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Riassunto spagnolo I Sarmati Sapienza dal CID ai re Cattolici, Sintesi del corso di Letteratura Spagnola

Riassunto completo La letteratura spagnola dal CID ai re cattolici, esame spagnolo I e II Sarmati Sapienza

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 25/06/2022

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Scarica Riassunto spagnolo I Sarmati Sapienza dal CID ai re Cattolici e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! RIASSUNTO SPAGNOLO I - IL MEDIOEVO (parte 1) CAPITOLO 1 – LE ORIGINI Paragrafo LA TRADIZIONE EPICA E IL MESTER DE JUGLARIA Il peso e l’influenza scarsi della tradizione latina permettono l’assunzione della lirica popolare romanza che guardando le tematiche sembrava potesse essere solo orale. Anche al nord il latino aveva subito una grande crisi anche negli ambienti clericali che la conservavano. Il pubblico non era certo cospicuo. La letteratura castigliana infatti non inizia con opere clericali come in Francia e Italia. A causa dell’ambiente culturale e intellettuali poco colti, in Spagna si affida ai giullari il compito di intrattenere e di produzione letteraria. Nelle piazze e nei castelli, attraverso un repertorio vario, dalle acrobazie al canto, dai giochi di prestigio alla narrazione epica. Il repertorio era ampio e il mester de juglaria si articolava sempre con qualche variazione adattandosi alle circostanze, al pubblico e alle capacità di chi si esibiva. Le occasioni erano varie, da feste nobiliari al mercato ai pellegrini. I moralisti erano avversi ai giullari poiché erano considerati maestri di persuasione e di dissolutezza. Più elevata era la condizione dei cantori epici di cui conosciamo maggiori informazioni a partire del XII sec. Incerta l’origine più antica dell’epos ispanico. I contenuti sono principalmente di base storica e trattano di episodi della Reconquista, il Cid, il primo conte di Castiglia Fernand Gonzales. Il dato storico si arricchisce e viene filtrato attraverso la narrazione e fioriture fantastiche attinte a tradizioni folcloristiche e popolari. L’epopea spagnola ha una grande aderenza alla vita e ai secoli immediatamente precedenti come in un flusso di continuità narrativa. Alcuni storici affermano un’origine gota dell’epopea: i visigoti avrebbero prodotto un’epica che è diventata la base dell’epopea romanza castigliana. Ciò sarebbe testimoniato dal legame tra il testo mediolatino Waltharius, l’anglosassone Waldere, il tedesco Biterolf e i romances di Escriveta e Gaiferos. Tale informazione è ricavata dalla rielaborazione del Poema de Fernand Gomez. Il Poema tratta la vicenda secondo cui la liberazione della Castiglia fosse dovuta ad un contratto tra il re di Leon e il conte di Castiglia. Il re avrebbe acquistato un cavallo dal conte al prezzo di mille marchi che raddoppia per ogni giorno di mora. Il re ritarda così tanto che manca il denaro per saldare il debito ed è costretto al vassallaggio. Leggenda e storia si fondono con la vicenda narrata dallo storico goto Jordanes che tratta le migrazioni visigote e racconta della liberazione in seguito al baratto di un cavallo su un’isola. Il filologo Pidal invece narra la leggenda degli ultimi due re visigoti: Witiza e Rodrigo sono accusati di aver violentato la figlia del conte Julian che per vendicarsi chiama nella penisola i mussulmani. Questa leggenda sarebbe posteriore alla caduta del regno visigoto con l’invasione araba. Dunque nell’epica spagnola esistono motivi narrativi germanici ma non implicano un’origine gota sebbene sia vivacemente sostenuta. In Spagna il passaggio da cantares a romancez non è un processo graduale ma improvviso con la scoperta di una nuova tecnica narrativa che rivoluziona il narrare. Così muore una tradizione formale e se ne instaura una nuova, diversa, che mantiene alcuni contenuti e tratti della precedente. È possibile dunque che i cristiani del nord abbiano raccolto ciò che avevano sentito dai goti e lo abbiano rielaborato seguendo la nuova tecnica per parlare dei fatti salienti della Riconquista pur mantenendo alcuni contenuti germanici. La Castiglia è senza dubbio la culla del genere epico poiché si pose alla guida del movimento della Riconquista e il prestigio linguistico che si impone rapidamente. Infatti anche i testi più antichi, provenienti anche da altre zone della Spagna, presentano una facies linguistica di stampo castigliano. Tale prestigio però non ha radici politiche o geografiche o legate alla qualità della lingua, anzi trova il perché nella figura dei giullari che diffusero la poesia epica di stampo castigliano in periodi più antichi. Il giullare dunque sbrigava un mester anche informativo, analogo ai moderni mezzi di comunicazione. In Italia i mass media infatti sono uno dei veicoli attraverso cui si diffonde la lingua. Una tradizione epica nasce quando si passa dal piano informativo a quello formativo e che interessa la responsabilità e l’autonomia del narratore a cui è implicata un’aderenza storico-etica alla realtà dei fatti. Il sensibile mutamento che opera dunque consiste nell’intervenire con piccoli cambiamenti fantastici/favolistici. Il testo più antico è il Cantar de los siete infantes de Lara di cui resta però solo una citazione nella Estoria de Espana di Alfonso X ed è presumibilmente datato poco posteriore al Mille. Nella seconda metà del XII sec circolava la leggenda dell’invasione di Carlo Magno della Spagna e della vicenda di Roncisvalle con la morte di Rolando. Questa è certamente la prova che il poema francese e quello castigliano entrano in contatto e lo sappiamo grazie ad una nota raccolta in un codice da un monaco del monastero di San Millan de Cogolla del 1170. Paragrafo IL CANTAR DE MIO CID Il Cantar è stato composto intorno al 1140 da un giullare. La datazione è basata sugli elementi linguistici e sulle procedure giuridiche presenti adottate dalla corte di Toledo, ma anche su accenni su persone vive al momento della narrazione come il re Alfonso VII e anche sulla promessa di matrimonio di Bianca da Navarra (pronipote del Cid) con Sancho III. Inoltre il poema latino Almeria composto tra 1147 e 1157 conosce e attinge al Poema. Il Poema è diviso in tre cantari di circa mille versi ciascuna. 1. Narra l’esilio del Cid voluto da Alfonso VI. Il Cid seguito dalla masnada si guadagna il pane contro i mori di Aragona ma a causa di queste lotte deve scontrarsi con Berengario, conte di Barcellona, vinto e portato nella pineta di Tevar prigioniero e poi liberato dopo tre giorni. 2. Il Cid conquista un dominio e Valencia ai danni dei mussulmani. Continua a ritenersi vassallo di Alfonso VII che non lo perdona ma gli permette di riavere la moglie Ximena e le due figlie che vengono chieste in sposa dagli infanti di Carrion (famiglia Vani-Gomez), che vengono condotti a Valencia. 3. Gli infanti sono codardi in battaglia ma il Cid ignora ciò e li manda con le figlie verso la Castiglia con carri pieni di doni. Avviene la vicenda del querceto di Corpes. Il Cid chiede L’influenza è evidente nella leggenda Cerco de Zamora (Assedio di Zamora) che racconta la storia del re Sancho ucciso nella città in cui assediava il fratello Alfonso e la sorella Urraca. Alfonso verrà poi scagionato dall’accusa di fratricidio e incoronato re di Castiglia. Nella Estoria di Espagna si tratta la leggenda di Bernardo del Carpio: viene ripresa la battaglia di Roncisvalle in cui vince l’eroe cristiano e spagnolo Bernardo. La leggenda nasce per reazione nazionalistica alla celebrazione epica di Rolando e presuppone diffusione e conoscenza delle storie carolinge. È datato XIII sec un poema castigliano intitolato Roncisvalle di cui ci resta un frammento in cui Carlo Magno piange i morti Turpino, Oliviero e Rolando ritrovati sul campo di battaglia. È palese la derivazione dalla Chanson de Roland francese e la tecnica cristallizzata del lamento funebre. Tuttavia tra epica spagnola e francese resta la differenza importante che in Francia l’epica passa dall’ambiente professionistico giullaresco agli scriptoria e c’è una sistemazione ciclica che ne assicura gli sviluppi instaurando una storia poetica. In Spagna invece la vitalità giullaresca compromette la sopravvivenza dei poemi poiché i manoscritti sono poveri e trascurati e i poemi eroici sono affidati principalmente alla dimensione orale. CAPITOLO 2 – IL DUECENTO I POEMETTI GIULLARESCHI In Spagna tra l’XI e il XII secolo il pellegrinaggio a Santiago e la penetrazione dei cluniacensi e gli ordini religiosi portano l’influenza romana che sostituisce il rituale visigoto e un flusso crescente di provenzali, francesi, italiani, tedeschi e inglesi. In questi secoli la cultura latina ha grande importanza e si recupera la filosofia greca, in particolare Aristotele, e la cultura araba ed ebrea importa nuove forme di pensiero e la scienza. Tale recupero si ha per mano dei traduttori di Toledo, venuti da altri paesi per lavoro. La poesia d’arte in volgare conosce l’influenza trobadorica attraverso l’esecuzione di giullari transpirenaici e l’accoglienza di alcuni giullari a corte, spesso i più famosi. In zona castigliana questo contatto resta epidermico, mentre nella zona gallego-portoghese si sviluppa una tradizione lirica che accoglie ed elabora il modello trovadorico rielaborandolo in nuove forme. Non ci è noto nessun autore castigliano di imitazione provenzale. Ha un posto assai elevato l’Auto de los Reyes Magos, il più antico monumento del teatro spagnolo, scritto all’ombra della Cattedrale di Toledo nel XII sec. Il testo è in rapporto con le opere francesi ma non sappiamo se l’autore sia guascone. Il tema inoltre è sicuramente introdotto dai franchi in quanto era sconosciuto al rito mozarabico. L’Auto drammatizza il racconto di San Matteo e arricchisce l’ufficio dell’Epifania. Ci è rimasto un frammento di 147 versi tra cui tre monologhi dei Magi, la scena del loro incontro, la visita ad Erode, un monologo adirato di Erode. La scenografia è schematica e permette gli spostamenti frequenti senza riguardo della continuità temporale. Il frammento è copiato nelle ultime carte di un codice biblico della cattedrale di Toledo ed è ora conservato nella biblioteca nazionale di Madrid e risale ad una tradizione limitata, poco più che locale. Testi simili erano destinati ad un uso orale e il ritrovamento del frammento in un volume destinato ad altro ne conferma la funzione, probabilmente non entrava in una raccolta antologica e così è stato affidato ad un volume di frequente utilizzo. Nei castelli e nelle corti spagnole entrano giullari con un repertorio vasto, che va al di là della poesia epica e che viene considerato di minore qualificazione sociale. Tra questi materiali ci sono contenuti di irradiazione francese e di carattere agiografico e serie di vita quotidiana e amorosa che cercano di avvicinare la cultura media a quella francese o italiana. Vengono dunque composti dei pometti, brevi, che introducono in Spagna: - Il distico a rima baciata (metro romanzi cortesi e lirica galloromanza) - Novenario e ottonario sillabicamente oscillanti (al posto del convenzionale ottonario regolare) - Assonanza che sostituisce la rima - Verso con considerazione accentuativa e sillabe in anacrusi - Anisosillabismo al posto dell’isosillabismo francese L’imitazione dei versi francesi è molto difficile. C’è un poema chiamato il Libre del Tres reys d’orient che è un’opera di 242 versi che riunisce il racconto dell’adorazione di Magi, la fuga in Egitto, il miracolo della guarigione del lebbroso nell’acqua dove Gesù si era bagnato da bambino e la morte dei due ladroni sul Golgota. Segue la tradizione agiografica la Vida de Santa Maria Egipaciaca di chiara influenza francese. Celebra la grazia e tocca temi come contrasto tra vita dissoluta e redenzione attraverso la storia biografica di una cortigiana che infine spira fiduciosa nel perdono e nella sanità. Interessante è anche il poema Disputa dell’alma y del cuerpo, risalente probabilmente al XII secolo di cui abbiamo solo un frammento iniziale. L’origine è mediolatina Despueteison del cors et de l’ame. È una sorta di “memento mori” nella prospettiva dell’anima del defunto che si rammarica delle debolezze del corpo che hanno compromesso il destino eterno. Sulla stessa scia si inserisce anche Elena y Maria, 1280, ricche tracce linguistiche leonesi. Tratta un tema della poesia mediolatina contenuta nel Jugement d’amour e tratta il contrasto tra due donne che proclamano la superiorità del proprio amato, il primo è un chierico, il secondo è un cavaliere. La tenzone è un pretesto per fare un ritratto dei due tipi umani e sociali ed è intrattenuta con ironia ed elogio. Tra i pometti giullareschi il più interessante però è Razòn de amor, un poema di 264 versi che narra l’esperienza personale del poeta: l’uomo incontra in un giardino la donna che ama senza riconoscerla. Si incontrano sotto un melo sul quale ci sono due coppe, una d’acqua e una di vino. Una colomba bagnandosi versa l’acqua nel vino che iniziano a discutere delle proprie qualità. Si apre una tenzone tra acqua e vino parallela alla tenzone d’amore. Il giullare li adatta in un testo unico e crea un’architettura calcolata. La disputa in sé è poco convincente ma sollecitava sicuramente il gusto del pubblico medievale. Sono ripresi i motivi provenzali, tra cui l’amor de lohn di Jaufrè Rudel, la stilizzazione della donna, il canto amoroso, i colori, il prato e i fiori. Il poeta scrive con un’ammirata nostalgia che rende tutto sottile e incantato. Il poema non è allegorico, ma le cose evocate vengono rese come allegorie o simboli di sé stesse e rinviano a ciò che sono nel linguaggio cortese. Sul piano espressivo il poema si riscatta. Il vino è magico, la coppa sul melo è posta per assicurare la salute eterna all’amato, ma non assolve questa funzione in realtà. Meriti dei giullari: diffusione patrimonio letterario e narrativo, valori sociali e morali elaborati in area francese o provenzale che portano allo sviluppo successivo della civiltà spagnola. IL MESTER DE CLERECIA Le opere raggruppate sotto il nome “mester de clerecia” condividono elementi comuni con l’uso della quartina monorima di alessandrini, metro di importazione francese, di origine colta e qualificazione letteraria degli autori. L’autore ha una precisa fisionomia, nome e cognome e biografia. Anche nei casi di anonimato gli autori rivelano una preparazione clericale assente nella produzione giullaresca e sono consapevoli 3. Poema di Fernand Gonzales: composto poco dopo il 1250 da un monaco di San Pedro de Arlanza, vicino Burgos. È un “esempio di collaborazione clericale alla poesia epica”. Il poeta ha rielaborato in quartine alessandrine le lasse assonanzate di un vecchio manoscritto circa la storia del primo conte di Castiglia che in seguito alla vendita del suo cavallo a Sancho III ottiene libertà per la sua terra di cui amplia i confini lottando contro i mori. Il racconto è arricchito dall’inserimento di argomenti tipicamente clericali ed eruditi. L’atmosfera ricreata è quella tipica dell’orgoglio castigliano e il tono austero della Riconquista. LE ORIGINI DELLA PROSA Le prime attestazioni di prosa spagnola hanno grande rilevanza linguistica ma scarso valore letterario. La prosa letteraria nasce tardi, nell’ambito dell’attività traduttoria che trova il suo precedente nella scuola dei traduttori di Toledo, città che per prima cade nelle mani dei cristiani e che disponeva di ottime biblioteche e di una comunità giudaica colta che attirava studiosi occidentali che attingevano alla dottrina araba ed ebrea, in particolare per filosofia, scienze e teologia. Molti studiosi così iniziano a recarsi a Toledo ed instaurano una tradizione incoraggiata nel secolo XII dall’arcivescovo Raimondo di Agen. Questo è lo stesso periodo del recupero in Europa della filosofia aristotelica. Tra gli studiosi più importanti e che contribuirono alle prime traduzioni ci sono Giovanni di Siviglia e Domenico Gundisalvi. Il primo traduceva dall’arabo al romanzo, il secondo dal romanzo al latino. Così il volgare romanzo spagnolo dovette adeguarsi all’espressione del pensiero filosofico e scientifico e iniziò così a crescere e maturare. Inizia a formarsi una coscienza linguistica nuova. All’arcivescovo Raimondo di Agenè probabilmente dedicata un’opere del circolo dei traduttori detta Fazienda de Ultra mar (XII sec). Si tratta di una curiosa descrizione della Terrasanta che mette a frutto gli Itineraria di alcuni pellegrini e dei passi biblici. Questa opera apre alla traduzione della Bibbia in volgare e attinge per la sua composizione sia al testo latino che a quello ebraico. Nel 1250 viene completata la prima produzione castigliana del Vecchio e del Nuovo Testamento, basati sulla vulgata latina ma con i salmi tradotti dal testo ebreo da Ermanno Alemanno. La vita sociale intanto aveva necessità di usare la lingua, soprattutto in campo giuridico. Viene così tradotto Forum Judicum (Fuero Juzgo), sotto Fernando III. Nel XIII secolo inoltre vengono tradotti: - Los Diez Mandamientos: il prontuario schematico per i confessori - La disputa entre un cristiano y un judio: frammento di un’opera di polemica religiosa medievale, l’autore sembra essere un giudeo rinnegato. Anche la prosa di intento didattico inizia a svilupparsi. Tra le prime opere ce ne è una in latino: Disciplina clericalis scritta dall'ebreo converso Pietro Alfonso, nato ad Aragona e vissuto a lungo in Inghilterra sotto Enrico I e fece conoscere opere di astronomia e matematica. Inserisce nell'opera sentenze, favole ed exempla. L'opera rivela all'Europa i tesori della novellistica orientale pur piegando l'arte all'intento didascalico. Ci sono poi più avanti raccolte gnomiche come Libros de los cien capitulos, prima metà XIII secolo. Da questo sotto Alfonso X furono tratte le Flores de filosofia. I Castigos e documentos a su fijo sono attribuiti a Sancho IV di Castiglia, ultimati durante l'assedio di Tarifa (1292) ma sono integrati in alcuni manoscritti con una quarantina di capitoli tratti da De regime principum di Egidio Colonna tradotto in castigliano. È degli inizi del XIV sec. Il Libro del consejo e de los consejeros scritti da Maestre Pedro ispiratosi a Liber consolationiis et consilii di Albertano da Brescia. La prosa didascaliche dunque si occupa principalmente delle regole di comportamento della vita politica e della morale spicciola. I destinatari di queste opere sono i nobili e le fonti sono generalmente orientali e di probabile importazione araba, che non sono tuttavia chiare e riconoscibili in quanto ogni copista manipola la fonte per rendere il libro più adeguato al tempo (attualità) e ai suoi interessi (personalità)-> tradizione travagliata. Un esempio di questa tradizione difficile è la Poridat de las poridades, che risale ad una compilazione fortunatissima in ambiente siriaco, tradotta dal greco o dall'arabo, diffusa in Europa e nota come Secretum secretorum. Si tratta di una serie di consigli politici che Aristotele avrebbe scritto per Alessandro Magno che aveva chiesto il suo aiuto dalla Persia. A ciò è stato sicuramente aggiunto materiale dal Libro de Alexandre. Questa tradizione di precetti per il principe è detta "specula principis" e ne fanno parte anche i Bocados de oro, metà XIII secolo, dove ha più rilievo tuttavia la cornice romanzesca. Tratta di un re fa un viaggio in India alla ricerca della sapienza e raccoglie fonti ed insegnamenti utili. Su questa scia c'è a che Donzella Teodor di origine orientale con ambientazione a Tunisi o Bagdad: una schiava cristiana, Teodor, affronta l'esame di tre dotti arabi e risolve tutti gli indovinelli mettendo nei guai il suo padrone. È stata tradotta in castigliano ed è tra i manoscritti del Quattrocento. Altre storie ci sono note per l'interesse puramente narrativo come Calila e Digna, diffuso in Europa attraverso una traduzione latina dell'originale indiano e tradotto in spagnolo per volere di Alfonso di Castiglia e in altre lingue europee. L'opera ha un intento morale e didascalico, utilizza la favola e le sentenze per insegnare ed ha forma dialogica. Calila e Digna sono i due protagonisti e sono due linci. Il testo in prosa è ironico ed agile, la comunicazione tra animali e umano è circolare. Le problematiche affrontate sono nel chiaroscuro dell'opera e hanno significato ampi e profondi. Viene tradotto un testo arabo di Libro de los engagnos e assayamientos de las mungers, analoga alla storia di Calia e Digna, e deve la sua fama non alla traduzione spagnola voluta dal fratello di re Alfonso ma alla traduzione latina di Giovanni Altaselva. La storia: il figlio del re è ingiustamente accusato dalla matrigna di aver attentato al suo onore. Per 7 giorni il precettore gli vieta di discolparsi. I 7 sapienti per guadagnare tempo e salvarlo raccontano ognuno una storia al re che lo mette in guardia dalle decisioni affettate e della perfidia delle donne. La matrigna anche racconta una storia e parla di come gli uomini possano essere malvagi. Dopo i sette giorni il principe si discolpa e la matrigna viene condannata. Spunta la polemica misoginia e le singole novelle sono autonome e di vario tono. ALFONSO EL SABIO Il regno di Alfonso X è un punto di svolta nella storia castigliana. È figlio di Fernando III, il re che aveva conquistato l’Andalusia. Alfonso è il conquistatore di Murcia e combatté contro i mussulmani. La politica castigliana sazia delle vittorie della Riconquista è priva di un motivo centrale e sentito dal popolo. Tuttavia Alfonso tenterà di inserire la Castiglia tra le potenze europee ma con mire troppo ambiziose. Continuano le lotte interne contro i mussulmani tra crisi e momenti di apparente equilibrio che sarà spezzato definitivamente sotto i Re Cattolici. Alfonso X sotto il peso dell’azione unificatrice dovette spegnere molti contrasti. È un re tuttavia incerto e debole, in aperto dissidio con il figlio Sancho, dedito agli studi e alla letteratura. Ci ha lasciato opere straordinarie, tra le più importanti del medioevo: 1. Estoria de Espagna: prima opera storica di Alfonso X, iniziata nel 1270, ha come base il De rebus Hispaniae di Rodrigo Jimenez de Rada ma ne rompe gli schemi e lo stile. Cerca di essere il più esaustivo possibile e di fondere il tutto in una narrazione omogenea. L’opera si basa sulla tradizione delle Cronica general e risulta divisa in due parti, la prima alfonsina e la seconda in parte alfonsina sotto Alfonso XI e in parte rielaborata sotto Sancho IV. Sono ben visibili le varie fasi di redazione che sembrano stratificate. Dopo la morte di Alfonso il materiale è stato utilizzato meglio rispetto a quando era in vita nella prima parte. Il valore storico è modesto perché le fonti sono dirette. Interessante è l’utilizzo anche delle fonti letterarie che arricchiscono il racconto del mondo nobiliare e dei modi di vivere. La Estoria e poche altre fonti ci tramandano queste informazioni. 2. Fuero Real 3. Siete Partidas: complesso di circa 2mila leggi, raccolte in titoli e divise in 7 parti. La 1^ diritto canonico e dottrina cristiana; 2^ tipi di sovrano; 3^ pratiche giudiziarie; 4^ matrimonio; 5^ commercio; 6^ testamenti ed eredità; 7^ diritto penale. È il risultato di un lavoro complesso iniziato sotto Ferdinando III di cui il primo frutto è Settenario, una prima frammentata stesura, e poi sotto Alfonso una seconda riscrittura chiamata l’Especulo, 5 libri di cui i primi 3 corrispondono alle prime 3 partidas. L’elaborazione finale è del 1265 anche se ogni partida continuò ad avere revisioni anche dopo la morte di Alfonso. Solo in parte è completamente giuridica. Come modelli di riferimento sono stati usati Fuero Juzgo, il diritto romano e i glossatori bolognesi. È un’opera vitale, per niente asciutta, regolano la vita quotidiana e per questo considerata specchio della società castigliana che risponde solo ad un sovrano. Le partidas non furono pubblicate ma sono la base della legislatura ispanica e ispanoamericana. 4. Cantigas de Santa Maria 5. La general e grand Estoria: è il progetto messo in cantiere poco prima di terminare l’Estoria de Espagna. L’intento è narrare una storia universale, rimane tuttavia un progetto ambizioso ma incompiuto e giunge alla trattazione della vita dei genitori di Maria. Prende come base la Bibbia che è ossatura e filo conduttore. 6. Tablas alfonsies 7. Lapidario + 11 trattati astrologici 8. Libro sul gioco degli scacchi Il re era circondato da collaboratori che si alternavano nel ruolo di traduttori, estrattori di fonti, compilatori, estensori, poeti e musici. ostilità a Fernando IV ed è poi reggente di Alfonso XI fino alla rottura del fidanzamento del re con sua figlia quando dichiara guerra a Fernando e si schiera con il re di Granada. Torna a sostenere la Castiglia solo pochi anni prima di morire. Sposato due volte, la prima con una principessa aragonese e poi con una donna della potente casa Lara. Una sua figlia sposa re Pietro IV di Portogallo (amante di Ines Castro), un’altra sale al regno di Castiglia sposa di Enrico II. Juan Manuel si muove in una fitta rete di interessi sociali, personali ed economici. In questo ambiente complicato riesce tuttavia a formarsi seguendo l’esempio di Alfonso X e a diventare uno degli scrittori maggiori di Castiglia trasferendo proprio la turbolenza e i chiaroscuri di questo ambiente nelle sue opere. Opere: - Libro de las armas: rivendica la sua regalità e il regno di Murcia; anche Sancho IV avrebbe riconosciuto la superiorità della linearità manuelina piuttosto che alfonsina. - Cronica abbreviata: riassume capitolo per capitolo l’Estoria de Espagna - Libro del cavallero e del escudero: parla del sapere ed afferma che è la cosa migliore del mondo, permette di acquisire onore e hanno il potere di ottenere e guadagnare stima. Scrive inoltre che bisogna usare il volgare perché rappresenta la cultura laica ed aperta a tutti ma con uno stile volutamente ermetico. Narra di un giovane scudiero chiamato a corte dal re e fermandosi in un eremitaggio riceve una formazione morale da un anziano cavaliere. A corte viene fatto cavaliere e torna dal cavaliere anziano per parlare di vita e natura. Il loro colloquio termina con la morte del cavaliere. Il nocciolo è l’insegnamento della prudenza e medita sui problemi della vita cavalleresca. - Libro de los estados: sviluppa maggiormente il tema del l. cavellero e del escudero. Il re pagano Morovan fa istruire il figlio Johas per nascondergli morte e dolore. Per caso egli vede un cadavere e gli si rivela il dolore della vita e non trovando soddisfazione nel primo precettore pagano si rivolge al cristiano Julio che converte re, figlio e precettore. È l’adattamento cristiano della storia di Buddha e dunque la leggenda di Barlaam e Josaphat. L’adattamento spagnolo in realtà è privo di dinamismo ed è più un dialogo tra lo stato laico e lo stato cristiano. - Libro de los exemplos del conde Lucanor e de Patronio: è l’opera più elevata sviluppata dalle due precedenti. Sono 50 esempi. Il pretesto dialogico e didattico fanno da cornice all’opera che chiudono in sé 50 nuclei narrativi. I modelli sono vari: Calia e Digna, Disciplina clericalis, Barlaam, derivati medievali di Esopo e Fedro, aneddoti epici e storici vari. L’interesse di Manuel non è teorico ma pratico: ipotetici ma probabili casi della vita, norme di comportamento, virtù mediocri come prudenza, astuzia. La salvezza dell’anima per Manuel è legata alla condotta perché la fede è aproblematica e sempre presente se vera. L’opera resta in equilibrio tra esempio e novella. Manuel dimostra personalità e si preoccupa anche della corruzione della tradizione testuale e cerca rimedio attraverso le prime edizioni di autore importanti da conservare in luoghi sicuri e utili per rimendare le copie in circolazione. Il luogo è il monastero Pegnafiel da lui fondato e in cui sono depositate molte copie parametro che sono andati però perduti. Tra le poche opere conservate: Cronica abbreviata, Libro de las armas, Libro enfinido, Libro de la caza. Interessante è ciò che possiamo cogliere circa la sua istruzione: non ha mai ricevuto un’istruzione scolastica ma si è formato ascoltando uomini dotti e leggendo. Juan conosce la letteratura catalana, castigliana, il latino e l’arabo. Molte citazioni in lingua e corrette. Gran parte del suo sapere è data dalla vita, da ciò di cui ha fatto esperienza, infatti ci racconta anche di fatti personali ed intimi come la sua insonnia e della tosse del re Sancho IV morente durante il loro ultimo colloquio. L’integralismo narrativo di Manuel abbraccia ogni forma umana a differenza di Berceo che invece abbraccia umano e divino. Il didatticismo di Manuel è immediato e diretto senza rinunciare alla narrazione. Forti sono gli influssi lulliani, il filosofo e letterato catalano Llull. Inoltre Juan Manuel è abilissimo nel generare il sorriso dall’incongruenza tra azione e carattere e anche nel portare avanti un’indagine che nasce dall’osservazione della realtà senza illusione e senza tragedia. Si tratta di una descrizione intelligente che dà vita ai racconti più maturi ma sempre con una descrizione fisica pressoché azzerata. Racconto XI: capolavoro del libro in cui il decano Santiago e Don Yllan sono descritti per le loro azioni e comportamenti. Yllan è accorto, disilluso, accoglie pacatamente tutto e sa dosare severità e astio. Santiago invece riscopre sé stesso attraverso le sue risposte al maestro e conosce la dissimulazione e l’arroganza. L’impianto di base dei suoi racconti è dialogica ma prevalentemente basata sul discorso indiretto che gli sembrava riflessivo e dialettico ma che spersonalizza i personaggi e li denuda mostrando i segreti del loro agire. La novella diventa così indagine umana ma a differenza del personaggio moderno quelli di Manuel non mutano, non cambiano internamente e profondamente, anzi riconoscono la realtà così com’è in modo disilluso. JUAN RUIZ ARCIPRESTE DE HITA Della sua biografia sappiamo solo ciò che egli stesso ci dice nel Libro de buen amor, unica opera a noi nota dell’autore. Arcipreste a Fita, oggi chiamata Hita, la sua attività è posta nel secondo quarto del XIV sec. La datazione dell’opera è incerta perché i due manoscritti principali sono discordi: il primo 1330, il secondo 1343. Libro de buen amor: prologo, parte narrativa in cuaderna via e liriche di metro vario. Tutti gli uomini sono trascinati dall’amore e il poeta narra le sue disavventure amorose riconoscendosi peccatore come tutti gli altri, fa ricorso ai consigli di Amore che gli appare e lo invita a servirsi di una mezzana: Urraca detta Trottaconventi. Con l’aiuto di quest’ultimo Juan Ruiz riuscirà a sedurre Donna Enrina e poi recandosi sulle montagne ha quattro avventure con quattro serranas. L’opera è pervasa dall’amore, dalla seduzione ma anche dalla morte. Muoiono entrambe le donne che l’arciprete riesce a sedurre e anche Urraca. Il poema si chiude con due liriche mariane che corrispondono alle due poste all’inizio e con un gruppo di altre liriche sia profane sia mariane. Le avventure narrate sono 13 e sono continuamente interrotte da parentesi didattiche, favole, poesie liriche e digressioni varie. Del libro ci rimangono 3 manoscritti. Due sono affini (datazione 1343) ma dei due uno è meno di un terzo dell’opera. Quello datato 1330 dovrebbe contenere la prima redazione e fu copiato nel 1420 circa a Salamanca. È possibile che la datazione del 1343 sia errata e che il manoscritto del 1330 sia incompleto per alcune lacune, ma è possibile che quello del 1343 sia una seconda edizione. La composizione del libro tuttavia non è organica e ci sono testi aggiunti in un secondo momento. La materia originale del libro è più remota: le fonti sono ben individuabili  Pamphilus, Consulatio sacerdotum, Ars Amandi. Il poeta conosce bene dunque i tesi latini ma ha familiarità anche con il mondo arabo da cui provengono molti elementi, soprattutto le descrizioni. Il filo trainante è il racconto autobiografico che è un collante con la trama narrativa. Lo schema di seduzione è ripetitivo e spesso fallimentare. È possibile identificare personaggio con autore anche se l’autore chiarisce che si tratta di un io generico. La struttura dell’opera e i temi sono ambigui e sfuggono alla consuetudine. Si è pensato guardando tali caratteristiche che l’opera sia stata influenzata dalle cosiddette maqamat (riunioni) in cui un briccone e un narratore declamavano racconti. Un esempio è il Libro delle delizie dell’ebreo Ibn Zabarra. Juan organizza oggettivamente la materia narrativa pur ispirandosi alla sua vita e alle sue esperienze ma non vuole imporre il suo punto di vista ma guidare il lettore verso una scoperta personale del vivere. Ruiz partecipa con la sua opera alla concezione di organicità delle opere come Zifar e Lucanor. L’amore è uno stimolo invincibile secondo Juan Ruiz ed è legata alla natura umana. È per questo che le vicende umane si ripetono: sono due le cose per cui l’umanità si affanna 1) avere da vivere e 2) amare. Così Juan vuole ricordare al lettore il buen amor e le cose belle attraverso il suo sarcasmo e il suo intento didattico narrando le proprie vicende personali. Vuole staccare il pubblico dal mal amor che è il peccato e la sofferenza del mondo. Anche se questo suo intento sembra incoerente in realtà: Juan raccontando le sue esperienze erotiche ci racconta solo del mal amor pur usando il metro della poesia didattica (ulteriore finzione). Altro concetto fondamentale è la polisemia del linguaggio umano. Ognuno può percepire ed intendere qualsiasi discorso come vuole, non c’è un solo significato oggettivo ma sensi molteplici. Un esempio di ciò è il dialogo muto tra greci e romani. L’opera secondo l’arciprete può giovare sia ai più colti perché ne coglieranno il senso più alto, sia quelli con meno acume saranno avvisati delle trappole del peccato. Juan Ruiz prosegue una tradizione esegetica risalente all’antichità e che domina il pensiero medievale e autorizza il lettore a leggere l’opera secondo vari livelli di approfondimento. Il poeta sa che “es umanal cosa el pecar” e coinvolge i lettori invitandoli a ragionare su ciò che scrive o comunque interagisce con loro così come facevano i giullari con il pubblico. Ciò che amalgama il discorso narrativo, le liriche scritte in metro vario, i proverbi e le citazioni e i vari registri e toni è l’elusività del poeta che anche raccontando i fatti più scabrosi non si sofferma troppo, alleggerisce la scena e non si chiude in un moralismo esasperato. LETTERATURA MINORE DEL TRECENTO 1. Poema di Yusuf: testimonia la vitalità culturale spagnola. È opera di un morisco aragonese (mussulmano in terra cristiana). Scrive il romanzo con caratteri arabi e idioma romanzo PERO LOPEZ DE AYALA Nasce nel 1332 da una famiglia nobile ma modesta anche se imparentata con alcuni dei casati più potenti come Mendoza e Guzman. Cresce a corte di Pedro I di Castiglia ed era presente al matrimonio tra Bianca di Borbone con il re - che la ripudierà per l’amante - e anche alla ribellione dei nobili guidati dal fratello bastardo del re Enrique. Il re si macchia di delitti orrendi tanto che quando Enrique entra con le truppe francesi e si proclama re si ritira al sud e viene abbandonato da molti, tra cui anche Ayala che combatterà al fianco di Enrique durante una delle vicende che fanno parte della guerra dei Cento anni. In tale occasione Ayala verrà fatto prigioniero del Principe Nero. Più tardi Ayala diverrà consigliere del re diventato Enrique II e sarà più volte ambasciatore a Parigi presso Carlo V e Carlo VI ma soprattutto sarà tra le guardie del corpo del re nella famosa battaglia e vittoria di Rooseback contro i fiamminghi. Resterà a corte anche sotto il figlio di Enrique, Juan I, e seguendolo in battaglia finirà in prigione per 15 mesi. Sale al trono ancora minorenne Enrique III e Ayala ha notevole influenza nel consiglio di reggenza tanto da venir nominato cancelliere maggiore di Castiglia. Infine lascia la vita politica e si ritira in un convento in cui morirà. Ha vissuto dunque da protagonista un momento in cui la Spagna inizia ad inserirsi tra le potenze Francia e Inghilterra, alleandosi sempre con la Francia. Nasce la potente flotta navale spagnola e l’esportazione di lana nelle Fiandre. La crisi del regno di Pedro I ha modificato la Castiglia: le città iniziano ad avere il loro peso e appoggiano Pedro contro i nobili mentre la nobiltà è stata ricompensata aiutando Enrique. Queste tensioni aumentano negli ultimi anni di regno di Enrique III, quando i nobili tentano di istituire un potere oligarchico e sono contrastati da gruppi che si appoggiano sugli ordini militari e sul commercio di lana. Inizia ad affacciarsi la concezione di monarchia assoluta ma i re sono deboli e di minore età e ciò farà solo peggiorare la situazione che si concluderà solo sotto i re Cattolici. Ayala vive queste vicende intimamente schierato con la nobiltà e intraprende la strada letteraria tardi come Juan Manuel, soprattutto durante i periodi di prigionia. Non sappiamo nulla sulla sua formazione, è un lettore accanito e conosce il latino e ha frequentato le corti francesi e di Avignone. Tra le opere: 1. Rimando de Palacio: opera continuata fino alla morte e che include le poesie composte durante la prigionia. Le suture tra composizioni di diverso periodo sono evidenti. 8 mila versi in cuaderna via con inserimenti lirici e nelle parti tarde ci sono ottave di arte mayor. Possiamo distinguere tre parti diverse: confessione, quadro della corruzione del mondo ed estratto versificato de Moralia di San Gregorio. Il poema è in prima persona ma l’io si amplia ad una figura esemplare e sovrapersonale. Durante la confessione infatti le colpe sono dell’umanità tutta e non solo di Ayala, colpe che provengono dall’influsso della corruzione del mondo che causano frustrazione e dolore. L’opera è discontinua nei collegamenti moralistici, soprattutto quelli più astratti. Ayala non denuncia la corruzione ma la constata in modo addolorato e ci consegna una visione del mondo disincantata che è in mano alla giustizia di Dio. La religiosità del poeta è intima e travagliata, riservata ed appartata, umile e fiduciosa. Confida a Dio pregando in solitudine i dolori e le pene. 2. Libro de la caza de las aves: trattato di falconeria 3. Cronicas: posteriore al 1383, narra dei regni di Pedro I, Enrique II, Juan I e Enrique III i primi cinque anni. L’opera è incompleta nell’ultima cronica e vi lavorò fino alla morte. Per quanto riguarda la cronica su Enrique III fa sicuramente riferimento alla traduzione e parafrasi di Moralia e Rimando di San Gregorio Magno e al Libro de Job. 4. Flores de los morales: dichiara di essere un cronista per volontà personale ma senza salario. 5. Tradusse Boccaccio e Livio Rimando e Cronicas sono in un certo senso complementari poiché si chiariscono l’un l’altra. Il Rimando tuttavia è più individuale e universale mentre le Cronicas offrono considerazioni oggettive che soffocano l’individualità e l’esperienza personale. Non sappiamo nella cronaca di Pedro quanto sia oggettivo o se abbia accentuato degli elementi per antipatia o per appoggiare chi lo disprezzava. Elemento in disaccordo con ciò che afferma nei Flores e che a molti anni dalle vicende sembra senza senso. L’unica via è ritenere che concretamente Pedro violi ogni tratto del monarca ideale e che questo sia stato riportato dal cronista. Ayala riesce a far suo l’ideale di provvidenza celata nelle vicende molto frequente nel Medioevo e lo mescola con il dato storico dissimulandolo per evitare di spiegare razionalmente il divino. Attraverso la descrizione dei fatti cerca di spiegare i moventi dei fatti. Inoltre il giudizio del poeta si cela sempre dietro la descrizione e la partecipazione ai sentimenti e alla dimostrazione fisica delle emozioni di alcuni personaggi dietro cui si cela durante la narrazione. Anche nella sua incertezza storica la narrazione della cronica di Pedro il Crudele è magistrale e sempre essere il capolavoro di Ayala perché fonde la padronanza del reale al senso tragico ed esemplare della storia. Nella cronaca di Juan I invece è presente la forte convinzione di Ayala di essere vicino al tipo di governo equilibrato che sogna. Conserviamo inoltre il discorso di Gudalajara di cui Ayala fu relatore ed è la più antica orazione castigliana arrivata fino a noi. È stupefacente il modo poliedrico con cui affronta il problema del progetto di abdicazione e spartizione del regno, il ragionamento pacato e approfondito, la conoscenza della coscienza portoghese e castigliana, quest’ultimo un problema affrontato dal re solo come dinastico e patrimoniale. CAPITOLO 4^ - IL QUATTROCENTO: l’età di Juan II e Enrique IV UMANESIMO E TRADIZIONE MEDIEVALE Nel Quattrocento i fattori orientali e occidentali che avevano caratterizzato il Trecento perdono peso e ne acquistano nuovi elementi poiché l’influenza delle due culture semitiche va indebolendosi per un crescente antagonismo nato in ambiente cristiano ma grazie agli ebrei conversi la spiritualità ebraica resta intensa e con esiti rilevanti. Elemento nuovo: eco rinnovamento umanistico italiano. Non c’era stato in Spagna niente di simile alla divulgazione laica letteraria che c’era stata in Italia né si era diffuso un gusto per la letteratura volgare come quello dell’Italia dei comuni. Anche l’opera di Alfonso X risulta più un tentativo di raccogliere, compilare e portare avanti il lavoro storico. L’unico autore che volge le sue opere in volgare è Lopez de Ayala ma non ne conosciamo il motivo. Un caso notevole è quello di Juan Fernandez de Heredia, maestro dell’ordine dei cavalieri di Rodi. Personaggio di primo piano nella politica mediterranea, risiede ad Avignone dov’era fertile la cultura per influsso anche di Petrarca, ha dei contatti con Barcellona dove già l’umanesimo si stava sviluppando. Viaggia molto in Oriente e in tali occasioni fa tradurre alcuni manoscritti greci. Il programma culturale di Heredia però non ha nulla di nuovo, anzi, calca le orme di Alfonso X e risente delle iniziative di Carlo V. Opere di Heredia: - Grant Cronica de Espagna: è l’opera principale, divisa in tre parti, che narra tutto ciò che di attinente il poeta ha rinvenuto dalle fonti classiche e medievali. - Grant Cronica de los conquistadores: composta contemporaneamente all’altra e divisa in due partidas e raccoglie fonti da biografia da Nino di Babilonia e Giacomo I d’Aragona. Per avere le fonti necessarie ha dovuto tradurre molte opere che traduce in aragonese come anche scrive le Cronache. Una scelta infelice che ne impedì la diffusione a causa del catalano e del castigliano molto più in voga. Enrico d’Aragona È un altro personaggio interessante di questo periodo. Discendente delle famiglie reali Aragona e Castiglia, era disinteressato alla politica e alle armi, era appassionato esclusivamente di cultura e ciò gli costò il disprezzo dei suoi pari. Si diffusero voci circa il suo essere astrologo e mago e le sue opere astrologiche furono condannate al rogo dopo la sua morte e ci resta solo Tratado del ojo o fascinacion. Era aperto alle diverse culture, correnti letterarie e opere come mediatore. Raccoglie l’eredità delle gare poetiche di Tolosa, ultima apertura alla poesia provenzale, che mantiene viva con feste e concorsi. Conoscitore del legame tra provenzali e poeti di Catalogna e Castiglia scrive Arte de trovar per Ignigo Lopez e sempre per lui scrive la versione castigliana della Divina Commedia, testo che apre per la prima volta alla cultura castigliana un’opera già famosa in Europa. Tradusse negli anni successivi anche l’Eneide cercando di trasferire in volgare lo stile virgiliano con dei preziosismi retorici e cura particolarmente le glosse che gli sono molto a cuore. Tra le opere Vanno in voga i “decires” che trattano di un tema serio: la Trinità, l’Immacolata concezione, la morte, il libero arbitrio, gli elementi e l’Empireo. I poeti si sforzano di realizzare una nuova poetica ma con scarsi risultati, ma il tentativo dei decires non è nuovo, anzi, riprende l’ideale medievale che voleva il poeta anche teologo ed esperto delle scienze e maestro. Novità sul piano formale: eredità scuola gallego-portoghese mantenuta ma vengono preferiti gli schemi dell’arte mayor che permette una varietà endecasillaba. Il verso si carica di allusioni erudite, vocaboli poco comuni, ha un timbro difficile e contorto. Rilevante è l’influsso dantesco di cui si fa portatore Francisco Imperial, un genovese che si trasferisce a Siviglia a fine 300. Dante è la guida di Francisco, è il suo Virgilio, non a caso la sua composizione più importante è la Commedia. La poesia dantesca è un modello di poesia dottrinale. Dante è considerato dai castigliani modello per costruzione allegorica insieme a quelle che ricavano dalla poesia francese e dal Roman de la rose. L’influsso di Dante è sia contenutistico sia stilistico, lessicale e sintattico. Francisco scrive Dezir, un’opera in arte mayor di varietà endecasillabica, testimonia il punto di arrivo nell’imitazione di Dante. La più antica poesia “Estrella Diana” si impreziosisce del senhal provenzale, di elementi di Gunizelli e allusioni all’Inferno. Estrella è una poesia che si nutre di elementi danteschi e religiosi. Una religione inquieta, ombrosa e intima. Inoltre si esprime nelle opere di Francisco Imperial la polemica accesa con gli ebrei e i conversos. Da ciò nasce una vasta gamma di composizioni con temi teologici che corrisponde ad un’ansia realmente vissuta. Molti sono gli echi di Pero Lopez de Ayala, mentre la presa sulla realtà è dolente e amara. Tra i temi più importanti spiccano inoltre la corruzione e la consumazione di ogni cosa umana, senza elementi satirici, impregnati di macabro realismo che vibra di influssi oraziani. Una matura riflessione viene resa esplicita con un discorso denso e severo. Da questa atmosfera nascono le 79 strofe in arte mayor Danza de la muerte di autore anonimo ma di zona aragonese. Il componimento si snoda come dialogo fra morte e individui che vengono invitati indipendentemente dalla classe sociale a danzare con lei. Tra i ruoli presenti la sensibilità iberica inserisce il rabbino e l’alfaquì. La morte è intuita e sofferta dagli uomini che tentano di fuggirne disperatamente. È importante sottolineare l’assenza di un orizzonte cristiano nella morte. IL MARCHESE DI SANTILLANA Il periodo in cui scrive il Santillana è animato da lotte esclusivamente nobiliare che raramente inglobano la vita del popolo diventando guerra vera e proprio, ma l’instabilità è sicuramente un elemento chiave di questo stato che non ha ancora risolto la secolare presenza mussulmana nella penisola e perde di polso nella politica europea rispetto a quella operata da Enrique II. Il terreno letterario invece si giunge ad un punto di maturazione di cui Inigo Lopez de Mendoza, signore di Hita e Buitrago, discendente da famiglie di nobiltà castigliana e nipote di Ayala. Visse a corte sotto Fernando I, e lì conobbe grandi poeti castigliani. Tornato in Castiglia fu partigiano per gli infanti di Aragona ma fu con il re Juan II ad Olmedo e in tale occasione ricevette il marchesato di Santillana. Si rifugia nella biblioteca di casa di Guadalajara e si dedica allo studio e all’ozio letterario con gli amici e la famiglia. Conosceva solo il latino e poco ma sotto il suo patronato abbiamo delle edizioni di Iliade, Fedone, Eneide, Metamorfosi, Tragedie di Seneca, ma anche testi cristiani e una traduzione della Divina Commedia e qualche opera minore di autori italiani e Boccaccio. Sapeva leggere direttamente dall’italiano, dal francese e conosceva la poesia d’oil. Le opere più importanti sono Proemio e Cart che premette alla propria raccolta di versi che inviava a Pedro di Portogallo. Egli definisce la poesia come fusione di bellezza e utilità intellettuale e morale, è nobile tra le scienze e poi distingue in area romanza i generi, i maggiori autori ed opere e include anche la poesia popolare ma non senza condanna. La produzione di Santillana è varia e vasta, confluiscono nella sua scrittura produzioni culturali varie e di diverse cronologie che sintetizza con grande eleganza. È ammiratore di Francisco Imperial e ne riprende il gusto per l’allegoria. Non a caso in molti decires narrativi lo schema è quello della visione con spunti francesi. Il destino dell’uomo è un argomento molto trattato, determinato e limitato da forze esterne. I sonetti sono il primo tentativo in Castiglia di prendere come modello Petrarca: l’endecasillabo resta sordo, incline al ritmo dell’arte major oppure se ne distacca troppo. La difficoltà maggiore per il poeta è di chiudere la propria ispirazione dentro alla misura dell’endecasillabo che risulta così squilibrato. Ci sono anche dei risultati gradevoli e interessanti. Ignigo abbracciò anche una poesia più leggera e musicale. Notevole è una lirica dedicata alle proprie figli in cui sono inseriti 4 villancicos popolari. Le “serranillas” sono il risultato più felice: distanti dalla rustica vitalità di Juan Ruiz e totalmente immerse in una situazione di felicità imperturbabile. È possibile che il poeta abbia conosciuto e accolto le influenze della prima poesia paremiologica spagnola (proverbi). Nel 1437 per volere di Enrique IV compie i Proverbios, 100 detti ricavati da ogni genere di fonte, rielaborati liberamente, corredati di prologo. È un’opera in cui Santillana sintetizza un disegno dell’uomo sereno, nobile e animato da valori cristiani. Nel 1436 ha composto la sua opera narrativa più importante: Commedieta de Ponca. Composta in arte major, racconta la sconfitta di Alfonso V nelle acque di Ponza che portò alla prigionia di Juan e Enrique. La regina Leonor e le altre donne lamentano la disgrazia con Boccaccio (in quanto autore del De casibus) e assomigliano alle donne dantesche. Appare la Fortuna personificata e predice i futuri successi dei principi aragonesi. Finisce con un lieto fine. Santillana si carica di una responsabilità grande: canta con commozione la sconfitta, medita circa il destino dell’uomo, introduce la Fortuna, affronta il tema della morte, affronta gli stravolgimenti politici, elogia la vita degli umili sulla falsariga del Beatus ille di Orazio. Il destino umano è segnato è l’uomo può affidarsi solo alla fortaleza, la pazienza cristiana, e porre fiducia in Dio. La vicenda trattata e i personaggi sono esemplari e cavalcano quell’onda medievale a noi nota. Le armi e le lettere sono un esempio da seguire e il massimo modello di riferimento è il saggio che sa come porsi davanti alla Fortuna, arbitraria e nemica, senza funzioni provvidenziali, che non può piegare chi crede nella sua virtù ed è libero da beni materiali. L’ispirazione è tratta dal De costantia sapientis di Seneca. JUAN DE MENA Stretti rapporti con Santillana che scrisse per lui un elogio, tra i due si instaura un rapporto di solidarietà nella condivisione degli stessi ideali poetici e politici. Juan nacque a Cordoba da una famiglia relativamente modesta di ebrei conversi, fece studi regolari a Salamanca e in Italia, tornato presso Juan II fu cronista e segretario di lettere. I suoi contemporanei e posteri lo identificarono come “l’intellettuale” mentre identificarono Santillana come “il cavaliere”. Nella sua produzione sono presenti prove di liriche d’amore, si dedico all’attività di traduttore. I suoi contemporanei ci presentano la sua perfetta padronanza del latino, ma a differenza di Santillana egli non si dedico alla diffusione della conoscenza dei classici. Lo stile e didattico, chiaro, costruito da coordinate di frasi brevi e utilizza in alcuni momenti l’interpretazione allegorica. Nelle proprie liriche fa riferimento agli elementi religiosi mischiandoli con il profano. È una consuetudine medievale quella di sfruttare l’allegoria e alludere a concetti teologici in sede erotica od oscura. Questa linea poetica si fonde con un costante pessimismo. Importanti come esempio di ciò sono le opere Claro escuro e Al hijo muy claro de Hyperion dove strofe di arte major si alternano con ottonari (due registri metrici) con tematica amorosa. Uno sforzo di volgarizzazione dei classici è l’Omero romancado, una versione dell’Ilas latina di attribuzione incerta, che Mena compì per ordine del re. L’intento non era tuttavia quello di avere un’opera classica tradotta ma di scrivere in una prosa remota dall’uso parlato ed autonoma nella sua dignità letteraria. Tra le opere giovanili c’è un trattato d’amore ispirato a De arte amandi e De remedio amoris, scritto con una prosa asciutta e precisa, con spunti dai più grandi poeti latini. Un’importante opera è “Coronacion”, un poemetto di 51 strofe decasillabiche composto per celebrare il successo di Inigo Lopez de Mendoza sui mori nella battaglia di Huelma del 1438. Il suo intento e far risaltare l’amico Santillana come cavaliere della vittoria sui mori. Il titolo originale dovrebbe essere Calamicelos “trattato di miseria e gloria”, rispettivamente dei cattivi e dei buoni. All’inizio sembra un poema basato interamente sull’allegoria poiché il poeta attraversa le valli dove sono tormentati i cattivi dell’antichità fino ad assistere all’incoronazione dell’amico. Tenta di fondere insieme commedia e satira e di far risaltare l’amico non come poeta ma cavaliere vittorioso. Infatti la corona non è di lauro ma di quercia. Mena tenta una sintesi tra i valori medievali e l’antico con latinismi sintattici, lessicali e tematici. Gli esperti analizzando le opere di Mena intravedono una contraddizione tra uno sviluppo prettamente letteraria e l’impegno sociale forte, troppo forte per un uomo che svolge come lavoro a tempo pieno quello di letterato. Tuttavia i due caratteri non devono essere per forza divergenti ma è possibile che sia solo una sfumatura delle personalità di Mena. Altra importante opera èLaberinto de Fortuna” del 1444 più noto come “Las Trescientas”, poema in ottave di arte major, 297 strofe. Incompiuto. La constatazione della mutevolezza delle vicende umane induce il poeta ad un’invettiva contro la Fortuna. Una bellissima fanciulla, Provvidenza, lo conduce dentro il palazzo di Fortuna, dove concorre una gran folla di gente; all’interno il poeta osserva anzitutto l’orbe terrestre, di cui da una minuta descrizione, ma, redarguito da Provvidenza, In Castiglia intanto si sviluppa la poesia satirica: - “Coplas de! Ay, panadera! scritte subito dopo la battaglia di Olmedo probabilmente dal padre di Lope de Estuniga, in esse i combattenti dello scontro sfilano uno per uno colti acutamente nei loro lati grotteschi; - Le 149 “Coplas del Provincial”, di autore anonimo, sono una rassegna di cavalieri e dame della corte, travestiti però da frati e monache di un corrottissimo convento; composte sotto Enrique IV, la satira in questo periodo è più aspra. Il successo fu enorme e non fu stroncato nemmeno da una condanna del Santo Uffizio. - Le “Coplas de Mingo Revulgo”, 32 strofe composte nel 1464 da un anonimo che e forse il converso fray Inigo de Mendoza, vi e ricorso ad un gergo rusticale di convenzione; Alla satira più disinteressata prende parte Anton de Mantoro, rimatore goliardico che attacca e ferisce, si rivolge al pubblico aristocratico e viene ben accolto a corte da Juan II, Enrico IV e dai Re Cattolici. Fuori dalla poesia satirica troviamo Gomez Manrique, membro di una delle grandi famiglie dell’aristocrazia, avverso a De Luna e Enrique IV. Scrive mediocri liriche d’amore mentre notevoli sono le sue composizioni di ispirazione dottrinale che riprendono la tematica stoica elaborata in prosa da Santillana. L’importanza storica di Gomez Manrique è nei testi drammatici: - “Representacion de nascimento de Nuestro Senor”, composta per la sorella Maria, vicaria del monastero di Calabazanos, in essa egli fonde con invenzione la tematica della Passione a quella della Natività. - La tendenza verso soluzioni di tipo drammatico è assai diffusa negli ultimi decenni del secolo. Prova ne è il “Dialogo entre el Amor y un viejo” di Rodrigo Cota de Magnaque, appartenente ad una nota famiglia di ebrei convertiti toledani. 630 versi in coplas novenarie, prese come esempio: le “Coplas de los 7 pecados” di Mena ed il “Bias contra Fortuna” di Santillana, si trattava di poesie didattiche in cui vi e la presunzione di personaggi multipli e dialoghi. Qui, all’inizio i due protagonisti, un vecchio e Amore, sono fieramente antagonisti (il vecchio non crede più all’amore perché deluso molte volte) ma poi le suadenti parole di Amore, che suscitano speranze, inducono alla fine il vecchio a piegarsi al dio ed accettarne l’abbraccio. Ma ecco, improvviso e senza pietà lo scherno di Amore e la caduta di nuovo nell’illusione. JORGE MANRIQUE Figlio di don Rodrigo Manrique e nipote del poeta Gomez Manrique. Per quanto egli sia ricordato per un’unica opera famosa dedicata in seconda lettura a suo padre Rodrigo, ovviamente non si tratta dell’unica opera scritta da Manrique. Egli è autore di un “Cancionero” raccolta di 50 testi, di cui una parte dedicata alle composizioni amorose, burlesche e allegorico dantesche, opera spesso sottovalutata e schiacciata dalla sua opera più importante: Coplas por la muerte de su padre. Le poesie amorose sono composte per sua moglie. I versi non hanno come obbiettivo di ripercorrere liricamente l’avventura sentimentale, ma definiscono le varie variazioni che la passione amorosa suscita nell’animo umano. In questi termini l’opera si presenta molto psicologica. Componimenti burleschi: opere di rovesciamento dei valori di corte, degli abiti dei servi. In un certo senso anche lui si occuperà di satira, volendo sfoltire la pesantezza e i cattivi costumi delle corti del tempo. Allegorico- Dantesche: sono articolate linguisticamente. “Coplas por la muerte de su padre”. Si tratta di 40 coplas, composte poco dopo la morte del padre avvenuta l’11 novembre 1476. Egli medita sulla vanita della vita, evoca i personaggi ed i costumi di un passato immediato ma già svanito senza rimedio (egli si concentra su figure contemporanee perché ritiene sia il modo migliore per condividere il testo con i suoi lettori) e ci descrive la parabola della vita di don Rodrigo e la sua morte serena ed esemplare. La morte è qui intimamente cristiana e perciò molto serena e quasi consolante, e affrontata con sereno coraggio. Per quanto riguarda lo stile il suo verso e spoglio di aggettivi, per lui evitabili, egli e infatti scarno. La scelta metrica contribuisce all’essenzialità del verso: strofe di 12 versi in cui l’ottonario si alterna con versi di 4 sillabe (piede spezzato). I toni macabri della Danza de la muerte sono estranei alle Coplas che accettano e rifiutano molti elementi della tradizione. ETA’ DEI RE CATTOLICI - Parte 2^ CAPITOLO 5^: Umanesimo e poesia tradizionale LA CULTURA ALL’AVVENTO DEI RE CATTOLICI: CARATTERI GENERALI Sotto il regno di Fernando ed Isabella, i Re Cattolici, finisce ed inizia un’epoca letteraria e possiamo considerare questa cesura come il passaggio che si ha tra il Quattrocento e il Cinquecento. Questo periodo storico e letterario rappresentano un punto di svolta per la penisola: fine della crisi tra monarchia e nobiltà, instaurazione regime autoritario, omogeneità religiosa con espulsione degli israeliti e dei morischi, unione corone di Castiglia e Aragona, fine della Riconquista e caduta di Granada. Sotto questo quadro in politica estera la Spagna ascese ad una posizione di primo piano e in contrasto con la Francia. Inoltre la storia del regno dei re cattolici è legata a quella di Carlo V e in contrasto con l’anarchia di Enrique IV. Nel panorama letterario ci sono interessanti novità. La lirica cortese è diventata un’estenuazione manieristica ma presenta due novità: affermarsi di toni e temi popolari in ambienti colti e fioritura di una poesia religiosa con Ignigo Mendoza e Ambrosio Montesino. Il teatro, inesistente per tutto il medioevo, inizia a svilupparsi con Juan del Enzina, Luca Fernandez e Gil Vicente. Tra le opere più importanti La Celestina che eredita molto dalla tradizione medievale ma ha una vitalità tipicamente rinascimentale. Interessante è la maturazione del romanzo in questo periodo. In passato ci sono stati tentativi isolati con il Zifar e la Historia del Santo Grial. Di queste opere ha subito l’influenza Los cuatros del virtuoso caballero Amadis. Il poeta dell’Amadis (Montalvo) afferma di aver solo modernizzato e corretto l’opera originale composta di tre libri ed ha aggiunto un quarto libro con le avventure del figlio di Amadis. Dunque l’originale è un’opera medievale di metà Trecento. L’opera è menzionata anche da Ayala nel Rimando. Del vecchio manoscritto sappiamo poco, l’unica informazione certa è che il terzo libro doveva chiudersi con un duello tra Amadis e il figlio, ignari dell’identità l’uno dell’altro, che si conclude con il parricidio. Ayala condanna il romanzo cavalleresco che può rifiorire solo con il maturare dell’etica signorile e dei valori e degli stili letterari. L’Amadis rappresenta il distacco dalla situazione culturale del medioevo. LA STORIOGRAFIA Segue la tradizione del secolo precedente la prosa storica e didattica. Tra i nomi importanti Alonso de Valencia, Diego de Valera. Ci sono tuttavia dei mutamenti significativi. Nell’umanesimo la corte reale diviene il centro e pressoché unico della vita culturale in cui fioriscono gli ambienti accademici e il mecenatismo della nobiltà si assottiglia fino a scomparire. Le imprese e ricerche accademiche assumono un carattere cosmopolita e ciò favorisce lo sviluppo di nuovi centri di studio come l’Università di Salamanca. La figura più rilevante della storiografia del tempo e il cronista Diego de Valera. Egli era probabilmente di origine giudaica e fin dall’infanzia visse a corte dove suo padre era il medico di Juan II. Viaggiò molto per volere regio e difese l’onore castigliano a tavola di Albero V d’Asburgo e ciò lo portò a vedersi conferire il collare dell’Escama. I TARDI CANZONIERI E LA POESIA RELIGIOSA Nel periodo dei Re Cattolici nonostante all’inizio non ci siano grandi cambiamenti nella poesia si assiste al recupero di atteggiamenti di tipo popolareggiante e l’accentuazione della tematica religiosa. Il Cancionero general è una raccolta di questo periodo e raccoglie gran parte della produzione del tempo. Le poesie all’interno tuttavia restano ancora troppo vicine alla poesia d’occasione e alla poesia cortese. Fra gli autori aumenta proporzionalmente il numero degli appartenenti alla nobiltà quando l’oligarchia aristocratica si allontana dal potere e inizia a dedicarsi alla scrittura. Importante autore e Juan Alvarez Gato, egli si dedicò alla poesia amorosa in giovinezza il cui tratto rilevante È il ricorso all’iperbole sacro-profano e ad una produzione di tipo satirico che investe una problematica morale e politica. Il momento finale della sua produzione sono le liriche religiose con cantares popolari e letras composte appunto sotto i re Cattolici, vi e quindi un recupero del passato religioso ma con innovazioni e anche di tono e forme popolari rustiche. Importante è poi Fray Inigo de Mendoza, fa parte dell’ordine francescano e fu legato prima alla corte di Enrique e poi di Isabel. La sua opera principale sono le “Coplas de vita Christi” che trattano del racconto evangelico, l’infanzia di Cristo, la Passione, il dolore di Maria e il suo rapporto con Gesù. Il poeta stesso dichiara di seguire la via indicata da Juan de Mena ma cambia i contenuti che invece sono tipicamente francescani come l’elogio della povertà e il senso dell’uguaglianza fra gli uomini. Ci sono digressioni moralistiche anche con temi misogini e critiche sociali. Nello stesso periodo aveva iniziato a comporre opere religiose ma minori e anche qualche poesia politica. I rappresentanti della poesia religiosa sotto i re Cattolici sono: Ambrosio Montesino e Juan de Padilla. Montesino fu anch’egli francescano, vive in convento, ma a differenza di Mendoza in lui non vi e nulla dell’impegno sociale e politico. In Montesino si trovano i temi mariani, quello dell’Infanzia e della Passione di Cristo. Traduce le Epistole e i Vangeli. L’opera poetica nasce su commissione. Il problema della salvezza e della maternità sono centrali. Lo stile è popolareggiante e semplice a volte e a volte elegantissimo. Juan de Padilla fu un frate certosino seguace degli schemi allegorici di Mena. È l’ultimo ad usare il verso de arte major La sua opera principale èRetablo de la vida de Cristo” 1500. Il poema narra tutta la vita di Cristo e si presenta come imitazione di un “retablo” (pala d’altare) con 4 pannelli corrispondenti ai Vangeli ed ai fiumi del Paradiso Terrestre. “Los doce triunfos de los doce Apostoles”, terminato nel 1518 è costruito su una trama di corrispondenze (fra gli apostoli, i profeti, i mesi ed i segni dello zodiaco) ed obbediente all’allegoria. Altra importante opera del tempo è “Cancionero musical de Palacio”: i temi cortigiani sono esaltati con eleganza e sentimento. È contenuto il repertorio della cappella di palazzo. LA LIRICA TRADIZIONALE I più antichi testi spagnoli si sono conservati in ambienti colti semitici. Non si sviluppa nulla di simile nella spagna del 400 quando la poesia tradizionale torna a sviluppare temi nevi, resi più attraenti dalla semplicità e dalla schiettezza. La poesia colta e la lirica tradizionale dunque si pongono in una posizione di antagonismo ma anche di solidarietà. La lirica popolare intanto sembra tacere pur esistendo e sicuramente non ne abbiamo neppure un quadro chiaro per la deficienza dei documenti. Emergono tuttavia chiaramente 3 tradizioni distinte: quella mozarabica, quella galego portoghese e quella castigliana. Il gusto popolare è un filo conduttore tra tutti gli autori del Quattrocento e sboccia nel Cinquecento a tutti gli effetti, attraverso un percorso da Berceo, Juan Ruiz, Diego de Mendoza, Santillana, Carvalaj e Manrique. Bisogna dunque pensare ad una parentela della lirica castigliana soprattutto con quella galego portoghese che ha fatto presupporre a Menendez Pidal l’esistenza di una lirica antica comune ed indigena alla penisola che le poesie mozarabiche hanno confermato solo in parte. Ogni testo ha una genesi che affonda le proprie radici in testi antichi. Esempio: lamento per la morte di Gullien Peraza, affidato alla memoria popolare, citato nel Cancioniero de Palacio, di derivazione da un testo antico arabo e ha influssi di autori come Villasandino. Si sviluppano poesie destinate per lo più al canto chiamate VILLANCICOS, dal nome del ritornello iniziale, formato da un distico o tristico o tetrastico seguito da strofe rimate e la ripetizione infine del ritornello. Sono testi melici opera di singoli poeti. Sono poesie vitali destinate alla ripetizione bocca per bocca. I temi sono prevalentemente amorosi, stilizzati, bucolici. IL ROMANCERO Contemporaneamente alla lirica tradizionale affiora il romacero, un tipo di poesia popolare. Jaume de Olesa, un giovane maiorchino che studiava legge in Italia, scrisse una sorta di pastorella rovesciata, romance della Dama e del Pastore, che veniva cantato ancora in temi recenti dagli ebrei sefarditi del Marocco e del Levante. Altri tre romances appartengono ad un certo Juan Rodriguez del Padron che raccolse i testi dalla tradizione orale. Juan de Mena ci parla di una versione della morte di Fernando IV che non abbiamo ritrovato e ce ne accenna anche Santillana. Carvajal anche compone due romances. Sotto il regno di Enrique IV ritroviamo queste prime composizioni isolate e sappiamo che anche lui li cantava. La vera moda inizia dopo il suo regno e dura fino a metà del 600 quando i romances sembrano scomparire ma in realtà continuavano ad essere cantati dal popolo. Nei secoli XIII e XIV per romances si intendeva una composizione narrativa in versi sia didattica che epica ma nel XV il termine si specializza solo per questo tipo di poesia popolare in doppi ottonari con un primo emistichio piano, il secondo tronco e assonanza di e. Nel Cinquecento gli emistichi divennero veri e propri versi e l’assonanza rimase nei versi pari, in sede dispari perduro la preferenza per le terminazioni piane. Tematica la Dama e il Pastore: di spunto indigeno (la serranilla”, il Conde Arnaldos e molto affine alle ballate, “Rosaflorida” di Rodriguez del Padron deriva dall’epica francese e i romances di Mena sono a tematica storica. Menendez Pidal ha chiarito che i romances sono poesia popolare non per la sua origine bensì per il suo vivere nella tradizione orale che incessantemente lo modifica. Qual e la data di nascita del genere? C’è da fare una distinzione tra romances storici ed epici. Gli storici sono legati all’avvenimento che cantano, ad esempio i romances sul re Pedro il crudele furono composti per impressionare l’opinione pubblica a favore dei Trasamar dunque in funzione propagandistica. Importanti romances storici sono i romances fronterizos ovvero i romances nella guerra contro Granada durante la minore età di Juan II, essi sono di carattere giullaresco e informativo per il popolo. I romances epici si pensa che fossero parti salienti di altri poemi che il pubblico imparava e ripeteva come il “Cantar de Rodrigo”. Non si sa dunque dove e quando nacquero i romances, sappiamo che si diffusero in uno stato sociale basso e veniva conosciuto anche a corte. I romances sono presentati in maniera frammentata data la loro diffusione orale, il poeta nei testi non interviene mai e tutto e rappresentato mediante il discorso diretto. Sono testi che ormai abbracciano una netta modernità grazie alla loro coscienza ed al loro drammaticissimo. Il romance e una composizione poetica caratteristica della tradizione letteraria spagnola, composta usando la combinazione metrica di ottosillabi assonanzati nei versi pari. Il romance e un poema caratteristico della tradizione orale, e diventa popolare nel secolo XV, dove si raccolgono per la prima volta per iscritto in antologie chiamate Romanceros. I romances si interpretavano recitando, cantando o intercalando canto e recitazione. Definizione di romance: Componimento poetico astrofico, costituito da una sequenza di ottonari, assonanzati nei versi pari. IL ROMANZO CAVALLERESCO: L’AMADIS DE GAULA Con il romanzo sentimentale c’è solo un tenue rapporto di parentela. Potremmo dire anzi che è il romanzo sentimentale ad essere una deviazione del romanzo cavalleresco. Non c’è una ripartizione netta tra i due generi. La materia sentimentali nei cavallereschi è presente e dominante, è perno e motore della vita del cavaliere che lo porta a sfidare draghi e a duellare. Si tratta di amore-servizio, dono completo di sé. Scompaiono lettere e allegoria. La materia bretone, gli itinerari e la geografia fantastica sono tra gli elementi principali. Una sola opera e un solo eroe: Cuatro libros del muy esorcado e virtuoso caballero Amadis de Gaula rielaborato da Montalvo. Pur essendo 4 libri di cui l’ultimo interamente di fantasia di Montalvo l’opera è unitaria. È un’opera snella ma a volte ha cadenze gotiche e zone morte. L’Amadis potrebbe essere una storia infinita ma il poeta sceglie di dargli un inizio e una fine netti. Il meraviglioso e la favola fanno capolino e coinvolgono in un viaggio di virtù cavalleresche. Amadis è l’eletto, nato da un amore segreto e per questo abbandonato in una cesta sul fiume. Viene allevato da Gandales di Scozia che lo alleva come il cavaliere perfetto, al servizio di Oriana, figlia del re di Bretagna con cui promette amore eterno. L’eroe nel suo nome inizia a percorrere le prime avventure e grazie a ciò sarà riconosciuto dai genitori e reintegrato al nome e al trono di Gaula. Tra gli episodi significativi: l’incantesimo del castello di Arcalus e il suo scioglimento per mano della maga Urganda. Il viaggio all’Insula Firme con la stanza vietata e le prove degli amanti. Il meccanismo più utilizzato è l’impedimento. Tutte le azioni sono legate ad un divieto o ad un ostacolo che mette in pericolo il mito dell’invincibilità di Amadis. L’ostacolo non interrompe il viaggio ma ne modifica la rotta e inoltre aumenta il mistero dell’avventura. Magie, incantesimi, identità precaria di volti e oggetti che se sono reali si dispongono per costruire una realtà illusoria, fantasmi e illusioni. Questa polisemia e l’anonimato e l’illusione saranno fatti proprio da Cervantes. Si tratta di una storia non finita in un’opera con confini delimitati e chiusi. Si attua anche se non completamente la figura dell’autore omnisciente che riassume il capitolo o arbitra le vicende soprattutto attraverso l’espediente “torniamo indietro/ torniamo al punto in cui”. Tutto ciò getta le basi per ciò che poi sarà la commedia degli inganni del teatro barocco, il moderno romanzo d'avventura. La tecnica dell'inganno consiste nel mettere in scena un evento senza svelare il senso e far fare ai personaggi sotto falsa identità azioni precise e misteriose. Una parte della verità resta così nascosta per tutta la rappresentazione finché gli ostacoli apparenti saranno rimossi, i personaggi sveleranno il loro vero nome e verranno chiariti i vari misteri. Questo è ciò che viene chiamato lirismo narrativo dell'Amadis che ha valore di ritorno irrazionale alla favola e all'incontro primordiale con il mito e allo stesso tempo mette in evidenza i propri limiti. Montalvo produce così una favola tarda incline alla stilizzazione. Anche nei momenti più fantasiosi il poeta non rinuncia ad una cultura ordinatrice della realtà: il bene e il bello sono fusi insieme, l'amore è idealizzato univoco e sottoposto ad un codice inflessibile mentre il male si pone come opposto ed è disordine e peccato. Ciò mette dei limiti al mito affidandogli una luce pedagogizzante e con precise implicazioni sociali. La componente dell'erotismo è fatta di tentazioni proibite. Nei romanzi cavallereschi le scene d'amore sono raccontate con reticenza e una sensualità trattenuta. Talvolta la censura è dichiarato apertamente. Compare nell'Amadis anche il tema de l'altra donna che viene sviluppato come espediente narrativo che interferisce sull'unione dei due protagonisti. Amadis arriverà a ritirarsi e poi ad uccidere il drago per purificarsi dal tradimento a danno di Oriana. Infine i due si sposeranno e saranno circondati da una corte raffinata, Amadis lascerà le armi a favore della caccia e amministrerà le sue nuove mansioni. Nasce sotto forma di romanzo il manuale del cavaliere perfetto, espressione della cultura umanistica che affinerà l'arte del modello durante il Cinquecento. Nel cinquecento l'Amadis resta insuperabile e ineguagliabile mentre si diffonde in tutta Europa il romanzo cavalleresco e vengono composte nuove opere. L'opera viene ripresa e continuata affiancando al nome di Amadis quello di un nuovo eroe da cui si sviluppa un nuovo ciclo che avrà grande fortuna basato su Espladian, figlio di Amadis e Oriana. Già Montalvo aveva dato alla stampa un libro V su questo nuovo eroe nel 1510. Si apre una generazione di eroi cavalieri da Perion a Esferamundi, circa 40 anni di avventure dal primo libro di Amadis. Nel XVI secolo semplicemente questo motivo tramonterà a causa dell'esaurirsi dell'interesse del pubblico. Alla famiglia principale del primo eroe si affiancano non solo parenti ma anche famiglie amiche da cui partono storie nuove e diverse Il caso più noto è del 1511 con il Palmerin de Olivia probabilmente scritto da una donna. Il modello di Amadis è evidente: anche Palmerin nasce da un amore segreto. Palmerin avrà il suo riscatto come Amadis grazie a numerose avventure e vittorie, infine l'agnizione dei genitori e la consacrazione regale come Amadis. Nel 1512 viene pubblicato Primaleon, opera basata sui due figli di Palmerin, Primaleon appunto e Polendos, e gli amori della sorella Flerida. Ampio spazio sia all'intreccio sentimentale sia al realismo familiare e storico con personaggi vivente. Verrà scritto un terzo libro che racconterà la storia del figlio di Flerida e Don Duardos d'Inghilterra chiamato Palmerin d'Inghilterra composto da Francisco de Morais Cabral e dato alle stampe nella versione spagnola di Luis Hurtado. I libri di cavalleria nascono sotto l'impero di Carlo V, una lunga fioritura indice del primato spagnolo in Europa, della crisi eterodossa e i mutamenti dei gusti artistici e della vita. Tuttavia c'era anche chi aveva qualche riserva verso tali romanzi considerati offesa della verità e veicolo di corruzione perché fondati sulla menzogna e sull'inganno. Il pubblico di tutte le estrazioni però resta nella maggior parte dei casi affascinato perché questi romanzi rispondono a processi di identificazione e associazione, oppure perché contravvengono alle norme umanistiche e della teologia, o ancora concedono il brivido dell'esplorazione, la scoperta dell'ignoto, la ricostruzione della realtà. In questo quadro si incastra poi anche la scoperta dell'America: l'avventura e lo scoprire diventano il motore della società tanto nella lettura quando nella vita reale. Anche se la realtà è spesso deludente: i cavalieri di Carlo V non sono valorosi come quelli dei romanzi, anzi, sono cavalieri che istituzionalizzano, ordinano e hanno rare vittorie in singole battaglie. I nuovi eroi, figli e discendenti, introducono temi nuovi pur rimanendo sulla falsariga dell'eroe originale. Si determinano due linee di sviluppo: 1) spirale della perfezione e dell'invincibilità del cavaliere (Amadis era più coraggioso di suo padre Perion, Espladian sarà più coraggioso del padre e così via) 2) meccanismo opposto alla spirale in cui si accentua l'elemento prosaico, borghese e familiare delle avventure e degli amori. Il favoloso invece fa capo allo schema della spirale dell'assurdo: cresce proporzionalmente alla solennità del messaggio, dunque più le imprese dono inverosimili più é intima la grandezza delle gesta. Viene messo in scena per la prima volta il feuilliton (opera con intreccio complesso e trionfo finale dei buoni). L'editoria inoltre mostra la faccia negativa: può donare grande fama ma anche affossare le opere. Don Chisciotte si propone come ultimo esercizio della cavalleria e fa riferimento più ai libri che ai personaggi. privi di nome. All’inizio del primo capitolo Lazaro si rivolge a vossignoria affermando che la gente lo chiama Lazaro de Torme, figlio di Tome Gonzales e di Antonia Perez, nativi di Tejares, provincia di Salamanca. Afferma che la sua nascita e avvenuta dentro il fiume di Torme, da qui il soprannome. Spiega poi come e nato: il padre era incaricato di provvedere alla macinatura di un mulino sulla riva del fiume di Torme, una notte che stava nel mulino la madre ebbe le doglie e lo partorì. Vi e già all’inizio il paradosso ai limiti del reale. Pero man mano i fatti cambiano: appena il bambino esce dalla tutela della madre le cose ricordate aumentano in numero e sostanza, la narrazione si distende, ora Lazaro non trasmette più notizie bensì scende in particolari perché maggiore e la sua memoria. È straordinario che l’autore faccia coincidere questo cambio di ritmo con l’abbandono del nucleo familiare, e come se Lazaro abbandonata la tutela materna prende coscienza della sua gestione della vita, diventa attivo e attore. La figura di picaro nasce nel momento in cui si delinea la sua capacita di iniziativa, nel momento in cui si conquista la liberta psicologica. La parola “picaro” non compare all’interno del romanzo ma diventa l’eroe del genere che inaugura ovvero il genere picaresco. Lazaro fa inizialmente l’accompagnatore di un cieco ma quando ne capisce la diabolica astuzia se ne serve per ingannarlo, diventa egli stesso astuto a tempo debito per ricambiare con la stessa moneta il cieco. Rimasto solo va a servir messa da un prete che si dimostra presto ancora più avaro rifiutandogli il pane che per questo Lazaro dovrà rubare di notte ma viene scoperto e messo alla porta. Ed ecco un nuovo padrone: uno scudiero con tanto di cappa e spada, egli tuttavia e povero e ha uno smisurato culto delle apparenze. Gli abiti sono vecchi e consunti, la casa non ha mobili, non c’e denaro per fare la spesa tanto che ogni giorno i due devono fingere di aver mangiato. Il nuovo signore tuttavia e talmente gentile e amabile nei modi che a Lazaro non viene in mente di beffarlo ed anzi ne prova una grande pena e paradossalmente lo inganna per procurargli del cibo di nascosto. Finché un giorno, messo alle strette per la pigione arretrata, il cavaliere scappa per non tornare mai più e poco manca che non tocchi a Lazaro patire per le vendette dei creditori. Altri 5 padroni gli toccano prima di giungere, col passare degli anni, al compimento della carriera di servo: un frate mercedario gran trafficante e consumatore di scarpe per il continuo viaggiare, uno spacciatore di bolle per le indulgenze, un maestro pittore di tamburelli, un cappellano che lo manda in giro per la citta a vendere acqua e un “alguacil” che cerca di farne uno sbirro. A questo punto Lazaro e ormai un giovinotto e trova un impiego come banditore di vini per conto di un arciprete, riesce con il commercio a mettere insieme un po’ di denaro e si procura una moglie, sposando la serva del suo facoltoso padrone. Dietro le singole avventure c’e un’ampia tradizione folclorica, ricca di satira e realismo. Spunti della novellistica medievale, personaggi di farse e fabliaux, motti e proverbi. Nessuna delle tante farse medievali gli fa da modello, semplicemente riprende lo schema servo-padrone. Egli non inventa nulla di ciò che e nell’opera, trova semplicemente un filo conduttore. Le rubriche ci dicono che ad ogni “trattato” o capitolo corrisponde grosso modo un servizio di Lazaro. Nel suo complesso, l’ordinamento dell’opera resta quello di una scansione dei fatti, e delle tappe di un viaggio, attraverso i tratados. Il narratore e anche l’eroe e il protagonista di ogni nuovo racconto, chi salda una storia e l’altra e lui stesso: cosi ogni avventura, pur mantenendo la struttura autonoma del trattato, forma quel continuum che e il romanzo. Le prime avventure sono marcate dal rapporto servo-padrone in cui il servo e costante mentre il padrone cambia, altra costante e il tema centrale che e la fame. Il romanzo si basa tutto su un meccanismo causa-effetto ed alla base vi e la forma chiusa che progressivamente aumenta le sue dimensioni, dalla sacca del cieco ad arrivare all’intera casa dello scudiero. Emerge inoltre, ad un’attenta analisi, la tessitura dei cibi: il romanzo comincia con la farina del mulino paterno che anticipa la mancanza di pane che il cieco e il prete negano a Lazaro e di quello che Lazaro più tardi condivide con lo scudiero e continua con il vino sottratto al cieco che anticipa quello venduto per conto dell’arciprete. Si avverte inoltre l’ironia di qualche nesso simbolico-religioso: il pane e il vino evangelici, il vino che lava il sangue di Lazaro ferito e lo guarisce. Lo stile si fonda sulla necessita: per buona parte dell’opera i personaggi comunicano fra loro attraverso gli oggetti; talvolta parlano, ma più spesso armeggiano attorno a ingredienti il cui possesso è per loro una questione vitale. Si può ricostruire un itinerario compiuto da Lazaro ma non si va oltre il nome di poche città o villaggi, egli non parla della natura perché non ha tempo per scoprirla, i soli corsi d’acqua che Lazaro menziona sono il Torme da cui e nato e un ruscello che gli serve per ingannare il cieco all’uscita di Escalona. Le città invece formano contorni più concreti, alcune citta come Salamanca, Escalona e Toledo sono menzionate ma non vi sono elementi concreti che rimandano ad esse, si accenna più in generale di aver visto un ponte, una strada, una locanda sulla via, un giardino. Sono dettagli fugaci che danno alla vicenda spessore urbano ma non dettagliato, si tratta infatti di una storia in movimento, ciò che conta sono le azioni e i fatti. L’autore ha compiuto uno straordinario lavoro di semplificazione lì dove i suoi predecessori avevano arricchito. Le vicende di Lazaro sono da leggere come storia di un addestramento alla vita, come un processo educativo che ha per oggetto, non le virtù mail soddisfacimento dei bisogni primari e dunque nel quale l’astuzia e le destrezze dell’inganno sono essenziali. Leggendo il romanzo si capisce pero che le vicende di Lazaro sono anche il ritratto della fame dell’intera società, i padroni presentati nell’opera simboleggiano la degradazione sociale. Il prete e la degradazione del basso clero, lo scudiero e la metafora di un’apparenza di casta. Lazaro compie un viaggio in diversi ruoli sociali presentando la loro degradazione. Anche la famiglia e assente, Lazaro e il primo orfano della società moderna, la presentazione della sua famiglia rappresenta la privazione propria della vita di Lazaro. Il romanzo si congeda ai lettori come il romanzo della solitudine affettiva: l’assenza della madre e del padre ma anche l’adulterio della moglie come prezzo del benessere e garanzia di matrimonio stabile. Lazaro scopre il tradimento ma non fa nulla né si vendica perché sa che può avere un tornaconto mantenendo il proprio benessere sociale.
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