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Prima Guerra Mondiale: Cause e Connessezze, Schemi e mappe concettuali di Storia Contemporanea

Storia Economica EuropeaStoria Politica EuropeaStoria Moderna Europea

Le cause storico-politiche e economiche della Prima Guerra Mondiale, l'ingresso dell'Italia e degli USA, la rivoluzione bolscevica in Russia, l'intervento del Papa e le conseguenze della guerra, tra cui il Trattato di Rapallo e l'ascesa del fascismo in Italia. Il testo illustra come la guerra portò a nuove forme di governo, come il fascismo, e a una riorganizzazione dei confini europei.

Cosa imparerai

  • Come la pace di Versailles influenzò la Germania?
  • Come la Russia si ritirò dalla prima guerra mondiale?
  • Che eventi portarono all'ascesa del fascismo in Italia?
  • Che nazioni entrarono in guerra al fianco dell'Austria e della Germania?
  • Perché l'Italia entrò in guerra nella Prima Guerra Mondiale un anno dopo il suo scoppio?

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

Caricato il 25/06/2022

EmanuelaMaggio
EmanuelaMaggio 🇮🇹

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Scarica Prima Guerra Mondiale: Cause e Connessezze e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! STORIA CONTEMPORANEA. IL NOVECENTO. Prima guerra mondiale: cause - Cause storico-politiche Crisi dell’impero Austro-Ungarico. L’Austria all’epoca era un grande impero multinazionale che si estendeva fino all’Europa centro- orientale, nei Balcani e nel nord Italia. Aveva al suo interno una serie di nazionalità (slavi, italiani, popoli tedeschi), e rappresentava una miccia in Europa. Espansionismo tedesco. La Germania come nazione unificata nasce nel 1870, quindi abbastanza tardi. Due stati in Europa si formano in ritardo, Germania appunto e Italia (1860). La Germania era in precedenza una confederazione di stati. Per formarsi, va incontro ad una serie di guerre, l’ultima delle quali vede scontrarsi la Prussia di Bismark con la Francia di Napoleone III. La Prussia vince a Sedan e conquista l’Alsazia e la Lorena. La Francia voleva riconquistare queste regioni (che attualmente sono appunto territorio francese). Bismark, per attenuare questo senso francese di rivincita, incoraggia la colonizzazione dell’Africa, distogliendo le altre potenze europee dal riconquistare quelle due regioni. Nel 1878 ha quindi inizio l’età dell’imperialismo, che vede il suo culmine con lo scoppio del primo conflitto mondiale. Bismark non partecipa a questa gara coloniale, poiché la Germania decide di mantenere una politica di raccoglimento. Bismark cade nel 1890 e per la Germania inizia la politica del “nuovo corso”; da lì in poi la nazione avvia una politica fortemente espansionistica. (Forte espansionismo tedesco per recuperare il tempo perso; concorrenza con l’Inghilterra) (Germania “guglielmina” di Guglielmo II) La questione balcanica (o “questione orientale”) Nei Balcani all’epoca c’era un problema di politica estera. Fin dal ‘600 era stato territorio di espansione dell’impero turco. I turchi appunto nel ‘600 vengono respinti dall’assedio di Vienna e arretrano nel Balcani. Sorge il problema quindi di quale potenza dovesse prendere il controllo di questo territorio. A questo punto ha luogo uno scontro fra Austria e Russia. L’Austria nel 1808 aveva inglobato la Bosnia, quindi l’altra possibile zona d’espansione restavano i Balcani. La Russia, invece, voleva arrivare ai Balcani per poter commerciare con il Mediterraneo passando per il Mar Nero e lo stretto dei Dardanelli. La Russia degli zar mascherava questa politica imperialista con ideali religiosi (proteggere i cristiani dei Balcani dai musulmani turchi). Non è un caso che la causa occasionale della prima guerra mondiale sia scoppiata proprio in questa zona. Unità nazionale italiana. All’Italia mancavano ancora Trento e Trieste per poter completare il processo di unificazione risorgimentale, le quali erano sotto il dominio austriaco (“terre irredente”). L’Italia nel 1882 si allea con l’Austria: nasce la Triplice Alleanza fra Italia, Germania e impero Austro- Ungarico. 1 Questo suscita polemiche fra gli italiani poiché tutto ciò non avrebbe contribuito a riavere le terre irredente. La Triplice Alleanza era però un accordo difensivo: prevedeva infatti che se uno di questi tre stati fosse stato attaccato, gli altri due sarebbero corsi in suo soccorso. Una delle costanti della politica estera italiana era aver un buon rapporto con l’Inghilterra, essendo quest’ultima una grande potenza navale. Man mano che la politica estera si evolverà, l’Inghilterra si avvicinerà sempre di più alla Francia, e così farà di conseguenza l’Italia. Quest’ultima resterà dunque nella Triplice Alleanza, ma firmerà accordi con francesi e inglesi. Al momento dello scoppio della guerra, l’Italia non resta fedele alla Triplice Alleanza ma si allea con i francesi. Triplice Intesa: Bismark dà l’impronta ai rapporti internazionali europei; per assicurarsi l’alleanza con la Russia, stipula il trattato di contrassicurazione. Francia e Inghilterra ne restano fuori. All’epoca queste due potenze erano in forte contrasto coloniale. Nel 1904 firmano l’entente cordiale. Quando Bismark cade, Guglielmo II non rinnova il contratto con la Russia; quest’ultima si avvicina a Francia e Inghilterra e si comincia a delineare la Triplice Intesa. - Alleanza: impero Austro-Ungarico, Germania, Italia. - Intesa: Inghilterra, Francia, Russia. - Cause economiche. Marx: la cosa più importante per una società è l’economia (materialismo storico; sono i rapporti economici che l’uomo vive ad affermarne la coscienza). Per gli storici marxisti, le cause più importanti dello scoppio della guerra sono quelle economiche, che mettono l’accento sull’imperialismo europeo. Secondo Marx, il capitalismo andava incontro ad una crisi di sovraproduzione; questo porta inevitabilmente al commercio con mercati esteri. - Cause militari. L’Europa aveva investito moltissimo in armi a causa del capitalismo. - Cause socio-culturali. Nazionalismo: corrente politica che si afferma agli inizi del ‘900. La guerra era vista come purificatrice, le nazioni dovevano espandersi. Causa occasionale dello scoppio del conflitto: assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria, a Sarajevo per mano di uno studente serbo. Caso italiano. L’Italia sarà l’unica potenza europea che entra in guerra un anno dopo il suo scoppio. Ci sarà un grande dibattito per un anno. L’Italia sarebbe dovuta entrare in guerra con la Triplice Alleanza, ma si basa sul fatto che la Germania ha attaccato, non è stata attaccata. 2 Conclusione: 10 milioni di morti in guerra e altri 10 a causa dell’influenza spagnola del 1919\20. Caduta di tuti i grandi imperi; fine dell’ancien regime. Trattati di pace. I rappresentanti delle potenze vincitrici si riuniscono a Parigi Usa: Wilson Inghilterra: Lloyd George Francia: Clemenceau Italia: Orlando, insieme al ministro degli esteri Sonnino. Nasce il mito dell’Italia come grande potenza. All’inizio delle trattative emergono le ideologie di Wilson, democratico. Proponeva una “pace giusta” e, nei suoi 14 punti, sosteneva un possibile capitalismo democratico. Le posizioni di Wilson si scontravano con quelle di Clemenceau, che voleva distruggere la Germania; Wilson si trova da solo e la Francia firma un accordo sottobanco con gli inglesi. Trattati di pace e Società delle Nazioni. 1. La Germania viene condannata a pagare un’enorme riparazione di guerra. Gli Alleati, per garantire questo, occupano il bacino della Ruhr, la zona più industrializzata della Germania. Questo causerà nella Repubblica di Weimar la crisi del marco. - La Germania perde tutte le colonie in Africa - L’Alsazia e la Lorenza vengono riconsegnate alla Francia - Il “corridoio polacco”: la Germani viene spaccata in due. Germania occidentale e Prussia orientale, divise dal corridoio polacco. Al vertice di questo territorio si trova Danzica, proclamata stato libero. 2. Il secondo trattato di pace viene imposto all’Austria. Wilson dichiara che la Dalmazia andrebbe consegnata alla Jugoslavia e non all’Italia perché non si riteneva legato al patto di Londra. Per protesta, Orlando e Sonnino si ritirano dalla conferenza di pace, proprio quando Francia e Inghilterra si dividono le colonie tedesche. Trento, Trieste, Capo d’Istria e Alto Adige passano all’Italia. L’Austria viene disgregata, cessa di essere un grande impero e diventa la nazione che è oggi. Sul territorio austriaco si creano nuove nazioni: Ungheria, Jugoslavia, Cecoslovacchia e Polonia (che non esisteva come stato nazionale dal 1815). 3. La Turchia cessa di essere un impero. Perde i territori nel Balcani e nel Medioriente e diventa lo stato che è attualmente. Dopo la fine del conflitto la Turchia entra in guerra con la Grecia per alcuni territori in Anatolia. Vince la Turchia, ma in questa guerra assistiamo ad una sua rinascita: la riscossa turca viene portata avanti da Mustafa Kemal, un ufficiale turco che faceva parte della corrente dei “giovani turchi” che voleva che la Turchia si occidentalizzasse e si sviluppasse sul modello europeo. La Turchia passa da califfato a stato laico. Società delle Nazioni. 5 Nasce sulla spinta del presidente Wilson per evitare la nascita di altri conflitti. La sede era a Ginevra e doveva redimere controversie internazionali in modo pacifico. La società però: - Non aveva una forza d’intervento militare - Nasce nel 1919 e 20 anni dopo scoppia il secondo conflitto mondiale - Gli USA non partecipano, torna in vigore la loro politica isolazionista - La Russia sovietica viene esiliata in quanto si afferma come primo stato comunista al mondo - La Germania è fuori dalla Società in quanto ritenuta unica responsabile della guerra. Rivoluzione russa. Le origini Situazione della Russia prima della rivoluzione. La Russia è una particolarità nell’Europa di questo periodo; è governata da zar appoggiati dalla nobiltà (particolarità perché la nobiltà era stata spazzata vita dalla rivoluzione francese) In Russia esisteva ancora la servitù della gleba. La servitù della gleba era un residuo del sistema feudale; in Francia era stata spazzata vita dalla rivoluzione e nel resto d’Europa se ne occuparono le armate napoleoniche. In Russia persisteva perché Napoleone venne sconfitto. Servitù della gleba: i contadini erano legati alla terra del proprietario terrieri e venivano venduti insieme ad essa. La servitù della gleba NON è come la schiavitù: i contadini avevano alcuni diritti civili e personali. La servitù verrà abolita nel 1861 da parte dello zar Alessandro II. L’abolizione darà vita alla privatizzazione delle campagne: il contadino diventa finalmente libero come in Europa. Classe di piccoli e medi proprietari terrieri: kulaki. A partire da questo, dal 1880 si dà inizio al processo di industrializzazione. Affinché questo processo potesse avere inizio, era necessario avere un’iniziale accumulazione di capitale. L’agricoltura inizia quindi a produrre per il profitto e non solo per l’autoconsumo. La Russia per ora non riesce ad arrivare al decollo industriale. Si formeranno infatti solo due centri industriali di relativa importanza, San Pietroburgo e Mosca. Il resto per il momento resterà tutto territorio agricolo. Opposizione politica allo zarismo. Occidentalisti e slavofili. - Occidentalisti: volevano che la Russia subisse un processo di sviluppo industriale simile a quello dell’Europa occidentale. Il principale sottogruppo era quello dei marxisti russi. Marx diceva che prima della rivoluzione comunista, il capitalismo doveva svilupparsi fino al suo massimo livello, per poi subire una crisi definitiva che avrebbe portato all’affermarsi della rivoluzione. I marxisti russi sono occidentalisti perché affermavano che prima della rivoluzione serviva un capitalismo maturo. Credevano anche che la classe rivoluzionaria avrebbe dovuto essere quella del proletariato di fabbrica, ovvero gli operai. 6 - Slavofili: credevano che la Russia dovesse seguire una sua linea rivoluzionaria. Il principale sottogruppo era composto dai populisti, i quali sostenevano che gli intellettuali dovessero andare incontro alla tradizione russa. Proponevano come maggiore arma di lotta il terrorismo (lo zar Alessandro II sarà poi ucciso in un attentato). Saranno la corrente maggioritaria dell’opposizione russa. Credevano che tutti i contadini dovessero diventare proprietari terrieri. - Menscevichi: sostenevano la teoria ortodossa di Marx. - Bolscevichi: sostenevano che il marxismo andasse rivoluzionato. Pensavano che la classe operaia fosse incapace di andare oltre il riformismo. - Lenin: la classe operaia doveva essere guidata da quelli che lui chiamava “rivoluzionari di professione” verso una posizione rivoluzionaria e non riformista Differenza dal marxismo classico: nel classico si aspetta un certo stadio di sviluppo; Lenin invece pensava che la rivoluzione si potesse forzare indipendentemente da questo (il leninismo si avvicina più al pensiero slavofilo che a quello occidentalista). Per i bolscevichi e Lenin la classe rivoluzionaria era quella operaia, per i populisti erano i contadini; i bolscevichi volevano la rivoluzione programmata e rifiutavano il terrorismo. Tappe che portano alla rivoluzione. Prima rivoluzione nel 1905. In quest’anno c’è una guerra fra Russia e Giappone per alcune aree portuali in Korea. La Russia viene totalmente sconfitta. Tutti si accorgono quindi che il Giappone sta diventando una grande potenza. - Giappone: dal 1870 inizia ad attuare un accelerato processo di industrializzazione e decide di iniziare ad occidentalizzarsi sul modello europeo per evitare di diventare preda del colonialismo. Industrializzazione portata avanti dalla dinastia Meiji. Tutto comincia dopo una guerra civile fra famiglia imperiale e samurai, ovvero i piccoli proprietari terrieri. La sconfitta della Russia porta quindi ad una serie di rivoluzioni interne. “domenica di sangue” a Pietroburgo: le truppe dello zar fanno una strage sulla popolazione inerme. I cadetti chiedono allo zar di costruire un Parlamento; lo zar lo concede e prende il nome di Duma. Il potere reale resta però un potere assoluto nelle mani dello zar. In questa situazione, la Russia entra in guerra. La rivoluzione russa si dimostra importante anche nel resto d’Europa. La guerra è catastrofica per la Russia. Passaggio zarismo-comunismo. - Debolezza della borghesia russa - Radicalità del proletariato troppo represso sotto lo zarismo. La rivoluzione scoppia nel 1917. Rivoluzione di febbraio e rivoluzione d’ottobre (la prima borghese e la seconda comunista). 7 Secondo Stalin, l’Urss doveva raggiungere al più presto possibile la propria autonomia economica. Era necessario ristabilire i livelli produttivi dell’anteguerra e avviare una fase di sviluppo industriale in grado di allineare l’Urss alle maggiori potenze economiche capitalistiche. Il persistere dell’arretratezza industriale, secondo Stalin, avrebbe condannato l’Urss a morte certa; ecco perché egli impresse un’accelerazione potentissima all’industrializzazione. A partire dal 1928 l’economia sovietica venne integralmente pianificata dal Gosplan, una commissione governativa che stabiliva quali obiettivi di crescita darsi e quali opere realizzare nell’arco di cinque anni. Il sistema industriale russo, in modo particolare l’industria pesante e le infrastrutture che gli erano necessarie, conobbe uno sviluppo notevole. In particolare negli anni ’30, quando l’occidente si dibatteva nella crisi profondissima innescata dal giovedì nero di Wall Street, il modello d’industrializzazione sovietico sembrò essere vincente. La pianificazione economica favorì la burocratizzazione della vita politica e amministrativa. In questo nuovo contesto storico, la distinzione fra stato e partito, tra funzionari pubblici e dirigenti comunisti, si assottigliò progressivamente, fino a scomparire: il partito comunista si era fatto stato, non solo nel senso che aveva conquistato il potere, ma nel senso che si era organicamente compenetrato allo stato stesso. Dal punto di vista economico, Stalin si propose quindi l’obiettivo di superare la NEP, che come altri dirigenti del partito aveva guardato fin da subito con scetticismo, giudicandola un compromesso forse necessario, ma non per questo meno insidioso, e procedere all’industrializzazione forzata del paese, concentrando tutti gli sforzi nell’industria pesante. Occorreva dunque affrontare una questione cruciale: i kulaki. Bucharin considerava l’arricchimento dei contadini la condizione per l’industrializzazione. Stalin invece pensava che si dovesse procedere ad un trasferimento forzato di risorse dall’agricoltura all’industria, sottraendole alla classe dei kulaki. Nel 1928, Stalin decise di abolire la NEP e si riprendere la collettivizzazione forzata dell’agricoltura. Tra gli effetti disastrosi di questa politica anti-contadina vi fu una terribile carestia, che uccise 6 milioni di persone. Il regime non solo non intervenne per arginare la carestia, ma la usò politicamente per fiaccare la resistenza contadine e favorire i processi di urbanizzazione. Tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30, il vecchio mondo contadino subì una violenta trasformazione. Metà dei contadini sovietici si trovò inserita nelle aziende agricole di stato; l’altra metà si trasferì in città, divenendo forza-lavoro a basso costo per l’industria di stato. La repressione staliniana si scatenò ferocemente contro i kulaki, piegandone la resistenza; chi si opponeva, come gran parte di loro, finì in Siberia o davanti al plotone di esecuzione. La collettivizzazione, realizzata con mezzi coercitivi, non fu però un successo: la produttività dell’agricoltura sovietica crollò, e solo negli anni ’50 tornò agli indici immediatamente precedenti la prima guerra mondiale. L’eliminazione dei kulaki fu solo una tessera, sia pure tragica e impressionante nei numeri, del più complesso mosaico repressivo messo in atto da Stalin. La sua dittatura, infatti, assunse i connotati di una tirannia spietata. Il partito incoraggiò inoltre un vero e proprio culto della personalità, che fece di Stalin una sorta di figura semidivina. Si trattò di un’involuzione che indebolì lo stato sovietico. Tra il 1934 e il 1939 tutta la vecchia guardia bolscevica, gran parte degli ufficiali superiori dell’esercito, tutti i dirigenti della pianificazione industriale furono processati e condannati. 10 Il partito cattolico in Italia. Il partito cattolico italiano nasce nel 191, ad opera di don Luigi Sturzo, un sacerdote siciliano. Il rapporto fra lo stato italiano e la chiesa è caratterizzato da una forte conflittualità. Il papa dell’epoca rinascimentale era Pio IX, e nel 1864 aveva fatto un’enciclica chiamata “quanta cura”; suddetta enciclica conteneva il sillabo, ovvero una nota riguardante i partiti politici in cui il papa condannava tutti i principi del liberalismo politico (libertà di parola, associazione, stampa ed opinione). 1870: il papa proclama il primo Concilio vaticano. Dichiara l’infallibilità papale; vuol dire che quando il papa si esprime in materia di fede, è infallibile. Non c’era possibilità di critica e\o replica. Si andava contro al conciliarismo, corrente interna alla chiesa cattolica. Sosteneva che il potere del papa dovesse essere mitigato dai cardinali. Il secondo nemico della chiesa era ovviamente la scienza, dai tempi di Galileo. Nel 1870, Roma viene proclamata capitale dello stato italiano. Lo stato pontificio, fino a quel momento, possedeva anche il Lazio, quindi il papa era un vero e proprio regnante. Lo stato italiano avrebbe voluto prendere Roma per via diplomatica, ma Pio IX non ne voleva sapere e Roma viene conquistata con un’azione militare, la breccia di Porta Pia. Il papa si ritira e si ritiene prigioniero dello stato. . leggi delle guarentigie (garanzie): garantiscono totale libertà spirituale al papa ma il suo potere temporale cessa di esistere. Nel 1874 il papa proclama il “no expedit”, “no eletti no elettori”: i cattolici non potevano partecipare alla vita politica dello stato italiano poiché considerato un usurpatore. Nasce il movimento cattolico intransigente, che metteva al primo posto la fede verso il papa; aveva una sede specifica a Venezia, la sede dei Congressi. Il nuovo papa, Leone XIII, fece un’enciclica sul lavoro nella quale rifiutava i principi socialisti su marxismo, però diceva che i proprietari cattolici non dovevano sfruttare gli operai (enciclica rerum novarum). L’enciclica provoca disagio nel movimento cattolico perché era come se i cattolici ora avessero delle libertà politiche. Si forma la democrazia cristiana che all’inizio del ‘900 era diventata maggioritaria rispetto ai cattolici intransigenti; il papa Pio X scioglie tutto (1904). I rappresentanti della democrazia cristiana erano Sturzo e Murri. Parteciparono alla vita politica ma subordinati ai liberali, senza un loro partito politico (blocchi clerico-moderati). Sturzo era contrario a questi gruppi perché voleva un partito autonomo; nel 1919 ci riesce. Il partito doveva essere laico e aconfessionale. Il programma del partito non doveva essere condizionato dai dogmi della chiesa. Voto alle donne, introduzione del sistema proporzionale nelle elezioni. 11 La crisi dello stato liberale e l’avvento del fascismo in Italia. In Italia lo stato liberale si era tardivamente costituito nella seconda metà del XIX secolo. Lo stato italiano uscì seriamente indebolito dal conflitto e si mostrò incapace di corrispondere alle nuove esigenze della vita politica e sociale scaturite dalla guerra. Le classi dirigenti liberali non furono in grado di governare il processo di nazionalizzazione delle masse avviato con la prima grande guerra di massa della storia. Che la questione dei reduci di guerra fosse un problema delicato e potenzialmente esplosivo per lo stato italiano lo si comprese chiaramente solo quando il nazionalismo italiano tornò protagonista. I nazionalisti italiani confidavano che la partecipazione vittoriosa al conflitto avrebbe dischiuso all’Italia le porte dell’espansione coloniale. Si trattava di aspettative senza fondamento, di illusioni sproporzionate, che il patto di Londra non conteneva esplicitamente e che Inghilterra e Francia, a guerra finita, si guardarono dall’esaudire. A ciò si aggiunga che il ruolo determinante giocato dagli USA, entrati in guerra sull’onda dei 14 punti di Wilson, rendeva ancora più irrealistica qualsiasi ipotesi di imperialismo italiano. La parola d’ordine “vittoria mutilata” ispirò D’Annunzio nell’impresa di Fiume. Il Vate occupò militarmente la città istriana e ne proclamò l’annessione al regno d’Italia. L’impresa fiumana rappresentò un motivo di grande debolezza del governo Nitti, che D’Annunzio accusava di essere succube degli interessi delle potenze imperialiste. Nell’aprile del 1920 Nitti partecipò alla Conferenza di Sanremo, dove i rappresentanti di Inghilterra, Francia, Grecia, Belgio e Giappone affrontarono la questione della spartizione dei territori dell’ex imparo ottomano. La cosiddetta “linea Wilson” escludeva Fiume dalle richieste italiane. Nel giugno del 1920, Nitti rassegnò le dimissioni e Giolitti tornò in carica. Nell’ottobre del 1919, Giolitti aveva reso pubblico un manifesto incentrato su tre punti: - Restituire centralità al Parlamento - Promuovere un’azione parlamentare per far luce sugli aspetti più oscuri della gestione della guerra dal punto di vista politico ed economico - Risanare il bilancio pubblico. Il punto più controverso era il trasformismo: la formazione di maggioranze parlamentari flessibili che cambiavano a seconda delle circostanze, e la ricerca del dialogo con i cattolici e i socialisti fecero sì che alcuni vedessero nel giolittismo le tracce di un cedimento opportunista, dell’assenza dei principi, della prevalenza della tattica sulla strategia, della conservazione del potere a ogni costo, di una forma di degenerazione della politica in cui idee e progetti venivano sostituiti da accordi sotto banco, scambio politico e continui patteggiamenti. Il Regno d’Italia e il Regno dei serbi, croati e sloveni il 12 novembre 1920 firmarono il Trattato di Rapallo, con il quale completavano i trattati conclusivi della guerra, stabilendo consensualmente i confini dei due regni e le rispettive sovranità, nel rispetto reciproco dei principi di nazionalità e autodeterminazione dei popoli. Fiume fu dichiarata città libera. Il 25 dicembre 1920, l’esercito italiano intervenne militarmente e pose fine all’esperimento fiumano. Fu in questa temperie storica che nacque il fascismo. Nel marzo del 1919, in piazza San Sepolcro a Milano, Benito Mussoli, un ex dirigente socialista espulso dal partito nel 1914 per esserci schierato a favore dell’entrata in guerra dell’Italia, fondò i Fasci italiani di combattimento. 12 abitualmente non solo per la loro efficacia pratica, ma anche perché segnavano un discrimine tra la vecchia politica e la nuova, tra il parlamentarismo e lo spirito d’azione ereditato dalle trincee. Il fascismo divenne una forza nazionale quando si trasformò nel braccio armato degli agrari, cioè dei proprietari terrieri, che intendevano stroncare con ogni mezzo le lotte dei braccianti e le leghe contadine. Gli agrari riuscirono a coagulare attorno ai propri interessi un ampio fronte, ostile alle leghe bracciantili. Sorsero dunque le squadre d’azione, formate da giovani, da agrari, da piccoli borghesi e da veri e propri mercenari. Le squadre si macchiarono di crimini destinati a rimanere per lo più impuniti, poiché spesso godettero della protezione, quando non dell’aiuto diretto, delle autorità civili e militari. L’uso della violenza, che ben rifletteva la mentalità bellicista degli squadristi, si rivelò molto efficace nei confronti dei loro principali avversari, i socialisti, poiché mise in evidenza le contraddizioni del socialismo italiano che era solo apparentemente una forza unitaria e coesa. Le azioni squadriste inattese e violente avrebbero potuto quindi smantellare rapidamente l’intero movimento socialista, incapace per sua natura i dare una risposta nazionale alla sfida fascista. Fu quello che avvenne tra il 1921 e il 1922. A ciò si aggiunga che il socialismo italiano, dopo la rivoluzione d’ottobre e il fallimento del movimento dei consigli, era attraversato da un lacerante conflitto ideologico tra massimalisti e riformisti, ovvero tra i sostenitori di una prospettiva rivoluzionaria di stampo sovietico e i favorevoli a un accordo con la sinistra borghese. Il consolidamento della Russia sovietica, la nascita della Terza Internazionale e le difficoltà economiche del 1921 acuirono queste contraddizioni, portando a una doppia scissione del partito: a sinistra si staccò la componente rivoluzionaria guidata da Amedeo Bordiga e da Antonio Gramsci, che diede vita al Partito comunista d’Italia; a destra i riformisti, guidati da Giacomo Matteotti, che formarono il Partito socialista unitario. Nel 1921 il clima politico e sociale italiano era cambiato rispetto all’anno precedente: la sconfitta operaia, la crisi economica e le azioni squadristiche avevano fortemente indebolito i socialisti. Giolitti sciolse quindi anticipatamente le Camere e indisse nuove elezioni per il mese di maggio, con la speranza di rafforzare il centro liberale, anche stringendo accordi con i Fasci che, dopo l’esperienza pilota delle amministrative del 1920, furono inseriti nei “blocchi nazionali”. L’esito delle elezioni, però, non gli fu favorevole: i socialisti calarono, ma non crollarono, i popolari addirittura aumentarono. I fascisti entrarono per la prima volta in Parlamento con un manipolo di 35 deputati. Nel complesso, il centro liberale e democratico non sfondava. Il dibattito sulla fiducia al governo mostrò la debolezza di Giolitti che, infatti, il 27 giugno dello stesso anno rassegnò le dimissioni. La marcia su Roma e il fascismo verso la dittatura. Quando gli imprenditori agrari avevano deciso di utilizzare e finanziare gli squadristi per ricondurre all’ordine il movimento bracciantile, non avevano ipotizzato che lo “strumento” potesse sfuggire loro di mano, trasformandosi in attore autonomo della scena politica, non solo padana ma nazionale. In breve tempo, invece, gli squadristi avevano guadagnato sempre maggiore visibilità, trasformandosi da piccola formazione di ex combattenti, marginale nel dibattito pubblico, in un’organizzazione capace di controllare alcune importanti realtà locali. A Ferrara e a Cremona, per esempio, i fascisti erano divenuti dei veri e propri ras locali (gerarchi locali del partito fascista), in grado di esercitare un potere autonomo grazie al carisma conquistato nella lotta contro i comunisti. Mussolini guardava a questi fenomeni locali con preoccupazione perché capiva che il crescente prestigio dei ras poteva indebolire la sua leadership e, paradossalmente, ridimensionare la portata storica e 15 rivoluzionaria del fascismo, trasformandolo in una sorta di esercito mercenario al servizio delle classi agiate delle diverse città. Il dibattito che si aprì all’interno dei Fasci sulla proposta del nuovo capo del governo, Bonomi, di un “patto di pacificazione” tra socialisti e fascisti per far cessare violenze e intimidazioni, aggressioni e rappresaglie, fu la più chiara dimostrazione di come i timori di Mussolini fossero fondati: a fronte dell’apertura di Mussoli, che intendeva presentarsi agli occhi dell’opinione pubblica conservatrice come garante dell’ordine costituito, si andò infatti formando una sorta di opposizione interna composta dai dirigenti provinciali padani, che erano l’espressione più autentica del “fascismo agrario”. Alla firma del patto (2 agosto), i dirigenti respinsero la decisione e chiesero addirittura la convocazione di un congresso nazionale, sfidando l’autorità di Mussolini. A quel punto, egli si dimise dalla commissione esecutiva. Mussolini decisa di forzare la mano, costringendo i suoi avversari interni a uscire allo scoperto. Per farlo mise all’ordine del giorno la trasformazione dei Fasci in Partito nazionale fascista; ciò gli avrebbe consentito di richiamare alla disciplina le diverse anime del fascismo, da quella più rivoluzionaria a quella più apertamente reazionaria, i ras dissidenti non se la sentirono di combattere a viso aperto il patto proposto dal governo; si trattò però di un’accettazione formale, poiché le violenze squadriste tra l’estate e l’autunno non cessarono e, anzi, aumentarono, e le autorità non fecero nulla per fermarle. Il Pnf, nato ufficialmente nel novembre del 1921, definì una piattaforma ideologica autoritaria e antisocialista. Il programma prevedeva l’abbandono della pregiudiziale repubblicana (scelta di principio a favore della forma repubblicana dello stato), la riduzione dei poteri dei Parlamento, l’instaurazione di uno stato forte, l’abolizione del diritto di sciopero nei servizi pubblici e la privatizzazione dei servizi di pubblica utilità (telefoni, poste). In questa fase della lotta politica a Mussolini serviva una strutta politica efficace, che rispettasse la sua autorità e fosse disposta ad accettare una tattica spregiudicata e mutevole a seconda delle circostanze, che di volta in volta potevano esigere l’uso della violenza squadrista, oppure consigliare il dialogo con l’avversario. Serviva un’organizzazione di massa, radicata sul territorio, con un’ideologia di riferimento salda: un partito, insomma. Il 1922 fu l’anno chiave nell’ascesa del fascismo alla conquista del potere. Mussolini si mostrò sempre più insofferente nei riguardi di una strategia elettoralista dai tempi lunghi e dagli esiti incerti: il movimento socialista avrebbe potuto riprendersi e organizzare una resistenza agguerrita, vanificando gli sforzi dei mesi precedenti e sbaragliando l’organizzazione fascista, ancora fragile in gran parte del paese. Il primo agosto 1922 la Confederazione generale del lavoro proclamò uno sciopero generale; dopo un’estate di scontri e conflitti Mussolini decise di imprimere un’accelerazione alla crisi dello stato liberale e fece convergere sulla capitale le sue camicie nere armate, con un duplice obiettivo: - Mostrare ai dirigenti socialisti e sindacali la forza del fascismo, determinato a non permettere un ritorno al clima esasperato del biennio roso - Esercitare una pressione sul re Vittorio Emanuele III perché incaricasse Mussolini di formare un nuovo governo. Il 28 ottobre 1922 migliaia di camicie nere marciarono verso Roma, e percorsero le vie della capitale con le armi in pugno. Mussolini non partecipò alla marcia perché non era chiaro quale reazione avrebbero avuto il re e il governo Facta. Quando si rese conto che le milizie fasciste avevano invaso liberamente la città e che, dunque, il colpo di stato avrebbe avuto successo, Mussolini velocemente raggiunse la capitale. Il re Vittorio Emanuele III avrebbe avuto a disposizione la forza sufficiente per sciogliere la sedizione, ma si illuse che una tattica conciliante e cedevole nei confronti di Mussolini e delle sue 16 ambizioni avrebbe indotto quest’ultimo alla ragionevolezza. Il 30 ottobre, quindi, Vittorio Emanuele III diede a Mussolini l’incarico di formare un nuovo governo. Le prime parole che pronunciò Mussolini di fronte alla Camera come presidente del Consiglio segnarono una netta rottura con la prassi liberale. Ai fascisti più intransigenti, Mussolini assicurava che la conquista del potere non avrebbe snaturato il movimento. Il primo elemento che risalta nel suo discorso del “bivacco” è l’esplicita e, anzi, addirittura esibita libertà di movimento rivendicata per sé e per il fascismo: non vi è prassi, né regola, né morale che possa imbrigliare la volontà del fascismo. Il primo governo Mussolini fu un governo di coalizione. Nel 1922 Mussolini non era ancora abbastanza forte per imporre un regime a partito unico; il composito e articolato fronte moderato cercava sì un uomo in grado di restaurare l’ordine borghese-capitalistico insidiato dal conflitto sociale e politico dilagante, ma non sembrava ancora disposto a rinunciare alla forma dello stato liberale, alle sue istituzioni e alle sue procedure. A Mussolini serviva tempo, durante il quale consolidare il potere fascista, insediando nei ruoli di responsabilità della pubblica amministrazione e della pubblica sicurezza camerati (appellativo con cui i fascisti si chiamavano fra loro) fedeli, inasprendo la censura e, soprattutto, screditando e delegittimando il Parlamento. Quel che ne venne fuori fu uno stato fortemente autoritario. In continuità con lo squadrismo delle origini, la violenza fascista non si attenuò affatto: la drastica riduzione delle ore di sciopero, per esempio, fu l’effetto di un’ampia azione intimidatoria che colpì dirigenti sindacali e semplici iscritti socialisti e liberali. Nel 1923 il cattolico don Minzoni e nel 1926 il liberale Giovanni Amendola, eminenti personalità del fronte opposto al fascismo, furono barbaramente trucidati dalle squadracce fasciste. La violenza squadrista non era solo un’arma estrema da impiegare nella lotta contro il bolscevismo, ma si era trasformata in uno strumento politico “normale” per spegnere ogni pensiero critico, ogni voce libera. Il primo governo Mussolini si caratterizzò per un programma di restaurazione capitalistica e di stabilizzazione sociale. Sul piano economico, il governo ridusse la spesa pubblica, defiscalizzò i redditi azionari, abolì la tassa sui sovraprofitti di guerra, introdusse imposte sul reddito di operai e contadini, aumentò le imposte indirette. Nonostante il proposito di smantellare quanto rimaneva dell’interventismo statale in economia, Mussolini diede prova del consueto pragmatismo quando, nel 1923, impiegò capitali pubblici per evitare il fallimento del Banco di Roma, guadagnandosi così la simpatica degli ambienti finanziari e di quelli cattolici, ai quali la banca era vicina. Sul piano sociale, la riforma più importante e duratura fu quella della scuola. A elaborarla fu Giovanni Gentile, prestigioso filosofo idealista e fascista che fu ministro dell’Istruzione. Alla base della riforma vi era la netta separazione tra la cultura umanistica e la cultura tecnico-scientifica, riflesso di una cultura idealistica ed elitaria, che considerava le scienze dello spirito indispensabili alla formazione delle classi dirigenti, e le scienze della natura e quelle applicate come corollario delle funzioni esecutive. Il primo fascismo diede quindi vita certamente ad uno stato autoritario, ma non era ancora una dittatura. Mussolini infatti continuava a muoversi nel solco dello statuto albertino del 1848, mentre la coabitazione nel governo con le altre forze lo costringeva a continue mediazioni. La cornice politico-istituzionale entro cui si erano affermati i grandi partiti di massa rappresentava un ostacolo al disegno mussoliniano di dar vita ad un regime di tipo nuovo, che superasse il parlamentarismo liberale. Per questo motivo, Mussolini spinse per una riforma profonda della 17 La crisi innescò acute tensioni sociali, che sfociarono nella proclamazione di scioperi generali o nello scoppio di disordini a carattere sociale. Gli USA erano usciti enormemente rafforzati dalla guerra dal punto di vista economico. La crisi che ora li colpiva dunque non poteva rimanere una crisi locale, ma era destinata a propagarsi in tutto il mondo proprio per la centralità occupata dall’economia statunitense negli equilibri globali. La sempre più stretta interdipendenza dei mercati finanziari mondiali, accresciuta nel dopo guerra dal peso strategico che i prestiti americani avevano giocati nella ripresa economica della Germania, fece sì che la crisi di Wall Street giungesse rapidamente in tutta Europa, provocando il fallimento di molte grandi banche. Negli USA prese avvio la più complessa ed efficace risposta a questa crisi, una risposta incentrata sul ruolo dello stato nella vita economica. L’interprete di questa svolta fu il presidente democratico Roosevelt, che propose agli americani un “nuovo corso” (New Deal), un programma civile e ideale finalizzato non solo a ridare ossigeno all’economia, ma a restituire al paese la fiducia nel futuro. Roosevelt smontò la tesi che per uscire dalla crisi ci si dovesse nuovamente affidare alla “mano invisibile” del mercato, perché era stato proprio il mercato, abbandonato a sé stesso, a determinare le condizioni per lo scoppio di questa crisi. Forte di questa convinzione, il presidente batté due strade. - Promosse una massiccia e articolata iniziativa statale, per quanto riguarda sia gli investimenti pubblici, sia la regolazione del mercato e del sistema bancario. La costituzione della Tennessee Valley Authority, un ente pubblico che si assunse l’onere della gestione nazionale delle risorse idriche nel Sud del paese, fornì nel contempo opportunità di sviluppo e occasioni di lavoro a migliaia di disoccupati. - Intervenne largamente nel campo della legislazione sociale, assicurando ai lavoratori americani pensioni e indennità di disoccupazione dì e di malattia. Il nazismo. Il primo dopoguerra fu molto duro per la Germania. L’embargo imposto dalle potenze dell’Intesa continuò anche a guerra conclusa, e a farne le spese fu la popolazione civile, che dovette affrontare addirittura la fame e la carestia. La pace di Versailles ebbe un carattere esplicitamente punitivo, addebitando alla Germania la responsabilità della guerra. Una gravissima crisi economica e sociale si abbatté sul paese e quando, la Germania non fu più in grado di pagare alla Francia le somme dovute come risarcimento dei danni di guerra, i francesi reagirono occupando l’importante bacino carbonifero tedesco della Ruhr. In questo clima di forte malcontento civile, il capro espiatorio della crisi tedesca diventarono gli ebrei. La “congiura ebraica” divenne così la chiave per spiegare ogni sciagura, ogni disfatta tedesca: di fronte ad una crisi di civiltà, che metteva in discussione le fondamenta spirituali e materiali della convivenza civile, le cui cause sfuggivano alla comprensione dell’uomo comune, additare l’ebreo come colpevole risultava comodo e di sicura presa. Era una spiegazione che non imponeva l’onere della prova, era facile da capire, non richiedeva strumenti culturali o intellettuali sofisticati. 20 Adolf Hitler, austriaco di nascita, dopo la guerra aveva aderito al Partito tedesco dei lavoratori che nel 1920, sotto la sua guida, si trasformò in Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi, il partito nazista di cui Hitler divenne capo incontrastato. Egli era convinto che la Germania avesse perduto la guerra a causa di un complotto dei socialisti e dei democratici legati ai “circoli ebraici”. Con queste idee, nel 1923 organizzò un colpo di stato in Baviera, ma il tentativo di replicare la marcia su Roma fallì e Hitler venne arrestato. Durante la prigionia, scrisse il Mein Kampf, in cui esponeva le sue convinzioni e il suo programma politico, basato essenzialmente su tre capisaldi: - La responsabilità della sconfitta tedesca nella prima guerra mondiale era degli ebrei, una razza inferiore che complottava contro la razza superiore, gli ariani - I tedeschi erano destinati a dominare il mondo, ma per riuscirci dovevano innanzitutto liberarsi degli ebrei e dei loro alleati - Una volta scrollatasi di dosso i suoi nemici, la Germania avrebbe conquistato il suo spazio vitale recuperando i territori che aveva dovuto cedere con l’ingiusta pace di Versailles. Tra il luglio e il novembre del 1932, il partito nazionalsocialista divenne il protagonista assoluto della vita politica tedesca: in luglio conquistò il 33,1% dei voti, divenendo il primo partito del paese, ma senza riuscire a conquistare la maggioranza parlamentare poiché il 21,9% dei socialdemocratici e il 14,6% dei comunisti bilanciavano a sinistra il suo risultato. Le elezioni di novembre confermarono, e anzi radicalizzarono, la polarizzazione del quadro politico tedesco: i nazisti incrementarono ulteriormente il successo di luglio; a sinistra continuò l’ascesa dei socialdemocratici, mentre il centro cattolico rimaneva stabile e impotente. Questa volta il presidente Hindenburg nominò Hitler cancelliere (cioè capo del governo); era il 30 gennaio 1933. Il primo governo Hitler, come accadeva in Italia nel 1922 con il primo governo Mussolini, era un governo di coalizione che comprendeva, oltre al partito nazista, altri partiti nazionalisti e conservatori. La storia sembrava ripetersi: anche nel caso di Hitler, infatti, le forze di centro e di destra lo appoggiarono pensando di poterlo controllare. Hitler, invece, iniziò subito ad agire in modo radicale, scardinando le regole del vecchio sistema politico e introducendo una nuova prassi. Il 27 febbraio il Reichstag, sede del Parlamento, venne distrutto da un incendio; Hitler addossò la responsabilità ai comunisti e ne approfittò per abolire le garanzie costituzionali, mettere fuori legge i partiti d’opposizione, censurare la stampa, abolire i sindacati. A un mese dalla sua nomina a cancelliere, il panorama politico della Germania era completamente mutato. Hitler conquistò il governo attraverso procedure formalmente democratiche e, una volta giunto al potere, si preoccupò subito di abolire tutti gli spazi di libertà e ogni possibilità di discussione. Anche per Hitler lo stato doveva essere totalitario. I suoi cittadini dovevano obbedire senza discutere per consentire la realizzazione della missione del popolo tedesco, che era quella di ampliare il suo spazio vitale e governare il mondo in quanto popolo dominatore. Nel 1935 il varo della legislazione antisemita (le Leggi di Norimberga), chiarì drammaticamente quale condotta il regime intendesse adottare mei confronti degli ebrei tedeschi. Agli ebrei fu proibito tutto: avere proprietà, lavorare, sposarsi, abitare in case di proprietà di non ebrei. Con il passare degli anni la legislazione si fece sempre più minuziosa. Questa costante e spietata aggressione fisica e giuridica alla comunità ebraica tedesca venne realizzata con l’obiettivo di sradicare gli ebrei e la loro cultura dalla società tedesca. 21 Negli anni Trenta i regimi totalitari di destra e di sinistra furono i primi a utilizzare con grande spregiudicatezza il cinema e i giornali per veicolare le loro idee e per costruire attorno a sé un vasto consenso. Nessun governo aveva mai organizzato campagne propagandistiche per convincere i cittadini della bontà dei provvedimenti che assumeva. Furono i regimi totalitari degli anni Trena a introdurre questa pratica: i giornali e le radio, infatti, non solo potevano essere messi a tacere con la censura, ma potevano anche essere costretti a comunicare quel che il potere desiderava. Hitler cominciò una martellante propaganda incentrata sulle parole d’ordine semplici, comprensibili a tutti. Seguendo il modello fascista italiano, il nazismo investì molte risorse nella formazione della gioventù, dando vita alla gioventù hitleriana, un’organizzazione finalizzata a indottrinare i ragazzi sin dalla scuola materna. Questa opera di controllo sociale e di indottrinamento andò naturalmente di pari passo con la repressione violenta di tutte le forme di opposizione al regime. Il regime nazista consolidò le proprie basi e conquistò larghi consensi nell’opinione pubblica tedesca anche perché riuscì a imprimere una forte ripresa all’economia. Al centro della politica economica nazista vi fu la saldatura organica tra regime nazista e interessi del grande capitale, che aveva visto con grande favore l’annientamento dell’opposizione politica e sindacale della sinistra socialdemocratica e comunista. Hitler, violando apertamente il trattato di pace, avviò una politica al riarmo finalizzata a un duplice obiettivo: restituire alla Germania la dignità politica e militare che le potenze vincitrici le avevano sottratto e favorire le grandi industrie meccaniche e siderurgiche e, in generale, quelle che fornivano equipaggiamento all’esercito, le quali cominciarono a lavorare a pieno regime. Il regime diede un forte impulso alla costruzione di opere pubbliche, che migliorò l’efficienza del sistema e contribuì a diminuire la disoccupazione. L’idea che la Germania dovesse espandersi in altri territori ha sempre fatto parte del programma politico di Hitler. La grande nazione tedesca aveva dunque per Hitler il diritto di espandersi e di riunire tutti i tedeschi che ancora vivevano in stati stranieri in una sola grande Germania. La priorità assoluta, a tale riguardo, consisteva nel recuperare le terre perdute con il primo conflitto mondiale. Il 1933 non è solo l’anno in cui Hitler viene nominato da Hindenburg cancelliere, ma è anche, e soprattutto, l’anno di apertura dei primi lager. I totalitarismi: il fascismo come totalitarismo imperfetto. Si tratta di un sistema politico diverso dalle precedenti dittature; si caratterizza perché ci troviamo davanti ad uno stato capace di condizionare le masse (Hannah Arendt). Il termine “totalitarismo” non fu accettato subito. Si tratta di mettere sullo stesso piano comunismo, nazismo e fascismo; la storiografia marxista ha fatto molta resistenza perché non si poteva equiparare comunismo e fascismo. Tuttavia, il termine risulta ora essere quasi totalmente accettato. “Le origini del totalitarismo”, Arendt, USA 1951. Fu tradotto in italiano solo nel 1967 La Arendt individua delle caratteristiche comuni nei regimi totalitari (è necessaria una società di massa per avere tale regime) - Ideologia onnicomprensiva e finalistica. La personalità di un uomo viene assorbita in un’ideologia. - Partito unico di massa, guidato da un dittatore. 22 Concessioni alla Germania. La guerra civile spagnola rappresentò, per la Germania, una sorta di prova tecnica del potenziale bellico raggiunto dalle proprie forze armate, specialmente dall’aviazione. Contestualmente al consumarsi della tragedia spagnola, la Germania procedette speditamente sulla via dell’espansione territoriale e delle annessioni delle terre “tedesche”. Hitler mise a tiro la Cecoslovacchia, dove viveva una nutrita minoranza germanofona che i nazisti volevano integrare nel Reich. Francia e Inghilterra continuarono a ignorare i fatti, confidando in una soluzione politico- diplomatica e illudendosi in tal modo di soddisfare le pretese tedesche. La Francia era il paese più esposto, perché le rivendicazioni tedesche in Alsazia e Lorena mettevano a rischio i suoi stessi confini orientali, eppure la diplomazia francese non era persuasa che Hitler volesse davvero giungere fino alla guerra. La recente costruzione di una modernissima linea fortificata dalla Svizzera al Lussemburgo, la cosiddetta linea Maginot, rappresentava una rassicurazione sufficiente. Anche l’Inghilterra confidava nel fatto che una politica di concessioni (la politica dell’appeasement) potesse soddisfare gli appetiti espansionistici hitleriani. La strategia dell’appeasement raggiunse il suo apice con la conferenza di Monaco del 1938. Si trattò dell’estremo sforzo di evitare la guerra attraverso le concessioni. La decisione più importante fu quella di concedere ad Hitler il territorio dei Sudeti, una ragione della Cecoslovacchia a forte maggioranza tedesca, occupata militarmente poche settimane prima dai soldati nazisti. Si trattò di un’illusione dalle conseguenze tragiche: la conferenza di Monaco, infatti, non solo non placò le rivendicazioni tedesche, ma convinse definitivamente Hitler della debolezza di Francia e Inghilterra e del fatto che avrebbe avuto le mani libere per condurre a termine la sua conquista dello “spazio vitale”. Pochi mesi dopo infatti, nel marzo del 1939, la Germania invase tutta la Cecoslovacchia, instaurando un protettorato. In Spagna, la vittoria di Franco rappresentava una pagina importante, perché spostava gli equilibri europei a favore delle forze nazifasciste e neutralizzava un possibile fronte militare. L’economia tedesca, inoltre, grazie alla politica del riarmo e alla pace sociale imposta con la violenza stava attraversando una fase di crescita impetuosa. La guerra era l’obiettivo di Hitler. A tal fine, nella seconda metà degli anni trenta, predispose un sistema di alleanze in grado di garantire alla Germania una valida copertura militare. Nel 1936 Italia, Germania e Giappone firmarono un patto, in funzione antisovietica, e sempre nello stesso anno si strinse l’asse Roma- Berlino, alleanza ufficiale fra fascismo e nazismo. Nel maggio del 1939, Germania e Italia firmarono il patto d’acciaio, con cui le due nazioni s’impegnavano a darsi reciproco appoggio in caso di guerra. In seguito, nel settembre del 1940, il patto si sarebbe esteso anche al Giappone. Agosto 1939: patto Molotov-Ribbentrop fra Germania e Russia. I due si impegnavano a non combattersi. 25 Italia. L’Italia, firmando il patto d’acciaio, era pienamente consapevole del fatto che Hitler voleva la guerra per costruire un nuovo ordine mondiale, ma Mussolini e i suoi collaboratori erano convinti che il conflitto sarebbe scoppiato più tardi. L’industria bellica italiana non aveva ancora raggiunto i livelli di produzione necessari per sostenere un impegno militare prolungato. Inoltre la popolazione era ostile all’idea di impegnarsi in una nuova guerra. Alleandosi con una potenza emergente, anche l’Italia si sarebbe avvantaggiata e imposta come grande potenza, in caso di vittoria nel 1935 il Duce aveva fatto la sua prima mossa: le truppe italiane invasero l’Etiopia. Dopo mesi di pesanti combattimenti, nel maggio del 1936 Mussolini aveva finalmente annunciato la vittoria e la costituzione dell’impero dell’Africa orientale italiana. La Società delle Nazioni condannò l’Italia e impose delle sanzioni economiche. Maggio 1939: l’Albania veniva ammessa all’impero italiano. Leggi razziali. Proposte dal governo nel 1938 e accettate senza riserve dal re. Gli ebrei non poterono più votare, accedere alle scuole del regno italiano e insegnarvi, prestare servizio militare, lavorare in enti pubblici, sposare e frequentare non ebrei e avere personale di servizio ariano. Seconda guerra mondiale. La seconda guerra mondiale inizia il 1° settembre del 1939 quando la Germania invase la Polonia e due giorni dopo, il 3 settembre 1939, Francia e Gran Bretagna, dichiararono guerra alla Germania segnando l'inizio della Seconda Guerra Mondiale, ma il 23 Giugno del 1940 la Francia si arrese. Pochi giorni prima, il 10 Giugno, fu la volta dell'Italia che dichiarò guerra alla Francia e Gran Bretagna poiché Mussolini era convinto che la guerra stesse per finire con la vittoria di Hitler, ma egli, allo stesso tempo, commise un grave errore sottovalutando la potenza della Gran Bretagna e non tenendo conto della possibilità che gli Stati Uniti entrassero in guerra. Per questo, il 7 Dicembre del 1941 un evento causò una svolta decisiva nella guerra: il Giappone attaccò e distrusse metà flotta degli Stati Uniti, dando luogo a quello che gli storici definiscono come Guerra Totale che coinvolse gran parte della popolazione civile. La guerra continuò per due anni fino al 25 Luglio del 1943 quando, il gran consiglio del fascismo, votò la sfiducia a Mussolini e il nuovo ministro in Sicilia firmò l'armistizio con gli alleati che venne reso noto l'8 settembre. I Tedeschi occuparono l'Italia Centrale e settentrionale e successivamente liberarono Mussolini, precisamente il 12 settembre. Hitler consentì al Duce di fondare la Repubblica Sociale Italiana a Salò, sul lago di Garda. L'Italia si vide divisa in due: - Il centro settentrionale governato dalla Repubblica di Salò. - Il sud occupato dal Regno D'Italia. La resa del Giappone si ebbe quando due bombe atomiche, utilizzate per la prima volta dagli Americani, distrussero la città di Hiroshima e Nagasaki firmando la sua resa il 2 settembre 1945. 26 La resistenza in Italia. L’ 8 settembre 1943 fu dato l’annuncio dell’armistizio che l’Italia aveva concluso con gli Anglo- Americani, anche se nessuno si preoccupò di chiarire come i soldati dovessero comportarsi nei confronti dei vecchi alleati tedeschi. Infatti i soldati erano disorientati: molti fuggirono, molti si nascosero sulle montagne. I Tedeschi catturarono tanti militari “allo sbando”, inviandoli nei campi di prigionia in Germania. Alla fine del 1943, il paese era diviso in 2: - il Centro-Nord era governato dalla Repubblica di Salò fondata da Mussolini; - il Sud e parte del Centro continuavano ad essere sotto il Regno d’Italia, appoggiato dagli alleati. A quel punto la situazione dell’Italia divenne drammatica; pertanto doveva compiere una scelta di politica, se dichiarare guerra alla Germania o meno. Iniziò così la resistenza. Tra il settembre e il dicembre 1943 diversi partigiani entrarono in azione al Centro e al Nord e ingaggiarono scontri con i Tedeschi. Agivano con sabotaggi, azioni di disturbo, attentati a cui i Tedeschi risposero con rappresaglie, come accadde a Boves, dove il 19 settembre 1943 i Tedeschi distrussero il paese. I gruppi di partigiani più importanti erano le Brigate Garibaldi, le Brigate Matteotti, le Brigate del Popolo, ecc. Nel 1943 a Roma di costituì il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) che cercò soprattutto di coordinare l’azione dei partigiani. Gli esponenti del CLN erano suddivisi in base alle sorti della monarchia italiana; infatti nel marzo 1944, il segretario del Partito comunista Palmiro Togliatti dichiarò in un discorso a Salerno in cui affermava che bisognava riunire tutte le forze per liberare l’Italia dai Nazisti. Questa proposta di Togliatti venne chiama svolta di Salerno. Nel giugno 1944 Roma venne liberata dagli Alleati. Badoglio si dimise e l’incarico di formare un governo venne affidato a Ivanoe Bonomi. Gli obiettivi da raggiungere per Bonomi erano: - defascistizzazione dello Stato; - l’aiuto ai resistenti del Nord; - acquisizione della massima autonomia possibile dalla amministrazione degli Alleati. I partigiani acquisirono il controllo di diverse zone del paese, mentre altre venivano liberate dagli alleati. Le rappresaglie tedesche continuavano: le stragi più gravi furono quelle di Marzabotto e delle Fosse Ardeatine. Nell’inverno 1944-45 gli Alleati invitarono i partigiani a sospendere le operazioni contro i Tedeschi. I partigiani non obbedirono e la situazione si fece difficile. Nella primavera del 1945 gli Alleati ripresero l’offensiva e aumentarono i rifornimenti ai partigiani. A metà aprile gli Anglo-Americani sfondarono la linea gotica e liberarono a una a una le grandi città del nord. Mussolini cercò di fuggire in Svizzera ma il 28 aprile venne catturato e fucilato. 27
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