Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

La Sociologia: Origini, Teorie e Concetti Fondamentali, Sintesi del corso di Sociologia

La sociologia come scienza sociale, dai suoi inizi a oggi, e introduce teorie e concetti chiave come la struttura sociale, le gerarchie sociali, la solidarietà sociale e il conflitto sociale. una visione sociologica del mondo sociale e dell'influenza che ha sulla nostra identità e sulla nostra vita quotidiana.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 11/02/2022

giulia-rossetti-7
giulia-rossetti-7 🇮🇹

4.5

(2)

5 documenti

1 / 23

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica La Sociologia: Origini, Teorie e Concetti Fondamentali e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia solo su Docsity! 1 Capitolo 1: Immaginazione sociologica È vero che noi siamo individui, con i nostri desideri, gusti, sogni… ma siamo anche esseri sociali. Siamo il prodotto di numerosi contesti: delle famiglie in cui siamo cresciuti, dei quartieri dove abbiamo abitato, delle scuole che abbiamo frequentato, e così via. Nel 2004 Marc Zuckerberg ha creato un sito web che, in origine, aveva lo scopo di permettere agli studenti della sua università di instaurare reciproche relazioni sociali. L’idea si diffonde rapidamente e nasce così Facebook. I suoi inventori probabilmente non erano consapevoli che mentre sviluppavano il loro programma stavano facendo proprie alcune idee sociologiche basilari su come funzionano le reti sociali. Difatti FB e i suoi derivati si basano su una fondamentale intuizione sociologica: il fatto che tutti siamo parte di reti sociali che normalmente ci sono invisibili, attraverso le quali conosciamo persone che, a loro volta, ne conoscono altre a noi estranee, ma con le quali condividiamo alcuni tratti importanti (come interessi comuni). Fb e altri programmi di social networking usano un algoritmo che rende queste connessioni tra le persone immediatamente visibili. Il successo di FB è stato così forte da “spaventare” alcuni governi, che temevano potesse agevolare le persone a creare e diffondere idee antigovernative o indurre gruppi di cittadini a protestare nelle strade (es: in Cina il social network è bloccato). Una società è un vasto gruppo di persone che vivono nella stessa area e partecipano a una cultura comune. La sociologia è lo studio delle società e dei mondi sociali in cui gli individui vivono. Non è lo studio degli individui, ma di come gli individui vivono insieme. Le società sono sempre in mutamento, il quale porta i sociologi a sollevare nuovi interrogativi e a mettere in questione ciò che sappiamo sull’esperienza umana. Alcune domande che la sociologia si pone sono, ad esempio: Come è cambiata la natura delle relazioni intime a seguito della comparsa del dating online? Le nuove tecnologie aiutano i governi a spiare i cittadini o aiutano i cittadini a sorvegliare i governi e a esercitare i propri diritti democratici? 1 Che cos’è l’immaginazione sociologica e perché vale la pena acquisirla? Sin dalla sua nascita la sociologia ha cercato di capire come gli uomini, nel mondo, siano reciprocamente connessi. L’immaginazione sociologica è la capacità di riflettere sistematicamente su quanto cose da noi percepite come problemi personali (come debiti causati da prestiti d’onore) siano in realtà questioni sociali ampiamente condivise da altri individui nati in un periodo e in un ambiente sociale simile al nostro. Comprendere il mondo che ci circonda, e iniziare a pensare a come migliorarlo, significa riconoscere con quanta forza le nostre esperienze individuali siano influenzate dai luoghi e dai tempi in cui siamo nati, da chi nasciamo e dalla serie di esperienze fatte durante l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta. A ogni stadio della vita le nostre opportunità e le nostre potenzialità sono sempre influenzate dalle disuguaglianze e dalle ingiustizie che incontriamo. Per capire come ciò avvenga è necessario pensare in modo sociologico. L’immaginazione sociologica mette in discussione alcune tendenze di fondo che tutti noi abbiamo. Spesso consideriamo normali o naturali le cose che ci circondano. Se nasciamo in un contesto sociale in cui il matrimonio è definito da un vincolo permanente tra uomo e donna, vedere un matrimonio “rompersi” ci sembrerà assurdo; o ancora, se ci troviamo di fronte a un matrimonio composto dal vincolo di due donne, e noi abbiamo nella testa l’idea che il matrimonio sia esclusivamente tra uomo e donna, ciò ci apparirà sbagliato. L’immaginazione sociologica ci aiuta a cogliere la molteplicità delle relazioni di intimità e mette in discussione le nostre supposizioni riguardo le basi naturali invece che sociali di una particolare forma di matrimonio. 2 Fare indebite generalizzazioni a proposito di individui partendo da ciò che crediamo di sapere sui gruppi a cui appartengono è ciò che è chiamato stereotipo. Gli stereotipi sono credenze solitamente false, o perlomeno esagerate, relative ai membri di un gruppo, ma che sono tuttavia alla base delle supposizioni sui singoli individui che ne fanno parte. Facciamo l’esempio della categoria degli anziani. Alcuni pensano che gli individui più anziani non siano buoni lavoratori. Ora, è vero che, ad un certo punto della vita lavorativa, la maggior parte delle persone diventa troppo vecchia per svolgere mansioni di cui magari si è occupata per molti anni. I lavoratori più anziani sono spesso vittime, a causa dell’età, di discriminazione attiva -si definisce così ogni comportamento, pratica o politica che svantaggi, danneggi o escluda le persone sulla base della loro appartenenza a un qualche gruppo o categoria sociale- assai prima di diventare troppo vecchi per svolgere il proprio lavoro. Molti datori e colleghi generalizzano le conclusioni basate su alcuni dei lavoratori più anziani (che, probabilmente, davvero non sono più in grado di svolgere un certo tipo di mansione) a tutti i lavoratori più anziani. L’immaginazione sociologica sfida tali stereotipi anche sollevano domande circa la loro origine e causa, su chi ne tragga vantaggio e sul perché siano dannosi e per chi. Tutti possediamo un certo livello di immaginazione sociologica. Ogni volta che cerchiamo di dare un senso ai mondi sociali che ci circondano iniziamo a pensare sociologicamente. Se osserviamo le persone con attenzione, non ci sarà difficile formulare un’ipotesi realistica su molte di loro (ad esempio, possiamo individuarne il genere, l’etnia e forse persino la regione se indossano qualche indumento distintivo, come un velo). Quando mettiamo in pratica un simile esercizio di people-watching iniziamo, senza rendercene necessariamente conto, a mettere all’opera la nostra immaginazione sociologica. Usiamo informazioni di senso comune sulla nostra società per formulare ipotesi realistiche sugli individui che incontriamo. Ma non è detto che le nostre ipotesi siano sempre corrette. Sapere che un individuo è, asiatico per esempio, non ci dice su che tipo di lavoro svolge o sul suo reddito annuale. Quindi, la semplice osservazione e la formulazione di generalizzazioni non rappresentano di per sé un buon uso dell’immaginazione sociologica. Quest’ultima richiede che si pongano domande più profonde e più significative. Una buona immaginazione sociologica è la capacità di porre domande non scontate, di fare domande “difficili”, anziché accettare immediatamente risposte preconfezionate (ovvero stereotipi). Da dove arrivano queste domande sociologiche? Esse possono riguardare ciò che è direttamente davanti ai nostri occhi così come intere società. Di seguito alcuni esempi: quanta parte dei lavori domestici, in Italia, è sbrigata dalla partner femminile in una coppia eterosessuale? E quanto spesso ci capita di incontrare per strada o in locali pubblici gruppi misti di italiani e immigrati stranieri che chiacchierano e magari cenano insieme?. È importante pensare criticamente anche al “senso comune”. Indubbiamente ci sono idee di senso comune che sono spesso utili (ad esempio guardare prima di attraversare è un suggerimento senz’altro prezioso). Ma comunque sia, ogni aforisma ha senso in qualche contesto ma non altri. Infatti, per ogni aforisma ne esiste uno opposto. Si confronti “pensa prima di parlare” con “chi esita è perduto”. In alcune situazioni è bene cogliere le opportunità prima che finiscano, in altre è raccomandata riflessione e diligenza. Qual è quindi la posizione corretta? Semplice: dipende dal contesto. Nel momento in cui capiamo questo, stiamo già pensando da sociologi. Una volta che abbiamo appreso a non prendere per buoni il senso comune e gli stereotipi, possiamo iniziare a porre domande non banali. E una volta che abbiamo imparato a fare queste domande, siamo sulla buona strada per sviluppare immaginazione sociologica. 5 3 Quali sono le origini della sociologia e in cosa differisce dalle altre scienze sociali? La sociologia e le altre scienze sociali hanno iniziato a svilupparsi quando un crescente numero di studiosi ha messo da parte idee o dibattiti astratti (come “il razzismo è male”) ed è passato a riflettere su come studiare il modo in cui le cose funzionano nel mondo reale e su come quest’ultimo potrebbe essere sistematicamente indagato. L’idea che il mondo sociale possa essere studiato con rigore e metodi scientifici simili a quelli che erano stati applicati alla natura e al mondo naturale si è affermata solo dagli anni ‘80 del XIX secolo. Il termine sociologia è solitamente attribuito al filosofo francese Auguste Comte, che lo usò per primo nel 1839. Egli pensava che la sociologia sarebbe diventata la scienza fondamentale del mondo sociale articolandosi in “statica sociale” (così egli chiamava lo studio delle società per come esse sono in un dato momento) e in “dinamica sociale” (lo studio dei processi e del cambiamento sociale). I confini tra discipline scientifico-sociali erano inizialmente indistinti e spesso i primi scienziati sociali si riconoscevano in diverse discipline (Karl Marx, ad esempio, non si definiva sociologo e non si pensava tale). Il “padre della sociologia” è Émile Durkheim, il quale occupò la prima cattedra di Scienza sociale in Europa nel 1887. La sociologia è una branca del sapere relativamente giovane. In italia i primi corsi furono tenuti negli ultimi due decenni dell’Ottocento, ma solo nel 1950 è stata istituita una cattedra di Sociologia. Furono due gli sviluppi fondamentali che stimolarono le scienze sociali in generale e la sociologia in particolare: l’industrializzazione e l’urbanizzazione. La diffusione del lavoro in fabbrica creò occupazioni che si concentravano in aree urbane. Questa fase dell’urbanizzazione fu contrassegnata da una crescita della percentuale di popolazione che viveva nelle aree urbane e in città (ad esempio, la popolazione di Chicago passò da 29.963 abitanti nel 1850 a 2,7 milioni nel 1920). I contesti sia delle vite individuali sia di intere comunità stavano rapidamente cambiando, e le scienze naturali e biologiche erano incapaci di spiegare appieno quanto si stava verificando. Ad esempio, la chimica e la fisica potevano essere impiegate per spiegare gli effetti fisici dell’inquinamento che si diffondeva dal paesaggio industriale, ma esse non permettevano di capire come il lavoro salariato nelle industrie stesse cambiando le relazioni umane. Le città che registrarono, dalla metà del XIX secolo, un’esplosione demografica negli Stati Uniti e in Europa brulicavano di grandi problemi, nettamente diversi da quelli delle economie agricole dei secoli precedenti. Avevano difatti alti livelli di povertà (il salario era basso e vivere in centri urbani in espansione era spesso costoso) e criminalità. Le città erano inoltre luoghi sporchi dove non erano rari focolai di malattie, mortalità infantile e morti precoci. Erano inoltre luoghi in cui le persone potevano organizzarsi per protestare contro condizioni di vita spiacevoli e, anziché sopportare la miseria da soli nelle proprie fattorie e cascine, era ora possibile incontrarsi e discutere dei problemi a stretto contatto con decine o centinaia di persone. Nascono così i sindacati, associazioni di lavoratori create per proteggere e lottare per i propri diritti. La sociologia ha trovato il suo posto di fronte a queste sfide e condizioni, iniziando a cercare di comprendere le fonti dei nuovi problemi sociali. Capitolo 2: Teoria sociale 1 Cos’è la teoria sociale? Le teorie ci permettono di vedere le cose in maniera differente. 6 Le teorie sociali ci aiutano a comprendere il mondo sociale. Alcune teorie sociali sono molto ampie -il loro obiettivo è di spiegare le caratteristiche generali di tutte le società- mentre altre sono più circoscritte (ad esempio teorie sull’etnia o sulla religione). 2 Come hanno dato senso al mondo i primi teorici sociali? Le basi della sociologia moderna, e della teoria sociale, possono essere ricondotte agli scritti di alcuni autori influenti della seconda metà del XIX secolo e dell’inizio del XX. Questo periodo fu un periodo di enorme cambiamento (passaggio da un’economia basata sul lavoro nei campi e sull’agricoltura a un’economia fondata sull’industria e sul lavoro in fabbrica, migrazione dalle aree rurali alle città, passaggio dalle monarchie alle democrazie…). Questi cambiamenti furono lenti e incompleti (ancora oggi si lavora nei campi e ancora oggi esistono governi non democratici). Eppure, già alla metà del XIX secolo molti pensatori intuirono che il mondo stava cambiando. Inizieremo a esaminare la teoria sociale classica partendo dagli scritti di Karl Marx (1818-1883). Karl Marx è conosciuto soprattutto per essere una figura di spicco del movimento socialista. Non si è mai considerato -né è mai stato considerato in vita- un sociologo, eppure le sue opere teoriche hanno suscitato un acceso dibattito all’interno della disciplina sociologica. I suoi scritti si basano su un principio fondamentale: l’idea che il modo in cui gli esseri umani producono ciò di cui hanno bisogno per vivere costituisca il fondamento di ogni società. Di conseguenza, il sistema economico di una società, e le relazioni che esso crea tra gli individui e i gruppi, definiscono il funzionamento stesso di quella società. Egli credeva che il sistema economico influenzasse profondamente la sfera politica e culturale e che quindi, per comprendere l’emergere di particolari idee sociali e culturali all’interno di una determinata società, bisognasse analizzare il suo sistema economico. Egli osservò che tutte le società -ad eccezione delle più semplici società di cacciatori e raccoglitori- producono un surplus economico, ossia producono collettivamente più beni di quelli necessari a soddisfare i propri bisogni materiali minimi qualora tali beni fossero distribuiti equamente. Tuttavia, non accade mai che una società distribuisca in maniera davvero equa tutti i beni. Marx riteneva che per analizzare qualsiasi società ci si dovesse porre inizialmente due domande sull’ineguaglianza: Chi si appropria di questo surplus? Quali mezzi usa per fare ciò? Poiché in ogni società il controllo sul surplus consente ad alcuni suoi membri di avere dei ricavi extra che non vengono condivisi con gli altri, Marx sosteneva che in ogni sistema economico esistessero delle tensioni tra i gruppi. Il criterio di distinzione delle classi era per Marx la proprietà dei mezzi di produzione. In ogni società quindi sono due le classi in cui è distribuita la popolazione: quella dei proprietari e quella di chi non avendo la proprietà dei mezzi di produzione è costretto quindi a lavorare per vivere. Marx ed Engels, nella loro celebre opera Manifesto del Partito Comunista individuano nella storia di tutte le società tre diversi modi di produzione: le società antiche, fondate sulla schiavitù; il feudalesimo, che era contraddistinto da società largamente agricole con un numero ridotto di proprietari terrieri; e il capitalismo, cui economia si fonda sul libero mercato. Ciascuno di questi modi di produzione è composto da due parti: dalle forze di produzione -insieme degli strumenti utilizzati per produrre beni- e dai rapporti sociali di produzione -il modo in cui le persone si organizzano per svolgere le attività che servono a produrre quei beni. Ne Il Capitale, Marx credeva che al centro delle società capitalistiche vi fosse un conflitto cruciale tra i membri di due classi: la borghesia, che possedeva le risorse da lui definite 7 capitale, e il proletariato, ovvero la classe operaia, che non possedendo alcun capitale è costretta a cercare impieghi retribuiti per soddisfare i propri bisogni elementari. Egli inoltre sosteneva che altri gruppi sociali (come i commercianti) occupassero una posizione intermedia tra l’élite capitalista e gli operai, ma che, a ogni modo, dato che le imprese più grandi sono in grado di produrre a costi inferiori rispetto a quelli sostenuti dalle piccole imprese, questi sarebbero portati a fallire e a trasformarsi in proletari. Marx predisse che questi gruppi intermedi si sarebbero progressivamente ridotti. Le società capitaliste moderne si sarebbero gradualmente polarizzate, finendo per essere composte da una borghesia molto limitata e da una classe operaia sempre più ampia. Secondo Marx il capitalismo si sarebbe potuto affermare solo a seguito dell’eliminazione dei privilegi ereditari dei proprietari terrieri e delle norme che consentivano a essi di esercitare il proprio controllo sulle vite dei braccianti agricoli. Così come i capitalisti avevano rovesciato il feudalesimo per creare un nuovo e più dinamico sistema economico, pensava Marx, alla fine anche il proletariato avrebbe dato vita a una rivoluzione in grado di rovesciare il capitalismo e di creare una società socialista, in cui le forze di produzione della società sarebbero state possedute da tutti in virtù dell’abolizione della proprietà privata. Sempre secondo Marx, a motivare il proletariato sarebbe stato il fatto che i capitalisti, cercando di mantenere o di incrementare i propri profitti, nel corso del tempo avrebbero ridotto i salari dei lavoratori al punto da indurre questi ultimi alla rivolta. Questa teoria è conosciuta come teoria della lotta di classe. Ma il mondo in cui viviamo oggi appare molto diverso da quello immaginato da Marx. Il capitalismo è cambiato in modi che Marx ed Engels non avevano previsto nei loro scritti (le società capitaliste hanno infatti sviluppato ampi programmi sociali finanziati e gestiti dal governo statale, come ad esempio le assicurazioni sanitarie gratuite o a basso costo, i sussidi di disoccupazione…). Passiamo ora a Émile Durkheim (1858-1917), considerato uno dei padri fondatori della sociologia. Nel libro Le regole del metodo sociologico, Durkheim sottolinea l’importanza della sociologia, paragonandola alla biologia e alla fisica. Egli sosteneva che, proprio come nel caso della biologia e della fisica, l’oggetto di studio della sociologia fosse costituito da forze concrete e oggettive, che esistono indipendentemente dalla nostra capacità di controllo. Come non possiamo sconfiggere la forza di gravità, così non siamo in grado nemmeno di sopraffare quelli che lui definisce fatti sociali. Gli altri studiosi iniziarono a fare riferimento ai fatti sociali definendoli forze sociali: esse sono “sociali” in quanto prodotti dell’agire umano che persistono nel tempo, e sono “fatti” o “forze” nel senso che noi nasciamo in un modo con numerose regole e costumi, e siamo obbligati a rispettare tali regole per adattarci alla nostra comunità e interagire con gli altri. Il comportamento umano non è naturale, ma è frutto dell’apprendimento. Uno dei processi fondamentali è il processo di socializzazione, grazie al quale impariamo a comportarci in società. Tra le forze sociali più importanti che influenzano il nostro comportamento troviamo le norme. In Il suicidio, Durkheim espone come le forze sociali siano importanti per via della loro influenza sul comportamento individuale. A prima vista, il suicidio è l’atto più solitario che si possa immaginare. Durkheim arrivò però alla conclusione che la probabilità che un certo numero di persone si uccida in un determinato luogo e in un dato momento è in realtà fortemente influenzata da fattori sociali (ad es. dalla presenza di conflitti armati). Il sociologo distingue tra due forme differenti di solidarietà sociale. La prima è la solidarietà meccanica, prevalente nelle società “primitive”, caratterizzate da una divisione del lavoro e da una specializzazione delle mansioni estremamente ridotte. Nelle società 10 concentrano su una delle nostre identità -la nostra nazionalità ad esempio- e si convincono che essa sia la nostra identità principale. Ci occuperemo adesso di W.E.B Du Bois. Il suo interesse prioritario riguardava il problema della “razza” e della disuguaglianza razziale nella società americana. Le sue opere furono fondamentali per comprendere il modo in cui i pregiudizi e gli stereotipi condizionano l’esistenza delle minoranze e delle persone svantaggiate. All’epoca di Du Bois, le teorie dominanti sulla “razza” sostenevano che i bianchi di origine europea e i neri fossero diversi dal punto di vista biologico. Secondo queste teorie i bianchi erano superiori ai neri. Non aveva quindi senso, per la società americana, offrire pari opportunità agli afroamericani, poiché questi ultimi non avrebbero comunque potuto trarne alcun vantaggio. Du Bois si oppose a questa visione dominante, sottolineando come la disuguaglianza non avesse alcun fondamento biologico, ma fosse invece un prodotto del razzismo. Nel suo studio della comunità afroamericana di Philadelphia, Du Bois mostrò come ogni aspetto della vita degli afroamericani fosse profondamento influenzato dalla disuguaglianza. Cercò di capire come i membri di questa comunità potessero sopravvivere in condizioni di povertà e con redditi estremamente limitati, e qual era la percezione che gli afroamericani (relativamente) benestanti avevano dei membri più poveri della comunità. L’analisi di questo ultimo punto portò Du Bois a riflettere sul fallimento delle "élite" afroamericane nel dare sostegno ai membri più poveri della comunità (nel, quindi, “elevare la razza”, espressione che utilizza Du Bois in un’opera successiva). Nell’opera Le anime del popolo nero, Du Bois sostiene che era la struttura sociale della società a causare colpevolmente la parvenza di inferiorità della comunità nera. L’idea più importante contenuta in quest’opera, però, è l’idea di “doppia coscienza”. Secondo il suo autore, i neri, a causa della loro condizione marginale nella società americana, erano costretti, a differenza dei bianchi, a vivere una doppia vita, una da neri e l’altra da americani. Essi inoltre soffrivano perché, vedendo se stessi attraverso gli occhi degli altri, potevano percepire quanto fossero sviliti agli occhi dei bianchi. 3 Le innovazioni della teoria sociale nella seconda metà del XX secolo Secondo la teoria struttural-funzionalista di Parsons il sistema è composto da norme, valori e istituzioni. All’interno del sistema sociale, gli individui assumono diversi ruoli (del “professore”, del “capo”...) e agiscono in accordo ai propri ruoli, come fanno gli attori seguendo un copione. La teoria struttural-funzionalista mette in evidenza come le norme, i valori e le istituzioni emergano e persistano nella società perché sono particolarmente efficaci a mantenere l’ordine sociale. Le questioni critiche della prospettiva struttural-funzionalista sono: (1) le caratteristiche durevoli della società possono essere spiegate in termini “funzionali” - la religione, per esempio, è un fenomeno che pervade ogni società perché consente di creare dei valori comuni e fornisce una spiegazione a ciò che altrimenti risulterebbe inesplicabile; (2) gli individui sono estremamente influenzati dal sistema sociale in cui vivono; (3) il sistema sociale minimizza i conflitti grazie al fatto che gli individui apprendono quale sia il proprio ruolo e lo accettano. Secondo la prospettiva struttural-funzionalista il cambiamento avviene gradualmente. A differenza di Marx, che concepiva il cambiamento come il risultato di lotte di classe rivoluzionarie, Parsons credeva che nel mutamento sociale operassero dinamiche simili a quelle proposte dalla teoria dell’evoluzione. Secondo Parsons le società evolvono nel tempo 11 attraverso un processo di selezione naturale, nel quale le caratteristiche disfunzionali della società vengono lentamente messe da parte e sostituite da caratteristiche più vantaggiose. Numerosi teorici sociali criticarono però la teoria struttural-funzionalista di Parsons, la quale nega il ruolo fondamentale del conflitto nella società. Effettivamente, nella sua forma più estrema, la teoria struttural-funzionalista sembra suggerire che gli elementi in grado di imporre la vigenza di un dato ordinamento sociale, come la religione, siano predominanti rispetto agli elementi capaci di generare conflitti. Viene così proposta la teoria del conflitto: uno dei suoi fondatori, Ralf Dahren, riteneva che nel mondo moderno esistono molti tipi di conflitti economici, e pensava che tali conflitti rappresentassero delle componenti fondamentali della vita sociale. Anche i conflitti di altro genere, che non riguardano la sfera economica, rappresentano delle forme importanti di conflitto. La popolarità della teoria del conflitto deriva in gran parte dal senso di inadeguatezza che sempre più circondava la teoria funzionalista, la quale non sembrava molto efficace nel fornire una spiegazione per l’esistenza della diseguaglianza sociale, e nelle sue versioni più estreme pareva addirittura giustificarla, ritenendola funzionale alla società: alcuni teorici funzionalisti sostenevano che la disuguaglianza era necessaria (nessuno affronterebbe il lungo e percorso di formazione per diventare medico se i medici non fossero retribuiti più di altri professionisti, secondo questi teorici). Al contrario, la teoria del conflitto prevedeva l’approfondita analisi delle disuguaglianze economiche e sociali, e sottolineava come la diversa distribuzione del benessere e del potere non fosse un risultato naturale, ma il prodotto dell'azione di individui e gruppi che possedevano potere sufficiente per proteggere i propri privilegi. I teorici del conflitto sostengono che l'ineguaglianza produca tensioni per l’accaparramento delle risorse. Nonostante il conflitto sia un elemento importante della vita sociale, la teoria del conflitto si dimostrò incapace di fornire le basi per la costruzione di una teoria sociale davvero nuova. Un’altra risposta critica al funzionalismo fu l’interazionismo simbolico, focalizzato sull’interazione sociale e sul ruolo della dimensione simbolica nelle interazioni. L’interazionismo simbolico considera l’ordinamento sociale come il risultato delle interazioni individuali e dei significati che gli attori sociali attribuiscono agli oggetti, alle situazioni e alle relazioni con gli altri. Per comprendere la società bisogna analizzare le interazioni sociali quotidiane -comprese le interazioni più comuni, come il mangiare insieme o il salutarsi per strada- perché è attraverso queste interazioni che prendono forma sia le identità individuali che le società. Ciò che distingue gli esseri umani dalle altre specie animali è il fatto che quando interagiamo con gli altri interpretiamo e assegniamo significati a oggetti, attività, persone. Secondo Mead siamo “animali sociali” e ciò che ci distingue dagli altri animali è il nostro essere sia soggetti che oggetti (distinzione tra l’”io” e il “me” che ritrovi nell’altro approfondimento…). Herbert Blumer distingue tre tipi di oggetti: fisici (albero), sociali (persone) e astratti (idee). Il nostro comportamento è influenzato dalle opinioni che gli altri hanno di noi. Dato che tutti desideriamo essere giudicati positivamente, ha senso provare a comportarci in maniera tale da spingere gli altri a interpretare il nostro comportamento positivamente. Su quest’idea si fonda l’opera del sociologo Erving Goffman (La vita quotidiana come rappresentazione), il quale si appropria della celebre citazione shakespeariana “tutto il mondo è palcoscenico” per comparare la vita sociale al teatro, sostenendo che i nostri comportamenti somigliano alle performance degli attori: come accade agli attori, anche noi interpretiamo dei ruoli, seguiamo delle sceneggiature, veniamo giudicati da un pubblico. 12 Secondo la visione “drammaturgica” di Goffman le persone cercano costantemente di influenzare le interpretazioni altrui (andiamo a un colloquio di lavoro e ci andiamo vestiti bene, siediamo in maniera composta…). Quando mettiamo in atto tali comportamenti ci impegniamo nella gestione dell’impressione. 4 Una nuova generazione di teorie sociali La tradizione teorica marxista fu al centro di un significativo revival a partire dagli anni ‘60. Una delle preoccupazioni fondamentali del neo-marxismo era di perfezionare le idee politiche di Marx per sviluppare una teoria dello stato capitalista. I neo-marxisti elaborarono nuove prospettive in grado di tenere conto di come e perché i governi delle società capitaliste adottassero politiche che proteggevano gli interessi della classe capitalista, ma allo stesso tempo cercarono di capire quali condizioni potessero favorire un’apertura dei governi e dei gruppi economicamente più potenti nei confronti delle necessità e delle richieste della classe operaia. Per fare un esempio, uno stato capitalista può adottare politiche sociali di cui beneficiano le persone più povere e la working class, utilizzando strumenti come il sistema pensionistico, mentre allo stesso tempo può proteggere il profitto della classe capitalista e sostenere la crescita economica. I benefici offerti da questi programmi erano visti dai neo-marxisti come l’elemento-chiave per convincere la classe operaia di non aver bisogno del socialismo. Allo stesso tempo, tuttavia, i neo-marxisti insistevano sul fatto che tali concessioni non avrebbero potuto durare per sempre e che alla fine ci sarebbe stato un nuovo tipo di rivoluzione socialista. Il modello a due classi proposto da Marx non poteva più essere applicato alle società capitaliste moderne, composte da professionisti come medici, insegnanti, dirigenti… Per il teorico neo-marxista Erik Olin Wright è necessario considerare che il possesso di un’azienda non l’unico asset che può essere usato per incrementare i profitti; anche i titoli, come una laurea in legge, e l’occupazione di posizioni apicali nelle organizzazioni possono essere utilizzati alla stessa materia. Il possesso di ciascuno di questi asset genera un surplus economico. Di conseguenza, la distinzione delle classi in base al possesso di capitale, come l’aveva concepita Marx, finisce per essere più sfumata. Un limite importante del neo-marxismo era la sua attenzione selettiva verso il potere e i rapporti tra le classi. Una nuova generazione di sociologi reagì al revival marxista cercando di rafforzare l’analisi sociologica delle forme di disuguaglianza che non riguardavano le classi. Negli anni ‘70 del XX secolo, l’emergere di una teoria sociale femminista mise in discussione gran parte degli sviluppi della teoria sociale classica, mostrandone le distorsioni derivanti dalla sua tendenza ad adottare una prospettiva maschile. La filosofa e scrittrice Simone de Beauvoir, nel classico Il secondo sesso, analizza il fenomeno della patriarchia, concentrandosi sul modo in cui le società si organizzano per far sì che le donne siano sistematicamente controllate e svalutate. La società fa sì che le donne appaiano differenti e inferiori agli uomini, così che esse si ritrovino in una condizione di subordinazione. La Beauvoir fu uno dei primi teorici a insistere sul fatto che il genere e la femminilità siano costruzioni sociali -è la società a creare le categorizzazioni di genere, che non sono quindi il risultato di differenze biologiche- e a sottolineare come le categorizzazione di genere si trasformino in disuguaglianze durature tra uomo e donna. È possibile distinguere tre approcci teorici fondamentali della teoria femminista: ● Teorizzazione delle differenze di genere e delle loro conseguenze: questi primi lavori iniziarono a evidenziare come quasi tutte le teorie sociali precedenti avessero ignorato le donne, adottando un punto di vista maschile e basandosi esclusivamente 15 Capitolo 4: Interazione sociale 1 Come sviluppiamo un senso del sé? Il concetto del sé (self) è così importante che, se si ha difficoltà a svilupparlo, anche il corpo fisico ne risente. Tutti abbiamo bisogno di contatto sociale (in alcuni casi può diventare anche questione di vita o di morte). Gli altri ci dicono, non necessariamente in modo esplicito, che cosa siamo, e noi interpretiamo le loro valutazioni come rappresentative del nostro essere. Ciò inizia con i nostri genitori o altri caregiver. I loro sorrisi e espressioni ci offrono una prima consapevolezza che anche noi esistiamo. Da quel momento in poi seguiranno costanti feedback sul tipo di persona che siamo, incluso quanto buoni o cattivi siamo. Ci conosciamo attraverso “lo specchio” degli altri. L’espressione “sé riflesso”, coniata da Charles Horton Cooley nel 1902, mette in evidenza quando i nostri giudizi dipendano dal modo in cui gli altri ci vedono. Ci vediamo come gli altri ci vedono. L’approvazione degli altri è fonte di motivazione: desideriamo instaurare legami con gli altri, e per questo cerchiamo di prevedere come sarà valutato ciò che facciamo. Abbiamo la capacità di “assumere il ruolo dell’altro”. Gli altri orientano il proprio comportamento alla luce delle reazioni che si aspettano da noi. Dal punto di vista sociologico, è qui che nascono senso di colpa e coscienza. Non vogliamo deludere gli altri. Diamo maggiore importanza ad alcune persone e ad alcuni tipi di persone che ad altri. I sociologi usano il termine altro significativo per denotare coloro che ci sono abbastanza vicini da poter avere una forte capacità di motivare il nostro comportamento. Per quasi tutti esiste più di un individuo che riveste il ruolo di altro significativo. Ognuno di noi ha diversi gruppi di riferimento. Nel valutare le nostre azioni facciamo riferimento ad altre persone, le cui posizioni sociali e preferenze hanno una rilevanza particolare per la nostra autostima. Modelliamo il nostro comportamento su di essi; talvolta ci sono individui particolari che possono servire da modelli di ruolo (ne imitiamo come si vestono, si muovono…). Ognuno di noi è legato a numerosi gruppi di riferimento, anche in modo simultaneo. I sociologi hanno rivelato che le relazioni con conoscenti che non frequentano quasi nessuno dei nostri amici o non svolgono nessuna delle nostre attività tendono a essere meno numerose e a esaurirsi più velocemente di quelle appartenenti a gruppi con molteplici collegamenti alle nostre cerchie e ai nostri interessi sociali. I sociologi usano l’espressione “altro generalizzato” per definire il controllo sociale esercitato attraverso implicite intese comuni su ciò che è appropriato, dato un certo tempo e luogo. Per esempio, nella nostra società, nessuno svolge il proprio lavoro in pubblico standosene nudo. Indossare vestiti è dato per scontato a tal punto che, solitamente, non è necessaria una regola al riguardo. Tramite la socializzazione capiamo come dobbiamo comportarci nella società in generale o in particolari ambienti sociali. Tutti noi viviamo assumendo molteplici facce: Christena Nippert-Eng ha rilevato che le persone la pensano in modo diverso circa ciò che desiderano condividere. Ad esempio, per alcuni è impensabile mostrare agli altri le prescrizioni mediche presenti nel proprio portafoglio; altre ancora non si preoccupano di quanto questi pezzi di carta potrebbero rivelare. Siamo sempre in cambiamento poiché il processo non si interrompe mai. Le circostanze in cui ci troviamo continuano a cambiare, alteriamo costantemente la nostra identità nel corso 16 del tempo, anche se in modi appena percettibili (qualche volta siamo italiani altre lombardi; qualche volta ci identifichiamo per la nostra occupazione e altre per le nostre passioni). 2 Come diamo senso ai nostri mondi? In che modo gli individui dimostrano competenza come membri interagenti di una società? Come facciamo a mostrare che stare con noi non è pericoloso? Alcuni sociologi, influenzati dall’interazionismo, affrontano la questione. Gli esseri umani hanno specifici metodi per interagire con gli altri, e le persone di tutto il mondo, indipendentemente dalla cultura o dal momento storico, usano gli stessi metodi. Questa è la prospettiva del sociologo Harold Garfinkel, inventore della branca della sociologia chiamata etnometodologia (neologismo che significa “lo studio dei metodi usati dalla gente comune”). Non esiste un significato in sé delle parole: le persone ne costruiscono il significato basandosi sempre sul contesto sociale (non è lo stesso sentire una come frase come “Ti ucciderò” uscire dalla bocca di una bambina che uscire dalla bocca di un poliziotto che ci sta torturando). Anche chi ci fa la domanda influenza quanto una risposta possa essere esauriente o meno. Quando chiediamo a una persona “come stai?”, solitamente non desideriamo conoscerne la temperatura corporea. Dato il contesto, un “bene” o un “tutto ok” può essere sufficiente. Ma se la domanda è formulata dal nostro medico, egli potrebbe davvero voler conoscere la nostra temperatura corporea. L’etnometodologo Emanuel Schegloff ha scoperto che anche silenzi brevissimi sono fonti di informazioni. Quando chiediamo a qualcuno di uscire con noi, se la risposta è “sì”, il “sì” sarà pronunciato immediatamente, entro una frazione di secondo dalla richiesta o anche sovrapponendosi a questa; se invece la risposta è “no”, essa arriverà in ritardo, o meglio, attraverso il ritardo. Un silenzio, seppur minimo, può anche essere colto attraverso brevi parole ed espressioni apparentemente prive di significato, come “eh”, “beh”, “uhm”. Il processo viene gestito con l’alternanza dei turni. Le persone alternano i turni perché una conversazione simultanea è pressoché impossibile da mantenere. I sociologi chiamano questo tipo di risposta all’interruzione della conversazione riparazione. I sociologi hanno rilevato alcuni modelli (patterns) relativi a chi cede la parola. Nonostante frequenti eccezioni, gli uomini al contrario dello stereotipo che li vuole “forti e silenziosi”, interrompono le donne più di quanto queste ultime facciano nei loro confronti. Quando entrambi parlano simultaneamente, sono le donne che, più spesso, cedono. La conversazione, per tanto, non è necessariamente democratica. Differenze di età e di genere a parte, i “capi” mostrano il proprio potere attraverso le parole. Tuttavia, le asimmetrie conversazionali sono importanti perché chi salta il proprio turno conversazionale perde l’opportunità di far sentire la propria opinione. Le emozioni non sono assolutamente fuori dal nostro controllo. Per i sociologi sono anche prestazioni che eseguiamo per specifici scopi, sebbene le loro manifestazioni variano a seconda del contesto. Il dovere del pianto cambia di società in società: in alcune culture è considerato appropriato piangere, ad esempio, alla morte di una persona cara; in alcune parti del mondo invece, è appropriato ballare ai funerali. Secondo l'etnografo Jack Katz anche ridere insieme agli altri è un sinonimo di come il contesto influenzi l’emozione e la sua manifestazione. Contrariamente all’alternanza dei turni conversazionali, sarebbe considerato strano, persino distruttivo, trattenere la propria risata finché un’altra persona abbia smesso di ridere. 17 Ci stimoliamo in modo reciproco. Ad esempio, nel caso di un concerto, gli stessi interpreti riconoscono di ricavare la propria energia dal pubblico che hanno di fronte, proprio come il pubblico la ricava dall’interprete. Di nuovo, le persone adeguano le proprie risposte alle condizioni in cui si trovano. Non si urla in chiesa durante la messa, come non si rimane fermi e con la faccia seria a un concerto rock. Le persone cambiano la situazione che sta cambiando loro. Il sociologo inglese Max Atkinson ha scoperto che l’applauso scoppia improvvisamente, cresce per un secondo, poi si stabilizza. Egli ha notato come l’oratore talentuoso fornisce ai membri del pubblico indizi che comunicano loro quando battere le mani: momenti in cui essi possono presumere che gli altri applaudiranno con loro. Atkinson ha osservato che gli oratori efficaci si servono dei tricolon, le quali, disposte con la giusta intonazione, porteranno i membri del pubblico a rispondere in modo appropriato e ad applaudire nello stesso momento. I bravi oratori, semplicemente, sanno cosa serve alle persone per agire insieme (non hanno qualcosa di magico o qualche tratto caratteriale che induce gli altri a rispondere con obbedienza o entusiasmo). Gran parte dello scambio di messaggini, dell’uso di Twitter e di Facebook è progettato per dare origine a “compresenza” -per stabilire un appuntamento, riunione o incontro di lavoro. La sociologa Deidre Boden ha scoperto che una grande quantità di e-mail e SMS riguarda l’organizzazione di incontri faccia a faccia. Una delle ragioni per cui desideriamo stare insieme è la ricchezza di informazioni non verbali che solo la compresenza può permettere, come i cenni del capo, le esitazioni e i sorrisi autentici. Possono sorgere problemi per le comunicazioni tramite e-mail o attraverso i social media. Ci possono, infatti, essere incomprensioni sul tono del discorso. Gli utenti dei social media si dimostrano, però, creativi nel trovare nuovi modi di adattarsi alla tecnologia, in modo da aumentare la propria chiarezza e diminuire le probabilità di essere fraintesi. Ciò può avvenire tramite l’uso di “emoticon” o attraverso vocaboli scritti interamente in maiuscolo, per mostrare enfasi. Tuttavia, questi segnali sociali non sostituiscono completamente la reale comunicazione interpersonale. Secondo Georg Simmel, la disattenzione civile, specialmente in luoghi densamente popolati, è ciò che rende possibile la vita sociale. Quando ci troviamo in luogo pubblico, la pratichiamo: ignoriamo (reciprocamente) la presenza dell’altro (fino a un livello adeguato). In questo modo, dozzine se non centinaia di persone che camminano per strade di città si vedono e si sentono senza essere per questo un’inutile seccatura o fonti d’ansia. Quando entriamo su un autobus, molto probabilmente osserveremo la disattenzione civile in azione. Quando qualcuno cerca una sedia osserva quali sono libere, non il viso delle persone già sedute. Fare il contrario sarebbe considerato strano (a meno che non ci siano pochi posti liberi). Talvolta le nostre prestazioni pubbliche non sono perfette, ma sappiamo come rimediare. Siamo, ad esempio, in una biblioteca e dal nulla ci cade un libro a terra. Per riparare a un tale danno, un metodo semplice e ben noto è quello di dire semplicemente “Ops!”. Goffman ha messo in forte rilievo l’importanza di dire ops. La nostra capacità di dire “ops” al momento giusto, con il volume giusto e la giusta intonazione, è solo un piccolo esempio di un ampio numero di tecniche alle quali ognuno di noi ricorre per aiutarsi a uscire da una situazione difficile. Tuttavia, proprio come esiste chi interrompe in modo maleducato, esistono casi in cui le persone assumono una condotta poco amichevole per motivi che sono indipendenti dalla goffaggine o dalla mancanza di competenze sociali. Gli individui possono non distogliere lo 20 Anche il seguire le lettere alla regola può mandare tutto in tilt. Per esempio i sindacati, allo scopo di provocare disagi, possono invitare i loro iscritti allo “sciopero bianco”. Si tratta di seguire le regole alla lettera: ciò significa non prendere più tutte quelle piccole scorciatoie che permettono che il lavoro venga svolto. È una buona tattica sindacale, perché l’unica risposta per i datori di lavoro è chiedere ai propri dipendenti di tornare ai vecchi metodi e non seguire strettamente le procedure. In uno studio recente condotto in una segheria dell’Idaho, un dipendente impegnato in un’azione di sciopero bianco, ha lasciato che divampasse un incendio danneggiando una macchina costosa, e si è allontanato per raggiungere in orario un incontro “obbligatorio” sulla sicurezza. Dopo il periodo di protesta, si è tornati ai metodi di lavoro abituali, riconoscendo che un incendio è una buona eccezione per non soddisfare la richiesta “obbligatoria”. In uno studio classico di metà Novecento di Solomon Asch, si è rivelato come la pressione del gruppo può cambiare i comportamenti delle persone in molti -ma non in tutti i casi. Un risultato di notevole rilievo delle varianti di questo esperimento è che si è scoperto che basta la presenza di un solo alleato per influenzare fortemente il risultato. Se l’esperimento permetteva a una sola persona di concordare con il soggetto inconsapevole sulla risposta esatta, l’opinione contraria della maggioranza perdeva molto del suo impatto. Ciò suggerisce quanto sia importante per gli individui avere almeno un’altra persona che li sostenga. È molto più facile “andare contro tutti” se si ha un compagno. Questi generi di esperimenti hanno ricevuto diverse critiche. Inoltre, non sappiamo se chi partecipava all’esperimento credesse davvero che il gruppo avesse ragione oppure si limitasse a riferire risposte errate allo sperimentatore. Tuttavia, anche affermare qualcosa che non si crede rientra nel conformismo. I risultati sperimentali destano particolare impressione, dato che i soggetti di ricerca non avevano altro motivo di mentire che la pressione al conformismo. Una lezione ancora più severa impartita dal laboratorio della scienza sociale è la seguente: in determinate condizioni, le persone -parliamo di persone comuni- faranno del male ai propri simili, e forse, potranno arrivare anche a ucciderli. Stanley Milgram ha cercato di scoprire quali siano le condizioni potenzialmente in grado di portare individui per altri versi rispettabili a danneggiare un’altra persona. Nel suo esperimento, Milgram ha convinto i soggetti a somministrare quelle che essi pensavano fossero scosse elettriche dolorose, persino letali, a estranei che avevano risposto in maniera errata a un test di apprendimento. Anche quando l’”allievo” (che, in realtà, era un collaboratore di Milgram) lanciava urla di dolore, più del 60% dei soggetti alla fine somministrava tre volte di seguito la scossa più forte. In alcune condizioni era però meno probabile che le persone somministrassero scariche elettriche a una vittima innocente (questo quando lo sperimentatore chiedeva al soggetto di mettere la mano della vittima sull’elettrodo, e infatti il tasso di scariche elettriche diminuiva). Nel 1971 Philip Zimbardo, allora professore di psicologia a Stanford, reclutò ventiquattro studenti della sua università ai quali chiese di vivere in un finto carcere e assegnò, in modo casuale, il ruolo di prigioniero o carceriere. Nonostante sapessero che non c’era nulla di reale nella situazione, essi si conformarono in maniera sin troppo aderente al ruolo assegnato. In molti casi, le guardie assumevano atteggiamenti di forte sadismo, umiliando i prigionieri, obbligandoli a camminare nudi e limitando le loro capacità di urinare e defecare. I prigionieri si ribellarono presto, ma il fallimento della rivolta li portò a sottomettersi a pesanti abusi. Le conseguenze dell’esperimento furono così gravi che Zimbardo dovette interromperlo dopo soltanto sei giorni. Il modo in cui gli individui sono inclini ad accettare così 21 profondamente un ruolo sociale e a conformarsi con tanto zelo alle aspettative ad esso collegate fornisce informazioni che fanno riflettere sul punto fino a cui essi si spingeranno in questo senso. Capitolo 5: Struttura sociale 1 Che cos’è la struttura sociale? I sociologi concordano nel ritenere che gli individui hanno la possibilità di influenzare il proprio destino, ma riconoscono anche che la struttura sociale li influenza in modo significativo. Per i sociologi, i bambini ricchi hanno maggiori opportunità di crescita intellettuale (possono, per esempio, disporre di insegnanti privati); i bambini poveri, per contro, difficilmente godono di queste opportunità. Si usa il concetto di struttura sociale per descrivere quelle regole e quelle norme della vita quotidiana che funzionano come modelli capaci di influenzare durevolmente e regolare le interazioni sociali. Le strutture sociali esercitano una forte influenza su individui, gruppi e organizzazioni e agiscono sullo sfondo della vita sociale. Anche il semplice atto di attraversare la strada è influenzato da strutture sociali. Ci sentiamo a nostro agio e sicuri quando attraversiamo la strada con il semaforo verde, perché siamo convinti che le automobili si fermeranno e non saremo investiti. Tale sicurezza l'abbiamo grazie a quelle leggi che infliggerebbero pesanti punizioni a chi non le rispettasse. L'importanza della struttura diventa chiara soltanto quando quest’ultima è assente (si pensi alle situazioni nei film dopo un incredibile disastro naturale). Sottostante alla vita sociale quotidiana c’è quindi una struttura in grado di rendere possibile l’ordine sociale. La struttura sociale è essenziale in ogni cosa che facciamo. Se organizziamo una riunione, per essere ben organizzata richiede alcune regole (per quanto tempo le persone possono parlare, da che ora a che ora dura…). Una delle caratteristiche più importanti di ogni struttura, fisica o sociale, è la sua durata nel tempo, la sua persistenza anche quando tutto attorno cambia. Tutti conosciamo le strutture sociali in un modo o nell’altro (ad esempio, “sappiamo” tutti di dover rispettare i nostri insegnanti o il nostro medico). La struttura sociale è composta, fondamentalmente, da: ● Ruoli: Usiamo il termine ruolo per descrivere le regole e le aspettative che sono associate a posizioni differenti. Ogni ruolo è associato a specifici doveri e aspettative sociali. Ci si attende che chi assume un ruolo lo svolga in un certo modo, come farebbe un attore durante una rappresentazione. Tutti svolgiamo molteplici ruoli (genitori al risveglio, “passeggeri” se usiamo il trasporto pubblico…). Occupare un dato ruolo cambia il nostro comportamento nel corso della vita, “cresciamo” (per un adulto è molto imbarazzante esser considerato un “bambino”). I ruoli possono essere assegnati (come quello di “figlio”) o ottenuti attraverso azioni intenzionali (“genitore”). Possono inoltre provenire dal nostro genere, dalla nostra nazionalità (l’essere “italiani”). Alcuni ruoli possono non presentare differenze di status (come automobilista o pedone), mentre altri sì. I ruoli che si accompagnano a differenti quantità di potere e privilegio sono meglio descritti con il termine di gerarchie sociali; 22 ● Gerarchie sociali: alcune gerarchie sono più importanti di altre (si pensi agli ebrei che si ritrovarono improvvisamente, durante la Seconda Guerra Mondiale, nel fondo di una mortale gerarchia sociale). Le gerarchie sorgono e si mantengono in qualunque situazione in cui i membri di un gruppo siano in grado di usare il possesso di una qualche risorsa (come può essere il colore della pelle) come base per la rivendicazione di vantaggi rispetto agli altri che ne sono privi. Gli individui e le collettività sono influenzati dalle gerarchie sociali, le quali aumentano o diminuiscono le possibilità degli individui di realizzare le proprie aspettative. Le gerarchie sono importantissime perché capaci di generare tensioni e conflitti tra gruppi dominanti e gruppi subordinati. Possiamo trovare esempi di tensioni ovunque. Pensiamo alla gerarchia di genere: è stata a lungo un fattore che ha reso impossibile per le donne competere alla pari con gli uomini sul mercato del lavoro, ad esempio per posizioni di alta dirigenza nelle grandi imprese. Nonostante decenni di lotte femministe e azioni finalizzate a fornire pari opportunità alle donne, sembra esistere ancora un “soffitto di cristallo” impossibile da rompere quando si tratta delle posizioni di potere e di autorità. Il cosiddetto “soffitto di cristallo” è una metafora adoperata per descrivere la relativa lentezza dei progressi compiuti dalle donne sulla strada che porta all’occupazione di posizioni dirigenziali di alto livello. Le aziende assumono donne per lo più per i livelli più bassi del management, ma quando arriva il momento della promozione, rimangono svantaggiate. Le gerarchie implicano il potere -la capacità di influenzare il comportamento altrui- e il privilegio -la possibilità o il diritto di avere accesso speciale a opportunità o a ricompense-, attraverso i quali un gruppo dominante cerca di monopolizzare le opportunità e controlla le ricompense o, quantomeno, previene l’erosione dei privilegi esistenti. I gruppi subordinati, per contro, sono soggetti a uno status inferiore e a opportunità limitate. Il meccanismo più comune di mantenimento del privilegio è la discriminazione. I cambiamenti derivano sia dalle proteste dei movimenti sociali sia dalle sfide politiche e sociali sollevate da questi gruppi o individui. Tali sfide sono riuscite in alcuni casi a far venir meno il fondamento legale che permetteva a un certo gruppo di servirsi della legge per renderne un altro subordinato (come le leggi che impedivano alle donne di votare…). Oggi, nella maggior parte dei paesi democratici di tutto il mondo non esistono più barriere esplicite alle pari opportunità. Tuttavia, la mera scomparsa di esplicite restrizioni sociali non significa la cessazione dell’esistenza delle gerarchie sociali e delle disuguaglianze a esse associate. I gruppi dominanti sono in grado di affermare il proprio potere attraverso mezzi informali, come lo sviluppo e l’impiego di stereotipi negativi. Una fondamentale fonte di conflitto per le gerarchie sociali sono i fattori democratici. Per esempio, quando un gruppo subordinato diventa più numeroso, è possibile che i membri del gruppo dominante percepiscano una minaccia maggiore rispetto a prima. Le popolazioni cambiano nel corso del tempo soprattutto per effetto dell’immigrazione. Inizialmente il flusso di migranti da un determinato paese o regione del mondo verso un nuovo luogo può essere molto limitato, e la loro presenza si può a malapena notare. Quando gli individui di quel paese straniero diventano complessivamente più numerosi è probabile che sorgano competizioni per il lavoro, gli alloggi… È possibile che Il gruppo nativo avverta che la presenza degli immigrati ha raggiunto una massa critica, e li inizi a considerare
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved