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Riassunto Sartori nella Rete, Sintesi del corso di Teorie E Tecniche Del Linguaggio Giornalistico

Una riflessione sull'opera di Giovanni Sartori, Homo Videns, che analizza la trasformazione dell'Homo Sapiens in Homo Videns, ovvero l'uomo che guarda anziché pensare. L'autore mette in discussione il ruolo della televisione e dei nuovi media nella società contemporanea, evidenziando la perdita della funzione cognitiva di astrazione. Il testo presenta un'intervista a Giuseppe Laterza, editore di Sartori, che racconta il contesto culturale e sociale in cui è nata la pubblicazione del libro. Vengono inoltre analizzate le reazioni della critica e del mondo accademico.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 26/01/2023

Vick08
Vick08 🇮🇹

13 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto Sartori nella Rete e più Sintesi del corso in PDF di Teorie E Tecniche Del Linguaggio Giornalistico solo su Docsity! SARTORI NELLA RETE Introduzione Il libro “Homo Videns” uscì nel 1997 e suscitò subito un gran dibattito. In quegli anni la televisione si fece strada, mettendo in secondo piano tutti gli altri media (videocrazia). Secondo Sartori la generazione avrebbe smarrito la funzione cognitiva di astrazione. L’Homo Sapiens che basava la sua cultura sulla natura simbolica del linguaggio, cedette il posto all’Homo Videns, chiudendo un’epoca gloriosa iniziata con l’avvento e la diffusione della stampa. L’autore è scettico nei confronti della teoria di Sartori, sia perché diffida dell’osservazione in diretta dei cambiamenti epocali, sia perché ritiene che occorra una rilettura a una certa distanza temporale.  Per notare questa trasformazione che è avvenuta fu necessario rileggere il libro di Sartori dopo due decenni in una diversa chiave di lettura, facendo riflettere sui principi a cui le pratiche giornalistiche si ispirano e sulle ricadute sulla società . Il “Video – Bambino” di Sartori si sarebbe fermato alla superficie delle cose ed era impossibilitato di astrarsi (come il prigioniero nel mito platonico della caverna). L’autore ha chiesto ai suoi allievi se si identificano in esso, ricevendo una risposta negativa per se stessi, ma non per ragazzi più giovani di loro conoscenza. Adesso la TV ha ceduto il testimone ai social media e alla Rete, si tratta di capire se le riflessioni di Sartori sulla televisione possono estendersi ai nuovi media. Sartori dichiara che «la rottura avviene alla metà del nostro secolo, con il televisore», come azione del televedere, ovvero vedere da lontano. Zygmunt Bauman, in “Vita Liquida”, descrive l’Homo Eligens: «l’uomo che sceglie ma che non ha scelto, stabilmente instabile  e completamente incompleto». Per Sartori, l’Homo Sapiens e l’Homo Cogitans (pensante) sono stati soppiantati dall’ Homo Videns, instupidito, depauperato del pensiero analitico e di un bagaglio culturale adatto alla complessità del presente. In questo saggio Sartori mette in discussione lo status quo nel quale «il virtuale è un vuoto dove tutto è neo, trans, post». Il bersaglio delle polemiche di Homo Videns è un «Sub-cittadino post-pensante». Per Sartori il potere del video e di chi governa concorrono tra di loro. Con l’avvento in politica di Berlusconi nel 1994, con le sue 3 emittenti, più il controllo sulla RAI, si aprivano scenari inediti. In Tv si è affermata l’immagine del primo piano, che stringe su un dettaglio. Nascono programmi che sono un mix di informazione, intrattenimento, approfondimento. In questi anni il modo di informarsi è cambiato, se prima ci si teneva informati tramiti la TV, adesso la ricerca di informazioni appare più parziale e frammentata, che si riduce alla visione di video su YouTube, o lettura di post su Facebook, senza ricorrere ai quotidiani cartacei. Nonostante questo la TV rimane il mezzo con la maggiore valenza informativa, pari al 90%. Internet solo al 70%. L’unico problema è che meno del 24% della popolazione ritiene i social affidabili. Intervista Giuseppe Laterza Qual è il suo personale ricordo di Sartori? Sartori è un personaggio molto intelligente e sarcastico. Nel 2006 venne in Casa editrice per ricordare Paolo Sylos Labini (grande economista antiberlusconiano come Sartori). Per ricordarlo si preparò un discorso, quando di solito improvvisava e si commosse nel ricordare il suo coetaneo ottantenne. Rimasi stupito da ciò. In quale contesto culturale e sociale è nata la pubblicazione di Homo Videns nel ’97? Erano anni in cui la produzione televisiva era centrale. La nostra casa editrice nel 1995 progettò una collana di libri tascabili, chiamata “Biblioteca Essenziale”, pensata per le università. Salvadori mi propose di commissionare Video Politica a Sartori e ne fui entusiasta. Lui invece scrisse Homo Videns dicendo: «scrivendolo mi è venuta fuori un’altra cosa; ed è molto più della video politica. È un libro sulla televisione». Grazie alla tesi del libro ebbe un notevole successo e venne tradotto in diverse lingue. La scrittura era chiara e accessibile a tutti. Venne inserito in un’altra collana. Il contesto culturale in cui nasce in Italia, negli anni della legge Mammì, è quello di un periodo molto delicato. Negli altri Paesi europei in Europa era affine, simile? In Italia abbiamo avuto un conflitto di interessi per cui il maggior proprietario televisivo era anche primo ministro e controllava la RAI e Mediaset. Ma  in tutti i Paesi c’è il problema della regressione che avviene tra l’Homo Sapiens e l’Homo Videns. Adesso il televisore è presente in ogni Paese , anche in  quelli meno sviluppati; così come Internet e i telefonini. Ci sono state differenze di vedute in fase di revisione o passaggi particolarmente scomodi dal punto di vista dell’editore? Di solito non censuriamo mai i nostri autori. Se scrivono argomenti interessanti e sono detti in modo coerente e rigoroso, e soprattutto se le tesi sono ben documentate, se io non aderisco ad esse non può essere di certo un motivo di censura. Quali sono state le reazioni? Sia nel mondo accademico che extra accademico? Sono arrivate diverse critiche dai semiologi: coloro che studiano il processo mediatico. Le critiche sono partite per una eccessiva semplificazione da parte di Sartori, che ha esposto  una tesi troppo tranchante. I semiologi sostenevano che non fosse vero che adesso siamo passati ad una civiltà dell’immagine. Questa idea che ci siano più immagini che testi è vera e non vera. Nel Medioevo regnava l’alfabetismo e si comunicava tramite gli affreschi nelle chiese. Nonostante le critiche Homo Videns mette alla luce temi che sono reali e se non si è sulla stessa linea di pensiero ci si confronta. C’è qualcuno tra le figure sociali, chiaramente non ci sono nomi e cognomi però c’è qualche, come dire, figura professionale che si è sentita in qualche modo coinvolta, a sua conoscenza? L’utilità di questo libro è stata riconosciuta come una provocazione. Tutti i temi trattati da Sartori provocano il pensiero e tutte le sue affermazioni possono essere discusse, ma anche contestate. Un buon insegnamento è quello dove si espone un pensiero in maniera semplice, per far sì che venga compreso da chi mi sta ascoltando. In caso di controversie sulla tesi esposta bisogna argomentare, accogliendo il pensiero altrui perché non si può essere sempre d’accordo su tutto, ma si può essere d’accordo anche in parte. Abbiamo notato, studiando Sartori, uno dei suoi pensieri chiave. Secondo lui la cultura visiva, che oggi sempre di più incombe sulla nostra società, va ad intaccare il nostro pensiero critico e allora ci siamo chiesti se la televisione negli ultimi anni ha portato avanti un lavoro di autocrazia. Insomma lei della televisione di oggi o comunque degli ultimi anni, di questi ultimi decenni, che cosa salverebbe? A mio parer la televisione ha fatto poca autocrazia in questi anni. Nei TV Talk si prendono materiali televisivi e si ragione sul loro significato. La televisione si riferisce sempre più a sé stessa: i conduttori dei diversi talk show tendono ad invitarsi tra di loro in continuazione, manifestando scarsità di impegno e inventiva. Su questo si può fare un paragone con l’editoria: una volta che per esempio, mi pongo il dubbio che li ci sia una altra religione? Mi pongo il dubbio di stare attento prima di citare il Corano? Cultura significa vivere in maniera più consapevole.  Serve però anche consapevolezza  nel renderci conto con chi stiamo parlando: per esempio se dico social network ad un anziano, devo spiegare cos’è.  È importante essere consapevoli anche della propria ignoranza perché la cultura non significa non essere ignoranti. Bisogna imparare anche ad essere consapevoli nell’uso di questi nuovi strumenti per non farci sovrastare da essi. Siccome abbiamo parlato di scuola, di cultura, volevo chiederle un’opinione. Lei non crede che questa visione dell’apprendimento e della cultura, in particolare nel nostro Paese ma anche al di fuori, si fermi con gli sguardi e non prosegua anche durante la formazione in un’azienda, nel mondo lavorativo? Cioè non pensa che le aziende. Soprattutto per ragazzi della nostra età, pensino più che altro in una logica di profitto invece che formare una persona per farla crescere anche all’interno del mondo lavorativo? Dopotutto la cultura gioca un ruolo fondamentale in questo. Tullio Mauro ci teneva molto alla formazione continua. Consiste nel far crescere i dipendenti delle aziende formandole di continuo per far accrescere le proprie conoscenze. Questo aiuta molto anche per stare al passo delle nuove tecnologie. Oltre alla formazione però serve anche imparare un metodo. Io ho avuto la fortuna di avere genitori, insegnanti e compagni che sono stati per me formativi. Grazie a viaggi, libri, cinema e litigate ho avuto una formazione continua che mi ha dato un metodo. Io penso  che ciò che è giusto viene prima di ciò che è utile.È lo stesso ragionamento che faccio quando decido se pubblicare o meno un libro: prima mi chiedo se mi piace e poi se venderà. Ho capito che c’è sempre da imparare, anche da una persona che non ti aspetteresti mai. Ma Sartori ha un erede? Ne ha tanti. Le persone della generazione di Sartori, come  Eco, De Mauro e Rodotà, sono dei giganti e se noi ci confrontiamo con loro, ci sentiamo schiacciati. Ma non dobbiamo pensare così, ma ad una intelligenza collettiva. La storia è fatta di costruzione di senso comune e un editore deve trasformare le idee in senso comune. Come ho detto prima Leopardi dice che sono le opinioni che cambiano i comportamenti, lui intende il senso comune. Occorre fare diventare le idee senso comune e condividerle con tante persone. I media in questo caso ci vengono in aiuto per far arrivare il nostro messaggio a più utenti. Voi alla vostra età avete tantissimi problemi  però avete il tempo di condividere le idee in maniera veloce e gratuita, senza una finalità. Mi piace fare lunghe camminate in montagna con un mio amico e parlare di tutto, senza una finalità, ed è meraviglioso. Certo è meraviglioso anche quando costruisci una azienda che funziona, ma se i due momenti si alternano è meglio. Intervista Peter Gomez Visto che la nostra intervista verterà su Homo Videns, direi di partire con il suo autore Giovanni Sartori. Lei lo ha conosciuto di persona? Esatto, lo ho cosciuto, ma anche frequentato. Era anti-comunista e quando pensò che il Partito Comunista potesse vincere negli anni Settanta abbandonò l’Italia. Con la caduta del Muro nel 1989 ci siamo resi conto che il pericolo del comunismo in Italia non esisteva più. Tutti gli altri anti- comunisti, partendo da Berlusconi, erano solo delle macchiette (caricature)che rievocavano qualcosa che non significava più nulla in senso di ideologia politica. Invece possiamo parlare, sempre in riferimento a Berlusconi, di Sartori che in Homo Videns muove un’accusa verso le televisioni private e la loro qualità… Il rischio è che si crei la “telebasura”: televisione spazzatura, sia nelle televisioni private, ma anche in quelle pubbliche. Il tutto nasce da una necessità economica. Pensiamo ad Agorà o Omnibus, si parla di cose successe il giorno prima e i costi sono davvero bassi, quasi il 90% dei talk costano davvero poco Se invece si manda in onda una bella serie, come Fame – Saranno Famosi negli anni ’90 il costo è decisamente alto. In quegli anni c’era il duopolio RAI e Mediaset e avevano addirittura un accordo: RAI doveva stare da 1 a 3 punti di share rispetto Mediaset, senza massacrarla però, ovvio. Berlusconi aveva delle preoccupazioni tra il 1992 e 1993 con Mediaset: voleva fare concorrenza alla Rai e comprò il Giro D’Italia e altri programmi costosissimi che però avevano un problema: non funzionavano. Per uscire dalla crisi del gruppo i manager gli proposero diverse soluzioni, ma lui voleva avere all’interno della RAI e governo degli interlocutori, per ragionare con la concorrenza. In quel periodo le due aziende televisive si spartivano in anticipo i programmi per calmierare i prezzi. La “telebasura” invece è questo. Il Grande Fratello è un programma che non costa nulla, L’isola dei Famosi di più . Nel GF metti persone davanti ad una telecamera e non le paghi ed hai un programma quasi a costo zero.  Quindi il discorso di Sartori è ancora attuale sulla TV privata e il tipo di produttori da essa scaturito, frutto del desiderio di investire meno… Sì, Mediaset ha sbagliato degli investimenti e  ha cercato di uscire da questa situazione .L’errore è stato copiare SKY e prendere il calcio. In quel periodo se andavi agli studi Mediaset tutto era fermo agli anni ’90, stessa impressione che dava la RAI. Continuando il discorso, ciò che Sartori nel libro riuscì ad esporre in maniera meno precisa, ma mantenendo comunque uno sguardo di preoccupazione, fu internet. Da direttore della versione online del FQ, qual è la sua opinione a riguardo? I benefici di Internet  sono maggiori dei malefici . Anche della stampa Tocqueville diceva che con la libertà di stampa fanno  diversi errori, come rovinare la reputazione di persone, ma i benefici sono maggiori. Questo non significa che non bisogna annullare i danni, e così anche su internet. Parliamo spesso di opinione pubblica formata da Internet, ma in Italia e nella maggior parte dei Paesi l’opinione pubblica si forma con la televisione. In una ricerca del 2001 c’era la battaglia tra Veltroni e Berlusconi e la campagna elettorale si basava sul tema della sicurezza. In quegli anni c’erano state delle rapine nel nord-est in villa da persone provenienti dai Balcani e Canale 5 incorniciò tutto questo facendo credere a tutti che serviva più sicurezza. La televisione aveva sì portato una cosa vera, però questi fatti li amplificava. Se poi si chiedeva alle persone se si sentivano sicuri nel posto in cui vivevano, la maggior parte rispondeva di sì. Un altro esempio è la pubblicità Dixan in televisione. Ovviamente sa che non prenderà mai il 100% dei consumatori, ma pensa al fatto che possa avere un 1% rispetto la concorrenza Dash, che è comunque importantissimo. Cambridge Analytica aiutò Trump a vincere le scorse elezioni. Funzionava che tramite degli algoritmi segnalava che in un quartiere potevano esserci determinati potenziali elettori. E quindi la pubblicità diventava mirata: invio di mail, messaggi. Ma oltre questo mandavano volontari casa per casa con dei palmari e la campagna elettorale costa parecchio. In Italia i politici usano Internet come se fosse la televisione: buttano messaggi in continuazione, inviando messaggi targettizzati. La fabbrica dei troll di San Pietroburgo forse ha iniziato ad operare anche in Italia: si crea odio sociale attraverso profili fake che condividono notizie per creare panico e questioni. Il creare tutta questa polemica è chiamata anche “tecnica del casino ”. Nonostante tutto questo credo che la televisione sia ancora il mezzo più efficace in Italia, terzo Paese più vecchio del mondo. Questa tecnica attuata dalla fabbrica dei troll, quale vantaggio dovrebbe procurare? Potrebbe essere utile alla Lega e quindi a Berlusconi. In Italia abbiamo un problema: esiste un organo chiamato “Commissione parlamentare di controllo sulla RAI”. Nei Paesi normali accade l’opposto, ovvero è la televisione che controlla il Parlamento. In Gran Bretagna per esempio è la BBC a controllare il Parlamento. Il fatto che ci sia la RAI edita vagamente dal governo e MEDIASET gestita da Berlusconi fa saltare tutti i giochi. Intervista Luciano Fontana Qual è il suo ricordo di Sartori? Abbiamo avuto diverse discussioni vivaci. Da quando sono entrato nella direzione del “Corriere” lo dovevo sentire per gli editoriali. Negli ultimi anni della sua vita si interessava maggiormente a temi sull’ecologia e boom demografico, esponendo le sue idee in modo netto. Oltre questo a lui dobbiamo qualche neologismo, come Porcellum e Mattarellum. In tutte le riflessioni ti apriva sempre un mondo che prima non conoscevi; dandoti una prospettiva diversa e originale sul mondo. Il giornale dovrebbe essere così: non dire mai l’ovvio, ma dare diverse prospettive al lettore, in modo tale che possa vedere le cose da più angolature differenti.  Qual è l’attualità di Homo Videns? Pensa che la sua lettura della TV sia ancora condivisibile? Il libro è stato scritto quando Berlusconi è sceso in campo con un partito che sfruttava la televisione come strumento principe di propaganda, perché tramite di essa il leader polito poteva parlare direttamente col pubblico. Infatti la televisione semplifica il messaggio che si vuole trasmettere. Berlusconi sfruttò molto i talk show, soprattutto quelli del mattino, destinati alle casalinghe e pensionati. Un problema che potrebbe avere Homo Videns è che forse non comprende a sufficienza cosa stava succedendo con la trasformazione digitale. Nonostante gli “anatemi”, il processo appare inarrestabile, gli italiani, secondo Sartori, trasformano il proprio DNA attraverso il piccolo schermo. Dobbiamo quindi rassegnarci? Si è visto, da diverse ricerche, che la televisione rappresenta ancora oggi lo strumento di comunicazione favorito dalla politica. I talk show  che vertono su questo argomento aiutano a costruire consensi e opinione da parte del pubblico. Noi giornalisti dobbiamo capire i cambiamenti. Quando mi sono insediato, nel mio discorso ho fatto capire che non dobbiamo pensare solo per un giornale di carta, ma che noi giornalisti dobbiamo essere attori in un “sistema di informazione”. Chi legge il “Corriere” in formato cartaceo, la maggior parte sono over 50, mentre gli abbonati al digitale la fascia va dai 25 ai 45.  Il giornalismo di qualità dipende solamente dai giornalisti, indipendentemente dal mezzo col quale si decide di far uscire una notizia. Però non dobbiamo semplificare il tutto, come avviene sui social. Un giorno ho scritto che secondo me il sistema elettorale migliore è il doppio turno. Questo perché quando si vota compiamo due gesti: riconoscersi in  un’ala politica, alle sue convinzioni , idee e sensibilità; mentre la seconda è dare un governo al Paese Il giorno dopo sono stato insultato sui social dicendomi che però non avevo appoggiato la riforma costituzionale. Ma cosa c’entrava? Nulla, perché la riforma costituzionale non prevedeva riferimenti alla legge elettorale. Il saggio Homo Videns ha quasi vent’anni, all’epoca della sua pubblicazione le polemiche furono molte dal punto di vista degli studiosi della televisione che vedevano in quella di Sartori, sostanzialmente, una presa di posizione in un campo che non gli competeva. A distanza di vent’anni è ancora attuale la critica feroce della televisione? Prima il problema era la televisione il problema, adesso lo è il web. Oggi al posto di Homo Videns avrebbe scritto Homo Internettianos o Homo Web. Il saggio è scritto nel ’97, l’anno della scesa di Berlusconi: padre della televisione che scendendo in politica stravince. Possiamo affermare che la televisione lo aiutò molto a prendere dei voti, condizionando molto i cittadini. La sua è una critica feroce alla società che si lascia influenzare dalla televisione. Dal 2004 Internet ha svolto un ruolo fondamentale, anche per quanto riguarda le elezioni di Obama, e di Trump. Adesso per avere maggior consenso si butta benzina sul fuoco, facendo vincere la parola degli esagerati rispetto quella dei moderati. Facebook, così come Twitter semplifica la comunicazione e  soprattutto Facebook fa leva sull’avere la mente rimpicciolirà e quindi chiusi. È anche vero però che  il web apre finestre su mondi che prima di vederli pensavamo non esistessero, ma è grazie al web stesso e alla televisione che ne veniamo a conoscenza. Il Papa ha usato tre parole come suggerimento ai giornalisti: periferie, verità e speranza. Le periferie affinché siano luogo da dove ricavare notizie, la verità facendo lo sforzo di arrivare il più possibile ad essa bei tempi stretti della comunicazione , e la speranza perché richiama i giornalisti a non farsi bruciare troppo da questa accelerazione tecnologica, ma a crearsi spazi di senso che poi danno speranza. Sartori ci fa capire che si fa una lettura superficiale di tutto, dicendo che il mondo rimane sempre lo stesso, mentre cambiano soltanto i mezzi. Non è così. Sartori sostiene che è il mezzo a condizionare la sostanza e si parla di qualità e non di modalità o quantità. La televisione ieri e oggi il web è uno strumento della nostra vita, della nostra cultura. Ecco a questo proposito, secondo lei, c’è qualcosa che manca nel panorama mediatico digitale, oggi, per quanto riguarda la giurisprudenza e le normative che regolano l’informazione? Dici bene. Non siamo ancora riusciti a portare il diritto nel web ed è difficile farlo. Se io offendo qualcuno sul “Corriere” ne risponde penalmente il direttore tramite una querela; se invece qualcuno offende me tramite un blog dell’Australia è più complicato che vengano i carabinieri… ci sono due versioni su questo: la prima dice che il web sarà difficile da rapportare alla giurisprudenza, l’altra voce invece dice che è giusto portare le regole della vita quotidiana anche sul web, ma è complicatissimo a farsi. E mi corregga se sbaglio, ma non è poi sempre stato un successo portare ciò che vediamo nella società e nella vita reale, sul web… Vi faccio l’esempio della querela. Se qualcuno scrive su Facebook che hai rubato, non è identificabile, non c’è il direttore responsabile della testate che ne risponde. Non sappiamo nemmeno se su Facebook esista un responsabile editoriale. Abbiamo bisogno di una legge per trasformarlo in una media company. Ma se ogni Paese decide con una legge diversa?   Sarebbe assurdo stare a differenziare per un fenomeno globale… Zuckerberg quando ha parlato al Congresso ha fatto capire dalle sue risposte che sa che ci sono mondi differenti con i quali deve relazionarsi. È vero che ora è cambiato moltissimo dal novembre 2016 quando ,dopo le polemiche sulla vincita di Trump grazie all’aiuto delle notizie di Facebook, ha affermato che il 99% di ciò che viene pubblicato corrisponde alla verità. Adesso questa idea che tutto ciò che viene pubblicato sia vero non ci crede più nessuno. E infatti Zuckerberg ha detto solo che avrebbe messo del personale per il controllo dei contenuti. Ma il fatto che ci siano persone a fare il guardiano morale, è un casino. Non è escluso che, in mancanza di una legge, sia poi la magistratura a formare la giurisprudenza con le sentenze. Un altro problema è quello dell’influencer e dei contenuti pubblicitari infatti, nei giornali e nelle televisioni la separazione tra contenuti pubblicitari e contenuti non pubblicitari è netta. Gli influencer sono pagati per dire che un determinato prodotto è buono e migliore rispetto altri, e quindi è complicato. Quando c’erano state le audizioni dello stesso Zuckerberg al Senato americano, mi aveva fatto impressione che sembrava di vedere dei veri e propri dinosauri… Al Senato, Camera e Congresso americano si ha il diritto di parola in base all’anzianità e quindi i primi sono stati quelli più anziani e più lontani dalla tecnologia. Esatto, il punto era questo. Mi ricordo questa domanda in cui il senatore chiede a Zuckerberg: «Ma, scusi, se il servizio è gratuito, come guadagnate?»… Lui lo ha guardato e gli ha detto: «Senatori, abbiamo gli adv». Sono rimasto scioccato perché nel momento in cui si deciderà di andare a regolamentare questo mondo, chi lo farà? Se questa è la classe digerente che hanno negli Stati Uniti… Però sì, forse esiste uno scollamento tra la classe dirigente che li dovrebbe governare e… Certo perché il legislatore, sia americano che europeo non è un nativo digitale. Sarà il lavoro che toccherà a voi ragazzi per i prossimi anni. Noi adesso abbiamo la percezione di essere circondati solamente di bugie. Quando si parlò della morte di Mandela era un periodo che chiudevo spesso i giornali e spesso arrivava la notizia che fosse morto, tramite on tweet o un post, e quindi dovevo controllare se fosse vero. Un giorno arrivò la notizia da un’agenzia stampa internazionale e soprattutto credibile dicendo che era morto. Questo per farvi capire che ci sono stati tre mesi deficienti e di falsità e una notte di fonte credibile. Riguardo alla televisione, abbiamo detto che ormai il web la sta quasi soppiattando. Io volevo chiedervi quanto secondo voi incida la televisione ai giorni nostri e quanto il web, perché ad esempio mi viene in mente Renzi che da Fazio in televisione chiedeva ad ogni possibilità di accordo con i 5 Stelle, in televisione. Salvini invece in campagna elettorale ne dice di ogni con le dirette Facebook o Twitter. Quanto ha ancora peso la televisione e quanto sta facendo adesso il web? Perché mi viene da dire che ancora la televisione un peso grande lo ha. Nella capacità, intesa in quantificazione e di influenzamento, vince ancora la televisione. Non a caso gli ascolti dei talk nel periodo di campagna elettorale, ma anche di post campagna elettorale aumentano. Durante il momento di massima crisi in Italia tutti telefonavano a Giletti e Fazio. Questo perché si ha la sensazione che i talk siano un luogo di rissa, rumore, semplificazione ed esagerazione una diretta Facebook a primo impatto può risultare semplice e vera, ma dietro ci sono meccanismi di persuasione. Dietro la semplificazione possiamo trovare cultura, ma anche ignoranza. Se conosci ed hai una cultura semplifichi in maniera chiara e specifica, anche grazie a diverse verifiche fatte durante il lavoro. Altre volte si semplifica solo dietro uno slogan generico, senza nient’altro. Sapere se c’è competenza però è molto complicato.  Abbiamo parlato di come la genialità del commentatore sia vedere in anticipo quali sono i problemi e i temi. Quando ho letto per la prima volta il libro, mi aveva colpito una delle appendici che lui scrive, legata al problema della democrazia diretta. E come appunto la democrazia diretta fosse una risposta ai meccanismi della democrazia rappresentativa e che, per bene funzionare, a un aumento del demo-potere potesse aumentare anche il demo-sapere. Se questo non succede, chiaramente si creano degli squilibri. E adesso guardando anche alla situazione di casa nostra, con i 5 Stelle… Esiste un Ministro: quello per i rapporti con il parlamento e la democrazia diretta. Mi aveva stupito questa sua capacità di vedere in anticipo… anche questo tipo di problema. Quando si parla di democrazia diretta si fanno sempre dei casi storici. Uno di questi è il quinto secolo, quando la democrazia diretta era una forma di rappresentanza. Nell’antica Atene esisteva l’Homo Videns e tutto il sapere si formava attraverso la vista e il teatro. Però erano comunità ristrette e consapevoli. La comunità  ideale di Rosseau, che è una utopia, e dove tutti sanno tutto, perciò c’è  la democrazia. Ma il problema è che non tutti sanno tutto. In Svizzera c’è una democrazia diretta avanzata, infatti si vota per qualsiasi cosa e quindi si presume che le persone siano sempre aggiornate. Altrimenti la democrazia diretta è una esplosione di sentimenti, di emozioni. Sartori ci dice che il mondo reale non si sta dispiegando in favore del prima conoscere e poi scegliere, ma scegliere senza conoscere con tanti saluti alla democrazia deliberativa . Adesso parliamo di essere profetici. La democrazia diretta presuppone che tu conosca i temi, è stata creata perché ci fossero delle persone, votate, che si occupassero di determinati temi perché capaci. Quindi.. il “Corriere della Sera” tra dieci, quindici, vent’anni, avete provato ad immaginare se avrà ancora il supporto su carta, se sarò definitivamente sul web… E magari avete provato anche ad immaginare una nuova tipologia di piattaforma sulla quale potrebbe approdare il “Corriere” o il giornalismo? Il Corriere ha ancora una buona copertura della carta, che vuol dire anche la versione pdf tramite abbonamento alla digital edition. Ciascuna piattaforma che utilizziamo ha un suo audience. Il record di abbonamenti alla digital edition lo abbiamo avuto quando c’era l’incertezza sul primo governo di Conte Sta dicendo una cosa bellissima, perché nel momento in cui il popolo, l’audience, è indecisa, è confusa, si rivolge anche a quella parte di media elitaria che sa fare il proprio mestiere. Gli abbonamenti hanno condizioni favorevoli e l’aumento di essi ci fanno capire di come il “Corriere” sia ancora un punto di riferimento per il lettore e l’elettore. La carta ha una buona tenuta anche grazie agli inserti. Ogni giorno c’è un supplemento, il tutto è partito con “Corriere Economia”, poi “Buone Notizie”, che esce di martedì, giorno nel quale le copie vendute sono maggiori rispetto gli altri giorni della settimana. Spesso noi e “Repubblica” facciamo passaggi strategici quasi in contemporanea. Il “Corriere” dopo dieci articoli letti prevede un pagamento. Questa cosa “Repubblica invece non l’ha fatta. Quindi noi possiamo dire di aver lavorato su un pagamento dopo un certo limite. “Repubblica” punta su micropagamenti, con il diverso articolo e determinati autori. Quindi se c’è un grande evento sanno che i lettori possono accedere gratuitamente all’articolo; però poi propongono una serie di contenuti chiusi a pagamento. Quando abbiamo iniziato a cimentarci sul web bisognava comunque fare un buon giornale cartaceo, ma questo ci fa capire che si lavora contemporaneamente su più piattaforme. Adesso dobbiamo essere lungimiranti e pensare in anticipo
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