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Concentrazioni occupazionali a Roma: Spazi produttivi e sociali in una megapoli antica, Schemi e mappe concettuali di Storia dell'arte antica

Geografia anticaStoria economica anticaStoria antica romanaArcheologia Classica

La topografia delle attività produttive a roma, con un focus particolare sui quartieri specializzati e la fusione tra luogo e attività. Della difficoltà di definire il concetto di quartiere e l'importanza di considerare la natura spaziale complessa che contiene processi economici, sociali e politici. Le fonti utilizzate includono toponimi, epitaffi, testi letterari e scavi archeologici. Una profonda riflessione sulla distribuzione delle diverse attività all'interno della città e la possibilità di un'analisi critica delle iscrizioni come fonti.

Cosa imparerai

  • Quali tipi di fonti sono utilizzate per studiare la topografia delle attività produttive a Roma?

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

Caricato il 07/07/2022

Ummalea
Ummalea 🇮🇹

4.8

(4)

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Scarica Concentrazioni occupazionali a Roma: Spazi produttivi e sociali in una megapoli antica e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia dell'arte antica solo su Docsity! Riflessioni critiche sulle concentrazioni occupazionali a Roma Il raggruppamento topografico delle attività produttive nelle città del mondo romano appare, spesso, come un fatto acclarato, percepito nei testi e avvalorato dalle scoperte. Artigiani, guidati da uno stimolo sociale o rinchiusi dalle autorità cittadine in spazi riservati, tenderebbero ad allestire i propri laboratori nelle stesse strade, fino a formare “quartieri” specializzati. Questa interpretazione nasconde però, dietro un termine nel linguaggio quotidiano (quartiere), un'entità spaziale raramente definita con precisione e che contiene al suo interno non solo processi economici, ma anche sociali e persino politici. Il quartiere è solo una unità formale, utilizzata per un'analisi globale alla scala della città; infatti, a meno che i limiti di uno scavo non siano considerati come una frazione omogenea di un insieme urbano, nessun sito può essere veramente studiato con una visione così ampia. Il quartiere diventa allora uno spazio vissuto, da analizzare attraverso la percezione che ne hanno le persone che lo frequentano. Nonostante sia difficile per i geografi proporre una definita rappresentazione del quartiere, altri studiosi, in linea con le analisi funzionaliste, insistono sull'omogeneità e la possibile delimitazione di questo spazio urbano. Roma sembra essere il campo di studio ideale poiché, essendo una megalopoli, i possibili fenomeni di raggruppamento non possono che essere più amplificati. Le associazioni tra un nome legato ad un lavoro e un luogo consentono di studiare la topografia delle attività. A Roma le fonti sono principalmente di 4 tipi: Innanzitutto ci sono i toponimi derivanti da nomi commerciali che, trascritti in testi letterari o iscrizioni, riflettono la fusione tra l'attività e il luogo. Gli epitaffi, invece, ci informano sulla professione del defunto, o più raramente, sull'unico dedicatore. Il luogo citato nell’epitaffio si riferisce ad uno spazio vissuto e dovrebbe, quindi, dare un'immagine più attendibile del luogo, a condizione di riuscire a proporre una datazione per l'iscrizione. Una terza serie di attestazioni proviene da testi letterari, nell'ambito di tavole iscritte. Il quarto gruppo sono gli scavi effettuati nel perimetro urbano, anche se la bibliografia su Roma rimane particolarmente scarsa. Di questi 4, il gruppo che da maggiori soddisfazioni è quello delle iscrizioni funerarie, in quanto hanno maggiore affinità teorica con l'idea di trascrizione di uno “spazio vissuto”. Infatti, su 533 voci che indicano una professione, annotate nel Corpus Inscriptionum Latinarum o negli indici dell'Anno Epigrafico, 138 (26%) citano un toponimo o un punto di riferimento geografico che consenta l'ubicazione di un'attività. Questo corpus, che individua 64 nomi di diverse professioni, consente di avviare una proficua riflessione sulla distribuzione delle diverse attività all'interno della Città, offrendo al contempo la possibilità di un'analisi critica del valore di queste iscrizioni come fonte. Dobbiamo prima però fare una distinzione tra i diversi tipi di toponimi. Alcuni si riferiscono a raggruppamenti menzionati nei testi, o più raramente nelle iscrizioni, e indicano la presenza, in un determinato punto, di più artigiani che esercitano la stessa attività. Per esempio, quando Varrone spiega l'etimologia dei nomi delle prime quattro regioni urbane, cita i 27 "sacrari degli Argei" (ossia un'antichissima divisione del territorio cittadino dove i 27 sacrari erano disposti ai lati del limite della Città); uno di questi santuari è indicato come “figlinis”, quindi compatibile con la concentrazione di laboratori di ceramica. O ancora, la costruzione di un portico da parte degli edili nel 192 a.C., permette a Livio di segnalarci chiaramente un gruppo di falegnami (lignarii) fuori Porta Trigemina. Nei due esempi citati non si può ovviamente negare l'esistenza di un gruppo di praticanti. Tuttavia, l'ambito di queste citazioni deve essere messo in prospettiva e collocato in un contesto cronologico. Il fatto che si tratti di un vero toponimo non vuol dire che sia esistito in maniera duratura un “distretto” di produzione ceramica o di falegnameria. Queste denominazioni, quando si formano in base alla ragione sociale, possono indicarne l'esistenza di una concentrazione di praticanti di questa attività ma è tuttavia opportuno essere cauti e cercare di definire per bene la storia del sito prima di sfruttarlo per degli studi. Il vicus sandaliarius per esempio, il “quartiere dei sandalai” - il cui nome sembra riferirsi ad una possibile nomenclatura 'ufficiale' sviluppata durante la riorganizzazione dei vici di Augusto (come testimonia un altare dedicato ai Lari dell'Imperatore dai magistrati di questa suddivisione della Città) - genera immediatamente l'idea che un insieme di attività di fabbricazione di sandali fossero durate talmente a lungo, in questa frazione di Suburra, da dargli il nome. E infatti, alla fine del I sec. d.C., questo quartiere, localizzato nei pressi dell’Argileto, ci viene presentato da Marziale (in un suo epigramma) come un luogo dove si trovavano, oltre a un improbabile barbiere, soggetto dell'epigramma, molti calzolai (sutores). Quasi un secolo dopo, però, Aulo Gellio si recò al vicus sandaliarius non per comprare sandali, bensì per frequentare i librari. È un cambiamento di orientamento economico dell’intero quartiere? No, in realtà il nome del vicus deriva originariamente dalla presenza di una statua di Apollo sandaliarius e quindi, per quanto sia valido il “rumore di fondo” su cui si basa l'adozione di un toponimo, la sua semplicità è sempre fuorviante e riduttiva. Un altro esempio viene dall’epitaffio di Caio Lucrezio e di suo fratello, esso ci dice che erano pigmentarii, fabbricanti o venditori di pigmenti, e che i due uomini praticavano nel vicus iorarius, la via dei fabbricanti di cinghie. Il paradosso di questa situazione in cui la professione smentisce il toponimo è del tutto normale, in una strada vi erano diversi mestieri in un dato momento. I raggruppamenti per attività percepibili attraverso l'interpretazione dei toponimi rimangono sempre difficili da usare. Sicuramente possono indicare che alcuni professionisti del settore sono stati in grado di raggrupparsi, in porzioni sufficientemente grandi della Città, al punto da dare l'impressione di dominare il paesaggio ma tuttavia, questa egemonia sul territorio vissuto, va presa in considerazione solo per il momento della scrittura. D'altra parte, questa situazione è potuta durare abbastanza a lungo da diventare un punto di riferimento nel paesaggio, che percepiamo sotto forma di un toponimo. In questo caso dobbiamo avanzare con la massima cautela perché la memoria toponomastica ha ritmi diversi da quelli della vita umana. Dalla menzione nell’epitaffio del luogo di esercizio di un artigiano è possibile non solo elaborare mappe mentali della città, ma anche, decifrando queste rappresentazioni, determinare la distribuzione topografica delle attività sul territorio. Le indicazioni localizzabili riportate nelle 138 iscrizioni di Roma furono oggetto di uno studio analitico per determinarne le categorie principali. Una seconda fase di analisi ha poi permesso di definire con maggiore precisione la natura del punto di riferimento utilizzato negli epitaffi. Ebbene, il risultato ci dice che la maggior parte delle inscrizioni si riferiscono a elementi particolari dell'architettura urbana, per lo più edifici o elementi legati alla decorazione urbana (altari, resti della cinta serviana, fontane, ecc.). Altre invece indicano un luogo tratto dalla nomenclatura di strade o rioni: per esempio la Sacra via si riferisce solo a una strada, pertanto alcuni vici, al di là del dibattito esistente sulla traduzione di questo termine, potrebbero talvolta riferirsi solo ad un asse stradale – o agli edifici che lo circoscrivono – piuttosto che ad uno spazio amministrativo. Infine, su scala leggermente più ridotta, un ultimo gruppo di iscrizioni fornisce posizioni più generali, modellate su elementi tratti dalla topografia naturale di Roma, siano esse collinari o fluviali. 54 iscrizioni (39%) utilizzano un punto di riferimento relativo alla religione, ossia templi, altari o percorsi processionali; di queste, ben 29 iscrizioni provengono dalla Sacra via, che da sola costituisce una concentrazione abnorme rispetto al resto del corpus stabilito. Più difficile da
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