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Riassunto Storia Contemporanea manuale, Sintesi del corso di Storia Contemporanea

Riassunto del manuale di Storia Contemporanea Detti Gozzini

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Riassunto Storia Contemporanea manuale e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! STORIA CONTEMPORANEA CAPITOLO 1 PRIMA GUERRA MONDIALE - RISCHIO 1914 - La prima guerra mondiale ebbe degli effetti e delle proporzioni tali, da segnare uno spartiacque tra due epoche storiche. Coinvolse anche stati extraeuropei importanti rendendo la dimensione del conflitto mondiale. Eserciti così grandi non si erano mai visti e il loro potenziale distruttivo era accresciuto dal massiccio uso bellico delle nuove tecnologie e degli apparati industriali. A livello di effetti in primo luogo si verificò la scomparsa di quattro imperi: russo, tedesco, austro-ungarico ed ottomano, poi la pace punitiva alla Germania alimentò le forze nazionaliste tra le quali si sarebbe affermato il partito di Hitler. E infine da questo conflitto trassero un forte impulso i movimenti di liberazione dei popoli coloniali: per cui culminato nell'epoca dell'imperialismo, il “lungo Ottocento” terminava nel 1914. Della portata di questi sconvolgimenti però i contemporanei non potevano essere consapevoli e nessuno avrebbe immaginato quale reazione a catena sarebbe stata avviata dal fatto per eccellenza che scatenò il conflitto mondiale: l'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando, erede del trono d'Austria-Ungheria, che il 28 giugno 1914 rimase vittima di un attentato terroristico a Sarajevo, capitale della Bosnia. Il gesto fu opera di un gruppo di irredentista slavo e l’Austria reagì dando per certa la corresponsabilità della Serbia (mai dimostrata). La Serbia peraltro era considerata un punto di riferimento per il nazionalismo slavo nei Balcani e per questo era considerata un pericolo molto grande per l'Impero, oltre al fatto che aveva ottenuto importanti conquiste territoriali. Ottenuto l'appoggio della Germania, il 23 luglio l’Austria consegnò a Belgrado un ultimatum con la richiesta di una serie di misure per far cessare ogni attività antiaustriaca. Il documento esigeva una risposta entro 48 ore e pretendeva che rappresentanti austriaci partecipassero all'inchiesta sull'attentato: accettando, la Serbia avrebbe rinunciato alla propria sovranità e infatti su questo punto la sua replica fu negativa. Il 28 luglio l’Austria dichiarò guerra alla Serbia. A questo punto entrarono in gioco meccanismi di alleanze a dividere l’intero continente europeo. La Russia, che sosteneva la Serbia in nome della comune religione ortodossa e in funzione delle sue mire egemoniche sui Balcani. Fulminea fu la controreazione della Germania: prima chiese alla Russia di smobilitare e poi alla Francia di mantenere la neutralità, trovando entrambe risposte negative, dichiarò guerra a entrambe. Infine il 4 agosto invase il neutrale Belgio, che non voleva far attraversare il proprio territorio dalle sue truppe, come prevedevano i piani militari tedeschi. A fianco della Francia e del Belgio scese in campo la Gran Bretagna. Benché si fosse dichiarata neutrale l'Italia, che apparteneva alla Triplice Alleanza, il conflitto era generalizzato. Il 23 agosto il Giappone mosse guerra alla Germania per contrastarne le posizioni in Estremo Oriente e a ottobre, sul fronte opposto fu il turno della Turchia. Il trattato di pace del 1919 individuò nell’aggressione tedesca la causa della guerra e anche analisi successive assegnarono le maggiori responsabilità all'Austria e più ancora alla Germania che le garantì un appoggio incondizionato e prese l'iniziativa. Cercando di imporre alla Russia e alla Serbia la propria volontà, gli imperi centrali svilupparono una politica coercitiva che implicava la possibilità di una guerra e condussero tale strategia alle estreme conseguenze. Opponendovisi con altrettanta decisione, Russia e Francia stettero d'altronde al gioco, accettando il rischio di un conflitto. La via del negoziato fu battuta solo dalla Gran Bretagna, ma il suo tentativo fu incerto e si scontrò con l’intransigenza degli altri stati. Le tensioni erano accentuate da due fattori: l'esaurirsi della corsa alle colonie e il crescente bipolarismo del sistema delle alleanze basato sulla Triplice Alleanza (Austria, Germania e Italia) e sulla Triplice Intesa (Inghilterra, Francia e Russia). Altra particolarità della “grande guerra” fu il fatto che tutti gli stati agivano in base a dottrine militari e piani strategici offensivi, fondati sul concetto di guerra di movimento, non più efficace in quegli anni. A complicare ancora le cose era l'incongruenza delle posizioni dei vari paesi: la politica di potenza perseguita dalla Germania aspirava alla conquista di un'egemonia continentale inaccettabile per l'Inghilterra; la politica francese si consumava attorno al tema della revanche sulla sconfitta del 1870. Mentre le tensioni fra gli altri stati si collocavano su una scala regionale più ridotta: l’Austria aspirava a salvaguardare l'integrità del suo impero, la Russia a espandersi verso Costantinopoli. - UNA GUERRA NUOVA - Il caso più noto di disposizione strategico-militare offensiva era il cosiddetto “piano Schlieffen”, il quale prevedeva una veloce campagna risolutiva contro la Francia da parte della Germania, che richiedeva di attraversare il Belgio. Quel piano influì sulla crisi prefigurando un preciso tipo di guerra, dando al potere politico tedesco la misura del rischio e accelerando le sue decisioni. Nonostante alcuni successi iniziali però l'offensiva della Germania verso occidente non conseguì gli effetti sperati e venne arrestata dagli anglo-francesi sul fiume Marna. A uscire sconfitta da quella battaglia fu l'idea di una campagna-lampo di annientamento, vanificata dalle tecnologie e dalle dimensioni degli eserciti in campo. A Natale i contendenti erano già bloccati sulla linea di trincee e reticolati che univa la Manica alla Svizzera. Sorte non diversa era toccata agli attacchi dei russi sul fronte orientale e anche l'esito di una spedizione inglese nei Dardanelli risultò fallimentare. Alla fine del 1914 la guerra era già divenuta una guerra di posizione. Le battaglie seguenti riproposero con poche varianti le stesse dinamiche. Nel 1915 le operazioni volsero a favore della Triplice nei Balcani e sul fronte orientale, dove i russi dovettero ritirarsi. Nel 1916 cinque mesi di assalti non permisero alla Germania di espugnare Verdun; poi furono francesi e inglesi a uscire vittoriosi dal campo della Somme. Intanto nel 1915-17 l'Italia (intervenuta a fianco dell’Intesa) impegnava con modesti risultati gli austriaci in ben 11 battaglie sul fiume Isonzo. La serie fu interrotta nel 1916 da una “spedizione punitiva” avversaria che venne fermata a fatica. Un nuovo sfondamento delle linee italiane a Caporetto (ottobre 1917) fu arginato sul fiume Piave dopo che erano fallite due campagne franco-inglesi in Aisne e nelle Fiandre. Nel 1918 l’ultima offensiva tedesca sul fronte occidentale venne infine fermata sulla Marna e si sviluppò il contrattacco dell'Intesa, culminato in agosto ad Amiens. Queste battaglie mostrano alcuni tratti comuni dovuto all'equilibrio militare delle parti: infatti i fronti rimasero per lo più immobili per tutta la durata della guerra. Nonostante alcune operazioni diversive (es inglesi conquistano Bagdad e Gerusalemme), una strategia fortemente improntata sull'attacco frontale fece bruciare enormi energie in scontri tanto sanguinosi, quanto poco risolutivi. Quella del 1914-18 fu insomma una guerra di logoramento. La guerra aprì una lacerazione anche all’interno delle istituzioni religiose. Le prime parole del pontefice Benedetto XV nel 1914 furono di condanna del conflitto, ma in tutte le nazioni europee una parte assai considerevole delle gerarchie ecclesiastiche portò l'adesione alla guerra del papa. Bollati come disfattisti, gli oppositori rimasero dapprima isolati, ma via via che la guerra scopriva il suo volto il “fronte interno” si accese di contrasti. A partire dal 1916 il malessere dei lavoratori esplose in imponenti manifestazioni in Germania, Francia e Italia. Nel 1918 una nuova e più forte ondata di agitazioni investì Lione, Parigi e tutta l'Austria, per culminare in Germania in uno sciopero generale. Accanto alle organizzate rivolte operaie si moltiplicarono anche le proteste spontanee. Alla repulsione popolare tornò a dar voce lo stesso pontefice. Con il tempo anche tra gli intellettuali si estese il disgusto verso la guerra. D'altro canto furono moltissimi i socialisti e cristiani, gli uomini di cultura e le persone comuni che continuarono a sostenere il conflitto o almeno ad accettarlo. - L'ITALIA IN GUERRA - Lo scoppio del conflitto colse l'Italia in una delicata fase di transizione. La crisi del sistema giolittiano aperta dalla guerra in Libia e dal suffragio universale maschile aveva diviso la classe dirigente liberale, inoltre forti interessi economico-finanziari premevano per una politica espansionistica. Nel 1914 in Romagna e nelle Marche divampò una rivolta popolare: la “settimana rossa”, espressione di uno spirito di ribellione alle autorità e le pressioni che suscitò si accorparono a quelle dovute all'ascesa della conflittualità operaia. In questo contesto la neutralità, subito proclamata dall'Italia nonostante appartenesse alla Triplice Alleanza, fu l'esito scontato delle incertezze del paese. Idealità risorgimentali e volontà di sconfiggere negli imperi centrali l'autoritarismo e il militarismo muovevano gli “interventisti democratici”, come altri gruppi di sinistra del fronte interventista essi rimasero subalterni alla politica imperialista dei nazionalisti appoggiata dall'industria pesante. Punto di forza del movimento per l'intervento italiano in guerra fu l'Associazione nazionalista italiana, fondata nel 1910 da Enrico Corradini. In ogni caso questa composita coalizione era largamente minoritaria all'interno del paese. In un clima di accesi contrasti l'entrata in guerra dell’Italia il 24 maggio 1915 fu decisa dal Primo ministro Salandra e dal ministro degli Esteri Sidney Sonnino con una sorta di “colpo di stato” contro la maggioranza del parlamento e del paese. Gli obiettivi dell'intervento sul fronte interno erano: affossare il sistema giolittiano, affermare un blocco di potere conservatore e battere il movimento operaio. In politica estera la partecipazione italiana al conflitto si prefigurava come un completamento dei confini naturali del paese. Il Trattato di Londra, con cui l'Italia si era già segretamente impegnata a entrare in guerra con l’Intesa, mostra che l’obiettivo di un'espansione nei Balcani e nel Mediterraneo contava quanto la riconquista di Trento e Trieste. Nel 1916, quando la Strafexpedition mise a nudo l'impreparazione militare italiana facendo cadere Salandra, gli ex socialisti Bissolati e Bonomi, il repubblicano Comandini ed il cattolico Meda entrarono nel Ministero di “Unità nazionale” guidato da Paolo Boselli. Non cambiarono però né la gestione dell'esercito, che rimase nelle mani di Cadorna, né i già difficili rapporti tra stato maggiore e potere civile. Una svolta nella conduzione del conflitto vi fu solo nel 1917, quando le linee italiane vennero sfondate a Caporetto e le carenze dell'organizzazione militare tradussero la disfatta in una nuova rotta: tutto il Friuli fu perduto e il fronte dovette arretrare sino al Piave. Il trauma fece sì che si formasse un nuovo governo presieduto da Vittorio Emanuele Orlando e Cadorna fosse sostituito da Armando Diaz, la cui accorta guida dell'esercito creò le premesse per la vittoria per la vittoria, conseguita il 24 ottobre 1918 a Vittorio Veneto. La vittoria si realizzò anche grazie agli interventi per risollevare il morale delle truppe e del paese: venne intensificata la propaganda, si curò di limitare le perdite, si attenuò la durezza della vita militare e per conquistare il consenso dei soldati si promise loro il possesso della terra. Intanto si stava alimentando nelle classi dirigenti una vera ossessione del disfattismo. La più estrema manifestazione di questa tendenza ad addossare ai neutralisti la colpa dello scontento del paese si era avuta con il tentativo degli alti comandi di scaricare sui soldati e appunto sul disfattismo le proprie responsabilità per il disastro di Caporetto. Questo malcontento popolare fu solo uno dei fattori che gettarono in una crisi acutissima lo Stato liberale. L'inflazione minò lo status degli impiegati, le divisioni fra i gruppi sociali si acuirono e ad aggravare l'instabilità del paese si aggiunse lo sradicamento degli ex combattenti. L'intervento statale nell'economia fu inoltre attuato con una larga subordinazione degli interessi pubblici al potere economico, che realizzò enormi profitti. La crescita dell'industria bellica si concentrò nel triangolo industriale Milano-Torino-Genova aumentando il divario Nord Sud. - RIVOLUZIONE IN RUSSIA - La guerra mise a nudo tutte le contraddizioni di questo paese. Le gravi sconfitte subite erano dovute al cattivo equipaggiamento dei soldati, all'arretratezza degli armamenti, all'impreparazione dei comandi militari. Il numero dei caduti fu altissimo. Per effetto della chiamata alle armi dei contadini la produzione agricola diminuì di circa un terzo. Sordo alle richieste dei partiti liberali e moderati lo zar Nicola non attenuò in alcun modo il suo dispotismo ed il punto di rottura fu raggiunto nel febbraio 1917 quando una serie di agitazioni spontanee sfociò a Pietrogrado in uno sciopero generale. A fare di quel moto una rivoluzione furono i reparti incaricati di domarlo, che si unirono ai manifestanti. Mentre nella capitale si formava un soviet degli operai e dei soldati, lo zar abdicò e l'unica assemblea rappresentativa legale del paese — la Duma — costituì un governo provvisorio con a capo il liberale L'vov. Il dato saliente dei mesi successivi è stato individuato nella presenza di un “doppio potere”: da un lato il governo “cadetto” legato al partito costituzionale-democratico che voleva instaurare una democrazia parlamentare e proseguire la guerra, dall'altro i soviet dove prevalevano il partito menscevico e i socialisti rivoluzionari. Il governo provvisorio in realtà era molto debole e in breve la sola autorità riconosciuta dalle masse divennero i soviet. Anche nell'immensa periferia del paese si dispiegarono tre importanti fenomeni rivoluzionari: il disfacimento dell’esercito, una violenta rivolta dei contadini che occuparono e si divisero le terre dei grandi proprietari, un'ondata di lotte operaie. Il governo provvisorio proseguì l'impegno bellico e rinviò la riforma agraria all'Assemblea costituente che avrebbe dovuto cambiare il volto della Russia, i due importanti partiti che avevano la prevalenza nei soviet si accodarono al progetto del governo “cadetto” e si divisero perdendo influenza nel paese. Così in pochi mesi crebbe l’astro del partito bolscevico, che dapprima era rimasto in netta minoranza nei soviet. Una svolta decisiva in questo partito fu incentivata dal ritorno dall'esilio del suo capo Lenin, che già nel 1914 giunto a Pietrogrado nelle sue Tesi di aprile aveva affermato la necessità di opporsi al governo e alla prosecuzione della guerra, di instaurare una repubblica dei soviet e di nazionalizzare le terre. Per lui la fase democratico-borghese della rivoluzione si era esaurita con la caduta dello zarismo e occorreva passare subito ala fase successiva, cioè alla presa di potere degli operai e dei contadini. Tali idee rispondevano alle attese delle masse popolari e portarono ai bolscevichi diffusi consensi dapprima negli operai, poi anche nei soldati e nei contadini. A luglio una spontanea sollevazione armata di soldati e operai nella capitale al grido degli slogan bolscevichi “abbasso la guerra" e “tutto il potere ai soviet” dette la misura dell'entità di tali consensi, ma si esaurì senza risultati e dette la possibilità al ministro della Guerra Kerenskij per reprimere le forze bolsceviche. Mentre Lenin riparava in Finlandia e altri leader come Trockij venivano arrestati, il partito dovette ritornare alla clandestinità. In settembre un tentativo di colpo di stato antirivoluzionario capeggiato dal capo dell'esercito Kornilov fu sventato grazie alla mobilitazione dei soviet di Pietrogrado e all'appoggio dei bolscevichi. Questo li rafforzò tanto da ottenere la maggioranza all’interno dei soviet. Intanto giungeva all'apice la rivolta dei contadini nelle campagne. Fu a questo punto che Lenin si convinse che non era possibile uno sviluppo pacifico del processo rivoluzionario e che occorreva instaurare una “dittatura degli operai e dei contadini”, per cui la situazione era matura per la conquista violenta del potere. Tornato dalla Finlandia persuase il suo partito della necessità di un'insurrezione che fu fissata al 25 ottobre 1917 quando era convocato il congresso dei soviet. La sollevazione di Pietrogrado fu relativamente incruenta. Il Congresso dei soviet proclamò la repubblica sovietica e approvò due decreti per la pace immediata e per la confisca delle terre e la loro assegnazione ai contadini. Le prime misure del governo capeggiato da Lenin ribadirono i due decreti e istituirono il controllo operaio sulle fabbriche; nazionalizzarono le banche, le ferrovie e alcune industrie, concessero l'indipendenza alla Finlandia e alla Polonia e sancirono il diritto all'autodeterminazione dei popoli del vecchio impero. Anche se questi provvedimenti erano destinati ad accrescere molto l'influenza dei bolscevichi, a novembre le elezioni per l'Assemblea costituente mostrarono che essi erano Sì maggioritari in luoghi nevralgici (Pietrogrado, Mosca), ma nel complesso raggiungevano soltanto il 25% dei consensi. Alle elezioni i socialrivoluzionari raccolsero il 62%. L'assemblea si riunì nel gennaio 1918, non riconobbe il risultato e venne sciolta. Questa è stata interpretata come la prima azione di un atteggiamento autoritario e intollerante dei bolscevichi. Incapace di reggere lo sforzo bellico, il governo aveva ottenuto un armistizio, ma poi esitò a lungo perché le condizioni di pace poste dalla Germania erano durissime. Lenin ruppe infine gli indugi e una pace separata fu firmata nel marzo 1918 a Brest- Litovsk. Oltre alla Finlandia e alla Polonia, la Russia dovette cedere le province baltiche, l'Ucraina, parte della Bielorussia e della Russia stessa. La perdita delle risorse industriali e All'inizio del 1920 la guerra civile era sostanzialmente conclusa con la vittoria dei bolscevichi, ma la repubblica sovietica doveva ancora affrontare un conflitto con la Polonia che invase l'Ucraina. La sconfitta a Varsavia pose fine al ciclo di guerre e distruzioni apertosi nel 1914. Catastrofe demografica e crisi economica provocarono un processo di ruralizzazione della società che fece regredire il paese a livelli più bassi e arretrati di quelli del 1914. Il sistema economico instauratosi in quegli anni e passato sotto il nome di “comunismo di guerra” scaturì dall'esigenza di sopravvivere in una situazione del genere e dall'utopismo dei bolscevichi di accelerare così la trasformazione del paese in senso comunista. Fu abolito il libero commercio, si razionarono i generi alimentari e di consumo, si praticò il lavoro obbligatorio e si abolì la moneta, sostituita dallo scambio in natura. La vita economica si concentrò quasi per intero nelle mani dello Stato, ce deteneva tutti i mezzi di produzione e distribuzione. Il comunismo di guerra fu un totale fallimento. Nel 1921 la produzione agricola era calata del 30% rispetto al 1913 e la grande industria conobbe un vero tracollo. Vi contribuirono il blocco economico introdotto da Francia e Inghilterra, che azzerò il commercio con l'estero, e più ancora la guerra civile che assorbì grandi risorse e provocò immani distruzioni. Ma l'insuccesso di questo sistema economico dipese anche dai sui difetti: fu infatti costruita una burocrazia enorme, lenta ed inefficiente, con il risultato che la produttività del lavoro diminuì e la qualità delle merci peggiorò. Appena cessata la guerra civile il malcontento popolare esplose nella rivolta armata di varie zone rurali e in alcuni scioperi operai a Pietrogrado. Ma il segnale più clamoroso che la crisi era giunta all'apice venne nel 1921 con la ribellione dei marinai della piazzaforte di Kronstadt, da sempre stata baluardo del bolscevismo. Questi chiedevano - fine della dittatura - abolizione degli aspetti più opprimenti del comunismo di guerra - libere elezioni dei soviet - maggiore libertà economica per i contadini La rivolta spinse i bolscevichi ad accelerare l'instaurazione di una nuova politica economica (la NEP), la cui base sarebbe stata l'abolizione delle requisizioni, ma venne schiacciata nel sangue. - RIVOLUZIONE IN EUROPA E INTERNAZIONALE COMUNISTA - La guerra lasciò l'Europa in preda a un'acuta conflittualità sociale. Nel 1919-20 il numero degli scioperanti moltiplicò rispetto al periodo prebellico: un così brusco e generalizzato balzo delle tensioni sociali fece apparire il 1919-20 come un “biennio rosso”. Prima ancora dell'armistizio in Germania si diffusero “consigli” degli operai e dei soldati, sul modello dei soviet. Il movimento consiliare dilagò nel paese togliendo l'iniziativa alle forze moderate e consegnandola ai socialdemocratici “maggioritari” e a quelli del partito “indipendente” nato nel 1917 da una scissione del PSD (partito socialdemocratico tedesco). Il kaiser Guglielmo Il dovette abdicare e l'incarico di cancellerie andò al leader socialista maggioritario Ebert. La Germania si trasformò così in repubblica. Nel gennaio 1919 l'esempio bolscevico spinse alcuni settori dell'estrema sinistra (tra cui la Lega Spartaco) a proclamare l'insurrezione a Berlino. La rivolta fu aspramente repressa dal governo del PSD e i leader comunisti (Rosa Luxemburg) vennero assassinati dai “corpi franchi”, bande paramilitari agli ordini del ministro socialdemocratico Noske. Intanto si svolsero le elezioni per l'Assemblea costituente, dove il PSD conquistò la maggioranza relativa e scelse di allearsi con i partiti di centro: quello cattolico del Zentrum e il Partito democratico. | consigli degli operai vennero soppressi e in Germania si stabilì una repubblica parlamentare, ma rimasero intatti il sistema economico-sociale, la burocrazia e l'esercito: pilastri del Reich. Il nuovo Stato si fondava sull'alleanza tra queste forze e i socialdemocratici maggioritari, che operarono per arginare la rivoluzione. Il risultato fu che la nuova repubblica poggiò sin da subito su basi malsicure. La caduta della repubblica sovietica ungherese segnò la fine di ogni prospettiva di rivoluzione in Europa, ma non delle speranze dei bolscevichi. Per sostenerle questi avevano fondato nel 1919 una nuova organizzazione internazionale (la terza), il Comitern. Convinti che il ritardo della rivoluzione dipendesse dal freno dei socialdemocratici, il secondo congresso del Comitern impose ai suoi aderenti di separarsi dai socialisti riformisti. Si generalizzò così la divisione del socialismo prodotta dalla guerra. Tale politica ottenne consensi in Germania, dove gran parte degli indipendenti si unì agli spartachisti rendendo il Partito comunista un partito di massa, anche in Francia la maggioranza dei socialisti costituì un partito comunista. Altrove, per esempio in Italia, la scissione fu minoritaria. Una svolta venne allora decisa dal Ill congresso del Comitern del 1921, che inaugurò la politica del “fronte unico” fra comunisti e socialisti. L'unità del movimento operaio rimase però precaria di fronte alla reazione e la politica della Terza Internazionale subordinò il movimento comunista alla politica estera sovietica. - CRISI IN ITALIA E AVVENTO DEL FASCISMO - L'Italia fu, dopo la Germania, il paese che la Terza Internazionale ritenne più vicino alla rivoluzione. Nel 1919-20 gli scioperi operai ebbero un importante aumento, ottenendo conquiste come le otto ore lavorative. Ad essi si aggiunsero alcune agitazioni non prettamente operaie e conflittualità nelle campagne, queste ultime videro la discesa in campo di alcune figure tradizionalmente passive del mondo rurale: i mezzadri delle regioni centrali, che riuscirono ad ottenere nuovi patti coloniali (maggiori tutele di stabilità sul fondo e migliori quote di riparto del prodotto) e gli ex fanti-contadini dell’Italia latifondista che nel Mezzogiorno si impadronirono di quanto era stato promesso loro alla fine della Prima guerra mondiale occupando vaste terre incolte. Questo protagonismo delle masse si riflesse in una grande crescita dei sindacati e un PSI che raggiunse alle elezioni del 1919 la maggioranza relativa col 32% dei voti. Nel settembre 1920 gli operai metallurgici occuparono le fabbriche e proseguirono la produzione negli impianti presidiati da “guardie rosse”: questa prova di forza si concluse grazie alla mediazione del vecchio Giolitti con un compromesso che soddisfece le richieste salariali dei metallurgici e introdusse il controllo sindacale sulle aziende, ma politicamente fu un insuccesso operaio e spianò la strada a una dura reazione. Fu evidente il limite più grave di quest'ondata di lotte operaie e contadine: quello di non riuscire a saldarsi in un movimento unitario. Il socialismo italiano soffriva di una divisione al suo interno tra massimalisti, che avevano la maggioranza nel PSI e si proclamavano rivoluzionari, e riformisti, che auspicavano a una collaborazione con le classi dirigenti. Minoritari nel partito, i riformisti controllavano la Confederazione generale del lavoro. | contrasti interni impedirono al PSI di operare con efficacia sia per la rivoluzione che per le riforme, ma a rendere improbabile la prima ipotesi era anche il fatto che le spinte più radicali venivano da ambiti molto diversi: le fabbriche del Nord-ovest e le campagne del Sud. Alle elezioni del 1919 oltre un quinto dei suffragi inoltre andò al nascente Partito popolare italiano, fondato da don Luigi Sturzo, che inaugurò un’'autonoma presenza dei cattolici nella vita politica italiana. Presieduti da Nitti e da Giolitti, i governi tra il 1919 e il 1921 vararono alcune riforme: la più importante fu l'introduzione nel ‘19 da parte di Nitti del sistema elettorale proporzionale, che favorì l'affermazione di partiti organizzati su scala nazionale (PSI- PPI). Questi governi contenerono la pressione del movimento operaio, ma non offrirono praticabili prospettive di trasformazione democratica, né recuperarono il pieno conrollo del Parlamento. In questa situazione da tempo si erano sviluppate aggressive tendenze nazionaliste, cresciute con la guerra e che si giovarono del mito della “vittoria mutilata” per far presa sull’opinione pubblica. Nel 1919 un corpo di volontari guidato da Gabriele d'Annunzio occupò Fiume, l’azione si protrasse fino alla fine del 1920, non produsse alcun risultato concreto ma mise in luce la debolezza della classe dirigente liberale. Le elezioni amministrative del novembre 1920 fotografarono una situazione di stallo. Il PSI ottenne una buona affermazione, ma non riuscì a conquistare le grandi città, la spinta del movimento operaio si stava esaurendo. Mentre anche i popolari confermavano la loro forza, i liberali e i conservatori - unitisi nei cosiddetti “blocchi nazionali”- dettero invece un primo segnale di ripresa. Fu in questo momento di passaggio che una nuova forza politica balzò alla ribalta: il fascismo fondato da Benito Mussolini nel 1919. Alla loro nascita i “Fasci di combattimento” riunivano piccoli gruppi di futuristi, ex sindacalisti rivoluzionari e “arditi”: cioè membri delle truppe d'assalto della grande guerra. Il primo programma riprendeva alcuni punti della tradizione democratica e socialista, come la richiesta di un'Assemblea Costituente e la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. La loro vocazione reazionaria fu però chiarita subito da un sostanziale allineamento al nazionalismo e dalle sue prime manifestazioni pubbliche (incendio dell’Avanti!). Con l'appoggio determinante della grande proprietà terriera della Toscana e dell'Emilia, dopo l'estate del 1920 il fascismo si organizzò in squadre paramilitari e scatenò una guerra sociale: la rete delle organizzazioni socialiste vene distrutta e anche quelle cattoliche non furono risparmiate. La violenza fascista incontrò solo una debole resistenza da parte di un movimento operaio pressoché pacifico e godette della connivenza delle autorità e dell'apparato statale. Alle elezioni del 1921 i fascisti furono inclusi nei “blocchi nazionali”, ottenendo una trentina di membri in Parlamento, il calcolo di Giolitti di poter riassorbire nella legalità queste forze dopo essersene servito per “ristabilire l'ordine” si rivelò sbagliato. Sostenuto da alcuni settori della grande industria, il fascismo presto divenne un partito di massa, guadagnando consensi tra i ceti medi e non poche simpatie tra i liberali e i cattolici più conservatori. | governi impotenti successivi a quello di Giolitti (Bonomi, poi Facta) suggellarono l'agonia dello Stato liberale. Di fronte al dilagare della violenza squadrista esplosero le profonde divisioni di un movimento operaio ormai in ritirata. AI XVII Congresso del PSI (Livorno, 1921) l'estrema sinistra uscì dal partito fondando sotto la guida di Amedeo Bordiga il Partito comunista d’Italia. A sancire la crisi del PSI si aggiunsero poi altre due scissioni: furono espulsi i riformisti del vecchio leader Turati e un gruppo favorevole al Comitern, diretto da Serrati si unì ai comunisti. Nel vuoto aperto dal collasso dello Stato liberale si verificò un travaso dei poteri e dei consensi così vasto, che nel 1921 i Fasci di combattimento si costituì in Partito nazionale fascista (PNF). Mussolini decise infine di agire e nell'ottobre 1922 fece convergere su Roma alcune decine di migliaia di camicie nere, il re Vittorio Emanuele III sancì il La crescita economica fu favorita dal crescente ricorso a fonti di energia come elettricità e petrolio, la riconversione bellica che favorì i settori come quello chimico e metalmeccanico che producevano beni di consumo durevoli. Il fenomeno inflattivo tuttavia divenne presto incontrollato e provocò una brusca caduta della produzione e del potere d'acquisto dei consumatori. Il paese che più ne soffrì fu la Germania dove la carta venne moneta stampata in eccesso anche per far fronte alle riparazioni postbelliche. La situazione tedesca si risolse solo perché nel 1924 il governo americano per aprire nuovi spazi alle proprie merci nel mercato europeo varò un programma di investimenti in Germania: il piano Dawes. Si attivò così un flusso di capitali dagli Stati Uniti alla Germania, alle potenze sue creditrici e ancora agli USA. Tale meccanismo sorresse la ripresa europea ma contribuì anche a renderla fragile: questa politica si limitava a considerare gli altri paesi come mercati per i propri prodotti piuttosto che come partner di un comune processo di crescita. - CRISI DEL ‘29 - Il 24 ottobre 1929 l'indice della borsa di New York crollò. Fu l'esito di una febbre speculativa che negli anni precedenti aveva gonfiato artificialmente il valore delle azioni. Specie dal 1928 il meccanismo degli scambi aveva seguito una logica in parte autonoma: gli investitori acquistavano azioni con l'obiettivo di rivenderle a breve scadenza nella certezza di ottenere facili guadagni e nella fiducia che i prezzi continuassero sempre a salire. Invece nel 1929 per la prima volta dopo molti anni l'indice della produzione industriale americana calò: le economie europee erano ormai in ripresa e gli sbocchi di mercato a disposizione delle merci statunitensi cominciavano a ridursi. Così il mercato borsistico crebbe più della produzione e del consumo, si gonfiò una “bolla speculativa” e il valore dei titoli perse ogni rapporto con i valori dell'economia reale. Una volta iniziata, la discesa dei titoli proseguì a precipizio perché un'enorme quantità di azioni fu svenduta dai possessori nella speranza di limitare le perdite. In preda al panico, i risparmiatori corsero a ritirare i propri depositi, provocando il fallimento degli istituti di credito e il blocco degli investimenti. La “grande depressione” (1929-1933) ebbe tale durata che solo con il secondo conflitto mondiale la disoccupazione venne riassorbita. In Germania la crisi provocò gli effetti più disastrosi perché maggiori erano la dipendenza dagli investimenti americani e la fragilità del sistema economico. Meno grave fu invece l'impatto in Francia e Gran Bretagna, i cui imperi coloniali costituivano aree di mercato relativamente autonome. Il tutto fu accompagnato da politiche protezionistiche volte a difendere i rispettivi prodotti nazionali, da cui risultò un crollo del mercato internazionale Negli Stati Uniti fu elaborato un progetto di riforma del sistema capitalistico, il New Deal, che per la prima volta in quel paese assegnò allo Stato compiti di intervento a sostegno delle fasce più deboli della popolazione e di regolazione dell'economia. Questa nuova politica economica detta più tardi “keynesismo” era fondata su un intervento statale a sostegno della domanda interna con l'obiettivo di una riduzione drastica e tendenzialmente totale della disoccupazione. La conseguente risalita dei redditi e dei consumi avrebbe rimesso in moto l'economia consentendo allo Stato di pareggiare nuovamente i conti pubblici. CAPITOLO 4 OCCIDENTE ANNI ‘20 - STATI UNITI POTENZA MONDIALE - Le truppe americane avevano subito una cifra contenuta di costi umani e sopratutto il territorio nazionale era rimasto immune da ogni devastazione. Per sostenere lo sforzo bellico gli stati europei avevano moltiplicato il debito pubblico e gran parte di questi debiti erano stati contratti con gli USA, diventati creditori di una cifra enorme. L'ascesa dell'economia statunitense era anche il frutto di trasformazioni strutturali che anticipavano le tendenze delle economie europee: l'avvio dello sviluppo industriale di paesi marginali e la fine dello scambio di prodotti tradizionali a vantaggio di beni di produzione. Questa ascesa fu accompagnata da una linea politica di rinnovato “isolazionismo”, alle cui spalle stavano il timore di una rivoluzione sul modello bolscevico; questa “paura dei rossi” si coniugò con l'americanismo: un composito sentimento di orgoglio nazionale misto a un senso di separazione nei confronti dell'Europa e a una matrice puritana e conservatrice. Queste tendenze portarono al declino di Wilson e alla vittoria del repubblicano Harding. I suoi primi provvedimenti confermarono la linea isolazionista attraverso misure protezionistiche quali l'aumento dei dazi doganali sulle importazioni e una serie di leggi sull’immigrazione che limitarono gli arrivi. Inoltre si diffuse con rapidità e consenso il Ku Klux Klan che coniugava l'americanismo con il razzismo e praticava la violenza nei confronti degli avversari. Simbolo di questa ondata di intolleranza fu la condanna a morte di Sacco e Vanzetti, due anarchici italiani arrestati per omicidio, la cui colpevolezza non venne provata al processo. Il proibizionismo favorì anche la diffusione di organizzazioni criminali dedite al contrabbando di alcolici. - BOOM DEGLI ANNI VENTI - Quelli che dopo la guerra si aprirono per gli Stati Uniti furono i “ruggenti anni venti”. Tra il 1922 e il 1929 l'indice della produzione industriale salì di quasi due terzi mentre la disoccupazione oscillò attorno al 3-4%, che gli economisti ritengono fisiologica. La produttività crebbe del 43% grazie alle innovazioni introdotte per primo da Ford e la fabbrica si configurò come una sequenza di mansioni svolte in tempi rigorosamente cronometrati attorno alla catena di montaggio di un unico prodotto realizzato in serie. I salari crebbero di pari passo con la produttività migliorando il potere d’acquisto dei lavoratori. Si diffusero nuovi consumi di massa e nuovi stili di vita fondati sull'acquisizione di status symbol. La prosperità americana si concentrò tuttavia nei ceti urbani medio-alti, a discapito del mondo agricolo che a causa del calo mondiale dei prezzi vide dimezzarsi il proprio reddito. Interprete di questo dispiegarsi della società civile fu il partito repubblicano che conquistò tutti i mandati del decennio, prima con Coolidge, poi con Hoover. Questo blocco di potere si fondava sull'idea di una crescita economica spontanea, senza l'ingerenza statale, del tutto impreparato alla crisi del 1929. Hoover infatti reagì minimizzando l'accaduto e alzò ancora le consistenti barriere doganali contro l'importazione di merci straniere, nel disperato tentativo di proteggere l'industria nazionale ed arginare la disoccupazione. Il rimedio si dimostrò totalmente inefficace perché incoraggiò provvedimenti simili negli altri paesi e danneggiò le esportazioni americane. I tempi erano maturi per un cambiamento radicale, rappresentato dall’elezione nel novembre 1932 del democratico Roosevelt. - ROOSEVELT E IL NEW DEAL - La figura stessa del presidente incarnava le speranze di riscatto della nazione americana. Ad essa Roosevelt propose un New Deal, un “nuovo patto” per cui occorreva abbandonare il liberismo dei repubblicani ed impegnare lo Stato in una lotta contro crisi e disoccupazione. | provvedimenti più urgenti riguardarono la svalutazione del dollaro e la protezione attraverso un'assicurazione delle banche per evitare le corse al ritiro dei soldi e il fallimento. Fu istituita la Tennessee Valley Authority, un ente pubblico incaricato di grandi opere idrauliche, di rimboschimento e irrigazione per regolare le acque del fiume e sfruttarle per la produzione di energia elettrica. Il successo di questa iniziativa, che dette lavoro e sviluppo a intere regioni del Sud, incoraggiò Roosevelt a dirottare consistenti quote di bilancio nei lavori pubblici per creare occupazione e far ripartire l'economia. Con una legge, il National Industrial Recovery Act (1933), venne creata un'agenzia governativa preposta alla politica indutriale, i cui compiti spaziavano dalla definizione di nuove norme in materia di conflitti sindacali ed industriali alla messa a punto di codici di comportamento per una concorrenza “leale” tra le imprese. Nel 1935 quella legge fu dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema perché lesiva dell'autonomia dei singoli stati e della libertà d'impresa, facendo entrare in conflitto la politica di Roosevelt e gli interessi che avevano dominato il decennio repubblicano. Da questa sconfitta emergeva l'idea di fondo del New Deal: un “capitalismo democratico”, cioè un capitalismo regolato dall’intervento statale per attenuare le disuguaglianze sociali più gravi. In vista della scadenza del mandato Roosevelt decise di accelerare la realizzazione del suo programma: il primo passo fu la costituzione della Works Progress Administration, un ente governativo per il coordinamento di una rete di opere pubbliche che estendesse l'esperienza realizzata nel Tennessee. Il secondo fu il Wagner Act che rispose al veto della Corte Suprema difendendo la libertà dei sindacati. Il terzo fu il Social Security Act che stabilì un regime di collaborazione tra autorità federale e singoli stati per fondi in favore di bisognosi. Alle elezioni del 136 Roosevelt stravinse con il 60% dei voti, quell'anno il reddito pro capite del paese era risalito ai livelli degli anni venti. Meno univoci erano invece i risultati conseguiti sul fronte occupazionale: il paese rimase assai lontano dai valori di impiego del dopoguerra e solo il secondo conflitto mondiale avrebbe riportato i livelli occupazionali vicini a quelli dei primi anni venti. - GRAN BRETAGNA - Nel periodo tra le due guerre la Gran Bretagna incarnò un modello di sistema politico democratico fondata sull'alternanza dei partiti al governo. Nel 1918 una riforma elettorale allargò il numero dei votanti portando alla vittoria la coalizione di conservatori e liberali guidata da Lloyd George, mentre il partito laburista quintuplicò i propri voti (dietro di esso stava la forza del sindacato). La capacità inclusiva del sistema politico trovò però un limite nella questione irlandese. La guerra aveva fatto rinviare l'applicazione dell'autogoverno concesso nel 1914 e una rivolta venne repressa duramente nel 1916. Il partito nazionalista Sinn Fein proclamò l'indipendenza, ma la guerriglia si concluse solo nel 1921 quando lo Stato libero d'Irlanda fu riconosciuto da Londra come dominion, con un proprio parlamento e poteri autonomi. - EUROPA CENTRO ORIENTALE - I nuovi stati costruirono in funzione antitedesca erano deboli e spesso minati da contrasti etnici interni. La struttura sociale presentava in genere la prevalenza di un'agricoltura arretrata, dominata da una proprietà autoritaria e chiusa all'innovazione. Con la fragile eccezione della Cecosvolacchia (che riuscì a consolidare la democrazia) l'Europa centro-orientale visse l'epoca tra le due guerre nel segno di una reazione autoritaria e di una mancata modernizzazione industriale. (Austria, Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Jugoslavia e Grecia). CAPITOLO 5 FASCISMO - COSTRUZIONE DEL REGIME - Il governo di coalizione formato da Mussolini godeva di una larga maggioranza alla Camera grazie all'appoggio dei liberali e di parte dei cattolici. Anche la Corona, gli ambienti economici dominanti e gran parte dei ceti medi si riconoscevano nella proposta di riportare l’ordine nel paese e su queste basi Mussolini si impegnò subito in un’opera di trasformazione delle strutture liberali. Nel gennaio 1922 venne istituito il Gran consiglio del fascismo e nel 1923 la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Un altro passo importante verso la fascistizzazione dell'Italia fu il varo della legge Acerbo, una nuova legge elettorale maggioritaria con cui si attribuiva il 65% dei seggi a chi raggiungesse il 25% dei voti. Per le elezioni del 1924 i fascisti prepararono il cosiddetto “listone” comprendente liberali e cattolici ottenendo una vittoria schiacciante con il 65% dei voti. Benché rafforzato dalle elezioni, nello stesso anno il fascismo visse un momento di crisi. Il leader socialista riformista Giacomo Matteotti denunciò alla Camera i brogli e le violenze commesse dai fascisti durante la campagna elettorale e fu sequestrato e ucciso da un gruppo di squadristi. Il suo assassinio ebbe un'eco vastissima nell'opinione pubblica e l'episodio mostrò che l’istituzionalizzazione delle squadre fasciste non era riuscita. Come reazione i partiti di opposizione uscirono dal Parlamento dando vita alla secessione dell’Aventino: essi miravano a incrinare l'intesa tra fascisti e fiancheggiatori provocando un intervento del re, che però non avvenne da parte di Vittorio Emanuele III. La crisi venne superata da Mussolini con un'altra forzatura, che accelerò il processo di fascistizzazione. Parlando alla Camera il 3 gennaio 1925 egli rivendicò la responsabilità del delitto Matteotti. Con l'aiuto del ministro della Giustizia Rocco, Mussolini si accinse a varare una serie di leggi che trasformarono lo Stato. Innanzitutto fu ripristinata la lettera dello Statuto albertino che abolì la separazione esecutivo-legislativo, e nel 1926 con una legge “per la difesa dello Stato” furono introdotte severe restrizioni: - scioglimento dei partiti antifascisti - confino di polizia per gli oppositori - pena di morte per chi attentasse alla sicurezza dello Stato - istituzione di un Tribunale per la difesa dello Stato presieduto da Milizia ed esercito - soppressione delle libertà di associazione e stampa - eliminazione delle libertà locali Nello stesso anno una legge riservò ai soli sindacati fascisti la possibilità di stipulare contratti collettivi, confermando quanto era stato deciso dal “patto di palazzo Visconti”. Quella legge proibì lo sciopero e istituì la Magistratura del lavoro. Fu il primo passo verso il corporativismo che si sarebbe realizzato nel 1927 con la Carta del lavoro. Questo sistema si proponeva come l'alternativa a capitalismo e socialismo: superata la lotta di classe, si mirava a ottenere il concorde contributo dei produttori allo sviluppo economico e al progresso sociale raggruppando capitalisti, lavoratori e tecnici in rappresentanze professionali unitarie in nome del superiore interesse dello Stato. In realtà le corporazioni ebbero mere funzioni consultive e a crescere furono soltanto i salari del pubblico impiego. Nel 1928, con il varo di una nuova legge elettorale che prevedeva una lista unica da approvare o respingere in blocco, la costruzione dello Stato fascista poteva dirsi completa. Nel 1929 Pio XI concluse con Mussolini quell'atto di conciliazione che la Chiesa si era rifiutata di concedere allo Stato liberale. | “Patti Lateranensi” prevedevano il reciproco riconoscimento tra Regno d'Italia e Stato della Città del Vaticano e proclamavano la religione cattolica religione di Stato. Un concordato infine concedeva alla Chiesa importanti privilegi: effetti civili del matrimonio religioso, insegnamento obbligatorio della religione cattolica nella scuola pubblica, rispetto dell'autonomia dell'Azione cattolica. L'ultimo punto venne però disatteso dal regime, volenteroso di controllare le nuove generazioni, e per questo l’Azione cattolica dovette limitare la propria opera al terreno religioso. Sostenuto da potenti alleati (Corona/Chiesa), il fascismo godeva ormai di un consenso generalizzato: il plebiscito svolto nel 1929, preceduto come di consueto da intimidazioni e violenze, assegnò alla lista unica del regime il 98% dei voti. - REPRESSIONE E CONSENSO - Per sottolineare l'ampiezza del consenso goduto dal fascismo, Togliatti aveva coniato l'espressione di “regime reazionario di massa”. Ma accompagnata al consenso una dura repressione si abbatté in primo luogo sull'opposizione politica antifascista, contro la quale furono emanate le “leggi eccezionali” (1926). La repressione del dissenso riguardò anche le cosiddette “manifestazioni sediziose” (imprecazioni, scritte sui muri, vignette contro il regime), i comportamenti trasgressivi dell'ordine e della morale cattolica. Il tentativo del fascismo di coinvolgere le masse nella vita pubblica, organizzandole e mobilitandole per ottenere il consenso, fu il tratto di novità del regime. Prima esperienza di nazionalizzazione delle masse nella storia d’Italia, quella fascista fu diretta e i suoi contenuti furono quelli di un'ideologia ispirata al militarismo e a un nazionalismo legato al mito dell'Impero Romano antico. Il partito inoltre conservò un ruolo decisivo nell'organizzazione di massa: se non avere la tessera del PNF voleva dire perdere il lavoro, l'iscrizione al partito fu per molti uno strumento per ottenere occupazioni e avanzamenti di carriera. L'adesione dei cittadini al regime venne poi promossa attraverso organizzazioni di massa: - bambini e adolescenti — Figli della lupa, Balilla, Avanguardisti - studenti universitari — Gruppi universitari fascisti - donne — Gruppi femminili fascisti e Massaie rurali L'uso collettivo del tempo fu affidato all'Opera Nazionale Dopolavoro (1926) che offrì ai lavoratori strutture d'intrattenimento. Il controllo del regime si esercitò infine sul sistema scolastico e sull'organizzazione della cultura, sottoposta alle direttive di un apposito Ministero della Cultura popolare. - ECONOMIA E SOCIETÀ - Superata a livello internazionale la crisi economica post bellica, il ministro delle finanze si giovò di una congiuntura: forte della sconfitta del movimento operaio, impostò una politica di riduzioni salariali, diminuzione delle spese statali e larghi favori alle imprese. Le tariffe doganali furono abbassate per compensare con un aumento del commercio estero la compressione del mercato interno dovuta al ridotto potere d'acquisto della popolazione. Alcuni storici hanno chiamato “liberistica” questa prima fase della politica economica fascista: lo Stato lasciava fare al mercato, concentrandosi sul pareggio del bilancio, raggiunto nel 1925. Da allora la politica economica del fascismo cambiò con una svolta protezionistica. Mussolini annunciò insieme al nuovo ministro delle finanze una drastica rivalutazione della lira: la nuova parità che doveva essere raggiunta con la sterlina fu fissata a “quota 90”, ma gli effetti sul piano produttivo furono molto pesanti. Nel 1927 si avviò infatti una recessione, causata dal crollo delle esportazioni (i prodotti italiani erano troppo cari per gli acquirenti esteri dopo la rivalutazione). L'industria italiana, vista l'opera di soccorso verso i gruppi privati, ne uscì trasformata: crebbero i gruppi chimici, metallurgici e meccanici, mentre entrarono in difficoltà le industrie esportatrici (tessili e agroalimentari). In aperta crisi precipitò il comparto siderurgico e cantieristico e buona parte delle industrie in difficoltà passarono sotto la gestione diretta dello Stato. Per quanto riguarda lo sviluppo agricolo fu compiuta e propagandata nel 1926 la cosiddetta “battaglia del grano”: un tentativo di estendere la superficie coltivata e proteggere la produzione nazionale con tariffe doganali. Ma l'obiettivo di autosufficienza alimentare non fu mai raggiunto e l'aumento della terra coltivata a grano danneggiò le altre colture e l’allevamento. La scelta cerealicola inoltre svantaggiò i contadini del Mezzogiorno, i cui prodotti ortofrutticoli più pregiati entrarono in crisi per il blocco delle esportazioni. Ancora più ambizioso fu il piano per la “bonifica integrale”: un progetto impostato nel 1927 che ebbe i suoi maggiori successi con la bonifica delle paludi pontine e la nascita di “città nuove”. Il regime realizzò tuttavia solo un decimo delle opere stabilite, a causa delle resistenze dei proprietari terrieri contrari agli impegni finanziari che ne derivavano. - MODERNITÀ DEL FASCISMO - Una serie di aspetti di modernità caratterizzarono il fascismo. Innanzitutto l'ampio ricorso ai mezzi di comunicazione di massa: fu fondato l'Ente italiano audizioni radiofoniche (1927) che alternò l'informazione ufficiale con programmi leggeri d'intrattenimento. Si aprì inoltre la Mostra internazionale del cinema di Venezia e nel 1937 fu inaugurata Cinecittà. Altri elementi di modernità sono stati individuati nell'adozione politiche sociali e assistenziali all'apparenza non molto diverse dai sistemi democratici e nel ricorso all'intervento statale per contrastare gli effetti della crisi del ‘29. Nel campo delle assicurazioni dei lavoratori si affermò un sistema che destinò le pensioni e le provvidenze contro infortuni, malattie e disoccupazione anzitutto all'industria, penalizzando il lavoro agricolo e quello femminile. Negli anni trenta inoltre la politica sociale fu sempre più orientata verso il sostenimento dell'incremento demografico, in sintonia con l'immagine di nazione giovane e fertile voluta da Mussolini. L'Opera Nazionale maternità e infanzia (1925) fornì l'assistenza alle madri e favorì la professionalizzazione femminile dell'ostetricia e della pediatria, ma espresse una politica comunque legata all'immagine della donna come riproduttrice della razza. Nonostante questo la natalità negli anni trenta subì un calo. Come Mussolini, anche Hitler si giovò della crisi e della paralisi delle altre forze politiche. La repressione dei comunisti attuata dai socialdemocratici aveva scavato un solco di risentimento tra i due partiti. La loro radicale contrapposizione rifletteva inoltre una diversa posizione sociale e i differenti obiettivi: - SPD + classe operaia sindacalizzata delle grandi fabbriche - KPD + disoccupati - SPD — salvaguardia della legalità democratica - KPD + rivoluzione Quanto ai cattolici del Centro essi nutrivano diffidenze nei confronti della NSDAP soprattutto per i suoi consensi tra i protestanti, ma Bruning tentò di dialogare con Hitler. La destra tedesca si divideva tra Hitler e il Partito nazionalpopolare con il presidente Hindenburg che propendeva per una dittatura militare come soluzione definitiva alla crisi. Alle presidenziali del 1932 Hindenburg ottenne il 53% dei suffragi, mentre Hitler si fermò sotto al 37%. Questa battuta d'arresto non ebbe però conseguenze, perché il capo dell'esercito si accordò con Hitler per far cadere Burning. Il programma di Franz Von Papen, che gli successe al governo mirava a “costituzionalizzare” le destre e a emarginare la SPD. In un clima di guerra civile le SA seminarono la violenza tra i socialdemocratici e soprattutto i comunisti. Alle nuove elezioni i nazisti divennero il primo partito, ma un'altra tornata di elezioni sembrò designare un cambio di tendenza, visto che la NSDAP perse due milioni di voti. | suoi avversari però non seppero cogliere questo momento di debolezza: la SPD incapace di agire e ancorata a una tattica legalitaria, i comunisti convinti che la crisi della repubblica sarebbe sfociata in una rivoluzione e le altre forze di destra divise, il gioco restò nelle mani di Hitler. A novembre un autorevole gruppo di industriali e grandi latifondisti chiese a Hindenburg di conferirgli la carica di cancelliere, che Hitler ottenne il 30 gennaio 1933, con il compito di formare un nuovo governo di coalizione. Oltre a Hitler, l'unico membro nazista del governo era il Ministro degli Interni, ma la NSDAP avrebbe acquisito un primato indiscusso negli anni seguenti. - TERZO REICH - La rapidità con cui i nazisti crearono un regime fu sorprendente: in soli sei mesi la dittatura nazista fu costruita. Il 1° febbraio 1933 fu sciolto il Parlamento. Tre giorni dopo un decreto vietò giornali e assemblee nel caso ci fosse pericolo per la sicurezza pubblica. Il 27 febbraio fu incendiato il Reichstag, la sede del Parlamento:l'incendio venne attribuito ai comunisti, i cui principali esponenti vennero arrestati. Il 28 febbraio Hindenburg soppresse a tempo indeterminato i diritti costituzionali, consentì la violazione del segreto epistolare e il controllo dei telefoni. Nonostante questo la NSDAP ottenne il 44% dei voti alle elezioni del marzo 1933, un risultato analogo all'insieme delle opposizioni, per cui Hitler dovette fondare un altro governo di coalizione con il Partito nazionalpopolare. Il nuovo Parlamento fu chiamato a votare una legge che conferiva pieni poteri al governo: questa legge passò per via dell'assenza dei deputati comunisti e di parte dei socialdemocratici, arrestati a febbraio. Il provvedimento, che era una sorta di legge fondamentale del nuovo Reich, consentiva al governo di legiferare in contrasto con la Costituzione e attribuiva al cancelliere la facoltà di firmare decreti al posto del presidente. Lo stesso giorno dell'insediamento dei nuovo parlamento il capo delle SS aprì a Dachau un campo di concentramento per gli oppositori politici. Nasceva così un sistema carcerario parallelo e autonomo rispetto a quello statale, gestito dalle milizie naziste. Dotato ormai degli strumenti legali per imporre la propria volontà, il governo procedette all'allineamento, sottoponendo tutte le istituzioni pubbliche e private al controllo della NSDAP. Vennero distrutti i partiti operai e, analogamente a quello che succedeva in Italia, il partito cattolico di Centro si sciolse dopo la firma di un concordato tra Chiesa e regime. L'allineamento dell'agricoltura e dell'industria avvenne in base a un accordo con le associazioni padronali: la stessa associazione degli industriali rinunciò alla propria autonomia, accettando di integrarsi in uno Stato che garantiva la fine di ogni opposizione sindacale. La radio divenne la voce del regime, al quale la stampa fu asservita tramite la censura e la soppressione delle pubblicazioni non allineate. Il 6 luglio Hitler poteva annunciare che la “rivoluzione” nazista era completa. Il 4 dello stesso mese una legge vietò la ricostruzione dei partiti: l'unico riconosciuto restava la NSDAP, ormai identificata con lo Stato. L'annuncio che la rivoluzione era giunta a compimento si rivolse anche alle SA, che avrebbero voluto scatenare una “seconda rivoluzione”. Il loro capo Rohm era entrato più volte in conflitto con l'esercito, minacciando di alienare a Hitler le simpatie di uno dei cardini del regime. Il Fuhrer aveva bisogno di consolidare il proprio potere: nel febbraio 1932 le forze armate furono dichiarate unico organo militare della nazione, mentre alle SA furono riservati compiti di formazione politica e paramilitare. 11 30 giugno 1934, prendendo a pretesto le voci di un possibile colpo di stato da parte delle SA, Hitler in persona dette l'avvio alla “notte dei lunghi coltelli”: nella quale le SS giustiziarono Rohm e buona parte delle SA. Paradossalmente la “notte dei lunghi coltelli” fu accolta bene dall'opinione pubblica, stanca delle continue molestie da parte delle SA, alimentando il mito del Fuhrer come capo duro ma giusto. Quando nell'agosto 1934, alla morte di Hindenburg, Hitler assunse la carica di presidente della repubblica e il suo potere divenne illimitato. Con la fusione nella figura di Hitler delle cariche di capo dello Stato, del governo e delle forze armate l’edificio del Terzo Reich era ultimato. Alla base del sistema nazista rimanevano comunque il dominio e la violenza. La repressione degli oppositori si estese anche ai “diversi”: criminali comuni, vagabondi, prostitute, ubriachi, immigrati, omosessuali, zingari e testimoni di Geova vennero mandati nei campi di concentramento. Questi provvedimenti trovarono consenso tra i ceti benestanti interessati alla “pulizia” dei propri quartieri. Segno distintivo del regime nazista fu la politica razziale. Il primo tassello fu un forte sostegno all'incremento demografico; prestiti agevolati furono offerti alle coppie in cui la moglie rinunciasse al lavoro per dedicarsi alla famiglia e trattamenti privilegiati furono riservati alle famiglie più numerose. Accrescere il numero degli ariani andava di pari passo con l'eliminazione di chi ariano non era. L'antisemitismo programmatico della NSDAP venne messo in pratica con un crescendo di misure repressive ai danni della comunità ebraica tedesca. Una legge del 7 aprile 1933 estromise gli ebrei impiegati in varie mansioni: ‘amministrazioni statali e comunali, docenti universitari, avvocati, medici, artisti. Nel 1935 le cosiddette leggi di Norimberga vietarono i matrimoni misti tra ebrei e ariani, esclusero dalla cittadinanza chi non fosse di origine tedesca e privarono gli ebrei dei diritti civili. Tuttavia i primi a sperimentare misure di eliminazione sistematica furono i tedeschi portatori di malattie mentali, considerati esemplari umani”difettosi”. Tre anni dopo le leggi di Norimberga un salto di qualità nella repressione della comunità ebrea fu segnati dalla “notte dei cristalli” (9-10 novembre 1938) durante la quale le SS distrussero più di 7000 negozi, incendiarono 200 sinagoghe e uccisero 91 persone. Circa 26 000 ebrei ebrei furono internati in campi di concentramento e 400 trovarono la morte, ma la grande maggioranza venne rilasciata nel Natale 1939. Soltanto con la guerra e le conquiste territoriali del Terzo Reich si passò a una sistematica politica di sterminio di massa. Fu allora che i Lager, dove la mortalità per cause “naturali” di stenti ed epidemie era comunque piuttosto alta, si trasformarono in campi di sterminio, con strutture appositamente dedicate alla morte di massa. «POLITICA ECONOMICO SOCIALE E CONSENSO - Il regime nazista dovette affrontare crisi economica e disoccupazione. Hitler affidò il problema a Schacht, governatore della banca centrale tedesca e dopo ministro dell'Economia, che attuò una politica dirigista di intervento dello Stato finanziata dal debito pubblico. Furono favorite l'edilizia pubblica e privata e le industrie che lavoravano al potenziamento delle forze armate. | primi risultati di questa politica furono corposi: i disoccupati calarono e la ripresa produttiva favorì una crescita dei redditi e dei consumi privati portando un relativo benessere alla popolazione. Tali risultati furono possibili in primo luogo con una decisa scelta per il riarmo: le spese militari salirono e Shacht, che non condivideva questa forzatura fu sostituito da un nazista della prima ora come Goring. Da allora la preparazione militare fu un'assoluta priorità nella politica economica del regime. La situazione che si configurò era la seguente: lo Stato controllava il mercato, favorendo alcune industrie,da qui ne derivò una forte dipendenza dei privati dalla burocrazia pubblica e i vertici di quest'ultima erano spesso occupati da rappresentanti di grandi imprese, tanto da far pensare a una “privatizzazione” della politica economica statale. Un discorso a parte merita l'agricoltura: niente fu fatto per ridurre la grande proprietà latifondistica dell'est, che continuò ad esercitare un ruolo dominante nella produzione di generi alimentari. La piccola proprietà venne tutelata con una legge che prevedeva la successione ereditaria dei poderi. In termini economici i contadini non videro risultati sensibili. L'obiettivo dell'autosufficienza economica della Germania si dimostrò illusoria. La politica di accordi commerciali di Shacht modificò in modo paradossale i consumi dei tedeschi. Il risultato più importante della politica di riarmo fu il quasi completo riassorbimento della disoccupazione. Nel maggio 1933 veniva fondato il Fronte tedesco del lavoro, il cui compito era educativo e formativi, che ben presto prese il sopravvento sulle altre organizzazioni legate alla NSDAP. Nel 1934 una legge introdusse una rigida organizzazione gerarchica delle fabbriche: tutti i lavoratori dovevano obbedire ad un capo. Stato ed industria si adoperarono per politiche assistenziali: grazie alla capacità del regime di mantenere bassi i prezzi al consumo, i salari reali tornarono ai livelli precedenti la crisi. Ma il relativo benessere che ne derivò non era dovuto all'aumento dei salari, ma all'allungamento della giornata lavorativa: nonostante questo furono comunque istituite alcune provvidenze come cibi caldi nelle mense e aree verdi in fabbrica. Come in Italia ad usufruire in modo più consistente degli spazi ricreativi furono gli impiegati e i membri del ceto medio, rispetto agli operai. Il regime incoraggiò un uso del tempo libero volto all'intrattenimento: oltre alla radio vennero promossi il cinema e lo sport. Per quanto riguarda la questione del consenso al regime bisogna tenere presente che al contrario dell’Italia, n Germania non si sviluppò un consistente movimento di resistenza. Il primo fattore che avrebbe determinato questa passività del popolo tedesco è da rintracciare nella forte repressione esercitata attraverso lo strumento dei campi di concentramento. Inoltre rispetto all'Italia l'alleanza tra grande industria e forze armate Nell'inverno 1927-28 esplose un'acuta crisi degli approvvigionamenti di grano, a cui il regime ovviò con nuove requisizioni forzate che inasprirono nuovamente i rapporti con le campagne. Nonostante la crisi dipendesse dai bassi prezzi dei prodotti, Stalin accusò i kulaki . Secondo Stalin la lotta di classe si sarebbe intensificata con l'avanzare del socialismo e quindi bisognava usare la forza allo scopo di bruciare le tappe dell'industrializzazione. Bucharin voleva invece preservare la NEP e seguire una via più graduale, ma la “destra” buchariana venne del tutto alienata grazie al controllo totale di Stalin sull'organizzazione del partito. - INDUSTRIALIZZAZIONE E COLLETTIVIZZAZIONE - Strumento primo della nuova politica economico-sociale fu la collettivizzazione con l'obiettivo di forzare i tempi dell'industrializzazione e collettivizzare l'agricoltura. Il raggiungimento di tali obiettivi fu realizzato attraverso tre piani quinquennali: fu una rivoluzione dall'alto che impresse ritmi frenetici alla vita del paese, servendosi dell'uso dell'estrema violenza. Tra 1928-32, mentre in America ed Europa scoppiava la grande crisi, la produzione industriale sovietica raddoppiò. Con un balzo enorme allo scoppio della seconda guerra mondiale, l'URSS era la terza potenza industriale del Mondo, dopo USA ed Germania. Per quanto riguarda gli effetti sociali dell'industrializzazione gli occupanti dell'industria passarono dai 4 gli 11 milioni e la società russa fu sconvolta da un'enorme migrazione intema. La produzione di beni di consumo si ritrovò sacrificata all'industria pesante e i salari vennero ridotti da una ripresa dell'inflazione. Il risultato fu che il già basso tenore di vita della popolazione subì una drastica caduta. Alla fine del 1929 Stalin lanciò un'offensiva per la collettivizzazione forzata dell'agricoltura, tentando di costringere i contadini a entrare in aziende cooperative: i kolchoz (privati) e i sovchoz (statali). Un obiettivo di Stalin era quello di eliminare i kulaki come classe sociale. Questi risultati furono ottenuti ricorrendo a durissimi mezzi repressivi. Gli effetti economici e sociali della collettivizzazione furono disastrosi: i contadini dimezzarono le semine e ridussero il bestiame, mentre i kolchoz si rivelarono spesso inefficaci. Per sopperire alla mancanza di rifornimenti delle città si ricorse a violente requisizioni annuali destinate in parte a sfamare le città e in parte all'esportazione in cambio di macchine per l'industria. Privati di ogni diritto i contadini risposero lavorando per lo Stato il meno possibile e la produzione agricola declinò. Ma il risultato più drammatico di questa politica fu una nuova carestia che si abbatté sull’Ucraina, il Caucaso e il Kazakistan. - STALINISMO - Sotto Stalin si costruì un sistema burocratico e poliziesco. La violenza anticontadina si accompagnò infatti a un'involuzione autoritaria del partito-Stato. Al vertice, la piena assunzione del potere da parte del dittatore venne sanzionata sin dal 1929 quando Stalin fu acclamato come un genio. La fedeltà al partito era stata accresciuta prima da una “purga” che portò all'esclusione dell’11% degli iscritti. Lo stato sovietico rimodellò l’intera società con un capillare sistema di controlli che accrebbero il ruolo della polizia politica: la GPU. In fabbrica fu reintrodotto il cottimo e si fece ricorso a differenziazioni salariali per favorire uno spirito di “emulazione socialista". Nel partito il dissenso venne giudicato come una deviazione dalla giusta linea. All'inizio degli anni ‘30 acquistarono vasti consensi coloro che, contro la linea di Stalin, intendevano rallentare i ritmi dell'industrializzazione. Anche il XVII Congresso del partito preferì una crescita più moderata rispetto all'idea “superindustrialista” del dittatore per allentare le tensioni generate dal primo piano quinquennale, ma Stalin reagì come di fronte a un complotto e così si aprì una fase caratterizzata da una vera e propria autocrazia (“grande terrore"). La parola “purga”, già usata per indicare l'espulsione dal partito, acquisì un significato più sinistro dal 1936, quando fu inscenato un processo farsa contro 16 oppositori che furono tutti giustiziati. In questo periodo di epurazione trovarono la morte anche Bucharin (condannato e ucciso) e Trockij (ucciso da un sicario di Stalin inviato in Messico), oltre a buona parte della stessa dirigenza stalinista. Il sistema concetrazionario sovietico nel 1931 prese il nome di Gulag: nei campi oltre un milione di detenuti erano impegnati nella costruzione di grandi opere nelle miniere e nel taglio del legname. Questa forza lavoro schiavizzata fu impiegata in condizioni proibitive: il risultato fu un numero di morti che viene stimato intorno al milione di persone. Stalin eliminò ogni ostacolo al proprio potere, che divenne sostanzialmente illimitato. Nel 1936 una nuova costituzione, sulla carta molto avanzata, dette al terrore staliniano la copertura di una “legalità socialista”. Nel 1938 la destituzione e l'esecuzione del capo della NKVD (Commissariato del popolo per gli affari interni) Ezov segnò la fine del “grande terrore”. - POLITICA ESTERA E COMUNISMO INTERNAZIONALE - Alla conferenza di Rapallo l'URSS adottò una politica volta a normalizzare le relazioni internazionali con gli stati capitalistici, senza rinunciare al suo ruolo di centro della rivoluzione mondiale. Il principio dell'inasprimento della lotta di classe, che Stalin stava applicando con il ripudio della NEP si tradusse negli altri paesi nell'assunzione della socialdemocrazia come nemico principale della classe operaia. Nel 1929 questa svolta autoritaria si condensò nella formula del “socialfascismo” applicata ai partiti socialisti. Assorbita dalle questioni interne l'URSS entrò in un isolazionismo da cui uscì soltanto nel 1934. L'aggressività della Germania nazista e del Giappone portarono Stalin ad adottare una politica di distensione e accordo tra le potenze democratiche occidentali. La nuova politica fu detta dei “fronti popolari”, che fu ratificata al VII Congresso del Comitern con l'obiettivo della lotta per la pace contro il fascismo. Negli anni seguenti l'inefficacia dei tentativi di assicurare la sicurezza collettiva con accordi diplomatici portarono Stalin ad una ulteriore svolta nella sua politica: nel 1939 stipulò u patto di non aggressione con la Germania, il patto Molotov-Ribbentrop. Il protocollo segreto allegato al patto fissava anche le sfere d'influenza delle due potenze e assegnava all'URSS la Polonia orientale, Estonia, Lettonia, Finlandia, che rispondevano a una chiara politica estera di Stalin. Il patto gettò i partiti comunisti europei e i movimenti antifascisti nel caos e facilità l'aggressione tedesca della Polonia. Quanto al Comitern, Stalin lo sciolse nel 1943 per rassicurare gli alleati sul fatto che la rivoluzione non era più tra gli obiettivi dell’Unione Sovietica. CAPITOLO 7 TERZO MONDO TRA LE DUE GUERRE - GIAPPONE - Mentre in Europa e in Russia si combatteva, il Giappone sviluppò l'industria popolare. La popolazione era ancora in maggioranza agricola, ma crebbero le esportazioni di prodotti finiti e le importazioni di materie prime e macchinari. La pressione dei grandi gruppi industriali a favore di scelte espansionistiche cominciò a coniugarsi con una politica interna di reazione antipopolare. Il partito al potere varò una politica di forte sviluppo della flotta militare, il Giappone divenne così la terza potenza navale al mondo dopo USA e Gran Bretagna. Sul piano culturale il Giappone impugnò la bandiera del “panasiatismo”: una parola d'ordine propagandistica che puntava ad eliminare ogni influenza straniera da un Oriente unificato sotto l’autorità giapponese. Per molti aspetti la modernizzazione del Giappone avvenne seguendo i modelli occidentali: venne introdotto il suffragio universale maschile e si dette un forte impulso alla scolarizzazione primaria. A questi provvedimenti si aggiungeva il culto dell’imperatore in quanto discendente degli dei fondatori e incarnazione diretta dell'autorità divina. La crisi del ‘29 provocò anche in Oriente un crollo dei prezzi che mise in crisi lo sviluppo economico giapponese. Il ministro delle Finanze varò una politica di intervento statale svalutando lo yen. Ne risultò un rafforzamento dei legami tra industria, governo, Corte imperiale ed esercito. Nel settembre 1931 le truppe giapponesi occuparono la Manciuria. L'atto fu condannato immediatamente dalla Società delle Nazioni e nel 1933 il Giappone uscì dalla stessa. A questa radicalizzazione imperialista faceva riscontro la crescita della “azione della via imperiale” che voleva il raccordo diretto imperatore-forze armate. Nel 1932 alcuni cadetti della marina appartenenti alla fazione uccisero il Primo ministro: fu solo il primo di una serie di atti terroristici culminanti con un tentativo di colpo di Stato. L'azione fallì, ma il nuovo governo presieduto dall'ex ministro degli Esteri Hirota fu condizionato dal potere militare. Uno dei suoi primi atti fu la firma del patto Anticominter con la Germania nazista. Nel 1937 il Giappone dette inizio alla conquista della Cina. - CINA E SUD EST ASIATICO - La repubblica cinese fondata nel 1912 era uno Stato debole incapace di stabilire il proprio potere sui governi militari delle province: i cosiddetti “signori della guerra”. Erano questi a governare le campagne, in stretto rapporto con uno strato di latifondisti, a sua volta alleato con le elite straniere interessate ad esportare i prodotti cinesi. All'indomani della guerra però si verificarono dei segni di reazione: nel 1919 studenti, impiegati, commercianti manifestarono a Pechino, contro la subordinazione della Cina agli interessi stranieri e due anni dopo venne fondato il Partito comunista cinese. Il leader del Guomindang (il partito al potere) promosse una collaborazione con i partiti comunisti cinese e l'URSS, il suo successore Chiang Kai-shek lanciò nel 1926 una “spedizione verso Nord” contro i signori della guerra e conquistate Nanchino e Shangai ruppe bruscamente con i comunisti. Nel 1928 Chiang entrò a Pechino, instaurandovi un governo nazionalista e coronando almeno sulla carta il sogno di unificare la Cina. Il Partito comunista si riorganizzò nelle campagne sotto la guida di Mao Zedong e quando Chiang sferrò una serie di attacchi, i comunisti reagirono con una nuova tattica di guerriglia basata sulla mobilità e il logoramento del nemico. Nel 1934 gli uomini dell'Armata Rossa di Mao, accerchiati dalle truppe di Chiang, iniziarono la “lunga marcia” che dopo un anno li condusse nella regione settentrionale dello Shangsi imbattuti. - AMERICA LATINA - Mentre in Europa si combatteva la prima guerra mondiale, gli Stati Uniti avevano intensificato una politica di intervento militare in America Centrale. Le ragioni erano sia strategiche che economiche: la debolezza dei regimi sudamericani poneva a rischio la sicurezza militare, ma anche gli investimenti finanziari americani. Alla vigilia della crisi del ‘29 gli Stati Uniti controllavano il 40% delle importazioni di tutti gli stati latinoamericani. Il flusso commerciale però non era da considerarsi alla pari visto che gli USA scambiavano prodotti finiti con materie prime, impedendo agli stati sudamericani uno sviluppo industriale autonomo. La crisi del 1929 provocò il crollo di prezzi, esportazioni e profitti. Molti contadini e lavoratori nelle piantagioni e nelle miniere furono rovinati e spinti dalla miseria emigrarono in massa verso le città alla ricerca di nuove opportunità dando vita a un processo di urbanizzazione. Ma si trattava di un'urbanizzazione passiva, frutto di una fuga dalla povertà senza prospettive di impiego. Il risultato fu la crescita delle favelas: sobborghi costituiti da abitazioni e ripari di fortuna sprovvisti delle più elementari condizioni igieniche. La crisi determinò anche una rottura degli equilibri politici del continente. Delle 20 nazioni che ne facevano parte ben 11 conobbero un golpe tra 1930-31. In Messico salirono alla ribalta capi militari di origine contadina che introdussero il suffragio universale e avviarono un programma di riforma agraria. Inoltre con la nuova Costituzione furono nazionalizzate le risorse del sottosuolo. Quest'ultimo punto generò lunghi contrasti con gli USA che si chiusero con l'avvento alla presidenza del generale Cardenas. Il nuovo governatore rilanciò la riforma agraria e, forte del consenso popolare guadagnato, arrivò a contestare i rapporti di subordinazione economica tra il Messico e l'Occidente. Il rapporto col Messico fu risolto con il presidente Roosevelt che sostenne la necessità di una politica di “buon vicinato”. Di lì a pochi mesi (1933) questa linea sarebbe stata confermata con la firma di una risoluzione che proibisse a ogni nazione di interferire negli affari di un’altra. Le regioni centroamericane tra le due guerre furono caratterizzate da dittature (Repubblica Dominicana, Nicaragua, Cuba). Il Venezuela fondava il proprio sviluppo sull'esportazione di un solo prodotto naturale: il petrolio (scoperto nel 1910), che attrasse buona parte dei capitali nordamericani ed europei. La dittatura di Gomez aprì le porte alle compagnie petrolifere straniere, i cui rappresentati contribuirono alla stesura della legge che fissò il regime delle royalties, i diritti di concessione dei pozzi pagati in percentuale sui guadagni al governo locale. La politica rooseveltiana di “buon vicinato” creò le condizioni per un cambiamento, che appariva possibile agli stati più estesi del continente. Questa svolta assunse il volto del populismo: un progetto politico neoconservatore che intendeva ampliare le basi sociali dello Stato con la formazione di partiti di massa, o comunque con una forte mobilitazione dei ceti popolari urbani, senza intaccare il predominio della grande proprietà terriera. In Perù il progetto populista si realizzò con il Partito aprista, che tuttavia non riuscì a realizzare i suoi programmi. Maggiori successi vennero riscossi in Brasile con la presidenza di Vargas, il cui governo si avvalse dello scontro tra il Partito a carattere fascista e il Partito comunista. Repressa un'insurrezione comunista, Vargas promulgò una nuova costituzione con molti punti di contatto con i regimi dittatoriali europei. Anche in Argentina il paese fu retto da governi conservatori tra le due guerre, espressione dei grandi proprietari terrieri e dei grandi allevatori legati all'esportazione di frumento e carne sui mercati europei. CAPITOLO 9 ORIGINI WW2 - UN CONFLITTO ANNUNCIATO - La seconda guerra mondiale fu un evento largamente previsto dagli osservatori del tempo. Non mancavano dati di fatto a sostenere questa previsione: - riarmo nazista - aggressione giapponese della Manciuria - aggressione italiana dell'Etiopia - guerra civile spagnola Nella seconda metà degli anni 20 era sembrato che i problemi lasciati irrisolti dai trattati di pace potessero trovare una soluzione pacifica, ma la crisi del 1929 aveva distrutto gli spazi di collaborazione diplomatica. Per diversi motivi le potenze sembravano non poter più garantire la pace. L'impero britannica soffriva la spinta indipendentista di Gandhi in India e la sterlina aveva cessato di essere la moneta di riferimento. Gli USA avevano scelto di restringere la loro sfera d'influenza al continente americano e al Pacifico. L'isolamento dell'URSS, l'espansionismo giapponese, i movimenti anticoloniali in Asia e Africa, il populismo latinoamericano erano altri fattori importanti. In questo quadro una svolta negativa fu rappresentata dalla crisi del 1929. Il sistema finanziario interdipendente non poteva convivere con il protezionismo. A cominciare dagli Stati Uniti i maggiori paesi accentuarono la spinta protezionista. Quando infine le potenze occidentali concessero alla Germania la parità in materia di armamenti, con l'avvento del nazismo la situazione era mutata e nel 1933 la Germania abbandonò la SdA. L'ascesa di Hitler spinse Stalin a uscire dall’isolazionismo e stringere accordi con la Francia. La seconda guerra mondiale non iniziò in Europa. L'aggressione giapponese alla Manciuria ne fu infatti il primo episodio e il conflitto in Etiopia scatenato dall'Italia ne fu la conferma. Entrambi i conflitti favorirono una modifica nel sistema delle alleanze su scala mondiale. In Europa l'avvicinamento tra Germania e Italia fu sancito dalla creazione dell'Asse Roma- Berlino e dall'altra parte del mondo il Giappone non sapeva se dirigersi verso il cuore del continente asiatico (entrando in collisione con l'URSS) o puntare sul Pacifico (entrando in collisione con gli USA). Su queste basi, a far precipitare la situazione fu la determinazione di Hitler che proseguì un crescendo di violazioni delle clausole dei trattati di pace. La prima fu la coscrizione obbligatoria. L'Inghilterra, la Francia e anche l'Italia reagirono creando un Fronte che contenesse le spinte di Hitler, ma si trattava di una mossa puramente formale e priva di effetti, come chiarì la loro accettazione a far entrare le truppe tedesche nella Renania smilitarizzata. Francia e Gran Bretagna seguirono una politica di pacificazione che nei fatti accettava la Germania nazista come interlocutore più affidabile dell'URSS. Basata sul presupposto che una politica conciliante avrebbe frenato l'aggressività del nazismo. Quella politica però ne sottovalutava la vocazione bellicista. - GUERRA CIVILE SPAGNOLA - La Spagna era un paese diviso. L'incremento della domanda estera dei paesi impegnati nel conflitto aveva sviluppato la ristretta base industriale del paese, concentrata soprattutto in Catalogna, dove rifiorì un forte movimento autonomista. Il resto del territorio era dominato da un'agricoltura arretrata in mano a un'aristocrazia tradizionalista. Il ceto politico che governava il paese sotto la guida del re Alfonso XIII era espressione di un'oligarchia che si appoggiava alla Chiesa e alle forze armate. Nel 1921 una sconfitta delle truppe coloniali in Marocco aprì una grave crisi, conclusa con un colpo di stato da parte del generale Miguel Primo de Rivera con l'appoggio del re (1923). Il nuovo dittatore sciolse il parlamento, istituì la censura ed ebbe l'accortezza di non cancellare le conquiste sociali degli anni precedenti e ottenne la collaborazione del segretario del sindacato socialista Caballero. Un'ambiziosa politica di lavori pubblici ingigantì il debito statale, ma ridusse la disoccupazione e stimolò la produzione industriale. Grazie all'alleanza con la Francia Primo de Rivera riuscì a reprimere la rivolta anticoloniale in Marocco. I successi non arrestarono il malcontento da parte delle masse rurali e delle forze armate. Nel 1930 Primo de Rivera rassegnò le dimissioni e in seguito a una disfatta dei monarchici alle municipali il re abbandonò il paese. Alle elezioni del 1931 una salda maggioranza andò all’alleanza socialisti-repubblicani di sinistra. Venne così promulgata una Costituzione repubblicana che istituì il suffragio universale, sancì la libertà religiosa e introdusse la separazione tra Stato e Chiesa. Il governo guidato da Manuel Azafia sciolse l'ordine dei gesuiti, chiuse le scuole cattoliche e approvò lo statuto rivendicato dagli autonomisti catalani, che attribuiva alla Catalogna organi costituzionali propri con ampi poteri fiscali e amministrativi. Il vero nodo da sciogliere per la repubblica era la riforma agraria. La struttura sociale delle campagne era polarizzata tra un arretrato latifondo estensivo e un “minifondo” di appezzamenti poco superiori all'ettaro. Socialisti e repubblicani erano concordi sulla espropriazione delle terre, ma divisi sulla loro destinazione: collettivizzazione per i primi e assegnazione a piccoli proprietari indipendenti i secondi. Una legge di compromesso ebbe comunque effetti limitati e la repubblica perse consensi. La caduta di popolarità del governo fu chiara quando nel 1933 a Barcellona si verificò una sommossa da parte degli anarchici che si estese anche ad altre zone del paese con scioperi. Alle elezioni del 1933 le destre, alleate in un fronte unico conquistarono la maggioranza. All'aprirsi del cosiddetto “biennio nero” le sinistre risposero con scioperi generali e sotto la spinta degli anarchici e del partito comunista si accesero rivolte in varie parti del paese anche da parte dei socialisti che tentarono un'insurrezione. La rivolta ebbe successo soltanto nelle Asturie, ma venne represso nel sangue dai reparti della Legione straniera in Marocco comandati dal generale Francisco Franco. Gli insuccessi spinsero le sinistre ad unirsi in un Fronte popolare che raccolse repubblicani, socialisti, comunisti e parte degli anarchici. Alle elezioni il nuovo fronte conquistò la maggioranza. Il paese risultava spaccato in due parti, entrambe dominate dalla paura: l'una dalla reazione, l'altra dalla rivoluzione. La vittoria del fronte spinse i cattolici ad abbandonare l'idea di una conquista del potere pacifica. Questa scelta rafforzò i partiti estremi, tra i quali spiccava la Falange, fondata nel 1933 dal figlio di Primo de Rivera José Antonio, con un programma simile al fascismo italiano. Ma furono soprattutto le forze armate a rivoltarsi contro la legalità. Nel luglio 1936 le guarnigioni del Marocco comandate da Franco si sollevarono contro il governo e la repubblica dando origine a una guerra civile. essere costretto a combattere su due fronti, a occidente e ad oriente. Ne derivò l'offerta spregiudicata di un patto con il nemico naturale: l'URSS. Con il patto Molotov-Ribbentrop le due potenze definirono segretamente le rispettive zone d'occupazione. La scelta di Stalin dimostrò che l'URSS guardava alla politica internazionale e alla guerra anche alla luce di un disegno imperiale di espansione nell'Europa orientale. Basata com'era sulla previsione di una vittoria rapida tedesca e di una tenuta nel tempo dell'accordo con Hitler, fu però una scelta miope: quando la Germania attacco l'URSS nel giugno 1941, l'esercito sovietico fu volto di sorpresa. Su queste basi, il 1° settembre 1939 Hitler entrava in Polonia. Gran Bretagna e Francia dichiarino guerra alla Germania, ma due settimane dopo anche l'Armata Rossa entrò in Polonia ad est. CAPITOLO 10 SECONDA GUERRA MONDIALE - GUERRA SU DUE FRONTI - La seconda guerra mondiale si estese all'Oceano Pacifico ed ebbe nel Giappone uno degli attori determinanti. Le vittime civili salirono e si dispiegò una guerra totale che presentò tre caratteri nuovi rispetto al passato. Fu innanzitutto una guerra di movimento attraverso l'impiego di aviazione e mezzi corazzati veloci. Fu un conflitto ideologico, basato sulla contrapposizione radicale di sistemi politici. Fu infine una guerra che, non venne combattuta per spostare frontiere e guadagnare territori, ma per annientare il nemico. Globale lo fu anche perché cambiò radicalmente gli equilibri del mondo intero segnando il definitivo tramonto della centralità dell'Europa e l'inizio del predominio di Stati Uniti e Unione Sovietica. L'offensiva tedesca partì dalla Polonia e si estese alla Norvegia e la Danimarca e nel maggio 1940 si concentrò a occidente contro Belgio, Olanda e Francia. | suoi successi furono dovuti a una strategia militare pianificata da tempo: la guerra lampo. Benché Francia e Gran Bretagna dichiarassero guerra alla Germania il 3 settembre 1939 la Polonia non poté contare sul loro aiuto e dovette cedere: il 26 settembre cadde Varsavia. L'invasione tedesca segnò una prima significativa rottura delle convenzioni internazionali: le SS uccisero circa 50.000 civili, l'armata rossa, entrata in Polonia da Oriente non fu da meno. | sovietici mossero subito anche alla conquista di Ucraina, Bielorussia e Finlandia, ma la campagna di Finlandia impegnò duramente l'esercito sovietico mostrandone l'impreparazione e l'inefficienza. Il secondo passo Hitler lo mosse contro Danimarca e Norvegia. La prima non riuscì a resistere; la seconda oppose invece fino al 9 giugno una forte resistenza. A Oslo i tedeschi insediarono al potere il fondatore del partito fascista norvegese punto Sul fronte orientale questi furono i mesi della guerra farsa: gli eserciti si fronteggiavano senza scontrarsi. | tedeschi erano superiori e lo stato maggiore francese seguiva ancora gli schemi strategici del primo conflitto mondiale. L'attacco tedesco scattò il 10 maggio 1940 verso l'Olanda e il Belgio, caduti Belgio e Olanda il 20 maggio i tedeschi avevano già raggiunto la Manica costringendo alla ritirata le truppe alleate. La battaglia sul suolo di Francia si concluse rapidamente: il 14 giugno le truppe naziste occuparono Parigi, il maresciallo Pétain assunse allora la guida del governo, firmò un armistizio e la Francia fu divisa in due: il nord sotto diretto controllo tedesco, il sud e le colonie sotto l'amministrazione collaborazionista con capitale a Vichy. L'Italia entrò in guerra a cose fatte, il 10 giugno 1940 firmando anch'essa un armistizio con la Francia. Nel continente europeo la vittoria tedesca era completa. L'ultimo ostacolo rimaneva la Gran Bretagna: Londra, dove erano stati accolti i rappresentanti dei paesi sconfitti, divenne la capitale della resistenza europea al nazismo. Per fronteggiare le perdite di materiale bellico Churchill chiese aiuto agli Stati Uniti, che cominciarono a inviare armi e munizioni. Denunciata l'alleanza con la Francia collaborazionista, la Gran Bretagna ne attaccò la flotta in Algeria e instaurò un blocco navale nell'Atlantico e nel Mediterraneo. Da luglio 1940 Hitler preparò un attacco all'URSS, rinviando un piano di invasione dell'Inghilterra e puntando su una strategia di bombardamenti sull'isola. L'aviazione tedesca concentrò i bombardamenti sull'area abitata di Londra, per indebolire il morale della popolazione e costringere il governo a trattare la pace. Le cose non andarono secondo i piani nazisti grazie all'efficace difesa della versione inglese, decisiva fu la resistenza della popolazione. La battaglia d'Inghilterra segnò così una prima battuta d'arresto per la Germania. - IL CONFLITTO SI ALLARGA - La sconfitta della Francia e l'intervento dell'Italia avevano allargato l'area del conflitto, coinvolgendovi le rispettive colonie. Ancora più rilevante per l'estensione del conflitto fu l'intervento dell'Italia che aprì nuovi fronti: In Africa orientale al confine tra Libia ed Egitto e nella penisola balcanica. Le truppe italiane avanzarono in territorio egiziano, ma la loro superiorità numerica fu presto messa in difficoltà dall'artiglieria britannica. La controffensiva inglese prevalse rapidamente, arrestandosi vicino Tripoli. Quello africano non fu il solo fronte della “guerra parallela” voluta da Mussolini: all'insaputa di Hitler l'Italia invase la Grecia. Ma anche in questo caso, il suo esercito venne respinto in Albania. Nel Marzo 1941 uno sbarco britannico a Salonicco rese evidente il fallimento dell'iniziativa e costrinse Mussolini a chiedere aiuto alla Germania. La flotta italiana perse lasciando agli inglesi l'iniziativa nel Mediterraneo. L'intervento tedesco fu risolutore nei Balcani e modificò a favore dell'Asse la situazione in Africa del nord. Quando un colpo di Stato militare abbatté il governo jugoslavo la risposta nazista fu immediata: l'esercito tedesco costrinse alla resa quello jugoslavo e l'intera area passò sotto il controllo tedesco, la Grecia subì la stessa sorte. In Africa del nord il corpo di spedizione nazista si affiancò agli italiani e respinse gli inglesi oltre la frontiera egiziana. in compenso la Gran Bretagna riuscì ad allontanare dal Medio Oriente la minaccia tedesca. La controffensiva britannica costrinse inoltre gli italiani ad abbandonare l'Etiopia. Alla metà del 1941, comunque, le sorti del conflitto pendevano ancora dalla parte dell'asse. Le cose cambiarono con il coinvolgimento dell'unione sovietica e degli USA. Per Hitler l'attacco all'URSS era cruciale sul piano ideologico e coerente con l'obiettivo di aprire alla Germania uno “spazio vitale”. L'' Operazione Barbarossa iniziò il 22 giugno 1941 e il numero di vittime militari e civili sul fronte orientale superò la somma di quelle di tutti gli altri fronti di guerra. L'Armata Rossa non resse l'urto e in breve i tedeschi giunsero a poche centinaia di chilometri da Mosca. Qui l'offensiva si arrestò e, solo dopo aver occupato Kiev e l'intera Crimea, Hitler ordinò di riprendere l'avanzata verso Leningrado e Mosca, che però fu arrestata l'8 dicembre. La controffensiva sovietica, la rigidità dell'inverno e la stessa arretratezza delle vie di comunicazione della Russia annullarono le speranze di Hitler in una rapida conclusione del conflitto. La guerra si estese anche al Pacifico: il 7 dicembre 1941, senza dichiarazione di guerra, i giapponesi attaccarono la base di Pearl Harbor, dove si trovava la flotta americana .Tolta di mezzo la Marina americana i giapponesi avevano mano libera nell'Oceano Pacifico. - GUERRA IN ASIA E INTERVENTO AMERICANO - Nel 1940 il Giappone firmò un nuovo Patto tripartito con Germania e Italia, che ristabiliva le condizioni di aiuto reciproco fra le tre dittature. Diffidente nei confronti della Germania, Tokyo rimase neutrale alla guerra in Europa e all'oscuro di Hitler stipulò un trattato con l'URSS. L'intento dell'espansione giapponese era quello di risolvere il problema della scarsità di materie prime attraverso la creazione di una “Sfera di coproseprità della Grande Asia orientale”, che di fatto si tradusse in una occupazione militare a scopo economico. L'attacco a Pearl Harbor pose fine all’isolazionismo statunitense. Dopo la disfatta francese Roosevelt aveva fatto approvare la “legge affitti e prestiti” (1941) che autorizzava le forniture belliche ai paesi amici a condizioni vantaggiose. Ad agosto dello stesso anno Churchill e Roosevelt avevano firmato la Carta Atlantica, in cui venivano definiti principi e progetti per un nuovo ordine internazionale fondato su: - rifiuto delle guerre di aggressione e conquista - rispetto dell'autodeterminazione dei popoli - libera circolazione di merci e capitali - libero accesso alle materie prime Su queste basi Roosevelt fronteggiò con crescente durezza le iniziative del Giappone sul Pacifico. Tra gli effetti del coinvolgimento degli USA, che dichiararono guerra al Giappone nel dicembre 1941, vi fu quello di definire il conflitto come lotta politica tra fascismo e antifascismo. L'intervento americano costrinse Hitler a rivedere i propri piani, dando assoluta priorità alla produzione di armi. Lo sfruttamento dei paesi conquistati consentì al nazismo di non alterare particolarmente le condizioni di vita della popolazione tedesca, inoltre un'attenta politica di razionamento dei generi alimentari e il ricorso al lavoro coatto di civili deportati furono decisivi. La guerra contribuì allo spostamento graduale del baricentro economico dall'Europa agli Stati Uniti, il cui vantaggio iniziale in termini di disponibilità di materie prime e di forza lavoro venne accentuato dal fatto che, ad esclusione di Pearl Harbor, il territorio non subì alcuna distruzione durante tutto il conflitto. Inoltre le esportazioni favorirono un grandissimo sviluppo: le armi usate sul fronte occidentale erano prodotte in larga parte negli USA, il reddito nazionale statunitense crebbe, la produttività del lavoro industriale conobbe un incremento e la disoccupazione prodotta dalla crisi del ‘29 venne riassorbita totalmente. - NUOVO ORDINE EUROPEO E SHOAH - Nel luglio 1940, dopo la conquista della Francia, il regime nazista lanciò con grande rilievo propagandistico il nuovo ordine europeo: un progetto che disegnava il futuro del continente dopo la fine della guerra e riempiva di contenuti concreti la teoria dello spazio vitale, che assicurava la supremazia della razza tedesca riunita in una grande Germania. Con l'attacco all'URSS il nuovo ordine europeo si allargò a un “Piano generale per l'Est”, che programmò la deportazione in Siberia di 31 milioni di persone “razzialmente indesiderabili” dell'Est europeo. L'idea di obbligare gli ebrei a trasferirsi fuori dal Reich era impraticabile, anche perché si voleva evitare di concentrarli in un solo luogo, come la Palestina, perché si sarebbe formata una nazione ebraica inevitabilmente antitedesca. Nel 1939 fu allora disposto il trasferimento coatto degli ebrei in ghetti, recinti edificati nelle maggiori città. In breve la situazione sanitaria ed economica dei ghetti creati nelle città polacche divenne proibitiva : fu allora che per un mese, tra l'aprile e il maggio 1943, il In Europa il 1944 fu dominato dalla lenta ritirata dei tedeschi. Il 6 giugno gli alleati aprirono infine il secondo fronte con un colossale sbarco in Normandia. Le difese tedesche cedettero e ad agosto gli alleati entrarono a Parigi, dove De Gaulle costituì un governo provvisorio. Intanto i sovietici erano giunti davanti a Varsavia. Attestate nelle parti che loro restavano di Polonia, Ungheria, Italia e Cecoslovacchia, le truppe naziste tentarono un ultimo disperato attacco sul fronte occidentale ma vennero respinte. Nel Marzo 1945 gli alleati varcarono il Reno, mentre i sovietici avanzavano contro la difesa tedesca e i bombardamenti trasformavano la Germania in un cumulo di rovine. Tra la fine di aprile e i primi di maggio del 1945 giunse infine a compimento il crollo del Terzo Reich. Hitler si tolse la vita il 30 aprile. Il 7- 8 maggio la resa senza condizioni della Germania fu firmata a Reims e a Berlino, da Heisenhower e dal maresciallo sovietico Zukov. In Asia la guerra volgeva a favore degli anglo americani, ma la dispersione dei fronti li costrinse a una lenta avanzata fino alla primavera del 1945.Il 6 agosto 1945 un bombardiere statunitense sganciò la prima bomba atomica sulla città di Hiroshima. Una seconda bomba venne lanciata il 9 agosto su Nagasaki. Le vittime furono 130.000, non contando le persone morte negli anni seguenti per i postumi delle ferite e per effetto delle radiazioni. Il 14 agosto 1945 il Giappone accettò la resa incondizionata, con l'unica richiesta che l'imperatore restasse al suo posto. La bomba atomica era il risultato del cosiddetto progetto Manhattan, un piano di ricerca avviato dagli USA nel 1941 in un laboratorio segreto nel deserto del nuovo Messico. Nell immediato il possesso della bomba consegnava una posizione di leadership agli Stati Uniti. Tra l'aprile e il giugno 1945 a San Francisco i delegati di 50 paesi dettero vita all'Organizzazione delle Nazioni Unite, che mosse i primi passi nel gennaio 1946. - SCONFITTA DEL FASCISMO - All'inizio del secondo conflitto mondiale l'Italia si dichiarò “non belligerante”, pur confermando l'alleanza con la Germania. Solo dopo la vittoriosa offensiva tedesca contro la Francia Mussolini intervenne. L'inaspettato prolungamento del conîlitto relegò l'Italia in una posizione subalterna rispetto all iniziativa tedesca: la produzione bellica non bastò a colmare la debolezza militare del paese. La vita quotidiana fu profondamente alterata dalla guerra: le città perso parte dei loro abitanti a causa della minaccia dei bombardamenti. Le distruzioni, i disagi economici, i lutti, le sofferenze e la paura provocati dal conflitto determinarono un progressivo indebolimento del fronte interno: dalla seconda metà del 1942 si segnalarono crescenti ostilità per il fascismo, che aveva voluto la guerra senza avere mezzi sufficienti per combatterla. Nel marzo 1943 scoppiarono nelle città del Nord i primi scioperi dopo vent'anni. Le loro rivendicazioni erano economiche, ma avevano anche un chiaro significato politico perché quelle azioni erano sintomo dell'incapacità del regime di garantire l'ordine. Quest'ultima era la ragione principale per cui il re e i ceti dirigenti avevano sostenuto Mussolini. Ai loro occhi gli scioperi mostrarono la necessità di sbarazzarsi di lui e trattare la pace. Era tuttavia evidente la debolezza dei gruppi dell'opposizione antifascista, il fascismo cadde quindi attraverso una congiura di palazzo attualità da una parte dei dissidenti e dai vertici dell'esercito sotto la direzione della monarchia. Messo in minoranza nel Gran Consiglio, il 25 luglio 1943 Mussolini fu fatto arrestare dal re, che affidò il governo al maresciallo Pietro Badoglio. La caduta del regime fu salutata nel paese con entusiasmo e con la speranza di una rapida uscita dell Italia dalla guerra. Badoglio segui invece una linea ambigua. Venne proclamata la prosecuzione della guerra e Siri chiesero alla Germania aiuti per contrastare gli alleati (sbarcati in Sicilia). Contemporaneamente si intavolarono trattative segrete con gli anglo americani per l'armistizio: la speranza di Badoglio era che il loro appoggio salvasse governo e monarchia dalla reazione tedesca. L'armistizio fu firmato il 3 settembre 1943 e reso pubblico l'8. Di fronte al fatto compiuto Badoglio e il re fuggirono da Roma, rifugiandosi a Sud e le armate tedesche conquistarono la capitale. Il 9 settembre gli alleati sbarcarono a Salerno, ma furono contrastati dai tedeschi e il fronte si attestò sulla “linea Gustav” (da Caserta al Sangro), lasciando l'Italia centro settentrionale in mano tedesca. Intanto il Comitato di liberazione nazionale (CLN), costituito a Roma clandestinamente dai partiti antifascisti, chiamò gli italiani alla resistenza contro i tedeschi. Oltre al minuscolo partito democratico del lavoro di IVanoe Bonomi, aderirono al CLN il Partito liberale, il Partito socialista di unità proletaria, la Democrazia Cristiana (DC) fondata nel 1942 da Alcide De Gasperi, il Partito d'Azione e il Partito comunista. Uniti nella lotta al nazifascismo, questi partiti esprimevano diversi orientamenti politici. | liberali pensavano a un ritorno allo stato prefascista, mentre comunisti, socialisti e azionisti auspicavano una profonda trasformazione della società e dello Stato. socialisti e comunisti si richiamavano al modello sovietico, mentre gli azionisti si fondavano su una democrazia basata su ampie autonomie locali che correggesse gli squilibri del capitalismo. La DC si collocava invece nel pensiero sociale cattolico, interclassista e contrario a radicali trasformazioni politiche. Il sud era formalmente sotto il controllo del governo Badoglio, ma di fatto occupato dagli alleati. Soprattutto gli inglesi sostenevano la monarchia ed erano restii alla legittimazione del CLN. Quest'ultimo chiese invano l'allontanamento del re a cui attribuiva la responsabilità dell'avvento del fascismo. La situazione mutò nel marzo 1944 con il riconoscimento del governo Badoglio da parte dell'Unione Sovietica, che aprì la strada alla cosiddetta “svolta di Salerno”: sbarcato lì da Mosca, il leader comunista Palmiro Togliatti accantonò l'idea antimonarchica, rinviando al dopoguerra la “questione istituzionale”. SU tale base i partiti del CLN entrarono nel governo Badoglio per estendere l'unità del fronte antifascista senza contrastare la volontà degli alleati. Dopo la liberazione di Roma (4 giugno 1944) Il compromesso di Salerno fu confermato: al re subentrò come luogotenente suo figlio Umberto e il presidente del CLN Bonomi assunse la guida del governo, che rimase sottoposto alla tutela alleata. Nel centro nord i tedeschi avevano intanto liberato Mussolini, ponendolo a capo della Repubblica sociale italiana: uno stato collaborazionista che si insediò a Salò sul lago di Garda in contrapposizione al Regno del Sud. Mussolini riuscì a costituire un esercito cui si affiancò una milizia di partito. La rsi operò in uno stato di profonda dipendenza dai tedeschi, che adibirono le sue truppe soprattutto alla repressione della guerra partigiana e al rastrellamento degli ebrei. Dall'altra parte, il CLN organizzò formazioni partigiane costituite da militanti antifascisti, giovani renitenti alla leva e soldati sbandati. A impugnare le armi fu una minoranza che non ebbe dietro di sé l'intero popolo italiano. Ai partigiani vanno però aggiunti i militari che non si arresero dopo l'8 settembre, quelli internati nei campi nazisti e quelli del ricostituito esercito del Sud. | partiti assunsero la guida della resistenza e le formazioni partigiane si differenziarono per le linee di appartenenza politica: nonostante questo il CLN riuscì sempre a seguire una logica antifascista unitaria. Alla fine del 1944 il governo Bonomi delegò il Comitato di liberazione nazionale dell'Alta Italia (CLNAI) a rappresentarlo nei territori occupati. Il CLNAI ottenne l'appoggio degli alleati e per qualche tempo riuscì a mantenere il controllo di alcune zone libere, dove si costituirono delle “repubbliche partigiane”. Per spezzare la solidarietà tra partigiani e popolazione le truppe tedesche attuarono feroci rappresaglie e migliaia di civili vennero massacrati. Il movimento partigiano attraversò le difficoltà più gravi nell'autunno 1944, ma riuscì a superarle, preparando infine l'insurrezione nazionale in concomitanza con l'offensiva degli alleati lanciata il 1° Aprile 1945. La liberazione di alcune città del nord (Genova, Milano, Torino) prima dell'arrivo degli alleati confermò il contributo dato dalla resistenza alla vittoria. CAPITOLO 11 BIPOLARISMO E GUERRA FREDDA - SFERE D'INFLUENZA E ORIGINI DELLA GF - Il conflitto era ancora in corso quando si tennero gli incontri fra Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica, che decisero gli assetti del dopoguerra. A Teheran Roosevelt espose la teoria dei “quattro poliziotti" (il quarto era la Cina), che avrebbero dovuto reprimere ogni tentativo di alterare con la guerra gli equilibri internazionali. Quanto all'assetto dell'Europa postbellica le sfere di influenza delle potenze vincitrici furono dettate dalla situazione militare. Nell'Europa orientale l'URSS si vide riconoscere una cintura di sicurezza di “governi amici”, ossia soggetti alla sua influenza. Ciò era dovuto al fatto che l'Unione Sovietica stava pagando il tributo di vite umane più alto ed era interesse degli alleati salvaguardare la compattezza della coalizione. Gli accordi tra le tre potenze vincitrici prevedevano che gli Stati baltici imanessero all'URSS: le frontiere polacche avrebbero coinciso ad est con quelle fissate dal patto Molotov-Ribbentrop. Sulla sorte della Germania si discusse intensamente: a Teheran prevalse l'idea di smembrarla, a Yalta si decise invece di mantenerla unita dividendola provvisoriamente in quattro zone di occupazione, una delle quali affidata alla Francia. La Germania sarebbe stata inoltre gravata di pesanti riparazioni. Fu quindi creato un Consiglio di controllo che mise a punto misure per la “denazificazione” e la riconversione economica del paese. In questa fase fu costituita l'Organizzazione delle Nazioni unite. Originariamente questa era concepita come un organismo finalizzato alla salvaguardia della pace ma col tempo L'Onu estese progressivamente la propria area di intervento ad altri settori attraverso agenzie specializzate: l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), l'Organizzazione per l'educazione, la scienza, la cultura (UNESCO), l'Organizzazione internazionalele del lavoro (ILO). Ciascuna di queste agenzie operava per attuare la dichiarazione universale dei diritti umani, formalizzata nel 1948. Già all'inizio del 1946, però, cominciarono ad apparire i primi segnali di una crisi dei rapporti di collaborazione tra USA ed URSS e dell'inizio di quella che venne chiamata “guerra fredda”. Nel Febbraio 1946 Stalin parlò in pubblico della inevitabilità di un conflitto tra mondo socialista e mondo capitalista. Pochi giorni dopo un esperto del dipartimento di Stato estendersi in Indocina. In Iran il governo nazionalista tentò di nazionalizzare i giacimenti petroliferi del paese, contro gli interessi occidentali, ma venne rovesciato da un colpo di Stato aiutato dall'appoggio dei servizi segreti statunitensi. Dietro le mosse della CIA stava una nuova strategia di politica estera portata avanti dal segretario di Stato Dulles, Che opponeva alla teoria del contenimento il cosiddetto “roll back”: Una controffensiva per ridimensionare l'influenza sovietica nel mondo. AI centro di questa dottrina stava il principio della “rappresaglia massiccia” da opporre a ogni atto ostile della politica estera sovietica. La guerra fredda significa infatti un enorme corsa agli armamenti. Inoltre la sperimentazione degli ordini nucleari accrebbe la paura di un conflitto nucleare, ma la loro capacità di distruzione costituiva anche un fattore di dissuasione. I problemi trovarono nuove soluzioni con l'ingresso della Germania occidentale nella NATO e la creazione nell'ottobre 1954 dell'unione europea occidentale: un' agenzia per il controllo degli armamenti nazionali che comprendeva Germania e Italia. Lo stesso mese dell'entrata della Germania nella NATO, gli 8 paesi orientali del blocco sovietico stipularono il patto di Varsavia: un trattato di cooperazione e mutua assistenza che stabilì un comando militare unificato sotto la guida di Mosca. Gli Stati Uniti, oltre alla sistemazione del vecchio continente sotto l'egida della nato, stipularono una serie di trattati con altri paesi del mondo. La temporanea e parziale stabilizzazione di questa fase venne sancita da due conferenze internazionali che si tennero nel 1954. La prima si svolse a Berlino con la partecipazione delle Nazioni vincitrici della guerra e si concluse con un nulla di fatto. la seconda, convocata a Ginevra, fu estesa alla Cina comunista. Si raggiunse una soluzione provvisoria alla questione del Vietnam, dividendo il paese in due stati appartenenti alle opposte sfere di influenza: il nord guidato da Ho Chi-Minh, fedele al blocco sovietico, e il sud diretto dal cattolico Ngo Dinh Diem in appoggio alla residua presenza francese e alla crescente influenza americana. Erano diversi i paesi interessati a una collocazione internazionale il più possibile autonoma dai due blocchi. Nell'aprile 1955 si riunirono a Bandung i rappresentanti di 29 paesi “non allineati” di Africa e Asia. Il documento da essi sottoscritto ribadiva i principi della carta delle Nazioni unite sulla limitazione degli armamenti e l'autodeterminazione dei popoli, ma la formula del non allenamento ebbe più un valore simbolico che effettive conseguenze pratiche. - EQUILIBRIO BIPOLARE ED EUROPA UNITA - Per il blocco sovietico il 1956 fu un anno drammatico. A Febbraio il nuovo leader del Cremlino Crushev Denunciò i crimini di Stalin al congresso del partito comunista dell'URSS. A giugno nuove sommosse operaie furono represse nel sangue in Polonia e a novembre l'intervento dell’Armata Rossa pose fine a una rivolta antisovietica scoppiata in Ungheria. Nonostante il “rollback", Gli Stati Uniti rinunciarono all'intervento diretto nella crisi. La repressione sovietica raggiunse così lo scopo immediato di ricompattare il fronte interno senza mutamenti evidenti nelle politiche sociali ed economiche. Fino al 1948 la regione del Medio Oriente era stata riorganizzata sulla base di un voto preso a grande maggioranza (tranne i paesi arabi) Dalle Nazioni Unite per far posto a un nuovo stato: Israele. La nuova nazione si costituì sulla base della consapevolezza condivisa che la tragedia della Shoah a era stata resa possibile dall'assenza di uno Stato ebraico. Si realizzavano così gli obiettivi del movimento sionista, ma la nascita di Israele venne vissuta come un sopruso dagli stati arabi confinanti (Egitto, Giordania, Siria, Iraq e Libano) che attaccarono gli israeliani, ma questi ultimi ebbero la meglio. In Israele si consolidò un regime democratico parlamentare contraddistinto da un'originale esperienza di colonizzazione del deserto attraverso strutture collettivistiche. Diverso fu il percorso dell'Egitto, dove si instaurò un regime militare nazionalista guidato da Nasser. L'Egitto si rivolse agli USA per avere forniture militari, ma questi si rifiutarono per via dei loro rapporti privilegiati con Israele. Nel luglio 1956 Nasser annunciò la nazionalizzazione del canale di Suez, ancora controllato dalle truppe britanniche. Con l'appoggio di Parigi e Londra (interessate a difendere i propri interessi economici nell’area) alla fine di ottobre Israele attaccò le truppe egiziane e paracadutisti anglo- francesi vennero lanciati nella zona del canale. Ma furono gli stessi Stati Uniti a presentare all'Assemblea delle Nazioni Unite una risoluzione che chiedeva il ritiro degli aggressori. La sua approvazione sancì il totale isolamento di Israele, Gran Bretagna e Francia, riaffermando la logica bipolare. Alla presenza diretta di Londra e Parigi in Medio Oriente, si sostituì quella indiretta degli USA (attraverso il rapporto con Israele) e dell'URSS (attraverso la penetrazione negli stati arabi e la tutela del loro processo di indipendenza). La crisi di Suez riaffermò la logica bipolare, ma a rafforzarla vi furono tre ulteriori fattori. Il primo fu la crisi dell'ONU: alla fine degli anni cinquanta il massiccio ingresso nell'organizzazione dei paesi ex coloniali dette vita a una nuova maggioranza meno vicina agli USA. Maturò così un dualismo tra l'Assemblea, tendenzialmente non allineata al bipolarismo, e il Consiglio di sicurezza, di volta in volta bloccato dal diritto di veto delle due superpotenze. Di fatto, questo dualismo produsse una perdita di efficacia delle Nazioni Unite. Il secondo fattore fu l'inerzia del movimento dei paesi non allineati. Le conferenze che si tennero (al Cairo e a Belgrado) evidenziarono i limiti di un movimento troppo debole per poter rompere effettivamente gli equilibri bipolari. Il terzo fattore fu l'iniziativa europeista. Soprattutto per opera del presidente della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, il francese Jean Monnet, il processo di integrazione europea mosse i suoi primi passi. Il progetto di Monnet era quello di allargare la sfera di integrazione comunitaria dalle politiche industriali del settore siderurgico, ad altri settori chiave dello sviluppo economico. Nel 1957 furono firmati a Roma i trattati per la costituzione dell’Euratom e della Comunità economica europea (CEE). Il primo si fondava sulla previsione che la principale fonte di energia del futuro sarebbe stata quella nucleare e prevedeva che i sei stato partecipanti mettessero in comune le risorse necessarie al suo sfruttamento per scopi pacifici. Il secondo trattati istituì una commissione di nove membri con il compito di armonizzare le politiche economiche delle nazioni aderenti per liberalizzare gli scambi tra i paesi membri e programmarne le capacità produttive. Ma in realtà “l'Europa dei sei” era ancora ben lontana dall'essere un soggetto politico unitario in grado di rompere l'equilibrio bipolare. - LE CRISI DI BERLINO E DI CUBA - A partire dalla metà degli anni cinquanta USA e URSS ridussero le spese per le forze armate tradizionali, incrementando quelle dedicate a mantenere l'equilibrio del terrore atomico. Questo radicalizzarsi del confronto sulle armi atomiche non mise in discussione i confini stabiliti nella precedente fase di stabilizzazione della guerra fredda, ma l'equilibrio bipolare trovò un nuovo sfidante nella Cina popolare. La crisi del 1956, infatti aprì un conflitto ideologico tra sovietici e cinesi, con Mao contrario alla politica di coesistenza pacifica delineata da Cruscev. Il suo impegno nel movimento dei non allineati si affiancò a una politica estera aggressiva, che lo spinse nel 1950 a invadere il Tibet. Pechino mirava a sfruttare la fine della presenza francese nell'area, sfidando la logica dei blocchi contrapposti e candidandosi a guida alternativa del comunismo internazionale. L'URSS interruppe la collaborazione nucleare con Pechino e sospese tutti gli accordi tra i due paesi. L'emergere di un potenziale antagonista spinse l'URSS a una maggiore intransigenza, che si scaricò su Berlino. Nel novembre 1958 Cruscev annunciò che entro sei mesi avrebbe consegnato la parte della città posta sotto il proprio controllo alla Germania Orientale, lasciandole i diritti di transito e comunicazione. Eisenhower evitò lo scontro è invitò Cruscev negli Stati Uniti: quando la visita ebbe luogo, l’ultimatum era già in gioco ma il problema rimaneva. Gli alleati europei di USA e URSS, infatti, si sentivano sempre sicuri in una situazione nella quale l'Europa poteva diventare il campo di battaglia per le due superpotenze. La tensione aumentò ulteriormente quando un aereo di ricognizione statunitense fu abbattuto nello spazio aereo sovietico. Cruscev dichiarò di considerare le violazioni del proprio spazio aereo a scopo spionistico come atti di guerra. Un elemento di destabilizzazione emerse anche alla periferia dell'impero statunitense. L'Organizzazione degli stati americani regolava gli equilibri del continente sotto l'egida degli USA e Washington era riuscita a mantenere i regimi populisti dell'America Latina nell’abito di un rigido anticomunismo. Nel 1959 la rivoluzione castrista a Cuba mise però gli USA davanti a un bivio: sostenere gli esuli anticastristi o il nuovo regime. Eisenhower si dimostrò riluttante a seguire la seconda strada, con il risultato di spingere Castro a cercare la protezione dell'URSS, che giunse nel 1960 con un massiccio prestito finanziario. Per la prima volta il comunismo penetrava nell'emisfero occidentale. Washington reagì proclamando il divieto delle importazioni di zucchero cubano e nell'aprile 1961, sottovalutando il consenso al governo castrista, il nuovo presidente Kennedy autorizzò un tentativo di sbarco di volontari anticastristi, che fallì miseramente. Le difficoltà che ne derivarono furono sfruttate da Cruscev, che riaprì la questione di Berlino. Kennedy rispose però con durezza, anche su pressione del cancelliere tedesco- occidentale Adenauer: si recò personalmente a Berlino per difendere il principio del libero accesso alla città. La contromossa sovietica fu immediata e radicale: nell'agosto 1961 fu costruito un muro che tagliava in due Berlino. Soltanto con la repressione, le autorità di Berlino est riuscivano a bloccare le continue fuge dei cittadini che cercavano illegalmente riparo nella parte ovest. Intanto Kennedy aveva mutato strategia in America Latina, varando l'Alleanza per il progresso: un programma di aiuti economici a tutti i paesi del continente, Cuba esclusa. Dall'altra parte il patto di assistenza tra Cruscev e Castro venne esteso al piano militare con l'installazione di basi missilistiche nell’isola. Per l'URSS era un vantaggio decisivo, che alterava gli equilibri bipolari del mondo. La crisi fu risolta con un compromesso: le basi missilistiche sarebbero state smantellate e in cambio gli Stati Uniti avrebbero riconosciuto l'indipendenza di Cuba e ritirato i propri missili da Turchia e Italia. Le due crisi sottolinearono il carattere globale del confronto USA-URSS. Al tempo stesso la loro soluzione segnò una svolta nelle strategie delle due superpotenze con l'apertura di uno spazio negoziale che fu simboleggiato dal “telefono rosso” (una linea telegrafica diretta tra la Casa Bianca e il Cremlino). Gli Stati Uniti abbandonarono il “roll back" per adottare la cosiddetta “risposta flessibile”, già sperimentata nelle crisi: l'evoluzione delle CAPITOLO 12 DECOLONIZZAZIONE - MOVIMENTI DI LIBERAZIONE IN ASIA - Nel 1945, su 51 nazioni rappresentate all'ONU appena costituita, Africa Asia ne contavano rispettivamente 3 e 9. La situazione era poco mutata rispetto al 1914 e solo in minima parte era stato riconosciuto il diritto all'autodeterminazione dei popoli. Il principio del “mandato” coloniale istituito dalla Società delle Nazioni era rimasto inapplicato. L'idea di una decolonizzazione come base di un mondo futuro retto da rapporti pacifici e paritari tra gli Stati era stata riaffermata da Churchill e Roosevelt nella Carta Atlantica. A guerra finita, la Carta delle Nazioni Unite riconobbe l'esistenza dei territori non autonomi e riprese l'idea del mandato, attribuendo ai governi coloniali il carattere di amministrazioni fiduciarie temporanee. Uscite duramente provate dal conflitto, le grandi potenze coloniali di Gran Bretagna e Francia dovettero allentare il proprio controllo politico e militare sulle colonie. La prima dichiarò l'intenzione di estendere lo status di dominion del Commonwealth a tutti i suoi possedimenti coloniali. Più difficile fu il caso della Francia, che osteggiò il processo di decolonizzazione. Assai più efficace si dimostrò la nuova strategia di imperialismo informale sperimentata dagli Stati Uniti: essa puntava alla concessione di aiuti in denaro per favorire la ripresa economica e controllare in modo indiretto la vita politica e la gestione delle risorse condotte dalle elite locali. Ma Francia e Gran Bretagna non disponevano dei mezzi per sostenere operazioni simili. In realtà gli sviluppi della guerra avevano già travalicato il quadro istituzionale delineato dalle Nazioni Unite. Sia le potenze alleate sia il Giappone avevano cercato di suscitare movimenti indipendentistici con il risultato di accrescere e diffondere la mobilitazione attorno agli obiettivi della libertà nazionale e dell'autogoverno. Nel 1941- 42 Il Giappone aveva sconfitto e umiliato le potenze coloniali europee. La fine del conflitto, quindi, portò alla ribalta nuovi soggetti politici indipendentisti rafforzati dalla sconfitta del Giappone e difficilmente riconducibili sotto il controllo delle potenze coloniali. Nel 1947 la conquista dell'indipendenza da parte dell'india mostro a tutta l'Asia che l'obiettivo era concretamente raggiungibile. Di lì a poco ciò fu confermato dalla vittoria di Mao Zedong in Cina. In India l'indipendenza proclamata il 15 agosto 1947 aprì un grave problema fra la maggioranza hindu e la minoranza musulmana. Gandhi aveva sostenuto la possibilità di integrare la popolazione di fede islamica in uno stato unitario, ma la Lega musulmana rivendicava da tempo la creazione di una nazione separata. Inoltre, il regime britannico aveva alimentato le divisioni religiose per indebolire l'opposizione indipendentista. La soluzione adottata fu quella di costituire due diversi stati: l'Unione Indiana a maggioranza hindu e il Pakistan a maggioranza musulmana. Questo spinse a migrare milioni di persone, alimentando violenze tra le due religioni: le vittime furono più di un milione e lo stesso Gandhi fu assassinato da un fanatico hindu. Si trattò di una soluzione precaria perché il Pakistan era diviso in due parti separate all'interno del territorio indiano. | rapporti fra i due stati furono costellati da ripetuti conflitti e la fase più critica ebbe fine nel 1971, quando il Bengala orientale si staccò dal Pakistan costituendo il nuovo stato del Bangladesh. Per 40 anni l'India indipendente fu governata dal partito del congresso. Almeno sulla carta il sistema delle caste venne soppresso e furono stabilite l'uguaglianza giuridica dei cittadini e la parità dei sessi. Pur senza mettere in discussione l'istituto della proprietà privata, una riforma agraria limitò il latifondo e venne stabilito un ruolo attivo dello Stato che si impegnò nelle opere pubbliche. In politica estera l'India fu uno degli Stati promotori del movimento dei non allineati. Durante la guerra le Filippine avevano ottenuto dal Giappone la promessa di una piena sovranità e nel 1946 furono il primo paese asiatico a raggiungere l'indipendenza. Le Filippine inoltre furono il primo laboratorio della strategia di imperialismo informale attuata dagli Stati Uniti nel Pacifico. Contro la tutela militare ed economica degli Stati Uniti si sviluppò un movimento di guerriglia comunista, che però non riuscì mai a mutare gli equilibri politici. Il risultato fu un governo debole, retto dal partito laburista, che rimase fedele agli USA ma non riuscì a sciogliere il nodo della riforma agraria e di uno sviluppo economico autonomo. Maggiore disponibilità mostrò la Gran Bretagna nei confronti della Birmania, a cui fu promesso lo status di dominion. Gli sviluppi successivi travalicarono però ampiamente le intenzioni degli inglesi e l'Unione federale birmana non intrattiene legami con il Commonwealth. Anche qui la conquista della sovranità coincise con la accendersi nel sud del paese di un focolaio di guerriglia comunista, che le forze governative non riuscirono mai a domare completamente. Nell'Indonesia di Sukarno, proclamatosi indipendente dopo la resa giapponese, truppe anglo-australiane cercarono di restaurare il dominio coloniale dell'Olanda, ma alcune soluzioni di compromesso non dettero risultati sperati: i settori più radicali del movimento indipendentista continuarono a premere per una piena sovranità. Un governo dei soviet fu instaurato nella città di Maduin scatenando la repressione armata olandese, anche contro Sukarno. Nel 1949 il Consiglio di sicurezza dell'ONU ordinò la cessazione delle ostilità, fu allora che l'Olanda riconobbe l'indipendenza dell'Indonesia dove Sukarno edificò un regime autoritario. Le attività di guerriglia che si diffusero dopo il conseguimento dell'indipendenza rispondevano a una doppia logica. La prima era la protesta contro le ineguaglianze della società rurale, che il colonialismo aveva aggravato. L'incontro con l'economia monetaria dei paesi sviluppati e lo sviluppo di monocolture destinate all'esportazione, unite alla crescita demografica favorita dagli antibiotici e dagli insetticidi, sconvolsero infatti gli equilibri sociali delle campagne. La seconda logica era legata alla guerra fredda e all'appoggio dell'URSS, che puntava a mutare i rapporti di forza globali attraverso il sostegno politico e finanziario di questi movimenti. In alcuni casi, infine, alle ragioni sociali si aggiunsero divisioni etniche e la guerriglia fu alimentata da minoranze. - GUERRA DEL VIETNAM - A differenza della Gran Bretagna, la Francia cerco fino all'ultimo di conservare il proprio impero. La nuova costituzione francese concesse la cittadinanza anche ai sudditi delle colonie, ma evitava con cura ogni riferimento alla loro indipendenza. Il problema di questa ambiguità si pose in Indocina, dove la Francia intendeva conservare il potere su una federazione dei propri possedimenti. Nel 1945 la conferenza di Potsdam òncarico le truppe cinesi del Guomindang di disarmare i nuclei di resistenza giapponese ancora attivi nel Vietnam del nord. Per i francesi la loro presenza era una garanzia contro il predominio del Fronte per l'indipendenza del Vietnam creato dai comunisti. Con l'appoggio delle truppe britanniche i francesi avevano riconquistato il sud del paese e per tutta risposta nel 1945 il leader comunista Ho Chi-minh proclamò da Hanoi l'indipendenza del Vietnam annunciando l'elezione di un'assemblea costituente. Seguì Una trattativa che portò alla sostituzione delle forze cinesi con reparti francesi e all'apertura di un negoziato per definire la sovranità del paese conclusosi con una semplice tregua militare. | francesi presenti nel Vietnam passarono all'azione bombardando il porto di Haiphong. | reparti nord vietnamiti attaccarono allora le forze francesi, ritirandosi poi nella giungla: era l'inizio della guerra d'Indocina. Nel sud del paese la Francia nel 1949 costituì uno stato vietnamita sotto la guida del vecchio imperatore, che fu riconosciuto da Stati Uniti e Gran Bretagna. La Francia tentò un'estrema soluzione militare, lanciando un' offensiva in tutta l'Indocina e costituendo un caposaldo nel cuore delle zone controllate dalla guerriglia. Le truppe nord vietnamite circondarono però i soldati francesi della base, che capitolò nel 1954 dopo violenti combattimenti. Nello stesso anno la conferenza internazionale di Ginevra cercò di trovare una soluzione negoziata alla guerra di Corea e Vietnam. Cina e Unione Sovietica riuscirono a imporre la presenza della Repubblica del Vietnam del nord, ma premettere su Ho Chi-minh perché accettasse un compromesso che dividesse il paese in due stati indipendenti. Gli accordi di Ginevra proibivano i due stati la stipula di alleanze militari e prevedevano lo svolgimento di elezioni nella prospettiva di una pacifica riunificazione, ma nessuno rispettò queste condizioni. Nel nord si avviò un'involuzione autoritaria che vide la nascita di un regime a partito unico. mentre nel sud si aprì una fase di instabilità politica che portò al rovesciamento del vecchio imperatore e alla proclamazione di una Repubblica, che rimase costantemente travagliata da lotte tra le fazioni politiche e religiose. Nel 1960, dopo un golpe militare che restaurò il potere del presidente Diem, alcune delle fazioni si riunirono con il nome di Vietcong nel Fronte di liberazione nazionale del Vietnam del Sud. L'anno dopo i Vietcong lanciarono un' offensiva armata a sud che provocò l'immediata reazione degli Stati Uniti. Kennedy inviò alla capitale del Sud ingenti quantitativi di armi e denaro e il risultato fu un'energica attività anti guerriglia contro i Vietcong. Ma la politica religiosa del cattolico Diem contro i buddisti portò all'occupazione di alcuni templi e all arresto di molti monaci, alcuni dei quali si dettero fuoco pubblicamente per protesta. Questa estrema forma di opposizione non violenta screditò diem che fu rovesciato e ucciso da un altro golpe militare. Niente riuscì comunque a frenare l'offensiva dei Vietcong. Per non perdere la loro ultima base nel sud est asiatico agli Stati Uniti non rimaneva che l'intervento diretto. Nel 1964 uno scontro navale nel Golfo del tonchino provocato dalla Marina degli Stati Uniti segnò l'inizio della guerra del Vietnam. Il nord del paese viene sottoposta a pesanti bombardamenti aerei. Nel 1968 l'esercito nordvietnamita lanciò una controffensiva che risultò inutile sul piano militare ma fu decisiva per convincere gli Stati Uniti che una vittoria sarebbe stata pagata un prezzo troppo alto. Washington annunciò la fine dei bombardamenti e la volontà di arrivare al più presto ai negoziati di pace. Il nuovo presidente degli Stati Uniti Nixon portò avanti il ritiro delle truppe completato nel 1973. La guerra civile vietnamita proseguì fino al 1975 quando le forze del nord conquistarono la capitale del Sud e unificarono il paese. Il fallito tentativo di sbarco nella Baia dei Porci non fece che radicalizzare le posizioni di Castro. Quando tutti i paesi latinoamericani firmarono con gli Stati Uniti la carta dell'Alleanza per il progresso Cuba la respinse. Nel 1962 l'isola fu espulsa dalla conferenza degli stati americani. La logica della guerra fredda condizionò dunque profondamente le scelte del regime castrista, che accentuò la propria politica repressiva attraverso un controllo poliziesco su ogni forma di dissenso e riservando all'esercito un ruolo molto importante. Cuba fu l'unico paese in tutta l'America Latina capace di sconfiggere l'analfabetismo e di strutturare un efficace sistema sanitario gratuito, tuttavia la base produttiva rimase dominata dalla monocultura dello zucchero e il reddito medio rimase stagnante mentre quello di molti altri paesi latinoamericani cresceva, anche grazie agli aiuti statunitensi. Nel 1975 una nuova costituzione conferì più ampi margini di autonomia alle amministrazioni locali che favorirono una significativa crescita economica. La vittoria della guerriglia castrista affascinò i movimenti rivoluzionari latinoamericani, che negli anni 60 e 70 ne trassero ispirazione diretta. Questo fascino fu simboleggiato dalla figura di Ernesto Che Guevara, Un medico argentino compagno d'armi di Castro, morto in uno scontro con le truppe boliviane. Nonostante questo in gran parte dell'America Latina la guerriglia rimase minoritaria e svolse un ruolo di destabilizzazione, contribuendo a orientare consistenti settori delle classi dirigenti a favore di governi autoritari. Negli anni 60 e 70 questa reazione ebbe come protagoniste le forze armate, che assunsero il potere in numerosi stati latinoamericani molto spesso con l'appoggio degli Stati Uniti. Anche paesi dalle tradizioni parlamentari ormai consolidate caddero sotto il controllo delle forze armate. Esemplare e particolarmente violento fu il golpe operato in Cile nel 1973 dal generale Augusto Pinochet, che rovesciò con il diretto appoggio degli Stati Uniti il governo di unità popolare costituito dal socialista Salvador Allende. Alla metà degli anni 70 le istituzioni rappresentative e la democrazia erano quasi completamente scomparse dal continente latinoamericano. Soltanto il Messico mantenne un'eccezionale stabilità anche governativa. CAPITOLO 13 OCCIDENTE - GOLDEN AGE - Il mutamento intervenuto nelle relazioni internazionali, l'avvento del sistema bipolare e il dispiegarsi del processo di decolonizzazione sono stati fattori di un nuovo ciclo di globalizzazione. Dalla fine del secondo conflitto mondiale all'inizio del XXI secolo quel ciclo fece registrare un incremento costante di tutti i suoi indicatori. Al suo interno, tuttavia, è possibile individuare due fasi diverse. in quella che non a caso è stata chiamata Golden age, fino al 1973, si verificò uno sviluppo economico impetuoso che non fu interrotto da alcun momento di stasi o di crisi congiunturale. Questa crescita assolutamente eccezionale interessò soprattutto i paesi a capitalismo sviluppato, accentuando così la tendenza a uno sviluppo diseguale e aggravando le distanze fra nord e sud del mondo. Il Giappone fu lo stato che registrò lo sviluppo maggiore, seguito dall Europa occidentale. Gli Stati Uniti crebbero meno in quanto economia matura e perché aveva sofferto meno le distruzioni della guerra. un forte sviluppo caratterizza invece l'URSS e i paesi dell'est europeo, Ma questo risultato fu ottenuto mediante una pianificazione centralizzata che privilegiò l'industria pesante a scapito dell'espansione dei consumi. Il tenore di vita dei cittadini per cui rimase molto inferiore a quello dei paesi occidentali. In Occidente l'idea di un'età dell'oro fu giustificata da tassi di inflazione non elevati, da un contenuto debito pubblico e soprattutto da uno stato di piena occupazione. Specie in Europa alla crescita impetuosa dell'economia si accompagnò una forte riduzione delle disuguaglianze nella distribuzione dei redditi grazie al welfare state. Il boom di questi paesi fu reso possibile da un elevato livello di cooperazione ed a una notevole stabilità monetaria. Questo aspetto aveva la sua origine decisioni prese dagli alleati quando la seconda guerra mondiale era ancora in corso. Nel 1944 una conferenza angloamericana svoltasi a Bretton Woods aveva definito il sistema economico e monetario internazionale del dopoguerra. la stabilità degli scambi internazionali era stata garantita dall'adozione del sistema monetario del Gold dollar standard, basato sulla convertibilità del dollaro in oro, gli Stati Uniti avevano assunto il proprio ruolo di superpotenza economica soppiantando definitivamente la Gran Bretagna e la sterlina. Erano stati inoltre creati un Fondo monetario internazionale per regolare le crisi delle valute nazionali e una Banca Mondiale per promuovere lo sviluppo dei paesi più arretrati. Queste misure favorirono un eccezionale sviluppo del commercio internazionale e l'espansione economica si accompagnò così a un accentuato processo di intemazionalizzazione. La politica di cooperazione venne perseguita attraverso una serie di organismi: - General agreement of tariffs and trade - organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo - comunità europea del carbone e dell'acciaio - comunità economica europea Alla Golden age contribuirono diversi fattori. Il primo fu la grande disponibilità di manodopera industriale a basso costo: la meccanizzazione dell'agricoltura infatti lasciò senza lavoro milioni di persone determinando gigantesco processo migratorio dalle campagne alle città. Il secondo fattore fu il divario tecnologico che divideva gli Stati Uniti dal Giappone e dall Europa: importazione del modello americano permise a questi paesi di conseguire forti aumenti di produttività, In Europa infatti si diffuse il fordismo. Un terzo fattore fu costituito dai benefici effetti del coinvolgimento dello Stato nell'economia con la fermarsi di politiche keynesiane: per cui lo stato non doveva sostituire l'economia di mercato con un'economia pianificata, come nei paesi dell'est, ma regolamentarla facendolo funzionare al meglio e riducendo le disuguaglianze dei redditi. fu il periodo in cui il welfare state toccò il suo apice. infatti lo stato intervenne attraverso politiche di redistribuzione del reddito e di difesa dei ceti più deboli sviluppando il cosiddetto “Stato sociale”. La fine di questa eccezionale fase di espansione viene di solito fissata al 1973, quando l'OPEC (cartello dei paesi produttori di petrolio) quadruplicò il prezzo. Si trattò di una decisione politica, presa per danneggiare i paesi favorevoli Israele che aprì una prolungata fase di crisi economica mondiale perché tutti i paesi industrializzati, esclusi Stati Uniti e Unione Sovietica, importavano quasi per intero questa fonte di energia. Già prima dello choc petrolifero del 1973 il Meccanismo che aveva governato lo sviluppo dell occidente aveva dato segni di crisi: il più evidente dei quali fu la fine del sistema del Gold Dollar standard. nel 1971 gli Stati Uniti posero fine alla convertibilità del dollaro in oro e con essa al modello di cooperazione internazionale. Provati dalla guerra del Vietnam, per bloccare l'inflazione, gli Stati Uniti avviarono infatti una politica di protezionismo doganale. La crescita di nuove grandi potenze economiche come il Giappone la Germania fece sì che alla solitaria leadership statunitense si sostituisse una sorta di monopolio a due dando luogo a un sistema sai più instabile di rapporti economici e monetari. Vennero inoltre meno due fattori trainanti dello sviluppo industriale post bellico, quali la riserva di forza lavoro a basso costo e lo stimolo costituito dal gap tecnologico fra Europa e Stati Uniti. in alcuni casi a tutto ciò si aggiunge una sorta di involuzione delle politiche keynesiane: le scelte produttive furono subordinato a logiche politiche e si diffuse una modalità di gestione della cosa pubblica tali da inquinare profondamente la politica e non consentire più allo stato di correggere le problematiche dell'economia di mercato. L'impetuosa crescita economica ebbe effetti molto pesanti sull'ambiente, accentuando la pressione umana sulle risorse naturali non rinnovabili e aggravando l'inquinamento del pianeta. - AMERICAN WAY OF LIFE - La guerra aveva lanciato l'economia degli Stati Uniti a una velocità esorbitante, mentre il 15% della popolazione rimaneva sotto la soglia della povertà ed era costituita per la maggior parte da persone di colore che in molti stati del Sud subivano la segregazione razziale ed erano escluse dai diritti elettorali. La pace fu seguita da una forte inflazione: i prezzi aumentarono e un'ondata di scioperi rivendicò aumenti salariali. Truman reagì richiamandosi al New Deal rooseveltiano e nel 1945 lanciò il Fair Deal: un piano che prevedeva l'aumento dei minimi salariali, lo sviluppo dell'edilizia popolare ospedaliera e l'estensione delle leggi di assicurazione. la minoranza repubblicana però si oppose denunciando presunte infiltrazioni comuniste e riconquistando la maggioranza in Parlamento. Indebolito da questo risultato, il presidente si adeguò allo spostamento a destra dell'opinione pubblica. Venne lanciato nel 1947 un programma di indagini personali contro i potenziali sovversivi fra i dipendenti pubblici creando una spirale di sospetti che incrinò il sistema democratico. Nel 1947 nonostante il veto del presidente il congresso approvò un atto che limitava i diritti sindacali e la libertà di sciopero, ma nonostante questo il voto dei sindacati consentì a Truman di sovvertire i pronostici e battere i repubblicani nelle elezioni del 1948. Il recupero di un'esigua maggioranza democratica in Parlamento non bastò a far passare il Fair Deal. Nel contesto della guerra fredda un acceso anticomunismo accomunava comunque i due partiti. La bomba atomica sovietica e la guerra di Corea alimentarono ancora le ansie del paese, che trovarono il portavoce più importante nel senatore Yoseph McCarthy. Questi si disse in possesso di una lista di agenti comunisti infiltrati nel dipartimento di Stato e scatenò una vasta campagna inquisitoria .l repubblicani se ne valsero per tornare al potere dopo vent'anni portando alla presidenza l'eroe della seconda guerra mondiale, il generale Eisenhower. La guerra di Corea stimolò un nuovo ciclo di sostenuta crescita economica E ne fu avvantaggiato in primo luogo il complesso militare- industriale: il suo punto di forza fu imponente aumento dei consumi e dei servizi privati. Nel 1954 l'indice della borsa di Wall Street tornò ai livelli precedenti la crisi del 1929, mentre l'industria automobilistica e aeronautica conoscevano un vero boom. Si rafforzò la tendenza alla concentrazione e parallelamente si concentrarono anche le forze sindacali. Nella visione di de Gaulle La Francia doveva compensare la perdita dell'Algeria riacquistando un ruolo di grande potenza in Europa. Per il presidente francese l'integrazione economica non era sufficiente: per esercitare davvero un ruolo autonomo l'Europa doveva possedere un apparato di difesa militare indipendente da quello statunitense, l'idea era quella di un Europa fondata sull'asse Franco- tedesco piuttosto che su quello con gli Stati Uniti. Perciò si oppose all'ingresso nella CEE della Gran Bretagna, considerata una sorta di alleato speciale degli Stati Uniti, e ritirò le proprie truppe dalla NATO. La politica di De Gaulle rimase però isolata e non conseguì risultati di rilievo, da cui derivò un progressivo indebolimento del presidente. - RIVOLUZIONE LABURISTA IN UK - La Gran Bretagna aveva perduto il suo ruolo di potenza mondiale. Alle elezioni del 1945 gli inglesi posero fine al governo di Unione nazionale di Churchill e premiarono il partito laburista. Il nuovo governo fu incentrato su un importante intervento statale che cambiò il volto del paese. Fu creato il servizio sanitario nazionale e le assicurazioni furono estese, mentre l'edilizia popolare fu sviluppata e nazionalizzata. Gli effetti positivi della ripresa economica si fecero sentire solo quando il consenso laburista era già in calo: infatti nel 1951 Churchill tornò al potere. Il governo conservatore rese di nuovo l'industria privata, ma lasciò intatta la struttura del welfare state laburista. negli anni della guerra di Corea dovete però far fronte a un nuovo aumento delle spese militari e dotò il paese della bomba atomica. Nel 1955 Churchill si dimise e l'abbandono delle posizioni coloniali creò seri problemi di riconversione all'industria inglese. Anche per questo la Gran Bretagna preferì restare fuori dalla Comunità economica europea, dando vita nel 1959 a un'area di libero scambio con Svezia, Svizzera, Norvegia, Danimarca, Austria e Portogallo. Ma la situazione interna rimase difficile e il governo conservatore faticava a mantenere il favore dell'opinione pubblica, intanto il partito laburista si ridimensionava e nel 1964 costituì un nuovo governo. Questo si trovò subito alle prese con una preoccupante decisione economica: il nuovo presidente propose una politica di austerità e sacrifici, ma l'apparato industriale e la rete dei servizi pubblici non erano più in grado di sostenere la ripresa produttiva del paese. Nonostante questo ottenne importanti successi sul piano dei diritti civili, abolendo la pena di morte e liberalizzando il divorzio e l'aborto. Parallelamente maturò nel partito laburista un orientamento favorevole all'ingresso nella CEE, che si sarebbe concretizzato nel 1973. Alle lezioni del 1970 il partito conservatore ritornò al potere. - EUROPA MEDITERRANEA - Italia a parte, l'Europa meridionale faceva eccezione nel quadro politico dell'Europa occidentale, con due regimi dittatoriali sopravvissuti alla guerra in Spagna e Portogallo e una fragile democrazia in Grecia. Alcuni storici considerano il franchismo spagnolo un regime solo in parte aderente al modello fascista: in effetti il franchismo combinò il principio del capo con un equilibrio dinamico tra diversi e più antichi pilastri della società spagnola, assegnando un ruolo primario ai militari. La sua cultura nazionalista non conobbe gli estremi razzisti e imperialistici del fascismo e del nazismo, ma represse con brutale sistematicità ogni forma di opposizione politica. Nel 1947 Franco restaurò la monarchia, ma si riservò il ruolo di reggente a vita e la scelta del proprio successore. Per decenni la Spagna visse all'ombra del resto del mondo: il latifondo impedì il pieno dispiegarsi di un industria moderna. In questo equilibrio irruppe l'azione terroristica di un gruppo che rivendicava l'indipendenza delle province basche. Nel 1975 Franco morì e il potere passò al nipote di Alfonso XIII, Juan Carlos di Borbone, designato come suo successore. Il giovane re aprì la strada alla democrazia. In Portogallo la fine della guerra vide una formale liberalizzazione del pluralismo politico, che tuttavia si risolse in un prolungamento del potere personale di Salazar. Dopo la sua morte, la concessione di modesti margini di autonomia alle colonie da parte del suo successore non risolse il problema della loro indipendenza. Un movimento di ufficiali democratici effettuò un colpo di Stato e concesse subito l'indipendenza alle colonie. Dopo un contrastato periodo di transizione nel 1976 nuove elezioni libere dettero la vittoria al partito socialista e venne approvata una nuova costituzione repubblicana. All'altro estremo del continente l'area di influenza occidentale venne completamente definita nel 1952 quando Grecia e Turchia entrarono insieme a far parte della NATO. In Grecia la cacciata dei tedeschi non aveva pacificato il paese, gli accordi internazionali assegnavano la Grecia alla sfera di influenza occidentale e le forze di occupazione appoggiarono la destra monarchica reprimendo il movimento partigiano comunista. La sconfitta dei comunisti aprì la strada a una lunga sequenza di governi conservatori che non riuscirono a dare stabilità politica al paese. Nel 1967 il colonnello Papadopoulos rovesciò il governo con un colpo di stato e arrestò i leader delle opposizioni di sinistra. - GIAPPONE - Dopo la resa alle truppe alleate il paese venne posto sotto il governo del Supreme Command of the Allied Powers (SCAP) guidato da MacArthhr. Le prime scelte dello SCAP garantirono una continuità di governo con il passato: l'imperatore, la burocrazia e gli ufficiali di polizia rimasero al loro posto e ad essere curati furono gli alti gradi militari. Furono liberati i prigionieri politici, restaurati i diritti civili e sindacali, restituito alla legalità il partito comunista, sciolta la polizia segreta, cancellata la adesione obbligatoria allo scintoismo. Nel 1946 l'imperatore annunciò la propria rinuncia all'origine divina e nello stesso anno entrò in vigore una nuova costituzione ispirata al modello americano che trasferiva la sovranità al popolo. La liberalizzazione della vita politica rafforzò soprattutto i sindacati. Furono approvate delle leggi di sostegno al decentramento industriale e la situazione sociale del paese fu però sul punto di sfuggire di mano alle forze di occupazione americane, vista la crescita della conflittualità sindacale. Lo SCAP corse ai ripari con un provvedimento che proibiva lo sciopero generale. A dispetto delle apparenze, la rottura provocata dal regime di occupazione si rivelò meno pronunciata sul piano dell'apparato statale e della vita politica. In complesso venne epurato lo 0,3% della popolazione e la burocrazia civile prebellica ne uscì rafforzata. Le prime elezioni politiche svolte nel 1946-47 conferirono ai socialisti il ruolo di primo partito con vantaggi minimi sul partito liberale e sul partito democratico: fu quindi creato un governo di coalizione tra liberali e democratici e sostenuto dal partito socialista. Anche al Giappone la guerra fredda impose un ruolo strategico di baluardo filoamericano contro Cina e Unione Sovietica. Washington sviluppò una politica di aiuti economici per portare l'ex nemico nella sfera di influenza occidentale e farne un nuovo mercato per i prodotti e in particolare per le eccedenze agricole americane. Furono i partiti moderati a beneficiare dei progressi conseguiti grazie agli aiuti americani: alle elezioni del 1949 il partito liberale e quello democratico ottennero la maggioranza assoluta inaugurando un'era di stabilità governativa destinata a durare fino agli anni 90. Di lì a poco gli Stati Uniti rinunciarono i propri crediti di guerra e i due paesi firmarono un patto di sicurezza reciproca che ratificava la presenza di basi militari americane vietando qualsiasi altra installazione militare sul suolo giapponese. Dal 1950 il 1973 lo sviluppo economico del Giappone fu di gran lunga il più impetuoso del mondo. Molti osservatori hanno attribuito questi successi a un retroterra culturale sconosciuta ai paesi occidentali: Una morale di lealtà e obbedienza che favoriva la collaborazione e il sacrificio in vista del bene comune. Lo stesso fondamento del sistema capitalistico, la libera concorrenza, ne risultò intimamente trasformato: i rapporti tra aziende erano regolati anche da obblighi morali che vincolavano al soccorso dell'impresa in difficoltà. Altri aspetti del miracolo giapponese furono invece più simili a quelli occidentali. Infatti si verificò un espansione preponderante dell'industria, del commercio e dei servizi rispetto all'agricoltura. CAPITOLO 14 ITALIA REPUBBLICANA - NASCITA DELLA REPUBBLICA - In Italia la ripresa postbellica pose con forza il problema di un' integrazione delle masse popolari nelle istituzioni politiche, che si tradusse in una ascesa dei grandi partiti di massa. Per la prima volta nella storia l'Italia si dette una Costituzione. Ma l'Italia del 1945 era anche un paese profondamente diviso. Nel meridione l'autorità della monarchia non era mai venuta meno e la presenza dei partiti antifascisti era più dispersa e frammentata. Nel nord la lotta partigiana aveva invece conferito grande autorità alle forze del CLN, incutendo la paura di un governo di sinistra negli industriali e agrari. Nel 1943 il Partito comunista d'Italia diretto da Palmiro Togliatti si era ribattezzato Partito comunista italiano (PCI) e il Partito socialista guidato da Pietro Nenni aveva preso il nome di partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP). La Democrazia Cristiana (DC), costituita nel 1942, si proponeva di organizzare politicamente i cattolici e anche il Partito d'azione (PdA) era nato nel 1942. La destra dello schieramento politico era occupata dal Partito liberale ed alla Democrazia del lavoro. Il 1944 era stato infine ricostituito a Roma un sindacato unitario, la Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL). Nel giugno 1945 si costituì il governo Parri. Nei sei mesi della sua permanenza al governo egli tentò di affrontare le emergenze più gravi: tassazione dei profitti di guerra, epurazione dei dirigenti pubblici e privati legati alla dittatura, ristabilimento del potere centrale sull'Italia del nord. tranne l'ultimo, nessuno di questi obiettivi venne tuttavia raggiunto a causa delle divisioni tra i partiti e della disorganizzazione della macchina Statale. A novembre dissidi sulla data in cui tenere le prime elezioni politiche provocarono la caduta di Parri e la sostituzione con De Gasperi. Il nuovo presidente del consiglio offriva agli alleati migliori garanzie di mantenere l'Italia nella sfera di influenza anglo americana. Già nel corso del conflitto i contadini meridionali avevano rivendicato una redistribuzione della terra. Una serie di decreti cercò di favorire l'assegnazione del latifondo ai contadini, ma i grandi proprietari terrieri si opposero. il potere politico e sociale di coloro che avevano dominato il sud del paese fu gradualmente sostituito da un nuovo potere: quello dell'esponente locale del partito di governo, in grado di erogare le risorse provenienti dal potere centrale in cambio di un appoggio clientelare in termini di voti e consenso. A porre le basi di questo nuovo potere concorsero componenti della democrazia cristiana che non si identificavano con la leadership di De Gasperi. Gli atti promossi da questo gruppo riguardarono i piani per l'edilizia popolare e l'istituzione della Cassa per il Mezzogiorno nel 1950. A quest'ultima fu affidato il compito di finanziare gli interventi necessari per dotare il sud del paese di infrastrutture. La gestione delle risorse destinate a finanziare tali interventi fu rapidamente sottratta al controllo del Parlamento e contribuì a creare una base di consenso attorno al ceto di governo, che nei decenni seguenti scivolo sempre più palesemente verso forme di corruzione. Quello fu però anche l'unico periodo della storia d'Italia in cui la distanza tra sud e nord si ridusse. La crisi del rapporto fra la Democrazia cristiana i grandi proprietari terrieri causa della riforma agraria aprì uno spazio all'iniziativa dei partiti di destra. De Gasperi per affrontare queste difficoltà predispose una riforma elettorale che sigillasse la maggioranza centrista con una solida base parlamentare, assegnando un consistente numero di seggi allo schieramento che avesse superato il 50% dei voti. Nonostante l'opposizione delle sinistre la riforma venne approvata, ma le elezioni segnarono la sconfitta del disegno degasperiano. | partiti di centro mancano la maggioranza assoluta e decisive furono alcune piccole formazioni di centro sinistra come Unità Popolare sotto la guida di Parri. La Democrazia cristiana perse molti consensi a favore dei partiti di destra, mentre PSI e PCI migliorarono le loro posizioni. La seconda legislatura si aprì quindi nel segno dell'incertezza. Il rafforzamento dei partiti di sinistra rendeva fragile un'alleanza tra DC e destra, mentre gli equilibri internazionali con la guerra di Corea impedivano ogni apertura a sinistra. Nel 1954 alla morte di De Gasperi alla guida della DC salì Fanfani. Nel 1952 fu costituito l'Ente nazionale idrocarburi (ENI), Che esemplifico il processo di crescita di un nuovo capitalismo saldamente legato alle istituzioni e ai partiti, ma capace di muoversi in modo competitivo sul libero mercato. Ne derivò un'espansione del settore dell'industria di Stato, che venne centralizzato in un apposito ministero delle Partecipazioni statali. nel settore privato ebbero un ruolo importante la FIAT, la Olivetti e altre aziende che fecero dell'Italia un importante produttore mondiale di elettrodomestici. - MIRACOLO ECONOMICO - Nella seconda metà degli anni 50 la struttura produttiva del paese conobbe una profonda trasformazione. Tra il 1951 e il 1961 gli addetti all'agricoltura calarono al 29% della forza lavoro e gli addetti all'industria e ai servizi che ebbero due milioni di unità. Questo vistoso aumento non fu sufficiente a compensare la perdita di posti di lavoro nell'agricoltura, il processo di industrializzazione rimase inizialmente concentrato nel “triangolo industriale” Torino-Milano-Genova, si estese poi al Veneto e all'Emilia ma non toccò in profondità il Mezzogiorno. Con la guerra di Corea si era avviato un ciclo economico di rialzo dei prezzi, che aveva investito l'intero mondo occidentale a partire dagli Stati Uniti. L'Italia partecipò al generale sviluppo economico dei paesi industrializzati e in particolare si affermò nel mercato mondiale dei beni di consumo durevole e nel settore chimico e petrolchimico. Il carattere squilibrato dello sviluppo italiano fu testimoniato dai flussi migratori interni. Una quota minoritaria ma significativa si mosse dal sud verso il triangolo industriale, ma di gran lunga maggiore fu la quota dei migranti meridionali che si spostarono l'interno del Sud Italia dalle campagne verso le città avviando lo spopolamento delle aree agricole montane. Alla divisione delle famiglie si aggiunse la impoverimento della società locale. Crebbero quartieri-dormitorio popolati da immigrati meridionali che suscitarono problemi di integrazione sociale. Nell'Italia centrale la mezzadria entrò in crisi: le giovani generazioni abbandonarono la campagna per trovare nuovi impieghi ma, a differenza del nord, questo spostamento di popolazione non produsse una congestione urbana e anzi si diffuse sul territorio dando vita a una sorta di “campagna urbanizzata”. Si verificò una grande mutazione dei valori e dei miti dell'Italia intera. Tradizioni, riti e costumi del mondo contadino si avviarono verso la scomparsa, sostituiti da comportamenti e abitudini del mondo cittadino, industriale, Moderno, sul modello americano. Medium determinante di questa mutazione fu la televisione: attraverso di essa la lingua italiana si affermò definitivamente nell'uso, affiancandosi ai dialetti. Nuovi status-symbol si affermarono nell'uso comune e per la prima volta i giovani costituirono un segmento di mercato con gusti e consumi culturali propri. Al tempo stesso, però, la spinta di quegli anni si esaurì rapidamente, come mostra un forte calo degli investimenti in impianti e in macchinari. - ANNI SESSANTA E CENTROSINISTRA - Sul piano politico il governo centrista impose una fase di blocco. A farle superare intervenne il mutare degli equilibri internazionali: il cauto disgelo dei rapporti tra USA e URSS Rese possibile l'apertura di una nuova fase politica. la denuncia dei crimini di Stalin e l'invasione sovietica dell'Ungheria determinarono una rottura nei rapporti tra il PSI, che denunciò l'intervento sovietico, e il PCI, che ribadì il suo legame con Mosca. Nella nuova situazione si cominciò allora parlare di “apertura a sinistra”, cioè di una collaborazione governativa tra DC e PSI. Il nuovo Papa Giovanni XXIII Affermò la concezione di una chiesa più collegiale e aperta alle altre confessioni e al mondo laico, inoltre testimonia l'impegno della Santa sede per la pace nel mondo attraverso il superamento della guerra fredda. Con la presidenza Kennedy gli Stati Uniti attenuarono la loro intransigenza nei confronti di uno spostamento dell'Italia a sinistra. I due partiti socialisti si riavvicinano rivendicando la sostituzione del centrismo con una nuova alleanza politica tra DC, partiti minori di centro e PSI, detta centrosinistra. La reazione delle forze conservatrici fu però molto aspra e nel 1960 il Partito liberale uscì dalla maggioranza per costringere la Democrazia cristiana a una resa dei conti interna che bloccasse la prospettiva del centrosinistra. Ne seguì un governo “monocolore” democristiano guidato da Tambroni. La crisi politica che allora si aprì si concluse con la secca sconfitta delle destre: Tambroni si dimise e Fanfani costituì un nuovo governo con l'astensione dei monarchici e dei socialisti. Il segretario della democrazia cristiana Aldo Moro, definì il governo delle “convergenze parallele" alludendo al cauto spostamento a sinistra del suo partito. Tale prospettiva fu confermata dalla formazione di un nuovo governo Fanfani con l'astensione del PSI, i socialisti entrarono nel nuovo esecutivo costituito da Moro nel 1963. I nuovi governi si proposero di sviluppare l'intervento dello Stato, a partire dalla nazionalizzazione dell'energia elettrica. Questa avvenne nel 1962 attraverso la costituzione di un apposito ente statale, l'ENEL (Ente nazionale per l'energia elettrica). La seconda importante riforma riguardò la scuola. Con l'istituzione della scuola media unica, nel 1962 l'obbligo scolastico fu portato a 14 anni e vennero cancellate le scuole medie professionali. Il tradizionalismo e l’autoritarismo della scuola rimasero inalterati e una severa selezione non smise di colpire i figli dei ceti più disagiati, ma la riforma fu una scelta importante a favore della scolarizzazione di massa. | limiti del centrosinistra emerso a pieno alla metà del decennio, quando l'economia entrò in una fase di rallentamento che ridusse le risorse necessarie a continuare sulla strada delle riforme. Gli impegni di grande rilievo annunciati dai governi presieduti da Moro non ebbero mai concreta attuazione, mentre si rafforzava una posizione conservatrice. Prive di piani regolatori, molte città specie meridionali crebbero in modo incontrollato dando ampio spazio alla speculazione mafiosa. Gli ostacoli opposti all'attuazione delle riforme ebbero anche aspetti allarmanti, rappresentati dallattività sotterranea e illegale di alcuni organi dello Stato. Un esempio fu il cosiddetto “piano Solo”, elaborato dal comandante dell'Arma dei carabinieri, che in caso di disordini prevedeva un intervento dell'Arma per arrestare gli oppositori e occupare le prefetture. Al di là della sua effettiva praticabilità, l'esistenza stessa di tale piano contribuì a intimidire le forze riformatrici e indurle a compromessi e ritardi sulla strada della modernizzazione. Esso inoltre metteva in luce un fattore di debolezza della democrazia italiana, determinato dalla disponibilità di alcuni settori dello Stato ad agire fuori dalla legalità per perseguire particolari obiettivi politici. - CONTESTAZIONE, RIFORME E CONFLITTI SOCIALI - A metà degli anni 60 anche in Italia le ostilità si aprirono dalle lotte studentesche. A partire dalle università gli studenti avviarono nella primavera del 1968 una serrata contestazione dei metodi autoritari e selettivi dell'insegnamento. Le agitazioni studentesche furono seguite da una fase di lotte operaie: il cosiddetto “autunno caldo” del 1969, Che vide protagonisti giovani operai, emigrati dal sud e dalle campagne, meno facilmente adattabili ai ritmi e alla disciplina delle grandi fabbriche. In tutta l'Europa gli anni del 1968 al 1974 videro un rilancio della conflittualità operaia, ma in Italia il fenomeno assunse una forma più radicale perché avanzò richieste più ampie: una riforma dal basso del sindacato attraverso i consigli di fabbrica, un certo numero di ore retribuito da destinare allo studio e alla formazione, il rifiuto di mansioni e ambienti di lavoro nocivi per la salute. Il Sessantotto trasformò radicalmente la società italiana. Negli anni seguenti il sistema delle pensioni fu largamente incrementato, le leggi a tutela della maternità furono migliorate, il divorzio venne istituzionalizzato, si costituirono le Regioni e fu approvato lo statuto dei lavoratori che garantì maggiore democrazia nelle fabbriche e legittimò i consigli di fabbrica. Si trattò di uno dei più ampi cicli riformatori della storia italiana e per la prima volta il sistema politico sembrò aprirsi alle richieste della società civile. Il cambiamento portò però con sé una nuova fase dei conflitti sociali che si prolungò per tutti gli anni 70. Una pesante atmosfera di scontro tra i movimenti di massa e le forze dell'ordine avvelenò il clima di molte città. Nel dicembre 1969 una bomba provocò 16 morti alla banca nazionale dell'agricoltura di Milano: questa inaugurò una stagione di stragi Il modello di sviluppo sovietico era efficiente sul piano degli armamenti ma non della qualità di vita dei cittadini, questo era ben noto alla dirigenza e la indusse a una rigida intransigenza contro ogni fonte di instabilità. Perciò l'esperimento di liberalizzazione avviato in Cecoslovacchia nel 1968 venne duramente represso con un intervento militare. A partire dal 1970 l'economia sovietica entrò in crisi. Nell'agricoltura il susseguirsi di cattivi raccolti si accompagnò all'esaurimento delle risorse estensive e le grandi città affrontavano ricorrenti crisi di approvvigionamento, che alimentavano l'inflazione e la piaga del mercato nero. Inoltre i nuovi giacimenti di gas e di petrolio erano collocati in impervie località della Siberia. - BLOCCO ORIENTALE - Nel blocco sovietico dei paesi dell'Europa orientale il Comecon sovrintendeva alle relazioni economiche. Nel 1950 le esportazioni sovietiche verso i paesi del blocco coprivano più di metà del totale. Il larga misura questa espansione degli scambi con rispose a un rapporto di sfruttamento coloniale fondato sullo scambio uguale dei manufatti sovietici con le materie prime dell'est europeo. All'interno di questo rapporto di dipendenza, il Comecon incoraggiò il volume degli scambi tra i paesi membri. Anche per il timore che ne scaturisse intesa bilaterali estranei ai propri interessi, Mosca promosse nel 1955 il trattato “di amicizia, cooperazione e mutua assistenza" che in seguito divenne noto con il nome di Patto di Varsavia. Piuttosto che una dimostrazione di forza e coesione, esso deve essere interpretato come il sintomo di una crisi i cui prodromi si erano già manifestati in occasione della morte di Stalin. Non a caso tali prodromi si verificarono in Cecoslovacchia e in Germania est, le due nazioni industrialmente più progredite che più soffrivano la subordinazione agli interessi sovietici. Il processo di cambiamento subì una brusca accelerazione nel 1956. In molti ambienti operai dei paesi più avanzati del blocco la denuncia di Stalin venne interpretata come un via libera a nuovi movimenti di vendicativi che contestavano la burocratizzazione dei Sindacati e la loro scarsa vicinanza agli interessi dei lavoratori. Il movimento in Polonia si trasmise all'università e trovò un obiettivo unificante nella richiesta di reintegrare al vertice del partito Gomulka, rimasto vittima delle purghe staliniane. Gomulka fu reinsediato alla segreteria del partito e illustrò alla nazione il compromesso raggiunto, che prevedeva un rafforzamento dell'alleanza con l'URSS ma anche la possibilità di una via polacca al socialismo fondata sul parziale ritorno la proprietà privata in agricoltura, sulla libertà religiosa e sulla democratizzazione del partito. Il compromesso funzionò. In Cecoslovacchia l'elezione del giovane leader dei comunisti Dubcek innescò nel gennaio 1968 un nuovo corso che fu definito come la “primavera di Praga”. il programma dei riformatori prevedeva un nuovo modello di socialismo fondato sulla separazione tra partito e stato, sull'autonomia delle nazionalità ceca e slovacca sull’abolizione della censura, sulla libertà di critica per le organizzazioni sindacali e giovanili. Il nuovo corso cecoslovacco non poneva in discussione l'appartenenza del paese al patto di Varsavia e godeva di un vastissimo consenso di massa. dovete però scontrarsi con un Cremlino rafforzato dai successi del benessere brezneviano. Dubcek ebbe la solidarietà attiva di Jugoslavia e Romania: questo concretizzò agli occhi di Breznev la minaccia di una nuova leadership alternativa al Cremlino (dopo quella cinese) nel mondo comunista e il 21 agosto 1968 le truppe del Patto di Varsavia entrarono in Cecoslovacchia e vi imposero un regime di occupazione militare. -REPUBBLICA POPOLARE CINESE - All'atto della sua proclamazione la Repubblica popolare cinese era retta da un consiglio centrale presieduta da Mao Zedong. All'inizio il regime maoista si presentava come un sistema di nuova democrazia autonomo e diverso dal modello sovietico perché fondato sull'alleanza tra forze comuniste e non comuniste. Il primo imperativo del governo di Mao fu la prosecuzione della riforma agraria. Nel 1951 una legge estese a tutto il paese le misure adottate nelle “zone rosse” liberate dall'esercito popolare: esproprio forzato delle terre non coltivate direttamente dai proprietari, esclusione dei latifondisti dei diritti civili e politici, libertà per i possessori di piccoli e medi appezzamenti che coltivavano la propria terra. Questa politica mutò il volto della Cina: un ceto plurisecolare di notabili possidenti fu estromesso dal potere e quasi 50 milioni di ettari furono distribuiti a tre 100 milioni di contadini. Tuttavia la radicalizzazione del regime nei confronti della grande proprietà terriera pose fine ai propositi di nuova democrazia. Nelle grandi città le strutture di partito accentrarono i compiti di assistenza, istruzione, approvvigionamento e polizia. Anche nelle campagne l'emancipazione passò attraverso canali istituzionali che combinavano esercito e partito comunista come strumenti di reclutamento e formazione della nuova classe dirigente. Questo blocco di potere fu il tramite di diverse campagne di propaganda: quella dei “tre contro” (corruzione, spreco, burocratismo) e quella dei “cinque contro” (evasione fiscale, frode, furto ai danni dello Stato, corruzione, aggiotaggio), che in quegli anni mobilitò i contadini. Si trattava di forme di coalizione collettiva fondate su un sistematico uso dell'ideologia e solo intimidazione del dissenso che spesso si prestano ad abusi e violenze. Per la prima volta nella storia cinese fu eletta a suffragio universale un'assemblea nazionale incaricata di redigere una Costituzione, che nel 1954 dette forma al nuovo Stato: una Repubblica presidenziale con un Parlamento monocamerale che rifletteva l'architettura dello Stato sovietico a partito unico. Alla definizione degli assetti istituzionali della Cina maoista si accompagnò un riavvicinamento nei confronti dell'URSS con la quale venne firmato un patto trentennale di mutua assistenza. La partecipazione alla guerra di Corea e l'invasione cinese del Tibet valsero al nuovo stato l'ostilità degli Stati Uniti e dell'ONU. Ma a sancire il legame del paese al modello sovietico fu soprattutto l' avvio del primo piano quinquennale, che prevedeva uno sviluppo programmato centralmente fondato sull'industria pesante e sul sacrificio della produzione di beni di consumo. La politica di collaborazione con i gruppi privati fu sostituita da un processo di nazionalizzazione che privilegiò le miniere e la produzione di acciaio. Diversa fu invece la strada seguita nelle campagne: Mao Zedong adottò una politica di modernizzazione graduale che evitò il rigore della collettivizzazione forzata staliniana. | ceti più poveri furono impiegati nella realizzazione di opere pubbliche, la scolarizzazione di base ricevete un forte impulso e a tutti i generi di prima necessità fu imposto un prezzo politico. Diversamente da quanto era accaduto nei primi anni di storia dell'unione sovietica, dopo la guerra di Corea la Cina poté contare su un allentamento della pressione internazionale e interna. Partecipò alla conferenza di Bandung dei paesi non allineati, lanciando segnali distensivi agli Stati Uniti e confermando la volontà di risolvere per via negoziale il problema di Taiwan. L' avvio della destalinizzazione in Unione Sovietica favorì anche una maggiore autonomia nella politica interna. Il gruppo dirigente cinese affermò di voler riequilibrare gli effetti del piano quinquennale restituendo slancio alla produzione agricola e all'industria leggera. Si tentò di liberalizzare la vita culturale con la cosiddetta politica “dei cento fiori”, che invitava al confronto tra diverse scuole impostazioni. La discussione travalicò tuttavia per ampiezza e profondità le aspettative dei promotori, che corsero ai ripari trasformando la campagna in un attacco agli opportunisti di destra. Il risultato di questa contraddittoria fase di assestamento politico fu il rilancio dell'iniziativa statale nell'economia, con la parola d'ordine del “Grande balzo” in avanti che fissava l'ambizioso obiettivo di un raddoppio annuale della produzione sia industriale che agricola. Furono create le comuni di popolo: aziende agrarie dirette da un organo di governo elettivo autonomo, che controllava le Brigate di produzione (vecchie cooperative) e le squadre di base (composte da alcune decine di contadini dello stesso villaggio), ogni contadino diventava così un lavoratore retribuito in base ai punti di lavoro della propria squadra. Parte della popolazione urbana fu aggregata alle comuni che divennero vere e proprie unità amministrative. I risultati di questa forzatura volontaristica furono però disastrosi soprattutto per la scelta di decentrare la produzione siderurgica in piccole fornaci di cortile. La visione ideologica di Mao della rivoluzione a partire dai contadini si rivelò una catastrofe perché non raggiunse neppure lontanamente gli obiettivi di produzione prefissati e inoltre distolse i contadini dal lavoro dei campi. La produzione agricola infatti calò. A questo prezzo altissimo le comuni avevano comunque rafforzato l'egemonia del partito, che aveva raggiunto dimensioni di massa. Tuttavia non si era riusciti a realizzare il “Grande balzo” e la vendita coatta allo stato delle eccedenze non produceva margine di sviluppo. Questa politica economica fallimentare si accompagnò alla fine della collaborazione con l'URSS. Mao si adoperò per tradurre in positivo questo distacco cercando di lavorare una via alternativa meno totalitaria al socialismo: in realtà la sua era una risposta all'offensiva dei suoi oppositori che puntavano a rallentare i tempi della collettivizzazione tornando a permettere la proprietà privata. Da questo scontro politico al vertice scaturì nel 1965- 66 la cosiddetta rivoluzione culturale. Assumendo la difesa degli organismi studenteschi che avevano attaccato i metodi burocratici e autoritari delle strutture universitarie, ma ho fece appello alle giovani generazioni perché estendessero la loro lotta a tutti i settori della società. Si trattava di un estremo tentativo di sfuggire all'isolamento e alla condizione di minoranza nel gruppo dirigente attraverso il rilancio personalistico della propria leadership. Il paese intero precipitò nel caos e nell'incertezza: le scuole smisero di funzionare e si accesero scontri sanguinosi e persecuzioni arbitrarie. Crebbe il peso dell'esercito riorganizzato dal ministro della Difesa Lin Biao. Si costituirono comitati rivoluzionari formati da soldati, studenti e contadini che, uniti dal culto personalistico del presidente Mao dettero vita a una nuova rete di potere alternativa a quella tradizionale controllata dalla burocrazia di partito e dagli operai urbani. Proprio all'esercito si appoggiò nel 1969 il IX congresso del partito comunista cinese, che proclamò la necessità del ritorno all'ordine ed una lotta contro gli eccessi della rivoluzione culturale. Due anni dopo Lin Biao morì improvvisamente: la sua morte segnò la chiusura della fase destabilizzante aperta della rivoluzione culturale. limitare i danni della sconfitta nel Vietnam, Gli Stati Uniti ripresero le relazioni diplomatiche con la Cina attraverso una visita ufficiale di Nixon a Pechino nel 1972. A contraddire questi sviluppi distensivi intervenne nel 1973 la guerra del Kippur, che il successore di Nasser alla guida dell'Egitto al-Sadat scatenò per vendicare la sconfitta del 1967. L'esercito di Israele, colto di sorpresa, fu messo in seria difficoltà, mentre l'insieme dei paesi arabi decretava il blocco delle forniture petrolifere all'occidente. In poche settimane il contrattacco israeliano portò un accordo per il cessate il fuoco, che ripristino i confini antecedenti al 1967 restituendole gita al Sinai ma non la Striscia di Gaza. Su questa base furono poi intavolate trattative sotto la supervisione degli Stati Uniti, che portarono nel 1978 alla pace di Camp David firmata da Sadat E dal leader israeliano. Per la prima volta uno stato arabo riconosceva il diritto di Israele a esistere. L'Egitto fu espulso dalla Lega dei paesi arabi e Sadat pagò con la vita l'isolamento del suo paese rimanendo ucciso in un attentato organizzato dai Fratelli Musulmani. | paesi arabi rimasero così isolati e sconfitti, in larga misura benessere libertà continuavano a mancare ai popoli di quella parte di mondo. La guerra del Kippur portò alla ribalta un nuovo soggetto della politica internazionale: l'OPEC, il cartello dei paesi produttori di petrolio dalle cui esportazioni dipendevano quasi tutti i paesi industrializzati. Nel 1973 il prezzo del petrolio fu quadruplicato. L'economia mondiale entrò in una lunga fase di recessione il petrolio divenne un bene prezioso soggetto a razionamento. Lo shock petrolifero del 1973 innescò un ciclo inflattivo che dagli Stati Uniti si estese al resto dell'occidente. L'inflazione si accompagnò a una prolungata stagnazione delle economie occidentali: una congiuntura inedita, per definire la quale gli economisti dovettero ricorrere al neologismo di “stagflazione”. La stagflazione determinò altri due fenomeni destinati a segnare in profondità i decenni successivi. In primo luogo il decollo del prezzo del petrolio riversò sui paesi esportatori un fiume di denaro. Questi dollari contribuirono a gonfiare la massa di capitale finanziario liberamente circolante su scala globale. La bolla di carta che si creò divenne progressivamente priva di un rapporto con la ricchezza reale. A gonfiarla erano soprattutto i derivati, cioè scommesse sul corso dei titoli E altre variabili dei mercati. quasi sempre queste scommesse erano gestite con denaro non posseduto, ma preso in prestito da banche e società finanziarie. Il secondo processo innescato dalla stagflazione si concretizzò nelle economie più avanzate sotto forma di una contrazione dei posti di lavoro industriali. Ne derivò un inasprimento dei conflitti sociali. Anche in risposta al conseguente calo dei profitti, molte compagnie multinazionali occidentali intensificarono i processi già in corso di delocalizzazione, cioè di spostamento degli stabilimenti e dei posti di lavoro in aree del mondo dove minori erano i salari e le resistenze sindacali, soprattutto in Asia. Dagli anni 70 il baricentro produttivo del Mondo si venne spostando verso Oriente. Nelle economie dei paesi ricchi la deindustrializzazione venne compensata dallo sviluppo del terziario. Negli Stati Uniti l'aumento fu dovuto quasi per metà alla crescita di quella che venne chiamata la “società dell'informazione”. Il mondo dell'informazione non solo guidò l' avvento della “società post industriale”, ma fu anche un laboratorio sperimentale per nuove tecnologie che nei decenni successivi sarebbero state il promotore di una vera e propria rivoluzione: quella informatica. Il punto di partenza simbolico di tale rivoluzione è stato collocato nel 1975, quando venne messo in commercio negli Stati Uniti il primo personal computer (PC). Il computer si collocò o all'interno di una sequenza di innovazioni che evocava quella delle rivoluzioni industriali ottocenteschi. Molte di queste innovazioni comparvero metà degli anni 70 e in poco meno di un decennio si diffuse nei paesi sviluppati, preparando il terreno alla rivoluzione informatica. La svolta 1968- 73 trasformò il volto del pianeta, fino a renderlo simile a quello di oggi. Due dei tratti fondamentali del mondo otto-novecentesco (Stato-nazione e lavoro di fabbrica) ne vennero messi in discussione. Il primo perché sempre meno capace di imporre una sovranità limitata da confini geografici a processi senza confini come la finanza, le migrazioni internazionali e le comunicazioni di massa. il secondo perché soggetto a uno spostamento geografico da Occidente verso Oriente. Nel 1975 venne convocato un incontro senza precedenti: i capi di governo dei sei maggiori paesi occidentali (Stati Uniti, Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia e Giappone) si incontrarono a Rambouillet. Nacque così il Group of six o G6. In realtà al primo vertice del G6 si scontrarono orientamenti radicalmente divergenti. | paesi europei puntavano a una politica deflattiva che riportasse sotto controllo un'inflazione ormai galoppante. Contrari a una politica deflattiva per evitare i costi sociali di eventuali aumenti delle imposte o tagli alla spesa pubblica, gli Stati Uniti insistevano invece in una politica volta a riconquistare i mercati esteri attraverso una ripresa delle esportazioni, favorite dai prezzi bassi dovuti alla svalutazione del dollaro. Il Giappone cercava di contrastare con ogni mezzo un'eccessiva svalutazione del dollaro e di difendere il proprio mercato interno dalle importazioni straniere. Il vertice si risolse dunque in un nulla di fatto. Ma inaugurò una prassi, destinata a consolidarsi, di incontri al vertice dei capi di Stato dei maggiori paesi occidentali: almeno formalmente documentava un impegno alla ricerca di soluzioni cooperative tra le nazioni. CAPITOLO 17 DAGLI ANNI SETTANTA AI NOVANTA - MONDO INSTABILE - La svolta del 68 73 dette luogo un mondo assai instabile. Gli Stati Uniti erano in difficoltà dalla sconfitta in Vietnam e dal caso Watergate. L'Unione Sovietica sembrava incerta tra la strada della distensione e la sensazione opposta di approfittare della temporanea debolezza dell'avversario. Alla fine del decennio i due paesi leader dell'Occidente capitalistico (USA e UK) misero in atto una drastica svolta delle politiche economiche in senso neoliberista. All'altro capo del pianeta la liberalizzazione dei mercati internazionali favoriva lo sviluppo di alcuni piccoli paesi del Sud-est asiatico. L'America Latina viveva invece il travaglio di una risposta autoritaria e spesso militare alla rivoluzione di Cuba: il sanguinoso golpe di Pinochet ne fu l'esempio più drammatico e un'inchiesta del Senato degli Stati Uniti dimostrò il diretto coinvolgimento della CIA nella preparazione e nella gestione del colpo di Stato. Molto cambiò con l'elezione alla presidenza degli Stati Uniti del democratico Jimmy Carter: i servizi segreti americani furono sottoposti a un'opera di pulizia e revisione e l'appoggio di Washington a molti regimi militari sudamericani venne ridimensionato. In Europa la fine dei regimi dittatoriali di Grecia, Spagna e Portogallo avvenne a metà degli anni 70 senza particolari traumi e quei paesi rimasero saldamente nell'orbita occidentale. L'Iran intanto si trasformava in una Repubblica islamica guidata dall'ayatollah e per più di un anno l'ambasciata americana venne tenuta in ostaggio da manifestanti antiamericani. Fu anche per bloccare sul nascere ogni possibile contagio della rivoluzione iraniana ai propri confini, che nel dicembre 1979 l'Unione Sovietica intervenne militarmente in Afghanistan. La spedizione si risolse però in un disastro militare. - NEOLIBERISMO - Nel dicembre 1978 il comitato centrale del partito comunista cinese guidato da Deng Xiaoping avviò la politica delle quattro modernizzazioni: agricoltura, industria, scienza, difesa. Nelle campagne venne applicato il sistema della responsabilità familiare che liberalizzava il commercio privato. La politica del figlio unico fissò quote locali obbligatorie di contenimento delle nascite. Nell'industria di Stato si introdussero criteri di autonomia e responsabilità nel reinvestimento dei profitti. Pur conservando intatto il regime monopartitico, la Cina si aprì a un' economia di mercato in cui il profitto individuale tornava a orientare le scelte dei contadini. Il risultato fu che in meno di un decennio 250 milioni di cinesi uscirono da una condizione di povertà. Fu il primo segnale di un' inversione di tendenza. Dall'altra parte del mondo Margaret Thatcher, leader dei conservatori inglesi, nel 1979 divenne la prima donna della storia britannica a rivestire la carica di primo ministro. In un contesto culturale totalmente diverso da quello cinese, il nuovo premier opponeva al principio di una preminenza dello Stato sui cittadini l'idea di un rilancio delle spontanee forze naturali dell'economia capitalistica. Per il nuovo governo inglese il primo avversario da battere furono le potenti centrali sindacali che vennero sconfitte dopo lunghi scioperi ed estenuanti trattative. Margaret Thatcher impose così una politica di deregulation (tendenziale cancellazione dei vincoli sindacali gravanti sulle aziende) che ritirò lo Stato da quei settori restituendoli ai privati. Furono privatizzate molte industrie di Stato e si approfondirono le disparità retributive tra i lavoratori più qualificati e il resto della classe operaia. In America il presidente Carter non invertì il corso della distensione con l'Unione Sovietica, che vide anzi nel 1979 la firma di un nuovo accordo per la limitazione degli armamenti, il SALT Il. Dopo l'invasione dell'Afghanistan la Casa Bianca intraprese però un' offensiva diplomatica che culminò con il boicottaggio delle Olimpiadi tenute a Mosca, a cui l'URSS replicò inasprendo la repressione del dissenso. Nel contesto della guerra fredda quella di Carter fu una politica estera ispirata a criteri ideali anziché a considerazioni realistiche di interesse strategico. Non a caso alle nuove elezioni statunitensi la vittoria andò al candidato repubblicano Ronald Reagan e la sua campagna elettorale fu infatti dominata dai temi della politica estera. Il nuovo presidente mostrò subito il volto dell'uomo forte attraverso un' offensiva volta a riaprire il mercato all'iniziativa privata attraverso una progressiva deregulation. La nuova libertà economica avrebbe ampliato i profitti, che a loro volta dovevano tradursi in investimenti capaci di estendere la base produttiva del paese e creare occupazione. AI tempo stesso lo Stato avrebbe ridotto il suo bilancio concentrando i propri sforzi nel settore della difesa. In realtà questi programmi rimasero in gran parte sulla carta, i successi furono registrati sul fronte dell'inflazione che calò vistosamente. Ma solo in parte minore i Gli anni della politica di Reagan accentuarono le differenze sociali, inoltre il deficit del bilancio statale era cresciuto a livelli eccezionali, senza che peraltro si riuscisse ad arginare la disoccupazione. Abbandonato a se stesso dalle politiche neoliberistiche, il mercato si rivelava incapace di redistribuire efficacemente la ricchezza e di produrre una crescita armonica della società. - MEDIORIENTE E SUDAFRICA - Contro la pace di Camp David Siria e Libia, assieme all’organizzazione per la liberazione della Palestina, costituirono un “Fronte della fermezza” contro Israele. A catalizzare queste tensioni fu il piccolo stato del Libano, da sempre diviso tra musulmani e cristiani maroniti, i cui delicati equilibri interni erano stati alterati dall'afflusso di profughi palestinesi nelle zone meridionali del paese. Nel 1982 l'esercito Di Tel Aviv intervenne direttamente nel conflitto. L'intervento di una forza multinazionale di pace consentì l'evacuazione delle milizie dell'OLP asserragliate nella capitale. Fatta oggetto di sanguinosi attentati, la forza multinazionale si ritirò, seguita più tardi dall'esercito israeliano. La Siria rimase così sostanzialmente padrona della situazione libanese. Nel 1987 nuove proteste di massa delle popolazioni palestinesi ebbero luogo nei territori occupati da Israele. Nel movimento di protesta comparve spesso la bandiera palestinese, simbolo di lotta ma anche di tendenziale autogoverno. Nel 1988 l'OLP annunciò la nascita di un nuovo stato palestinese a Gaza e in Cisgiordania e contemporaneamente riconobbe lo stato di Israele. Nel 1993 Israele e l'OLP firmarono ad Oslo degli accordi che formalizzarono il riconoscimento reciproco, questi segnarono il punto più importante mai raggiunto dal processo di pace in Medio Oriente. Nel continente africano il segnale di mutamento più significativo venne dalla Rhodesia e dal Sudafrica. Tra il 1976 e il 1978La mediazione di Stati Uniti e Gran Bretagna portò in Rhodesia a una trattativa tra maggioranza nera e minoranza bianca, in seguito alla quale fu concesso il diritto di voto alla popolazione di colore. Più difficile e contrastato fu il processo di democratizzazione del Sudafrica. nel 1990 il leader storico dell African National Congress Nelson Mandela venne scarcerato e nel 1994 le prime elezioni paritarie per bianchi e neri assegnarlo la maggioranza al suo partito, portandolo alla presidenza della Repubblica. - MIRACOLO ASIATICO - Gli anni 80 videro anche la crescita di nuovi poli di sviluppo dell'economia mondiale. Il primo di essi fu costituito dal Giappone i cui fattori chiave di crescita erano essenzialmente due: la piena occupazione e le esportazioni. Si cominciò a parlare di un modello giapponese di capitalismo fondato su particolari valori comunitari di attaccamento alla nazione e alla propria azienda. Una crescente interdipendenza con la “locomotiva” giapponese favorì la rapida ascesa di alcuni piccoli paesi asiatici affacciati sulla costa del Pacifico. Città- stato storicamente dediti ai commerci come Hong Kong e Singapore, giovani economie manifatturiere come Taiwan e la Corea del Sud formarono il nucleo originario di quelle che gli osservatori definirono come “tigri asiatiche”. Come per il Giappone, la chiave del loro successo fu una produzione industriale di manufatti destinata all'esportazione su scala mondiale, cui si aggiunse il basso costo di una forza lavoro altamente qualificata. Importante fu infatti il ruolo attivo dello Stato sia nel realizzare riforme agrarie incisive, sia nel promuovere un efficiente sistema di istruzione superiore. L'ascesa delle “tigri asiatiche" contraddiceva il nesso storico (sviluppatosi in Europa, Nordamerica e poi in Giappone) tra capitalismo e democrazia. In quei paesi esistevano infatti forti limiti all'esercizio dei diritti civili e dell'opposizione politica e sindacale. Di tale contraddizione tra sviluppo e libertà fu interprete anche soprattutto la Cina comunista, che negli anni 80 realizzò un tasso di crescita del prodotto nazionale lordo ancora superiore a quello delle tigri, ma che venne accompagnato dal permanere di una politica autoritaria. - CASO ITALIANO - Le difficoltà sociali ed economiche dell'Italia negli anni 70 non erano diverse da quelle degli altri paesi europei. La stessa proposta di compromesso storico avanzata dal partito comunista nasceva dalla consapevolezza che il modello di sviluppo seguito dal paese non fosse più sostenibile. Dal 1975 al 1980 le spese per trasferimenti sociali alle famiglie quasi triplicarono. Per far fronte al crescente deficit del bilancio si ricorse allora a un espansione del debito pubblico. Anche nei settori della Democrazia cristiana che facevano capo al presidente del partito, Aldo Moro , si fece strada l'idea della necessità di un cambiamento. Nel 1978 il nuovo governo guidato da Giulio Andreotti nacque con l' astensione dei comunisti. Nelle stesse ore Moro fu rapito e poi ucciso dalle Brigate Rosse. Con quell'impresa il terrorismo giungeva al culmine della sua parabola, segnando con una cupa nota di violenza la nascita del governo di “solidarietà nazionale”, che assunse come priorità l'obiettivo di stroncarlo. Tuttavia gli “anni di piombo” furono superati solo a partire dal 1980, con l'adozione di decreti che premiavano con riduzioni di pena i cosiddetti “pentiti” che uscivano dalle fila delle organizzazioni terroristiche. L'esclusione del PCI nella maggioranza di governo fu di breve durata. Già nel 1980 Berlinguer dichiarò esaurita la fase della solidarietà nazionale. D'altra parte la mancanza di alternanza al governo bloccava il sistema dei partiti, impediva il ricambio del personale politico e favoriva lo sviluppo di fenomeni di corruzione, che già a metà degli anni 70 erano stati portati all'attenzione dell'opinione pubblica da alcuni scandali. Il partito comunista tornò così al consueto ruolo di oppositore e la Democrazia cristiana continuò a governare, anche se indebolita rispetto al suo alleato più importante il Partito socialista. Dal 1976 era segretario del Psi Bettino Craxi, che approfitto di tale debolezza e nel 1983 costituì un governo con una maggioranza di “pentapartito”. Il primo obiettivo del progetto di Craxi fu il movimento sindacale. Nel 1984, isolando la corrente comunista della CGIL, il nuovo presidente decise un taglio di tre punti della “scala mobile” (meccanismo di adeguamento automatico dei salari al costo della vita). Anche in Italia il modello neoliberista fu limitato: la spesa pubblica continuò a salire, mentre il rientro dell'inflazione rese più appetibile il mercato dei titoli di Stato. Di fatto il disegno modernizzatore del PSI si ridusse a un'imitazione dei metodi di governo della DC. L'abnorme indebitamento statale copriva infatti l'espansione di un pubblico impiego garantito a vita e privo di controllo di qualità dei servizi offerti. Inefficienza, parassitismo e clientelismo ne erano spesso tratti di fondo. Nel Mezzogiorno riprese vigore la mafia. Si accentuò intanto il processo di ristrutturazione della base industriale del paese, che vide il definitivo declino del comparto siderurgico e la perdita di competitività di altri settori chiave dell'industria pesante. Il lavoro operaio si trasferì nei distretti di piccole medie imprese specializzate nel settore dell'industria leggera e dotate di maggiore flessibilità. La diffusione di questi poli fu limitato ad alcune aree della penisola contraddistinte da alti livelli di integrazione sociale, garantiti da forti subculture regionali (Veneto, Emilia, Toscana, Marche) E da una transizione più “dolce” dall'economia agricola a quella industriale. Per indicare questa realtà i sociologi coniarono il termine “terza Italia”. Fu soprattutto questa terza Italia a dare impulso a una significativa crescita del PIL. Per tutti gli anni 80 la situazione del paese apparve comunque stabile. | titoli di Stato elargivano rendite vantaggiose; il servizio sanitario forniva servizi scadenti, ma gratuiti e generalizzati; le pensioni erano basse, ma garantite; una diffusa economia sommersa distribuiva in nero redditi aggiuntivi alle famiglie; gli investimenti borsistici registrarono un boom fino al tracollo della borsa di New York. | risultati elettorali confermavano questa illusoria stabilità premiando il Partito socialista. Ancora una volta il mutamento sopraggiunse per linee esterne, portato con sé dal crollo dei regimi comunisti e dalla fine della guerra fredda. | maggiori partiti politici, che avevano tratto motivi di identità dall’appartenenza all'uno o all'altro dei due campi, furono costretti a rifondarsi su basi nuove. Paralizzata dall'aprirsi di un nuovo contesto internazionale e dalle proprie contraddizioni interne, l'intera impalcatura del sistema politico e degli equilibri tra i poteri dello Stato entrò così in una fase di crisi e trasformazione. Un nuovo partito a carattere regionale, la Lega Nord, conquistò rapidamente consensi in base a un programma autonomista rispetto allo stato centrale. Il partito comunista intraprese una svolta che lo condusse nel 1991 a cambiare il nome in Partito democratico della sinistra. La magistratura trovò la forza di indagare sui Meccanismi occulti che regolavano il finanziamento dei partiti, rivelando una trama complessa di corruzione. Craxi dovette rifugiarsi in Tunisia per sfuggire a una serie di mandati di arresto per reati di concussione, Andreotti fu sottoposto a procedimento giudiziario dalla quale sarebbe stato assolto. Un movimento trasversale di politici, imprenditori e intellettuali si fece promotore di un referendum per modificare in senso maggioritario la legge elettorale, con l'obiettivo di ridurre il numero dei partiti e spianare la strada a una democrazia bipolare fondata sull’alteranza. A quel referendum gli italiani risposero nel 1993 con un altissima percentuale di “sì”, ponendo fine al sistema politico che aveva governato il paese per oltre 50 anni. CAPITOLO 18 FINE DEL COMUNISMO - BLOCCO SOVIETICO DA BREZNEV A GORBACEV - La potenza militare di cui Mosca aveva dato prova durante la guerra fredda nascondeva le crescenti difficoltà di un paese la cui produttività sia agricola sia industriale era in costante calo. - COMUNISMO IN ASIA - Un esito diverso ebbero le vicende della Cina popolare. La morte di Mao Zedong aprì una drammatica lotta per la successione, che vide la sconfitta di Deng Xiaoping. Gli fu infatti preferita una figura emersa durante la rivoluzione culturale: Hua Guofeng. Con la sua ascesa la politica del paese parve attestarsi su una linea di compromesso, ma la lotta fra le correnti non si interrompe e vide la definitiva sconfitta della cosiddetta “banda dei quattro“: la fazione più radicale della rivoluzione culturale. Nel 1978 Deng fu infine nominato primo ministro. Il blocco sociale che riportò al potere Deng Xiaoping era formato soprattutto da militari e maoisti moderati favorevoli a una parziale liberalizzazione dell'economia. Deng puntò a restaurare l'autorità centrale sulla base dei “quattro principi” del passato (Dittatura del proletariato, via socialista, ruolo guida del partito, marxismo-leninismo-maoismo), ma al tempo stesso riprese il programma moderato di politica economica da lui stesso proposto. Nel dicembre 1978 venne lanciata la politica delle “quattro modernizzazioni”. Nelle università vennero ripristinati esami di ammissione selettivi, i comitati rivoluzionari furono eliminati, le retribuzioni vennero diversificate. Nelle campagne furono abolite le comuni e fu introdotta la proprietà privata della terra. Nel giro di un decennio la modernizzazione di Deng trasformò la Cina: redditi e produttività aumentarono e cominciarono ad apparire differenze di ceto sociale. Con l'apertura ai capitali stranieri, l'autonomia gestionale e gli incentivi materiali garantiti alle imprese private emersero contraddizioni: la nuova politica economica impresse infatti una forte spinta alla differenziazione sociale mettendo in crisi i valori di riferimento legati all'ideologia comunista. Per alcuni anni Deng riuscì a manovrare una serie di compromessi tra le fazioni conservatrice del partito e dello Stato, la pressione autonomistica delle istituzioni locali e l'effervescenza culturale degli intellettuali e delle università. | processi economici messi in moto dalle riforme crearono inflazione e disoccupazione che seminarono malumore soprattutto nelle grandi città. Nel 1989 la piazza Tian’anmen si riempì di studenti che protestavano contro l'assenza di libertà. Il caso cinese metteva in luce un'interazione tra Partito-Stato e società civile, affatto diversa dall'apatia che accompagnò la perestrojka: proprio da tale interazione nasceva la mobilitazione degli studenti a Pechino. Nella notte tra il 3 e il 4 giugno 1989 i carri armati occuparono la piazza seminando morti e feriti. La repressione si abbatté sulle università e numerosi studenti e professori vennero incarcerati. Il mantenimento di un potere politico totalitario coniugato a una crescente liberalizzazione della sfera economica fu dunque il segno distintivo della sopravvivenza del comunismo cinese. Alla fine del secolo la Cina registrò un ulteriore raddoppio del prodotto nazionale lordo, diventando la seconda economia del mondo dopo gli Stati Uniti. Lo Stato mantenne il controllo delle aziende strategiche ma in tutto il paese si diffusero piccole imprese private nate dalle ceneri delle comuni e spesso controllate da funzionari di partito. Un imponente flusso migratorio si mosse in direzione delle zone economiche speciali della costa aperte ai capitali stranieri: aumentarono le differenze sociali il cui più drammatico riflesso era l'alta percentuale di popolazione priva di assistenza sanitaria. Oltre alla Cina, furono pochi i regimi comunisti capaci di sopravvivere alla rivoluzione del 1989. La Corea del Nord versava in condizioni di quasi totale isolamento. Un' evoluzione analoga a quella cinese si verificò soltanto nel Vietnam. Uscito distrutto dalla guerra, dopo la riunificazione questo paese aveva iniziato la propria ricostruzione sotto la dittatura del partito comunista. Una politica di rinnovamento economico venne lanciato nel1986 che conseguì effetti di liberalizzazione del mercato agricolo simile a quelle cinesi: il ritorno le fattorie familiari rilancio la produttività agricola e incoraggio l'industria esportatrice. Fuori dall' Asia un regime comunista sopravvisse soltanto nell'isola di Cuba. Questa dovete affrontare la perdita delle forniture sovietiche con evidenti disagi per la popolazione, che furono però compensati dall'efficienza del sistema sanitario. CAPITOLO 19 MONDO POST-BIPOLARE - NUOVI NAZIONALISMI - La fine della guerra fredda poneva con urgenza il problema di un nuovo ordine internazionale. Fino ad allora il sistema bipolare aveva infatti semplificato e ridotto le variabili di instabilità nel sistema delle relazioni internazionali. Con la fine dell'equilibrio bipolare, i punti di tensione nel mondo si moltiplicarono e né gli Stati Uniti né i soggetti protagonisti di processi di integrazione sovranazionale apparvero in grado di governare questo nuovo mondo multipolare. In Europa quest'accresciuta instabilità si legò al risorgere dei fenomeni nazionalistici. Talvolta le secessioni nazionali si realizzarono per via negoziale, come nei casi della Slovacchia, separatasi nel 1992 dalla Repubblica Ceca, e della maggior parte degli Stati dell'ex Unione Sovietica. Mentre gli Stati dell'Est europeo approdarono nel giro di qualche anno a forme più o meno compiute di democrazia non altrettanto avvenne nelle ex repubbliche sovietiche. A partire dal 1992 la Federazione russa venne dilaniata da conflitti armati interni. In molte zone la legittimazione delle élite di governo favori l'emergere di nuovi soggetti politico- militari, che nel vuoto di cultura politica e civile lasciato dal regime comunista si rifecero a vecchie identità etniche o religiose. I conflitti che ne derivarono erano il segno di una più generale involuzione autoritaria del Cremlino, il cui leader El'cin non esitò a sciogliere d'autorità il Parlamento. Attorno alla sua figura si venne consolidando un intreccio affaristico tra clan rivali e per la società russa furono anni molto difficili. Quasi un quarto della popolazione viveva sotto la soglia di povertà e dopo il 1989 le ineguaglianze sociali si erano allargate a vista d'occhio. Alle elezioni del 2000 subentrò Vladimir Putin, un ex dirigente dei servizi segreti. Il nuovo presidente dominò ininterrottamente la scena politica del nuovo secolo con un orientamento nazionalista volto a restaurare la potenza sovietica. Stati Uniti ed Europa occidentale non riuscirono a costruire una pace inclusiva degli sconfitti dopo la vittoria nella guerra fredda. Smentendo le promesse fatte a suo tempo a Gorbacev la debolezza della Russia venne sfruttata per allargare verso est la NATO: nel 2004 avevano aderito infatti vari paesi dell'Europa orientale. Putin interpretò una reazione nazionalista e imperiale contro queste scelte e nel 2014 appoggiò la rivolta separatista in Ucraina, che portò all'annessione russa della Crimea e un endemico stato di guerra nella regione. Il modello di crescita interna funzionava però molto meglio. Il recupero di posizioni nella graduatoria dell'indice di sviluppo umano fu invece minimo, ma le ineguaglianze si erano ridotte. Il contagio nazionalista travalicò rapidamente i confini del blocco Orientale. Nel 1990 il dittatore iracheno Saddam Hussein volse le sue truppe alla conquista del Kuwait ricco di giacimenti petroliferi, concludendola rapidamente. Hussein tentava di presentarsi come leader arabo dell'intera regione medio orientale, ma per il resto del mondo si trattò di un'aggressione ingiustificata. Il presidente Bush scelse di rispettare il ruolo dell'ONU, che chiese il ritiro delle truppe irachene ed il ripristino della sovranità del Kuwait. L'ONU prima provocò a larga maggioranza un blocco commerciale e poi fissò un ultimatum per il 15 gennaio 1991. L'azione armata che ne seguì, battezzata “guerra del Golfo”, fu quindi autorizzata dalle Nazioni Unite e si fondò essenzialmente sullo sforzo militare degli Stati Uniti. Le forze armate americane scatenarono una violenta offensiva aerea e dopo quasi due mesi di bombardamenti il conflitto si chiuse con il ripristino della situazione precedente l'invasione. L'obiettivo di indebolire Saddam Hussein non venne raggiunto ed il blocco commerciale ottenne l'unico risultato di un gran numero di morti nella popolazione civile irachena. Il paese rimase diviso tra la maggioranza sunnita governata da Saddam, la minoranza sciita al sud e quella curda al nord. - NUOVE GUERRE - La guerra del Golfo restituì dignità internazionale al ruolo dell'ONU. Nonostante il successo ottenuto, alle elezioni del 1992 Bush venne sconfitto dal democratico William Clinton. A favorirne la vittoria furono decisive le apprensioni legate alla situazione economica e soprattutto al crescere della disoccupazione che aveva ricominciato a salire. Tuttavia le principali riforme attuate del nuovo presidente si infransero contro la resistenza del Congresso, dove i democratici persero la maggioranza a vantaggio dei repubblicani. Clinton venne rieletto nel 1996, grazie a una congiuntura economica favorevole che riportò la disoccupazione sotto il 5%. Non vennero tuttavia meno le contraddizioni di fondo della società statunitense, a partire da un livello molto elevato di ineguaglianza sociale a cui si sovrapponeva un'ineguaglianza economica è una differenza razziale che metteva a rischio la convivenza civile. Alla stratificazione razziale faceva riscontro un accentuata dispersione salariale, causa ulteriore di disuguaglianza. Anche per questi motivi la preminenza militare degli USA rischiava di non essere sufficiente a sostenerne il ruolo egemonico. Subito dopo quella del Medio Oriente si aprì la crisi in Jugoslavia. L'indipendenza proclamata nel 1991 dalla Slovenia e dalla Croazia venne riconosciuta dai paesi della Comunità europea in nome del diritto di autodeterminazione dei popoli. La puntava invece a raccogliere l'eredità jugoslava creando una grande Serbia, ma la reazione armata del governo di Belgrado non riuscì a impedire la secessione di Slovenia e Croazia. Altre conseguenze ebbe nel 1992 l'uscita dalla Federazione jugoslava della , che non godeva degli stessi appoggi in sede europea. Dal 1992 al 1995 la capitale Sarajevo venne tenuta costantemente sotto assedio dai serbi e per la prima volta dopo il 1945 tornò a materializzarsi in Europa lo spettro della pulizia etnica. Nel 1995 gli accordi posero fine al conflitto bosniaco dividendo la Bosnia Erzegovina e la Repubblica serba di Bosnia. L'attenzione della Repubblica serba si sposò allora verso la regione per l' 80% albanese del Kosovo. Nel 1999 il dilagare delle violenze provocò un intervento militare della NATO nella forma di un ondata di bombardamenti aerei sulla Serbia. La guerra si concluse con il passaggio del Kosovo sotto l'amministrazione dell'ONU. Proclamando la restaurazione del Califfato e territorializzandosi, questo nuovo soggetto subentrò alla rete di Bin Laden come punto di riferimento dell’Islamismo radicale. Fra il 2014 al 2016 il territorio controllato dallo Stato islamico si estese in Iraq e in Siria ma grazie ai raid aerei effettuati dagli Stati Uniti dalla Francia dalla Russia l'area dello Stato islamico venne riducendosi. Le sconfitte subite sul terreno furono accompagnate da un'intensificazione degli attentati terroristici in Europa e altrove, che parvero segnare un ritorno a strategie precedenti. L'undici settembre aprì quindi una fase prolungata di conflitti nel mondo arabo e un ciclo di violenze terroristiche destinata a prolungarsi oltre la morte di Bin Laden, individuato e ucciso in Pakistan nel 2011 dalle forze speciali statunitensi. - EUROPA DELL'EURO - Nel 1992 i paesi membri della comunità europea riuniti nella cittadina olandese di Maastricht sottoscrissero un accordo che prevedeva entro il 1999 la creazione di una moneta unica impegnandosi a una progressiva armonizzazione degli indici economici nazionali. In leggero ritardo rispetto alle previsioni all'inizio del 2002 l'euro venne adottato da tutti i paesi dell'Europa occidentale con l'eccezione della Gran Bretagna. L'integrazione monetaria era un passo importante sulla via di un'effettiva Unione europea, tuttavia il traguardo di una piena autonomia e unità nel campo della difesa militare e della politica estera era ancora lontano. Le guerre del periodo post bipolare misero infatti in luce da parte dell'Europa unita una capacità di manovra molto ridotta rispetto a quella degli Stati Uniti. Nel 2005 il progetto di una Costituzione europea venne bocciato da referendum tenutisi in Francia e Olanda, ma il cammino dell’integrazione non si interruppe. Gli aspetti salienti della Costituzione vennero infatti reintegrati nel Trattato di Lisbona firmato nel 2007 e approvato da parlamenti nazionali che assegnarono un maggiore peso al presidente della commissione europea. L'unione europea continuò comunque a esercitare una grande forza di attrazione sul resto del continente. Tra i paesi europei fuori dalla moneta unica il più importante era la Gran Bretagna, la cui autoesclusione aveva radici antiche e profonde. Rivalità interne al partito conservatore avevano posto fine al governo Thatcher sostituito da quello di un altro leader conservatore John Major. Le crescenti difficoltà economiche portarono a una rapida svalutazione della sterlina che uscì nel 1992 dal sistema monetario europeo. Si rafforzarono allora le correnti contrarie all'integrazione comunitaria, mentre la disoccupazione rimaneva su livelli assai alti e il terrorismo indipendentista irlandese tornava a colpire il paese con numerosi attentati. L'insieme di questi fattori determinò una ripresa del partito laburista che peraltro sotto la spinta del suo leader Tony Blair si spostò verso il centro dello schieramento politico. Nel 1997 il New Labour di Blair vinse largamente le elezioni e cercò di risolvere la questione dell'autonomia di Scozia e Irlanda. AI Parlamento della prima vennero concessi maggiori poteri e nel 2014 un referendum assegnò una discreta maggioranza ai contrari alla secessione dal Regno Unito. In Irlanda del Nord si raggiunse con l'IRA un accordo per la consegna delle armi e l'abbandono della lotta violenta che fu definitivamente ratificato nel 2005. In Francia nel 1986 il centro destra neogollista guidato da Jacques Chirac tornò al governo aprendo la difficile fase di coabitazione con il socialista Mitterand, rieletto presidente della Repubblica. Il ritorno al potere del gollismo si svolse all'insegna di una moderazione meno parziale del programma di difesa del franco e riduzione del deficit pubblico, ma ciò non impedì la ripresa di forti conflitti sociali. Solo al terzo tentativo Chirac divenne infine presidente della Repubblica nel 1995. Ma stavolta toccò a lui nominare un primo ministro della parte avversa: il socialista Lionel Jospin. Nell'Europa comunitaria il governo Jospin rilanciò il ruolo di una sinistra sociale meno liberista e più legata alle proprie tradizioni. Anche nei paesi storicamente più legati all'esperienza del welfare il patto sociale fondato sulla protezione universalistica integrale di ogni cittadino si era incrinato di fronte a una crescente contrazione delle risorse. Nel 1995 la Svezia entrò a far parte dell'unione europea senza tuttavia associarsi all'euro. Negli anni 80 la Germania di Kohl fece registrare i migliori risultati economici ma rifiutò di mettere in pratica politiche ultra liberiste e il suo modello di crescita mantenne significativi elementi di continuità con la fase precedente non risultando pienamente omologabile al neoliberismo. | costi di una rigida politica monetaria volta alla difesa del marco e al risanamento dei conti pubblici furono scaricati soprattutto sui lavoratori precari immigrati. La disoccupazione si attestò attorno al 9%. Quando la situazione dell'Est europeo precipitò il cancelliere giocò con decisione la carta dell'immediata unificazione con la Germania dell'est. Al crollo del muro di Berlino Kohl pose alla base del programma un cambio paritario tra le due valute nazionali e i democristiani vinsero con largo margine le prime elezioni della Germania unita svoltesi ne 1990. La florida economia del paese assorbì senza troppe scosse il peso delle regioni orientali. Solo nel 1996 il piano di tagli delle spese sociali annunciato dal cancelliere riaccese il conflitto sociale e questo venne battuto alle elezioni dal candidato socialdemocratico Schroeder. La coalizione rosso-verde adottò un programma di riforme del mercato del lavoro migliorando la formazione professionale e la rete di centri di collocamento. Ma fino al 2005 il tasso di disoccupazione rimase attorno al 10% per poi scendere rapidamente durante la crisi finanziaria del 2008: a quell'epoca però il governo era già passato nelle mani di Angela Merkel. L'Italia rimase impegnata a lungo nella lenta e tormentata fase di passaggio a un sistema politico bipolare. Il collasso dei partiti di governo produsse una crescita anziché una diminuzione del numero di partiti. Nel 1994 alle prime lezioni svolte con il sistema maggioritario si presentò una nuova formazione politica denominata Forza Italia e guidata dall'imprenditore televisivo Silvio Berlusconi. Il nuovo partito ereditò buona parte dell'elettorato di PSI e DC conquistando la maggioranza relativa dei voti e dette vita a un'eterogenea coalizione di governo con la Lega Nord, una parte di ex democratici e gli eredi del Movimento sociale italiano. L'accordo si rivelò tuttavia fragile e di breve durata: Il governo Berlusconi ebbe vita difficile e non riuscì a porre mano alla riforma del sistema pensionistico e alla privatizzazione dell'industria di Stato che facevano parte del suo programma. Nuove elezioni anticipate nel 1996 dietro la maggioranza in composito schieramento di centrosinistra guidato da Romano Prodi. Il suo governo , che contava sull'appoggio di Rifondazione comunista e su una maggioranza formata da PDS, Verdi, Partito popolare e altri gruppi minori centrò l'obiettivo di rispettare i parametri macroeconomici necessari per entrare nella moneta unica europea. Anche questa alleanza si rivelò effimera e vittima delle divisioni interne il centrosinistra prima perse il governo e poi venne sconfitto alle elezioni del 2001 che ripotarono al governo Berlusconi. Il sistema politico italiano si era sbloccato aprendosi all'alternanza, ma le coalizioni politiche erano prive di una solida unità programmatica. Nel primo decennio del secolo centrodestra e centrosinistra si alternarono al governo. Nel 2011 la Banca centrale europea inviò una lettera al premier Berlusconi vincolando l'acquisto dei titoli di Stato del debito pubblico italiano al varo urgente di alcune riforme: liberalizzazione delle professioni, privatizzazione di enti servizi e beni pubblici, negoziati aziendali dei contratti di lavoro, flessibilità per assunzioni e pensionamenti. Inseguito da inchieste giudiziarie per frode fiscale Berlusconi si dimise e l'economista Mario Monti ne prese il posto alla guida di un governo tecnico incaricato di adempire alle riforme. Fu innalzata l'età pensionabile e proseguito il piano di privatizzazioni. Nel 2014 il nuovo leader del partito democratico Matteo Renzi riuscì nell intento. Ma la coalizione che lo sosteneva era ancora fragile mentre il nuovo soggetto politico: il Movimento 5 stelle riusciva a conquistare quasi un quarto dell'elettorato sulla base di un programma ecologista di lotta alla corruzione e di messa in discussione dei vincoli europei. In molti paesi del continente vennero affermandosi partiti e movimenti che facevano della lotta all'Europa unita e del ritorno alla piena sovranità degli stati nazionali uno dei cardini del loro programma. Era una reazione nazionalista e il più importante successo di tali orientamenti è stato il referendum con il quale nel 2016 i cittadini della Gran Bretagna hanno votato a favore dell'uscita del loro paese dall'Unione europea. - CRISI DEL 2008 - Nel 2008 una nuova crisi finanziaria tornò a colpire prima gli Stati Uniti e poi l'Europa. Nel giro di un anno i mercati azionari mondiali persero quasi metà del loro valore, l'indice della produzione industriale scese e quello del commercio globale fece lo stesso. Negli Stati Uniti la disoccupazione risalì fino a sfiorare il 10% della popolazione. Si ribaltava così un ciclo pluridecennale di costante crescita. Per la prima volta dal 1929 la classe media vide contrarsi i propri redditi, senza però rinunciare al suo stile di vita: dal 1985 al 2005 l'indebitamento delle famiglie statunitensi con banche e società finanziarie crebbe dal 60 al 120% del loro reddito. Parallelamente anche il debito pubblico contratto dallo stato superò il 100% del PIL. Il ricorso al credito mascherò un ritorno in grande stile dell'ineguaglianza: l'indice di Gini risalì alla quota record di 48 nel 2005. Il quinto più ricco della popolazione era l'unico ad accrescere il proprio reddito mentre tutti gli altri calavano. Banche e società finanziarie erano indotte a prestare facilmente denaro dai meccanismi della securitization (in italiano “cartolarizzazione”): il rischio di perdere il denaro prestato veniva suddiviso e redistribuito attraverso la vendita parallela e agganciata di “derivati” (Prodotti finanziari che prevedono guadagni o perdite a seconda dell'andamento nel tempo di indici borsistici o di tassi di cambio delle monete) ad altri consumatori. Così il rapporto diretto tra creditore e debitore si smarriva in una rete di mediazioni finanziarie sempre più intricata. Negli anni 90 con questa procedura il mercato dei mutui ipotecari sulla casa salì dal 5 al 20% del totale. L'idea era che la costante crescita del prezzo delle case garantisse comunque il denaro prestato. Ma improvvisamente nel 2006 i prezzi delle case iniziarono a scendere. Banche e società finanziarie si accorsero allora che il loro valore non copriva più quello del prestito erogato e cominciarono a far valere i propri crediti sul mercato dei derivati. A loro volta i debitori erano ricorsi allo stesso mercato, contraendo ulteriori debiti: la rete di intermediazioni costruita attorno al processo di securitization crollò tutta insieme perché essa aveva agito da moltiplicatore del debito. A differenza di quanto era accaduto nel 1929 il presidente Obama agì con tempestività, approvando un piano di salvataggio delle banche. Venne quindi evitata un'ondata di
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