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Riassunto Rosa Fresca Aulentissima 5, Schemi e mappe concettuali di Letteratura Italiana

riassunto del quinto libro da preparare per l'esame di letteratura italiana del primo anno. Focus su autori e movimenti letterari

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

Caricato il 23/12/2022

anonimoo555
anonimoo555 🇮🇹

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Scarica Riassunto Rosa Fresca Aulentissima 5 e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Rosa Fresca Aulenti!ima - 5 La cultura del Positivismo Il pensiero positivo: contesto e protagonisti Sono due i fattori che subito dopo la metà dell’Ottocento provocano l’ascesa del pensiero positivista: - Il notevole sviluppo delle scienze naturali e del progresso scientifico - Il subentrare di una sorta di tregua politico-sociale a un periodo di generale instabilità Pietra miliare della cultura positivista è la teoria evoluzionistica darwiniana, per la quale le specie animali e vegetali non sono immutabili, ma si modificano per adattarsi alle condizioni ambientali. In tale lotta per l’esistenza, le specie sono sottoposte a una selezione naturale. Fondamentale per l’affermazione della cultura positivista è il pensiero di Auguste Comte → egli ispira a portare allo stadio scientifico anche le discipline che studiano l’uomo non solo come essere naturale ma come essere sociale. Il filosofo inglese Herbert Spencer sviluppa una teoria secondo la quale la storia dell’umanità è interessata da un progresso evoluzionistico costante. Nel Capitale Marx propone un’analisi scientifica della società capitalistica. Fondamento di tale analisi è il concetto di materialismo storico, per cui la base di ogni società è la struttura economica. Anche l’Italia vede affermarsi, negli anni tra il 1870 e 1880, la cultura positivista, per merito soprattutto di Cesare Lambroso, il quale giunge a formulare la tesi di una corrispondenza tra comportamento criminale e conformazione fisica dell’individuo. Positivismo e letteratura La tendenza introdotta dal Positivismo a fondare le conoscenze e le indagini su dati certi coinvolge anche la storiografia letteraria, sulla quale influisce la teoria evoluzionistica, in particolare nel concepire la storia come un processo graduale e selettivo. Su tali basi si sviluppa la scuola storica, il cui principale esponente è Giosuè Carducci. Hippolyte Taine pone il fatto storico e artistico in stretta correlazione con le caratteristiche umane, il contesto geografico e sociale, il momento storico in cui esso si è verificato. La teoria deterministica di Taine influenza in maniera decisiva una nuova generazione di scrittori, dai fratelli De Goncourt a Zola a Maupassant, rappresentanti della scuola letteraria naturalista. Il Naturalismo è il modo con cui la letteratura si propone di condurre un’indagine scientifica sull’uomo, partendo da presupposto dell’esistenza di leggi che regolano l’andamento della società e del comportamento individuale. I naturalisti francesi identificano nel romanzo la strada per tentare questa singolare ricerca. CAPITOLO II: Il romanzo europeo Il romanzo, genere guida dell’ottocento Il romanzo diviene uno strumento di analisi della società europea. All’epopea del secolo della borghesia corrisponde la nuova forma-romanzo nella sua connotazione realistica, che mira a rappresentare la vita degli individui e a indagare le dinamiche della società. Nelle scelte narrative, il romanzo è caratterizzato da un sempre maggiore tentativo di occultamento del narratore, che rinuncia all’onniscienza per limitarsi a fotografare la realtà. Il romanzo in Europa - Nella Francia segnata da profondi cambiamenti storici il romanzo di Stendhal segna l’inizio del Realismo, dopo il successo dei grandi romanzi di Hugo, Dumas e Sue. L’opera più celebre è Il rosso e il nero (1830), ambientata nell’epoca della Restaurazione successiva all’epopea napoleonica. Il protagonista, in relazione spesso conflittuale con la società, è animato da una forte energia e volontà di ricerca, ma, rispetto all’eroe romantico, subisce una demitizzazione, poiché vengono mostrate le sue debolezze. - Il Realismo di Honoré de Balzac si concretizza in un progetto totalizzante, la Commedie humaine, vastissima raccolta di romanzi che intendeva mettere in scena l’uomo, sottoposto ai condizionamenti ambientali, mostrando come il tornaconto personale, l’argent, sia motore della società. Parigi è il teatro su 1 cui si proietta il contrastante atteggiamento balzachiano di attrazione e disillusione nei confronti della società moderna. - Con Gustave Flaubert si attua il passaggio, sul piano della tecnica narrativa, alla narrazione impassibile. Non è più la componente ideologica il fine dell’opera artistica, bensì la perfezione della scrittura. È quanto emerge nel romanzo principale Madame Bovary, incentrato sul fortunato personaggio di Emma, insoddisfatta della propria quotidianità, anelante a un assoluto che si rivela possibile solo in letteratura. - Il romanzo naturalista di Émile Zola chiude il cerchio aperto da Stendhal. Il ciclo dei Rougon-Macquart si ispira alla Commedia umana balzachiana e offre una disamina spietata del corpus sociale malato della Francia di Napoleone III insistendo sull’ereditarietà dei vizi fisici e morali. Nel ciclo, come nei suoi principale romanzi, Zola intende farsi soltanto osservatore della realtà, rappresentandola con intento documentario. - L’Inghilterra del primo industrialismo e dell’età vittoriana si rispecchia nell’opera di Charles Dickens. Temi ricorrenti della sua narrativa, percorsa da una vena umoristica e sentimentale, sono la rappresentazione degli slums, una percezione cupa della vita metropolitana, il rimpianto per i valori ormai perduti della vita di provincia, l’insistenza su eroi bambini e orfani, dall’infanzia segnata da tragedie e contraddizioni sociali. - Il contesto socio-politico della Russia dell’epoca è molto diverso da quello dei Paesi occidentali: il potere è concentrato nelle mani del regime zarista e l’economia si regge sull’agricoltura, in cui fino al 1861 vige ancora la servitù della gleba. Nonostante questa arretratezza, esiste un gruppo di intellettuali (Tolstoj, Dostoevskij, Gogol’) aperti alle novità del pensiero occidentale e orientati a un forte, per quanto rischioso, impegno sociale. - Con Lev Tolstoj si ha un vasto affresco della società russa in Guerra e Pace. Il romanzo presenta temi cari all’autore: il valore degli umili e della loro semplicità di vita, il contrasto città-campagna, l’orrore della guerra, la ricerca di una purificazione morale, la morte come recupero dell’autenticità dell’esistenza. - Il romanzo di Fëdor Dostoevskij offre un approfondimento dell’introspezione psicologica del personaggio che tocca vette e moduli espressivi fino allora sconosciuti. In testi famosi (come Delitto e castigo, L’idiota, I demoni, I fratelli Karamazov) l’autore presenta i conflitti interiori che lacerano gli individui e al contempo la libertà profonda dell’individuo, che non si la scia ridurre ad alcuna precostituita. La Scapigliatura CARATTERI GENERALI DEL MOVIMENTO Il termine Scapigliatura, già presente col significato di vita sregolata, viene recuperato nell’800 da Cletto Arrighi, che lo usa nel titolo del suo romanzo La Scapigliatura e il 6 febbraio per designare un gruppo di giovani ribelli che vive una vita anticonvenzionale. Il termine traduce il francese bohème e ha una rapida diffusione → passa ad indicare un gruppo di letterati unito da un atteggiamento comune di ribellismo e anticonformismo. La Scapigliatura è un fenomeno composito e disomogeneo. La sua area di diffusione è circoscritta alla Lombardia con alcune propaggini in Piemonte. Si tratta di un fenomeno legato alle caratteristiche dell’area lombarda, Milano soprattutto: è qui che era nato il Romanticismo italiano e si era imposto il magistero di Manzoni. Il contrasto che si crea fra l’esaurirsi dello slancio romantico e l’incalzare della modernità è più acuto nelle nuove generazioni di intellettuali che, pur appartenendo alla borghesia, vi si oppongono contestandone il conformismo e la logica del profitto. La reazione alla cultura dei padri va di pari passo con l’interesse per la poesia dei maledetti francesi, Baudelaire soprattutto. Ne condividono la vocazione al ribellismo e allo scandalo. Nonostante tale punto in comune, la Scapigliatura non è un movimento unitario: sono diversi gli atteggiamenti dei suoi protagonisti, che hanno posizioni politico-sociale molto varie. Il termine Scapigliatura indica dunque l’atteggiamento nei confronti dell’arte e della letteratura. L’artista si ribella al mondo rivendicando la superiorità dei valori dello spirito su quelli materiali. In una realtà dominata dalla legge dell’utile e del profitto, in cui l’artista, essendo una figura superflua, è un emarginato, rivendicano il valore dell’arte. A causa della profonda delusione conseguente al tradimento degli ideali risorgimentali, in molti artisti si fa acuta una crisi d’identità che incrina il tradizionale ruolo di guida morale dell’intellettuale e rende sempre più chiaro il senso della propria emarginazione. Accanto ai proclami artistici anche l’artista vive una vita da ribelle; in altri, invece, tale atteggiamento è solo una fase giovanile, dal momento che poi nella maturità si integrano nella società. Modelli sono Hoffman, Heine e Nerval per la dimensione del fantastico, ma soprattutto Baudelaire e Poe → questi esplorano la 2 Naturalismo francese e verismo italiano La natura dei rapporti dello scrittore siciliano e del Verismo con il Naturalismo francese pone dunque una serie di questioni: si può parlare di filiazione diretta del primo dal secondo? I criteri dell’oggettività e dell’impersonalità costituiscono i principali punti di contatto con la scuola naturalistica: nonostante ciò, Verga rifiuta l’assunzione diretta del dialetto e prende le distanze da un atteggiamento mimetico rispetto alla realtà rappresentata. Grazie a un’operazione intellettuale egli plasma una sintassi artificiale, ottenuta calando entro le strutture linguistiche italiane le cadenze e i ritmi del dialetto siciliano. Rifiutando il dialetto, Verga si propone di non limitare il pubblico e aspira consapevolmente a un orizzonte nazionale. La scelta appare ardua e sarà uno dei motivi alla base dell’insuccesso iniziale delle opere verghiane → Zola poteva contare su una platea di lettori, Verga ha molta più difficoltà a imporre la sua nuova idea di romanzo. Fisiologia e antropologia Altro elemento di differenza è il diverso rapporto tra il romanzo, la scienza e il progresso. Zola applica al romanzo gli assiomi della medicina sperimentale, il romanziere mutua così dallo scienziato i tre momenti del metodo scientifico → osservazione, formulazione di ipotesi e verifica sperimentale L’opera sarà quindi fondata sulla fisiologia: unione di scienza e arte dal punto di vista di metodi e linguaggio, al fine di analizzare i comportamenti umani come effetti di determinati fattori. Il nuovo romanzo naturalista diventa un potente mezzo di denuncia dei mali della società. Zola è su posizioni progressiste e si impegna attivamente in battaglie civili e sociali nel suo Paese. Dall’impostazione di Verga traspare invece una sostanziale sfiducia nei confronti della scienza. Alla base di questa sfiducia c’è una severa critica al progresso e un conservatorismo sul piano ideologico, che esclude ogni trasformazione in positivo, affidata alle scoperte scientifico-tecnologiche e alla letteratura. Si interessa ai meccanismi che condizionano le vicende della comunità arcaico-rurali che, costrette a entrare in contatto con i principi dell’utile e del profitto, rischiano di perdere i propri tratti originari. Prevale l’attenzione a una dimensione antropologica che esplora i temi dello spazio familiare e dei piccoli borghesi, depositari di un complesso di valori tradizionali che vengono ricostruiti attraverso studi di natura etnologica e folklorica. La metropoli e la provincia Zola sceglie come campo d’osservazione privilegiato Parigi, capitale di un Paese politicamente accentrato e unitario. È nelle grandi città che si concentrano pregiudizi, vizi e malattie, al contrario la vita nei campi è vista in ottica bucolica. Zola si concentra sul mondo patologico della metropoli parigina e il complesso dei suoi romanzi prevede un’indagine a tutto campo sulla società, che non esclude il mondo contadino. Verga e i veristi valorizzano invece le varietà regionali che, pur rendendo complesso il processo di unificazione, rappresentano ricchezza dal punto di vista artistico, sociale e antropologico. Verga intendeva allargare il ciclo dei Vinti a tutte le classi sociali ma è evidente la centralità della Sicilia, più arretrata e più ricca di sentimenti e di umanità. Gli esiti della narrativa verghiana Una nuova rappresentazione del popolo Il Verismo di Verga rappresenta il punto di partenza di un percorso letterario volto a descrivere la vita morale, sentimentale e affettiva dei ceti più bassi. La descrizione del popolo non è più effettuata dall’alto, non guarda a questo mondo con l’occhio della persona colta ma rinuncia a ogni forma di giudizio. Un mondo visto "da lontano” Questo risultato è ottenuto grazie alla tecnica dell’impersonalità e all’adozione di un’ottica estranea tanto all’autore quanto ai lettori. Verga tende a occultare i significati delle vicende, convinto che siano la natura stessa delle cose e la loro rappresentazione a doverli esplicitare. Tuttavia, mentre Zola, per descrivere i bassifondi parigini, si immerge fisicamente in quei luoghi, Verga, quando decide di raccontare della sua terra d’origine, sente di dover mantenere una distanza fisica da quel mondo. Il romanzo nasce come ricostruzione intellettuale e per fare questo studia usi e costumi, recupera proverbi e ricostruisce abitudini e mentalità. Adotta l’artificio della regressione: arretra dalla propria visione del mondo, intellettuale e borghese, per assumere il punto di vista e i valori dei popolani di cui narra. 5 La "forma inerente al soggetto" e lo “straniamento” La forma deve essere inerente al soggetto, cioè non si deve avvertire alcuno scarto tra la voce narrante e quella dei personaggi. Abbandonato il narratore onnisciente, Verga opta per un narratore anonimo popolare, che racconta i fatti “dall’interno” di una comunità di cui condivide usi, costumi e lingua. La rinuncia dello scrittore a far sentire direttamente il proprio giudizio e la propria interpretazione non azzera la distanza tra il punto di vista del narratore e quello dell’autore. L’autore arriva al lettore per via indiretta, attraverso l’artificio dello straniamento, che consiste nel far apparire strano ciò che è normale e viceversa. Il giudizio, che riflette i pregiudizi della comunità, non può essere condiviso dal lettore, che avverte lo scarto dal punto di vista del nattarore e comprende che la gerarchia dei valori vada rovesciata: nella distanza tra la voce esplicita del narratore e il silenzio implicito dell’autore si percepisce la posizione di quest’ultimo, la sua critica e la sua visione del mondo. Pessimismo e anti-progressismo: il tema dei vinti Materialismo, determinismo e destino La prospettiva ideologica di Verga è certamente influenzata dalle teorie positivistiche, assunte in maniera critica e ribaltante nei loro esiti. Comune ai naturalisti è la concezione deterministico-materialistica della natura e dell’esistenza. Nei romanzi naturalisti si riflette una concezione deterministica della realtà: l’individuo è alla mercé di forze cieche (il moment, periodo storico; il milieu, l’ambiente; la race, l’ereditarietà biologica). Anche in Verga agisce una visione materialistica dell’esistenza, dominata dall’egoismo individuale, dalla logica del profitto e da un destino che costituisce il limite di tutte le aspirazioni umane. I principi della materialità dell’ambiente si inseriscono in un orizzonte più vasto dominato da una grandiosa e oscura divinità → il destino, che pesa su tutti e che costituisce il limite di tutte le aspirazioni. L’altra faccia del progresso Verga ha una concezione del mondo da cui è esclusa ogni illusione e ogni visione consolatoria dell’esistenza. Il suo atteggiamento davanti allo sviluppo storico dell’umanità appare contraddittorio: da un lato condivide la visione progressiva della storia tipica della sua epoca, dall’altro mostra come il progresso sia anche una macchina mostruosa che distrugge i deboli e i vinti. Riconosce il carattere determinato e irreversibile del corso storico, non si rifugia in un recupero nostalgico del passato né crede che le vite individuali perdano di valore di fronte alla modernizzazione. Cerca piuttosto di mostrare come dietro il progresso si nascondono tragedie individuali e sconfitte collettive. La vita degli uomini è regolata dai meccanismi della storia e della natura, che subordinano tutto alla lotta per l’esistenza: quando la storia irrompe in situazioni consolidate ne travolge il fragile equilibrio colpendo i più indifesi. Verga mette in scena gli istinti comuni a ogni essere umano → desiderio di migliorare le proprie condizioni materiali come motore dell’agire sociale, che scatena ambizioni e avidità; interesse come principale norma della convivenza civile. A Verga interessa mostrare l’altra faccia del progresso, tutto ciò che di negativo si nasconde dietro la sua esaltazione, e gli spetta il compito di fare un’analisi lucida sincera della realtà. Il ciclo dei vinti Il programma verghiamo prende forma in raccolte di novelle: Vita dei campi e Novelle rusticane. Tale interesse alimenta l’ambizioso progetto di dar vita a un ciclo di cinque romanzi in cui studiare gli effetti prodotti sui singoli e sulle comunità sociali dal desiderio di progresso. Il desiderio di migliorare le proprie condizioni spinge gli uomini ad abbandonare le proprie tradizioni per avventurarsi su strade future. È l’ideale dell’ostrica: come l’ostrica staccata dallo scoglio, in cui la natura l’ha chiamata a vivere, è destinata a morire, così l’uomo che rinuncia alle proprie radici per star meglio sarà destinato a piegare il capo sotto l’incalzare dei più forti. Il ciclo dei romanzi doveva essere impostato secondo una logica ascensionale, che partisse dalle classi più basse, dove gli appetiti e i bisogni sono più elementari, per arrivare a quelle più elevate. In realtà il progetto vide la luce dei soli due primi romanzi: I Malavoglia e Mastro-don Gesualdo. 6 Verga e la fotografia Dalla narrativa alla fotografia L’insuccesso di pubblico di questa sua narrativa e una chiusura ideologica sempre più netta spingono Verga a riflettere sulla reale riproducibilità del vero in letteratura. Si volge alle nuove arti di riproduzione della realtà: il cinema e la fotografia. Pioniere di una nuova arte Per quanto riguarda la fotografia, fu un pioniere in Italia: non solo scattava fotografie, ma le sviluppava e stampava personalmente. Fece della sua passione uno strumento per la preparazione dei suoi romanzi: fissava nelle lastre, oltre a parenti e amici, il mondo dei contadini e i luoghi della sua terra, guidato dalla ricerca della verità. Immagini e scrittura L’immaginario iconografico che emerge dalle sue fotografie è imparentato con quello letterario: entrambi sono sostenuto dalla stessa ricerca di rappresentazione del vero. Man mano che Verga procede nella sua ricerca e più cocenti si fanno le delusioni letterarie, la fotografia prende gradualmente il posto della letteratura, proprio perché gli sembra in grado di restituire ambienti e figure con il massimo dei fedeltà. La macchina fotografica risulta meno soggetta alla volontà dell’autore che le è nascosto dietro. Il vero fotografico, in una prima fase strumento di lavoro per accedere al vero storico- antropologico, acquisisce col tempo una sua autonomia. L’esito dell’impegno fotografico Nonostante gli stretti rapporti tra fotografia e letteratura, i risultati concreti di Verga nelle due arti sono sensibilmente diversi. La fotografia di Verga è statica, ancorata alla tradizione del ritratto fermo e isolato; le immagini sono patetiche e mal riuscite, con luci non dosate e ruvidi sfondi che mostrano malinconia. La trilogia patriottica Tra patriottismo e letteratura popolare Il primo romanzo scritto da Verga quando era ancora uno studente, Amore e patria, non pubblicato dall’autore, narra una vicenda di liberazione nazionale ambientata al tempo della guerra di indipendenza americana. Il romanzo successivo, I carbonari della montagna, il primo a essere pubblicato, è un romanzo storico ambientato all’epoca delle prime organizzazioni carbonare. Il terzo romanzo, Sulle lagune, racconta il suicidio per annegamento di due innamorati, una ragazza italiana e un giovane cadetto ungherese dell’esercito austriaco, incapaci di colmare con la passione amorosa la distanza politica. Le prime prove di Verga risentono della ristrettezza dell’ambiente culturale catanese e dell’educazione letteraria improntata alla lettura della poesia risorgimentale e dei romanzi storici. L’influenza dei Romanzi francesi è ben visibile nel reiterarsi dei colpi di scena e nella predilezione per situazioni complicate e inverosimili. I romanzi fiorentini Una peccatrice Alla trilogia patriottica seguono i romanzi fiorentini: giunto a Firenze, Verga dà alle stampe Una peccatrice, in cui abbandona la tematica patriottico-risorgimentale. La storia narra la passione tragica tra un giovane provinciale e aspirante scrittore ed una contessa, che alla fine del romanzo, distrutta dall’oppio, si suicida. Il romanzo mette in scena la crisi esistenziale e creativa dello scrittore, diviso tra il tentativo di dominare la sua infatuazione per la contessa e la ricerca di celebrità letteraria. Per quanto concerne la costruzione, il romanzo intreccia la narrazione epistolare a quella di un testimone: questa tecnica permette a Verga di istituire un punto di vista estraneo a quello dei protagonisti. 7 Teatro e romanzo Verga considera la produzione drammatica formalmente più arretrata, riprendendo implicitamente le dichiarazioni di Zola sulla maggiore maturità del genere narrativo nei confronti di quello drammatico. Questa funzione subalterna giustifica il riferimento costante ai modelli letterari che si riscontrano nel teatro di Verga: i copioni non sono mai originali, ma vengono ricavati da precedenti novellistici; di derivazione letteraria è anche l’organizzazione ciclica. Come nei Vinti Verga intende dedicare ogni romanzo a un gradino della scala sociale, così progetta tre commedie: una dedicata al mondo contadino (Cavalleria rusticana), una al proletariato urbano (In portineria), un’altra, mai realizzata, all’alta borghesia. Le ultime opere Verga trascrive per il teatro anche La Lupa, cui segue un importante dittico, Caccia al lupo e Caccia alla volpe. Entrambi sono costruiti intorno al tema del triangolo amoroso e intendono dimostrare la diversa influenza dell’educazione e dei caratteri di fronte al comune tema dell’adulterio. Il periodo teatrale si chiude con il tentativo più importante del Verga drammaturgo, la scrittura di un soggetto inedito, Dal tuo al mio, andato in scena a Milano nel 1903. I Malavoglia Dal bozzetto al romanzo Le fasi di elaborazione del romanzo I Malavoglia, il capolavoro di Verga, si inseriscono in un percorso letterario che approda a una nuova poetica verista. Dalla rappresentazione del mondo contadino di Vita dei campi Verga giunge a codificare la necessità di una ricostruzione intellettuale della realtà per risalire alle caratteristiche tipiche di quella società e della sua cultura. La molla che mette in moto il progetto è il favore di pubblico incontrato da Nedda e dall’interesse dell’editore Treves per un lavoro dello stesso genere. Verga invia all’editore alcune pagine di un bozzetto marinaresco che si doveva intitolare Padron ‘Ntoni, ma nel 1878 abbandona questo progetto per dedicarsi ad un romanzo: nel 1881 pubblica I Malavoglia, preceduto da un ampio passo del X capitolo sulla rivista Nuova Antologia e dalla novella Fantasticheria nella quale vengono presentati alcuni personaggi. Preistoria a storia del romanzo La storia della redazione dei Malavoglia è molto travagliata e lo studioso Ferruccio Cecco ne ha fornito un’edizione critica, illustrano le fasi di elaborazione. Due fasi di elaborazione: 1. Dal 1874 al 1875, si segue l’evoluzione del bozzetto marinaresco Padron ‘Ntoni; 2. Ripresa del lavoro nel 1878, dà inizio alla storia dei Malavoglia. Una nuova poetica verista Il passaggio dal bozzetto al romanzo coincide con la maturazione da parte di Verga di una nuova poetica verista, sotto l’influenza del modello letterario de L’Assomoir di Zola e della nascita del meridionalismo → Inchiesta in Sicilia; Lettere Meridionali Il romanzo-laboratorio Nei Malavoglia Verga intende operare un “lavoro di ricostruzione intellettuale”: vuole penetrare nel mondo della povera gente tramite una ricostruzione che poggia sul documento → non parte dalle reali strutture economiche e sociali di Trezza per darci l’idea di una Sicilia arcaica, ma muove dalle descrizioni degli studiosi della sua epoca e dai ricordi della sua terra per fornire un modello di vita popolare siciliana. Verga si avvale di fonti storiche ed etnologiche per ricostruire il sistema del mondo arcaico-rurale. Questo spiega il carattere reale e artificiale di questo mondo ricostruito in laboratorio. A Verga interessa dar vita a uno studio sociale e riprodurre un ambiente che sia il più possibile rappresentativo del tipico della condizione siciliana. 10 La vicenda e i personaggi La famiglia malavoglia La vicenda del romanzo ha inizio nel 1863. Teatro degli avvenimenti è Aci Trezza, un remoto villaggio di pescatori vicino a Catania, luogo ignoto ai lettori ottocenteschi. I Malavoglia, soggetto collettivo del romanzo, sono una famiglia di pescatori proprietari di una barca, la Provvidenza, e della casa del nespolo. Capofamiglia è il nonno Padron ‘Ntoni, padre di Bastianazzo; dal matrimonio di questi con Maruzza sono nati 5 nipoti: ‘Ntoni, Mena, Luca, Alessi e Lia. La trama La vicenda ha inizio nel 1863 ad Aci Trezza. Per iniziativa di Padron ‘Ntoni la famiglia si avventura in un’impresa commerciale, il trasporto per mare di un carico di lupini. Ma Bastianazzo muore nel naufragio della barca, mentre resta un grosso debito da saldare, dato che i lupini sono stati comprati a credito dallo zio Crocifisso, usuraio del paese. Il fallimento dell’operazione commerciale avvia una sequenza impressionante di disgrazie. I Malavoglia, più che celebrare i valori tradizionali, raccontano il loro progressivo e inarrestabile tramonto. Il coro di aci trezza Attorno alla famiglia brulica il villaggio di Trezza, pettegolo, curioso e ingeneroso. Attraverso il chiacchiericcio del coro, protagonista del romanzo tanto quanto i Malavoglia, emergono numerosi motivi e diversi toni che danno una fortissima unità strutturale e stilistica al romanzo, di cui molti critici hanno sottolineato l’omerica semplicità, la forza epica di romanzo-poema. Arcaicità e mutamento La cronologia del romanzo L’azione si dipana in un tempo storico che va dal 1863 al 1877-78: la prima data esplicita compare nel capitolo I in riferimento alla partenza di ‘Ntoni per la leva militare (1863). Per il resto lo sviluppo dell’azione procede senza anacronie (anticipazioni o flashback) ma anche in una sostanziale vaghezza di indicazioni cronologiche. Tempo della storia e cicli della natura Non mancano richiami a situazioni e problemi tipici della questione meridionale: la contrapposizione repubblicani e clericali, l’usura e il contrabbando. Ma sul tempo della storia prevale quello “ciclico” o etnologico in cui questo mondo sembra essere immerso: un tempo scandito dai ritmi circolari dei ritorni delle stagioni e delle costellazioni, dal succedersi dei raccolti. Il dramma matura quanto gli echi della storia si riverberano in questo universo chiuso e apparentemente immutabile, causandone lo snaturamento e determinando conseguenze e lacerazioni traumatiche. Lo spazio del romanzo Lo spazio in cui si svolgono le vicende del romanzo è quello del paese di Aci Trezza. I punti di riferimento sono i luoghi familiari ai personaggi: la piazza, la farmacia, l’osteria. Si assiste a una sorta di doppio registro, che immette un orizzonte geograficamente preciso in una dimensione mitico-simbolica: il cielo, il mare e il mondo al di là di questo. Al mondo prossimo del paese, descritto pochissimo perché nell’ottica del narratore anonimo popolare basta un accenno per delimitare uno spazio o richiamare un dettaglio noto e abituale, si oppone il mondo grande e lontano, ignoto e perciò pericoloso. Oltrepassare la soglia dal noto all’ignoto significa sempre perdersi, ritrovarsi in un labirinto. Napoli e Catania, che rappresentano realtà spaziali intermedie tra il vicinissimo e il lontanissimo, hanno il volto negativo di uno spazio che disorienta e corrompe: ‘Ntoni a Napoli conosce il vizio e il piacere, mentre il nonno a Catania muore solo. 11 La prospettiva anti-idilliaca Due etiche contrapposte L’opposizione tra i due diversi codici ideologici - quello “dell’idillio” e quello “del moderno” - non si polarizza solo nel contrasto tra la realtà chiusa e protetta del paese e quella pericolosa e tentatrice. Anche nel borgo sono penetrate l’ansia di cambiamento e la legge economicistica, che incrinano dalle fondamenta la società arcaico-rurale: il paese è diviso in due. Da una parte i Malavoglia con la loro concezione del mondo basata su valori antichi; dall’altra il resto del villaggio, legato all’ottica dell’interesse personale e incapace di comprendere l’atteggiamento dei Malavoglia, tanto che la loro onestà viene fraintesa. Tra epica e tragedia L’oscillazione tra le due prospettive riguarda anche la famiglia: al patriarca Padron ‘Ntoni si oppone il dramma moderno di ‘Ntoni, che ha conosciuto il mondo e, una volta tornato a Trezza, non riesce più a conformarsi all’etica del lavoro e della fatica a cui è stato educato. Come il nonno è fedele a un principio di sacralità della famiglia, il nipote deve fare i conti con più orizzonti di valori che sono in conflitto in lui: - L’etica del lavoro e quella del guadagno; - La logica della famiglia e quella dell’utile; - Il radicamento nella propria terra d’origine e l’ansia di vedere il mondo. Nella sua mobilità, innescata dalla molla del progresso, si annida la moderna tragedia del suo destino: il conflitto che lo attraversa lo renderà incompatibile con gli altri abitanti della casa del nespolo. Il personaggio di ‘Ntoni è l’ennesima incarnazione del diverso verghiano, consapevole della sua condizione di estraneità a un mondo da cui si è allontanato fisicamente e culturalmente. Egli si rende conto di dover partire e il suo distacco non potrà che essere definitivo e senza riscatto, simbolico di uno sradicamento che prelude la morte. Comune al suo destino sarà quello della sorella Lia, attratta al pari del fratello maggiore dal miraggio dello star meglio. Il pessimismo di Verga Il finale del romanzo sancisce la trasformazione cui il soggetto ormai anche il mondo di Aci Trezza. L’oscuro remoto villaggio di pescatori doveva costituire un esempio di alterità estrema rispetto alla modernizzazione industriale, ma non riesce a mantenersi estraneo all'influsso del progresso. I Malavoglia è un romanzo anti- idillico: l’immobile fluire della vita agreste non sopravvive al mutamento della storia; può esserci una finzione di serenità fino a quando un mondo come questo rimane bloccato, tuttavia, non appena la società moderna si affaccia, avviene la catastrofe. Ogni volontà di cambiamento della propria sorte si risolve in un disastro → l’ideale dell’ostrica di cui si parla nella novella Fantasticheria: solo se si rimane attaccati al proprio scoglio si può sperare di evitare le disgrazie. C’è comunque un’ambiguità di fondo: nel romanzo affiora il sospetto che, forse, i valori del mondo antico, su cui i Malavoglia fondano la loro vita, non siano mai esistiti. Il narratore, che presenta le vicende nella loro cruda oggettività, ci fa capire come i motori del comportamento umano siano l’egoismo e la brama di guadagno. Le descrizioni e le affermazioni del coro mostrano che sono questi meccanismi inesorabili che regolano la vita umana. Il pessimismo di Verga è assoluto: la sua posizione politica conservatrice e la logica conseguenza di una concezione del mondo che vede nei cambiamenti solo male. Le tecniche narrative e stilistiche L’impassibilità del narratore La novità dei Malavoglia consiste nei modi e nelle tecniche con cui lo scrittore racconta questo mondo: la forma, come spiega Verga nella Prefazione, deve essere inerente al soggetto. Il metodo dell’impassibilità modifica sia l'ottica sia la funzione assegnata al narratore, che non è più chi conosce la storia e la racconta a suo arbitrio. L’oggettività impersonale fa sì che l'autore scompaia come mediatore ideologico, secondo i principi teorici di Zola e dei naturalisti: i fatti sono presentati come indipendenti dalla volontà dell'autore, dalle sue opinioni e dei suoi giudizi. 12 stagliano con fisionomie e atteggiamenti peculiari. Il narratore segue la loro psicologia nelle diverse fasi della loro storia, ma di un personaggio vengono descritti principalmente il volto modificato dalla situazione, i gesti e la mimica rappresentativi della sua interiorità → espressionismo intensamente realistico: il nuovo romanzo non presenta psicologie elementari , ma personaggi complicati da conflitti interiori drammatici. Lingua e stile Caratteri originali Anche la struttura linguistica è molto diversa da quella dei Malavoglia: il linguaggio aderisce al parlato dei piccolo-borghesi o dei ricchi. Il registro narrativo è assai differenze da quello epico-lirico del primo romanzo e ogni dimensione mitica è lontana. Il tempo è rettilineo, incalzante e frenetico della modernità. Si viene immessi nella vicenda direttamente, quasi bruscamente, senza alcuna intermediazione dell’autore; i nomi dei personaggi sono dati per conosciuti come se il lettore fosse da sempre partecipe della minuta realtà umana che si agita sulla scena. Il narrato sfuma ora nel discorso indiretto libero ora, più spesso, nei dialoghi. I periodi sono brevi e spezzati. Naturalismo e Verismo in Italia L’influenza del naturalismo L’opera dei naturalisti francesi è seguita con grande interesse e attenzione dalla cultura italiana: in Italia le teorie dei naturalismo francese vengono rielaborate dando vita al movimento che prende il nome di Verismo. Capuana è il più attento e rigoroso conoscitore dei narratori naturalisti, colui che più e meglio divulga le loto opere narrative e teoriche. L’interesse per il naturalismo va essenzialmente alle tecniche narrative più che la dimensione filosofica-scientifica così importante in Francia. Capuana si sofferma in particolare sul principio di impersonalità e sulla rappresentazione del vero, primo problema del romanziere. 15 Il Decadentismo Il quadro storico-culturale La seconda metà dell’Ottocento è caratterizzata da due tendenze: la ricerca dell’oggettività nei romanzi (che aspirano a essere analisi scientifiche della realtà), e l’esaltazione della soggettività nella poesia. Emblematica è la data del 1857, quando escono due opere-cardine: Madame Bovary di Flaubert e la raccolta poetica I fiori del male di Baudelaire. La tendenza culturale che caratterizza l’Europa degli ultimi decenni dell’Ottocento è nota come Decadentismo. Il Decadentismo prende avvio in Francia negli anni ’70 e ’80 dell’Ottocento: i Paesi coinvolti sono soprattutto quelli influenzati dal progresso scientifico e tecnologico e dall’aumento demografico, in un’epoca caratterizzata dalla crescita dei commerci, dall’urbanizzazione, dalla stratificazione sociale e dalla conseguente esplosione di conflitti. In politica estera il secolo si caratterizza per l’imperialismo e per le strategie protezionistiche; in politica interna si afferma la tendenza all’autoritarismo e al nazionalismo. La rapidità caratterizza il cambiamento sociale di questi anni, esemplificata dalla vita nelle metropoli. Tra le tante, si distingue Parigi, massima sede della cultura e fucina d’innovazione. I caratteri della modernità Nella seconda metà dell’Ottocento il ruolo delle città diventa centrale. Lo sviluppo urbanistico viene gestito attraverso una serie di piani regolatori e fanno la loro comparsa le prime linee metropolitane sotterranee. Nascono anche i grandi magazzini, che radunano una varietà di merci prima non pensabile, mentre la tecnologia con le innovazioni ad essa legate fa sfoggio di sé nelle Esposizioni Universali a Londra, Parigi e via via nelle altre principali città europee e americane. Decadentismo e modernità Il 26 maggio 1883 esce il sonetto Languore di Verlaine, nel quale per la prima volta si definisce la seconda metà dell’Ottocento come un’epoca di decadenza. Da qui deriva il nome di Decadentismo, dapprima usato in senso dispregiativo e poi denotativo. Sul piano filosofico si verifica una reazione al Positivismo, che aveva determinato una sopravvalutazione del potere delle scienze. Ad esso gli intellettuali rispondono sottolineando gli aspetti irrazionali della mente e della percezione, sulla scia delle nuove acquisizioni filosofiche di Nietzsche e Bergson e, successivamente, di Freud, fondatore della psicanalisi e scopritore dell’inconscio. Rispetto al Romanticismo, il nuovo movimento abbandona l’ideale del poeta-vate, cui sostituisce quello dell’artista veggente, che coglie l’essenza della realtà per folgorazione ma che non è più riconosciuto e stimato socialmente. Emarginato o autoisolatosi, l’artista decadente si pone in contrasto con la società. Da questo aristocratico dissenso derivano le pose convenzionali del dandy e dell’esteta che si riconoscono nel culto della bellezza e nel disprezzo per l’utile borghese. Esiste inoltre una terza figura tipica: il flâneur, ovvero l’individuo ozioso che passeggia svagato. L’estetismo Il fondatore dell’indirizzo estetizzante è Karl-Joris Huysmans con il romanzo Controcorrente, nel quale il protagonista Des Esseintes si ritira a vivere in una casa-museo che arreda con scrupolo per il dettaglio. Massimo esponente del dandismo è Oscar Wilde, sia per la vita mondana e scandalosa, sia per l’opera letteraria, che tratta i temi principali del Decadentismo con una personalissima vena umoristica. Suo capolavoro è il romanzo Il ritratto Dorian Gray, che illustra il dualismo arte-vita. Nella metafora del doppio, Wilde rappresenta l’ambiguità dell’arte, estranea alla morale ma destinata a fotografare i vizi di un’epoca. La poesia del decadentismo Le correnti poetiche principali della cultura decadente sono il Parnassianesimo e il Simbolismo. Il caposcuola della prima corrente, che esalta l’ideale di armonia, eleganza, chiarezza, è Théophile Gautier, autore della poesia-manifesto dal titolo L’art, nella quale è dichiarato il principio dell’arte fine a se stessa, superiore a ogni altra esperienza. Il precursore del Simbolismo è invece Charles Baudelaire. Il manifesto del movimento, pubblicato nel 1886 a firma di Jean Moréas, ne definisce i caratteri essenziali: la ricerca della musicalità, l’aura di trascendenza e di mistero e l’intreccio della poesia con le altre arti. La realtà è una foresta di simboli che l’uomo può interpretare e che si corrispondono. Addentrandosi nella dimensione 16 irrazionale del sogno, il linguaggio dei poeti simbolisti si fa ambiguo e richiede la partecipazione attiva di un lettore privilegiato. Questi temi sono in parte già presenti nella raccolta poetica di Baudelaire I fiori del male. Il titolo si basa su un ossimoro che esprime la commistione tra il bene e il male, che si riflette nella dialettica Ideale-Reale. L’aspirazione del poeta è di conciliare questi due aspetti, ma è un’utopia destinata al fallimento. Linguisticamente è frequente l’uso intensivo della sinestesia e dell’analogia. Il ruolo culturale delle diverse nazioni Per l’Italia, il Decadentismo comporta la rottura con il passato e la sprovincializzazione della cultura attraverso l’imitazione della letteratura d’oltralpe. Caduto il modello di Manzoni, l’affermazione del nuovo gusto passa attraverso la Scapigliatura, Fogazzaro, Pascoli e d’Annunzio. 17 Questo desiderio di protezione nella poesia pascoliana non è però riconducibile a un'armonica dimensione idilliaca: la natura e paesaggio bucolico sono costantemente percorsi da inquietudini e trasalimenti che riflettono la visione del rapporto tra soggetto e realtà di sgomento, lontana dalle certezze e dal vitalismo dannunziano. La natura pascoliana si fa specchio della crisi dell'io e dà voce e corpo attraverso i fonosimbolismi e le immagini simboliche alle sue ossessioni funebri e ai suoi fantasmi interiori. La poetica delle cose Mondo interiore e mondo esteriore sono fatti di una stessa sostanza: gli oggetti diventano, grazie ai procedimenti analogici, simboli di un ricordo, di un’emozione, di una condizione. Ciascuna cosa diventa significativa nel discorso poetico. La poetica delle cose di Pascoli → gli oggetti sono poetici indipendentemente dal loro essere umili o alti, quotidiani o preziosi, e il loro significato non dipende da una gerarchia esterna, ma da un ordine di tipo psichico. In quest’ottica il mondo di Pascoli risulta pieno di particolari dal nome esatto, spesso definiti o accompagnati da un suono: la dimensione uditiva e fonosimbolica, che esprime un significato per mezzo dei suoni della realtà, diviene quindi centrale nella lingua di Pascoli. Anche la visione è fondamentale perché con la sua ambiguità fra oggettività della natura e distorsione individuale anche il più piccolo particolare può diventare grande e viceversa. Tra le cose pascoliane l’amore, l’eros, ha singolarmente scarsissimo spazio. La rivoluzione stilistica e linguistica di Pascoli Le innovazioni del linguaggio pascoliano - Esattezza linguistica con cui è descritto il mondo delle piccole cose → ogni particolare del mondo ha un nome “esatto”. Sono frequenti i tecnicismi e l’uso di una vera e propria nomenclatura. - Musicalità fatta di onomatopee, anafore, allitterazioni → il concreto si ammanta di carica evocativa. La precisione del mondo descritto si sovrappone dunque un effetto di indeterminatezza che ricorda la poetica simbolista e quella leopardiana in cui vago e indeterminato sono fonti del diletto poetico. - Sperimentalismo lessicale → i termini tecnici si affiancano a termini preziosi, quotidiani e dialettali. - Onomatopee e altre forme di linguaggio “inarticolato” → effetto di plurilinguismo che influenzerà la poesia del Novecento. - Pascoli fa uso di tre livelli di lingua: • un linguaggio pre-grammaticale, costituito dalle onomatopee; • un linguaggio grammaticale, che consente di mettere in fila parole comprensibili al lettore; • un linguaggio post-grammaticale, fatto di termini tecnici, lingue speciali, gerghi, dialetti. La sintassi e il frammentismo La sintassi pascoliana è innovativa nel panorama della tradizione poetica: si presenta spesso frantumata, con frasi collegate per asindeto. Articolandosi in segmenti discontinui fa della poesia pascoliana un esempio di frammentismo. Spesso le immagini così collegate non hanno continuità dal punto di vista del contenuto e altri elementi formali intervengono a ristabilire un’unità di fondo, costituendo una struttura che si regge su richiami e analogie che si ripetono. A legare le singole immagini collaborano la sintassi fortemente ripetitiva, la ripresa a distanza di parole, i parallelismi, che giungono a creare una sorta di “cerchi musicali” e istituiscono nessi intuitivi e analogici. Il predominio del significante è la molla che fa scattare l’analogia: suoni ricorrenti, che si richiamano tra loro indipendentemente dal significato, generano analogie, che svelano ed evidenziano l’irrazionalità segreta delle cose. Il silenzio e la poesia per sottrazione Sintassi e scelte lessicali determinano il procedere per “sottrazione” di materia, per silenzio. Tra le espressioni significative del silenzio si trova l’uso dei tre puntini di sospensione, che sfumano il dettato nell’indeterminatezza. La frantumazione è spesso sottolineata dalle cesure e dagli enjambement, frequentissimi in una metrica che, pur utilizzando tutti i versi della tradizione lirica italiana, li piega a soluzioni inedite e innovative. 20 Il latino di pascoli Nell’ambito dello “sperimentalismo nella tradizione” tipico di Pascoli può essere annoverata anche la sua poesia latina: il latino pascoliano si rivela duttile e si differenzia da quello classico per il ricorso a termini tecnici e specialistici, per il frequente aggancio al latino tardo e medioevale e per numerosi calchi di parole italiane. Il poeta carica il suo latino di tutta l’inquietudine e delle sfumature simboliche che si possono cogliere nella sua poesia italiana. Il fanciullino La scelta del titolo Il titolo dello scritto richiama, con la scelta del diminutivo, la predilezione per il piccolo e per la dimensione infantile. Ognuno, dentro di sé, conserva un fanciullo “eterno”, che guarda la realtà con lo stesso candore dei primi uomini e pronuncia le parole con il sacrale stupore proprio delle origini dell’umanità. ma mentre gli adulti, in genere, dimenticano il fanciullo che si cela in loro, il poeta riesce ancora a dargli ascolto. La poesia è allora una sorta di “infanzia psichica”, che dà voce alla meraviglia con cui il mondo si presenta al fanciullo, ovvero al poeta. Nel Fanciullino è detto che la poesia non crea, bensì scopre il poetico che è nelle cose; ciò comporta un allargamento del poetabile oltre i confini ammessi dalla tradizione. Le radici culturali - Platone: influenza dichiarata nel Fanciullino - Leopardi: serie sull’immaginazione creatrice dei miti e centrale nella produzione poetica - D’Annunzio: il fanciullino è molto distante dal superuomo dannunziano, nonostante alcuni critici abbiano cercato di trovarne dei punti in comune. La facoltà dello stupore poetico è innata in ciascun uomo e non è prerogativa di alcuni individui: non è solo nel poeta, ma è poeta chi riesce a darle voce. Si avvicina al Simbolismo nel valore attribuito alla componente irrazionale, all’intuizione, al simbolo e nella ricerca di un linguaggio poetico assoluto. Il fanciullino di pascoli e il novecento Mentre Pascoli costruiva la poetica del fanciullino, nel cuore dell’Europa andava nascendo la psicoanalisi, che giudicava centrale il periodo dell’infanzia nella vita umana. Freud guarda all’infanzia scoprendone i lati della sessualità non ancora imbrigliata dalle regole adulte; Pascoli, al contrario, del fanciullo sottolinea lo sguardo ingenuo e stupito, negando a suo carico qualsiasi forma di eros. Le due posizioni sembrano focalizzarsi su aspetti del fanciullo contrapposti: è comune a entrambe le posizioni il risalto dato alla componente non logica e spontanea dell’istinto fanciullesco. Myricae Ispirazione e struttura della raccolta La raccolta poetica Myricae viene considerata la parte più viva della produzione poetica di Pascoli. Il titolo si riferisce al nome latino delle tamerici, arbusti assai comuni nei paesaggi mediterranei. L’ispirazione proviene da un noto verso delle Bucoliche di Virgilio, posto a epigrafe della raccolta: arbusta iuvant humilesque myricae, cioè a noi piacciono gli arbusti e le umili tamerici. Il richiamo a questa epigrafe è un’indiretta dichiarazione di poetica in favore delle cose umili e di un tono comune e discorsivo. Il messaggio è affidato a un verso latino: il riferimento a Virgilio sottolinea la compresenza di registri differenti, in cui convivono un’ispirazione in apparenza dimessa e il rinvio alla tradizione classica. Le sezioni interne sono organizzate in base a raggruppamenti di forme metriche omogenee e si richiamano tra loro con una fitta trama di rimandi e parallelismi. Le Myricae mostrano una netta preferenza per la forma poetica breve, l’illuminazione improvvisa, il frammento lirico. I metri e le figure retoriche Caratterizzano questa raccolta una notevole varietà di metri e un linguaggio che aderisce alle cose tramite l’uso di termini precisi, che segnano l’ingresso, nella poesia italiana, di nomi di oggetti quotidiani. Contini ha sottolineato l’aspetto “fonosimbolico”, “agrammaticale o pregrammaticale”, del linguaggio pascoliano, ossia il suo essere un linguaggio evocativo che precede il significato e che rimanda agli oggetti e al loro 21 “valore” tramite il puro suono. A questa scelta di valorizzazione dei suoni è connesso l’uso dell’onomatopea, della sinestesia, dell’analogia e delle allitterazioni. Spesso le onomatopee pascoliate traducono in suoni il linguaggio misterioso della natura e la sua forte carica simbolica. La dimensione uditiva della realtà è una prospettiva prevalente nella rappresentazione della natura pascoliana. Il rifugiarsi del poeta nell’orizzonte rassicurante del mondo conosciuto e degli affetti familiari favorisce l’attenzione e la sensibilità per tutti i suoni e la disponibilità all’ascolto della voce del fanciullino, che gli rivela la poeticità delle piccole cose e gli ricorda la meraviglia e lo stupore con i quali guardare la realtà. I legami fonici tra le cose vengono sottolineati anche tramite richiami che vanno al di là del singolo verso, in una sintassi che fa largo uso di enjambement e riprese a distanza di singole parole. Il tema funebre Nella raccolta, dedicata al padre, è centrale il tema della morte, legato al mito della tragedia familiare. Il lutto privato supera la dimensione soggettiva per farsi espressione di un dolore universale. Nella Prefazione individua il carattere di lamento, musicale e funebre. Subito appare la tomba, il camposanto, la casa, a cui il poeta contrapporrà un misero nido. La natura madre Il tema del nido distrutto emerge sotto diverse forme, creando una fitta rete di rimandi interni tra i vari testi della raccolta, pervasa da una sensazione di profonda solitudine ed estraneità agli altri esseri umani → immagini ricorrenti del sonnambulo, dello spaesato, del forestiero, dell’orfano. Pascoli utilizza una citazione del Vangelo di Giovanni, precedentemente utilizzata da Leopardi come epigrafe alla Ginestra. La sua posizione nei confronti della natura non è matrigna, bensì madre dolcissima e solo gli uomini sono responsabili del male che soffrono in vita, male al quale il poeta cerca di rispondere con amore. Il colloquio con i familiari estinti ha spesso un effetto tranquillizzante per il poeta. Il paesaggio Nonostante la precisione dei termini utilizzati, i paesaggi e i ritratti umani di Pascoli non hanno nulla di realistico, ma sembrano fluttuare in una dimensione onirica che li rende sfuggenti e inafferrabili: l’apparente realtà idillica nasconde una minacciosa inquietudine. La visione di Pascoli della natura è quindi quella verista, con il paesaggio naturale percorso da fremiti e che risente dello sguardo dell’osservatore, che vi proietta le proprie angosce. Canti di Castelvecchio La raccolta, il titolo I Canti di Castelvecchio vengono pubblicati a Bologna nel 1903 e si arricchiscono di nuovi testi di testi fino alla sesta edizione, uscita postuma nel 1912. Il titolo, oltre al riferimento autobiografico a Castelvecchio, paese dove il poeta si era stabilito con la sorella dal 1895, rivela che la posizione di Pascoli vuole essere in questa terza raccolta più legata alla tradizione di quanto non fosse nel caso delle Myricae: il richiamo ai Canti leopardiani introduce infatti un esplicito dialogo con la tradizione. La struttura, i temi La misura breve delle liriche delle Myricae nei Canti è definitivamente abbandonata. L’organizzazione della raccolta, scandita dalle stagioni dell’anno, è dominata dalle sensazioni del poeta e da un esteso simbolismo, che riporta ai temi della tragedia familiare. Il tema della morte apre e fonda la raccolta. La lingua e i metri dei canti La seconda edizione dei Canti di Castelvecchio usciva con un glossario finale, nel quale di chiarivano i numerosi termini appartenenti al dialetto garfagnino, di cui le liriche sono punteggiate. Accanto a questi troviamo anche latinismi, aulicismi, voci romagnole, tencnicismi. Si propone dunque nei Canti il consueto plurilinguismo pascoliano. Infine, vi è un ritorno all’endecasillabo. 22
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