equites promossi all'ordine senatorio; 2. incremento del numero dei questori a 20 e dei pretori a 8; 3. istituzione di altri tribunali permanenti (questiones perpetuae) in materia di diritto penale: alto tradimento (de maiestate), appropriazione di beni pubblici (de peculatu), broglio e corruzione elettorale (de ambitu), assassinio e avvelenamento (de sicariis et veneficis), frode testamentaria e monetale (de falsis), lesioni alle persone (de iniuriis); 4. limitazioni imposte al tribunato della plebe: annullamento della facoltà di proporre leggi, soppressione del diritto di veto e compromissione della successiva carriera Politica per coloro che avessero ricoperta il tribunato; le proposte di legge dovevano essere presentate dai comizi centuriati e dovevano ricevere preventivamente il parere del senato; 5. Rimodulazione degli intervalli fra le cariche e dei limiti di età; 6. modifica della composizione delle giurie dei tribunali permanenti riconsegnate ai membri dell’ordine senatorio; 7. rinnovo della legislazione suntuaria che limitava le spese per i banchetti ai funerali; 8. effettuazioni di confische e ridistribuzioni di terre ai veterani sillani: 120.000 individui furono distribuiti in 11 nuove colonie; 9. abolizione delle frumentazioni; 10. ampliamento del pomoeriam fino alla linea Rubicone-Arno, che non poteva essere oltrepassata da uomini in armi; 11. creazione di una provincia di Gallia Cisalpina, in seguito ambita, perché consentiva lo stanziamento di legioni in un territorio relativamente vicino a Roma. Nel 79 Silla scelse di abdicare e di ritirarsi a vita privata in una sua villa in Campania, dove morì l'anno seguente. Nel 78 il console Marco Emilio Lepido si fece promotore del rientro dei proscritti datisi alla fuga, della restituzione dei terreni espropriati a favore dei veterani sillani e del ripristino delle distribuzioni di grano. Lepido si pose alla testa di rivoltosi italici colpiti dalle confische a vantaggio dei veterani sillani e marciò su Roma (marcia di Lepido su Roma): il senato, con un senatus consultum ultimum, gli contrappose Gneo Pompeo, il quale riuscì a mettere in fuga Lepido. 16. Sertorio, le guerre contro i pirati e la terza guerra mitridatica Il luogotenente di Lepido, Marco Perperna Veientone, con le truppe residuali, si sposto in Spagna nel 77 per unirsi a Quinto Sertorio, governatore della Spagna Citeriore, osteggiato da Silla e poi ritornato in Spagna come comandante degli ultimi eserciti mariani. Per contrastare Sertorio, il senato conferì un altro imperium straordinario a Gneo Pompeo attribuendogli la Spagna Citeriore. L’azione di Pompeo conobbe sorti alterne, finché per Perperna uccise Sertorio a tradimento, per poi essere sconfitto e condannato a morte da Pompeo nel 71 a.C. Nel 70 i poteri del tribunato della plebe furono ripristinati dai consoli Marco Licinio Crasso e Gneo Pompeo Magno. La carriera di Pompeo fu connotata da tratti fuori dal comune, la stessa elezione al consolato non rispettava le disposizioni della lex Villia, in quanto Pompeo non aveva ricoperto le cariche propedeutiche. La lex Aurelia iudiciaria del 70, era destinata a modificare la composizione delle giurie dei tribunali permanenti, affidate nella quota di 1/3 a senatori, cavalieri e tribuni aerarii. Nel 67 a.C, la lex Gabinia de bello piratico conferì a Pompeo un comando proconsolare triennale «infinito», lo autorizzò a servirsi delle rendite provinciali e dell'erario e gli riconobbe la facoltà di reclutare 20 legioni e una flotta di 500 navi. Pompeo suddivise il Mediterraneo in 13 settori, circondò le basi dei pirati in Cilicia e riusci dove avevano fallito operazioni precedenti. Anche se il pretore Marco Antonio aveva conseguito alcuni successi e creato la provincia di Cilicia nel 101 a.C., nel 74 a.C. Marco Antonio, che aveva ricevuto l'incarico di combattere i pirati su tutto il Mediterraneo, era stato sconfitto ed era morto in prigionia. Nel 66 la lex Manilia diede a Pompeo un comando proconsolare straordinario, per sconfiggere il re del Ponto Mitridate e il suo alleato e genero, Tigrane II, sovrano d’Armenia, contro i quali Roma aveva intrapreso un’ennesima guerra (terza guerra mitridatica, 73-63 a.C.). il conflitto era scoppiato dopo che Mitridate aveva invaso la Bitinia, regione lasciata in eredità ai Romani dal re Nicomede IV; il console Lucio Licinio Lucullo era riuscito a liberare la provincia e a conquistare il Ponto, mentre Mitridate aveva trovato rifugio presso Trigane. Le truppe romane dopo una vittoria a Triganocerta in Armenia, stanche degli inseguimenti, si erano ribellate al proprio comandante e il senato aveva tolto il comando a Lucullo. Una volta subentrato per effetto della lex Manilia, Pompeo mise in fuga il re del Ponto, il quale, giunto nel Bosforo Cimmerio, si suicidò nel 63. Dopo la vittoria, il proconsole confermò sul trono d’Armenia, Tigrane, che si era arreso, ma gli tolse la Siria e ne fece una nuova provincia; conquistò Gerusalemme e pose la Giudea sotto il controllo del governatore di Siria. Tornato a Roma nel 62 con un bottino di 20.000 talenti, Pompeo non ottenne l'attribuzione di terre per i suoi veterani né la ratifica dell'assetto amministrativo in Oriente, ma trovò un'accoglienza ostile, da parte di Marco Porcio Carone il Giovane e di Lucullo. “Cesarione”. Il tribuno della plebe Publio Cornelio Dolabella cercò di far approvare il suo programma di cancellazione dei debiti, ma venne fermato da Marco Antonio, inviato da Cesare a Roma. Della guerra fra Cesare e Pompeo approfittò Fàrnace (figlio di Mitridate e re del Bosforo Cimmerio per volontà di Pompeo), per recuperare i territori del padre: a Zela, in Ponto, nel 47 a.C., Cesare lo sconfisse. Le ultime resistenze pompeiane furono soffocate nel 46 a Tapso in Tunisia, dove l’oppositore Catone aveva trovato il supporto di Giubia, re di Numidia, e nel 45 a Munda in Spagna. 21. La dittatura di Cesare I poteri di Cesare, via via accumulatisi negli i anni che vanno dal 49 fino al 44, furono i seguenti: • nel 49, la dittatura straordinaria allo scopo di indire le elezioni consolari che videro egli stesso eletto console per il 48; • nel 48, il consolato e la dittatura dal mese di ottobre per la durata di un anno; gli fu inoltre conferita la tribunicia potestas a vita, poi ampliata nel 45 anche all'esterno di Roma; • nel 46, il consolato e la carica di dictator rei publicae constituendae per dieci anni; gli fu anche attribuita una praefectura moribus («sui costumi»), la quale gli conferiva poteri censori; • nel 45, il consolato unico (consul sime collega, come lo era già stato Pompeo nel 52 a.C.); • nel 44, il consolato e la dittatura perpetua (a vita). Gli fu riconosciuto il potere di concludere trattati o dichiarare guerra senza consultare il popolo e il senato; poteva anche raccomandare suoi candidati alle elezioni magistratuali; ebbe il titolo di imperator, detentore dell’imperium, a vita, e di pater patria; ebbe la tribunicia potestas senza dover ricoprire la carica di tribuno della plebe. La legislazione Cesariana si tradusse in una serie di provvedimenti tra il 49 e il 46 a.C.: - perdono e richiamo in patria dagli esiliati e ripristino dei diritti politici dei figli dei proscritti, a dimostrazione della clementia di Cesare; - legge destinata ad alleviare i debiti, il pagamento degli interessi arretrati e le modalità stesse del pagamento; - lex Rubria concede la cittadinanza romana a transpadani e cispadani che ancora ne fossero sprovvisti. Ulteriori riforme furono varate fra il 46 e il 44 a.C.: 1. aumentò il numero dei senatori a 900 (dai 600 d'età sillana); 2. incrementò il numero dei magistrati, da 20 a 40 i questori, da 4 a 6 gli edili e da 8 a 16 i pretori; 3. Fissò a un anno la durata della propretura e a due quella del proconsolato; 4. pose freno agli sperperi con una legge suntuaria; 5. abbassò il censo necessario per l'accesso all'ordine equestre; 6. vietò ai cittadini residenti in Italia e d'età compresa fra i 20 e i 60 anni di assentarsi per più di tre anni consecutivi; 7. allo scopo di combattere la disoccupazione, impose ai proprietari di impiegare almeno un terzo di manodopera libera nell'agricoltura e nell'allevamento in Italia; 8. con la lex lulia indiciaria suddivise equamente fra senatori e cavalieri la giuria delle quaestiones perpetuae; 9. modificò il sistema di riscossione delle imposte nelle province e vennero comminate pene più severe per le malversazioni: 10. ripristinò e regolò l'attività dei collegia, abolendo le aggregazioni politiche; 11. dimezzò il numero degli aventi diritto alle frumentazioni; 12. concesse distribuzioni di terre nella penisola italica e nelle province ai cittadini meno abbienti e ai veterani; 13. dispose con una lex lulia municipalis una riorganizzazione amministrativa delle città italiche; 14. promosse l'emissione di aurei, monete d'oro, equivalenti ciascuna a 25 denari d'argento; 15. fece raffigurare sulle monete la propria testa laureata; 16. realizzò uno stadio in Campo Marzio, la Curia Giulia e il Foro Giulio con il tempio di Venere Genitrice, connessa con la gens Iulia; 17. nella veste di pontefice massimo e con la collaborazione scientifica dall’astronomo Sosigene di Alessandria introdusse una riforma del calendario detto “giuliano”. Nel febbraio del 44, durante la festa dei Lupercalia, Marco Antonio, collega di Cesare nel consolato, impose il diadema sul capo del dittatore, il quale rifiutò l'onorificenza. Il 15 (idi) marzo del 44 a. C., mentre allestiva i preparativi della spedizione partica per vendicare l'uccisione di Crasso, Cesare, nella Curia di Pompeo in Campo Marzio, fu pugnalato a morte dai congiurati, fra i quali spiccavano Gaio Cassio Longino, Marco Giunio Bruto e Decimo Bruto Albino, mentre Marco Antonio fu risparmiato. 22. Il secondo triumvirato: Marco Antonio, Lepido e Ottaviano Dopo la morte di Cesare, Marco Antonio, collega di quest’ultimo nel consolato, e Marco Emilio Lepido, magister equitum, cominciarono a riorganizzarsi. Antonio si mostrò incline al compromesso e ottenne l'amnistia per i cesaricidi, la convalida delle disposizioni di Cesare, il riconoscimento di funerali pubblici per il dittatore e l'eliminazione della dittatura dalle cariche dello Stato. Marco Antonio, ottenute le disposizioni testamentarie dalla vedova di Cesare, diede lettura del testamento del dittatore che designava come proprio erede il pronipote Gaio Ottavio, il quale, mutò il proprio nome in Gaio Giulio Cesare Ottaviano. Il padre di Ottaviano, Gaio Ottavio, era un novus homo e la famiglia era originaria di Velletri; la madre era figlia di Giulia, sorella di Giulio Cesare. Ottaviano accolse l'eredita di Cesare, il quale gli aveva destinato 3/4 del patrimonio, ma era conscio della necessità di guadagnarsi il prestigio presso i cesariani e di garantirsi il supporto delle truppe. Esponente della fazione cesariana era Marco Antonio, iI quale aveva supportato Cesare già ai tempi della spedizione in Gallia e poi durante la guerra civile. Dopo un effimero accordo fra i due contendenti, l'erede spirituale Antonio e quello materiale Ottaviano, il pronipote di Cesare si alleò con il senato contro Antonio (che fu dichiarato hostis publicus), sposando la causa di Decimo Bruto Albino, governatore della Gallia Cisalpina, cinto d'assedio a Modena (guerra di Modena) nel 43 da Antonio, il quale, forte di una lex de permutatione provinciarum («legge sullo scambio delle province»), reclamava il governatorato della Cisalpina e della Comata. Lo stesso Cesare aveva stabilito che, durante la sua campagna partica, Antonio avrebbe retto la Macedonia, mentre ora preferiva la Cisalpina in quanto provincia geograficamente più vicina a Roma. Ottaviano, investito di uno speciale imperium propretorio, con il supporto dei consoli Irzio e Pansa, sconfisse Antonio, costretto a ripiegare in Gallia Narbonese, della quale era proconsole il cesariano Marco Emilio Lepido. A seguito dello scontro, perirono Irzio e Pansa e Ottaviano poté porsi alla testa della Fazione cesariana antiantoniana; Decimo Bruto fu ucciso mentre cercava di fuggire diretto a Oriente. Ottaviano, dopo aver chiesto il consolato e aver ricevuto un diniego dal senato, si rese protagonista di un voltafaccia, prese le distanze dal senato, marciò su Roma (marcia di Ottaviano su Roma) nel 43, come avevano fatto Silla e Cesare, e ottiene il consolato insieme al cugino e coerede Quinto Pedio. Con la lex Pedia de interfectoribus Caesaris (legge Pedia sugli assassini di Cesare) colpì coloro che erano coinvolti nell’uccisione del dittatore, annullando l’amnistia e istituendo un tribunale incaricato di ricercare e condannare i cesaricidi. Fatti ratificare dai comizi curiati il testamento e l’adozione da parte di Cesare, Ottaviano si fece chiamare Gaio Giulio Cesare. Gli eserciti di Antonio in fuga da Modena e quelli di Lepido provenienti dalla Narbonese, finirono per solidarizzare. Lepido si fece promotore di un incontro fra Antonio e Ottaviano. Nel novembre del 43 una lex Titia sancì la nascita del «secondo» triumvirato, una vera e propria magistratura dotata di imperium: il provvedimento conferiva per un quinquennio un potere supremo ad Antonio, Lepido e Ottaviano, triumviri rei publicae constituendae. I triumviri potevano nominare i candidati alle magistrature e convocare senato e comizi;Antonio mantenne il controllo delle Gallie, Cisalpina e Comata; Lepido della Gallia Narbonese e delle Spagne, Citeriore e Ulteriore; e Ottaviano dell’Africa, della Sicilia, della Sardegna e della Corsica. In Oriente spadroneggiavano Marco Giunio Bruto e Cassio. I triumviri emanarono le liste di proscrizione, le quali determinarono la morte di 300 senatori e 2.000 cavalieri e la confisca dei loro beni: vittima di tali liste fu Marco Tullio Cicerone, nemico di Antonio. Nel 42 Cesare fu divinizzato e Ottaviano divenne Divi filius («figlio di un dio»), la persona più legittimata a vendicare il cesaricidio: fu così che a Filippi, in Macedonia, nell'ottobre del 42, in due battaglie, morirono suicidi Cassio e Bruto. Le province orientali sottratte a Bruto e Cassio furono affidate ad Antonio, mentre a Lepido toccò l'Africa e a Ottaviano andarono le Spagne. 23. Guerra contro Sesto Pompeo e accordi di Brindisi, Miseno e Taranto Si verificò un primo tentativo di estromissione di Lepido dal triumvirato, con l'accusa di complicità con Sesto Pompeo, che, ottenuta nel 43 la carica di praefectus classis et orde maritimae («comandante della flotta e del litorale costiero»), dalle basi offerte dalla Sicilia bloccava i rifornimenti trasportati dalle navi provenienti dall’Africa e diretti a Roma. Mentre Antonio si trovava in oriente per riorganizzare un’area controllata in precedenza dai cesaricidi, tra il 41 e il 40 il console in carica, Lucio Antonio e Fulvia, fratello e moglie del triumviro, si fecero promotori di una protesta nei riguardi dell’operato di Ottaviano, incaricato di assegnare ai veterani le terre promesse dai triumviri, ma di esecutore di espropri ai danni di proprietari italici e garante degli interessi dei propri soldati prima che di quelli del collega Antonio. A Perugia Lucio Antonio fu assediato e sconfitto (guerra di Perugia) e nel 40 a Brindisi Ottaviano e Antonio si incontrarono allo scopo di ridefinire le aree di competenza (accordi di Brindisi), ripartite: ad Antonio l'Oriente, a Ottaviano l’occidente e a Lepido l'Africa; Sicilia e Sardegna sarebbero rimaste a Sesto Pompeo.l’accordo veniva suggellato con le nozze di Antonio con Ottavia, sorella di Ottaviano. Nel 39, i triumviri si incontrarono a Capo Miseno per giungere a un compromesso con Sesto Pompeo (accordo di Miseno), al quale riconobbero, anche il controllo di Corsica e Peloponneso. Sesto ottenne a la carica di augure e veniva designato al consolato. Antonio non consegnò il Peloponneso e, sebbene Ottaviano avesse sposato Scribonia, sorella del suocero di Sesto Pompeo, quest'ultimo riprese le scorrerie. Così Ottaviano, avuta la figli Giulia da Scribonia, ripudiò quest’ultima e contrasse nozze con Livia Drusilla, madre di Tiberio e in attesa di un secondo figlio. Ottaviano, sconfitto nel 38 da Sesto Pompeo, chiese aiuto ad Antonio. Nello stesso anno era scaduto il triumvirato, rinnovato a Taranto nel 37 per un ulteriore quinquennio (accordo di Taranto) dai triumviri rei publicae constituendae iterum (per la seconda volta). Le operazioni contro Sesto Pompeo vennero affidate da Ottaviano al suo sostenitore Marco Vipsanio Agrippa, il quale, conseguì una prima vittoria nel 36 a.C. a Milazzo e un ulteriore successo a Nauloco. Sesto fuggì in Oriente e fu ucciso l'anno seguente da un legato di Antonio. Lepido, che aveva dato un contributo alla sconfitta di Sesto e che ora rivendicava per sé il dominio dell'isola, fu abbandonato dalle sue truppe, definitivamente estromesso da Ottaviano e costretto al ritiro dalla scena politica. A Ottaviano, una volta rientrato a Roma, venne conferita la sacrosanctitas dei tribuni della plebe, si impegnò in una campagna militare in Pannonia e Dalmazia contro gli Iliri (quarta guerra illirica, 35-34 a.C.). 24. Antonio e Ottaviano (terza guerra civile). La provincializzazione dell’Egitto Marco Antonio mise insieme un consistente esercito, anche se non potè contare sui legionari che Ottaviano gli aveva promesso nell’incontro di Taranto nel 37 a.C. in cambio delle navi fornite da Antonio per la guerra contro Sesto Pompeo. Il triumviro (Marco Antonio) aveva intessuto con la regina del regno d’Egitto, Cleopatra VII, una relazione dalla quale erano nati due gemelli, Alessandro Helios e Cleopatra Selene, e Tolomeo riconosciuti come figli legittimi nonostante egli avesse sposato Ottavia e per legge non potesse sposare una donna straniera. Anche la spedizione partica, nelle campagne militari del 36 e del 34, non sortì i risultati sperati, ma comportò perdite e ne conseguì il modesto risultato della conquista dell’Armenia e la detronizzazione del re Artavasde II. La conquista dell'Armenia fu celebrata ad Alessandria d'Egitto nel 34 e Antonio assegnò, attraverso la «donazione di Alessandria», alcune aree in Oriente alla moglie, ai suoi tre figli e anche a Cesarione. Antonio dichiarò la paternità di Cesarione, figlio naturale di Cesare e non figlio adottivo come lo era Ottaviano, ed espresse la propria volontà di essere seppellito ad Alessandria e non a Roma. Egli aveva rimandato indietro nel 35 la moglie Ottavia (formalmente ripudiata nel 32): questo gesto fu un vero e proprio affronto, si trattava del ripudio della moglie legittima, nonché sorella del collega triumviro, e rappresentava uno smacco al mos maiorum. Ne derivò una terza guerra civile, travestita da conflitto contro un nemico straniero: Ottaviano, non più triumviro, ma forte della coniuratio totius Italiae («giuramento di fedeltà da parte di tutta l'Italia»), sconfisse nel 31 Cleopatra (ma in realtà Antonio), nelle acque antistanti Azio, in Epiro, grazie alla competenza di Agrippa. L'anno seguente Ottaviano si impadronì di Alessandria (1° agosto del 30), Antonio e Cleopatra si suicidarono, Cesarione venne eliminato, i figli di Antonio e Cleopatra furono affidati a Ottavia e l'Egitto divenne provincia romana. Con la vittoria conseguita ad Azio nel 31 e la morte del rivale Antonio nel 30 a.C. Ottaviano, divenne il padrone assoluto dello stato romano: studiosi individuano una cesura fra l’età repubblicana e l’età imperiale nella battaglia di Azio, quando Ottaviano, sbarazzatosi di Antonio, rimase l’unico tra i “signori della guerra” tardorepubblicani. Ottaviano si affrettò ad eliminare anche un altro potenziale avversario, Marco Antonio Antillo, figlio di Antonio e Fulvia, ma dovette fare i conti con una serie di difficoltà determinate sia dal passaggio di oltre 300 senatori dalla parte di Antonio sia dal malumore persistente dei soldati, molti congedati senza premi. Questi problemi non furono risolti e spiegano le ostilità e il dissenso manifestati nei confronti di Ottaviano, futuro Augusto. Capitolo 7 Da Augusto Agli Antonini 1. Ottaviano divenne Augusto: la nascita del principato ¨ Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto (27 a.C,-14 d.C.) Ritornato a Roma dall'Oriente, Ottaviano nel 29 a.C. celebrò un triplice trionfo e assunse il titolo di imperator; nel 28 assunse quello di princeps senatus, allusivo al suo «primato» all'interno dello Stato repubblicano, e abrogò le norme risalenti all'età triumvirale. Nel 27, in occasione di una seduta in senato, procedette alla restitutio rei publicae la prefettura urbana. Per quanto attiene alle assemblee popolari, i comizi continuarono a esistere anche se il loro ruolo era ormai divenuto puramente formale. Da un documento epigrafico noto come Tabula Hebana Si apprende che a partire dal 5 d.C. venne introdotta, tramite una lex Valeria Cornelia,una procedura di destinatio,Ossia di raccomandazione operata da centurie Ristrette di senatori e cavalieri incaricati di designare i futuri candidati alla pretura e al consolato in nome dei figli adottivi di Augusto, gaio e Lucio Cesari,già deceduti nel due e nel quattro d.C..Dalla tabula Ilicitana Si apprende poi che anche per druso minore, figlio di Tiberio, morto nel 23,furono istituite altre 5 centurie. L'appartenenza all'ordine senatorio aveva carattere ereditario e l'accesso era consentito a chi avesse avuto un censo minimo di un milione di sesterzi, cifra stabilita da Augusto e incrementata rispetto ai 400.000 fissati in età tardorepubblicana. Il cursus honorum senatorio, che si andò precisando nel corso della prima età imperiale, di norma era articolato secondo le tappe elencate di seguito. • Vigintivirato. Si trattava di un collegio di 20 (10 + 3 + 3 + 4) magistrati suddiviso al suo interno in: o decemvirato stlitibus iudicandis, destinato «a giudicare le controversies concernenti lo stato civile dei cittadini; • triumvirato capitalis, incaricato di assistere il magistrato nell'applicazione della pena capitale; • triumvirato monetalis, responsabile della coniazione senatoria della moneta bronzea; • quattuorvirato viarum curandarum, addetto «alla cura delle strade» di Roma sotto la supervisione degli edili. • Tribunato militare laticlavio. Consisteva in un anno di servizio militare e traeva il nome dalla banda purpurea larga della toga indossata dal tribuno come abito tradizionale. • Questura. Era una magistratura con diverse funzioni, quali quelle di: - quaestor urbanus, una sorta di tesoriere del senato; - quaestor pro praetore provinciae, incaricato dell'amministrazione finanziaria delle province del popolo - quaestor principis, portavoce del principe presso il senato - Quaestor consulis, portavoce del console presso il senato. • Tribunato della plebe o edilità: Erano due magistrature che potevano essere rivestite indifferentemente davano accesso entrambe alla tappa successiva • Pretura: Era una magistratura con diverse funzioni, quali quelle di: - praetor urbanus, incaricato di amministrare la giustizia nelle cause tra due cittadini romani - praetor peregrinus incaricato di amministrare la giustizia nelle cause fra un cittadino romano e uno straniero - praetor aerarii destinato a sovrintendere alle aerarium, il tesoro dello stato. • Funzioni pretorie (cioè proprie dell'ex pretore): - legatus legionis, comandante della legione; - curator frumenti dandi, incaricato della frumentatio e curator viarum, responsabile della costruzione e manutenzione delle strade; - legatus Augusti pro praetore, cioè governatore di una provincia imperiale di minore importanza; - proconsul, governatore di una provincia del popolo di minore importanza. • Consolato. • Funzioni consolari (cioè proprie dell'ex console): - curator aedium sacrarum et operum locorumque publicorum, curatela «degli edifici sacri e delle opere e dei luoghi pubblici», - curator riparum et alvei Tiberis et cloacarum, curatela «delle sponde e del letto del Tevere e delle fogne», - curator aquarum, curatela «delle acque» - legatus Augusti pro pretore, cioè governatore di una provincia imperiale più importante; - proconsul, governatore di una provincia del popolo più importante (Africa e Asia); - praefectus Urbi, prefetto della città di Roma. • Censura. Era una magistratura ormai rivestita unicamente dagli imperatori e destinata a scomparire con Domiziano. Dal II secolo i senatori cominciarono ad assumere regolarmente il titolo onorifico di clarissimus. L'appartenenza all'ordine equestre, invece, non era ereditaria ma individuale e l'accesso era consentito a chi avesse un censo minimo di 400.000 sesterzi Sia per via del progressivo smantellamento delle societales publicanorum sia per Venire incontro a un altro forte nucleo di sostenitori costituito appunto dal ceto equestre,Augusto gettò le basi per formalizzare una carriera parallela a quella dei senatori in vista di una Concordia ordinum,Ossia di una composizione armonica fra senatori e Cavaliere indispensabile per la stabilità stessa dello Stato. Fu soprattutto Tiberio a fissare condizioni preliminari di accesso all’ordine equestre, censo minimo e prerogative come l’angustus clavus e l’equus publicus. Questo particolare cursus honorum equestresi struttura su tre successivi livelli di incarichi che offrirono i cavalieri una basilare legittimazione politica: • Carriera militare, rappresentata dalle milizie equestri. Si trattava di un apprendistato militare obbligatorio di durata almeno triennale, durante il quale l’ufficiale sarebbe stato prima prefetto di una coorte ausiliaria, poi tribuno angusticlavio di una legione e infine prefetto di un’ala di cavalleria. • carriera «burocratica», rappresentata dalle procuratele. Si trattava di incarichi finanziari svolti dal procurato Augusti a Roma, in Italia nelle province imperiali; di funzioni amministrative e militari svolte dal procurator provincia in alcune province imperiali; di mansioni specifiche quali quella di sovrintendente delle biblioteche imperiali, incaricato delle petizioni per i procedimenti giudiziari da tenersi al cospetto dell'imperatore e della corrispondenza privata, preposto alla corrispondenza istituzionale e alle suppliche, preposto alle finanze. Le diverse tipologie di procuratele non venivano ricoperte secondo un ordine prestabilito e, a partire dagli Antonini, furono classificate sulla base della retribuzione annua: sexagenaria, centenaria, ducenaria e trecenaria veniva definita rispettivamente una procuratela con stipendio di 60.000, 100.000, 200.000 e 300.000 sesterzi; • mansioni apicali, rappresentate dalle prefetture via via di livello sempre più prestigioso, le quali potevano consistere nel governo di piccole province, nel comando di una delle due flotte imperiali, Miseno e di Ravenna o delle sette coorti dei vigili, nella gestione dell’approvvigionamento cerealicolo, nel governo di Alessandria e egitto e nel comando delle coorti pretorie. Il prefetto di Alessandria d’Egitto veniva affiancato dall’idiologus, Figura di funzionario ereditata dal sistema tolemaico e investita dalla responsabilità dei beni imperiali e dalla riscossione di dazi e multe, compiti altrove svolti dai procuratores. La prefettura al pretorio poteva essere ricoperta da loro da un singolo talaltra da più di un individuo. Nel secondo secolo d.c. La carriera equestre arrivò a prevedere ben 150 incarichi militari e un centinaio di procuratele, tutte ben remunerate le curatele all’interno del cursus honorum senatorio, le procuratele nella carriera equestre e le prefetture ricoperte da esponenti di entrambi gli ordines Rappresentavano quei Nova officia di cui parla Svetonio è che per un verso depotenziano le magistrature ordinarie, per un altro andavano a costituire il nucleo delle riforme amministrative augustee, a burocratizzare, cioè le funzioni pubbliche conducendo alla creazione e allo sviluppo di una sorta di funzionariato. • Oltre a senatori e cavalieri la struttura sociale dell'Impero annovera dei protagonisti d'eccezione, i liberti, ex schiavi poi «manomessi», cioè liberati dai loro padroni e spesso dediti ad attività imprenditoriali particolarmente redditizie. Una lex Visellia del 24 d.C. (età tiberiana) vietò ai liberti l'accesso alle magistrature e ne condannò le frequenti usurpazioni di status a danno dei cavalieri. Una particolare categoria di liberti era costituita da quelli appartenenti alla domus imperiale, i quali conosceranno un momento di grande potere e prestigio nell'epoca di Claudio; successivamente, però, il loro ruolo verrà notevolmente ridimensionato e molte delle loro mansioni amministrative saranno trasferite alla «burocrazia» equestre. • All'ultimo gradino della piramide sociale troviamo gli schiavi. Il loro numero dovette progressivamente andare incontro a una riduzione, sia perché in epoca tardorepubblicana era stata debellata la pirateria sia perché le guerre di espansione con i relativi bottini diminuirono gradualmente d'intensità nel corso della prima età imperiale, Anche se il personale schiavile si «autoalimentava» attraverso la riproduzione naturale all'interno delle case dei padroni, è tuttavia innegabile che per un verso la diffusione di correnti religiose come il cristianesimo e per un altro la necessità di modificare il sistema di coltivazione della terra attraverso l'impiego di contadini liberi comportarono un graduale decremento degli schiavi e una progressiva scomparsa del sistema repubblicano della villa schiavistica. L’accesso al senato si estese, soprattutto a partire dal Il secolo, a elementi provinciali. Un altro canale di mobilità era rappresentato dall'ordine equestre attraverso la già ricordata adlectio. A sua volta l'ordine equestre possedeva un bacino di reclutamento all'interno di quello che potremmo definire un «terzo» ordo, quello dei decurioni, ossia lo strato degli esponenti dei singoli senati locali. 4. Roma, l’Italia e le province Augusto manifestò in molteplici occasioni la propria gratitudine alla plebe urbana che in larga misura lo aveva sostenuto. Non solo si preoccupò di istituire alcune commissioni senatorie delegate alla sorveglianza degli acquedotti e alla manutenzione degli argini del Tevere, ma soprattutto si profuse, grazie al suo immenso patrimonio personale, in gesti munifici, quali spettacoli gladiatori, giochi, distribuzioni di denaro e di grano (frumentationes). Roma conobbe inoltre una fase di intensissima attività edilizia, evidente non soltanto nell’edificazione di acquedotti e impianti termali e nella costruzione di un tempio per Cesare divinizzato nel vecchio foro repubblicano, ma anche nella realizzazione del foro di Augusto, inaugurato nel 2 a.C. L’impegno di Augusto non si rivolse soltanto alla monumentalizzazione della città ma si concentra anche sulla razionalizzazione dei servizi urbani. La situazione di emergenza verificatasi a seguito di una carestia nel 22 a.C, fronteggiata da Augusto con le proprie risorse aveva messo in evidenza quanto fosse delicato il problema dell’approvvigionamento alimentare di una città grande come Roma:fu così che a causa dell’ennesima carestia verificatasi nell’otto d.C, il principe decise di creare un servizio stabile affidato a un equestre il praefectus vigilam. Il governo della città, invece, venne affidato a un senatore, il praefectus Urbi. Nel 7 a.C. la città fu ripartita in 14 circoscrizioni amministrative (regiones), suddivise a loro volta in quartieri (vici), retti da magistri, eletti annualmente dai residenti. L’Italia, invece, venne divisa in 11 regiones allo scopo di agevolare le operazioni di censimento. Le province furono ripartite in due fondamentali categorie, ossia quelle imperiali, provinciae Caesaris, non pacatae («pacificate»), quindi non sicure e sede di uno o più distaccamenti legionari, e quelle senatorie, provincia populi («del popolo), pacatae, dunque prive di legioni. Nelle prime il principe esercitava il proprio comando attraverso legati Augusti pro praetore, ex consoli o ex pretori di nomina imperiale, con comando degli eserciti ivi dislocati e in carica per un tempo stabilito a discrezione dello stesso principe. Non erano presenti questori ma soltanto procuratori di rango equestre incaricati dell'amministrazione dei beni fondiari imperiali, delle cave e delle miniere. Le seconde erano governate da promagistrati (proconsoli o propretori) scelti mediante sorteggio, in carica per un anno con mansioni giurisdizionali e comando su piccole unità ausiliarie. In queste province i questori Svolgevano i loro compiti di natura finanziaria e i procuratori, direttamente dipendenti dall’imperatore da lui nominato e Amministravano i beni imperiali. Augusto poteva comunque intervenire anche nelle province senatorie in virtù del suo imperium e della sua auctoritas. Questa divisione in due gruppi non era statica, perché una provincia come la Betica, dapprima non pacata, in seguito passò alla competenza del senato; altre, in frangenti di sopravvenuta turbolenza, entravano nella diretta sfera d'azione del principe. Rispetto a questa fondamentale bipartizione, l'Egitto, provincia ricchissima, ebbe invece uno statuto particolare, poiché fu affidato a un funzionario equestre di nomina imperiale, il prefetto d'Alessandria e d'Egitto (che comandava le legioni ivi stanziate); l'accesso alla provincia, salvo autorizzazione del principe, fu vietato ai senatori. Per quanto concerne la riscossione delle imposte nelle province, Augusto per un verso fece assegnare cospicui stipendi fissi ai governatori, affinché non assumessero condotte «rapaci», per un altro stabili attraverso periodici censimenti una connessione reale fra il gettito fiscale della singola provincia e la sua concreta capacità contributiva. Le due tasse principali erano l'imposta personale, pagata dalla singola persona fisica, in età adulta, e l'imposta fondiaria versata da ciascun proprietario terriero a eccezione dei cittadini romani residenti a Roma. Le tasse riscosse nelle province imperiali confluivano nel fiscus caesaris, quelle provenienti delle province del popolo venivano incamerate nell’aerarium saturni, cioè la cassa repubblicana. Il principe istituì il cursus publicus, cioè il servizio postale imperiale, basato sulla combinazione fra le reti viarie e la dislocazione strategica di luoghi di sosta (stationes), distinti in locande (mansiones) e stalle (mutationes) lungo la via allo scopo di garantire alloggio e cavalcature fresche ai corrieri imperiali. In ogni provincia si tenevano assemblee periodiche (koinà) nelle quali i rappresentanti dei centri urbani provvedevano al culto di Roma e Augusto e discutevano problemi di interesse collettivo. 5. La riorganizzazione dell’esercito e la politica estera Per far fronte alle ingenti spese connesse con il mantenimento della poderosa macchina bellica, ivi compreso il premio di congedo per i soldati usciti con onore dal servizio, Augusto istituì nel 6 d.C. l'aerarium militare («tesoro militare»), alimentato inizialmente dallo stesso principe con un versamento di 170 milioni di sesterzi e successivamente finanziato attraverso gli introiti derivanti da due tasse. Augusto dovette innanzitutto provvedere a ridurre il numero esorbitante raggiunto dalle legioni (ben 60) al culmine del conflitto con Antonio e procedette poi a una riforma totale dell'esercito, articolandolo in 6 fondamentali reparti: • legioni, unità tattiche permanenti costituite ciascuna da circa 5.500 volontari, cittadini romani. Con Augusto le legioni raggiunsero il numero di 28, ma divennero 25 a seguito della strage di Teutoburgo; Vespasiano le riportò a 28 e Traiano ne aggiunse altre 2, per un totale di 30. Oltre che a causa dell’annientamento d’opera del nemico, una legione poteva essere sciolta o perché ribelle oppure per viltà.Ciascuna unità era numerato l'istituzione di 5 nuove centurie senatorio-equestri create per onorare il defunto e preposte alla preselezione (destinatio) dei candidati alla pretura e al consolato. Deceduto germanico, si profilava come erede designato il figlio dell’imperatore, druso minore, il quale, però, morì prematuramente nel 23 d.C.A questo punto il campo sgombro da pretendenti dovette sollecitare l’ambizione di un personaggio completamente estraneo alla dinastia e tuttavia potentissima influenza a Corte: Lucio Elio Seiano, prefetto al pretorio tra il 16 e il 31.Il prefetto allo scopo di intessere un legame con la famiglia imperiale, 30 di sposare Claudia livilla, sorella di germanico e di Claudio. Assegnano il permesso fu negato da Tiberio per via della sua estrazione equestre, ma il prefetto non esitò a escludere dalla scena politica tutti i suoi potenziali concorrenti. l’imperatore forse informato di Antonia minore e decise che era venuto il momento di sbarazzarsi dall’ambizioso è pericoloso Seiano, messo a morte nel 31 d.C. è sostituito dal nuovo prefetto al pretorio macrone. Nello stesso anno Tiberio fece venire a Capri Gaio (futuro imperatore Caligola), il quale, dopo l'esilio della madre Agrippina Maggiore, stato affidato alle cure della nonna Antonia Minore. Per quanto concerne la politica estera, Tiberio, che pure era stato un valente condottiero, non si impegnò direttamente in spedizioni militari ma, sia sul fronte settentrionale sia su quello orientale, aveva delegato Germanico. Tiberio fece richiamare nico, gli decretò il trionfo nel 17 e gli assegnò l'imperium proconsulare maius su tutte le province orientali, Qui Germanico, come si è accennato, si fece promotore di una politica diplomatica con il re dei Parti Artabano III, imponendo nel 18 sul trono armeno il filoromano Zenone, che assunse il nome di Artaxias (III), Furono istituite le nuove province, sconfisse il numida Tacfarinas in Africa settentrionale, fece rimuovere dal' incarico nel 36 d_C. il procurator o praefectus Indaee. Ponzio Pilato, sotto il quale si erano verificate la predicazione e poi la crocifissione di Gesù di Nazareth approdo infine un ennesimo compromesso con la patria e virgola il cui re Artabano terzo accertò l’imposizione di Mitridate sul trono Armeno.I n politica interna, nonostante le accuse di ipocrisia di alcuni storici ma non di tutti, Tiberio mostro oculatezza nell’uso delle risorse pubbliche, rivolse particolare attenzione alle esigenze di numerose città della provincia da Asia danneggiate dai terremoti e tentò di rispettare il Senato, almeno fino al momento dell’eliminazione di Seiano, quando, invece, i processi di lesa maestà aumentarono e furono celebrate il suo cospetto e non presso le tradizionali Sedi giudicanti. Anche le assemblee popolari persero completamente la funzione elettiva dei magistrati superiori, secondo una tendenza già attestata in età augustea dalla Tabula Hebana, grane alla quale l'assemblea centuriata assunse il ruolo puramente formale di ratificare una lista unica di candidati designati dall'imperatore e dal senato. Tiberio morì di morte naturale oppure per omicidio (secondo Tacito e Cassin Dione) nel 37 d.C., all'età di 78 anni, e le sue ceneri furono riposte nel Mausoleo di Augusto. • Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico, detto Caligola (37-41 d.C.) Il testamento di Tiberio risalente al 35, pur essendo un atto privato, indicava due eredi ufficiali: Tiberio Gemello e Gaio soprannominato «Caligola dal nome di una calzatura militare. Caligola era avvantaggiato sia sul piano della discendenza sia dal punto di vista del prestigio goduto dal padre Germanico presso i pretoriani, le legioni romane, l’aristocrazia romana, la plebe urbana. Così mentre Tiberio gemello fu escluso, Caligola divenne imperatore e benché non fosse stato adottato da Tiberio ne avesse condiviso con lui il potere proconsolare e la potestà tribunizia. La successione di gallicola mostra anche per la prima volta l’ingerenza dei pretoriani la cui acclamazione precedette la ratifica da parte del Senato. Delle due discendenze Caligola sembrò voler privilegiare quella Giulia allorché fece riportare a Roma le ceneri della madre agrippina maggiore e del fratello Nerone Cesare, affinché furono custodite nel mausoleo di Augusto. In una brevissima fase del Regno, l’imperatore sembrò voler cercare un’intesa con il Senato, abolendo i processi per la lesa maestà e concedendo agli esiliati il perdono per la riammissione a Roma. Nel 37 d.C. però Caligola si ammalò gravemente il prefetto del pretorio Macron è d’accordo con il Senato, si adoperò per la successione di Tiberio gemello: l’imperatore reagì con violenza inducendo il suicidio sia Tiberio gemello sia macrone all’inizio del 38.Da questo momento egli guastò il suo rapporto con i senatori, riprese i processi per lesa maestà ed ebbe il sostegno del popolo e dei soldati. La tradizione storiografica restituisce l'immagine di un imperatore psicolabile e sempre più incline a forme di dispotismo orientale, anche se l'accusa di «follia» costituirà l'espediente più frequente adoperato dalla propaganda denigratoria di marca senatoria ed equestre per colpire imperatori particolarmente propensi a ricercare il consenso delle masse popolari e dei militari. Nel 39 il governatore della Germania Superiore, Gerulico, in accordo con le sorelle dell'imperatore, Agrippina Minore e Giulia Livilla, ordì una congiura, con l'intento di imporre come imperatore il figlio della stessa Agrippina, Lucio Domizio Enobarbo (ossia il futuro imperatore Nerone), Le due donne furono inviate in esilio e gli altri membri della cospirazione condannati alla pena capitale o costretti a suicidarsi; Gerulico fu sostituito da Serio Supicio Galba (futuro imperatore). Quanto alla politica estera, in contrasto con il predecessore e sull'esempio Ereditato da Marco Antonio, Caligola ripristino il sistema dei regni clienti. Un tumulto, scoppiato Nel 38 fra greci ed ebrei residenti ad Alessandria d’Egitto e represso dal prefetto Villo Flacco attraverso duri provvedimenti giudaici, suscitò un forte risentimento nei confronti di Caligola. Caligola tra il 39 e il 40 tentò una vana campagna di espansione in Britannia, la quale, pur non producendo un concreto ampliamento territoriale, venne salutata come una vittoria degna persino della celebrazione di un trionfo. L’impresa in Bretagna fu di fatto portata a compimento dal successore Claudio. In politica interna furono soprattutto gli aspetti religiosi e connotare la condotta del principe in perfetta sintonia con alcune suggestioni monarchiche e assolutistiche, proprio della regalità di stampo orientale è riconducibile al suo ramo familiare Antoniano. nel 41 d.C. Caligola per i vittima di una congiura organizzata dai pretoriani con la complicità di senatori, cavalieri e liberti imperiali e subì la damnatio memoriae in quanto dichiarato nemico dello Stato romano. • Tiberio Claudio Druso, poi Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico (41-54 d.C.) Alla morte di Caligola i pretoriani acclamarono Claudio che, esattamente come il fratello Germanico, rappresentava il giunto di collegamento fra la discendenza giulia e quella Claudia ma non era mai stato adottato dai Giuli. Anche se ormai cinquantenne, balbuziente e claudicante, nonché prevalentemente incline agli studi letterari Che non alla politica; Claudio seppe sempre tuttavia operare una fine mediazione, venendo incontro alle esigenze provenienti da tutti gli strati della società: l’aristocrazia senatoria, attraverso la sospensione dei processi di lesa maestà e il rimpatrio degli esuli. Nel 42 completo la conquista della mauretania, appena intrapresa da Caligola e divise il Regno in due province affidate a procuratori equestri. Nel 43 Claudio portò a compimento una vittoriosa campagna nella Bretagna sudoccidentale, Ridotta a provincia, e modifico in parte l’assetto dato da Caligola e regni clienti: oltre alla creazione della provincia di Licia, provincializzò la tracia e anche la giudea. Tra le opere pubbliche realizzate per volere di Claudio è importante ricordare l'ampliamento del porto di Ostia,La realizzazione di nuovi acquedotti, la bonifica del lago fucino, oltre che all’allestimento di spettacolo e la concezione di numerose frumentationes. L'imperatore procedette a una modifica delle segreterie imperiali, trasferendo dal privato al pubblico la consuetudine propria delle grandi famiglie aristocratiche di affidare l'amministrazione della domus ai liberi: il tradizionale personale di servizio si trasformava in «funzionariato» statale nell'ufficio pubblico centrale gestito da potenti liberti. Le finanze (a rationibus) furono affidate a Pallante, la corrispondenza istituzionale e le suppliche (ab epistulis) a Narcisso, le petizioni per i procedimenti giudiziari da tenersi al cospetto dell'imperatore e la corrispondenza privata (a libellis) a Callisto, la gestione dell'archivio a Polibio. L'imperatore concesse anche l'ammissione in senato ai notabili della Gallia Comata, come testimone. Da un'altra iscrizione, la Tabula di Lugdunum (Lione). I diplomi militari, documentano a partire proprio da questo imperatore la concessione della cittadinanza romana ai soldati che avevano prestato servizio onorevole (bonesta missio) negli auxilia. Delle sue quattro mogli furono soprattutto le ultime due condizionare in maniera determinante le scelte politiche dell’imperatore. Innanzitutto Valeria messalina sposata da Claudio durante il Principato del predecessore Caligola: dal matrimonio nacquero Ottavia e britannico. Messalina nel tentativo di assicurare al figlio alla successione cercò l’appoggio dei liberti imperiali ma anche quello di gaio silo, giovane console designato con il quale contrasse matrimonio pur essendo ancora sposata con l’imperatore, per questo furono condannati a morte. Claudio a questo punto Sposo all’arrivo ad agrippina minore la quale aveva avuto un figlio, Lucio Domizio Enobarbo il futuro imperatore Nerone. La posizione di Agrippina si consolidò ulteriormente grazie all'assunzione sia della carica di prefetto al pretorio nel 51 da parte di Sesto Afranio Burro sia della toga virile da parte di Nerone un anno prima dell'età minima consueta. Già nel 50 la donna aveva imposto al marito di adottare Nerone, il quale nel 53 contrasse nozze con Ottavia. Quando, nel 54, Claudio morì in circostanze sospette, forse avvelenato per ordine di Agrippina con la complicità, del medico Gaio Stertinio Senofonte il nome di Britannico compariva su un piano paritario accanto a quello di Nerone nelle disposizioni testamentarie dell’imperatore • Lucio Domizio Enobarbo, poi Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico (54-68 d.C.) Nerone sembrava offrire alcune «garanzie», poiché rappresentava un discendente di Germanico, suo nonno materno, e nello stesso tempo simboleggiava una possibile convergenza di interessi fra senatori e pretoriani, rispettivamente rappresentati da due figure assai influenti, almeno inizialmente, sul giovane principe, ossia Seneca e Afranio Burro. Non a caso, infatti, le fonti parlano di quinquennium felix («quinquennio fortunato») per indicare la fase compresa fra il 54 e il 59 d.C., quando effettivamente i rapporti fra imperatore e senato non furono conflittuali, anche se non va dimenticato che nel 55 Britannico fu avvelenato durante un banchetto. A partire dal 59, però, la condotta di Nerone comincio a sfuggire progressivamente al pressante controllo della madre, del precettore e del prefetto al Pretorio e assumere una deriva assolutistica di stampo democratico. Nerone nonostante il matrimonio con Ottavia strinse una relazione con la libertà Claudia atte, anche se nel 59 si invaghì di Poppea Sabina già moglie di Marco Savio Otone. Nello stesso anno agrippina fu assassinata per volontà del figlio; nel 62 la moglie Ottavia venne da prima relegata in seguito uccisa. Si affacciavano sulla scena la nuova moglie del principe e i nuovi prefetti del pretorio foglio Tigellino e Feno Rufo. Intanto Nerone, accanto alla sua indole sanguinare, manifesta una vena istrionica che lo spinse all’organizzazione di spettacoli musicali E all’allestimento di feste. Quanto alla politica estera il Regno neroniano conobbe alcuni risultati significativi in Britannia, dove fu soffocata nel sangue la rivolta boudicca tra il 60 e il 61, in Armenia dove grazia Gneo Domizio Corbolone, dopo alterne vicende, si aggiunge dal 66 e una composizione diplomatica del conflitto con i parti, in base alla quale Tiridate, rimaneva sul trono armeno ma riceveva formalmente il diadema da Nerone, in giudea, dove, causa della confisca del Tesoro del tempio di Gerusalemme, gli zeloti avevano organizzato una ribellione, la di fatto sedato da vespasiano, tra il 66 69. Nel 58 Nerone ideò un progetto, poi abbandonato, di abolizione dei vectigalia, volto ad agevolare gli scambi commerciali. Nel 64 attuò una fondamentale riforma monetaria, consistente nella riduzione del peso sia della moneta d’oro sia di quella argentea. Nel stesso 64 uno spaventoso incendio distrusse 10 delle 14 regione de Roma e, anche ammesso che non fosse stato doloso, tacito riferisce tuttavia Che la responsabilità fu da alcuni attribuito a Nerone alle sue esigenze di spazio per l’edificazione del palazzo imperiale, la Domus aurea. Il principe quando scoppiò l’incendio si trovava ad Anzio, tornò precipitosamente in città e per allontanare da sé qualunque sospetto, scarico ogni colpa sui cristiani quali subirono la prima vera persecuzione. i culti stranieri furono particolarmente in auge sotto Nerone, anche per l’influsso di Tiberio Claudio Balbillo . A causa dell’allontanamento dal Mos Maiorum dalla sua alternatività, Nerone ebbe cattiva stampa. nel 65 fu ordita la congiura dei Pisoni complotto venne sventato e rimasero coinvolti il poeta Marco Anneo, lo zio paterno di quest’ultimo, cioè il filosofo Seneca, il quale scelse la via del suicidio; Furono vittime della ritorsione anche Ennio rufo, Petronio arbitro e il filosofo stoico trasea peto. Nerone, dichiarato hostis publicus («nemico pubblico») dal senato (che invece riconobbe Galba come nuovo imperatore), si suicidò con l'aiuto di un liberto e subì la damnatio memoriae. 8. I commerci con l’oriente il drenaggio dell’oro La grande espansione territoriale dell'Impero nell'arco di poco più di un secolo ebbe certamente ripercussioni sull'ampliamento dei mercati. La riorganizzazione provinciale di Spagna, Ilirico, regioni alpine, Britannia, Mauretania, Tracia, Macedonia, Galazia, Cappadocia, Ponto, Cilicia determinò un enorme sviluppo delle relazioni e delle reti viarie, via via sempre più efficienti e ramificate, su cui viaggiavano uomini e beni. Oro, piombo, stagno, ferro, marmi, carbone, sale, bestiame, pelame, seta, spezie, pietre preziose, unguenti, fiere esotiche erano i prodotti di lusso che giungevano sia dalle aree mitteleuropee sia dall'Oriente asiatico. Accanto a questi, esistevano altri beni di prima necessità come il frumento, importato soprattutto dall'Egitto e dalla Sicilia, ma anche l'olio della Spagna il vino della Gallia, indispensabili per sopperire in particolare ai bisogni di una città come Roma, la cui popolazione in età augustea ammontava forse addirittura a un milione di persone. Inoltre già nel corso del primo secolo d.C, la produzione di vino e di ceramica fine da mensa realizzata in Gallia era divenuta decisamente concorrenziale. Tutti questi elementi hanno indotto buona parte degli studiosi a ritenere che la prima età imperiale abbia visto una crescita accelerata delle fasi del mercato e un parallelo sviluppo dell’economia monetaria anche se questa interpretazione modernista deve comunque fare i conti con la forte incidenza esercitata su questi flussi di merci dell’autorità centrale, cioè il condizionamento derivante dall’amministrazione di Roma e da un sistema monetario unificato, garantita dal principe adottato in quasi tutto l’impero. Se dunque, non può essere messa in dubbio l’esistenza di condizioni paleocapitalistiche, di circuiti irregolari di scambi soprattutto nel bacino del Mediterraneo, non va tuttavia dimenticato che i principali fattori propulsivi di tali movimenti furono le esigenze dello Stato, ossia l’approvvigionamento di Roma e il vettovagliamento dell’esercito. 9. Il cristianesimo: diffusione e persecuzione A «rivoluzionare» le fondamenta sociali e spirituali del sistema imperiale contribuì una nuova religione, il cristianesimo, nata come setta (bairesis) giudaica, che nel I secolo d.C. iniziò a farsi strada nel cuore e nelle menti degli abitanti dell'Impero. La storicità della figura di Gesù di Nazareth è documentata da vari testi di diversa natura: oltre ai Vangeli, all'Apocalisse di Giovanni, agli Atti degli Apostoli e soprattutto alle Lettere di Paolo, vanno ricordati anche Tacito, che menziona Cristo negli Annali e che ne ricorda la morte per mano di Ponzio Pilato sotto Tiberio, Svetonio nella Vita di Claudio, 25,4, laddove si fa riferimento a un provvedimento di espulsione da Roma nel 49 dei giudei in tumulto perché sobillai da un re chrestus. All’epoca del provvedimento di Claudio i cristiani non erano ancora stati individuati come gruppo distinto dagli ebrei, con i quali, anzi, di fatto venivano confusi; Nerone, invece, non colpira piu gli ebrei ma rivolgerà la persecuzione esclusivamente contro i cristiani.La predicazione di Gesù origina dalla religiosità giudaica ma se ne distacca perché supera il particolarismo giudaico e si rivolge a tutti e soprattutto perché esse annunciata dal messia, il Salvatore del vecchio testamento, che gli ebrei non riconoscevano in Gesù.d’altra parte in seno al giudaismo esistevano conservatori rigorosi come Isa adduce aristocratici molto legati alla legge mosaica; Tradizionalisti più aperti come i farisei, filo romani, appartenenti ceti medi incline ad accogliere la tradizione dei profeti;Rivoluzionari come gli zeloti, animati da sentimenti profondamente antiromani; Mistici come gli esseni, forse esponenti della nuova alleanza più vicina al cristianesimo e noti soprattutto attraverso i cosiddetti rotoli del Mar morto. Gli Esseni, in particolare, erano pacifisti, praticavano il battesimo, il celibato e la comunione dei beni. Augusto aveva garantito a tutte le comunità ebraiche dell'Impero la possibilità di praticare il proprio culto, di mantenere i legami con il Tempio di Gerusalemme e di conservare i propri riti. Se fino all'epoca di Claudio, come si è visto, cristiani ed ebrei potevano ancora essere confusi, la differenza, invece, fu ben chiara a partire da Nerone, il quale individuò nei soli cristiani l'obiettivo della propria persecuzione furono i protagonisti sia del già ricordato scontro con Caligola, sia della rivolta degli Zeloti, che si concluse con la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 durante il regno di Vespasiano. Al contrario degli Zeloti, la predicazione di Gesù e quella dell'apostolo Paolo dipendenza dall'Impero romano, ma riceveva in cambio una consistente somma di denaro. Questa pace «comperata» consenti tuttavia all'imperatore di affrontare Marcomanni e Quadi in scontri comunque dall'esito incerto, Nonostante la politica interna e quella estera mostrassero tratti di equilibrio, quando non di lungimiranza, contro Domiziano si coagulò un forte risentimento, come testimonia nell'89 la rivolta di Lucio Antonio Saturino, governatore della Germania Superiore, il quale era stato acclamato imperatore dalle legioni di stanza a Magonza. L'imperatore morì vittima di una congiura di palazzo ordita dai prefetti al pretorio Petronio Secondo e Norbano e dalla moglie Domizia Longina, dalla quale l'imperatore aveva divorziato; la congiura fu favorita dall'isolamento del princeps e dall'ostilità del senato che ne decretò la damnatio memoriae e proclamò imperatore Marco Coccio Nerva. 12. Nerva: la creazione del principato adottivo • Marco Cocceio Nerva (96-98 d.C.) I senatori, che avevano ordito la congiura contro Domiziano, riuscirono a imporre Nerva come imperatore, un uomo di quasi sessantasei anni, privo di discendenza, di salute cagionevole ma politico di lungo corso. Una volta asceso al trono, la prima preoccupazione di Nerva fu il ritorno all'ordine interno attraverso una serie di provvedimenti nel segno dell'equilibrio, della continuità, della conciliazione e della moralizzazione: • concessioni di donativa ai pretoriani devoti alla memoria di Domiziano; • richiamo degli esuli e restituzione dei beni confiscati; • avallo in senato della dammatio memoria del predecessore; • abolizione completa del fiscus Iudaicus • condanna della pratica della delazione; • sospensione dell'accusa di lesa maestà: • divieto dell'evirazione (come Domiziano) e concessione agli histriones («attori») di esibirsi pubblicamente (a differenza di Domiziano); • divieto delle nozze tra zio e nipote. Ristabilito l'ordine interno, l'imperatore si dedicò a provvedimenti di politica finanziaria, sociale e di pubblica utilità: • costituzione di una commissione di 5 membri «per ridurre le spese pubbliche» (V viri minuendis publicis sumptibus); • diminuzione dell'imposta di successione (vicesima bereditatium) per i nuovi cittadini; • introduzione di un praetor fiscalis per dirimere le contese tra fisco e privati, • esonero delle comunità italiche dal cursus publicus, il cui onere fu trasferito alla cassa imperiale; • assegnazione tramite lex agraria di lotti di terreno in Italia e in Africa a cittadini nullatenenti; • probabile varo del programma di institutiones alimentariae: per sostenere la produttività dei fondi italici di dimensioni medio-grandi e contrastare il calo demografico, lo Stato concedeva, dietro ipoteca, prestiti ai proprietari, i quali da un canto mettevano a coltura i terreni e dall'altro versavano modici interessi (5%) nelle casse dei propri municipi o a funzionari locali, affinché con questi fondi venissero sostentati mensilmente fanciulli e fanciulle indigenti; e riorganizzazione dell'approvvigionamento idrico di Roma affidata a Sesto Giulio Frontino. Nonostante i tentativi di «ritorno all'ordine» e i provvedimenti di «buona» politica, il pur breve Principato di Nerva incontrò nel 97 un fronte di opposizione nella persona di Casperio Eliano, che era stato prefetto al pretorio già sotto Domiziano e che adesso, riconfermato nella carica, richiedeva che venissero giustiziati gli assassini di quest'ultimo: Nerva dovette cedere alla richiesta dei pretoriani. Il danno all’immagine e la perdita di prestigio dell’imperatore potevano costruire il preludio dell’ennesima guerra civile: l’imperatore, esponente dell’aristocrazia senatoria italica, Optò per una soluzione inedita, meritocratica, ossia scelse di adottare pubblicamente un uomo di origine spagnola e di grande esperienza militare, Marco Traiano, il governatore della Germania superiore e membro dell’aristocrazia provinciale.Così quando dopo appena qualche mese nerva morì la successione avvenne senza disordini e il quarantacinquenne Traiano fu il nuovo Imperatore. la nomina venne ratificata dal Senato e Traiano ricevette il giuramento di fedeltà da parte degli eserciti.Il criterio dell’adozione del successore basato sulla scelta del migliore inaugura una nuova fase del Principato destinato a durare fino al Regno di Marco Aurelio. 13. Gli imperatori adottivi e il cosiddetto impero umanistico: Traiano, Adriano, Antonio Pio, Marco Aurelio e Lucio vero. • Marco Ulpio Traiano (98-117 d.C.) Nativo di Italica, Traiano fu il primo principe di origine provinciale. Il nuovo imperatore seppe armonizzare le proprie qualità di soldato con il gradimento da parte dell'ordine senatorio: il profilo che di lui traccia Plinio il Giovane nel suo Panegirico è quello dell'optimus princeps;, capace di coniugare la realtà del Principato con la libertas senatoria. Per quanto riguarda alla politica estera, il regno di Traiano fu connotato da tre dati salienti, ossia le guerre di conquista, lo scoppio di una rivolta ebraica e la gestione dei rapporti con i cristiani. Lo slancio imperialistico del regno di Traiano si articolo in tre grandi guerre di conquista: le campagne daciche, l'annessione del regno dei Nabatei e la spedizione partica. La questione della Dacia, rimasta in pendenza dai tempi di Domiziano, fu risolta attraverso due campagne (101-102 e 105-106) che videro la sconfitta definitiva del re Decebalo, costretto al suicidio, la distruzione della capitale del regno, Sarmizegetusa, e la provincializzazione della Dacia, regione ricca di miniere aurifere. Nel 106 venne conquistato il regno dei Nabatei e vi fu istituita la provincia dell'Arabia Petraea. L'imperatore si rivolse poi contro il regno dei Parti, provincializzando nel 114 l'Armenia, creando nel 115 la provincia di Mesopotamia e conquistando nel 116 la capitale partica di Ctesifonte. Le province costituite da Traiano ebbero una durata effimera, eccezion fatta per la Dacia. Dopo aver tentato invano di impossessarsi della città di Hatra, altro snodo commerciale fondamentale, l'imperatore, ormai fisicamente debilitato, intraprese il viaggio di ritorno verso Roma, ma morì in Cilicia nel 117. L'imperatore era stato indotto ad abbandonare il teatro delle operazioni partiche anche dal contemporaneo inizio di una vasta rivolta delle comunità ebraiche della diaspora, scoppiata in Egitto e in cirenaica e divampata anche a Cipro e in Mesopotamia. Per quanto concerne invece la condotta imperiale nei riguardi dei cristiani si rivela illuminante la corrispondenza epistolare dell’imperatore con Plinio il giovane, il quale, mentre era governatore della provincia di bitinia e ponto tra il 111 e il 112, aveva chiesto Traiano lumi circa il comportamento da adottare nei confronti delle comunità cristiane, che erano molto diffuse nelle città e nelle campagne potevano contare proseliti di entrambi i sessi fra tutti i ceti sociali. Per quel che riguarda la politica interna, gli sforzi dell’imperatore furono rivolte al programma di sussidi alimentari, alle infrastrutture, all’edilizia e all’amministrazione. Sotto Traiano fu portato a compimento il programma dei sussidi alimentari probabilmente già avviato da nerva. il programma di assistenzialismo statale poteva fondarsi sugli investimenti delle risorse acquisite dal fiscus grazie allo sfruttamento delle miniere aurifere della Dacia. Al porto edificato da Claudio a Ostia e soggetto a frequenti insabbiamenti, Traiano affiancò una grande installazione artificiale di forma esagonale in località Portus, destinata a rendere particolarmente agevole l'attacco delle navi e posta in comunicazione sia con il mare sia con il Tevere. Infrastrutture portuali minori furono migliorate e/o costruite a Civitavecchia, Terracina, Rimini e Ancona. Fu istituito il procurator portus utriusque («procuratore di ambedue i porti), responsabile delle installazioni portuali di Ostia e Portus. Fu costruita, come variante della via Appia, la via Traiana, che collegava Benevento con Brindisi e rimase in uso per tutta l'età medievale. Il regno di Traiano, oltre che per l'edificazione di un complesso termale sull'Esquilino e di un nuovo acquedotto, si segnala per la realizzazione di un grandioso complesso edilizio, il Foro di Traiano. Dal punto di vista amministrativo si segnalano: • il potenziamento degli equites nel ruolo di funzionari, distinti sulla base delle classi stipendiali e investiti di numerose procuratele • l’introduzione dei curatores rei pubblicae o curatores civitatis, Supervisori delle finanze cittadine nelle relazioni fra centri urbani e cassa imperiale • il rafforzamento della guardia imperiale con 500 in seguito di 1000 equites singulares • l’attività dei frumentari, soldati destinati a sorvegliare le derrate cerealicole ma anche a svolgere funzioni di spionaggio • l’attività del consilium principis, costituito da amici dell’imperatore, ossia dai suoi collaboratori più fidati • l’abolizione della vicesima hereditatium per i parenti di primo e secondo grado e la diminuzione dell’entità della tassa per gli altri eredi. •Publio Elio Adriano (117-138 d.C.) Alla morte di Traiano, Adriano esibì un testamento in cui lo stesso imperatore Appena deceduto ne proclamava l’adozione; le truppe comunque confermarono subito dopo tale successione con la propria acclamazione. Questo «passaggio di consegne» avvenne senza problemi perché Adriano, per quanto principe «adottivo», rappresentava di tratto il «naturale» successore di Traiano. Come il suo predecessore, infatti, era nativo di Italica e, rimasto orfano di padre, era stato affidato proprio allo stesso Traiano con il quale era imparentato: Adriano era figlio di un cugino o di una cugina di Traiano e dunque era procugino del suo predecessore. Inoltre, a rinsaldare questi legami di parentela, Adriano intorno al 100 d.C, aveva sposato Vibia Sabina, pronipote di Traiano. La dinastia introdotta da Nerva e definita «adottiva», in quanto formalmente fondata sul vincolo giuridico dell'adozione e non sul rapporto di consanguineità, si configurava dunque come una dinastia sostanzialmente «quasi ereditaria» o meglio presentava un assetto «paradinastico» nel quale la scelta del migliore si mescolava con la parentela. D'altra parte, Adriano aveva affiancato Traiano come questore già durante la prima guerra dacica, governato la provincia di Siria all'epoca della guerra partica e ricevuto l'incarico di sedare la rivolta ebraica in Mesopotamia e Cirenaica. Il nuovo imperatore, tuttavia, non era risultato gradito ad alcuni collaboratori del predecessore, particolarmente favorevoli alla sua politica espansionistica: Spia di questo dissenso può ritenersi la soppressione di quattro consolari fedelissimi di Traiano, condannate a morte e dietro l’accusa di aver congiurato contro il suo successore. Rispetto alla politica espansionistica del suo predecessore, Adriano abbandonò le ultime conquiste di Traiano, dell’armenia a un sovrano cliente, non intraprese ulteriori campagne partiche, rinuncio all’area del tigri e alla fascia mesopotamica e si attestò sul corso dell’eufrate, concepito come limes naturale in Oriente.Il cambiamento si manifesta simbolicamente e fisicamente nella creazione del cosiddetto vallum, destinato a migliorare la difesa dell’impero, razionalizzandolo, però, nel contempo le relazioni con le popolazioni straniere strutturando con esso il rapporto diverso. Adriano, di conseguenza, avviò un programma di consolidamento e di difesa dei territori imperiali;: ne sono testimonianza, oltre alle relazioni diplomatiche intrattenute con i re clienti, per l'appunto, l'edificazione di una palizzata lignea per delimitare il territorio romano da quello transrenano, la realizzazione del vallam in Britannia e quella del fossatum Africae. La rinuncia all'espansionismo non comportò affatto un disinteresse nei confronti della macchina militare: l'esperienza maturata sul campo indusse Adriano a introdurre il culto della Disciplina negli accampamenti, a sollecitare durante le sue visite ai castra la pratica dell'allenamento quotidiano delle truppe, a istituire i numeri - ossia speciali unità militari formate da provinciali, i quali mantenevano i propri sistemi di combattimento e le proprie armi - e a favorire nelle aree di confine il reclutamento dei provinciali, soprattutto tra i figli dei soldati. Nonostante questa politica estera di stampo decisamente difensivo e preventivo, Adriano non esitò a intervenire molto duramente nella repressione di una rivolta degli ebrei scoppiata in Giudea nel 132 e sedata solo nel 136; L'insurrezione era stata provocata da due provvedimenti adrianei, ossia il Divieto della circoncisione e il progetto di fondare sul sito di Gerusalemme la colonia di aelia capitolina,edificando sul luogo del tempio distrutto da dietro il santuario dedicato a Giove ottimo massimo. Dopo un iniziale soggiorno nella capitale Intorno al 121 d.C, l’imperatore intraprese un primo ciclo di viaggio allo scopo di prendere diretta visione delle diversissime realtà territoriali che componevano l’impero, dalla Gallia alle province germaniche, dalla Britannia alla Spagna,mauretania, Asia, bitinia, Grecia, per giungere, infine, nel 125, in Sicilia. Rientrato in Italia, Adriano avviò l'edificazione su un terreno di famiglia della splendida villa di Tivoli, ma si trattò di una permanenza relativamente breve, poiché questo «turista» instancabile cominciò nel 128 un nuovo «ciclo» di viaggi che lo avrebbe portato da Atene, attraverso l'Asia Minore, in Siria, Giudea, Arabia, Egitto e nuovamente, per la terza volta, ad Atene, da dove sarebbe rientrato definitivamente in Italia soltanto nel 134 d.C. Questi lunghi e capillari spostamenti non rispondevano esclusivamente alla necessità di curare sul piano amministrativo i delicati rapporti fra centro del potere e periferia dell'Impero, ma anche alla profonda esigenza dell'imperatore filellenico di manifestare la propria adesione alla cultura greca. Dati i periodi d'assenza da Roma e dall'Italia, prese tuttavia numerosi provvedimenti destinati ad avere una duratura incidenza: • riorganizzazione ufficiale del consilium principis con introduzione di giuristi e prefetti al pretorio, separati dalla cerchia informale degli amici, • pubblicazione e codificazione definitiva dell'edictum perpetuum, ossia di quell'insieme di norme pubblicate fino ad allora annualmente dal pretore urbano e da adesso in poi «cristallizzate» e affidate esclusivamente alla discrezione del princeps, a discapito della libertà d'iniziativa dei magistrati; • divisione dell'Italia in quattro distretti giudiziari (affidati a senatori di rango consolare), allo scopo di evitare che per ogni pratica si rendesse necessario un viaggio a Roma • Potenziamento dei curatores rei pubblicare o civitatis, già istituiti sotto Traiano. • Concessione del possesso perpetuo ereditario di terreni imperiali in Africa, rimasti incolti da 10 anni, attraverso una lex hadriana basata su una precedente l’ex manciana forse di eta Flavia • emanazione delle leges del distretto minerario di Vipasca destinata a regolare l’estrazione di rame argento attraverso alcune disposizioni relative allo sfruttamento e alla gestione in appalto del distretto minerario imperiale. Poco dopo il rientro dal secondo Ciclo di viaggi, allorchè erano ormai divenuti evidenti i sintomi della terribile idropisia che da tempo lo affliggeva, Adriano iniziò la costruzione di un monumentale Mausoleo a Roma: in questa tomba furono deposti non soltanto i resti dell'imperatore, morto nel luglio del 138. Adriano aveva inizialmente adottato come successore Lucio Elio Cesare, deceduto prematuramente; la sua scelta, dunque, si era rivolta verso Arrio Antonino. • Tito Elio Adriano Antonino Pio (138-161 d.C.) A differenza di Traiano e Adriano di origine spagnola, Antonino era nato a Lanuvium presso Roma, anche se la sua famiglia era in effetti originaria di Nemausus, in Gallia Narbonese. Antonino sposò Annia Galeria Faustina, sorella di per i figli nati da questo matrimonio. Si trattava di una legalizzazione retroattiva di unioni di fatto che estendeva la cittadinanza ai figli naturali del soldato, nati durante il periodo della ferma. Tra la fine dell’età Adrianea e il regno di antonio pio la cittadinanza fu concessa soltanto ai figli nati dopo il congedo. La storia urbana non può tuttavia essere scorporata dalla vicenda parallela e costante delle comunità di villaggio, agglomerati in genere attestati indipendentemente dalla romanizzazione anzi quasi sempre preesistenti alla stessa conquista romana. Al di la di eventuali ma non sempre riscontrabili differenze di carattere culturale fra città e villaggi, è soprattutto sul piano giuridico-istituzionale che può scorgersi il fondamentale discrimine fra civitas e vicus: esisteva una citta laddove risiedevano i membri dell'ordo decurionum, dalla cui consistenza numerica dipendeva di fatto lo statuto urbano di un determinato sito. In ogni caso, ai fini di una ricostruzione complessiva delle singole realtà regionali in epoca romano-imperiale, le comunità di villaggio rivestirono un'importanza fondamentale in quanto anelli intermedi di raccordo fra la città e la campagna, strutture di base dell'economia agraria destinate a una lunghissima durata fino ai secoli della Tarda Antichità. Capitolo 8 II III secolo 1. Cinque imperatori in quattro mesi • Publio Elvio Pertinace (31 dicembre 192-28 marzo 193 d.C.) • Marco Didio Salvio Giuliano (28 marzo-1° giugno 193 d.C.) • Decimo Clodio Settimio Albino (fine 195/inizio 196-19 febbraio 197 d. C.) • Gaio Pescennio Nigro (aprile 193-ottobre 194 d.C.) • Lucio Settimio Severo (9 aprile 193-4 febbraio 211 d.C.) Alla morte di Commodo si ripropose la situazione del 96, quando, ucciso Domiziano, era stato scelto dal senato l'anziano Nerva: adesso la preferenza fu accordata all'ultrasessantenne Publio Elvio Pertinace, princeps senatus e pater patriae. Il nuovo imperatore, sebbene d'indirizzo filosenatorio, fu attento anche alle esigenze del popolo e dell'esercito: concesse la sepoltura al cadavere di Commodo, tentò di incentivare lo sfruttamento agricolo, di contenere l'inflazione e soprattutto di ridurre le spese, ridimensionando il donativo ai pretoriani. Quest'ultimo provvedimento, però, si rivelò un errore fatale, poiché Pertinace venne assassinato il 28 marzo del 193, dopo appena tre mesi di regno. A questo punto si verificò un frangente per certi aspetti analogo a quello del 68-69 d.C., dal momento che, se da un canto l'Impero, venne «messo all'asta» e assegnato a Marco Didio Salvo Giuliano, ricchissimo senatore che aveva fatto l'offerta più generosa di elargizione ai pretoriani, dall'altro, intorno al 9 aprile, le legioni acclamarono contemporaneamente i tre usurpatori, I governatori decimo Clodio settimo Albino in Britannia, gaio pescennio Nigro in Siria e Lucio settimio severo in pannonia. Settimio severo, forte dell’appoggio delle regioni del Reno e del Danubio , di Britannia, Spagna e Africa, riconobbe, per il momento, il titolo di Cesare a Clodio Albino e marcio su Roma. Qui si sbarazzò di didio Giuliano, condanno a morte gli assassini di pertinace e sostitui con i propri Legionari i soldati della guardia pretoriana, dunque non più reclutati solo fra gli italici ma anche fra i provinciali. Si svolse dunque contro pescennio Nigro, sconfitto nel 194 a isso. Subito dopo settimio severo condusse una prima campagna partica contro gli alleati di Nigro, ossia il re di Armenia e partia. Nel 196 Una delle tre legioni partiche di recente creazione fu stanziata ad Albano. Nel 197 settimio severo elimino anche Clodio Albino e rimase a questo punto unico imperatore 2. La dinastia severiana, una monarchia militare: Settimio Severio, Caracalla e Geta, Elaga Balo, Severo Alessandro • Lucio Settimio Severo (193-211 d.C.) Era un africano, originario di Lepris /Magna (nell'odierna Libia), privo dunque di qualunque antenato di origine italica e proveniente da una famiglia equestre che aveva avuto accesso al senato soltanto all'epoca di Marco Aurelio. Non a caso Settimio Severo avverti ben presto l'esigenza di autolegittimazione, dichiarando nel 195 di essere figlio di Marco e fratello di Commodo, la cui memoria fu così riabilitata. Questo imperatore libico contrasse matrimonio con un'altolocata donna orientale, Giulia Doma, figlia di Giulio Bassiano, gran sacerdote del tempio del Sole a Emesa in Siria. Tra il 197 e il 198 Settimio Severo condusse una seconda campagna partica a seguito della quale espugnò Ctesifonte e costituì la provincia di Mesopotamia, Affidandola a un prefetto di rango equestre come nel caso dell’egitto, a testimonianza del ruolo di crescente rilievo occupato dai cavalieri. Per il valore mostrato in queste campagne all’imperatore furono conferiti gli appellativi di partico arabico e di partico adiabenico. Nel 208 l’imperatore condusse una spedizione in Britannia contro i caledonie nel vano tentativo di riportare il confine al vallum Antonini: ammalato Mori e nell’odierno York e i figli conclusero una pace con i caledonie e rientrarono a Roma. Il Regno di settimio severo e più in generale la sua stessa dinastia severiana possono essere considerati come una fase di vera e propria monarchia militare, dato il risultato risalto conferito ai soldati, considerati ormai strumenti imprescindibili del potere imperiale. L’imperatore infatti procedette a una vera e propria ristrutturazione dell’esercito: • Incrementò il numero delle legioni • aumentò la paga delle coorti pretorie, delle truppe ausiliarie e dei legionari;: • concesse ai legionari il diritto di contrarre matrimonio già durante la leva • consenti ai centurioni l'accesso diretto all'ordine equestre senza passare attraverso il primipilato • conferi ai cavalieri il comando delle tre sopramenzionate legioni partiche di recente costituzione; • offri la possibilità di organizzarsi in collegia nei campi militari; • concesse ai veterani l'immunità dai munera personalia (cioè oneri fiscali posti a carico di un singolo individuo). Non meno rilevanti furono gli interventi imperiali in campo fiscale, monetarioed economico: • istituì l'annona militaris, una tassa in natura, imposta solo in casi di emergenza, destinata ai bisogni dell'esercito e gravante anche sul suolo italico; • vietò l'aderazione (adaeratio), cioè la conversione in denaro di una tassa dovuta allo Stato in natura; • ridusse del 50% il contenuto di metallo fino nella moneta argentea, cioè il denarius, imponendo tuttavia forzosamente il consueto valore d'acquisto rispetto alla moneta aurea; • promosse la messa a coltura di aree incolte, anche di proprietà imperiale, sulla scia di un provvedimento di Pertinace, ma anche di precedenti leggi risalenti ad Adriano e ancor prima a Vespasiano. Questi provvedimenti denotano certamente autoritarismo, dirigismo e assolutismo. D'altra parte, la prestigiosa carica della prefettura al pretorio fu ricoperta da uomini di fiducia dei Severi, ossia giuristi illustri come Papiniano, sotto Settimio Severo, nonché Ulpiano e Giulio Paolo, allievi del precedente e attivi sotto Severo Alessandro. Secondo la Storia Augusta, inoltre, Settimio Severo avrebbe proibito il proselitismo a ebrei e cristiani. •Marco Aurelio Antonino, detto Caracalla (211-217 d.C.) • Publio Settimio Geta (211-212 d. C.) Lucio Settimio Bassiano fu elevato dal padre già nel 198 al rango di Augusto con il nome di Marco Aurelio Antonino, sempre nella prospettiva dell'auto-adozione «postuma» all'interno della dinastia degli Antonini; in realtà, L’imperatore è meglio noto come Caracalla, dal nome del particolare mantello che era solito indossare jeta, invece, nel 198 e verrando di Cesare e solo nel 209 quello di Augusto. Alla morte di settimo severio dunque Caracalla e getta erano entrambi augusti: si trattava di un secondo caso di doppio Principato dopo quello di Marco Aurelio e Lucio vero. la duplice raccomandazione che il padre avrebbe dato i figli in punto di morte, ossia il mantenimento della Concordia tra i fratelli e un’attenzione privilegiata nei confronti dei soldati, fu rispettata soltanto per metà: già nel 212 Caracalla fece assassinare geta fra le braccia della madre nel decreto la damnatio memoriae e rimase unico imperatore. Caracalla d’altro canto proseguì la politica paterna di concessione regionale e i pretoriani, alla quale richiedeva una notevole disponibilità economica in un’epoca di crescente inflazione: per contrastare questa inflazione l’imperatore introdusse l’antoninianus. Nella medesima prospettiva di incremento delle entrate dello Stato deve essere inquadrata la constitutio antoniniana, un atto legislativo promulgato nel 212 è noto anche come editto di Caracalla: l’imperatore concedeva la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’impero, fatta eccezione per i dediticii, Ossia quelle popolazioni barbariche recentemente sottomesse ma di fatto non ho ancora toccato alla romanizzazione, come il contadino egizio, trajo, celtico. L'imperatore, inoltre, lega il suo nome anche a un grandioso complesso termale fatto edificare a Roma a sudest dell'Aventino. In politica estera Caracalla, nel tentativo di proseguire le campagne militari del padre e allo stesso tempo di proporsi come novello Alessandro Magno, si rivolse dapprima, nel 213-214, contro le tribù germaniche di Alamanni e Quadi e poi, a partire dal 214, si diresse verso l'Oriente, dove il suo intervento era richiesto da un conflitto sotto all'interno del regno partico tra il filoromano Vologese VI e il fratello Artabano V. Caracalla, dopo aver chiesto Invano in sposa la figlia di artabano, intrapreso una campagna militare senza tuttavia portarla a compimento, perché ucciso nei pressi di carre dietro istigazione del prefetto al pretorio Marco opellio macrino, Il primo Cavaliere è divenuto imperatore cara calla non avevo figli ne avevo disegnato un successore; macrino, dal canto suo associo al potere il giovanissimo figlio diadumeniano. Non piacque tuttavia alle truppe il fatto che magrino virgola dopo essere stato sconfitto presso nisibi si fosse risolto a comprare la pace dai parti. I timori di Macrino erano fondati poiché, il 16 maggio 218, a distanza di poco più di un anno dalla scomparsa di Caracalla (avvenuta l'8 aprile 217), veniva acclamato Augusto il procugino dello stesso Caracalla, Sesto Vario Avito Bassiano, noto come Elagabalo. • Sesto Vario Avito Bassiano, detto Elagabalo (218-222 d. C.) La condotta tenuta da Elagabalo fu per lo meno eccentrica e soprattutto apparve decisamente irriguardosa nei confronti della religione tradizionale: • si fece riconoscere dal senato come imperatore-sacerdote di matrice orientale; • fece portare a Roma una pietra nera conica, simbolo della divinità solare di Emesa, e la fece collocare in un tempio sul Palatino appositamente edificato, l’elagabalium, Nel tentativo di imporre nell’urbe un culto orientale come religione di Stato • Cerco di istituire forme sacrificale rituali differenti da quelle romane • Contrasse numerosi matrimonio uno dei quali scandaloso con una vestale Furono proprio Giulia mesa e Giulia mamea, Rispettivamente nonna e zia materna dell’imperatore, elaborare un piano che garantisse il proseguimento della dinastia: esse convinsero elagabalo Ad adottare nel 221 il cugino gessio alessiano bassiano e a programmarlo Cesare col nome di Marco Aurelio Alessandro. Dell’onomastico manteneva il legame con gli Antonini e il collegamento simbolico con il condottiero macedone; Per di più si lasciò trapelare anche in questo caso la notizia che Alessandro fosse figlio di Caracalla appunto i pretoriani però non paghi di questa soluzione di compromesso, nel Marzo del 222 si sbarazzano di elagabalo e di sua madre soelia , e Alessandro imperatore. • Marco Aurelio Severo Alessandro (222-235 d.C.) Il primo atto del nuovo imperatore fu l'assunzione del nome ufficiale completo di Marco Aurelio Severo Alessandro, che aggiungeva al livello onomastico, non casualmente, anche la connessione con il ramo africano della dinastia nella persona del suo glorioso capostipite. Il nuovo sovrano si presentò subito come l'antitesi del cugino che lo aveva preceduto: in questa immagine così positiva dovettero incidere certamente il suo atteggiamento filosenatorio, ma soprattutto la presenza a corte di insigni giuristi quali i già ricordati Ulpiano. Numerosi provvedimenti contribuirono poi a tratteggiare di Severo Alessan- dro il profilo del principe ideale: • riduzione della tassazione; • concessione statale di prestiti a basso interesse per promuovere l'agricoltura; • assegnazioni di terre ai veterani; • impulso dato alle competenze tecniche nella formazione dei giovani; • assegnazione di borse di studio in natura a giovani liberi non abbienti; • istituzione di cattedre retribuite per retori, grammatici, medici, architetti e ingegneri; • assoluto rispetto per la religione tradizionale romana, in aperto contrasto con il predecessore; • Atteggiamento decisamente conciliante nei confronti dei cristiani Per quanto riguarda la politica estera, il Regno di severo Alessandro video un rivolgimento all’interno della dinastia irenica regnante poiché nel 224 agli Arsacidi Si erano sostituiti i sasanidi punto il nuovo sovrano artaserse in base Armenia e mesopotamia e compì incursioni in Siria e in cappadocia. 3. L’anarchia militare: da Massimino a emiliano; Valeriano e Gallieno; I restitutored illyrici Circa 20 imperatori, fra detentori legittimi del potere e usurpatori si succedettero nel cinquantennio compreso fra la morte di Severo Alessandro l’ascesa, Al trono di Diocleziano (235-284 d. C.), arco temporale noto come anarchia militare a indicare la provvisorietà e la mutevolezza delle acclamazioni imperiali da parte delle truppe nonché la durata relativamente breve, quando non effimera, dei singoli regni. Benché si trai di un periodo della storia imperiale particolarmente complesso E talora «caotico», che non a caso ha fatto parlare gli storici moderni di « crisi è tuttavia possibile, in qualche misura, enucleare al suo interno tre fasi sulla base dei differenti orientamenti politici che di volta in volta connotarono la lotta per il potere: • da Massimino il Trace (235) a Emiliano (253), quando sul trono di Roma si alternano cavalieri e senatori; • da Valeriano (253) a Gallieno (268), allorché sembra riaffermarsi il principio dinastico; • da Claudio II Gotico (268) a Carino (285), quando prevalgono gli imperatori illirici con grandi competenze militari. • Gaio Giulio Vero Massimino, detto il Trace (235-238 d.C.) Gli stessi soldati che avevano ucciso Severo Alessandro acclamarono imperatore un ufficiale di rango equestre, Massimino, detto il Trace per la sua provenienza geografica, L'origine provinciale di questo imperatore, d'altra parte, non costituiva certamente una novità, dal momento che, come si è visto, da Traiano in poi, ebbero accesso al trono numerosi individui non italici. Massimino consegui importanti successi contro gli alamanni nel 235 i sarmati nel 236 appunto per sostenere le spese di finanziamento delle campagne militari e di ristrutturazioni del tessuto viario virgola in gremendo oltremodo la pressione fiscale soprattutto sui senatori proprietari di latifondi situati in aree geografiche lontane periferiche rispetto al limes renano- danubiano punto e fu proprio da un’aria molto distante che ebbe origine la rivolta contro l’imperatore nel Marzo del 238: alcuni esponenti dell’aristocrazia terriera della provincia proconsolare da Africa, forti dell’appoggio nei dei propri servi e contadini massacrarono le procuratore • nel 274 si riappropriò senza combattere dell'imperium Galliarum, ricevendo la resa da parte di Tetrico, ma conferendo a quest'ultimo la carica di corredtor Lucaniae o di corrector totius Italiae. Sul piano della politica interna Aureliano fu altrettanto attivo in campo edilizio, economico e religioso: • di fronte alle incombenti minacce esterne l'imperatore fece cingere Roma con un'imponente cerchia muraria, lunga 19 km e spessa circa 4 m, il secondo perimetro difensivo dopo quello, antichissimo, attribuito al re Servio Tullio • inquadrò le associazioni professionali (collegia), come quelle dei naviculari («armatori di navi»), rendendole corpora coattivi alle dipendenze dello Stato; • Riformò le distribuzioni gratuite di pane e di carne suina e garanti vino a prezzo politico e gli abitanti di Roma • punì i monetieri di Roma, forse rei di avere adulterato le emissioni, con la chiusura temporanea della zecca della capitale • Introdusse una moneta di biglione • Consolidò il carisma imperiale attraverso l’introduzione del culto ufficiale del Sol invictus •Marco Claudio Tacito (275-276 d.C.) • Marco Annio Floriano (276 d.C.) La scelta di un nuovo imperatore fu rimessa dagli eserciti al senato e ricadde su Marco Claudio Tacito, un nobile italico che alimentò l'illusione di un ritorno al costituzionalismo senatorio. Nonostante il suo impegno contro i Goti, fu presto eliminato e a lui segui il fratellastro Marco Annio Floriano. A quest'ultimo, però, le truppe di Siria ed Egitto contrapposero un altro illirico, Marco Aurelio Probo, nativo di Sirmium in Pannonia: tra i due Floriano ebbe la peggio. • Marco Aurelio Probo (276-282 d.C.) Il regno di Probo fu connotato da una serie di successi militari non soltanto contro popolazioni esterne nemici interni e popoli nomadi. Approfittando di questo clima d'insicurezza, alcuni dei Franchi, stanziati dallo stesso Probo sul Mar Nero, intorno al 280 si impadronirono di naves, «trasformandosi» in pirati: dopo aver saccheggiato Asia Minore, Grecia, Africa e Sicilia, si spinsero nell'Oceano e scomparvero. Anche l'imperatore cadde vittima dell'ennesima congiura e le truppe di Rezia acclamarono imperatore il prefetto al pretorio Marco Aurelio Caro. • Marco Aurelio Caro (282-283 d.C.) • Marco Aurelio Numeriano (282-284 d,C.) • Marco Aurelio Carino (283-285 d.C.) Caro associò al potere i figli carino e numeriano, prima come Cesare e poi come augusti,affidò il settore occidentale a carino mentre riservo per sé e numeriano quello orientale. la campagna persiana fu coronata da un grande successo poiché ctesifonte e seleucia vennero saccheggiate ma poco dopo e caro morì l’anno seguente la stessa sorte toccò numerano. Il dalmata gaio Valerio diocle, capo della guardia personale dell’imperatore, fu acclamato Augusto a nicomedia dalle truppe orientali nel 284 assunse la titolatura ufficiale di gaio Aurelio Valerio diocleziano. 4. Diocleziano e l’ordinamento tetrarchico: la cooptazione come nuovo criterio di successione • Gaio Aurelio Valerio Diocleziano (284-305 d.C.) • Marco Aurelio Valerio Massimano detto Erculeo (Cesare 285.-286, Augusto 286-305 d.C.) • Gaio Galerio Valerio Massimiano (Cesare 293-305, Augusto 305-311 d.c. • Flavio Valerio Costanzo, noto come Costanzo Cloro (Cesare 293-30}. Augusto 305-306 d.C.) Nello stesso 285 Diocleziano si associò come Cesare un generale nativo di Sirmium, Marco Aurelio Valerio Massimiano, elevato ad Augusto l'anno seguente. Al recupero del modello diarchico si affiancava la suddivisione in sfere di competenza territoriale: a Massimiano veniva affidato il settore occidentale, mentre Diocleziano sarebbe stato responsabile di quello orientale. Questa divisione dei compiti diede frutti positivi, poiché entrambi gli Augusti conseguirono importanti successi: • Massimiano represse nel 285 in Gallia i Bagaudae, fece fronte alle scorrerie di Alamanni e Burgundi e tentò di intavolare trattative con il ribelle Carausio, che imperversava in Britannia e Gallia con azioni piratesche; • Diocleziano sconfisse i Carpi in Mesia, impose un re filoromano in Armenia e vinse sui Sarmati. Nel 293 d.C. alla ripartizione territoriale del potere imperiale conobbe un senza precedenti, dal momento che ciascuno Augusto scelse un proprio: Diocleziano nominò gaio galerio Valerio Massimiliano, Massimiliano scelse Flavio Valerio Costanzo quella noto come Costanzo cloro. Questa forma di governo nota come tetrarchia, si fondava su un principio che non era dinastico ma altamente meritocratico basato sulla cooptazione membri interni e un collegio comportava che due augusti in carica cooptassero appunto i due Cesari E che questi ultimi, divenuti augusti, Coop a loro volta i due nuovi Cesare. Una volta costituito il collegio tetrarchico, gli imperatori elessero quattro distinte residenze e conseguirono vittorie ciascuno nelle proprie aree di responsabilità: • Diocleziano sedò una rivolta in Egitto e fece edificare intorno al 298 una via lastricata (strata Diocletiana), una linea munita di fortezze e torri d'avvi- stamento che metteva in collegamento l'Eufrate con il Mar Rosso; • Massimiano represse una ribellione in Mauretania; • Galerio inflisse pesanti sconfitte a Goti, Sarmati, Marcomanni e Persiani • Costanzo Cloro in Britannia si sbarazzò di Carausio e poi di Alletto, che ne aveva preso il posto. Nessuno degli imperatori risiedeva più a Roma, non soltanto per ragioni strategiche, ma anche per evitare che uno dei tetrarchi occupasse una sede simbolicamente più prestigiosa delle altre. L'età tetrarchica vide un'imponente serie di provvedimenti in campo amministrativo, militare, fiscale, monetario, economico, giuridico e religioso. Per quanto concerne l'ambito amministrativo, allo scopo di controllare il territorio in modo più capillare e ridimensionare l'importanza dei governatori, le province, ridotte nelle dimensioni ma aumentate nel numero, divennero all'incirca un centinaio e vennero amministrate da governatori civili con competenze giurisdizionali, amministrative e fiscali eventualmente affiancati da duces (comandanti militari) dotati di legioni nelle province di frontiera. A loro volta le province così costituite furono incluse all'interno di 12 distretti amministrativi più ampi, le diocesi, ciascuna retta da un vicarius, responsabile dell'esazione fiscale, e dotata di una zecca imperiale; in ogni diocesi operavano i rationales, funzionari del fisco. L’Italia in particolare perse il privilegio dell’autonomia amministrativa e l’esenzione degli oneri tributari, che fino ad allora l’avevano connotata, fu omologata tutte le altre province e sottoposta così a regolare tassazione: il territorio italico venne suddiviso anch’esso in province, raggruppate all’interno dei due vicariati, quello dell’Italia annonaria a nord e quello dell’Italia suburbicaria Nel settore centro meridionale dell’isola, isole comprese. Per quel che attiene all'aspetto militare, sulla scia di un processo già avviato da Gallieno prima e da Aureliano poi, Diocleziano procedette a una riorganizzazione dell'esercito Finalizzata a una migliore distribuzione delle truppe su più fronti di guerra contemporaneamente. Affiancò, infatti, alle unità stabili costituite dai soldati limitanei di stanza lungo le frontiere, le unità mobili definite comitatenses (da comitatus, «seguito imperiale), composte soprattutto di reparti di cavalleria (vexilationes) e di corpi di fanteria, e destinate ad accompagnare l'imperatore e la sua scorta nei loro numerosi e continui spostamenti. dal punto di vista fiscale, all'interno di ogni diocesi la quantità di terreno imponibile (agrorum modus) fu divisa per il numero dei coloni (hominum numerus) e il risultato, anche in base alle diverse tipologie di colture, fu la formula census, cioè l'unità territoriale fiscale che in ogni diocesi corrispondeva a ciascun caput («testa»), ossia a ogni singolo lavoratore in rapporto alla terra coltivabile (ingum): ne conseguiva che lo iugum risultava tanto più esteso laddove la densità demografica era minore e che dunque la tassazione si rivelava più gravosa nelle province meno popolate. Questo nuovo sistema della capitatio-ingatio garanti la regolarità del gettito fiscale, ma obbligò sia i contribuenti a pagare per il fondo vicino, eventualmente abbandonato (adiectio, «aggiunta»), sia i componenti dei senati municipali. Questo computo dei capita non era tuttavia perfettamente affidabile poiché non teneva conto di variabili come le invasioni, le epidemie e le cattive annate. Alle imposte ordinarie furono affiancate tasse aggiuntive in natura, quali quelle legate ai servizi di trasporto, acquartieramento delle truppe e manodopera gratuita. sul piano monetario l’imperatore per contenere l’inflazione emise nominali d’oro e di argento Quanto alla politica economica diocleziano, sempre allo scopo di ridurre la tendenza inflativa, promulgò ne 301 l’edictum de pretiis rerum venalium, un calmiere che fissava i prezzi massimi delle merci, dei servizi e delle prestazioni lavorative e comminava pene ai trasgressori. • Per quanto riguarda gli aspetti giuridici, poi, fu proprio sotto diocleziano che vennero redatti i primi codices, ossia il Gregorianus e l'Hermogenianus, espressione della mentalità tradizionalista e rigorosa dell'imperatore è sopratutto un provvedimento volto a tutelare il matrimonio. • Per quel che concerne la religione, infine, è particolarmente evidente eviporoso il tradizionalismo di Diocleziano, Quest’ ultimo si fregiò dell’appellativo di «Giovio», mentre il suo collega Massimiano assunse quello di «Erculeo>> i due Cesari aderirono l'uno, Galerio, al culto di Marte, l'altro, Costanzo Clara, verosimilmente a quello del Sole. Non si trattava soltanto di una scelta conservatrice, ma era anche, soprattutto nel caso dei due Augusti, l'espressione di una «religione politica» mirante a sottolineare la condizione di semi divinità degli imperatori, in quanto essi stessi partecipi dell'essenza divina. In questo quadro ideologico ben si comprendono il bando contro i Manichei, setta religiosa d'origine persiana, e soprattutto i quattro editti contro i cristiani, Nel febbraio del 303 un primo editto ordinava la distruzione delle chiese, il rogo dei libri sacri, il divieto di riunirsi in assemblea e la confisca dei beni della Chiesa; un secondo e un terzo editto disponevano l'arresto dei sacerdoti e la condanna a morte per coloro che si fossero rifiutati di sacrificare agli dèi; un quarto editto nel 304 scatenò una persecuzione generalizzata. I tetrarchi non mostrarono tutti la stessa ferocia nei riguardi dei cristiani: mentre nei territori controllati da Costanzo cloro le persecuzioni si esaurirono presto e colpirono i luoghi di culto e non i fedeli, in oriente, nelle aree sottoposte a diocleziano e galerio, esse furono assai più violente e si perpetuarono anche sotto Massimino daia, tra il 306 e il 313, nonostante la promulgazione del 311 di un primo editto di tolleranza da parte di galerio. Benché in genere i fedeli affrontassero il martirio con coraggio, non mancarono tuttavia ì traditores, ovvero coloro i quali avevano ceduto alla consegna dei testi sacri dell’autorità. Nella forte impronta teocratica conferita da Diocleziano al potere imperiale non vanno dimenticati taluni aspetti molto significativi del cerimoniale di corte: il sovrano indossava di norma una veste purpurea adorna di pietre preziose, viveva nel palazzo ed era oggetto di adorazione. Coloro che si presentavano al suo cospetto dovevano inginocchiarsi e baciare un lembo della sua veste, poiché egli non era più un princeps, ma un dominus. Il 1° maggio del 305, in coincidenza con i vicennalia, Diocleziano e Massimiano abdicarono, ritirandosi a vita privataCl'uno nel famoso palazzo di Spalato in Dalmazia, l'altro in una residenza del Meridione d'Italia. • Gaio Galerio Valerio Massimino noto come Daia (Cesare 305-309/310, d.c. Augusto 309/310-313 d.C.) • Flavio Valerio Severo (Cesare 305-306, Augusto 306-307 d. C.) Subentrarono, come Augusti, Galerio per l'Oriente e Costanzo Cloro per l'Occidente, mentre come nuovi Cesari furono designati rispettivamente gli ufficiali balcanici Gaio Galerio Valerio Massimino noto come Daia e Flavio Valerio severo. Anche se la cooptazione sembrava svincolare la successione del criterio dinastico, di fatto il sistema tetrarchico mostrò presto in tutta la sua evidenza il punto debole: nel luglio del 306 morì Costanzo cloro a eburacum, le truppe britanniche acclamarono Augusto il figlio dello stesso Costanzo cloro, ossia Flavio Valerio Costantino.
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