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Riassunto "Storia Contemporanea. Vol. 2 Il Novecento" di Tommaso Detti e Giovanni Gozzini, Sintesi del corso di Storia Contemporanea

Riassunto dettagliato del secondo volume del manuale "Storia Contemporanea - Il Novecento" di T. Detti e G. Gozzini. Può bastare questo riassunto anziché il manuale per preparare l'esame.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 16/06/2020

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Scarica Riassunto "Storia Contemporanea. Vol. 2 Il Novecento" di Tommaso Detti e Giovanni Gozzini e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! 1 Storia Contemporanea, vol. II “Il Novecento” T. Detti e G. Gozzini Capitolo I – “La Grande Guerra” Introduzione – La Grande Guerra, combattutasi tra 1914 e 1918 fece da spartiacque tra due epoche storiche: il “lungo Ottocento” ed il cosiddetto “secolo breve”. Si trattò del primo conflitto che assunse dimensioni mondiali: benché combattuto principalmente in Europa, infatti, esso coinvolse anche stati extraeuropei, come gli Stati Uniti e il Giappone. La Grande Guerra fu caratterizzata inoltre da un massiccio uso bellico di apparati industriali e nuove tecnologie, oltre ad eserciti estremamente numerosi. In poco più di quattro anni si contarono 8,6 milioni di caduti, quasi il doppio di tutti i conflitti del secolo precedente, mentre secondo altre stime i morti furono circa 10 milioni. Effetti della guerra – Gli effetti del conflitto furono:  Scomparsa di quattro imperi – Nello specifico, alla fine del conflitto, erano scomparsi l’impero russo, tedesco, asburgico e turco;  Supremazia degli USA – Gli Stati Uniti soppiantarono la Gran Bretagna nel ruolo di superpotenza mondiale;  Fine dell’ancien régime – In Europa terminò definitivamente ciò che restava dell’ancien régime, che lasciò il posto alla moderna società di massa;  Forze nazionaliste tedesche – La pace punitiva imposta alla Germania alimentò le forze nazionaliste tra le quali si sarebbe affermato il partito di Hitler;  Liberazione delle colonie – Ricevettero un forte impulso i movimenti di liberazione dei popoli coloniali, culminato nell’età dell’imperialismo; Insomma, il lungo Ottocento, iniziato con la rivoluzione industriale americana e francese finì nel 1914. Le entrate in guerra: 1. L’assassinio di Francesco Ferdinando – Il 28 giugno 1914 venne assassinato l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria-Ungheria, mentre era in visita a Sarajevo, capitale della Bosnia. L’attentato fu preso a pretesto per dare una lezione alla Serbia e ridimensionarne l’influenza sull’area dei Balcani; 2. L’ultimatum dell’Austria alla Serbia – Il 23 luglio l’Austria consegnò a Belgrado un durissimo ultimatum ovvero una serie di misure per far cessare ogni attività anti-austriaca. Il documento aveva un carattere provocatorio visto che esigeva una risposta entro 48 ore ed accettando la Serbia avrebbe rinunciato alla propria sovranità; 3. L’Austria entra in guerra – Di fatto la risposta della Serbia fu negativa ed il 28 luglio l’Austria le dichiarò guerra; 4. Entrano in gioco le alleanze – Entrarono in gioco allora le linee di alleanza destinate a dividere l’intero continente europeo: - La Russia sosteneva la Serbia sia in nome della comune religione ortodossa, sia delle sue mire egemoniche sui Balcani, pertanto mobilitò il suo esercito; - La Germania chiese allora alla Russia di smobilitare, ovvero riportare l’esercito in assetto di pace, e alla Francia di impegnarsi alla neutralità: avendo ricevuto risposte negative da entrambe dichiarò guerra sia alla Russia che alla Francia ed il 4 agosto invase il confine neutrale del Belgio; - La Gran Bretagna scese in campo a fianco della Francia e del Belgio; - L’Italia si proclamò neutrale, sebbene appartenesse alla Triplice Alleanza; - Il Giappone il 23 agosto mosse guerra alla Germania per scalzarne le posizioni in Estremo Oriente; - La Turchia mosse guerra alla Germania ad ottobre; 2 - Nei due anni seguenti intervenne la Bulgaria con la Triplice Alleanza. Italia, Romania, Stati Uniti e Grecia contro di essa. Il conflitto coinvolse inoltre altri paesi, dal Portogallo alla Cina, ad altri stati latino-americani. La responsabilità del conflitto – Dall’attentato di Sarajevo all’inizio delle ostilità passò più di un mese, durante il quale si mise in moto un febbrile scambio di informazioni, contatti, sondaggi e avvertimenti. Il trattato di pace del 1919 individuò nell’aggressione tedesca la causa della guerra e, anche successivamente, si sono attribuite ad Austria e Germania le maggiori responsabilità del conflitto. Il “dilemma della sicurezza” – Uno dei fenomeni che caratterizzò il conflitto fu il cosiddetto “dilemma della sicurezza”: per ciascuno stato accrescere la propria significava spesso diminuire quella degli altri ed indurli a fare altrettanto, innescando una spirale di tensioni e corsa agli armamenti. Questo meccanismo face sì che:  L’Austria percepisse come un pericolo il rafforzamento della Serbia;  Così come da tempo la crescita della potenza economica della Germania era fonte di preoccupazione per gli stati confinanti e per la stessa Inghilterra, che temeva per la propria supremazia; L’acuirsi delle tensioni – Queste tensioni si erano acuite per effetto di tre fattori: 1. Decolonizzazione – L’esaurirsi della corsa alle colonie; 2. Bipolarismo – Il crescente bipolarismo del sistema di alleanze basato sulla Triplice Alleanza (Austria, Germania, Italia) e la Triplice Intesa (Francia, Russia, Inghilterra); 3. Strategie offensive – Ad esso si aggiungeva, nel 1914, una disposizione strategico-militari offensiva, ovvero tutti gli stati si basavano su dottrine militari e piani strategici offensivi, fondati sul concetto di guerra di movimento; Rivalità imperialiste, corsa agli armamenti, tensioni internazionali fra le grandi potenze, movimenti nazionalisti, meccanismi istituzionali e problemi sociali dei vari paesi: tutti questi fattori contribuirono a provocare il conflitto, ma nessuno basta da solo a chiarirne le cause e le caratteristiche. Il piano Schlieffen – Il piano Schlieffen, elaborato nel 1905, prevedeva una veloce campagna risolutiva contro la Francia attraverso il Belgio, da parte della Germania. Nonostante alcuni successi iniziali, tuttavia, l’offensiva della Germania verso occidente non conseguì gli effetti sperati e venne arrestata dagli anglo-francesi sul fiume Marna. A uscirne sconfitta fu anche l’idea di una “campagna-lampo” di annientamento. A Natale i contendenti erano già bloccati lungo una linea di trincere e reticolati che univa la Manica alla Svizzera. Alla fine del 1914 la guerra era già divenuta una guerra di posizione. Le battaglie – Ci furono varie battaglie, tutte poco risolutive, che riproponevano con poche varianti le stesse dinamiche: 1. Nel 1915 le operazioni volsero a favore della Triplice Alleanza (Austria, Germania, Italia) nei Balcani e sul fronte orientale, dove le truppe russe dovettero ritirarsi; 2. Nel 1916, cinque mesi di assalti non permisero ai tedeschi di espugnare Verdun, finché i francesi e gli inglesi uscirono vittoriosi dal campo della Somme; 3. Tra 1915-17 l’Italia, intervenuta a fianco dell’Intesa (Francia, Russia, Inghilterra), ottenne modesti risultati nelle undici battaglie sull’Isonzo; 4. Nel 1916 avvenne la cosiddetta Strafexpedition, “spedizione punitiva” da parte dell’esercito austro- ungarico nei confronti del “traditore”, ovvero l’esercito italiano, quest’ultimo riuscì a fermarla a fatica; 5. Un nuovo sfondamento delle linee italiane da parte dell’esercito austro-ungarico avvenne a Caporetto nell’ottobre 1917 e fu arginato sul fiume Piave, dopo il fallimento di due campagne franco-inglesi in Aisne e nelle Fiandre contro l’esercito tedesco; 6. Nel 1918 l’ultima offensiva tedesca sul fronte occidentale venne infine fermata sulla Marna e si sviluppò il contrattacco dell’Intesa (Francia, Russia, Inghilterra), culminato in agosto ad Amiens dove si ebbe la sconfitta ufficiale della Germania, che firmò l’armistizio; 5  Un clima di contrasti – Nel 1914 in Romagna e nelle Marche divampò inoltre una grande rivolta popolare, la “Settimana rossa”, intrisa di una spirito di ribellione contro le autorità. In questo contesto la neutralità subito proclamata dall’Italia – appartenente alla Triplice Alleanza – fu l’esito scontato delle incertezze del paese. Punta di Lancia del movimento per l’intervento fu l’Associazione Nazionalista Italiana, fondata nel 1910 da Enrico Corradini. Questa composita coalizione interventista tuttavia era largamente minoritaria nel paese, ma acquisì un ruolo di primo piano attraverso una raffica di agitazioni in piazza. Anche il Partito Socialista Italiano era caratterizzato da forti contraddizioni, che si assestò su una linea di compromesso riassunta dalla formula: “Né aderire ne sabotare”. Il movimento cattolico, pur non volendo la guerra, colse l’occasione per completare il proprio reinserimento nello Stato;  L’entrata in guerra – In un clima quindi di accesi contrasti, l’entrata in guerra dell’Italia, il 24 maggio 1915, fu decisa da Salandra e dal Ministro degli Esteri Sidney Sonnino con una sorta di colpo di stato contro la maggioranza del Parlamento e del paese. Il ruolo del re fu incerto, lo stesso Governo venne di fatto esautorato e la Camera convocata a cose fatte;  Una Quarta Guerra d’Indipendenza? – In politica estera, la partecipazione italiana al conflitto, fu a lungo interpretata come una “Quarta Guerra di Indipendenza”, per completare i confini naturali del paese. Tuttavia in realtà essa rispose ad una linea imperialista di prestigio e di potenza: il Trattato di Londra, infatti, con cui l’Italia si era già segretamente impegnata ad entrare in guerra con l’Intesa, mostra che l’obiettivo di espansione nei Balcani e nel Mediterraneo contava quanto – se non di più – più della conquista di Trento e Trieste;  L’esito della guerra – Nel 1916, quando la Strafexpedition mise a nudo la debole preparazione militare dell’Italia, non cambiò tuttavia la gestione dell’esercito, che il generale Luigi Cadorna continuò a dirigere in totale dispregio delle esigenze materiali e morali dei soldati, fondando la disciplina sul terrore. Una svolta nella conduzione del conflitto vi fu solo nel 1917, quando le linee italiane vennero sfondate a Caporetto e le carenze dell’organizzazione militare tradussero quella sconfitta in una rotta: il Friuli fu perduto e il fronte dovette arretrare sino al Piave. Il trauma di Caporetto fece sì che si formasse un nuovo governo presieduto da Vittorio Emanuele Orlando e Cadorna fosse sostituito da Armando Diaz, la cui accorta guida dell’esercito creò le premesse per la vittoria, conseguita il 24 ottobre 1918 a Vittorio Veneto. Con un debito estero e dipendente dagli Stati Uniti – non solo per rifornirsi di merci e materie prime, ma addirittura per sfamarsi – l’Italia usciva vittoriosa dalla guerra, ma così prostrata che la sua situazione era paragonabile a quella di una nazione sconfitta. La Rivoluzione Russa: Le rivolte del 1917 – La Prima Guerra Mondiale mise a nudo tutte le contraddizioni presenti in Russia. A causa del cattivo equipaggiamento dei soldati, dell’arretratezza degli armamenti e dell’impreparazione dei comandi militari il numero dei caduti fu di quasi due milioni. Inoltre, per effetto della chiamata alle armi dei contadini, la produzione agricola diminuì di circa un terzo e si susseguirono scioperi fino al 1915. Dopodiché, a causa della sordità alle richieste del popolo da parte dello zar Nicola II, nel marzo 1917 una serie di proteste spontanee sfociò a Pietrogrado in uno sciopero generale. Il consiglio dei Soviet – Nella capitale, in mano agli insorti, si formò un Soviet (consiglio degli operai e dei soldati), lo zar dovette abdicare e venne formato un governo provvisorio con a capo il capo liberale principe Georgij L’vov. Venne a crearsi un doppio potere:  Governo – Da un lato il governo, espresso dal Partito Costituzionale Democratico (detto “cadetto”), che voleva instaurare una democrazia parlamentare e proseguire la guerra;  Soviet – Dall’altro i Soviet, subito creatisi nelle città e successivamente nelle campagne, dove prevalevano rispettivamente nelle prime uno dei partiti nati dalla scissione della socialdemocrazia, quello menscevico, e nelle seconde i socialisti rivoluzionari, eredi del vecchio populismo; 6 Il governo provvisorio era in realtà debolissimo e in breve la sola autorità riconosciuta dalle masse popolari divennero i Soviet. L’ascesa del bolscevismo – Si susseguirono tre sconvolgenti fenomeni rivoluzionari:  Esercito – Il disfacimento dell’esercito, con i soldati che sempre più spesso rifiutavano di obbedire e combattere, si ribellavano o disertavano;  Contadini – Una violenta rivolta dei contadini, che occuparono e si divisero le terre dei grandi proprietari;  Operai – Un’ondata di lotte operaie, le cui rivendicazioni si estesero dai salari e dagli orari di lavoro al controllo delle fabbriche; Il paradosso della rivoluzione di febbraio è questo: depositari del consenso popolare, i Soviet e i partiti che li guidavano rinunciarono ad assumere il potere, accodandosi a un partito pressoché privo di seguito come quello “cadetto”. Così sia i menscevichi che i socialrivoluzionari si divisero e persero influenza nel paese. Di conseguenza in poco tempo crebbe l’astro di una forza politica che dapprima era rimasta in minoranza nei Soviet, ovvero i bolscevichi. Lenin e Kérenskij – A imprimere una svolta decisiva nella politica di questo partito fu il ritorno dall’esilio del suo capo, Lenin, che una volta giunto a Pietrogrado, nelle sue “Tesi di Aprile” affermò la necessità di:  Opporsi al governo provvisorio e caldeggiare invece una Repubblica dei Soviet, anziché un regime parlamentare;  Nazionalizzare le terre;  Proseguire la guerra; Dopo il crollo dello zarismo, la presa di potere da parte di operai e contadini, corrispose le attese delle masse popolari e portò ai bolscevichi consensi crescenti. Tuttavia, il Ministro (di destra) della Guerra e del Governo Provvisorio Russo, Kérenskij, decise di mettere in atto una grande offensiva militare, per cui le truppe russe attaccarono le forze tedesche ed austro-ungariche in Galizia, non tenendo conto del forte desiderio di pace che, a partire dalla rivoluzione di febbraio, si era man mano instillato nelle menti del popolo e dei soldati russi. L’offensiva si rivelò un fallimento su tutti i fronti, compromettendo ancor di più la situazione del paese. Si ebbe una sollevazione popolare che venne repressa, assieme al partito dei bolscevichi, che tornò nella precedente clandestinità, mentre Lenin riparava in Finlandia e altri leader come Trokij venivano arrestati. Il ritorno dei bolscevichi – Tuttavia, in settembre, un tentativo di colpo di stato controrivoluzionario del capo dell’esercito Kornilov fu sventato solo grazie alla mobilitazione del Soviet di Pietrogrado e all’appoggio dei bolscevichi. Questi ne uscirono rafforzati e per la prima volta ottennero la maggioranza all’interno dei Soviet. Fu a questo punto che Lenin, convinto che occorresse instaurare una dittatura degli operai e dei contadini, giudicò la situazione matura per la conquista violenta del potere e tornato dalla Finlandia persuase il suo partito della necessità di un’insurrezione, che fu fissata per il 25 ottobre durante il congresso dei Soviet. Quest’ultimo proclamò allora la Repubblica Sovietica, due decreti per la pace immediata e per la confisca delle terre e la loro assegnazione ai contadini. Le prime misure del governo guidato da Lenin ribadirono i decreti sulla pace e sulla terra e istituirono il controllo operaio sulle fabbriche, nazionalizzarono le banche, le ferrovie e alcune industrie, concessero l’indipendenza alla Finlandia e alla Polonia e sancirono il diritto dell’autodeterminazione dei popoli del vecchio impero. I bolscevichi tuttavia non raccolsero che il 25% dei consensi, mentre il 62% andò ai socialrivoluzionari. L’Assemblea si riunì a gennaio 1918 e, non riconoscendo il potere sovietico, venne sciolta da quest’ultimo: questo è considerato il primo segno di un atteggiamento autoritario e intollerante da parte dei bolscevichi. Poiché la Russia era incapace di leggere lo sforzo bellico venne firmata la pace da parte di Lenin nel marzo 1918. Oltre alla Finlandia e alla Polonia, lo stato dei Soviet cedeva così le province baltiche, l’Ucraina, parte 7 della Bielorussia e della stessa Russia. Giudicando la pace una resa all’imperialismo tedesco i socialrivoluzionari di sinistra uscirono dal governo. Dall’intervento americano alla fine della guerra: Governi e comandi militari – I governi e gli alti comandi non resistettero all’imprevista combinazione di intensità e durata della guerra. Si assistette pertanto ad avvicendamenti di vari governi più forti ed autoritari e ad un maggior potere nelle mani dei vertici delle forze armate. Si cercò in questo modo di reagire all’usura della guerra e alla crisi delle unità nazionali che avevano portato al moltiplicarsi degli episodi di protesta non solo dei “fronti interni” ma anche degli eserciti: ad esempio, in Francia, dopo la sanguinosa offensiva sull’Aisne, oltre 40.000 uomini si erano ammutinati. L’intervento degli USA – Ad imprimere al confitto una svolta decisiva fu l’intervento degli Stati Uniti. Il presidente americano Woodrow Wilson aveva basato sulla conferma della neutralità americana la sua campagna per le elezioni del 1916, che lo confermarono alla guida della nazione. A sancire però l’entrata in guerra degli USA fu l’indiscriminata guerra sottomarina tedesca, che colpì anche convogli e interessi americani, violando il diritto internazionale. In realtà la scelta bellica si fondò su una stretta mescolanza di idealismo e tornaconto: infatti i commerci con i paesi dell’Intesa avevano molto arricchito gli Stati Uniti ma li avevano anche esposti finanziariamente e la loro sconfitta sarebbe stata disastrosa per gli interessi americani. I “Quattordici punti” di Wilson – Convinto che la guerra fosse stata causata non solo dall’autoritarismo degli imperi centrali, ma anche dalla diplomazia segreta e dell’oppressione delle minoranze nazionali, nel gennaio 1918, Wilson espresse nei “Quattordici punti” il suo programma per la pace, basato sui seguenti principi:  Libertà di commercio;  Riduzione degli armamenti;  Autodeterminazione dei popoli;  Rispetto delle minoranze;  Formazione di una Società delle Nazioni che componesse le controversie internazionali; Nel frattempo tuttavia, le speranze di una pace negoziata furono definitivamente sepolte dalla pace separata di Brest-Litovsk: un trattato di pace stipulato tra la Russia bolscevica e gli Imperi centrali il 3 marzo 1918 nell’odierna Bielorussia, che sancì la vittoria degli Imperi centrali sul Fronte orientale, la resa e l’uscita della Russia dalla Prima Guerra Mondiale. La capitolazione degli Imperi centrali – Bulgaria e Turchia furono le prima a chiedere un armistizio. Il 3 novembre 1918 fu la volta dell’Austria anche se il suo impero già non esisteva più, dal momento che Ungheria, Cecoslovacchia e popoli slavi si erano già distaccati. In Germania il Kaiser Gugliemo II abdicò prima ancora dell’11 novembre, ovvero quando venne firmato l’armistizio che pose fine al conflitto. Mentre gli ex imperi centrali sprofondarono nel disordine, le manifestazioni di giubilo invasero Parigi, Londra, Roma e New York. Il fiorire di opere letterarie sulla decadenza dell’occidente trova un riscontro nel migrare oltre Atlantico del centro di gravità della storia mondiale, mentre fenomeni visibili a occhio nudo, come l’abnorme eccesso di donne rispetto agli uomini e l’assenza di milioni di bambini non nati davano la percezione della rottura epocale data dal conflitto. Capitolo II – “Il dopoguerra in Europa” Il trattato di Versailles – Nel gennaio del 1919, alla conferenza di pace di Versailles, erano presenti i seguenti stati, con i rispettivi primi ministri:  Stati Uniti, Wilson;  Francia, Clemenceau;  Gran Bretagna, Lloyd George;  Italia, Orlando; 10  L’abolizione della moneta con la reintroduzione dello scambio in natura; Il “Comunismo di Guerra” fu un completo fallimento a causa dei sui intrinseci difetti: venne messa su una burocrazia enorme, con una conseguente diminuzione della produttività del lavoro, la qualità delle merci peggiorò, i contadini reagirono alle odiate requisizioni dei raccolti, riducendo al minimo indispensabile le semine. Ma l’evento più significativo della crisi incontro alla quale andava il paese fu la ribellione, nel marzo 1921, dei marinai della piazzaforte di Kronstadt – da sempre baluardo bolscevico – che chiedevano la fine della dittatura del partito, libere elezioni dei Soviet, l’eliminazione del comunismo di guerra e una maggiore libertà economica per i contadini. La rivolta spinse i bolscevichi ad accelerare il varo di una nuova politica economica (la NEP), la cui pietra angolare sarebbe stata l’abolizione delle requisizioni, ma venne schiacciata nel sangue. La rivoluzione in Europa: Con la fine della guerra, si ebbe in Europa un brusco balzo delle tensioni sociali, per cui il numero degli scioperanti triplicò in Inghilterra, si moltiplicò per 4 in Italia e Francia e per 16 in Germania. Inoltre, la suggestione sulle masse europee dell’esempio russo, fece denominare il biennio di 1919-1920 come “biennio rosso”, due anni di rivolte e tensioni sociali che si espressero nei soli paesi dove la stabilità istituzionale era stata minata dalla guerra. In particolare:  Germania – In Germania si diffusero i “consigli” degli operai e dei soldati, che come i Soviet russi configurarono una forma di rappresentanza alternativa a quella parlamentare. Travolto dalla sconfitta e dalla mobilitazione popolare, l’Imperatore Guglielmo II abdicò e conferì l’incarico di cancelliere al leader socialista Friedrich Ebert. La Germania si trasformò così in una repubblica, all’interno di un clima sociale infuocato e in un’ambigua situazione di collaborazione tra vecchi e nuovi poteri. Nel gennaio 1919 l’esempio bolscevico spinse l’estrema sinistra tedesca – tra cui la Lega Spartaco – a proclamare un’insurrezione a Berlino, tuttavia la rivolta venne spietatamente repressa dal governo socialdemocratico e persero la vita i due importanti leader comunisti Rosa Luxemburg e Karl Liebkecht. In contemporanea si svolsero le elezioni per l’Assemblea Costituente, nelle quali la socialdemocrazia (SPD) conquistò la maggioranza dei voti e si alleò con il partito di centro cattolico (Zentrum) e col partito democratico. I consigli degli operai e dei soldati vennero soppressi e in Germania si istaurò così una Repubblica Parlamentare;  Austria – In Austria l’influenza dei socialdemocratici diminuì velocemente e le elezioni del 1920 diedero la maggioranza al partito cristiano-sociale. Tra la città di Vienna, cosiddetta “la rossa”, dal momento che solo là conservava un dominio la socialdemocrazia, e il resto del paese si viene a creare una frattura profonda;  Ungheria – In Ungheria, in seguito a fame e disoccupazione, nel marzo del 1919, sotto la spinta degli operai organizzati nei consigli, il neonato Partito Comunista e quello Socialdemocratico si unirono per creare un nuovo governo, guidato dal comunista Béla Kun, che proclamò la Repubblica Sovietica. Anche questo tentativo tuttavia fallì, poiché l’Ungheria venne assalita militarmente dai rumeni e dai cechi, appoggiati dall’Intesa. Kun dovette arrendersi e Miklòs Horthy instaurò una dittatura controrivoluzionaria; Il Comintern – La caduta della Repubblica Sovietica Ungherese segnò la fine della prospettiva di rivoluzione in Europa, ma non delle speranze dei bolscevichi, i quali fondarono, nel marzo 1919, una nuova organizzazione internazionale, la terza dopo quelle del 1864 e del 1889: il “Comintern”. I bolscevichi erano però convinti che il ritardo della rivoluzione fosse determinato dall’opera di freno opposta dei partiti socialdemocratici, puntarono pertanto alla creazione di forti partiti comunisti e nell’estate del 1920, in un clima euforico per la marcia dell’Armata Rossa su Varsavia, il II Congresso del Comintern impose ai suoi aderenti la separazione dai socialisti riformisti. 11 Si generò in questo modo la divisione dal socialismo prodotta dalla guerra, che durò sino al crollo dell’URSS: tale politica di separazione raccolse alcuni successi in Germania e in Francia, ma altrove la scissione risultò di fatto minoritaria e nel complesso la socialdemocrazia mantenne un’influenza predominante sul movimento operaio europeo. La svolta si ebbe col III Congresso del giugno 1921, che inaugurò la politica del “fronte unico” tra comunisti e socialisti. Dopoguerra e Fascismo in Italia: Un’ondata di scioperi – L’Italia fu il paese che, dopo la Germania, venne ritenuto dalla III Internazionale il più prossimo alla rivoluzione. Si assistette infatti tra 1919-1920 all’aumento degli scioperi operai, grazie ai quali i lavoratori italiani ottennero ad esempio la giornata lavorativi di 8 ore, e al coinvolgimento di un numero sempre crescente di lavoratori nell’area bracciantile della Val Padana interessata a scioperi di tipo agrario. Questi ultimi non ottennero soltanto sensibili aumenti salariali, ma procurarono alle “leghe rosse” il controllo del collocamento e dell’“imponibile di manodopera”: i lavoratori venivano cioè assunti tramite il sindacato, che stabiliva quanti ne occorressero, monopolizzando il mercato del lavoro ed esercitando una solida egemonia sociale. In quest’ambito è da segnalare la discesa in campo di figure tradizionalmente passive quanto a movimenti di protesta:  I mezzadri delle regioni centrali, che imposero nuovi patti colonici;  Gli ex fanti-contadini del Mezzogiorno, che occuparono vaste estensioni di terre incolte; Quanto protagonismo delle masse si riflesse in due ulteriori fenomeni:  Sindacati – Si ebbe una grande crescita dei sindacati, che raggiunsero i 4 milioni di iscritti;  PSI – Alle elezioni del novembre 1919 il Partito Socialista Italiano ottenne la maggioranza relativa, con il 32% dei voti; Il ritorno di Giolitti contro il PSI – Nel settembre 1920 gli operai metallurgici risposero ad una serrata padronale con l’occupazione delle fabbriche e la prosecuzione della produzione negli impianti presidiati dalle “guardie rosse” armate. La dirigenza del PSI non riuscì tuttavia a dare uno sbocco politico a questa occupazione, che poteva rivelarsi uno strumento prezioso per il partito, e per la pochezza dei leader socialisti si registrò una mancata occasione rivoluzionaria; tant’è che il vecchio Giolitti, tornato al governo, mediante un’abile mediazione, pose fine all’occupazione con un compromesso che soddisfaceva gli operai – ovvero un aumento salariale ed il controllo sindacale all’interno delle aziende – ma che di fatto era un insuccesso operaio sul piano politico. Divisioni interne al PSI – Alla luce di questi avvenimenti è chiaro che il limite più grave delle lotte operai e contadine fu quello di non riuscire a saldarsi in un movimento unitario: il PSI era diviso tra la maggioranza dei rivoluzionari ed i riformisti che auspicavano una collaborazione con la classe dirigente, i quali, pur essendo minoritari nel partito, controllavano il gruppo parlamentare e molti Comuni “rossi” del centro-nord. Il Partito Popolare Italiano – Alle elezioni del 1919, il PPI fondato da don Luigi Sturzo, che inaugurava la presenza dei cattolici in politica, raccolse oltre un quinto dei suffragi. Sulla carta PSI e PPI avevano la maggioranza alla Camera, ma in realtà erano antagonisti: l’uno anticlericale, l’altro anticonfessionale ma molto dipendente dalla Chiesa. Il PPI in sostanza spalleggiò i governi del tempo, svolgendo un ruolo di argine contro i socialisti. I governi di Nitti e Giolitti – I governi presieduti da Francesco Saverio Nitti e da Giolitti, tra il 1919 e il 1921, non riuscirono ad adeguare le strutture oligarchiche dello Stato italiano ad una società ormai massificata, nonostante alcune importanti riforme, come l’introduzione da parte di Nitti del sistema elettorale proporzionale, che favorì l’affermazione di partiti organizzati su scala nazionale. Suddetti governi contennero le pressioni operaie ma non trasformarono in senso democratico lo stato né recuperarono il pieno controllo del parlamento. 12 Tendenze nazionaliste – A causa di ciò iniziarono a formarsi spinte interne propense ad instaurare uno “Stato forte” che ripristinasse l’ordine. Trovarono dunque spazio aggressive tendenze nazionaliste che sfruttano il mito della “vittoria mutilata” per far presa sull’opinione pubblica e nel 1919 un corpo di volontari con a capo Gabriele D’Annunzio occupò la città di Fiume per annetterla all’Italia. L’impresa, svoltasi nella più totale illegalità, non produsse alcun risultato, bensì evidenziò la debolezza della classe dirigente liberale ed esercitò notevoli suggestioni tra gli ex combattenti e la piccola e media borghesia, impoveritasi per il conflitto. Benito Mussolini – Le elezioni amministrative del novembre 1920 mostrarono una situazione di stallo: il PSI ottenne infatti una buona affermazione, ma non riuscì a conquistare alcuna grande città eccetto Bologna e Milano. Fu in questo delicato momento storico che balzò alla ribalta la nuova forza politica fondata nel marzo 1919 dall’ex socialista Benito Mussolini: i cosiddetti “Fasci di combattimento” alla loro nascita riunivano futuristi, ex sindacalisti e membri delle truppe d’assalto della Grande Guerra. Fin dall’inizio fu evidente la vocazione reazionaria del Fascismo, dato l’allineamento di Mussolini al nazionalismo e le violente manifestazioni pubbliche, come ad esempio l’incendio alla tipografia dell’“Avanti!”. Dopo l’estate del 1920 il Fascismo si organizzò in squadre paramilitari e scatenò una violenta guerra sociale incontrando deboli resistenze dagli operai e connivenza dagli apparati dello Stato. Alle nuove votazioni del maggio 1921 i fascisti vennero inclusi nei “blocchi nazionali”, promossi dalla vecchia classe dirigente: il piano di Giolitti di poterli riassorbire nella legalità dopo essersene servito si rivelò tuttavia illusorio. Il fascismo acquisì proporzioni di massa sostenuto dal alcuni settori della grande industria, dai ceti medi e dai cattolici più conservatori. In seguito, tra 1921 e 1922, l’agonia dello Stato liberale fu suggellata dall’impotenza dei successori di Giolitti: Bonomi e Facta. Crisi del PSI e nascita del Partito Comunista – Di fronte al dilagare dell’azione squadrista, esplosero profonde divisioni all’interno del PSI: 1. L’estrema sinistra uscì dal partito e andò a formare il Partito Comunista d’Italia, a cui aderì il gruppo del giornale torinese “L’ordine nuovo”, composto da giovani intellettuali come Gramsci, Togliatti e Terracini; 2. A sancire la crisi del PSI furono due ulteriori scissioni: vennero espulsi, nel 1922, i riformisti del vecchio leader Turati; 3. Mentre nel 1923 venne espulso dal PSI anche un gruppo favorevole al Comintern, guidato da Giacinto Menotti Serrati, che si unì ai comunisti; La “marcia su Roma” – Nel vuoto aperto dal collasso dello Stato liberale si verificò un travaso di poteri per cui nel 1921, quando si costituì il Partito Nazionale Fascista (PNF), questo venne a contare 300.000 iscritti. Mussolini decise di agire nell’ottobre del 1922, quando organizzò la cosiddetta “marcia su Roma”. Il re Vittorio Emanuele III – che avrebbe potuto disperdere le migliaia di “camice nere”, fatte convergere nella capitale da Mussolini, mediante le truppe poste a difesa della città – non firmò tuttavia lo stato di assedio ed incaricò Mussolini di formare un nuovo governo. Il colpo di stato venne pertanto attuato con l’appoggio, più o meno esplicito, dei poteri forti: stati maggiori dell’economia, alte gerarchie militari, apparati statali e Chiesa cattolica. La Camera dei deputati concesse subito i pieni poteri al governo, del quale facevano parte anche ministri nazionalisti, liberali e popolari: fu così che il Fascismo giunse al potere senza alcuna maggioranza parlamentare. La stabilizzazione in Europa: Europa centro-orientale – Nel primo Dopoguerra, agli stati europei si aprirono di fatto tre possibilità:  Rivoluzione – Realizzata precocemente in Russia senza prendere campo nel resto del continente;  Reazione – Oltre all’Italia, dove si affermò il Fascismo, si instaurarono in Europa altri regimi autoritari e conservatori come le dittature di Miklòs Horthy in Ungheria e Jòsef Piłsudski in Polonia. Le istituzioni rappresentative erano estremamente instabili in Jugoslavia, all’interno della quale erano 15  Cartelli – E oltre ai cartelli, che invece concernevano solo il controllo dei prezzi e delle quote di mercato ma non comportavano un’integrazione;  Holding – Comparvero le holding, società finanziarie detenenti una parte, o la totalità, del capitale di altre imprese al fine di controllarne la gestione finanziaria, industriale e commerciale. Esse concentrarono nelle proprie mani i pacchetti azionari delle maggiori imprese, accentuando l’intreccio tra banca e industria; Negli Stati Uniti, dove tali processi furono più corposi, già da prima della guerra erano state varate delle leggi antitrust per limitare il potere delle maggiori corporations difendendo la possibilità per le imprese più piccole di operare nel mercato. In Europa, invece, lo sviluppo economico si fondava sulla contrattazione tra grandi imprese e sindacati mediata dallo Stato, una sorta di patto sociale che Charles S. Maier definì “capitalismo organizzato”. L’inflazione e il piano Dawes – Quella che venne a svilupparsi tuttavia fu una ventata inflazionistica. Molti governi non la osteggiarono, poiché una continua svalutazione della moneta riduceva il debito pubblico e poteva favorire una crescita economica trainata dalle esportazioni, ma il fenomeno inflattivo divenne presto incontrollato e provocò un brusca caduta della produzione e del potere d’acquisto dei consumatori. Il paese che più ne soffrì fu la Germania, per cui nel 1924 gli USA lanciarono il piano Dawes, grazie al quale si attivò un flusso di capitali dagli Stati Uniti alla Germania. A questo punto la forza dell’economia statunitense su quella europea era tale che una crisi oltreoceano avrebbe avuto effetti notevoli anche nel vecchio continente, come di fatto avvenne poi nel ’29. Il gold exchange standard – A tutti i fattori di precarietà sopra descritti, si aggiunse la politica monetaria adottata dalle nazioni. In particolare la Gran Bretagna era uscita dal conflitto con la ferma intenzione di restituire alla sterlina il ruolo di valuta leader degli scambi mondiali: era il criterio di fondo del “gold exchange standard”. Questo nuovo sistema, considerato da molti storici come un errore irreparabile, prevedeva che all’oro si affiancasse la sterlina come mezzo di pagamento internazionale: le banche centrali di ogni nazione, cioè, potevano tenere a garanzia del valore della propria valuta non solo oro, ma anche sterline. Tuttavia il sistema ruotava inevitabilmente attorno all’economia inglese, la quale non era più in grado di controllare l’economia mondiale e quando la Francia nel 1928 decise di convertire le proprie riserve di valuta estera la sterlina fu molto indebolita e con essa l’efficacia del gold exchange standard. La crisi del 1929 – Il 24 ottobre 1929 l’indice della borsa di New York crollò, segnando un ribasso delle azioni pari al 50%, a causa di una febbre speculativa degli ultimi anni. Il crollo della borsa ebbe immediate ripercussioni sul sistema bancario: in preda al panico molti risparmiatori corsero a prelevare i propri depositi, causando il fallimento delle banche che si ritrovarono senza capitale. La crisi – o “grande depressione”, come è stata chiamata – durò dal 1929 al 1932-33 con una ricaduta nel 1937 e si propagò all’industria, di modo che in tre anni la produzione dimezzò. Aumentò vertiginosamente il numero dei disoccupati che, in quattro anni, passò dal 3% al 25% della popolazione. Questa grande crisi segnò il finale di un lungo periodo di espansione così come la guerra aveva segnato la fine della Belle Époque. Conseguenze della crisi – Come era prevedibile, ben presto la crisi si estese a macchia d’olio negli altri paesi:  Germania – Primo tra tutti la Germania – nella quale il numero dei disoccupati aumentò da 2,5 a 6 milioni – dove si ebbero gli effetti più disastrosi, perché maggiori erano la dipendenza dagli investimenti americani e la fragilità del sistema economico;  Argentina e Brasile – Oltre ai paesi europei vennero colpiti anche i maggiori esportatori di materie prime: Argentina e Brasile;  Francia, Gran Bretagna e Italia – Meno grave fu l’impatto della crisi in Francia e Gran Bretagna, che potevano contare sulle aree di mercato dei propri possedimenti coloniali, e in Italia, dove l’espansione della prima metà del decennio era stata bloccata dalla rivalutazione della lira nel 1927. Inoltre, il già precario sistema del gold exchange standard venne spazzato via dalla svalutazione delle 16 monete con cui i governi tentarono di contrastare la crisi. Nel 1931 la stessa Inghilterra svalutò la sterlina, assieme al varo di politiche protezionistiche volte a difendere i rispettivi prodotti nazionali. Ne risultò un crollo del commercio internazionale che neppure l’uscita dalla crisi avrebbe riattivato in modo apprezzabile fino al termine della Seconda Guerra Mondiale. Il New Deal – Negli Stati Uniti venne allora elaborato dal presidente Roosevelt un progetto di riforma del sistema capitalistico: il “New Deal”, che per la prima volta in quel paese assegnò allo Stato compiti di regolazione dell’economia e di intervento a sostegno delle fasce più deboli della popolazione. Il New Deal ridimensionò il potere delle grandi corporations e costruì il modello del Welfare State, introducendo le assicurazioni contro le malattie, l’indennità di disoccupazione e altri ammortizzatori sociali a sostegno delle fasce più deboli. Lo Stato si trasformò così in un imprenditore, finanziando opere pubbliche che crearono migliaia di posti di lavoro e contribuirono a modificare il volto del paese. La riforma riuscì tuttavia solo in parte a risolvere gli squilibri economici. La cultura del Novecento – In generale quella che si aprì verso la fine degli anni Venti fu un’epoca di smarrimento segnata da disincanto, soggettività e inconscio: al panorama della cultura europea tra le due guerre mancò quasi del tutto il sottofondo di speranza, fiducia e provocazione ottimistica del secolo precedente. Autori come Pirandello, Hermann Hesse o Marcel Proust si dedicarono allo scavo nell’inconscio teorizzato dalla psicoanalisi. Furono gli anni del movimento Dada che, dopo la guerra, si confuse col Surrealismo, raccolto a Parigi attorno a Breton. In letteratura furono gli anni del “flusso di coscienza” che tentava di restituire l’immediatezza del pensiero umano nello stato di semi-coscienza del dormiveglia. Negli Stati Uniti si assistette inoltre alla nascita dello star system e di Hollywood, attraverso un cinema che esaltava l’american way of life, oltre che alla comparsa della musica jazz. Capitolo IV – “L’Occidente negli anni venti” Debito pubblico europeo – I paesi europei per sostenere lo sforzo bellico avevano moltiplicato il debito pubblico: tra il 1913 e il 1920 il debito estero della Gran Bretagna era aumentato di 11 volte, quello della Germania di 28. Gran parte di questi debiti erano stati contratti con gli Stati Uniti, che divennero creditori di una cifra enorme: 3,7 miliardi di dollari. Americanismo e isolazionismo – Paradossalmente però, l’acquisizione da parte degli USA di un ruolo economico globale si accompagnò con una linea politica di rinnovato “isolazionismo” che ebbe, tra le sue cause, una certa diffidenza da parte del governo americano per le condizioni politiche in Europa ed il timore di un “contagio” rivoluzionario proveniente dalla Russia dei Soviet: il cosiddetto “red scare”, che si unì all’“americanismo”, un composito sentimento di orgoglio nazionale con un sottofondo puritano, tradizionalista e conservatore. Sfruttando queste tendenze, nel 1920 la propaganda repubblicana provocò nell’opinione pubblica un forte risentimento nei confronti del presidente democratico W. Wilson e della sua politica estera, tanto che nel 1920 la maggioranza repubblicana del Senato respinse il trattato di pace di Versailles e non ratificò l’adesione degli USA alla Società delle Nazione. Nello stesso anno, il repubblicano Warren Harding vinse largamente le elezioni presidenziali. I suoi primi provvedimenti confermarono la spinta isolazionistica cui stava andando incontro il governo americano:  Protezionismo – Misure protezionistiche di aumento dei dazi doganali sulle importazioni;  Immigrazione – Leggi sull’immigrazione che comportarono una drastica diminuzione degli ingressi;  Proibizionismo – Legislazione proibizionistica, vale a dire il divieto di produzione e vendita di alcolici, varata nel 1919, al fine di proteggere l’integrità e la saldezza morale della società; In molti stati venne considerata fuori legge la militanza nel partito comunista e nel sindacato radicale. Il movimento del Ku Klux Klan, movimento che praticava la difesa dell’americanismo misto al razzismo ed alla violenza nei confronti degli avversari, divenne sempre più presente nel sud del paese. Simbolo di questo 17 periodo di intolleranza fu la condanna a morte degli anarchici Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, la cui colpevolezza non fu mai provata in processo e nel 1977 sono stati riconosciti innocenti. Il proibizionismo favorì infine la diffusione di organizzazioni criminali – i cosiddetti “gangster” a capo di “racket”, le loro bande criminali – dedite al contrabbando di alcolici e alla prostituzione. Il boom degli anni venti – Il boom economico che gli USA videro negli anni ’20 fu caratterizzato da:  Apparato industriale – La vera ragione del nuovo ruolo economico che gli Stati Uniti ebbero per tutti i cosiddetti “ruggenti” anni ’20 fu nel rilancio dell’apparato industriale, dovuto in larga misura alle innovazioni tecnologiche applicate alla produzione e ad una più razionale organizzazione del lavoro, il cosiddetto “taylorismo” o “fordismo”: descritto da Chaplin in “Tempi Moderni”, ovvero una sequenza di mansioni svolte in fabbrica attorno alla catena di montaggio. Questo fenomeno si manifestò soprattutto nei nuovi settori industriali: quello chimico, elettrico, radiofonico, dell’aviazione e, in particolare, in quello automobilistico, retto da Ford e General Motors;  Consumi di massa – Si diffusero nuovi consumi di massa e nuovi stili di vita fondati sull’ostentazione di oggetti che rappresentavano uno status-symbol, quali l’automobile e la radio, acquistate soprattutto a rate. Andò da sé che, con l’aumento dei consumi, ebbe un incremento senza precedenti la pubblicità, che iniziò ad occupare più della metà delle pagine dei giornali;  Risorse – Quanto alle risorse, queste si concentrano nelle mani di grandi magnati come Morgan, per l’acciaio, e Rockefeller, per il petrolio;  Città – Mentre i quartieri centrali delle città divennero i cuori pulsanti di questa rete di interessi, per cui si era arrivati a contare 400 grattacieli già nel 1929. È da ricordare inoltre che gli anni ’20 furono anche l’età del Jazz e del Charleston; In sintesi, il “sogno americano” – che nacque proprio in questi anni – si fondava sul mito del successo individuale e considerava le disuguaglianze come il frutto naturale delle diversità personali. Il partito repubblicano – Interprete politico di questa fase storica fu il partito repubblicano che, dopo la morte di Harding nel 1923, conquistò tutti i mandati presidenziali, prima con Calvin Coolidge e poi con Herbert Hoover. Questo blocco di potere si fondava sull’idea di una crescita spontanea dell’economia, senza ingerenze da parte dello Stato, e si trovò perciò del tutto impreparato ad affrontare il crollo della borsa del 1929: l’allora presidente H. Hoover reagì addirittura minimizzando l’accaduto, riducendolo ad una semplice crisi congiunturale che l’economia americana sarebbe stata in grado di assorbire in tempi brevi. Chiaramente non fu così e nel giugno 1930, nel tentativo disperato di proteggere l’industria nazionale e arginare la disoccupazione, il presidente alzò ancora le già consistenti barriere doganali contro l’importazione di merci straniere. Così facendo tuttavia incoraggiò provvedimenti analoghi da parte degli altri paesi, danneggiando le esportazioni americane e alimentando altri effetti depressivi. Negli anni successivi il presidente Hoover, malgrado l’impennarsi del numero di disoccupati, si oppose ad ogni forma di sussidio per coloro che erano senza lavoro: i tempi erano allora maturi per un cambio radicale e nel novembre 1932 il democratico Roosevelt si aggiudicò la presidenza. Roosevelt e il New Deal – Già governatore dello stato di New York, dove aveva applicato un programma di assistenza ai disoccupati e una politica di impulso alle opere pubbliche, Roosevelt propose nel suo discorso inaugurale un “New Deal”, ovvero un “patto nuovo”, basato sull’abbandono del liberismo dei governi repubblicani e sull’impegno dello stato in una lotta concreta contro la crisi e la disoccupazione. Egli chiese al parlamento ampi poteri e venne affiancato nella sua opera di governo da un brain trust, un “comitato di cervelli” formato da tecnici di diverso orientamento politico ma accomunati dall’approvazione nei confronti di una linea di interventismo promossa dallo Stato. Nei primi 100 giorni di presidenza i provvedimenti più urgenti furono:  Misure preventive – La svalutazione del dollaro e la separazione tra banche di deposito e banche di investimento per contenere la speculazione borsistica e separarla dall’economia reale di famiglie e 20 3. Il governo di unità nazionale di R. Poincaré – Alla guida del nuovo esecutivo venne chiamato il vecchio Raymond Poincaré che formò un governo di unità nazionale senza i socialisti, grazie al quale il bilancio dello Stato tornò in attivo: venne invertita la politica economica, il franco fu ufficialmente svalutato con un conseguente nuovo impulso per le esportazioni e la produzione industriale. La popolazione urbana superò così quella rurale e attorno alle città crebbero le cosiddette “banlieue”, i sobborghi operai; 4. Effetti della crisi del ’29 – La crisi del 1929 ebbe tuttavia delle forti ripercussioni anche in Francia, dove la produzione industriale scese sotto i livelli prebellici e i conti dello Stato tornarono in rosso, tant’è che nel 1934 fallì la grande industria automobilistica Citroen. Dal 1929 al 1932 si succedettero ben 8 governi di centro-destra che attuarono misure protezionistiche e severe limitazioni alle uscite, a danno soprattutto di pensioni e stipendi pubblici: queste misure permisero un efficace contenimento della disoccupazione ma i salari ebbero una drastica caduta e lo scontento che ne derivò coinvolse strati consistenti del ceto medio, che alle elezioni del 1932 premiarono le opposizioni: si susseguirono vari governi di sinistra che, a causa dei dissensi tra radicali e socialisti, aprono una fase di instabilità politica; 5. Il Fronte popolare – La formazione di leghe paramilitari ispirate al Fascismo e al Nazismo, nonché i duri scontri tra polizia e dimostranti di destra che sconvolsero Parigi nel 1934, spinsero le sinistre ad una politica antifascista unitaria. Il Partito Comunista, sotto la guida di Maurice Thorez, abbandonò la sua linea di isolamento e, nel 1934, insieme ai socialisti – fino ad allora considerati nemici della classe operaia – e ad i radicali, strinse un patto di unità d’azione: il “Fronte popolare”, il cui programma prevedeva un rilancio delle opere pubbliche, la costituzione di un fondo contro la disoccupazione, la nazionalizzazione dell’industria bellica e lo scioglimento delle formazioni paramilitari di estrema destra. Alle elezioni del 1936 il grande successo dei comunisti e la tenuta dei socialisti confermò un governo del Fronte popolare presieduto dal leader socialista Leon Blum, che promosse un accordo tra sindacati ed imprenditori che portò aumenti salariali e l’introduzione delle 40 ore di lavoro settimanali; 6. La sconfitta delle sinistre – La cosiddetta “luna di miele” tra il governo del Fronte popolare e la società francese durò poco: l’aumento del costo del lavoro riaccese un’inflazione superiore alle esigenze dell’industria esportatrice, la svalutazione del franco decisa nel 1936 fu vista come un grave insuccesso e la riduzione dell’orario di lavoro non portò a un immediato aumento dell’occupazione. Nel 1937 Blum richiese al Senato poteri fiscali straordinari ma a seguito del rifiuto da parte di quest’ultimo, nel 1937 il governo si dimise. La sconfitta della sinistra lasciò la Francia in preda ad una grave crisi, preludio alle pagine più nere della sua storia; La Germania: Dopo la guerra – Le elezioni per l’Assemblea costituente affidarono il governo ad una coalizione tra socialdemocratici e partiti di centro. La Costituzione promulgata nel 1919 conferì alla Repubblica di Weimar – dal nome della città dove aveva sede il parlamento – la forma di un regime federale, costituito da 17 stati regionali largamente autonomi (“Länder”). Il parlamento era bicamerale con un Reichstag eletto a suffragio universale e un Reichsrat composto dai delegati dei Länder. Il presidente della repubblica aveva ampi poteri ed era eletto direttamente e dotato di ampi poteri. Difficoltà interne ed esterne – Il primo difficile banco di prova della Repubblica fu quello del ripristino e della tutela della legalità. Nel 1920, guidati da un politico di estrema destra, gruppi paramilitari di estrema destra tentarono, senza successo, un colpo di stato. L’acutezza dei conflitti che pose il paese sull’orlo di una guerra civile era aggravato dalle gravi difficoltà in politica estera: nel 1923 truppe belghe e francesi occuparono la Ruhr a causa del mancato pagamento delle riparazioni di guerra da parte della Germania, ciò fu una grande umiliazione per la neonata Repubblica. La perdita del centro nevralgico dell’industria tedesca – la regione della Ruhr – assestò un colpo decisivo ad un’economia già pericolante: sulla Germania si abbatté così una tremenda inflazione. 21 Il governo di coalizione di Stresemann – Miseria, disoccupazione e contrasti interni dilagarono in Germania. Il governo di coalizione, presieduto dal presidente del Partito del Popolo, Gustav Stresemann, sciolse i governi socialdemocratici della Sassonia e della Turingia, represse le insurrezioni comuniste e del partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori (NSDAP) di Adolf Hitler.  Il Rentenmark – Lo stesso Stresemann avviò una politica di risanamento finanziario, creando una nuova valuta, il “Rentenmark” – priva di copertura aurea ma è convertibile in ipoteche su immobili, terreni e risorse industriali – che ebbe come effetto immediato un rilancio dell’economia ed una netta diminuzione dell’inflazione, la quale rientrò nella norma;  Il “Piano Dawes” – A questo risultato contribuirono anche la restituzione della Ruhr e il sostegno degli Stati Uniti, che attraverso il “Piano Dawes” abbassarono le rate annuali delle riparazioni e concedettero alla Germania prestiti per 800 milioni di marchi; Effetti della ripresa economica – Gli effetti positivi della ripresa economica furono accompagnati da rapporti più distesi con la Francia che nel 1925 si espressero:  Il trattato di Locarno – Nel trattato di Locarno, con cui si stabiliva l’intangibilità delle frontiere tra Germania, Francia e Belgio e la smilitarizzazione della Renania;  La Società delle Nazioni – E dall’ingresso della Germania nella Società delle Nazioni, nel 1926; Il governo di Hindenburg – Alle elezioni del 1925 vinse Paul Hindenburg, un uomo legato al passato imperiale e militare, che segnò un netto spostamento a destra dell’elettorato. Il governo tuttavia era comunque instabile, tant’è che tra il 1919 e il 1928 i tedeschi votarono per ben 5 volte: il parlamento era paralizzato dell’opposizione delegittimante della sinistra comunista e dalla destra nazionalista e militarista. Che la crisi della Repubblica sfociasse nel totalitarismo nazista non era un esito scontato: la revisione pacifista del trattato di Versailles mostrava che altre vie erano percorribili, tuttavia la crisi del ’29 calò sulla Germania come una mannaia. L’Europa centro-orientale: I nuovo stati dell’Europa centro-orientale erano deboli e spesso minati da contrasti etnici, che in alcuni paesi presero a bersaglio le consistenti minoranze ebraiche. Nello specifico:  Austria – In Austria era presente un netto contrasto tra città – dove era maggiormente presente il partito socialista, che ottenne, ad esempio, una maggioranza risicata a Vienna alle elezioni del 1919 – e la campagna, rappresentata invece dal partito dei cristiano-sociali. Nel 1921 i socialisti vennero espulsi dal governo ed una situazione economico-sociale ben peggiore di quella tedesca radicalizzò in breve tempo la vita politica. Si avviò infatti una spirale di attentati da parte ceti agrari contro la “Vienna rossa” che culminò nel 1927 con l’incendio del palazzo di giustizia di Vienna, al quale parteciparono anche milizie austriache filofasciste finanziate da Mussolini. La crisi del 1929 accentuò le propensioni filotedesche e filonaziste e nel 1932, dopo il successo del Partito Nazista alle elezioni comunali viennesi, il governo del cristiano-sociale Engelbert Dollfuss varò una costituzione che attribuì poteri dittatoriali al capo di governo e sciolse i partiti nazista e socialista: l’Austria divenne così il laboratorio di un nuovo regime “clero-fascista”;  Cecoslovacchia – In Cecoslovacchia, un’economia e una società progredite permisero al paese di consolidare la democrazia. Le coalizioni di governo attuarono una politica di riforme, a partire da quella agraria che nel 1919 espropriò oltre un milione di ettari di latifondo, e le tensioni legate alle numerose differenze etniche, religiose e culturali vennero contenute nei limiti della legalità. Solo negli anni ’30, a causa dell’aggravarsi della situazione economica e dopo l’ascesa al potere di Hitler, i conflitti etnici trovano il loro epicentro nella regione di frontiera dei Sudeti, abitata da ben 3 milioni di cittadini di lingua e cultura tedesca. Di fronte alle pretese espansionistiche della Germania, la Cecoslovacchia non trovò alleati che la difendessero e nel 1938-1939 dovette subire lo stesso destino dell’Austria; 22  Polonia – La Polonia era uscita dal trattato di Versailles con frontiere sicure ad occidente, ricavate dal ridimensionamento della Germania, ma con confini non definiti ad est. La cosiddetta “linea Curzon” assegnava la sovranità del paese a regioni abitate in maggioranza dai polacchi, ma il movimento nazionalista guidato da Józef Piłsudski rivendicò i territori orientali anticamente appartenuti alla Polonia, impegnandola nel 1920 in una guerra senza risultati con l’Unione Sovietica. L’instabilità determinata dai conflitti interni per le diverse minoranze nazionali presenti terminò nel 1926 con un colpo di stato da parte del movimento nazionalista di Piłsudski, che instaurò una dittatura. La Polonia rimase un regime fortemente autoritario anche dopo la sua morte;  Ungheria – Abbattuta nel 1919 la rivoluzione, l’ammiraglio Miklòs Horthy venne proclamato reggente del restaurato Regno d’Ungheria e con l’appoggio degli agrari instaurò un regime autoritario che si oppose con successo ai tentativi di Putsch della destra fascista e nazionalista, ma fu anche il primo ad introdurre in Europa una legislazione antisemita fin dal 1920. Il problema di fondo del paese rimase comunque la questione agraria, che i governi non riuscirono a risolvere. Nel 1939 il movimento nazista delle “Croci Frecciate” si affermò come la maggiore forza di opposizione;  Romania – Il problema della terra dominò anche la Romania, dove si contrapposero per tutti gli anni venti Partito Liberale e Partito dei Contadini. Nel 1930 il rientro in patria del re Carol II impresse al paese una svolta a destra con frequenti violazioni delle norme costituzionali e con la legittimazione dei movimenti antisemiti e fascisti, tra cui il corpo paramilitare e misticheggiante della “Guardia di Ferro”. Nel 1937 il re introdusse leggi antisemite, sospese la costituzione, mise fuorilegge i partiti e formò un governo di unità nazionale, poi sostituito durante la guerra da una dittatura militare;  Altri paesi balcanici – Anche in altri paesi balcanici l’involuzione autoritaria avvenne attraverso l’intervento diretto di un sovrano: - Jugoslavia – In Jugoslavia il re, Alessandro I, sciolse il parlamento e i partiti per domare la ribellione indipendentista di croati e sloveni. Egli stesso rimase peraltro vittima di un attentato da parte dell’associazione terroristica e nazionalista degli ustaša (“insorti”), - Bulgaria – In Bulgaria un cruento colpo di stato da parte del re Boris III rovesciò il governo, impegnato a fondo in una politica di riforme, limitando severamente la libertà dei partiti e l’autorità del parlamento; - Grecia – In Grecia, a seguito della sconfitta contro la Turchia, re Giorgio II fu costretto a fuggire. Successivamente venne proclamata la repubblica, ma una serie di rivolte militari portò alla restaurazione della monarchia, seguita poi da una dittatura militare con a capo il generale Ioannis Metaxas; Capitolo V – “Il Fascismo” La costruzione del regime – Il governo di coalizione formato da Mussolini dopo la marcia su Roma, che contava solo su 34 deputati fascisti, godeva di una larga maggioranza alla Camera grazie al sostegno di liberali e cattolici. Da subito il governo avviò opere di trasformazioni delle istituzioni liberali: 1. Gran Consiglio del Fascismo – Nel 1922 venne istituito il Gran Consiglio del Fascismo, un organo consultivo composto da dirigenti del PNF incaricato di elaborare la linea del governo; 2. Milizia volontaria – Nel 1923 venne istituita la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, un corpo militare nel quale vengono inquadrate le “camicie nere”, per renderle meglio controllabili nella nuova fase di “normalizzazione”. Rimasero tuttavia vittime dello squadrismo, tra gli altri, Don Giovanni Minzoni – bastonato a morte nel 1923 – e il liberale Giovanni Amendola, morto in esilio dopo le percosse subite nel 1923-24; 3. La “Legge Acerbo” – Un altro passo importante in questo processo di “fascistizzazione” dell’Italia fu la cosiddetta “Legge Acerbo”, varata nel luglio 1923: una legge elettorale maggioritaria con cui si attribuiva il 65% dei seggi alla colazione che avesse raggiunto il 25% dei voti. Per le elezioni dell’aprile 1924 i fascisti presentarono il cosiddetto “listone”, comprendente liberali e cattolici, mentre 25 raggiunto un rapporto 155:1 con la sterlina. La nuova parità venne fissata a “quota 90” e con questa manovra il regime lanciò un segnale di forza e di stabilità verso gli investimenti internazionali e ai risparmiatori italiani, duramente colpiti della svalutazione; La crisi economica – Nel 1927 si avviò una vera e propria recessione causata dal crollo delle esportazioni e dalla caduta della domanda interna per i consumi privati, dal momento che la rivalutazione della lira aveva reso troppo care le merci per gli acquirenti esteri: tutti fenomeni accentuati poco dopo dalla crisi del 1929. Si consolidò pertanto una decisa e duratura svolta protezionistica accompagnata da un massiccio intervento dello Stato nell’economia. Il “dirigismo” statale comportò costose operazioni di salvataggio di settori in crisi e l’avvio di una imprenditoria di Stato. Buona parte dell’apparato industriale, prima controllato dalle maggiori banche nazionali, passò sotto la gestione diretta dello Stato:  IMI – Nel 1932 viene costituto l’Istituto Mobiliare Italiano (IMI), un ente pubblico che si occupava delle concessioni di finanziamenti a medio e lungo termine alle imprese;  IRI – Nel 1933 nacque l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), volto al salvataggio delle principali banche miste sull’orlo del fallimento dopo la crisi del 1929;  Banca d’Italia – Una riforma del 1936 trasformò la Banca d’Italia in un ente di diritto pubblico, con rafforzati poteri di controllo sulle altre banche; La “battaglia del grano” – Nel 1926 venne avviata la cosiddetta “battaglia del grano”, ovvero il tentativo di estendere la superficie coltivata e proteggere la produzione nazionale con tariffe doganali sulle importazioni. Il dichiarato obiettivo di conseguire l’autosufficienza alimentare del paese non venne però mai raggiunto e l’aumento della terra coltivata a grano, a danno di altre colture e dell’allevamento, produsse anzi un impoverimento complessivo del settore. Inoltre, la scelta cerealicola e protezionistica determinò uno svantaggio soprattutto per il Mezzogiorno, dove le colture ortofrutticole entrarono in crisi a causa del blocco delle esportazioni in seguito all’innalzamento delle barriere doganali. La “bonifica integrale” – Nel 1927 venne avviato l’ambizioso progetto della “bonifica integrale” che ebbe tra i suoi maggiori successi la bonifica delle paludi pontine e la nascita di “città nuove” come Littoria – l’attuale Latina – Sabaudia, Carbonia e Fertilia. Il progetto venne attuato solo in un decimo delle opere previste, a causa della resistenza dei proprietari terrieri, ostili agli impegni finanziari che tale progetto comportava. Esiti del fascismo sull’economia – Incapace di imporsi agli interessi forti del paese ed impegnato ad estendere la tutela sui ceti medi, il fascismo scaricò i costi di tale compromesso sulle classi subalterne, private di ogni possibilità di resistenza organizzata, che vennero colpite da bassi salari e disoccupazione, con il conseguente profondo disagio sociale e la stagnazione dei consumi privati. Le condizioni economiche e il tenore di vita del Mezzogiorno peggiorarono a causa delle scelte del regime. Le politiche interventiste degli anni ’30 ebbero comunque aspetti innovativi: lo sviluppo economico dell’Italia in quegli anni fu rilevante, benché meno sostenuto di quello di altri paesi, il PIL aumentò del 4,5% annuo e la produzione industriale del 7,5%. Elementi di modernità del fascismo: I mass media – L’esperienza fascista fece ampio ricorso a mezzi di comunicazione di massa. Nel 1927 venne fondato l’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche (EIAR) che alternò le informazioni ufficiali con programmi leggeri di musica, canzoni e varietà; i cinegiornali erano proiettati in tutte le sale cinematografiche del paese e l’industria del cinema venne sostenuta fortemente con l’apertura nel 1932 della Mostra Internazionale di Venezia e l’inaugurazione nel 1937 di Cinecittà, al cui ingresso campeggiava la scritta “La cinematografia è l’arma più forte”. Politiche sociali e assistenziali – Altri elementi di modernità del fascismo sono individuabili nell’azione di politiche sociali e assistenziali all’apparenza non molto diverse da quelle attuate in altri paesi retti da ordinamenti democratici, nonché nel ricordo all’intervento statale per contrastare gli effetti della crisi del 1929 per cui sono ravvisabili analogie con il New Deal degli Stati Uniti. Quanto alle politiche sociali, nel campo 26 delle assicurazioni dei lavoratori si affermò un sistema che destinò le pensioni e le provvidenze contro infortuni, malattie e disoccupazione anzitutto all’industria, penalizzando l’agricoltura e il lavoro femminile. Il particolarismo dello Stato sociale fascista fu accentuato dalla scelta di ricorrere a versamenti delle singole categorie anziché alla fiscalità generale. Il sistema sanitario venne frammentato in un arcipelago di casse mutue, che per erogare le loro prestazioni si appoggiavano spesso ad istituti religiosi di assistenza e beneficenza. Il sistema previdenziale sociale, unificato nel 1933 nell’Istituto Nazionale Fascista per la Previdenza Sociale (INFPS) e nell’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL) venne riordinato nel 1935, conservando tuttavia i suoi caratteri di fondo. Le risorse assicurative vennero spesso dirottate verso spese diverse: bonifiche, ferrovie, guerra coloniale in Etiopia. Politiche a sostegno dell’incremento demografico – Negli anni ’30 la politica sociale del regime era sempre più orientata a sostenere l’incremento demografico in sintonia con l’immagine di nazione giovane e fertile voluta da Mussolini. A questo proposito:  ONMI – L’Opera Nazionale Maternità e Infanzia (ONMI), istituita nel 1925, fornì assistenza alle madri e favorì la professionalizzazione femminile nella pediatria e nell’ostetricia, relegando le donne al ruolo di “madri di famiglia” e “riproduttrici della razza”;  Sgravi fiscali e tassazioni – Le donne più prolifiche vennero premiate e alle famiglie con più figli erano concessi sgravi fiscali, al contrario i celibi erano tassati; I risultati di questa politica furono tuttavia poco lusinghieri: dal 1930 al 1939 il tasso di natalità calò dal 3,4 al 3,1 per mille. Negli intenti del regime, l’incremento demografico doveva aver luogo soprattutto nelle campagne, ma anche in questo caso ciò avvenne con scarsi risultati: nei comuni con meno di 10.000 abitanti la popolazione calò dal 55 al 48%, salendo dal 13 al 18% in quelli con oltre 100.000 abitanti. Significativa fu l’espansione di Roma, che tra il 1921 e il 1941 passò da 0,6 a 1,4 milioni di abitanti. La politica urbanistica – Di fronte alla crescita urbana, il fascismo si impegnò in una politica urbanistica di “risanamento” volta a costruire un’immagine di città a misura della classi medie e dalle pretese imperiali e monumentali, mediante l’abbattimento di quartieri fatiscenti nei centri storici e il trasferimento coatto della popolazione in zone periferiche, dove crebbero brigate prive di servizi essenziali. Queste scelte favorirono la speculazione edilizia, ma non mancarono anche realizzazioni importanti, come ad esempio la stazione di Firenze. In conclusione è possibile affermare, in relazione al complesso rapporto tra modernizzazione e fascismo, che la fisionomia del regime condizionò e limitò pesantemente i progressi all’interno del paese, che ad esempio vedeva i cittadini possedere poche radio ed automobili rispetto a quelli di altri paesi europei. Fascismo e politica estera: In generale possiamo dire che la politica estera del fascismo seguiva il doppio binario di:  Coerenza ideologica interna al regime;  Interessi strategici dell’Italia; Corfù e la Libia – Fin dalle origini infatti, il mito della “vittoria mutilata” e il risentimento nazionalista per i risultati della pace del 1919 alimentarono ricorrenti velleità “revisioniste” nei confronti degli assetti di Versailles che si tradussero in gesti di rottura come l’occupazione dell’isola greca di Corfù nel 1923, poi evacuata per le forti pressioni anglo-francesi. Al tempo stesso il regime recuperò il controllo della Libia, in gran parte perduto durante la guerra, attuando una sanguinosa repressione. Nel 1930 le truppe italiane deportarono decine di migliaia di abitanti della Libia e li radunarono in campi di concentramento lungo la costa, dove morti per malattie ed esecuzioni capitali divennero la norma. 27 Mussolini Ministro degli Esteri – Negli anni ’30 prevalsero le ambizioni espansionistiche del fascismo, tant’è che nel 1932 Mussolini assunse egli stesso la carica di Ministro degli Esteri: 1. Il patto tra Italia, Francia, Germania e Regno Unito – Nel 1933 l’Italia firmò con Francia, Gran Bretagna e Germania un patto che esprimeva la volontà di inserire il nuovo regime di Hitler nel concerto europeo, tuttavia l’uscita della Germania dalla Società delle Nazioni e l’avvio del riarmo tedesco spinsero Mussolini in direzione contraria; 2. Le mire tedesche sull’Austria – Motivo di forte attrito tra Germania e Italia fu la minaccia tedesca all’indipendenza dell’Austria: Mussolini manifestò la sua volontà di tutelare l’Austria schierando le proprie truppe al Brennero; 3. La conferenza delle nazioni vincitrici – Nel 1935 l’Italia partecipò assieme a Francia e Gran Bretagna ad una conferenza delle nazioni vincitrice della Grande Guerra che ribadì l’intenzione di respingere le violazioni dei trattati del 1919 e “i pericoli per la pace in Europa”; La guerra in Etiopia – Tuttavia l’Italia fascista stava già preparandosi all’azione che ne avrebbe radicalmente mutato la politica estera: nell’ottobre del 1935 il regime fascista occupò l’Etiopia e grazie ad una schiacciante superiorità militare l’Italia piegò la resistenza etiopica guidata dal negus (imperatore) Hailé Selassié nel maggio 1936. Le truppe italiane condussero una spietata “guerra totale”, caratterizzata da bombardamenti di villaggi, deportazioni di massa, uso di gas asfissianti, provocando una dura reazione da parte della Società delle Nazioni che decise di adottare sanzioni economiche nei confronti dell’Italia. Il fascismo utilizzò abilmente a scopo propagandistico la polemica contro queste “inique sanzioni” tant’è che la proclamazione dell’impero da parte di Mussolini segnò il suo momento di massimo consenso. L’Asse Roma-Berlino – La guerra di Etiopia rovesciò, di fatto, gli equilibri europei: l’Italia ottenne la solidarietà della Germania e la ricambiò con la fine delle ostilità italiane alle mire tedesche volte all’occupazione dell’Austria. Nell’ottobre 1936 la nascita dell’Asse Roma-Berlino consacrò l’intesa tra i due dittatori, assegnando a Germania ed Italia aree d’influenza diverse: la prima a Oriente, la seconda nel Mediterraneo. La guerra civile spagnola fu il banco di prova di questa alleanza: Germania e Italia appoggiarono la sedizione del generale Francisco Franco contro la repubblica e Mussolini inviò in Spagna un corpo di spedizione di oltre 70.000 “volontari” ben retribuiti. I passi successivi della politica estera italiana seguirono da vicino l’attacco nazista alla pace: 1. Nel 1937 Mussolini firmò il patto antisovietico assieme a Germania e Giappone; 2. Immediatamente dopo, sempre nel 1937, l’Italia uscì dalla Società delle Nazioni; 3. Nel 1938 l’Austria venne annessa al Terzo Reich; 4. La Conferenza di Monaco aprì la strada, nel 1938, all’occupazione tedesca di Boemia e Moravia, seguita nel 1939 dall’annessione dell’Albania all’Italia; 5. Subito dopo, la stipula del “Patto d’acciaio” nel maggio 1939 impegnò le due potenze ad entrare in guerra l’una a fianco dell’altra anche in caso in un conflitto offensivo. Quando tuttavia la guerra mondiale infine scoppiò, nel settembre 1939, l’Italia proclamò la “non belligeranza” con lo scopo di guadagnare tempo in relazione ai timori suscitati dall’impreparazione militare del paese: l’esito più naturale e coerente di una politica estera aggressiva non sostenuta da basi economiche e militari adeguate; Capitolo VI – “Il nazismo” L’avvento di Hitler – Alle elezioni del 1928, il Partito nazionalsocialista di Adolf Hitler ottenne appena il 2% dei voti, ma nel 930 ne ebbe quasi 6,5 milioni (il 18,3%) diventando il secondo partito tedesco dopo la SPD. Il fallito Putsch del 1923 spinse Hitler verso una tattica più legalitaria. L’ascesa del Partito Nazista avvenne sfruttando tre risorse decisive: 30 che nel febbraio 1934 egli dichiarò la Wermacht – le forze armate tedesche – unico organo militare della nazione ed essa assunse come emblema la croce uncinata della NSDAP, riservando alle SA compiti di formazione politica e paramilitare. La “notte dei lunghi coltelli” – Il 30 giugno 1934, prendendo come pretesto la notizia di un colpo di stato da parte delle SA, Hitler diede avvio alla cosiddetta “Notte dei lunghi coltelli”: un vero e proprio regolamento di conti nella quale le SS uccisero buona parte dello stato maggiore delle SA, tra cui Ernst Röhm, capo delle SA più volte entrato in conflitto con l’esercito, minacciando di alienare ad Hitler le simpatie di uno dei cardini del sistema, antichi oppositori politici e possibili concorrenti di Hitler. Paradossalmente la “Notte dei lunghi coltelli” venne vista con favore dal popolo, al quale sembrò di liberarsi delle violenze delle SA, e giovò al mito del fuhrer che apparve come un capo duro ma giusto, capace di liberarsi anche di un amico colpevole. Hitler Presidente della Repubblica – Nell’agosto 1934, alla morte di Hindenburg, Hitler assunse anche la carica di Presidente della Repubblica e, su proposta del Ministro della Difesa, la Wermacht adottò un nuovo giuramento di obbedienza al fuhrer: con la fusione delle cariche di capo dello Stato, del Governo, del Partito e delle Forze Armate, ratificata il 19 agosto da un referendum plebiscitario, la costruzione del Terzo Reich divenne ultimata. A differenza del fascismo, il nazismo era privo del contrappeso della monarchia e affermò la supremazia del partito sullo Stato. Razzismo e antisemitismo – Segno distintivo del regime nazista fu la politica razziale, attuata attraverso:  Sostegno all’incremento demografico – Il primo tassello della politica razzista e antisemita del nazismo fu un forte sostegno all’incremento demografico mediante prestiti alle coppie nelle quali la moglie rinunciava al lavoro per dedicarsi ai figli e prestiti alle famiglie con più figli. Esattamente come in Italia la politica demografia passò attraverso l’esclusione delle donne dalla vita politica e professionale, le ragazze ad esempio non potevo superare il 10% del totale degli studenti universitari;  Persecuzione degli ebrei – Accrescere il numero degli ariani andava di pari passo con l’eliminazione di chi ariano non era: gli ebrei: - Una legge del 1933 epurò gli ebrei impiegati nelle amministrazioni statali e comunali; - Altri provvedimenti esclusero dalla loro professione docenti universitari, avvocati, medici e artisti di origine ebrea, tant’è che alla fine del mese 37.000 ebrei avevano lasciato la Germania; - Nel 1935 le cosiddette “Leggi di Norimberga”, approvate per acclamazione dal Parlamento, vietarono i matrimoni misti tra ariani ed ebrei, esclusero dalla cittadinanza chi non fosse di sangue tedesco e privarono tutti gli ebrei dei diritti civili; - Nella cosiddetta “Notte dei cristalli”, ovvero la notte tra il 9 e il 10 novembre 1938, le SS saccheggiarono più di 7.000 negozi di ebrei, 91 persone vennero assassinate e 200 sinagoghe furono incendiate: dalla discriminazione legislativa di passa alla persecuzione di massa; La risoluzione della crisi – Il regime nazista, una volta al potere, dovette affrontare una pesante crisi economica e un’alta disoccupazione:  Investimenti militari – Hitler affidò la soluzione del problema a Hjalmar Schacht che attuò una politica dirigista di intervento statale finanziata con il debito pubblico. Per incrementare i posti di lavoro si favorirono l’edilizia pubblica e privata e le industrie militari. Venne costruita una rete autostradale per incrementare la motorizzazione privata, anche se il tracciato fu poi usato soprattutto a scopi militari: i risultati furono eccellenti in quanto il numero di disoccupati calò dai 5,5 milioni del 1932 a 1,5 milioni nel 1936, allo stesso modo crebbero i redditi. Il baricentro dell’economia tedesca si spostò in modo deciso sugli investimenti militari che passarono dal 4% del bilancio statale nel 1933 al 50% nel 1938. Nel 1936 Schacht, che non condivideva questa eccessiva forzatura, venne sostituito nell’incarico di commissario al piano quadriennale da Hermann Goering, ministro dell’aviazione e capo dell’aereonautica: da allora la preparazione militare divenne un’assoluta priorità; 31  Agricoltura – Un discorso a parte meritano l’agricoltura e i contadini. Questi ultimi vennero dipinti dalla propaganda come le “pupille del regime” e nonostante le loro condizioni non subirono sensibili miglioramenti sul piano economico, ad esempio a causa del fatto che la meccanizzazione delle campagne continuò a risultare pressoché inesistente, il regime prometteva loro la colonizzazione di nuovi possedimenti terrieri ad est, il cosiddetto “spazio vitale”. L’obiettivo dell’autarchia, ovvero l’autosufficienza economica della Germania, fallì tuttavia ben presto in quanto a causa delle scelte di Schacht: si modificarono infatti paradossalmente i consumi privati poiché i consumatori acquistavano beni prodotti in Germania come automobili ed elettrodomestici, ma dovettero rinunciare a quelli d’importazione, come la carne e il burro, rimpiazzati con margarina e marmellata; Alla fine del 1938 l’economia tedesca si trovava di fronte ad un vicolo cieco dal quale poteva uscire o con una serie di accordi internazionali o con una guerra. L’organizzazione del consenso – Il risultato più importante della politica di riarmo fu il quasi completo riassorbimento della disoccupazione:  Il lavoro – Il regime riservò un’attenzione particolare al mondo del lavoro: la propaganda insistette infatti sulla denominazione di partito nazionalsocialista “dei lavoratori”, utilizzando il rosso come colore di sfondo della svastica. Nel 1933 era stato costituito il Fronte Tedesco del Lavoro, che prese il sopravvento sulle organizzazioni sindacali, bandendo scioperi e tradizionali strumenti di difesa dei lavoratori, e imponendo una rigida gerarchia nei luoghi di lavoro: tutti i lavoratori dovevano obbedienza a un capo. Se il conflitto era vietato per legge, Stato e industriali si impegnarono in una politica sociale e assistenziale che non mancò di produrre risultati. Grazie al mantenimento basso dei prezzi di consumo ci fu un aumento dei salari, tuttavia esso fu dovuto più che altro ad un aumento delle ore di lavoro. Non mancarono una serie di agevolazioni: cibi caldi nelle mense, aumento del numero di giorni di ferie, aree verdi nelle fabbriche, colonie estive per i figli dei dipendenti;  Il tempo libero – All’interno del Fronte del Lavoro viene fondato il corrispettivo del “Dopolavoro” fascista per organizzare anche le attività ricreative al fine di promuovere l’evasione come compenso per la sottrazione dei diritti. Oltre alla radio vennero promossi anche il cinema e lo sport, non a caso nel 1936 si tennero a Berlino le Olimpiadi;  La resistenza inesistente – In Germania non si sviluppò, nonostante l’efferatezza dei crimini, alcun movimento di resistenza di massa contro il nazismo per svariati motivi: - La durezza della repressione del regime; - L’alleanza con la grande industria e con le forze armate; - Il rapporto del regime con le Chiese, nessuna delle quali si pronunciò in modo chiaro contro il nazismo, la maggior parte ne condivideva i progetti pur condannando la dottrina della razza e le violenze delle SA. La Chiesa cattolica si era espressa inizialmente contro il nazismo prima della sua presa di potere, tuttavia in seguito modificò il suo atteggiamento: con la firma del concordato da parte della Santa Sede nel 1933 di fatto mostrò un atteggiamento accondiscendente col regime. Negli anni successivi il regime acuì le pressioni su entrambe le chiese e nel 1938-39 Pio XI lavorò ad un’enciclica di condanna dell’antisemitismo, dopo aver condannato il nazismo l’anno precedente, ma morì prima di emanarla; - La mancanza, per la popolazione tedesca, di punti di riferimento alternativi al regime in relazione alla distruzione del sistema dei partiti e al silenzio delle autorità religiose; - I nuovi riti della politica di massa, come le grandi manifestazioni coreografiche, che rendevano ben visibile il mito della “comunità di popolo”, trasformando la politica in un’estetica di massa; L’imperialismo nazista – Il rilancio di un bellicoso imperialismo era alla base del programma nazista: 1. L’uscita dalla Società delle Nazioni – Con l’uscita della Germania dalla Società delle Nazioni nell’ottobre del 1933, il regime manifestò l’intenzione di perseguire una revisione dei Trattati di Versailles con la forza, terminando la politica di accordi diplomatici perseguita negli anni Venti. Hitler 32 intraprese allora – nonostante il fallimento nel 1934 di un primo tentativo di annessione dell’Austria – una politica di accordi bilaterali al fine di riunire tutti i tedeschi in un unico territorio e, nel 1935, un plebiscito popolare sancì il ritorno della regione del Saar alla Germania; 2. Il riarmo e la militarizzazione della Renania – Violando lo stesso Trattato, nel frattempo il regime iniziò la sua accelerata politica di riarmo e, ripristinata la coscrizione obbligatoria, la Wermacht superò di cinque volte il limite fissato a Versailles. La prima dimostrazione della sua forza fu l’ingresso privo ostacoli nella regione della Renania che doveva – in base agli accordi di Versailles – restare smilitarizzata; 3. Hitler enuncia i disegni bellici nazisti – Nel 1937 Hitler dichiarò che la guerra sarebbe stata scatenata entro il 1938 contro Austria e Cecoslovacchia, ribadendo la priorità dell’espansione della Germania a est per conquistare lo “spazio vitale”, senza escludere tuttavia un conflitto con Francia e Gran Bretagna. Egli espose inoltre per la prima volta la teoria del Blitzkrieg (“Guerra-lampo”), attraverso l’uso congiunto di aviazione e mezzi corazzati veloci; 4. Verso la Seconda Guerra Mondiale – Trasformato il paese in una macchina da guerra, l’espansione tedesca non si fermò più: - Nel 1938 vennero annessi l’Austria e i Sudeti; - Nel 1939 la Boemia e la Moravia; - Il 1° settembre 1939, con l’invasione della Polonia, la Germania nazista scatenò infine la Seconda Guerra Mondiale; Capitolo VII – “La Russia sovietica” La NEP – Uscita distrutta dalle drammatiche vicende del 1914-20, la società sovietica entrò in una fase di ripresa grazie alla NEP (Nuova Politica Economica), varata nel 1921. La NEP fu un particolare sistema economico misto, caratterizzato da un’economia di libero mercato nell’ambito della produzione agricola e del variegato complesso commerciale di piccole e medio-piccole imprese nazionali e dalla forte presenza di una solida e rigida pianificazione e regolamentazione dirigenziale degli altri asset economici del Paese da parte dello Stato. Lenin riconobbe che il comunismo di guerra era stato un errore e definì la NEP come una forma di “comunismo di Stato”. Gli atti di tale politica furono, in ordine: 1. Revoca di requisizioni alimentari – La revoca delle requisizioni di generi alimentari e la loro sostituzione con un’imposta in natura (in seguito monetizzata, di modo che venne reintrodotta l’economia monetaria) pagata la quale i contadini potevano disporre dei loro prodotti; i contadini vennero inoltre autorizzati a vedere le loro eccedenze: ciò reintrodusse il mercato e il profitto individuale. Nel 1925 fu anche consentito ai contadini di assumere manodopera salariata; 2. Abolizione del lavoro obbligatorio – Nel settore industriale venne abolito il lavoro obbligatorio, si ammise l’esistenza di piccole imprese private e si favorirono gli investimenti stranieri; I risultati della NEP furono molto positivi: una vigorosa crescita della popolazione colmò i vuoti della Guerra Mondiale e di quella civile e nel 1927 l’economia recuperò i livelli del 1913. Emerse un nuovo ceto di piccoli commercianti e imprenditori, i cosiddetti “nepmen”, mentre nelle campagne si accentuarono le differenze tra braccianti e contadini poveri, medi e ricchi, tra i quali si sviluppò a sua volta uno strato di imprenditori rurali, i “kulaki”. La NEP in fin dei conti permise alla Russia di riprendersi dal disastro in cui era piombata, ma non di uscire dalla sua arretratezza. All’interno del partito unico – che si identificò sempre più con lo Stato – subentrò un vasto strato di funzionari e burocrati inefficienti e corrotti. La burocratizzazione e la presenza di contadini poverissimi e ignoranti con mentalità arcaica diffusa nell’intera società russa costituirono un ostacolo per la modernizzazione e la trasformazione in senso socialista del paese. La priorità economica fece dimenticare al regime altri fattori di sviluppo decisivi, come la lotta all’analfabetismo e la crescita culturale. La nascita dell’URSS – Passi importanti per il consolidamento internazionale del nuovo regime furono invece compiuti a partire dal 1922, quando lo Stato dei soviet ruppe il suo isolamento diplomatico partecipando a una circonferenza internazionale che si svolse a Rapallo e stipulando un accordo commerciale con la Germania. 35  I Gulag – I mezzi di attuazione delle grandi purghe furono, oltre che alle esecuzioni, i campi di concentramento. Il sistema concentrazionario sovietico prese il nome di “Gulag”, il ramo della polizia politica dell’URSS che costituì il sistema penale dei campi di lavoro forzato. Benché questi campi fossero stati pensati per la generalità dei criminali, il sistema è noto soprattutto come mezzo di repressione degli oppositori politici dell’Unione Sovietica. Al loro interno, i detenuti erano impegnati nella costruzione di grandi opere, si trattava di una forza lavoro schiavizzata e impiegata in condizioni proibitive, per cui la mortalità per freddo, stenti ed epidemie raggiunse il 30%; Nel 1938, la destituzione e l’esecuzione di Nikolaj Ežov, Ministro dell’Interno durante le grandi purghe, segnò la fine del “Grande Terrore”. L’anno dopo, Stalin – eliminato ogni potenziale oppositore – si permise di riconoscere che le grandi purghe, “inevitabili” e “benefiche”, erano state accompagnate da “numerosi errori” e dichiarò che non ne occorrevano altre. La politica estera dell’URSS – Con la conferenza di Rapallo del 1922 l’URSS adottò una politica estera volta a normalizzare le relazioni internazionali con gli stati capitalistici, senza tuttavia rinunciare al ruolo di centro della rivoluzione mondiale e di punto di riferimento per tutti i partiti comunisti del mondo. L’aggressività e l’antisovietismo della Germania nazista e del Giappone spinsero Stalin ad una politica estera distensiva di accordo fra le potenze e di cauta apertura alle democrazie occidentali: 1. La politica dei “fronti popolari” – In tale contesto i partiti comunisti attuarono dunque un’alleanza antifascista con la socialdemocrazie e le forze progressiste, dando vita alla politica dei “fronti popolari”, dal nome della coalizione tra comunisti, socialisti e radicali creatasi in Francia nel 1934; 2. Il VII Congresso del Comintern – L’anno dopo, il VII Congresso del Comintern ratificò questa politica, ponendo come primo obiettivo la lotta per la pace contro il fascismo. Tale strategia venne però fatta coincidere con la difesa dell’URSS, dalle cui scelte la politica dei fronti popolari era pesantemente condizionata. Lo si vide in particolare durante la guerra civile spagnola: mentre migliaia di comunisti e antifascisti di tutti i paesi accorrevano a difesa della Repubblica, l’Unione Sovietica fornì aiuti limitati per non danneggiare la propria politica estera e promosse un’aspra lotta interna contro troskisti, anarchici e altri gruppi non stalinisti del fronte repubblicano; 3. Il patto Molotov-Ribbentrop – Nel 1939, dopo l’invasione tedesca della Cecoslovacchia, Stalin operò una spregiudicata inversione di rotta e stipulò un trattato di non aggressione con la Germania: il cosiddetto “patto Molotov-Ribbentrop”, sia per l’impreparazione dell’Armata Rossa, decapitata dalle purghe, sia per la diffidenza di Stalin nei confronti di Francia e Gran Bretagna. Il protocollo segreto allegato al patto fissava le sfere di influenza di Germania e URSS, screditando la politica unitaria dei comunisti europei, disorientando i movimenti antifascisti per la pace e facilitando l’aggressione nazista in Polonia nel 1941; 4. Lo scioglimento del Comintern – Quanto al Comintern – l’organizzazione internazionale dei partiti comunisti – nel 1943 Stalin lo sciolse per rassicurare gli alleati sul fatto che la rivoluzione mondiale non era più tra gli obiettivi dell’Unione Sovietica; Capitolo VIII – “Asia, Africa e America Latina tra le due guerre” Il Giappone: L’aumento del PIL e l’armamento navale – Il Giappone era il paese che per primo, nel 1905, aveva inflitto una sconfitta militare alla Russia zarista. Dall’inizio del secolo il prodotto nazionale lordo del Giappone era cresciuto in misura più che doppia rispetto alle altre potenze occidentali. Nel 1918 i contadini giapponesi, esasperati dall’aumento verticale dei prezzi del riso, scatenarono tumulti con assalti ai magazzini e alle stazioni di polizia di villaggi e grandi città. Il partito al potere, il Seiyukai, varò una politica di forte sviluppo della flotta militare, a cui fu destinato un terzo del bilancio statale tra 1917 e 1921. Il Giappone divenne così la terza potenza navale dopo USA e Gran Bretagna. 36 Il progetto di “panasiatismo” – Sul piano culturale l’impero giapponese impugnò la bandiera del “panasiatismo” – ovvero una parola d’ordine propagandistico che puntava ad eliminare ogni influenza straniera in un Estremo Oriente unificato sotto l’autorità del Giappone – e, obbedendo a questa logica, dopo la guerra mondiale più di 70.000 soldati nipponici vennero inviati in Siberia, dove combatterono assieme ai controrivoluzionari “bianchi” contro l’Armata Rossa. Nonostante la sconfitta subita, la presenza giapponese si rafforzò anche nella regione cinese della Manciuria, manifestando chiaramente un disegno di lungo corso. La conferenza di Washington – Il presidente degli USA Warren Harding, preoccupato da questi sviluppi, convocò nel 1921 a Washington una conferenza dei ministri degli Esteri di tutte le potenze marinare (Belgio, Cina, Francia, Giappone, Gran Bretagna, Olanda, Portogallo e Stati Uniti), al fine di fissare per ogni flotta da guerra un tetto massimo di tonnellaggio. In realtà la flotta giapponese continuava comunque a mantenere la sua superiorità nell’Oceano Pacifico, mentre Gran Bretagna e Stati Uniti dividevano le proprie forze tra Pacifico e Atlantico. La modernizzazione del Giappone – Per molti aspetti, la modernizzazione del Giappone cercò di imitare i modelli occidentali:  Nel 1925 venne introdotto il suffragio universale maschile e si dette un forte impulso alla scolarizzazione primaria;  Nel 1928 un decreto imperiale introdusse la pena di morte per i reati di pensiero; Crisi del ’29 – La crisi del 1929 provocò anche in oriente un crollo generalizzato dei prezzi che mise in crisi lo sviluppo economico giapponese. Come accaduto in altri parti del mondo, anche in Giappone nel 1931 venne varata una politica di intervento statale con rinnovato impulso alle spese militari e alle esportazioni, ne risultò un rafforzamento del rapporto tra governo, corte imperiale ed esercito: sempre più spesso i militari si ingerivano elle scelte di governo, cercando di imporre una linea panasiatica. Incidente in Manciuria – Nel settembre 1931 l’armata giapponese di propria iniziativa occupò la città di Mukden in Manciuria e l’anno successivo venne proclamata l’indipendenza del Manciukuo, uno stato fantoccio controllato dai giapponesi, a capo del quale viene messo l’ultimo imperatore cinese fuggito da Pechino vent’anni prima. La Società delle Nazioni condannò l’accaduto e il Giappone uscì dalla Società. Il nuovo governo giapponese – Nel 1932 alcuni cadetti di marina appartenenti alla fazione imperiale uccisero il Primo Ministro: fu solo il primo di una serie di attentati terroristici che culminarono in un tentativo di colpo di stato nel 1936, quando 22 ufficiali al comando di circa 1.000 soldati attaccarono la residenza del capo del governo e il quartier generale della polizia a Tokyo. L’azione fallì ma il nuovo governo risentì pesantemente del condizionamento del potere militare. Uno dei suoi primi atti fu, nel novembre 1936, la firma del patto Anticomintern con la Germania e, nel luglio 1937, il Giappone dette inizio all’occupazione della Cina. Nel marzo 1938 una legge attribuì pieni poteri allo Stato nella vita economica, i sindacati vennero sciolti e sostituito con un’Associazione patriottica industriale di stampo corporativo. La Cina e il Sudest asiatico: Uno Stato arretrato – La repubblica cinese istituita nel 1912 era rimasta uno Stato debole: non godeva di un adeguato consenso popolare ed il controllo del paese era di fatto nelle mani dei cosiddetti “signori della guerra”, ovvero i governatori militari delle varie province. Ancora negli anni ’30 la durata media della vita nelle campagne cinesi era di 33 anni. Non mancarono però, all’indomani della guerra, i segni di una reazione alla presenza straniera e alla disgregazione del paese. Nel 1919 ci fu infatti una manifestazione a Pechino contro la subordinazione della Cina agli interessi stranieri e, nel 1921, fu fondato il Partito Comunista. Partito Nazionale del Popolo e Partito Comunista – In ordine, gli eventi che portarono all’affermarsi del Partito Comunista su quello Nazionale del Popolo e alla creazione della Repubblica Popolare Cinese furono: 37 1. Chiang e il Partito Nazionale del Popolo al governo – Mentre nel 1923 il leader del partito al potere, ovvero il “Guomindang”, il Partito Nazionale del Popolo, aveva promosso una collaborazione con comunisti cinesi e URSS, nel 1926 il nuovo presidente del partito, Chiang, organizzò una “spedizione verso Nord” contro i “signori della guerra” e pose bruscamente fine all’alleanza con i comunisti, che vennero uccisi a migliaia. Nel 1928 Chiang entrò a Pechino, instaurandovi un governo nazionalista e coronando almeno sulla carta il sogno di unificare la Cina; 2. Mao Zedong e il Partito Comunista – Il Partito Comunista si riorganizzò nelle campagne, sotto la guida di Mao Zedong, scontrandosi con Chiang attraverso vari atti di guerriglia finché, nel 1934, l’armata rossa di Mao iniziò la “lunga marcia” che dopo un anno e migliaia di chilometri di tappe forzate e combattimenti arrivò nella regione settentrionale dello Shangsi, decimata ma imbattuta grazie anche al sostegno dei contadini; 3. L’alleanza contro il nemico comune – A questo punto i comunisti proposero di porre fine alla guerra civile per fronteggiare il comune nemico straniero. Questa linea patriottica fece breccia anche fra gli avversari: nel 1936 i generali del Guomindang costrinsero Chiang a trattare con il rappresentante comunista e nacque una strategia comune per una “lotta di lunga durata” contro l’invasore, che fu subito messa alla prova nel 1937 contro le truppe giapponesi che avevano dato inizio all’invasione nel Nord della Cina; 4. La Repubblica Popolare Cinese – Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, con la resa del Giappone, la Cina liberata sarebbe dovuta rimanere nell’orbita occidentale, secondo il progetto di spartizione concordato tra Russia, America e Inghilterra, sotto il governo di Chiang. Tuttavia, poiché il capo del Partito Nazionale del Popolo attuò nuovamente ripetuti attacchi militari alle basi del Partito Comunista nelle campagne, Mao rispose con un’intensificazione della politica di confische di terre ai danni dei contadini ricchi e, nel 1948, i comunisti passarono dalla guerriglia alla guerra manovrata contro le truppe nazionaliste, che videro la sconfitta nel 1949, quando Mao entrò a Pechino, mentre Chiang e i suoi sostenitori si rifugiarono nell’isola di Taiwan. Il 1° ottobre 1949, infine, i comunisti proclamarono la Repubblica Popolare Cinese; L’India: Gandhi – L’India era un paese estremamente povero. Il regime coloniale britannico ne sfruttò la divisione religiosa tra Hindu e Musulmani, sostenendo spesso questi ultimi, per affermare il proprio dominio. Il movimento anticoloniale vide come protagonista Gandhi, chiamato Mahatma (“grande anima”): un avvocato formatosi in Inghilterra che fondò la sua lotta politica sulla resistenza passiva e sulla disobbedienza pacifica alle leggi ritenute ingiuste. Dopo la risposta non violenta ad alcune feroci repressioni inglesi, il potere coloniale venne coperto di discredito. Prima Costituzione – Alla fine del 1919 la Gran Bretagna concesse all’India una nuova Costituzione che fissasse una diarchia tra il parlamento indigeno ed il governo, che rispondeva del suo operato a Londra. Nel 1920 i seguaci di Gandhi conquistarono la maggioranza nel partito del congresso. Nella visione di Gandhi l’indipendenza corrispondeva ad uno sviluppo alternativo a quello occidentale, ad un rifiuto della società industriale e al rilancio di un’autonomia di autoconsumo basata principalmente su filatura e tessitura a mano. Egli si batté inoltre contro gli aspetti più arcaici della religiosità indiana: ovvero la subordinazione della donna e la condanna alla segregazione delle caste. Seconda Costituzione – Gandhi e i suoi seguaci vennero ripetutamente arrestati e risposero sempre con la non-violenza. In particolare, lo sciopero della fame di Gandhi del 1935 ebbe ha una risonanza mondiale e contribuì alla ripresa del negoziato, più volte interrotto, con l’Inghilterra. Si giunse nel 1935 all’elaborazione di una nuova Costituzione che entrò in vigore nel 1937 e che ampliò l’autonomia dei governi provinciali eletti dagli indiani, pur confermando la diarchia. Con la fine della guerra, nel 1947, furono costituiti due dominions separati: l’Unione Indiana, di religione induista, e il Pakistan, musulmano. 40  Colpi di stato – La crisi del 29 determinò anche una rottura negli equilibri politici del continente: delle venti nazioni che ne facevano parte, nel 1930-31 ben undici di queste conobbero un golpe: un colpo di stato violento organizzato dalle forze armate; Messico – Tra questi paesi fece accezione il Messico: 1. P. Diaz – Presso il quale, la lunga presidenza di Porfirio Diaz aveva guidato la modernizzazione del paese all’insegna del dominio della grande proprietà terriera la quale tuttavia sfruttava il lavoro dei contadini più poveri; 2. V. Carranza – La rivolta di questi ultimi rovesciò Diaz nel 1911 e portò alla ribalta capi militari di origine contadina che, nel 1914, consegnarono il potere al nuovo presidente Venustiano Carranza. Nel 1917 una nuova Costituzione introdusse il suffragio universale e la giornata lavorativa di 8 ore, mentre la riforma agraria si fondò sull’esproprio dei latifondi e sulla restituzione ai contadini delle terre. La Costituzione nazionalizzò inoltre le risorse del sottosuolo, comprese le compagnie petrolifere di Inghilterra e USA, che colpiti nei propri interessi protestarono vivamente; 3. Obregòn – Nel 1920 Carranza venne ucciso e fu eletto presidente Obregòn, dopo essere stato riconosciuto dagli Stati Uniti in base ad un compromesso che garantiva il rispetto dei diritti petroliferi americani e della grande proprietà terriera messicana. Seguirono anni di guerre e rivolte, che si conclusero con l’avvento della presidenza del generale Lazaro Cardenas; 4. L. Cardenas – Egli avviò una riforma agraria che gli portò molto consenso popolare grazie al quale arrivò mettere in discussione i rapporti di subordinazione economica con l’Occidente, nazionalizzando compagnie straniere come la Shell, rilevandone i giacimenti petroliferi. Per rappresaglia il governo degli Stati Uniti sospese l’importazione di argento messicano e quello inglese ruppe le relazioni diplomatiche, ma questi provvedimenti segnarono comunque una svolta decisiva nei rapporti tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo perché era la prima volta che un paese dipendente usava lo strumento della legge per affermare il proprio diritto ad uno sviluppo indipendente. Nel 1933 Roosevelt affermò la volontà di un mutamento, sostenendo la necessità di una politica di “buon vicinato”, rispettosa dei diritti propri e altrui, nella settima Conferenza degli Stati Americani. Ne conseguì un effettivo disimpegno militare che riportò a casa tutte le truppe statunitensi impegnate in America Centrale, tranne la base di Cuba; I governi populisti – La politica rooseveltiana di buon vicinato creò le condizioni per un cambiamento, che appariva possibile soprattutto negli Stati più estesi del continente. Questa svolta che si realizzò negli anni ’40 assunse il volto del “populismo”, un progetto politico neoconservatore che intendeva ampliare le basi sociali dello Stato con la formazione di partiti di massa o comunque con una forte mobilitazione dei ceti popolari urbani senza per questo intaccare il predominio della grande proprietà terriera:  Perù – In Perù il progetto populista trovò il proprio strumento nella “Alianza Popular Rivoluzionaria Americana” (APRA), fondata nel 1924: una variante originale di un panamericanismo non molto dissimile dai movimenti sovranazionali sviluppatisi in Africa. Negli anni ’30 l’APRA si diffuse anche in Bolivia, Ecuador, Brasile, Paraguay e Venezuela, aprendo uno sbocco all’esplorazione di nuovi ceti medi cresciuti nel commercio interno e internazionale;  Brasile – In Brasile il progetto populista ebbe successo con la presidenza di Getulio Vargas;  Argentina – In Argentina la crisi del 1929 interruppe la politica riformatrice del partito radicale che introdusse il suffragio universale, l’assistenza pensionistica e un regolamento sugli orari di lavoro. Dal 1930 il paese venne retto da un governo di conservatori che mise fuorilegge il Partito Comunista e fece in modo che nel 1946 prendesse corpo un progetto populista con l’elezione a presidente del colonnello Juan Domingo Peron; 41 Capitolo IX – “Le origini della Seconda Guerra Mondiale” Un conflitto annunciato – A differenza della prima, la Seconda Guerra Mondiale fu un evento largamente previsto dai seguenti dati:  Il riarmo nazista;  L’aggressione giapponese alla Manciuria;  L’aggressione italiana all’Etiopia;  La guerra civile spagnola;  I problemi lasciati irrisolti dai trattati di pace del 1919-20;  La crisi del 1929;  Le grandi potenze, inoltre, non sembravano più in grado di mantenere la pace: 5. Gran Bretagna – L’impero britannico soffriva la spinta indipendentista dell’India di Gandhi; 6. USA – Gli USA scelsero di restringere la loro sfera d’influenza al continente americano e al Pacifico; 7. URSS – L’Unione Sovietica si era isolata; Un clima di instabilità – In questo clima: 1. Il trattato di Locarno – nel 1925 prese forma il trattato di Locarno che confermava l’intangibilità delle frontiere di Germania, Francia e Belgio e la smilitarizzazione della Renania, tacendo su diverse questioni ancora aperte circa le mire espansionistiche di Germania e Italia; 2. Il patto Briand-Kellogg – Con tali premesse è chiaro che il patto firmato nel 1928 dal Ministro degli Esteri francese Aristide Briand e il segretario di Stato americano Frank Kellogg – che escludeva la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali – non ebbe alcun effetto concreto, anche se fu approvato dalla Società delle Nazioni e sottoscritto da 23 paesi; 3. La crisi del ’29 – In questo quadro, una svolta negativa fu segnata dalla crisi del ’29: gli Stati Uniti tornarono nel loro isolazionismo e i maggiori paesi accentuarono una spinta protezionista; 4. La conferenza di Ginevra – Successivamente, la conferenza sul disarmo svoltasi a Ginevra nel 1932 aprì un conflitto tra le potenze vincitrici della Prima Guerra Mondiale in merito a un eventuale revisione del trattato di Versailles: la Francia infatti rimase negativa nei confronti delle richieste tedesche su una parità degli armamenti, mentre USA e Gran Bretagna mostrarono una maggiore disponibilità ma, quando le potenze ebbero preso una decisione, si ebbe l’avvento del nazismo e nel 1933 la Germania si ritirò dalla conferenza e abbandonò la Società delle Nazioni. L’ascesa di Hitler inoltre spinse Stalin ad uscire dall’isolamento, tuttavia le potenze europee erano diffidenti nei confronti del regime di Stalin e non permisero all’URSS di entrare nella Società delle Nazioni. I prodromi della guerra – La Seconda Guerra Mondiale non cominciò in Europa: i venti di guerra iniziarono a soffiare con l’aggressione giapponese contro la Cina in Manciuria, prima prova dell’impotenza della Società delle Nazioni, la cui risoluzione di condanna non ebbe alcuna conseguenza, e con il conflitto dell’Italia in Etiopia. Entrambi i conflitti favorirono una modifica del sistema delle alleanze su scala mondiale. In Europa, l’avvicinamento tra Italia e Germania fu sancito nel 1936 dalla nascita dell’Asse Roma-Berlino, che assegnava ai due paesi aree d’influenza complementari: nell’Europa orientale alla Germania, nel Mediterraneo all’Italia. Uscita dalla Società delle Nazioni, la Germania perseguì una coerente escalation di violazioni delle cause dei trattati di pace: la prima fu nel 1935 l’annuncio della coscrizione obbligatoria. L’atteggiamento degli altri paesi europei fu debole e inizialmente fondato su un’azione diplomatica basata sul presupposto che una politica conciliante avrebbe arrestato l’aggressività del nazismo. Questo tentativo di “pacificazione” tuttavia ne sottovalutò clamorosamente le vocazione bellicista. 42 Spagna: Un paese diviso – La Spagna, rimasta neutrale durante la Grande Guerra, era un paese diviso. In Catalogna, ad esempio, dove era concentrata la base industriale del paese, fiorì un forte movimento autonomista, mentre il resto della Spagna era dominato da un’agricoltura arretrata in mano a una aristocrazia tradizionalista. Il ceto politico che governava il paese – sotto la vigile guida del re Alfonso XIII – era appoggiato dai pilastri storici della società spagnola, ovvero la Chiesa e le forze armate. Il prestigio di queste ultime era però stato incrinato dalla sconfitta subita nel 1898 dagli USA. Il clima era sufficientemente teso per aprire a una guerra civile, preceduta da vari colpi di stato: 1. Il colpo di stato di Rivera – Nel 1923, a seguito di una grave crisi generata dalla sconfitta delle truppe coloniali in Marocco con i ribelli di Ab del-Krim, venne effettuato un colpo di stato effettuato dal generale Miguel Primo de Rivera che, con l’appoggio del re, proclamò la legge marziale, sciogliendo il parlamento, istituendo la censura ma senza cancellare le conquiste sociali degli anni precedenti, tant’è che ottenne la collaborazione del sindacato socialista. Un’ambiziosa politica di lavori pubblici ingigantì il debito statale, ma ridusse la disoccupazione e diede un forte impulso alla produzione industriale. Grazie all’alleanza con la Francia inoltre. Nel 1925-27 Primo Rivera riuscì a reprimere la rivolta anticoloniale in Marocco; 2. Il governo repubblicano – Questi successi non arrestarono però il diffondersi di un malcontento determinato dalla miseria delle masse rurali e dalle aspirazioni democratiche, che portano nel 1930 alle dimissioni di Primo de Rivera e, nel 1931, a seguito della disfatta subita dai monarchici nelle elezioni municipali, all’abbandono del paese da parte del re Alfonso XIII. Le elezioni per l’assemblea costituente convocate nello stesso anno assegnarono una salda maggioranza all’alleanza formata da socialisti e repubblicani di sinistra: venne così promulgata una costituzione repubblicana che istituì il suffragio universale, la libertà religiosa e la separazione tra Stato e Chiesa. Banco di prova del governo fu la riforma agraria: concordi sulla necessità di espropriare le terre non coltivate, socialisti e repubblicani erano però divisi sulla loro destinazione: i socialisti ritenevano che dovessero essere destinate ad un uso collettivo, mentre i repubblicano a piccoli imprenditori indipendenti. Come soluzione venne approvata una legge di compromesso, che ebbe tuttavia effetti molto limitati: infatti solo lo 0,5% del suolo venne espropriato e ciò comportò una caduta della popolarità del governo repubblicano; 3. Il “bienio negro” – Alle elezioni del 1933 (le prime in cui votarono le donne) le destre, alleatesi in un fronte unico, conquistarono la maggioranza relativa dei seggi. All’aprirsi di quello che fu chiamato “biennio nero”, le sinistre risposero con scioperi generali nella maggiori città per cui si accesero rivolte in diverse zone del paese e, nel 1934, i socialisti attuarono un tentativo di colpo insurrezionale che venne poi represso nel sangue. Questi insuccessi spinsero le sinistre spagnole a unirsi in un Fronte popolare formato da repubblicani, socialisti, comunisti e parte degli anarchici. Alle elezioni del 1936 il Fronte popolare conquistò una risicata maggioranza e ciò spinse i cattolici, guidati dal leader autoritario José Maria Gil Robles, ad abbandonare l’idea di una conquista pacifica del potere. Questa scelta rafforzò i partiti estremi, tra i quali spiccava la “Falange”, il cui programma era molto vicino a quello del fascismo italiano; 4. La guerra civile – Di lì a poco dunque, nel luglio 1936, le guarnigioni del Marocco e di molte città spagnole si sollevarono contro il governo e contro la Repubblica, dando così inizio ad una guerra civile. Benché tutti i governi europei avessero sottoscritto un patto di non intervento, l’Italia inviò oltre 70.000 “volontari” a sostegno di Franco, la Germania inviò la propria aviazione – per cui si ricorda, nel 1937 la tragedia di Guernica, città basca rasa al suolo al solo scopo di dissuadere la popolazione dal sostegno alla Repubblica – mentre, sull’altro fronte, l’Unione Sovietica fornì consistenti aiuti militari. Sostenuti dalla Chiesa e dal grosso dell’esercito e dell’aviazione, i ribelli conquistarono vaste zone della Spagna e unificarono il loro comando nella persona del generale Francisco Franco. I partiti della destra si unirono nella Falange, che divenne uno strumento di propaganda ideologica del governo franchista e dell’esercito; 45 Capitolo X – “Il secondo conflitto mondiale” Caratteristiche – La seconda guerra mondiale fu la prima guerra globale della storia, con 72 nazioni coinvolte e 60-70 milioni di vittime. Si trattò di una guerra:  Di movimento – I cui fronti attraversarono continenti ed oceani per l’effetto dell’impiego congiunto di aviazione e di mezzi corazzati veloci, che resero obsolete fortificazioni e trincee;  Ideologica – Basata sulla contrapposizione radicale di sistemi politici;  Di annientamento – A differenza della prima, la Seconda Guerra Mondiale fu una guerra combattuta non per spostare frontiere e guadagnare territori, ma per annientare letteralmente il nemico; Inoltre, bisogna dire che fu solo dopo l’aggressione della Germania all’URSS e quella del Giappone agli Stati Uniti che la guerra si trasformò in uno scontro mondiale tra fascismo e antifascismo: con un mutamento delle sorti del conflitto nel 1942 grazie all’entrata in guerra di URSS e USA. Fasi della guerra: 1. L’invasione della Polonia – L’offensiva tedesca partì dalla Polonia nel settembre 1939, si estese alla Norvegia e alla Danimarca e nel maggio 1940 si concentrò a occidente contro Belgio, Olanda e Francia. I suoi successi furono dovuti alla strategia militare del blitzkrieg (“guerra lampo”): campagne veloci che utilizzavano bombardamenti aerei per aprire la strada e carri armati per penetrare in profondità. Benché Francia e Gran Bretagna avessero dichiarato guerra alla Germania il 3 settembre 1939, la Polonia non poté contare sul loro aiuto e, il 26 settembre 1939, Varsavia cadde; 2. L’URSS – L’Unione Sovietica non fu da meno: entrò in Polonia da oriente e fucilò sul campo circa 20.000 ufficiali polacchi. Successivamente si mosse alla conquista di Ucraina, Bielorussa e Finlandia, dal momento che i territori di quest’ultima erano essenziali per la protezione di Leningrado, ex San Pietroburgo. Tuttavia la campagna in Finlandia impegnò duramente l’esercito sovietico, mostrandone l’impreparazione e l’inefficienza; 3. Hitler in Danimarca e Norvegia – Il secondo passo Hitler lo mosse contro Danimarca e Norvegia. La prima non riuscì a resistere, la seconda invece oppose fino al 9 giugno una strenua resistenza guidata dal re Haakon VII, che costituì poi in Gran Bretagna un governo in esilio. In Norvegia i tedeschi insediarono al potere il fondatore del partito fascista norvegese; 4. Hitler in Olanda e Belgio – Sul fronte occidentale questi furono i mesi della “guerra farsa”: gli eserciti si fronteggiavano senza scontrarsi. L’attacco tedesco scattò il 10 maggio 1940 verso Olanda e Belgio, sfondando al centro lo schieramento anglofrancese. Il 20 maggio i tedeschi avevano già raggiunto la Manica, costringendo alla ritirata le truppe alleate: subendo gravi perdite, dalla città di Dunkerque le navi inglesi riuscirono a trasportare in patria quasi tutto il contingente britannico e più di 100.000 soldati francesi; 5. L’occupazione di Parigi – La battaglia sul suolo francese si concluse rapidamente e il 14 giugno le truppe naziste occuparono Parigi. Il maresciallo Philippe Pétain assunse allora la guida del governo, firmò un armistizio e la Francia fu divisa in due: il Nord sotto il diretto controllo tedesco, il Sud e le colonie sotto l’amministrazione collaborazionista di Pétain, con capitale a Vichy. L’Italia entrò in guerra a cose fatte il 10 giugno 1940, firmando anch’essa un armistizio con la Francia; 6. L’attacco alla Gran Bretagna – Nel continente europeo la vittoria tedesca era completa. L’ultimo ostacolo rimaneva la Gran Bretagna dove Churchill aveva assunto la guida di un governo di coalizione tra laburisti e conservatori e aveva chiesto aiuti agli Stati Uniti che, dal giugno 1940, cominciarono a inviare armi e munizioni. Hitler puntò ad una strategia di bombardamento dell’isola, concentrandosi sull’area di Londra. Le cose non andarono secondo i piani dei nazisti grazie all’efficace difesa dell’aviazione inglese e alla resistenza della popolazione, che per ben 11 mesi subì gli attacchi dei bombardamenti tedeschi. La “battaglia d’Inghilterra” segnò la prima vera battuta d’arresto della Germania che ripiegò sulla “battaglia dell’Atlantico”: un blocco navale per impedire l’arrivo degli aiuti statunitensi. Fra 1939 e 1941 i sottomarini tedeschi affondarono navi alleate per oltre 8 milioni 46 di tonnellate. Da Londra, nel frattempo, il generale Charles De Gaulle lanciò un proclama ai francesi chiamandoli alla resistenza; 7. La “guerra parallela” dell’Italia – L’Italia, a dispetto del suo ridotto peso militare, aprì nuovi fronti all’interno di una “guerra parallela” voluta da Mussolini per marcare la propria autonomia dall’alleato tedesco. Nell’agosto del 1940 gli italiani invasero la Somalia britannica e attaccarono quindi l’Egitto, con l’obiettivo di acquisire le aree petrolifere del Medio Oriente e il nodo strategico di Suez. Successivamente, nell’ottobre 1940, all’insaputa di Hitler, l’Italia invase la Grecia ma anche in questo caso – dopo alcuni successi iniziali – il suo esercito venne ricacciato in Albania. Nel marzo 1941 uno sbarco britannico a Salonicco rese evidente il fallimento dell’iniziativa e costrinse Mussolini a chiedere aiuto alla Germania. La risposta nazista fu immediata e, dopo poco, la Grecia passò sotto il controllo tedesco e tedeschi ed italiani respinsero in Africa del Nord le truppe inglesi oltre la frontiera egiziana. In compenso però, la Gran Bretagna occupando l’Iraq e liberando la Siria e il Libano riuscì ad allontanare dal Medio Oriente la minaccia tedesca. La controffensiva britannica costrinse inoltre gli italiani ad abbandonare l’Etiopia, riportando sul trono il negus Hailé Salassié; 8. L’operazione Barbarossa – Per Hitler l’attacco all’URSS era cruciale sul piano ideologico e coerente con l’obiettivo di aprire alla Germania uno “spazio vitale” a est contro i popoli slavi “inferiori” governati da un regime comunista. Il 22 giugno 1941 iniziò dunque la più colossale operazione militare fino ad allora realizzata: la cosiddetta “operazione Barbarossa”, una prosecuzione della guerra di sterminio già sperimentata in Polonia. Il numero di vittime militari e civili sul fronte orientale giunse a più di 30 milioni. L’Armata rossa non resse l’urto e i tedeschi giunsero in poche settimane a poche centinaia di chilometri da Mosca. A luglio l’offensiva si arrestò ed Hitler decise di assegnare priorità al fronte sud, per aprirsi la strada verso il grano dell’Ucraina, il carbone del Donets e il petrolio del Caucaso. Solo dopo aver occupato Kiev e l’intera Crimea, Hitler riprese l’avanzata verso Leningrado e Mosca, ma l’avanzata si arrestò l’8 dicembre 1941 a causa della controffensiva sovietica, del rigido inverno russo e dalla stessa arretratezza del paese – un territorio sterminato e privo di infrastrutture – che affossarono le speranze di Hitler in una rapida conclusione della guerra; 9. Pearl Harbor – Il 7 dicembre 1941, senza alcuna dichiarazione di guerra, i giapponesi attaccarono la base statunitense di Pearl Harbor nelle Hawaii, infliggendo agli USA gravissimi danni. Messa fuori gioco la marina americana, i giapponesi avevano mano libera nel Pacifico e conquistarono Indocina, Birmania, Indonesia, Filippine, Isole di Salomone e gran parte della Nuova Guinea, minacciando l’India con la presa di Singapore. Nel dicembre 1941 Stati Uniti e Gran Bretagna dichiarano guerra al Giappone, Germania e Italia agli Stati Uniti. L’anno prima, nel settembre 1940, ricordiamo che il Giappone aveva firmato un nuovo Patto tripartito con Germania e Italia, che ristabiliva le condizioni di aiuto reciproco fra le dittature, mantenendosi tuttavia neutrale nel conflitto europeo e nell’aprile 1941, all’oscuro dei piani hitleriani di guerra a est, stipulò un trattato di non aggressione con l’URSS. Nei paesi occupati, il Giappone optò per una diretta amministrazione militare dei territori, il cui intento rimaneva comunque quello di risolvere il problema della scarsità di materie prime attraverso la creazione di una “Sfera di co-prosperità della Grande Asia Orientale”; 10. L’intervento degli USA – Dopo la disfatta francese, Roosevelt era riuscito a far approvare il “Lend- Lease Act”, la “legge affitti e prestiti” che autorizzava le forniture belliche ai paesi amici a condizioni particolarmente vantaggiose. Ad agosto Roosevelt e Churchill firmarono la “Carta Atlantica”, poi sottoscritta da tutti i paesi in lotta contro le potenze del Patto tripartito, nella quale furono definiti i principi e i progetti per un nuovo ordine internazionale fondato su: - Rifiuto delle guerre di aggressione e di conquista; - Rispetto dell’autodeterminazione dei popoli; - Libera circolazione delle merci e dei capitali e libero accesso alle materie prime: la cosiddetta “porta aperta”; Dopo aver posto l’embargo sul petrolio e sull’acciaio destinati al Giappone, nel luglio 1941 gli Stati Uniti sequestrarono i beni giapponesi nel paese. A novembre 1941 chiesero infine a Tokyo di porre fine all’aggressione contro la Cina: il diniego dei giapponesi fu consegnato dai suoi diplomatici quando 47 l’attacco a Pearl Harbor era già iniziato. La conferenza di Washington tenutasi tra dicembre 1941 e gennaio 1942 definì come “Nazioni Unite” tutti gli stati che sottoscrivevano la Carta Atlantica ed erano decisi a combattere fino alla vittoria le potenze fasciste. L’intervento americano sancì il fallimento della guerra-lampo e costrinse la Germania a dare assoluta priorità alla produzione di armi; Economia di guerra – La guerra spostò ulteriormente il baricentro dell’economia mondiale dall’Europa agli USA, il cui vantaggio iniziale in termini di disponibilità di materie prime e di forza lavoro venne accentuato dal fatto che dopo Pearl Harbor il loro territorio non subì alcuna distruzione. Il 40% delle armi usate sul fronte occidentale, inoltre, fu prodotto negli USA. Il reddito nazionale statunitense crebbe più del doppio rispetto al 1940 e la produzione aumentò del 15% annuo tra 1940 e 1944; grazie all’adozione di nuove tecnologie la produttività del lavoro industriale conobbe un incremento del 25% e la disoccupazione prodotta dalla crisi del 1929 venne infine riassorbita per intero. Il “nuovo ordine europeo” – La conquista di nuovi territori da parte della Germania ebbe conseguenze pesantissime sulla vita delle popolazioni. Nel luglio 1940 venne lanciato con grande rilievo propagandistico dal regime nazista il “nuovo ordine europeo”: un progetto che – perseguendo l’acquisizione del cosiddetto “spazio vitale” – avrebbe dovuto ridisegnare il futuro del continente dopo la fine della guerra. Il progetto prevedeva:  Nucleo centrale – Al centro la “Grande Germania”, accresciuta dalle nuove annessioni, all’interno della quale sarebbe stata riunita la “pura” razza tedesca;  Paesi satellite – Attorno ad essa si sarebbero trovati i paesi satellite (Italia, Ungheria, Austria, Romania, Bulgaria, Slovacchia, Finlandia) che avrebbero partecipato in funzione subalterna;  Terzo anello – Infine, il terzo anello sarebbe stato costituito dai paesi dell’Europa settentrionale e occidentale, sottoposti all’occupazione tedesca e ad un duro sfruttamento economico; Con l’attacco all’Unione Sovietica il “nuovo ordine europeo” si allargò a un “Piano generale per l’Est”, che programmò la deportazione in Siberia di 31 milioni di persone “razzialmente indesiderabili” dell’Est europeo per far posto ad altrettanti coloni tedeschi. I 5-6 milioni di ebrei residenti nell’area non ne facevano parte perché era prevista la loro eliminazione. La Shoah – Dopo aver favorito l’emigrazione di massa di circa 700.000 ebrei presenti nel Reich, cercando peraltro di non concentrali in un solo luogo – come la Palestina – per evitare che si formasse una nazione ostile alla Germania, le conquiste territoriali fecero cadere in mano tedesca un numero così elevato di ebrei che l’ipotesi di trasferirli fuori dal Reich diventò impraticabile. Nel 1939 fu allora disposto il trasferimento coatto degli ebrei in ghetti. Il governatore nazista della Polonia – che aveva intenzione di utilizzare la forza-lavoro ebrea a scopi industriali – si scontrò con il capo delle SS Himmler che invece prevedeva la deportazione degli ebrei verso est per far posto ai coloni tedeschi ed eliminare ogni contatto con le razze “inferiori”. In breve la situazione sanitaria ed economica dei ghetti creati nelle città polacche divenne proibitiva: miseria, denutrizione e malattie falcidiavano i reclusi, tant’è che nel 1943 il ghetto di Varsavia insorse ma andò incontro ad un’inevitabile sconfitta che si concluse con la distruzione del grande quartiere ebraico. Fu solo l’inizio di quella che il regime nazista definì “soluzione finale” – pianificata il 20 gennaio 1942 – del problema ebraico. Dal settembre 1941 un decreto chiamato “Notte e nebbia” dispose la deportazione nei Lager dei prigionieri di guerra e di tutti i sospetti di resistenza al terzo Reich. Gli ebrei sarebbero stati trasferiti dapprima in Polonia, nei ghetti di transito e ai lavori forzati. Dall’ottobre del 1941 convogli carichi di ebrei avevano già preso ad arrivare in Polonia e vennero costruiti nuovi campi di concentramento, il più grande era il complesso di Auschwitz. Nel campo II, a Birkenau, entrarono in azione nell’inverno del ’41 le camere a gas, collegate a forni crematori per lo smaltimento dei cadaveri. All’arrivo nei lager dei deportati, si separavano le persone abili al lavoro da quelle inabili destinate allo sterminio immediato. La Shoah ( “distruzione”) comportò 6 milioni di morti. Nell’estate 1942 notizie sulla sorte degli ebrei iniziarono a filtrare in occidente attraverso il 50 parteciparono oltre 6.000 imbarcazioni, 9.000 aerei e 150.000 uomini. La linea di difesa tedesca cedette e ad agosto gli Alleati entrarono a Parigi dove De Gaulle costituì un governo provvisorio. I Sovietici, giunti alle porte di Varsavia, si fermarono senza intervenire a sostegno dell’insurrezione della città scoppiata su ordine del governo polacco a Londra: la rivolta venne però repressa nel sangue dai tedeschi; 17. La resa della Germania – Attestate nelle parti che loro restavano di Polonia, Ungheria, Italia e Cecoslovacchia, le truppe naziste tentarono un ultimo disperato attacco sul fronte occidentale ma vennero respinte. Nel marzo 1945 gli angloamericani varcarono il Reno ed i bombardamenti trasformarono la Germania in un cumulo di rovine. Tra la fine di aprile e i primi di maggio del 1945 giunse infine a compimento il crollo del Terzo Reich. Cadute l’Italia e Vienna, assediata Berlino dall’Armata Rossa, Hitler si tolse la vita il 30 aprile 1945, due giorni dopo la fucilazione di Mussolini da parte dei partigiani. Il 7-8 maggio, a Reims e a Berlino, la resa senza condizioni della Germania fu firmata da Eisenhower e del maresciallo sovietico Žukov. Tra il 1945 e il 1946 i grandi criminali di guerra nazisti furono giudicati dal Tribunale Militare Internazionale costituito dagli Alleati a Norimberga; 18. Il “progetto Manhattan” – Anche in Asia la guerra volgeva dal 1943 a favore degli angloamericani, ma la dispersione dei fronti li costrinse a una lenta e sanguinosa avanzata fino alla primavera del 1945. Il 6 e il 9 agosto vennero pertanto sganciate due bombe atomiche, la prima a Hiroshima e la seconda a Nagasaki; le vittime furono, oltre le 130.000 persone che morirono in seguito all’esplosione, anche altre 70.000 che negli anni seguenti perirono a causa dei postumi delle ferite e per effetto delle radiazioni. Il 14 agosto 1945 il Giappone accettò la resa incondizionata, con l’unica richiesta che l’imperatore restasse al suo posto. La bomba atomica era il risultato del cosiddetto “progetto Manhattan”: un piano di ricerca avviato negli USA nel 1941 in un laboratorio segreto nel deserto del New Mexico, il cui lavoro si concluse poco dopo la morte di Roosevelt. Inutile dire che, da quel momento in poi, il possesso della bomba consegnava una posizione di leadership degli Stati Uniti rispetto alle altre nazioni; 19. La nascita dell’ONU – La costruzione di una nuova struttura sovranazionale che sostituisse la Società delle Nazioni sulla base dei principi contenuti nella Carta Atlantica trovò compimento tra l’aprile e il giugno del 1945 a San Francisco, dove i delegati di 50 paesi diedero vita all’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Questa aveva, tra gli altri scopi, il compito di mantenere la pace e la sicurezza internazionale, promuovere la soluzione delle controversie internazionali e risolvere pacificamente le situazioni che potrebbero portare ad una rottura della pace, garantire il rispetto del principio di uguaglianza tra gli Stati, l’autodeterminazione dei popoli, i diritti umani e le libertà fondamentali; L’Italia in guerra – Nonostante le ambizioni di Mussolini, l’Italia – dovendo tener conto dell’impreparazione militare del paese provato dalle imprese d’Etiopia e di Spagna – si dichiarò “non belligerante”, confermandosi alleata della Germania senza tuttavia partecipare alle azioni belliche. Solo dopo la vittoriosa offensiva tedesca in Francia Mussolini decise di aderire al conflitto a fianco della Germania, pensando erroneamente che si trattasse di una guerra breve e scontata. Il prolungamento del conflitto relegò l’Italia in una posizione subalterna rispetto all’iniziativa tedesca e la vita quotidiana venne profondamente alterata: soggette alle minacce dei bombardamenti, le città persero una parte dei loro abitanti che sfollarono verso le campagne, solo Roma continuò a crescere ritenuta immune dagli attacchi aerei per il suo status di “città sacra”, ma nel 1943 anch’essa venne bombardata. Il sistema di tesseramento e distribuzione dei beni di consumo essenziali era inefficiente e accompagnato a sperequazioni e favoritismi sempre meno sopportati dalla popolazione, per cui si assistette ad un progressivo indebolimento del “fronte interno”: dalla seconda metà del 1942 crebbe l’ostilità contro il fascismo per aver portato il paese in guerra e nel marzo 1943 scoppiarono nelle città del triangolo industriale, nel Nord Italia, i primi scioperi di massa dopo 20 anni. Considerata tuttavia la debolezza dei gruppi dell’opposizione antifascista, ricostruitasi nel paese relativamente tardi e con molte difficoltà, il fascismo cadde a seguito di una “congiura di palazzo”, attuata da una parte dei gerarchi dissidenti e dai vertici dell’esercito sotto la cauta direzione della monarchia: il 25 luglio 1943 51 Mussolini fu fatto arrestare dal re, che affidò il governo a Pietro Badoglio, ex capo di stato maggiore delle forze armate. Malgrado la caduta del fascismo fosse salutata nel paese da un’esplosione di entusiasmo, Badoglio ebbe un atteggiamento ambiguo nei confronti dei tedeschi e degli angloamericani:  Con Hitler – Proclamò la prosecuzione della guerra, chiedendo alla Germania aiuti e truppe per contrastare gli Alleati;  Con gli Alleati – Tuttavia nel contempo intavolò trattative segrete con gli angloamericani per l’armistizio, nella speranza che il loro appoggia potesse salvare governo e monarchia dalla reazione tedesca; Firmato il 3 settembre, l’armistizio venne annunciato dagli alleati l’8 settembre 1943: di fronte al fatto compiuto, Badoglio insieme ad una parte del governo, al re e alla famiglia reale fuggì da Roma senza emanare alcun ordine e la capitale venne così conquistata dalle armate tedesche. Il 9 settembre gli Alleati sbarcarono a Salerno, ma furono accanitamente contrastati dai tedeschi e il fronte si arrestò sulla cosiddetta “Linea Gustav”, lasciando l’Italia centro-settentrionale in mano tedesca. Le drammatiche vicende dell’8 settembre determinarono nel paese un drammatico momento di crisi dell’idea di nazione. A quella stessa crisi rispose tuttavia una minoranza che, spontaneamente, senza copertura istituzionali o militari, il giorno seguente iniziò la lotta per la liberazione del paese. Il 9 settembre 1943 il CNL, “Comitato di Liberazione Nazionale”, un organo clandestino costituito a Roma dai partiti antifascisti, chiamò gli italiani alla resistenza contro i tedeschi. Ad esso aderirono:  Il minuscolo Partito Democratico del Lavoro di Ivanoe Bonomi;  Il Partito Liberale;  Il Partito Socialista di Unità Proletaria (PSIUP);  La Democrazia Cristiana (DC) fondata nel 1942 da Alcide De Gasperi;  Il Partito d’Azione;  Il Partito Comunista (PCI); privo di larghe basi sociali e della legittimazione degli alleati, il CNL chiese invano l’allontanamento del re, a cui attribuiva la responsabilità dell’avvento del fascismo. La svolta si ebbe nel marzo 1944 con il riconoscimento del governo Badoglio da parte dell’URSS che aprì la strada alla cosiddetta “svolta di Salerno”: tornato in Italia da Mosca, il leader comunista Palmiro Togliatti accantonò la pregiudiziale antimonarchica e su tale base i partiti del CLN entrarono nel governo Badoglio per estendere l’unità del fronte antifascista e non contrastare la volontà degli alleati. Il 4 giugno 1944 Roma venne liberata dagli alleati ed a Vittorio Emanuele III subentrò suo figlio Umberto quale luogotenente del regno, mentre Ivanoe Bonomi assunse la guida del governo, sottoposto alla tutale alleata. Nel Centro-nord tuttavia i tedeschi avevano intanto liberato Mussolini e lo avevano posto a capo di uno Stato collaborazionista contrapposto a quello del Sud: la Repubblica Sociale Italiana (RSI) insediatasi il 23 settembre 1943 a Salò. Alla fine del 1944 il governo Bonomi delegò il Comitato di Liberazione Nazionale all’Alta Italia (CLNAI) a rappresentarlo nei territori occupati. Esso ottenne l’appoggio degli Alleati e si costituirono delle “repubbliche partigiane” in Val d’Aosta, Val d’Ossola, nella Carnia, a Montefiorino. In tutta risposta la Wermacht attuò rappresaglie in cui persero la vita migliaia di civili. La liberazione di alcune città del Nord – come Genova, Milano e Torino – prima dell’arrivo degli Alleati confermò il contributo dato dalla resistenza alla vittoria. Il 25 aprile 1945 è il giorno in cui il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamò l’insurrezione generale in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti, indicando a tutte le forze partigiane attive nel Nord Italia di attaccare i presidi fascisti e tedeschi imponendo la resa, giorni prima dell’arrivo delle truppe alleate. parallelamente il CLNAI emanò in prima persona dei decreti legislativi, assumendo il potere “in nome del popolo italiano e quale delegato del Governo Italiano”, stabilendo tra le altre cose la condanna a morte per tutti i gerarchi fascisti, incluso Benito Mussolini, che sarebbe stato raggiunto e fucilato tre giorni dopo. 52 Capitolo XI – “Bipolarismo e Guerra Fredda” Il secondo Dopoguerra – La fine del secondo conflitto mondiale rappresentò un punto di svolta a cui contribuirono diversi fenomeni:  Il peso dell’Europa – Un drastico ridimensionamento del peso dell’Europa sulla scena mondiale e l’avvento di un sistema bipolare centrato sulle due grandi potenze uscite vittoriose dalla guerra: USA e URSS, destinato a durare fino al 1989-91;  La decolonizzazione – Un imponente processo di decolonizzazione;  Lo sviluppo economico – L’inizio di un ciclo di eccezionale sviluppo economico; Le conferenze – Gli assetti dell’Europa e del mondo nei cinquant’anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale prendono forma in una serie di incontri fra Stai Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica che si svolsero tra 1943 e 1945: 1. Conferenza di Teheran – La conferenza di Teheran si svolse nel novembre 1945 – quando ancora la guerra non era finita – e vide come partecipanti Roosevelt, Churchill e Stalin, in occasione di essa: - Sbarco in Normandia – Dal punto di vista militare si discusse dello sbarco in Normandia, previsto per il 1° maggio 1944; - La teoria dei “quattro poliziotti” – Roosevelt espose la teoria dei “quattro poliziotti” che avrebbero dovuto reprimere ogni tentativo di alterare con la guerra gli equilibri internazionali, intendendo come “quarto poliziotto” la Cina nazionalista di Chiang Kai-shek. Dopo il fallimento della Società delle Nazioni, la pace doveva essere garantita dalle grandi potenze; - Concessioni all’URSS – Sul piano politico si affrontò, tra l’altro, il problema della futura sistemazione territoriale della Polonia e della Germania: nell’Europa orientale L’URSS si vide riconoscere una cintura di sicurezza di “governi amici”, ossia soggetti alla sua influenza determinante. L’accondiscendenza degli alleati nei confronti di Stalin fu giustificata dall’interesse primario di mantenere la compattezza della coalizione: la guerra non era stata ancora vinta ed era stata l’Armata Rossa a liberare quei paesi, pagando un tributo molto alto in vite umane; 2. Conferenza di Yalta e Potsdam – La conferenza di Yalta, in Crimea, si svolse nel febbraio 1945 tra Roosevelt, Churchill e Stalin, fu la prima delle conferenze che cercò di pianificare il futuro dopo la fine della guerra, mentre l’ultima delle conferenze fu quella di Potsdam, svoltasi in Germania dal luglio all’agosto del 1945 tra Stalin, Truman – successore di Roosevelt come Presidente degli Stati Uniti – e Churchill, poi sostituito da Clement Attlee dopo la vittoria laburista nelle elezioni generali britanniche del 1945. Le decisioni prese alla fine di entrambe queste assemblee portarono a: - Smembramento della Germania – Lo smembramento, il disarmo e la smilitarizzazione della Germania visti come “prerequisiti per la pace futura”. Lo smembramento, stabilito inizialmente come provvisorio, divise la Germania in quattro zone di occupazione gestite da USA, URSS, Regno Unito e Francia. Fu quindi creato un Consiglio di controllo formato dalle potenze occupanti, che mise appunto misure per la “denazificazione” e la riconversione economica del paese. In seguito a tali decisioni milioni di profughi tedeschi e polacchi si misero in movimento verso ovest per sfuggire alla tutela sovietica; - Confine tra Germania e Polonia – Il confine tra Germania e Polonia venne fatto coincidere ad est con quanto stabilito dal patto Molotov-Ribbentrop del 1939, ad ovest con la cosiddetta “Linea Oder-Neiße”, ovvero la linea tracciata dai due fiumi Oder e Neisse, a spese cioè della Germania; - Indennità di guerra – La Germania avrebbe poi dovuto sostenere pesanti spese per le riparazioni di guerra, nelle misura di 22 miliardi di dollari, 10 dei quali rivendicati dall’Unione Sovietica; - Basi dell’ONU – Venne proposta a Yalta una conferenza da tenersi nell’aprile 1945 a San Francisco per concretizzare l’istituzione della nuova Organizzazione delle Nazioni Unite; 3. Conferenza di San Francisco – Con la conferenza di San Francisco, che si svolse tra l’aprile e il giugno del 1945, si assistette alla creazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), dopo che ne vennero poste le basi già a Yalta, ma anche a Teheran con la teoria dei “quattro poliziotti” di 55 galvanizzare l’opinione pubblica, mentre all’interno dell’URSS la psicosi dell’accerchiamento e della guerra servì a Stalin per giustificare il proprio pugno di ferro repressivo sulla società sovietica e sulle nazioni satellite. Lo scisma jugoslavo – Stalin venne indebolito sul piano internazionale dal cosiddetto “scisma jugoslavo”. La Lega dei comunisti jugoslavi guidata da Tito era il più grande partito aderente al Cominform, dopo quello sovietico. Il suo spiccato senso di indipendenza e la volontà di non essere subalterno ai sovietici, aprirono una frattura: su sollecitazione di Stalin, nel giugno 1948, il Cominform condannò la “deviazione” ideologica jugoslava ed espulse la Lega dei comunisti di Tito. La “scomunica” di Tito divenne il pretesto per una serie di epurazioni e di condanne a morte con processi-farsa dei dirigenti politici meno sottomessi a Stalin. L’Unione Sovietica cominciò a pensarsi davvero come una superpotenza globale e come riferimento di un sistema non più limitato all’Europa. La guerra di Corea – La vittoria di Mao Zedong in Cina segnò comunque un punto a favore dell’URSS, che si aggiunse alla conquista dell’arma atomica: la guerra fredda si allargò in Asia. Dopo il ritiro delle truppe di occupazione americane e sovietiche, il paese rimase diviso in due parti:  Nord – A nord il regime comunista della Repubblica Democratica Popolare di Corea;  Sud – A sud quello autoritario e filoamericano delle Repubblica di Corea; Su questi presupposti: 1. L’attacco della Corea del Nord – Il 25 giugno 1950 l’esercito nordcoreano attraversò il 38° parallelo che segnava il confine tra i due stati e conquistò quasi per intero il sud del paese; 2. L’intervento dell’ONU – Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU autorizzò pertanto l’azione americana contro gli aggressori, organizzata e gestita quasi per intero dagli Stati Uniti. In due settimane la controffensiva guidata da Douglas Mac Arthur ribaltò la situazione, a tal punto che gli eserciti americani e sudcoreani si spinsero quasi fino alla frontiera tra Corea e Cina; 3. L’offensiva cinese – I dirigenti cinesi decisero pertanto di inviare dei “volontari” a sostegno della Corea del Nord e una nuova offensiva nordcoreana e cinese respinse americani e sudisti sotto la vecchia linea di confine; 4. Il richiamo di Mac Arthur e l’armistizio – Mac Arthur allora, escludendo ogni soluzione diplomatica, propose di attaccare direttamente la Cina e minacciò l’uso della bomba atomica per conseguire una vittoria militare, ma Truman – preoccupato tanto quanto Stalin da un allargamento del conflitto – richiamò in patria Mac Arthur e si avviarono così le trattative per l’armistizio che durarono ben due anni. La guerra finì il 27 luglio 1953: la situazione coreana non ne uscì modificata ma si contarono ben 2,5 milioni tra morti e feriti; Il colpo di stato in Iran – La situazione di forte fragilità a livello mondiale venne acuita dal colpo di stato iraniano. Il governo nazionalista iraniano, guidato da Muhammad Mossadeq, minacciava la nazionalizzazione di pozzi petroliferi. Esso venne rovesciato da un colpo di stato appoggiato dai servizi segreti americani che diedero inizio ad una serie di covert operations da parte della CIA (“Central Intelligence Agency”), allo scopo di garantire con mezzi illegali la difesa degli interessi statunitensi nei paesi esteri. La morte di Stalin – Nel marzo 1953 la morte di Stalin introdusse nuovi elementi di instabilità:  La fase di transizione – Al Cremlino si aprì una fase di transizione dalla quale emerse gradualmente la nuova leadership di Nikita Chruščëv e con estrema cautela cominciò a profilarsi una linea di “coesistenza pacifica” con l’Occidente. Nel 1953 tuttavia Berlino-Est venne scossa da manifestazioni operaie contro il taglio dei salari che vennero represse con la forza;  Il “roll back” di Dulles – Il nuovo segretario di stato americano John Foster Dulles affermò la necessita di un “new look”, ovvero di una nuova strategia nella politica estera e oppose alla politica del “contenimento” di Truman il cosiddetto “roll back” – con cui intendeva letteralmente un far “tornare indietro” il Comunismo – ovvero una controffensiva per ridimensionare l’influenza sovietica 56 nel mondo mediante azioni di opposizione ad ogni atto ostile esercitato della politica estera sovietica, al fine di scoraggiare ogni ulteriore tentazione offensiva. Questo irrigidimento, che apparve più che altro funzionale alla propaganda interna, si tradusse in una forma di pressione sull’Europa affinché accettasse di partecipare in modo più consistente alle spese militari della NATO. La guerra fredda coincise infatti con un’enorme corsa agli armamenti: la sperimentazione di ordigni nucleari sempre più potenti da parte delle due superpotenze fece crescere il timore di un conflitto nucleare, ma il pericolo di distruzione globale che i nuovo ordigni portavano con se era a sua volta un fattore di dissuasione: entrambe le potenze disponevano infatti di capacità di risposta nucleare, il che consentiva loro di ribattere ad un “primo colpo” dell’avversario; La cristallizzazione dei due poli – Si può affermare che il 1955 fu l’anno in cui si cristallizzò la divisione dell’Europa:  Ovest – I problemi del riarmo tedesco e della protezione nucleare statunitense trovarono nuove soluzioni con l’ingresso della Germania occidentale nella NATO e la creazione nel 1954 dell’Unione Europea Occidentale: un’agenzia interalleata per il controllo degli armamenti nazionali finalizzata al mantenimento degli equilibri militari in Europa;  Est – Inoltre, otto paesi dell’Est stipularono il cosiddetto Patto di Varsavia, un trattato di cooperazione e mutua assistenza con un comando militare unificato sotto la guida di Mosca: lo spostamento del baricentro del potere mondiale verso le due superpotenze era ormai un fatto compiuto, a discapito dell’autonomia dell’Europa; Questa temporanea stabilizzazione si raggiunse anche attraverso due conferenze internazionali che si tennero nel 1954: 1. Conferenza di Berlino – La prima svoltasi a Berlino con le nazioni vincitrici della guerra, ovvero Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Unione Sovietica, si concluse con un nulla di fatto; 2. Conferenza di Ginevra – La seconda a Ginevra, estesa anche alla Cina comunista, raggiunse una soluzione provvisoria per la questione del Vietnam, dividendo il paese lungo il 17° parallelo in due autonome entità statali: - Il Nord, fedele al blocco sovietico; - Il Sud, sotto la crescente influenza americana; La conferenza dei paesi “non allineati” – Nell’aprile 1955 i rappresentanti di 29 paesi “non alleati” (tra cui Ceylon, Birmania, Pakistan, Cina, Giappone, Turchia, i due Vietnam, Iraq, Iran, Giordania, Sudan) si riunirono a Bandung, in Indonesia, e sottoscrissero un documento che ribadiva i principi della Carta delle Nazioni Unite sulla limitazione agli armamenti, sul diritto dei popoli all’autodeterminazione e sul rispetto della sovranità degli stati. La situazione nell’URSS – La stabilizzazione faticosamente raggiunta nel 1955 venne messa in forte difficoltà già l’anno dopo, nel 1956, quando il nuovo leader del Cremlino Nikita Chruščëv denunciò i crimini di Stalin al XX° congresso del Partito Comunista dell’URSS. Successivamente si registrarono nuove sommosse operaie in Polonia represse nel sangue e l’intervento dell’Armata Rossa pose fine ad una rivolta antisovietica scoppiata in Ungheria. Gli Stati Uniti, nonostante il “roll back” annunciato da Forrest Dulles, rinunciarono ad ogni intervento diretto nella crisi, in quanto la divisione europea era un dato oramai consolidato e la repressione sovietica, seppur drammatica, non giustificava una ingerenza portatrice di pericolo apocalittici: l’azione sovietica raggiunse così il ricompattamento del fronte interno senza pagare prezzi troppo salati. La crisi di Suez – Ciò che riaffermò l’equilibrio bipolare della guerra fredda fu certamente la crisi di Suez: 1. Il nuovo Stato di Israele – Le Nazioni Unite premettero per far posto ad un nuovo Stato in Medio Oriente: Israele. La nuova nazione si costituì sulla base della consapevolezza condivisa che la tragedia della Shoah era stata resa possibile dall’assenza di uno Stato ebraico. Si realizzarono così gli obiettivi 57 del movimento sionista, ma la nascita di Israele venne vissuta come un sopruso dagli Stati arabi confinanti. Nel 1948-49 Egitto, Giordania, Siria, Iraq e Libano attaccarono gli israeliani, che però ebbero la meglio sul campo di battaglia e ad Israele si consolidò un regime democratico parlamentare; 2. L’Egitto si lega all’URSS – Diverso fu il percorso di altri Stati arabi, in particolare l’Egitto, dove il colonnello Gamal ‘Ab el-Nasser istaurò un regime militare. L’Egitto si rivolse allora agli USA per avere forniture militari, ma questi furono indotti a soprassedere, dovendo privilegiare i propri rapporti con Israele. Nasser in tutta risposta allacciò rapporti con il blocco orientale, offrendo all’URSS una insperata testa di ponte in una regione dove l’influenza sovietica non esisteva ancora; 3. La crisi di Suez – Alla fine del 1956 esplose la questione del canale di Suez, ancora controllato dalle truppe britanniche. Su pressione di Parigi e Londra allora, alla fine dell’ottobre 1956 Israele attaccò le truppe egiziane e paracadutisti anglo-americani vennero lanciati nella zona del canale. Tuttavia gli Stai Uniti presentarono all’assemblea dell’ONU una risoluzione – approvata a larghissima maggioranza – che chiedeva il ritiro degli aggressori e a ristabilire l’ordine fu l’ONU che inviò i suoi “caschi blu” ad occupare le fasce di frontiera tra Israele e Egitto, garantendo così un cessate il fuoco: fu uno smacco cocente per Londra e Parigi; Il rafforzamento del bipolarismo – La crisi di Suez riaffermò l’equilibrio bipolare della guerra fredda, ma a rafforzarlo furono tre fattori: 1. La crisi dell’ONU – Alla fine degli anni ’50 il massiccio ingresso di paesi ex coloniali nell’ONU – a seguito del processo a livello mondiale di decolonizzazione – pose fine all’incontrastata egemonia degli Stati Uniti, dando vita ad una nuova maggioranza eterogenea più vicina all’Unione Sovietica. Maturò allora un dualismo tra l’Assemblea, non allineata al bipolarismo, e il Consiglio di Sicurezza, di volta in volta bloccato dal diritto di veto delle due superpotenze; 2. La debolezza dei paesi “non allineati” – Il secondo fattore che rafforzò il bipolarismo fu l’inerzia del movimento dei paesi “non allineati”, che allargò notevolmente la propria base ma con crescenti difficoltà, come evidenziarono le due conferenze: - Del Cairo – Tenutasi a cavallo tra il 1957 e il 1958, vide l’ascesa dei paesi africani meno neutralisti e più antiamericani; - Di Belgrado – Tenutasi nel 1961, evidenziò i limiti di un movimento troppo debole e politicamente eterogeneo; 3. L’iniziativa europeista – Il decentramento della guerra fredda alleggerì l’atmosfera nel vecchio continente e il processo di integrazione europea avviò i suoi primi passi con la cosiddetta “Europa dei sei”. Nel 1957 furono firmati a Roma i trattati per la costituzione dell’Euratom e della Comunità Economica Europea (CEE): - Euratom – Il primo trattato prevedeva la messa in comune delle risorse di ogni singolo Stato per lo sfruttamento a scopi pacifici dell’energia nucleare; - CEE – Il secondo istituì una commissione di nove membri (2 per Italia, Francia, Germania e 1 per Belgio, Olanda e Lussemburgo) per affiancare un Consiglio dei Ministri degli Esteri con il compito di armonizzare le politiche economiche degli Stati aderenti per liberalizzare gli scambi tra i paesi. La Francia non volle però precludersi la possibilità di un armamento nucleare autonomo, che perseguiva con ostinazione e spirito di rivalsa dopo il disastro di Suez; Le crisi di Berlino e Cuba – Dalla metà degli anni ’50 USA e URSS ridussero la quota di bilancio destinato alle armi tradizionali, incrementando invece quella dedicata a mantenere l’equilibrio del terrore atomico: bombe a testata nucleare furono collocate su sottomarini e bombardieri a lunga autonomia, in Europa furono installati missili a media e lunga gettata. Nel 1957 il lancio sovietico dello Sputnik, primo satellite artificiale della terra, rafforzò la convinzione degli Stati Uniti di non essere più un “santuario” al riparo da ogni attacco: 1. Crisi di Berlino: a) Conflitto tra Cina e URSS – L’equilibrio bipolare trovò un nuovo sfidante nella Cina popolare. La crisi del 1956 aprì un conflitto ideologico tra URSS e Cina, con Mao Zedong nei panni del 60 l’aviazione israeliana attaccò pertanto a sorpresa Egitto, Giordania e Siria. La guerra fu chiamata “dei sei giorni”: il tempo impiegato dalle truppe israeliane per occupare il Sinai, la striscia di Gaza, la Cisgiordania e il Golan, cosicché più di 1 milioni di arabi furono inclusi nel nuovo stato di Israele che triplicò la sua superficie. Una risoluzione dell’ONU, che nel novembre 1967 invitò Israele a ritirarsi dai territori occupati e ad aprire le trattative con gli stati arabi sulla base di un reciproco riconoscimento, venne ignorata; Capitolo XII – “La decolonizzazione” A che punto erano le colonie – Il diritto all’autodeterminazione dei popoli, affermato alla fine della Grande Guerra dai “Quattordici punti” di Wilson, di fatto nei possedimenti coloniali europei era stato riconosciuto solo in minima parte ed il principio del “mandato” coloniale, istituito dalla Società delle Nazioni e concepito come strumento transitorio finalizzato al raggiungimento delle capacità di autogoverno, era rimasto inapplicato. A guerra conclusa, la Carta delle Nazioni Unite, approvata nel 1945, riconosceva l’esistenza di territori non-self-governing (ovvero non autonomi) e riprendeva l’idea del “mandando”, attribuendo ai governi coloniali il ruolo di amministratori temporanei. Elemento di novità fu tuttavia l’introduzione di controlli periodici da parte di commissioni d’inchiesta dell’ONU, al fine di accertare i progressi compiuti per l’indipendenza. Diversi metodi di controllo – Le principali potenze coloniali di Inghilterra e Francia, provate dal conflitto, dovettero allentare il proprio controllo politico e militare sulle colonie, ma le politiche da loro seguite furono diverse:  Inghilterra – La prima dichiarò l’intenzione di estendere lo status di dominion del Commonwelth a tutti i suoi possedimenti coloniali;  Francia – La seconda, benché la Costituzione concedesse la cittadinanza a tutti i sudditi dell’impero, osteggiò tale processo rendendolo più aspro, cosicché in Indocina e in Algeria la decolonizzazione fu raggiunta attraverso lunghe guerre;  Stati Uniti – Ben più efficace fu la nuova strategia di “imperialismo informale” sperimentato dagli Stati Uniti in Giappone e nell’Europa occidentale, che puntava a concedere aiuti in denaro per favorire la ripresa economica e a controllare di fatto – sebbene in modo indiretto – la vita politica e la gestione delle risorse delle nazioni “controllate”; I movimenti di liberazione in Asia: India – In India l’indipendenza proclamata il 15 agosto 1947 aprì un grave problema: 1. Contrasto tra hindu e musulmani – Ovvero lo scontro fra la maggioranza hindu e la minoranza musulmana. Da decenni, il contrasto tra induisti e musulmani che esplose violento una volta terminata la guerra, dando luogo a scontri e massacri tant’è che – una volta proclamata l’indipendenza – si adottò la soluzione di costruire due diversi Stati: l’Unione indiana a maggioranza induista e il Pakistan a maggioranza musulmana. La divisione fu però accompagnata da esodi di popolazione di proporzioni bibliche e lo stesso Gandhi venne assassinato nel 1948 da un fanatico hindu che lo accusava di eccessiva tolleranza verso gli islamici; 2. Rapporti tra India e Pakistan – I rapporti tra India e Pakistan erano costellati da continui conflitti. La fase più critica dei rapporti fra i due paesi ebbe fine nel 1971, quando il Bengala orientale si staccò dal Pakistan costituendo il Bangladesh, un nuovo Stato. Un ulteriore problema fu costituito dai sikh, membri di un’antica setta religiosa diffusa nel nord dell’India e in lotta spesso violenta per una maggiore autonomia; 3. Il governo di Nehru – Dopo l’indipendenza l’India fu governata per 40 anni dal Partito del Congresso. Il Primo Ministro Nehru avviò un processo di modernizzazione del paese con il sostegno degli Stati Uniti, ma cercando sempre di mantenersi equidistante tra i due blocchi della guerra fredda. Nehru cercò di fare dell’India un paese democratico e a differenza di Gandhi immaginava il futuro del proprio 61 paese meno legato alla tradizione autoctona, ma modellato sui processi di modernizzazione dei paesi avanzati. Pertanto egli: - Soppresse il sistema delle caste; - Stabilì l’uguaglianza giuridica dei cittadini e la parità dei sessi; - Promosse lo sviluppo economico del paese con un ruolo molto attivo da parte dello Stato; - Promosse una maggiore giustizia sociale; - Attuò una riforma agraria; Filippine – Le Filippine furono il primo paese asiatico a raggiungere l’indipendenza nel secondo Dopoguerra: nel 1946 fu proclamata la repubblica ed esse, assieme al Giappone postbellico, furono il laboratorio della strategia dell’imperialismo “informale” attuato nel Pacifico dagli Stati Uniti. Contro questa indipendenza a “sovranità limitata” si sviluppò una movimento di guerriglia comunista che mantenne un clima di continua conflittualità senza tuttavia riuscire a mutare gli equilibri politici delle Filippine. Il risultato fu un governo debole, retto dal Partito Laburista, che rimase fedele agli USA. Birmania – Nei confronti della Birmania, la Gran Bretagna dimostrò maggiore disponibilità e le promise nel 1945 lo status di dominion. Anche in questo caso la conquista della sovranità coincise con un focolaio di guerriglia comunista che le forze governative non riuscirono mai a dominare del tutto. Più tenace fu la resistenza britannica all’indipendenza della Malesia, che fu concessa solo nel 1957 come male minore per riuscire a debellare la guerriglia comunista. Sulle stesse basi fu poi costituita nel 1963 la federazione della Malaysia, comprendente Malesia, Borneo e Singapore. Indonesia – Nell’Indonesia di Sukarno, che con la resa giapponese si era proclamata indipendente, le truppe anglo-australiane cercarono di restaurare il dominio coloniale dell’Olanda. Nel 1948 un governo dei Soviet fu instaurato sull’isola di Giava, scatenando la repressione armata olandese non solo contro i comunisti ma anche contro Sukarno, accusato di tradimento e incarcerato. Nel 1949 il consiglio di sicurezza dell’ONU ordinò la cessazione delle ostilità, il rilascio degli uomini politici arrestati e la fine del potere coloniale. L’anno successivo l’Olanda riconobbe l’indipendenza dell’Indonesia, ma questo non arrestò né i movimenti di guerriglia né l’instabilità del paese dove Sukarno edificò un regime autoritario. Lotte anche dopo l’indipendenza – Il motivo per cui anche dopo l’indipendenza continuarono movimenti di guerriglia in vari di questi paesi era legato a due fattori: 1. La protesta contro le ineguaglianze della società rurale da parte dei cittadini, dopo aver conosciuti l’economia monetaria dei paesi sviluppati e lo sviluppo di monocolture destinate all’esportazione; 2. La guerra fredda, ovvero l’appoggio che l’URSS aveva dato loro, puntando a mutare i rapporti di forza globali attraverso il sostegno politico e finanziario ai movimenti di guerriglia; Vietnam – La Francia cercava di conservare, per quanto possibile, il proprio impero coloniale: 1. La Francia in Indocina – Nel 1945 la conferenza di Potsdam incaricò le truppe cinesi del Guomindang di disarmare i nuclei di resistenza giapponese ancora attivi nel Vietnam del Nord, sopra il 16° parallelo. Per i francesi la loro presenza era una garanzia contro il predominio del Vietminh, il Fronte per l’indipendenza del Vietnam creato dai comunisti nel 1941. Con l’appoggio delle truppe britanniche intanto i francesi avevano riconquistato il Sud del paese, reprimendo duramente i Vietminh; 2. Ho Chi-minh – Tuttavia il problema si pose con particolare acutezza quando, nel 1945, il leader comunista Ho Chi Minh proclamò da Hanoi (la capitale del Nord) l’indipendenza del Vietnam, istituendo un governo provvisorio e annunciando: - L’elezione di un’Assemblea costituente; - La giornata lavorativa di otto ore; - L’eguaglianza dei sessi; - Un sistema di istruzione pubblica rivolto all’intera popolazione, per l’80% analfabeta; 62 - La confisca dei beni dei notabili e dei grandi proprietari; 3. I della guerra di Indocina – Seguì una trattativa che nel 1946 portò alla sostituzione delle forze cinesi con reparti francesi e all’apertura di un negoziato per definire la sovranità del paese. In quello stesso anno i francesi presenti in Vietnam passarono all’azione bombardando il porto di Haiphong. I reparti nordvietnamiti attaccarono allora le forze francesi e si ritirarono poi nella giungla: era l’inizio della guerra in Indocina. Mentre nel Nord proseguiva la guerriglia, nel Sud del paese la Francia nel 1949 costituì uno Stato vietnamita sotto la guida del vecchio imperatore Bao Dai, privo di controllo parlamentare che trovò un solido sostegno finanziario negli Stati Uniti, che nel 1953 arrivarono a sostenere due terzi delle spese di guerra; 4. La divisione del Vietnam – Nello stesso anno si svolse la Conferenza di Ginevra, nella quale Cina e Unione Sovietica – preoccupate dall’intervento statunitense in Corea – premettero su Ho Chi-minh perché accettasse un compromesso dividendo il paese in due Stati indipendenti separati dal 17° parallelo: - Nel Nord si avviò una rivoluzione autoritaria che vide l’esodo di un milione di cattolici verso il Sud, si costituì inoltre un regime a partito unico e avvenne l’esproprio della grande proprietà terriera; - Nel Sud si aprì una fase di instabilità politica che portò al rovesciamento di Bao Dai e alla proclamazione di una repubblica; 5. I Vietcong – Con il nome di “Vietcong” si riunirono i comunisti vietnamiti, formando il Fronte di Liberazione Nazionale, che lanciò un’offensiva armata nella regione del fiume Mekong e negli altopiani del Sud, provocando un’immediata risposta da parte degli USA. Kennedy inviò ingenti quantitativi di armi e denaro, oltre ad alcune centinaia di consiglieri militari: il risultato fu un’energica attività anti-guerriglia contro i Vietcong che tuttavia non riuscì a frenare la loro inarrestabile offensiva, per cui l’ipotesi dell’unificazione del Vietnam per via armata diventava reale. Dopo appena tre settimane, Kennedy fu assassinato: lo sostituì Johnson, confermando l’appoggio militare ed economico al Vietnam del Sud; 6. L’inizio della guerra del Vietnam – Per non perdere la loro ultima base nel Sud-est asiatico, agli Stati Uniti non rimaneva che l’intervento diretto: nel 1964 uno scontro navale nel golfo del Tonchino provocato dalla marina degli USA segnò l’inizio della guerra del Vietnam. Il Nord del paese venne sottoposto a pesanti bombardamenti aerei e il numero dei soldati americani aumentò fino a superare il mezzo milione nel giro di tre anni; 7. La fine della guerra – Ciononostante nel 1968 l’esercito nord-vietnamita lanciò una controffensiva decisiva per convincere gli Stati Uniti che una vittoria sarebbe stata pagata a un prezzo troppo alto. Washington annunciò pertanto la fine dei bombardamenti e la volontà di arrivare ai negoziati di pace. Le trattative durarono a lungo ma Nixon portò avanti il ritiro delle truppe, completato nel 1973: per gli USA fu la guerra più lunga mai combattuta. La guerra civile vietnamita proseguì invece fino al 1975, finché le forze del Nord non unificarono il paese; I paesi arabi e Israele: La Lega Araba – Nel Medio Oriente, la guerra aveva accresciuto con forza il movimento panarabo, al quale le potenze coloniali dominanti – Francia e Gran Bretagna – avevano rinnovato promesse di indipendenza in cambio dell’appoggio bellico contro la Germania. Nel 1944 Egitto, Transgiordania, Iraq, Libano, Arabia Saudita e Yemen promossero la formazione di una “Lega Araba” e approvarono una Carta che pose tra gli obiettivi l’indipendenza dei popoli arabi e una soluzione equa dei rapporti tra palestinesi e coloni ebrei. Alla fine della guerra la causa araba registrò un primo successo quando nel 1946 le truppe anglo-francesi dovettero evacuare Siria e Libano, che rimasero nelle mani dei movimenti nazionali. Israele – Nel periodo tra le due guerre, gli insediamenti ebraici in Palestina erano avvenuti pacificamente, attraverso lo sfruttamento delle terre in strutture collettive chiamate kibbutz, ma fu la guerra a radicalizzare gli ebrei in Palestina. Fin dal 1945 ci furono movimenti di protesta contro il mandato inglese in Palestina e 65 paralizzati da aspri conflitti ma, nella maggior parte dei casi, abbattono governi riformisti per sostituirli con governi conservatori o instaurare dittature reazionarie. Cuba – Un elemento di svolta per l’intero continente fu introdotto dalla rivoluzione castrista a Cuba: 1. Il golpe di Batista – Nel 1952 il generale Batista pose fine con un golpe all’esperimento populista del presidente Grau San Martìn: il suo nuovo regime strinse un patto di assistenza militare con gli Stati Uniti e tornò ad un modello di sviluppo subordinato agli interessi americani; 2. La guerriglia di Castro – Contro il nuovo regime si sviluppò un movimento di guerriglia guidato da un giovane avvocato, Fidel Castro, che – forte dell’appoggio delle masse rurali che sostenevano il suo programma centrato su riforma agraria, lotta all’analfabetismo, alla disoccupazione e all’imperialismo – nel 1959 costrinse alla fuga il dittatore; 3. Cuba e URSS – Malgrado Castro avesse chiarito in più occasioni agli Stati Uniti che la sua rivoluzione non era “comunista” ma “umanitaria”, gli USA gli negarono ogni sostegno economico e Cuba dovette trovare pertanto un accordo con l’Unione Sovietica per la vendita dello zucchero in cambio di crediti finanziari; 4. L’inasprimento di Castro – Nel 1962, dopo un fallito tentativo di sbarco nella Baia dei Porci sostenuto dagli USA, Castro adottò ufficialmente l’ideologia marxista-leninista e rifiutò di aderire ad un programma di investimenti pubblici voluto da Kennedy per i paesi latinoamericani, poiché incompatibile con tali principi. La guerra fredda condizionò le scelte del regime castrista che accentuò una politica repressiva e poliziesca, riservando all’esercito un ruolo rilevante. Pur essendo l’unico paese dell’America latina capace di sconfiggere l’analfabetismo, Cuba raggiunse scarsi risultati nella diversificazione della base produttiva, che rimase dominata dalla monocoltura dello zucchero; 5. La nuova Costituzione – Nel 1975 Castro varò una Costituzione che lasciò ampia autonomia alle amministrazioni locali. Pertanto, a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 il paese divenne protagonista di una significativa crescita economica: nel 1980 tre quarti delle famiglie cubane possedevano un televisore e un frigorifero; Ernesto “Che” Guevara – La vittoria della guerriglia castrista affascinò anche altri movimenti rivoluzionari latinoamericani. Simbolo di questi moti rivoluzionari è la figura di Ernesto “Che” Guevara (1920-1967), medico argentino già compagno d’armi di Castro, che – alla Conferenza tricontinentale che nel 1966 riunì a L’Avana le formazioni antimperialiste del Terzo mondo – lanciò l’obiettivo di “creare due, tre, molti Vietnam”. Tuttavia la guerriglia ebbe successo solo in Nicaragua e rimase minoritaria nel resto dell’America Latina e svolse un ruolo di destabilizzazione. Colpi di stato militari – Negli anni ’60 e ’70 la reazione al populismo alla crescita di orientamenti socialisti e all’instabilità ebbe come protagoniste le forze armate, che raggiunsero il potere attraverso colpi di stato con l’appoggio diretto o indiretto degli Stati Uniti:  In Brasile nel 1964 un golpe instaurò un regime militare ventennale, parzialmente liberalizzato solo nel 1974;  In Argentina due colpi di stato nel 1962 e nel 1966 portarono il potere in mano alle forze armate;  In Perù, Bolivia ed Ecuador i militari costruirono regimi progressisti ispirati ad una sorta di nazionalismo sociale;  Il Cile cadde sotto il controllo delle forze armate: nel 1973 un violento golpe guidato da Augusto Pinochet – con il diretto appoggio degli Stati Uniti – rovesciò il governo di “unità popolare” del socialista Salvator Allende che rimase ucciso; 66 Capitolo XIII – “L’Occidente” La “golden age” – Dopo la guerra, il profondo mutamento intervenuto nelle relazioni internazionali fu causato dal ridimensionamento dell’Europa, dall’avvento del sistema bipolare della guerra fredda e dal dispiegarsi del processo di decolonizzazione, che possono essere considerati come fattori di un nuovo ciclo di globalizzazione. Il quarto di secolo successivo alla seconda guerra mondiale è stato considerato da storici ed economisti come “golden age”, caratterizzata da uno sviluppo economico impetuoso e senza precedenti che non fu interrotto da alcun momento di stasi o di crisi. Detto sviluppo non fu tuttavia esteso in ugual misura a tutto il globo, ma interessò soprattutto i paesi con un capitalismo sviluppato. Il reddito pro capite crebbe negli Stati Uniti ma soprattutto in Giappone e nell’Europa occidentale. Anche l’URSS e i paesi dell’Est europeo furono protagonisti di un forte sviluppo, ma questo risultato fu ottenuto da una pianificazione centralizzata che privilegiava l’industria pesante a scapito dell’espansione dei consumi: l’effettivo tenore di vita dei cittadini rimase, di fatto, molto inferiore a quello dei paesi occidentali. Gli accordi di Bretton Woods – Questi aspetti del mondo postbellico ebbero origine da alcune decisioni prese dagli Alleati quando la guerra ancora era in corso. Nel 1944 una conferenza angloamericana svoltasi a Bretton Woods, negli Stati Uniti, aveva definito il sistema economico e monetario internazionale del dopoguerra, fondato su due pilastri: 1. Il “gold dollar standard” – L’adozione del sistema monetario del gold dollar standard, basato sulla convertibilità del dollaro in oro, che pose il dollaro statunitense come valuta di riferimento per gli scambi; 2. Il Fondo Monetario Internazionale – La costruzione di un Fondo Monetario Internazionale (FMI) e di una Banca mondiale (la “World Bank”) per promuovere lo sviluppo dei paesi più arretrati; Dopo gli accordi di Bretton Woods, la politica di cooperazione da questi imposta proseguì attraverso una serie di organismi:  GATT – Il General Agreement of Tariffs and Trade, che operò per ridurre le barriere doganali;  OCSE – L’Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo, che raggruppava i paesi più sviluppati del mondo;  CECA – La Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio;  CEE – La Comunità Economica Europea; Fattori della golden age – Queste misure favorirono un eccezionale sviluppo degli scambi commerciali, che è stato considerato il fattore chiave della golden age, al cui sviluppo contribuirono molteplici fattori:  Manodopera a basso costo – Grande disponibilità della mano d’opera industriale a basso costo: la meccanizzazione dell’agricoltura lasciò infatti senza lavoro milioni di persone che furono protagoniste di un gigantesco processo migratorio dalle campagne alle città;  Il fordismo – L’Europa fu sollecitata ad importare il modello di sviluppo americano, per cui si diffuse il fordismo, ovvero un modello produttivo fondato sulla grande impresa e sui consumi di massa;  Politiche keynesiane – Infine, furono benefici gli effetti del coinvolgimento dello Stato nell’economia, in seguito all’affermarsi delle teorie di Keynes, secondo il quale lo Stato non doveva sostituire l’economia di mercato con quella pianificata, come nei paesi dell’Est, ma regolamentarla riducendo le disuguaglianze dei redditi e sviluppando in questo modo l’occupazione e attraverso lo sviluppo di industrie statali e parastatali;  Il Welfare State – La messa in atto di politiche di redistribuzione del reddito e di difesa dei ceti più deboli attraverso il fisco portarono in breve allo sviluppo dello Stato sociale; 67 Fine della golden age – La fine di questa eccezionale fase di espansione viene collocata nel 1973: 1. Lo shock petrolifero – Quando in quell’anno l’OPEC, ovvero il cartello dei paesi produttori di petrolio, stabilì un forte aumento del prezzo del greggio (da 3 a 12 dollari al barile) per danneggiare i paesi favorevoli a Israele in seguito alla “guerra del Kippur”, diede avvio ad una prolungata fase di crisi mondiale perché tutti i paesi industrializzati, eccetto USA e URSS, importavano quasi per intero questa fonte di energia; 2. La fine del gold dollar standard – Già prima dello shock petrolifero del 1973, tuttavia, il meccanismo aveva dato chiari segni di crisi: nel 1971 il presidente degli Stati Uniti Nixon pose fine al sistema del gold dollar standard e con esso al modello di cooperazione internazionale sino a quel momento applicato. Provati economicamente dalla guerra in Vietnam, per bloccare un’inflazione che aveva raggiungo il 5%, gli Stati Uniti avviarono infatti una politica di protezionismo doganale e di blocco dei prezzi e dei salari; 3. La nascita di nuove potenze economiche – La solitaria leadership statunitense venne così sostituita da una sorta di oligopolio a seguito della crescita di nuove grandi potenze economiche, come Giappone e Germania, dando luogo a un sistema più instabile nei rapporti economici e monetari internazionali; La coscienza ambientale – Infine, la crescita economica del periodo tra 1945-1973 ebbe effetti molti pesanti sull’ambiente, a causa dell’utilizzo delle risorse naturali non rinnovabili e del conseguente inquinamento del pianeta, per cui si ebbe una contaminazione dei suoli e delle acque a causa dell’uso di fertilizzanti chimici in agricoltura, smog urbano, scarichi industriali e “piogge acide” dovute allo sviluppo di gas inquinanti. Nacque così una nuova coscienza ambientale. Il secondo Dopoguerra in: USA – La guerra aveva lanciato l’economia degli Stati Uniti: la produzione industriale era raddoppiata e i disoccupati erano passati da 10 a 2 milioni. Tuttavia a guerra finita tutto questo dovette rallentare: la pace fu seguita infatti da una forte inflazione: i prezzi aumentarono del 50% e gli operai rivendicarono aumenti salariali con un’ondata di scioperi. 1. Truman – Truman reagì richiamandosi al News Deal di Roosevelt e nel 1945 lanciò il Fair Deal: un piano che prevedeva l’aumento di salari minimi, edilizia popolare e ospedaliera, l’estensione delle leggi di assicurazione. Vi si oppose tuttavia la minoranza repubblicana, con una propaganda fondata sulla denuncia di presunte infiltrazioni comuniste nella pubblica amministrazione, tanto che alle elezioni del 1946 riconquistò la maggioranza del parlamento. Indebolito dallo spostamento a destra dell’opinione pubblica, nel 1947 Truman attuò un programma di indagini personali contro “potenziali sovversivi” fra i dipendenti pubblici. I due partiti erano accomunati da un acceso anticomunismo che divenne una vera e propria “caccia alle streghe”. La bomba atomica sovietica e la guerra di Corea alimentarono nuovamente le ansie del paese che trovarono come portavoce oltranzista il senatore Joseph McCarthy, il quale si disse in possesso di una lista di agenti comunisti infiltrati del Dipartimento di Stato e – pur essendo poi smentito – diede avvio ad una vera e propria campagna inquisitoria. Il “maccartismo” diffuse nel paese un clima di intimidazione e conformismo che limitò la libertà di opinione con ripercussioni sul sistema giudiziario riducendo la tutela dei diritti degli imputati: - Nel 1950, malgrado il veto di Truman, fu legalizzata la schedatura dei sospetti di simpatie comuniste; - Nel 1954 fu messo fuori legge il partito comunista; 2. Eisenhower – Nel 1952 venne eletto presidente il repubblicano Eisenhower che, forte di un grande consenso popolare, assecondò la chiusura della fase maccartista nel 1954: quando la morte di Stalin e la fine della guerra di Corea allentarono le tensioni internazionali. La guerra di Corea stimolò un nuovo ciclo di sostenuta crescita economica e negli anni Cinquanta il reddito pro capite crebbe del 18,5%, 70 Costituzione, ebbe tuttavia una vita breve: De Gaulle infatti si dimise perché il suo disegno costituzionale presidenzialista non venne accettato dal suo stesso partito; 2. Governi di “terza forza” – Negli anni seguenti si susseguirono i governi definiti di “terza forza” composti da radicali, socialisti e cattolici, che contribuirono in modo determinate al processo di integrazione europea, attivatosi con l’ingresso della Francia nella CECA. Un forte sviluppo economico ed il rafforzamento dello stato sociale non impedirono che la Quarta Repubblica entrasse in crisi, a seguito dei risultati fallimentari della “linea dura” seguita dalla Francia nella politica coloniale, che provocò nel 1958 la minaccia di un colpo di stato da parte delle truppe d’Algeria. 3. De Gaulle II – Ciò favorì il ritorno al potere di De Gaulle che costituì un governo d’emergenza e con l’approvazione di una nuova Costituzione pose fine alla Quarta Repubblica: la nuova Costituzione prevedeva infatti un presidente eletto a suffragio ristretto e con ampi poteri. Grazie al sistema uninominale a doppio turno le prime elezioni della Quinta Repubblica vennero stravinte dai partiti di destra e De Gaulle, eletto presidente, chiuse nel 1962 la questione algerina mediante la concessione dell’indipendenza. Secondo De Gaulle, per poter esercitare davvero un ruolo autonomo in Europa, la Francia doveva possedere un apparato di difesa militare indipendente da quello statunitense, di qui il suo sforzo per dotare la Francia di una “forza d’urto”: - Nel 1960 venne fatta esplodere nel Sahara la prima bomba atomica francese; - La Francia si oppose all’ingresso nella CEE della Gran Bretagna, considerata una sorte di “alleato speciale” degli Stati Uniti; - Nel 1966 ritirò il proprio contingente dal comando militare della NATO; La sua politica gollista di grandezza non comportò i risultati sperati, con un conseguente progressivo logoramento del potere personale del presidente il quale, dopo un ultimo importante successo elettorale nel 1968, decise di dimettersi l’anno successivo a seguito dell’esito sfavorevole di un referendum su un progetto di riforma del Senato e delle amministrazioni regionali; Gran Bretagna – La Gran Bretagna, pur avendo vinto la guerra, perse definitivamente il suo ruolo di potenza mondiale e anche in Europa l’influenza inglese fu molto ridimensionata: 1. Attlee – Nelle elezioni del 1945, in modo alquanto inaspettato, fu decretata la fine del governo di unione nazionale di Churchill a favore del partito laburista di Clement Attlee. Il governo di Attlee si impegnò molto sulla strada del Welfare State e cambiò radicalmente il volto del paese: - Venne creato un servizio sanitario nazionale gratuito per tutti; - Vennero estese le assicurazioni contro malattie, infortuni, vecchiaia e disoccupazione; - Venne sviluppata l’edilizia popolare; - Furono nazionalizzati molti settori dell’economia, come le poste, l’energia elettrica, i trasporti ecc. Questa “rivoluzione laburista” tuttavia venne finanziata da una politica di austerità con forte tesse sui consumi e con il blocco di stipendi e salari; 2. Churchill – Il risultato fu che il consenso laburista calò e con una maggioranza molto ristretta nel 1951 Churchill tornò al potere. Il nuovo governo conservatore lasciò intatta la struttura del Welfare State laburista. Durante la guerra di Corea, il governo dotò il paese della bomba atomica e della bomba all’idrogeno ma nel 1955 Churchill fu costretto a dimettersi per motivi di salute e fu sostituito prima dal Ministro degli Esteri Eden, poi nel 1957 in seguito alla crisi di Suez da Macmillan. 3. Macmillan – Avendo un tasso di crescita assai più basso dei maggiori paesi europei, la Gran Bretagna preferì restare fuori dalla CEE dando vita nel 1959 ad un’area di libero scambio con Svezia, Svizzera, Norvegia, Danimarca e Portogallo: la European Free Trade Association; 4. Wilson – Con inflazione e disoccupazione in aumento, il governo conservatore perse il consenso dell’opinione pubblica e nel 1964 Harold Wilson costituì un governo laburista che dovette fin da subito affrontare una preoccupante recessione economica. L’apparato industriale e la rete di servizi 71 pubblici antiquati e costosi non erano in grado di sostenere la ripresa economica del paese. Wilson pertanto operò su più fronti: - Importanti successi sul piano dei diritti civili: abolizione della pena di morte e della censura teatrale, liberalizzazione di divorzio e aborto; - Orientamento favorevole all’ingresso nella CEE che si concretizzò solo nel 1973 una volta caduto il veto francese; - Nel 1967 dovette svalutare la sterlina; - Nel 1969 dovette affrontare una violenta ripresa dei conflitti tra cattolici e protestanti dell’Irlanda del Nord; 5. Heath – Queste due ultime questioni segnarono le sorti del suo governo e alle elezioni del 1970 il Partito Conservatore di Edward Heath conquistò una salda maggioranza; Svezia – Molteplici erano le ragioni della pluridecennale stabilità politica che fanno della Svezia un’eccezione nel panorama europeo:  Agricoltura – Una modernizzazione raggiunta senza traumi del settore agricolo, grazie alla presenza di un solido tessuto cooperativo tra piccoli e medi proprietari terrieri;  Burocrazia – Una macchina statale gestita da una burocrazia efficiente e rigorosa;  Industria e sindacati – L’avvio del processo di industrializzazione e la crescita del movimento sindacale avvengono all’interno di un quadro istituzionale equilibrato;  Sanità e pensioni – Le prime misure di assicurazione sanitaria e pensionistica si distinguono per il loro carattere universalistico: si rivolgono cioè a tutti i cittadini anziani senza distinzioni; Anche in politica estera la Svezia mantenne inalterata la propria posizione, rimanendo neutrale – a differenza di Danimarca e Norvegia che aderirono alla NATO – e adoperandosi per la costruzione di un Consiglio del Nord tra tutti i paesi dell’area scandinava. Nel 1959 ricordiamo che la Svezia aveva aderito alla European Free Trade Association, promossa dalla Gran Bretagna, assieme a Svizzera, Norvegia, Danimarca e Portogallo, in chiara concorrenza con la CEE. La fine degli anni Sessanta segnò l’esaurimento del “modello svedese”: l’invecchiamento della popolazione, la diminuzione degli operai occupati e l’aumento del pubblico impiego resero sempre più problematico il finanziamento dei servizi essenziali erogati dallo Stato, mantenuti solo grazie ad una tassazione elevata. Alle elezioni del 1970 il Partito Socialdemocratico del Primo Ministro Olof Palme perse la maggioranza e fu costretto a formare un governo di coalizione con il Partito Comunista. Spagna – Nel secondo dopoguerra facevano eccezione nel quadro politico dell’Europa occidentale i due regimi dittatoriali sopravvissuti alla guerra di Spagna e Portogallo: 1. Franco – Pur aderendo in modo parziale al modello fascista, il franchismo era privo di un’ideologia ufficiale: la sua cultura nazionalista non conosceva gli estremi razzisti e imperialistici di fascismo e nazismo, anche se cercava di eliminare le autonomi regionali (ad esempio di baschi o catalani) e di reprimere ogni forma di opposizione politica. Nel 1947 Franco restaurò formalmente la monarchia, riservandosi però il ruolo di reggente a vita con facoltà di scelta del proprio successore, ponendosi come punto di equilibrio tra i diversi centri di potere spagnoli: grande proprietà fondiaria, forze armate, la Falange (un movimento politico di ispirazione fascista) e la Chiesa cattolica. Nel 1953 l’alleanza tra regime e Chiesa venne rafforzato da un concordato con la Santa Sede che dichiarò la religione cattolica “l’unica religione del popolo spagnolo” e riconobbe allo Stato una certa influenza nella scelta dei vescovi. Negli anni seguenti fu inserito ai vertici dello Stato un ceto tecnocratico di estrazione cattolica e proveniente dall’Opus Dei: un’organizzazione segreta fondata nel 1928 allo scopo di difendere le pratiche di fede. 72 Negli anni ’50 e ’60 la crescita economica e la modernizzazione del paese furono accompagnati da una progressiva crisi dei tre pilastri del franchismo: - La Falange (poi ribattezzata “Movimento Nazionale”), priva di coesione ideologica; - L’esercito, minato dal ricambio generazionale e dallo scorso prestigio internazionale; - La Chiesa, esposta ai processi di secolarizzazione e soprattutto dalla rivalità tra Opus Dei e Azione Cattolica, un’associazione più democratica; Ma il fattore scatenante della crisi del franchismo fu l’azione terroristica dell’ETA: un gruppo che rivendicava l’indipendenza delle province basche e che nel 1973 uccise il primo ministro Luis Carraro Blanco; 2. Juan Carlos di Borbone – Nel 1975 con la morte di Franco salì al potere il nipote di Alfonso XIII, Juan Carlos di Borbone, che Franco aveva designato come suo erede: il giovane re aprì la strada alla democrazia legalizzando i partiti e indicendo libere elezioni; Portogallo – Nel 1949 il forte anticomunismo di Salazar lo spinse a far entrare il Portogallo nella NATO, pur praticando in generale una politica isolazionista all’insegna dello slogan “fieramente soli”, il cui risultato fu una lunga stagnazione economica e culturale del paese. Convinto colonialista, Salazar continuò a considerare territori portoghesi anche quelli d’oltremare, benché tutto il resto d’Europa stesse progressivamente lasciando l’Africa. La morte di Salazar nel 1970 non comportò sostanziali evoluzioni del governo, guidato dal successore Marcelo Caetano. La situazione portò a un malcontento generale, in particolare nelle classi sociali meno agiate e all’interno delle forze armate, le quali si posero alla guida, nel 1974, della cosiddetta “rivoluzione dei garofani”: il colpo di stato incruento attuato nel 1974 da militari dell’ala progressista delle forze armate del Portogallo che pose fine al lungo regime autoritario fondato da António Salazar (morto nel 1970) e all’epoca in mano a Marcello Caetano, che portò al ripristino della democrazia nel paese dopo due anni di transizione tormentati da aspre lotte politiche. Grecia – Dopo la liberazione dai tedeschi: 1. Metaxàs – La Grecia si trovava ancora nel governo autoritario del generale Joànnis Metaxàs e divenne il teatro di una guerra civile fra la destra e la sinistra del paese, la prima sostenuta dal Regno Unito e dagli Stati Uniti, la seconda dall’URSS. Nel 1947 il Partito Comunista venne messo fuori legge, con la conseguente attivazione di un movimento di guerriglia che prolungò la guerra civile sino al 1949; 2. Papadopoulos – I governi conservatori non riuscirono a dare una duratura stabilità al paese e nel 1967 il colonnello Georgios Papadopoulos rovesciò il governo con un colpo di stato, sospese la Costituzione e fece arrestare i principali leader delle opposizioni di sinistra; 3. Karamanlis – Le ripercussioni di una crisi aperta nel 1974 a seguito dell’invasione turca dell’isola di Cipro, obbligarono i colonnelli a convocare nuove elezioni che vengono vinte dal partito conservatore di Konstantinos Karamanlis; Turchia – In relazione alla sua posizione cruciale tra Europa, Unione Sovietica e Medio Oriente, la Turchia conservò una stretta neutralità nel conflitto mondiale e si oppose, nel dopoguerra, alle richieste sovietiche di controllo internazionale sugli stretti del Mar Nero. Solo nel 1950 il predominio del Partito Repubblicano del Popolo, fondato da Atatürk, viene interrotto dal Partito Democratico. Il paese stentava a trovare una stabilità politica e in più occasioni – nel 1960, 1971 e 1980 – i militari assunsero il potere con forme non democratiche, sospendendo temporaneamente le legalità. Per la prima volta dopo decenni negli anni ’60 si svilupparono nel paese formazioni politiche di matrice islamica. Giappone – Dopo la guerra:  Mac Arthur – Nel 1945, con la firma dell’armistizio con le truppe alleate, il Giappone venne posto sotto il governo del Supreme Commando of the Allied Power (SCAP) guidato dal generale americano Douglas Mac Arthur che adottò da subito una serie di scelte: 75 In questi anni il movimento contadino si organizzò in scioperi ed occupazioni per l’assegnazione del latifondo dai grandi proprietari terrieri ai contadini al Sud e per l’ottenimento di più eque condizioni di lavoro al Centro-Nord. Tornarono così a svilupparsi nel paese leghe, cooperative e organizzazioni contadine soppresse dal fascismo, tuttavia questi organismi non furono mai riconosciuti sul piano legislativo e agirono soltanto come portavoce della protesta operaia; Imprenditori e proprietari si fecero forti dell’argomento secondo cui l’intervento dello Stato in economia era stato un tratto tipico della dittatura. Benché altre democrazie parlamentari, come Gran Bretagna e Francia, mettessero in atto strade diverse fondate sul Welfare State e su politiche economiche keynesiane, i primi anni della Repubblica furono dominati da un’ideologia liberista di cui fu portavoce fu Luigi Einaudi, governatore della Banca d’Italia che divenne presidente della Repubblica nel 1948. Egli mise in atto una politica deflattiva che mirava a stabilizzare la lira, assieme a provvedimenti di restrizione del credito, i cui effetti furono: - Una disoccupazione superiore di tre o quattro volte a quella di Francia e Gran Bretagna; - Livelli prebellici di produzione e consumo; - Scioperi, numericamente i più alti in Europa; L’assemblea costituente – Il 2 giugno 1946 si tennero un referendum istituzionale e le elezione per l’Assemblea Costituente:  La Repubblica vinse con 12 milioni di voti contro 10, larghe fette del Mezzogiorno espressero in modo schiacciante maggioranze monarchiche;  La DC risultò il primo partito (35%) seguita da PSIUP (20%) e PCI (18%), mentre il Partito d’Azione subì una pesante sconfitta che ne decretò lo scioglimento; L’Assemblea costituente rappresentò un luogo di incontro tra culture politiche e civili diverse come quella cattolica, liberale e marxista, mentre e forze politiche che non vi parteciparono – come l’Uomo qualunque di Giannini – furono condannate ad una veloce scomparsa. La Costituzione, entrata in vigore nel 1948, prevedeva nuovi strumenti per:  Legittimità delle leggi – Il controllo della legittimità delle leggi, garantito da strumenti come la Corte costituzionale;  Decentramento amministrativo – Il decentramento amministrativo, per cui vennero istituite le Regioni: da subito quelle a statuto speciale per ragioni geografiche o etniche come Sardegna, Sicilia, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige e nel 1970 quelle a statuto ordinario; L’adesione alla NATO – A seguito di uno storico viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti nel 1947, l’Italia aderì pienamente al sistema di alleanze diplomatiche e militari dell’Occidente, partecipò al Piano Marshall e nel 1949 fu ufficializzato il suo ingresso nella NATO. Questo asse privilegiato implicava l’esclusione delle sinistre filosovietiche dal governo del paese. Le elezioni del ’48 – De Gasperi attuò pertanto un graduale distacco dalle forze di sinistra e strinse alleanze coi partiti laici minori: repubblicani, liberali e i socialdemocratici di Giuseppe Saragat. Nacque così un nuovo schema politico che vide governi “centristi” a guida DC con opposizioni a destra di filomonarchici e neofascisti e a sinistra di PSI e PCI. Le elezioni del 18 aprile 1948, dominate da una scelta di campo tra est e ovest, furono precedute da due eventi significativi:  L’attentato di S. Giuliano – Il 1° maggio 1947 in un comizio di contadini a Portella della Ginestra in Sicilia gli uomini del bandito mafioso Salvatore Giuliano spararono sulla folla provocando 11 morti; questo avvenne in risposta all’esito delle elezioni amministrative siciliane che avevano visto il successo del Fronte Popolare (alleanza tra PCI e PSI), segno evidente della tensione del clima politico e delle preoccupazione del ceto padronale e dei moderati dell’ingresso dell’Italia nella sfera filosovietica; 76  L’appello del Papa – Nel dicembre 1947 Papa Pio XII lanciò un appello: “o con Cristo o contro Cristo”, che schierava apertamente il Vaticano a sostegno della DC; Alle elezioni, la scelta degli italiani era ovviamente influenzata dalla visione del futuro fondata sul benessere dei consumi incarnata dal Piano Marshall, contrapposto alla deriva autoritaria di Stalin nell’Europa orientale, manifestatasi con tutta la sua evidenza nel colpo di stato avvenuto a Praga. La DC conseguì il suo massimo storico col 48,5% e De Gasperi tornò al governo. Gli anni del centrismo: L’attentato a Togliatti – Sconfitte nelle urne, le forze di sinistra tentarono di riguadagnare terreno in campo sociale nella difesa delle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari. A seguito del ferimento di Togliatti in un attentato avvenuto il 14 luglio 1948, milioni di lavoratori scesero in sciopero, convinti che si trattasse del primo atto di un colpo di stato reazionario. L’unica conseguenza immediata della rivolta fu la scissione della CGIL, da cui si distaccò la corrente cattolica con l’appoggio degli Stati Uniti, favorevoli alla creazione di un sindacato anticomunista, fondando la Confederazione Italiana dei Sindacati dei Lavoratori (CISL) dalla quale poi nel 1950 si distaccarono le correnti socialdemocratiche e repubbliche che fondarono l’Unione Italiana del Lavorio (UIL). Imprenditori e operai – In un’Italia con forte una presenza sindacale ma con evidenti spinte governative liberiste, gli imprenditori cercarono di eliminare il più possibile la manodopera per limitare i costi e soprattutto per allontanare i gruppi di operai più politicizzati:  La “Celere” – Tra il 1948 e 1952 si assistette ad un’impennata delle manifestazioni di piazza che videro impegnata la “Celere”, il corpo di polizia responsabile dell’ordine pubblico, per il controllo e la repressione dei manifestanti che divenne tristemente famosa;  Schedature degli operai – Nelle grandi fabbriche del Nord, ad esempio la FIAT, si assistette a schedature politiche, reparti-confino e licenziamenti: segni di una vera e propria persecuzione ai danni di operai socialisti e comunisti; Politica economica dei governi centristi – La linea liberista di Einaudi viene proseguita dai governi centristi mediante una serie di interventi pubblici a sostegno dell’industria. Particolare importanza ebbero il Piano Sinigaglia per la siderurgia e diverse sovvenzioni ai settori meccanico ed energetico. Si inaugurò così una linea di politica economica destinata a durare nel tempo, fondata su finanziamenti pubblici a imprese private:  Il “Piano del Lavoro” di G. Vittorio – La CGIL di Giuseppe di Vittorio lanciò nel 1949-1950 un “Piano del lavoro” mobilitando rappresentanze popolari e di fabbrica, economisti, e intellettuali con l’obiettivo di imporre al governo una serie di iniziative volte alla crescita dell’occupazione; La risposta di governo e Confindustria è negativa;  La riforma agraria di Segni – Nel 1950 fu varata dal ministro Antonio Segni una riforma agraria che prevedeva la distribuzione delle terre e la creazione di piccole proprietà contadine. Pur avendo un’attuazione limitata la riforma sottrasse vigore alla lotta per la terra nel Mezzogiorno e diede uno scossone al ceto dei proprietari terrieri meridionali. La riforma incrinò i rapporti tra DC e grandi proprietari terrieri, aprendo così una spazio all’iniziativa dei partiti di destra;  La “Cassa per il Mezzogiorno” – La sinistra democristiana, sensibile alle necessità sociali e aperta alle teorie keynesiane istituì la cosiddetta “Cassa per il Mezzogiorno” nel 1950, alla quale era affidato il compito di finanziare gli interventi necessari per dotare il Sud del paese delle infrastrutture – come vie di comunicazione, acquedotti elettrificazione ecc. – occorrenti per l’impianto di imprese produttive agricole, industriali e commerciali; Crisi del governo centrista – La crisi del rapporto fra DC e grandi proprietari terrieri, causata dalla riforma agraria, aprì uno spazio all’iniziativa dei partiti di destra che riscossero significativi successi alle elezioni 77 amministrative del 1951-52. Per affrontare queste difficoltà, il Presidente del Consiglio predispose una riforma elettorale che blindasse la maggioranza centrista con una solida base parlamentare, assegnando un consistente premio di seggi allo schieramento che avesse superato il 50% dei voti, legge che le sinistre denominarono “legge-truffa”. La DC perse molti consensi a favore dei partiti di destra, mentre PSI e PCI migliorarono le loro posizione. La seconda legislatura si aprì quindi nel segno dell’incertezza. Nel 1954 la morte di De Gasperi coincise con la scesa alla guida della DC di Amintore Fanfani. Nel 1952 la Costituzione dell’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI) esemplificò il processo di crescita di un nuovo capitalismo. Ne derivò un’espansione del settore dell’industria di Stato: oltre all’ENI nacquero Ilva, FIAT, Olivetti ecc. Il “miracolo economico” – Nel corso degli anni ’50 la struttura produttiva e sociale del paese conobbe una profonda trasformazione:  Primario e secondario – Gli addetti all’agricoltura calarono ed il paese entrò in una fase di accelerata modernizzazione con un impetuoso processo di industrializzazione che, inizialmente concentrato nel “triangolo industriale” Torino-Milano-Genova, si estese in Emilia e in Veneto, senza amai toccare in profondità il Mezzogiorno. L’industria italiana si affermò così sul mercato mondiale dei beni di consumo durevole (tv, auto, elettrodomestici) e nel settore chimico e petrolchimico;  Migrazione interna – Si assistette a sproporzionati flussi migratori interni, dal Sud al Nord e dalle campagne alle città, che crebbero impetuosamente: intere aree meridionali agricole e montane si spopolarono e gli immigrati furono costretti vivere in condizioni di degrado, emarginazione e povertà: nacquero veri e propri “quartieri-dormitorio” popolati da immigrati meridionali con forti problemi di integrazione sociale con i residenti;  Americanizzazione – A livello culturale si assistette ad una drastica rottura col passato in quanto tradizioni, credenze e riti del mondo contadino vennero sostituiti da comportamenti del mondo cittadino, industriale, moderno e “americano”: tramite di questa mutazione fu la televisione, attraverso la quale la lingua italiana si affermò definitivamente nell’uso a scapito dei dialetti locali. Nacquero miti come il quiz “Lascia o Raddoppia”, copia fedele dal modello americano, e status symbol che entrarono nell’uso comune come scooter, auto e lavatrice; Gli anni Sessanta: L’apertura “a sinistra” – Così come la guerra fredda aveva imposto un rigido “congelamento” della sinistra all’opposizione, il clima di “disgelo” tra USA e URSS aprì nuovi orizzonti politici. La denuncia dei crimini di guerra di Stalin effettuata da Chruščëv e l’invasione dell’Ungheria, portarono alla rottura dei rapporti tra PSI e PCI che mantenne un legame di ferro con Mosca. Si iniziò pertanto a parlare di un’“apertura a sinistra” cioè di collaborazione tra DC e PSI sostenuta da alcuni fattori:  L’apertura della Chiesa – Una maggiore disponibilità del mondo cattolico: dopo la morte di Pio XII, il nuovo Papa, Giovanni XXIII, convocò nel 1962 un concilio che apriva ad una chiesa più collegiale e aperta al mondo laico;  La presidenza di Kennedy – Anche gli Stati Uniti, con il presidente Kennedy, attenuarono la loro resistenza ad un ingresso nel governo di forze di sinistra;  L’alleanza di centrosinistra – I due partiti socialisti di Nenni e Saragat si riavvicinarono auspicando la sostituzione del centrismo con una nuova alleanza detta di centrosinistra tra DC, PSI e i partiti minori di centro; Si formò così un nuovo governo “monocolore”: 3. Tambroni – E democristiano, guidato per pochi mesi da Fernando Tambroni, che non esitò ad accettare i voti della destra neofascista del Movimento Sociale Italiano. Ciò suscitò violente manifestazioni di piazza nel 1960, a cui il governo oppose una dura repressione; 80 - Lo smantellamento dei gulag e la riorganizzazione della polizia politica nel KGB; - Un grande impulso alla ricerca scientifica e tecnologica nel campo degli armamenti nucleari e missilistici: nel 1957 venne lanciato in orbita il primo satellite artificiale della terra, lo Sputnik, e nel 1961 il primo astronauta, Jurij Gagarin; - Un ridimensionamento dei piani quinquennali mediante l’istituzione di regioni industriali autonome; - La vendita delle macchine agricole dallo stato ai kolchoz, sostenendo così la ripresa della produzione agricola; - L’avvio di un nuovo piano per l’edilizia popolare; In politica estera: - In risposta all’Alleanza Atlantica e alla NATO, nel 1955 sottoscrisse con i paesi dell’Est europeo il Patto di Varsavia, che garantiva un legame militare tra l’URSS e i paesi sotto la sua influenza; - Nel 1959 ruppe la collaborazione nucleare con la Cina e ritirò i tecnici e i consiglieri sovietici che vi aveva inviato; Le delusioni in politica estera e l’insoddisfazione per un aumento della produttività non legata ad uno sviluppo dei consumi privati, determinarono nell’ ottobre 1964 la rimozione di Chruščëv, sostituito con una Trojka composta da: - Leonid Brežnev – Nuovo Segretario del Partito; - Aleksej Kosygin – Nuovo Capo del Governo; - Nikolaj Podgornij – Nuovo Capo dello Stato; 3. Brežnev – A seguito del cambio al vertice, espressione di un nuovo compromesso tra i poteri forti, emerse gradualmente la supremazia di Leonid Brežnev che chiuse la stagione del disgelo e riprese la repressione poliziesca che obbligò alla clandestinità la vita culturale del paese. Alla chiusura politica e culturale si contrapposero aperture parziali in campo economico: investimenti nella produzione dei beni di consumo, autonomia alle direzioni aziendali per il reimpiego dei profitti in integrazioni salariali, impulso alle politiche edilizie, diritto alla pensione e libertà di muoversi in tutto il territorio nazionale dei contadini dei kolchoz, maggiore spazio di commercio con i paesi occidentali, per cui ad esempio si fecero accordi per avere uno stabilimento di produzione della FIAT in URSS. Queste aperture furono in parte limitate da un nuovo incremento dello spese militari successive all’invasione della Cecoslovacchia. Si può affermare che la stabilizzazione a seguito della caduta di Chruščëv prese le forme di un nuovo patto sociale che rispetto all’epoca stalinista ridusse di molto l’azione di terrore e repressione, limitandola alla dissidenza intellettuale, e garantiva a tutti i cittadini alcune certezze: casa, lavoro, sanità e scuola. Tutore di questo patto sociale fu la “nomenklatura” cioè la burocrazia di Stato e partito che, priva di controlli e di trasparenza nel reclutamento e nella carriera della “nuova classe”, fu esposta alla corruzione e alla contestuale creazione di una “seconda economia” parallela a quella ufficiale legata al fenomeno del mercato nero. La debolezza del proprio modello di sviluppo obbligò il Cremlino ad una rigida intransigenza contro ogni forma di instabilità: - L’esperimento di liberalizzazione avviato dalla Cecoslovacchia nel 1968 la cosiddetta “Primavera di Praga”, pur essendo diretto dal Partito Comunista che non metteva in alcun modo in discussione l’alleanza politico-militare con Mosca, fu duramente represso da un’azione militare; - Nel 1969 si registrò uno scontro di frontiera con la Cina; Alla conferenza dei partiti comunisti la proposta sovietica di condanna del partito cinese fu clamorosamente respinta. Emersero inoltre chiare opposizioni all’intervento in Cecoslovacchia tra cui quella del PCI. A partire dal 1970 l’economia sovietica entrò in crisi. In agricoltura il susseguirsi di cattivi raccolti si accompagnò ad una crisi di approvvigionamento anche dei generi di prima necessità: ciò alimentò l’inflazione e la piaga del mercato nero. I nuovi giacimenti di gas e petrolio erano in impervie località della Siberia più costose da raggiungere. Venne pertanto giocata la carta estrema del rilancio di una 81 politica estera di potenza sulla scia della momentanea debolezza degli Stati Uniti in seguito alla sconfitta in Vietnam; L’Est europeo: Il Comecon – Nel blocco sovietico dei paesi dell’Europa orientale il Comecon (Consiglio di Mutua Assistenza Economica): un comitato di assistenza economica tra i paesi dell’Est europeo in risposta al Piano Marshall che, pur garantendo un rapporto di dipendenza dall’Unione Sovietica, incoraggiava i rapporti “orizzontali” tra gli stati membri, creato nel 1949, sovrintendeva alle relazioni economiche. La politica di trasferimento degli impianti industriali avviata nell’immediato dopoguerra, rivelatasi ben presto costosa e poco produttiva, lasciò il posto ad una politica di integrazione commerciale. Il Patto di Varsavia – Con il timore di veder nascere intese regionali estranee ai propri interessi, i sovietici promossero nel 1955 il Patto di Varsavia (definito “trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza”) che di fatto annullava la possibilità di accordi bilaterali esterni al controllo di Mosca. Le nazioni che soffrirono maggiormente di questa pesante ingerenza sovietica furono:  La Germania dell’Est dove l’Armata rossa fu costretta a reprimere numerose rivolte degli operai edili a Berlino e in altri centri;  La Cecoslovacchia, dove scoppiarono disordini di lavoratori nella città industriale di Plzen; Questi segnali d’allarme portarono a piccoli spiragli di disgelo e culminarono nel 1955 con il viaggio di Chruščëv in Jugoslavia, che portò al riconoscimento delle responsabilità dell’URSS nella rottura del 1948 e, di fatto, migliorò i rapporti politici interni al blocco. Questo cauto processo di cambiamento subì una brusca accelerazione nel 1956. In molti ambienti operai dei paesi più avanzati del blocco, infatti, la denuncia di Stalin effettuata da Chruščëv al XX congresso del PCUS venne interpretata come un via libera a nuovi movimenti rivendicativi che contestavano la burocratizzazione dei sindacati e la loro scarsa vicinanza agli interessi dei lavoratori:  Polonia – A Poznan uno sciopero operaio si trasformò in una rivolta che fu domata dalla polizia con morti e feriti. Il movimento si diffuse nelle università e trovò come obiettivo la richiesta di reintegro nel partito di Gomułka, vittima delle purghe staliniste. Preoccupata da una possibili scissione della Polonia dal Patto di Varsavia, l’Unione Sovietica di Chruščëv evitò l’avvio di un conflitto attraverso l’Armata Rossa e avvallò la nomina di Gomułka a segretario del partito: il compromesso fu raggiunto sulla base di un rafforzamento dell’alleanza con l’URSS, ma anche sulla possibilità di una “via polacca” al socialismo fondata sulla proprietà privata in agricoltura, sulla libertà religiosa nonché sulla democratizzazione del partito. Nel 1968, l’emergere dell’ala “tecnocratica” del partito portò ad un irrigidimento repressivo del mondo intellettuale. La crisi del regime fu segnata dalla discesa in campo degli operai: Gomułka venne sostituito da Gierek alla guida del paese;  Ungheria – Da tempo a Budapest il partito era diviso tra il segretario Matyas Rakosi, fedele a Stalin, e un’opposizione interna guidata da Imre Nagy. Su pressione del Cremlino, il segretario del partito Ràkosi fu destituito ma il partito stesso rimase diviso tra innovatori e conservatori. Nell’ottobre 1955, a seguito di manifestazioni di piazza di studenti e lavoratori, Nagy fu nominato primo ministro. Lo stesso Nagy non ebbe però la forza di condurre su una linea moderata il movimento di piazza che impose al governo il ritorno al pluripartitismo e l’uscita dal Patto di Varsavia. Ritenendo inaccettabili tali rivendicazioni, il 4 novembre 1955 l’Armata Rossa attuò una dura repressione con centinaia di morti nonché l’arresto e la condanna a morte Nagy e i suoi ministri;  Romania – Nicolae Ceausescu rifiutò in più occasioni la sottomissione del paese alle scelte economiche e militari di Mosca, difendendo la sovranità e l’autonomia della Romania;  Jugoslavia – Godendo di maggior libertà di manovra, il paese si spinse sulla strada della coesistenza di socialismo e mercato anche su pressione delle popolazioni autonomiste slovene e croate; 82  Cecoslovacchia – Il nuovo leader, il giovane Alexander Dubcek fu protagonista dal gennaio 1968 della cosiddetta “primavera di Praga”. Pur essendo saldamente diretto dal Partito Comunista, che confermò l’indissolubile appartenenza al Patto di Varsavia, il suo programma riformatore prevedeva un nuovo modello di socialismo “dal volto umano” fondato su: - Separazione tra partito e Stato; - Autonomia della nazionalità ceca e slovacca; - Abolizione della censura; - Libertà di critica per le organizzazioni sindacali e giovanili; Dubcek ebbe l’appoggio di Tito (Jugoslavia) e Ceausescu (Romania), appoggio che – assieme al conseguente timore di una nuova leadership alternativa al Cremlino – convinse Brežnev il 21 agosto 1968 a portare le truppe del Patto di Varsavia in Cecoslovacchia. Dubcek decise di opporsi in modo non violento proclamando uno sciopero generale. Dopo mesi di negoziati, nell’aprile 1969 fu costituito un nuovo governo con a capo uno dei protagonisti della Primavera di Praga, Gustav Husak. Dubcek venne espulso dal partito e il paese fu sottoposto a massicce epurazioni; La tenuta di tutti questi regimi fu garantita da un irrigidimento autoritario ma l’isolamento culturale e informativo che accompagnarono la propaganda stava pian piano venendo meno grazie al moltiplicarsi dei canali informativi dell’Occidente che resero sempre meno sopportabile la disparità delle condizioni di vita e di opportunità tra i due blocchi. Repubblica Popolare Cinese: Il regime maoista – Proclamata nel 1949, la Repubblica popolare cinese era retta da un consiglio amministrativo popolare centrale presieduto da Mao Zedong, ma vi partecipavano alcuni rappresentanti del Partito Comunista ed esponenti del Guomindang. All’inizio, dunque, il sistema maoista si presentava come un sistema di nuova democrazia, autonomo e diverso rispetto al modello sovietico perché fondato sull’alleanza tra forze comuniste e non comuniste. La riforma agraria – Il primo impegno del governo di Mao fu la riforma agraria: le cosiddette “zone rosse”, liberate dall’Esercito Popolare, videro l’esproprio forzato delle terre non coltivate direttamente dai proprietari terrieri. Questa politica mutò il volto della Cina: un ceto plurisecolare di notabili e possidenti fu estromesso dal potere e quasi 50 milioni di ettari furono distribuiti senza alcun onere a 300 milioni di contadini. In Cina il nuovo regime segnò l’uscita dalla povertà per milioni di contadini: nelle campagne venne adottata una politica di modernizzazione graduale, che evitava i rigori della collettivizzazione forzata attuata a suo tempo da Stalin. Inoltre i ceti più poveri vennero impiegati per la realizzazione di opere pubbliche, la scolarizzazione di base ricevette un forte impulso e ai generi di prima necessità fu imposto un prezzo politico. La nuova Costituzione – Per la prima volta nella storia cinese venne eletta a suffragio universale un’Assemblea Nazionale incaricata a redigere una Costituzione che desse una nuova forma allo Stato: una Repubblica Presidenziale con parlamento monocamerale, che rifletteva l’architettura dello Stato sovietico a partito unico. Il primo piano quinquennale – I nuovi assetti istituzionali avvicinarono la Cina di Mao all’URSS con la quale nel 1950 venne firmato un patto trentennale di mutua assistenza mentre la partecipazione alla guerra di Corea e l’invasione in Tibet determinarono evidenti ostilità di Stati Uniti e ONU. L’avvio del primo piano quinquennale nel 1953, che prevedeva uno sviluppo dell’industria pesante, sancì l’allineamento della Cina al mondo sovietico. Nel giro di pochi anni i risultati raggiunti allentarono la pressione internazionale e interna cui era sottoposta la Repubblica Cinese. Inoltre, l’avvio della destalinizzazione dell’Unione Sovietica favorì una maggiore autonomia della politica interna. La politica dei “cento fiori” – In questo periodo vennero portati avanti programmi come la “Campagna dei cento fiori”: una stagione di liberalizzazione della vita culturale, politica, economica e sociale avviata in Cina negli anni Cinquanta. Promossa ed incoraggiata dai più influenti dirigenti del Partito Comunista Cinese, la 85 accrescimento delle fasce d’età più giovani. Era accaduto dopo la Grande Guerra, quando un’impennata delle nascite aveva risposto anche all’acuta crisi di mortalità dovuta a una terribile epidemia, la “spagnola”, tornò ad accadere dopo il 1945. La baby boom generation crebbe in una prosperità senza precedenti portata dalla Golden Age. Le scuole e in particolare le università si trovarono ad essere il principale strumento di mobilità sociale e professionale verso l’alto di una generazione autorizzata a pensare il proprio futuro migliore di quello dei genitori. Ciò valeva anche per molti paesi non europei da poco diventati indipendenti e alle prese con ambiziosi progetti di crescita: ad esempio, tra 1961 e 1972, gli studenti dell’università di al-Azhar al Cairo quintuplicarono. Una conseguenza di questa maggiore voce giovanile fu, nei primi anni Settanta, l’abbassamento a 18 anni d’età per poter votare da parte di quasi tutti i paesi occidentali. La formazione di questa generazione avvenne nello scenario della corsa agli armamenti e dell’equilibrio del terrore, che insieme al razzismo, all’imperialismo e alla guerra ne alimentarono la rivolta. La musica rock fu il veicolo di un’aspirazione al cambiamento che divenne visibile anche nella vita quotidiana e la spinta verso una sessualità più libera e consapevole fu favorita dalla messa a punto di un nuovo anticoncezionale: la “pillola”, e dalla sconfitta delle malattie infettive trasmesse fino ad allora per via sessuale, prima della comparsa dell’HIV. Motivi delle agitazioni – Gli scontri con le università provocarono una simultanea ondata di agitazioni studentesche e giovanili senza precedenti per dimensioni e di scala globale. I motivi delle agitazioni erano diversi e assai spesso gli scontri che ne seguirono con le forze di polizia incaricate di riportare l’ordine indirizzarono la protesta in un senso politico più generale. Tra le ideologie più forti vi fu un “terzomondismo” nutrito dal sostegno ai popoli asiatici, africani e latinoamericani contro l’imperialismo delle due superpotenze che trovò i suoi simboli nel canuto presidente nordvietnamita Ho Chi Min e nel guerrigliero Ernesto “Che” Guevara:  USA – Negli USA il movimento si intrecciò con le lotte contro la segregazione razziale e le guerre in Vietnam. Il primo atto si verificò nel 1964 quando gli studenti di Berkeley in California costituirono il Free Speech Movement per ottenere il diritto di riunirsi ed esprimersi liberamente nel campus dell’università. Nel 1965 il ghetto nero di Watts a Los Angeles esplose nella rivolta urbana più violenta;  Cina – In Cina tra il 1966 e il 1969 gli studenti vennero mobilitati direttamente da Mao Zedong nella sua “rivoluzione culturale”, il cui impatto sulla vita economica e sociale della Cina fu distruttivo. Si realizzò così con la violenza un gigantesco rovesciamento delle gerarchie di potere che consolidò ancora di più il potere di Mao. Nonostante ciò i giovani cinesi, travestiti da guardie rosse, furono visti in Occidente come un simbolo di una rivoluzione che non esitava a mettere in discussione se stessa;  URSS – Se in Occidente i contenuti della rivolta giovanile contro la camicia di forza imposta al mondo dell’equilibrio bipolare furono sintetizzati dall’opposizione alla guerra del Vietnam, nel blocco sovietico furono identificabili per lo più con la lotta contro l’autoritarismo dei regimi comunisti; Rivolte studentesche – Nel gennaio 1968 mentre gli studenti giapponesi manifestavano contro le basi militari nel loro paese, quelli di Varsavia protestarono contro la censura del regime comunista che proibì una rappresentazione teatrale di sapore antirusso. In marzo quelli cecoslovacchi partecipavano in prima linea alla primavera di Praga, nei sobborghi di Parigi gli studenti scesero in agitazione chiedendo spazi permanenti di libero dibattito. In aprile l’assassinio del leader pacifista Martin Luther King scatenò una violenta ribellione nei ghetti di oltre 100 città degli USA, mentre la tensione saliva anche nei campus. Un mese dopo l’epicentro era la Sorbona. Effetti del ’68 – Il ’68 non ebbe rivendicazioni negoziabili e nell’immediato non produsse effetti tangibili in termini di riforme degli ordinamenti scolastici e delle istituzioni: ovunque il movimento venne sconfitto, provocando spesso uno spostamento a destra dell’elettorato e del sistema politico. La rivolta si spostò in altri paesi: nuovi centri di contestazione diventano Chicago e Città del Messico. Poco a poco tuttavia nelle università tornò la calma. Il ’68 produsse però trasformazioni pesanti nelle mentalità e dei costumi: l’antiautoritarismo dette una forte spinta ai rapporti di potere all’interno delle istituzioni e delle famiglie, all’affermazione dei diritti civili e umani, all’accettazione delle differenze. Ne derivò una tendenza alla democratizzazione della società che in forme e in tempi diversi fece sentire i suoi effetti sia sulle democrazie 86 parlamentari dell’Occidente sia sulle dittature militari dell’Europa meridionale e dell’America Latina, sia sui regimi comunisti. Movimenti femministi – Gli anni Sessanta e Settanta segnarono un punto di svolta nella condizione delle donne e nella loro collocazione della società. Il lungo cammino dei movimenti per i diritti politici, giuridici e civili delle donne iniziato nel lontano 1948 negli USA con la convenzione di Seneca Falls, aveva visto il femminismo di fine ‘800 concentrarsi sulla lotta per il diritto di voto. Le suffragiste non avevano tuttavia conseguito molti successi. Impegnate a sostituire gli uomini al fronte nella produzione e nella burocrazia durante il conflitto, le donne erano state obbligate a tornare a casa dopo il ritorno dei reduci sopravvissuti, ma il loro potenziale ruolo pubblico era apparso evidente e il diritto di voto parve il compenso più adeguato. A metà degli anni ’60 il voto alle donne era diventato la norma in tutti i continenti con pochissime eccezioni. La nuova ondata di movimenti femministi che si sviluppò in quegli anni pose dunque in primo piano altri diritti, sociali e civili, delle donne. Non erano mancati i precedenti in tal senso a difesa e conferma del ruolo domestico privato di madri e tali politiche avevano peraltro diviso i movimenti femministi:  Riformatrici sociali – Le riformatrici sociali che consideravano la maternità un elemento fondante dell’identità femminile, si erano impegnate a fondo in tal senso dando un’impronta “maternalista” alla costruzione del Welfare State americano;  Altri gruppi femministi – Altri gruppi avevano invece espresso il timore che queste misure assistenziali ribadissero l’inferiorità delle donne, escluse da ruoli pubblici che non fossero quello di madri, insistendo sull’uguaglianza di diritti; Negli anni ’40 e ’50 si era affermato un modello tradizionalista di famiglia, che privilegiava il ruolo della donna in quanto moglie e madre. In paesi come l’Italia le leggi collocavano ancora le mogli in una posizione subordinata rispetto ai mariti: solo la donna veniva punita per il reato di adulterio. Tali forme di discriminazione entravano in contrasto con la crescente partecipazione al mercato del lavoro e con lo stesso sviluppo della società dei consumi. Il crescente accesso all’istruzione femminile era connesso al mutare della composizione della forza lavoro femminile, che dai settori tradizionali dell’agricoltura e dell’industria leggera venne spostandosi verso quello moderno dei servizi impiegatizi qualificati. Mistica della femminilità di Betty Friedan (1963) espresse. La National Organization for Women – Nel 1966 Betty Friedan, che nel 1963 in “Mistica della Femminilità” aveva espresso la profonda insoddisfazione delle donne di classe media rispetto a un ideale che le racchiudeva entro le mura domestiche condannandole alla passività sessuale e frustrandone le ambizioni di affermazione personale e di carriera, fu tra le fondatrici della National Oganization for Women che si batté per riforme legislative che realizzassero l’uguaglianza fra uomini e donne, ponendo fine alla discriminazione fra i sessi. Altri gruppi più radicali costituiti soprattutto da giovani, dettero invece vita a un movimento di liberazione della donna che sosteneva una linea di separatismo e autosufficienza rispetto agli uomini e si proponeva di infrangere i confini tra vita politica e personale. Terreno privilegiato di elaborazione e iniziativa divenne la liberazione della donna negli aspetti privati della sua esistenza. Il femminismo degli anni ’70 – Negli anni ’70 il femminismo superò l’orizzonte dell’emancipazione volgendosi verso la parità dei diritti: la tematica dell’uguaglianza venne infatti rifondata a partire non più dalla semplice esistenza di due diversi soggetti ma dal riconoscimento e dalla valorizzazione delle differenze di cui ognuno di essi era portatore. Una volta recuperata autonomia e libertà, la loro identità individuale e collettiva avrebbe affermato un punto di vista critico sul mondo nel suo complesso: dall’organizzazione del lavoro ai ruoli familiari, dalla violenza nei rapporti sociali ed internazionali alla gestione della vita sessuale e riproduttiva. Diritti della donna in Italia – In Italia:  Nel 1970 vengono introdotti il matrimonio civile e il divorzio, confermato 4 anni dopo da un referendum; 87  Nel 1975 la riforma del diritto di famiglia sancì l’uguaglianza tra i coniugi e furono istituiti i consultori familiari;  Nel 1977 una legge affermò la parità di trattamento normativo e salariale fra uomini e donne nel campo lavorativo;  Nel 1981 un referendum ratificò la legalizzazione dell’aborto, approvato nel 1978; L’ONU – Importante fu il contributo delle Nazioni Unite in merito ai diritti della donna:  La conferenza di Città del Messico – L’azione dell’ONU entrò infatti in una nuova fase nel 1975, quando fu votata un’importante dichiarazione contro la discriminazione e una conferenza tenuta a Città del Messico attribuì per la prima volta l’oppressione delle donne all’ineguaglianza, al sottosviluppo e all’ingiustizia economica;  Il “decennio della donna” – Il “decennio della donna” lanciato dall’ONU nel 1976 fu denso di iniziative di rilievo: - Nel ’79 una convenzione per eliminare tutte le forme di discriminazione contro le donne superò la tradizionale gerarchia che privilegiava i diritti politici, dando spazio a quelli civili, economici e culturali; - Due convegni internazionali svoltosi a Copenaghen (1980) e Nairobi (1985) infransero la coltre di silenzio che copriva lo sfruttamento sessuale organizzato, lo stupro, l’incesto, l’abuso d’autorità e di potere, il lavoro sottopagato o non riconosciuto, l’analfabetismo femminile, la negazione delle libere scelte matrimoniali delle donne, oltre a denunciare gli infanticidi e le mutilazioni sessuali;  Le conferenze di Vienna e Pechino – Negli anni ’90 due conferenze internazionali tenutesi a Vienna (1993) e a Pechino (1995) ridefinirono la stessa nozione di diritti umani includendovi i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere; Nonostante ciò, l’acquisizione di una parità era tutt’altro che compiuta: secondo i dati annuali dell’ONU tra 2000 e 2013 la percentuale globale di donne presenti nei parlamenti nazionali aumentò solo dal 14 al 21% e nel 2013 i salari delle donne erano ancora il 76% di quello degli uomini. Instabilità internazionale – La fine degli anni ’60 segnò un’inversione di tendenza. La ricostruzione postbellica di altri paesi e la crescita economica della Golden Age avevano ridimensionato la quota degli USA sul prodotto lordo e sul valore delle esportazioni di tutto il pianeta. Nella seconda metà degli anni ’60 il tasso di disoccupazione riprese a salire, i redditi medi si congelarono e i progressi contro la povertà si arrestarono. In parallelo le imprese multinazionali con sede negli USA stabilirono filiali estere di produzione: molte di loro per aggirare le restrizioni, le imposte e i bassi tassi di interesse praticati da Washington cominciarono a scambiare dollari fuori dal territorio americano appoggiandosi soprattutto alla piazza finanziaria di Londra. Si crearono così gli “eurodollari”: fondi in dollari depositati su conti al di fuori degli USA e che quindi non erano sotto la giurisdizione della Federal Reserve. Dei dollari circolanti all’estero la Federal Reserve ignorava ormai volume e collocazione, pur rimanendone garante perché il sistema di Bretton Woods la impegnava ad assicurarne la conversione in oro. Il risultato fu che dal 1948 al 1970 le riserve auree degli USA calarono da 24 a 11 miliardi di dollari. Nel 1970 per la prima volta al deficit della bilancia dei pagamenti si aggiunse anche un deficit commerciale: gli USA importavano più merci di quante ne esportassero e in alcuni settori la prevalenza di prodotti stranieri era divenuta vistosa. Gli USA si ritrovavano in una improvvisa condizione di debolezza. La sospensione della convertibilità del dollaro, la sua forte svalutazione e l’adozione di politiche protezioniste segnarono un ridimensionamento del ruolo di nazione guida dell’Occidente svolto dagli USA. Il “serpente monetario” – Nel 1972 i paesi della CEE si accordarono per la creazione di un “serpente monetario”: a ogni moneta europea vennero fissati dei limiti di oscillazione nel cambio con altre valute. Il “serpente” confermò volontà delle nazioni europee di perseguire un’integrazione in forme autonome rispetto all’alleanza militare con gli Stati Uniti. La sconfitta subita nel Vietnam e la crisi della presidenza di Nixon accentuarono il relativo e temporaneo declino della potenza americana. Emersero quindi tendenze a una politica estera autonoma da parte di paesi europei come la Francia e la Germania. 90 gli USA insistevano in una politica volta a riconquistare i mercati esteri attraverso una ripresa delle esportazioni. L’obiettivo era quindi la liberalizzazione dei mercati internazionali. Il Giappone cercava di contrastare con ogni mezzo un’eccessiva svalutazione del dollaro e di difendere il proprio mercato interno dalle importazioni straniere. Il vertice si risolse in un nulla di fatto ma inaugurò una prassi, destinata a consolidarsi, di incontri al vertice dei capi di stato dei maggiori paesi occidentali: almeno formalmente documentava un impegno alla ricerca di soluzioni cooperative fra le nazioni che le trasformazioni globali rendevano necessarie ma che le politiche nazionali ancora faticavano a trovare. La cultura dell’era atomica – La cultura occidentale accompagnò questo insieme di rotture e mutamenti in un quadro di lungo periodo che continuò a essere dominato dall’incubo atomico:  Ricerca scientifica – La guerra aveva segnato il culmine del connubio tra scienza applicata e necessità militari. Per ottenere la bomba atomica il governo degli Stati Uniti aveva investito 2 milioni di dollari, una cifra che solo allora l’economia americana poteva permettersi. Dagli Stati Uniti si espanse questa corsa all’espansione delle spese statali per la ricerca scientifica, in misura diversa tutti i paesi sviluppati, e venne crescendo progressivamente nel corso della seconda metà del secolo, raddoppiando grosso modo le proprie dimensioni nel 1970. La conoscenza della struttura dell’atomo fece numerosi passi avanti e permise la proliferazione delle armi nucleari e l’istallazione di numerose centrali energetiche a scopi pacifici. Il monopolio della ricerca scientifica arrivò ad approfondire ulteriormente il divario tra nord e sud del pianeta proprio mentre il processo di decolonizzazione richiedeva maggiore uguaglianza globale, alla fine del Novecento oltre il 90% della ricerca era localizzato nei paesi sviluppati. I suoi costi crescenti resero d’altra parte necessario l’intervento attivo dei governi nazionali sollevando il problema della neutralità della scienza rispetto alle scelte compiute in sede politica e militare. Dopo il 1945 la scienza della aveva perduto il carattere di innocenza;  Letteratura – La letteratura europea recepiva l’eredità del secondo conflitto mondiale nei termini non più soltanto di uno smarrimento di senso ma anche di pesante ipoteca sul futuro. Paul Sartre aveva pubblicato “L’essere e il nulla” dove si ponevano le basi della filosofia esistenzialista come presa d’atto dell’insanabile conflitto tra persona e il mondo. Il protagonista del suo romanzo “Il muro” aveva misurato l’inutilità di ogni fede politica di fronte alla morte;  Cinematografia – La medesima altalena di speranze e paure venne espressa in quegli anni del Neorealismo italiano come “Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica. Sorsero nuove scuole cinematografiche e oltre a quella italiana vediamo quella del Giappone, in fuga dal presente e tesa alla ricerca di radici morali nel passato del Giappone antico. Lo spostamento del baricentro culturale verso l’Atlantico avviatosi tra le due guerre, si accelerò bruscamente mutando e ampliando i confini della parola cultura. Il diffondersi della televisione favorì la crescita di una civiltà dell’immagine;  Urbanistica – L’urbanistica conquistò i contorni di una disciplina scientifica autonoma e la città divenne oggetto di studio progettazione da parte di architetti come Le Corbusier. La conquista di posizioni pubbliche e l’emancipazione dai ruoli femminili tradizionali delle donne, il progressivo ridimensionamento dei ceti contadini e del mondo rurale a favore dell’espansione dei poli urbani e industriali favorirono il processo di secolarizzazione della società. Dentro le città le giovani generazioni emersero come soggetto di punta del mercato letterario, filmico e discografico, quest’ultimo favorito dall’introduzione del microsolco che triplicò la capacità dei vecchi dischi a 78 giri. Ma in realtà le aspettative della baby boom generation erano destinate a rimanere fuori dalla porta ancora per un decennio fino a esplodere in forma dirompente nel ’68;  I mass media – In un saggio di grande successo, ovvero “I persuasori occulti”, Packard mostrò il mio potere della pubblicità nel manipolare il gusto e le opinioni dei consumatori. La forza dei mass media divenne oggetto di ricerca come dimostrò McLuhan. La tecnologia televisiva si rivelava capace di stringere in una unità di tempo e spazio tutti gli abitanti del mondo. Alla visione ottimistica di McLuhan si contrapposero peraltro le preoccupazioni per la diffusione crescente di un mezzo assai più invasivo della radio e capace di rappresentare nel mondo più compiuto una superficiale patinata civiltà dell’immagine. Herbert Marcuse nel saggio “L’uomo a una dimensione” tratteggiò la fisionomia di una società opulenta e totalitaria che grazie alla manipolazione del consenso operata dai 91 mezzi di comunicazione non aveva bisogno di ricorrere alla repressione violenta per neutralizzare ogni forma di dissenso;  Arte – In questa tendenza all’omogeneizzazione e all’appiattimento non tardò ad essere raccolta nelle arti visive. All’inizio degli anni Sessanta la Pop Art di Andy Warhol incominciò a riprodurre nel modo più fedele e anonimo possibile gli oggetti tipici del consumo di massa. Riprodotte in infinite versioni dai nuovi mezzi di tecnologia dell’immagine queste opere d’arte ebbero una circolazione e una diffusione di massa senza precedenti perdendo la propria sacralità;  Musica – In Occidente dove pure negli anni ’60 si era sviluppata una controcultura le cui radici risalivano alla di beat generation degli scrittori americani, quella speranza era rimasta a livello di una cultura giovanile underground alternativa e fatta di capelli lunghi, musica e specie di droghe, il cui centro mondiale è rappresentato dalla West Coast americana. Nel 1971 l’ex Beatles George Harrison organizzò un concerto per il Bangladesh, dove vari artisti suonarono per raccogliere fondi a favore delle vittime di un ciclone che si era abbattuto sul paese. Fu la prima manifestazione della società civile globale chiamata soccorrere un giovane paese indipendente. Nello stesso anno nacque l’organizzazione internazionale di Medici Senza Frontiere, da cui scaturirono molte altre associazioni non governative contro miseria e malattia;  Biologia – Nel 1973 la scienza aggiunse il campo della biologia con la scoperta della struttura a doppia elica del DNA che racchiude il codice genetico dei cromosomi presenti nel nucleo delle cellule. Si aprì allora biotecnologie che trovarono larga applicazione ad esempio in agricoltura e sulle tecniche dell'ingegneria genetica, dalla fecondazione artificiale alle possibilità di controllo di riproduzione e selezione delle specie animali. Il dibattito sulla bioetica è tuttora in corso proteso nel difficile sforzo di coniugare libertà della ricerca scientifica e tutela dei diritti del genere umano così come degli animali e dell’ambiente; Capitolo XVII – “Dagli anni Settanta agli anni Novanta: un’età di transizione” Un mondo instabile – La svolta compresa tra il contagio globale del ’68 e lo shock petrolifero del 1973 diede luogo a un mondo assai più instabile di quello della fase precedente:  USA – Gli Stati Uniti erano in difficoltà dalla sconfitta in Vietnam e dal caso Watergate;  URSS – L’Unione Sovietica sembrava incerta tra la strada della distensione e la tentazione opposta di approfittare della temporanea debolezza dell’avversario;  Gran Bretagna – Di contro alla fine del decennio i due paesi leader dell’Occidente capitalistico, ovvero Stati Uniti e la Gran Bretagna, misero in atto una drastica svolta delle politiche economiche. Al credo keynesiano si sostituì una nuova ortodossia monetarista fondata sulla lotta all’inflazione attraverso il contenimento della spesa pubblica e la contrazione di prezzi e salari. La liberalizzazione dei mercati internazionali favoriva lo sviluppo di alcuni piccoli paesi del sud-est asiatico specializzati nelle esportazioni di prodotti finiti a basso costo;  America Latina – L’America Latina viveva invece il travaglio di una risposta autoritaria e spesso militare alla rivoluzione di Cuba. Il sanguinoso golpe di Pinochet ne fu l’esempio. Secondo la commissione verità e riconciliazione insediata dal Parlamento cileno nel 1991 le vittime furono più di duemila e già nel 1976 un’inchiesta del senato degli Stati Uniti dimostrò il diretto coinvolgimento della CIA nella preparazione e nella gestione del colpo di stato. Anche nel resto del continente la Casa Bianca sosteneva dittature militari come quella brasiliana e argentina appoggiate dalla grande proprietà terriera; Jimmy Carter presidente degli USA – Molto cambiò nel 1976 con le elezioni di Jimmy Carter che dette impulso all’idea di una riforma dei rapporti internazionali fondata sui principi di libertà e rispetto dei diritti umani. I servizi segreti americani furono sottoposti a un’opera di pulizia e l’Unione Sovietica fu duramente criticata per la sua repressione del dissenso intellettuale. Nuovi conflitti – Nella seconda metà degli anni ’70 il mondo vide l’avvicendarsi di nuovi conflitti che avevano come sfondo nient’altro se non il “litigio” tra USA e URSS per le zone d’influenza: 92  Nicaragua – Nel 1979 in Nicaragua la dinastia dei Somoza che reggeva il paese dal 1936 cadde ad opera del Fronte Sadinista, un movimento rivoluzionario e partito politico nicaraguense patriottico e antimperialista di ispirazione socialista. Fu messo in atto un programma di vaste trasformazioni sociali nel campo dell’educazione, della sanità e della politica agraria;  Europa – In Europa la fuoriuscita dai regimi dittatoriali di Grecia, Spagna e Portogallo avvenne a metà degli anni ’70 senza particolari traumi e quei paesi rimasero nell’orbita occidentale americana;  Angola, Mozambico e Etiopia – L’URSS approfittò invece della liberazione delle colonie africane del Portogallo per estendere la propria area di influenza: sia in Angola che in Mozambico andarono al potere i movimenti guerriglieri più legati all’URSS. Si aggiunse poi l’Etiopia dove fu insediata nel ’41 una giunta filosovietica;  Iran – Il raffreddamento dello zelo imperiale di Washington non fu estraneo alla caduta dello shah di Persia, che nel 1979 venne costretto a lasciare il paese da una serie di manifestazioni guidate dall’ayatollah, una delle autorità religiose supreme nel mondo islamico sciita. L’Iran si trasformò in una repubblica islamica e per più di un anno l’ambasciata USA a Theran venne tenuta in ostaggio da manifestanti antiamericani. In una regione strategicamente cruciale emergeva così un nuovo attore, estraneo alla logica dei blocchi e potenzialmente capace di influenzare in profondità non solo negli stati arabi ma in tutto il mondo islamico;  Afghanistan – Nel 1979 l’URSS intervenne militarmente in Afghanistan. Questo mandò in fumo un decennio di buoni rapporti con gli USA che reagirono. La lunga guerriglia condotta dai mujahidin afgani con l’appoggio degli USA agì inoltre da potente richiamo per i movimenti fondamentalisti islamici, che ne fecero un grande momento di propaganda e mobilitazione. Furono numerosi i combattenti che risposero da diversi paesi musulmani. Gli anni settanta si chiudevano in un nuovo clima di guerra e precarietà. La crisi petrolifera aveva messo in luce i limiti e le debolezze dello sviluppo economico occidentale. Il costante ribasso dei prezzi delle materie prime complicava la vita di molte economie dei paesi in via di sviluppo; Il neoliberismo: La Cina di Xiaoping – Nel dicembre 1978 a poco più di due anni dalla morte del presidente Mao, il comitato generale del Partito Comunista Cinese guidato da Xiaoping avviò la politica delle quattro modernizzazioni: agricoltura, industria, scienza e difesa, mentre nelle campagne venne applicato il sistema della responsabilità familiare. Lungo la costa orientale si crearono zone economiche speciali adibite alla sperimentazione di forme di cooperazione con il mercato internazionale e gli investimenti esteri. Un’altra politica attuata in Cina negli anni ’70 fu quella del figlio unico, che fissò quote locali obbligatorie di contenimento delle nascite. Nell’industria di Stato si introdussero criteri di autonomia e di responsabilità nel reinvestimento dei profitti e pur conservando intatto il regime politico monopartitico, la Cina si aprì a un’economia di mercato. La Gran Bretagna di M. Thatcher – Dall’altra parte del mondo Margaret Thatcher, leader dei conservatori inglesi, nel 1979 divenne la prima donna della storia britannica a rivestire la carica di Primo Ministro che avrebbe tenuto fino al 1990. Il nuovo premier opponeva il principio di una preminenza dello Stato sui cittadini l’idea di un rilancio delle spontanee forze naturali dell’economia capitalistica e quindi della ricerca del profitto da parte degli individui. In Gran Bretagna l’ascesa della Thatcher corrispose ad un mutamento della base sociale del partito conservatore, che dai tradizionali circoli aristocratici della finanza e della grande industria, si estese a una piccola e media borghesia urbana.  La politica di deregulation – Per il governo Thatcher il primo avversario da battere furono le potenze centrali sindacali, a cominciare da quelle più rappresentative dei comparti siderurgico e minerario, che vennero sconfitte tra 1979-1985 dopo lunghi scioperi. La lady di ferro impose una politica di deregulation: processo per cui i governi e gli Stati cessano i controlli sul mercato ed eliminano le restrizioni nell’economia, al fine di incoraggiare le operazioni del mercato stesso, che in questa misura sarebbe considerato come un organismo autoregolatore. Furono privatizzate molte industrie di Stato e si approfondirono le disparità retributiva dei lavoratori più qualificati e il resto della classe operaia;  La guerra delle Falkland – Al tempo stesso la Thatcher fece appello al sentimento nazionale con la guerra delle Isole Falkland, dal 1833 colonia britannica al largo della costa argentina. Nel 1982 la 95  Polonia – Nel 1976 Gierek in Polonia fu costretto ad aumentare i prezzi e reprimere duramente le manifestazioni di protesta. Nacque allora in Polonia una nuova organizzazione operaia denominata Solidarność che unì operai e intellettuali. Il rilancio dell’attività clandestina si richiamava agli impegni sottoscritti a Helsinki anche dalla Polonia, ma trovò una forte spinta nel 1978 con l’elezione al soglio pontificio dell’arcivescovo di Cracovia Karol Woytila, papa Giovanni Paolo II. Ciò rendeva molto più problematico per il Cremlino ripetere in Polonia l’intervento repressivo attuato nel 1968 in Cecoslovacchia, anche perché le forze armate sovietiche erano duramente impegnate in Afghanistan. Nel 1981 l’ala riformatrice del regime polacco scelse la via del colpo di stato mettendo fuori legge l’opposizione; Conseguenze del disastro di Chernobyl – Nel 1968 la rottura del reattore nucleare di Chernobyl, in Ucraina, provocò l’evacuazione di 350.000 persone e la contaminazione di un’area di 140.000 kmq. Fu la drammatica rivelazione di un’arretratezza tecnologica dell’URSS difficilmente sopportabile. Ormai solo sul terreno militare il modello sovietico era in grado di competere con l’Occidente. Quando l’area militare del Cremlino si trovò di fronte a chiari insuccessi sia in Afghanistan che in Europa, dovette rassegnarsi all’elezione al vertice del Partito nel 1985 un giovane riformatore: Gorbačëv. Il riarmo da parte di Reagan – Quanto agli USA:  Il bluff del piano SDI – Tra il 1983 e il 1988 le spese militari americane quasi raddoppiarono, Reagan approfittava delle difficoltà dell’avversario e puntava apertamente a far saltare i bilanci sovietici, obbligati a dirottare crescenti risorse verso gli armamenti. Rimase sulla carta ma si dimostrò efficace il piano statunitense lanciato nel 1983 con il nome di SDI, ribattezzato dalla stampa con i termini fantascientifici di “guerre stellari” o “scudo spaziale”: un sistema integrale di armi satellitari a tecnologia laser che avrebbe dovuto garantire la sicurezza del territorio degli USA;  L’“opzione zero” – Allo stesso tempo Reagan propose per primo ai negoziati di Ginevra la cosiddetta “opzione zero”, cioè l’annullamento dei sistemi missilistici puntati in Europa da USA e URSS. La mossa fece riemergere le antiche differenze fra Europa e Stati Uniti. La crisi petrolifera metteva in luce la diversità strutturale tra vecchio e nuovo continente e la relativa autosufficienza potenziale del secondo rispetto alle fonti di energia; Il disarmo dell’URSS – L’ascesa di Gorbačëv al vertice dell’URSS portò a un rilancio delle trattative tra le due superpotenze e a un conseguente appannamento del ruolo dell’ONU. Per il segretario del PCUS la ripresa della distensione era una scelta quasi obbligata. La sua stessa nomina era l’effetto di una crisi dell’ala militarista del Cremlino. Condizione irrinunciabile per questa politica di riforme era l’uscita dalla spirale del riarmo e per prima cosa Gorbačëv chiese a Reagan di rinunciare al progetto SDI, confessando così implicitamente la propria inferiorità. Consapevole della crisi latente del sistema sovietico, al Casa Bianca raccolse la disponibilità dell’interlocutore: nel 1985 a Ginevra un incontro tra Reagan e Gorbačëv inaugurò un clima di fiducia tra i due leader. Due anni dopo un nuovo vertice portò alla firma di un trattato che per la prima volta prevedeva la distruzione del 3-4% dell’arsenale missilistico delle due superpotenze. Vediamo inoltre un allentamento del clima repressivo interno, per cui addirittura venne completato il ritiro dall’Afghanistan nell’89. La strada scelta con coraggio da Gorbačëv era quella di negoziare le tappe di un disimpegno dell’URSS dal ruolo imperiale di superpotenza in cambio di un aiuto alle riforme interne. La rinuncia all’esercizio della forza significava privare il sistema del pilastro che l’aveva retto negli ultimi decenni e forse da sempre. In effetti l’annuncio di un ritiro unilaterale delle forze armate sovietiche dai paesi del Patto di Varsavia aprì un ciclo di rivoluzioni pacifiche in tutti i paesi dell’Est europeo, che culminò nel novembre 1989 con la distruzione del Muro di Berlino e l’avvio al processo di riunificazione della Germania. L’ingerenza degli USA – Di fatto Reagan si limitò a forzare i tempi della crisi dell’avversario senza offrire una collaborazione. Il presidente degli USA non percorse mai la strada di una congestione degli equilibri internazionali e di una fuoriuscita concordata dalla guerra fredda: 96  Nel 1983 le forze armate statunitensi intervennero nella piccola isola caraibica di Grenada per porre fine al tentativo di instaurarvi uno Stato marxista-leninista;  Nel 1986 l’aviazione degli USA bombardò le città libiche di Tripoli e Bengasi per rappresaglia contro le sospette implicazioni di Gheddafi in attentati terroristici ai danni delle truppe USA di stanza in Europa;  Nel 1989 gli USA intervennero a Panama per arrestare il generale Manuel Noriega; Gli obiettivi dichiarati furono la lotta al terrorismo, la sicurezza dei cittadini, la cessazione delle violenze: erano segnali di una riconfermata volontà di esercitare in modo unilaterale un potere di controllo globale, che Reagan trasmise al suo successore George Bush, eletto nel 1988. Un anno prima, alla borsa di NY, i titoli azionari che da tempo segnavano una delle fasi di rialzo più lunghe e consistenti del secolo avevano registrato un crollo brusco e generalizzato. Era la fine di un ciclo di rapide fortune costruite su manovre speculative. Fu inoltre la prima di una sequenza di crisi finanziarie. Gli anni della Reaganomics – ovvero l’insieme delle politiche economiche adottate dagli Stati Uniti nel corso della presidenza di Ronald Reagan – accentuarono le differenze sociali. Le sacche di povertà nei ghetti su erano allargate, isolate, e radicalizzate. Il deficit del bilancio statale era cresciuto a livelli eccezionali, senza che peraltro si riuscisse ad arginare la disoccupazione, avuta per effetto del risparmio di lavoro umano dovuto all’ammodernamento delle imprese. Per la prima volta la precarietà dell’impiego giunse a minacciare gli stessi ceti impiegatizi, tecnici e manageriali fino ad allora mai toccati dai licenziamenti connessi alle ristrutturazioni aziendali. Il mercato si rivelava incapace di redistribuire efficacemente la ricchezza. Gli scontri in Medio Oriente – Gli scontri in Medio Oriente videro come protagonista lo Stato di Israele: 1. La pace tra Egitto e Israele – Gli anni ottanta furono anni di passaggio, segnati da processi contrastanti e contraddittori. Nel Medio Oriente la guerra del Kippur aveva mostrato per la prima volta la vulnerabilità d’Israele. Fu essenzialmente per questo che le elezioni del 1977 registrarono la vittoria del partito laburista. Gli accordi di Camp David – che successivamente portarono alla pace tra Egitto e Israele – garantivano l’integrità delle frontiere tra Israele ed Egitto al quale fu restituita nel 1982 la penisola del Sinai. La parte araba di Gerusalemme e le alture del Golan al confine con la Siria furono invece annesse a Israele e l’impegno a una trattativa per l’autonomia dei territori di Gaza e della Giordania rimase sulla carta. Il nuovo governo di Tel Aviv favorì viceversa una politica di nuovi insediamenti di coloni israeliani in quei territori, irrigidendo il proprio atteggiamento di chiusura nei confronti delle popolazioni arabe della Palestina; 2. La guerra in Libano – Contro la pace di Camp David, Siria e Libia assieme all’organizzazione per la liberazione della Palestina costituirono nel 1977 un “Fronte della fermezza” contro Israele. A catalizzare queste tensioni fu il piccolo Stato del Libano. Nel 1982 l’esercito di Tel Aviv intervenne direttamente nel conflitto, arrivando ad assediare Beirut. L’intervento di una forza multinazionale di pace consentì l’evacuazione delle milizie dell’OLP asserragliate nella capitale, ma non impedì il massacro di circa mille civili palestinesi nei campi profughi di Sabra e Chatila, perpetrato nelle falangi cristiane libanesi sotto gli occhi dei soldati israeliani. La Siria rimase così sostanzialmente padrona della situazione libanese; 3. L’intifada – Nel 1987 nuove proteste di massa delle popolazioni palestinesi ebbero luogo nei territori occupati da Israele. Nel movimento di protesta, che fu denominato “intifada”, comparve spesso la bandiera palestinese. Nel 1988 l’OLP – Organizzazione per la Liberazione della Palestina – annunciò la nascita di un nuovo Stato palestinese a Gaza e in Cisgiordania e contemporaneamente riconobbe lo Stato di Israele. Sul momento il mutato indirizzo della dirigenza palestinese rimase senza seguito per la perdurante intransigenza dei governi di Likud che però si rivelarono incapaci di risolvere il problema della sicurezza e della pace; 4. Gli accordi di Oslo – Le elezioni del 1992 portarono al governo il laburista Rabin: nel 1933 Israele e l’OLP firmarono a Oslo accordi che formalizzarono il riconoscimento reciproco, ponendo le basi per l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP): un governo autonomo nei territori occupati, che si costituì un anno più tardi. Nel 1996 nei territori sotto giurisdizione palestinese si tennero le prime elezioni a suffragio universale. La nascita dell’ANP segnò una vittoria almeno temporanea della componente palestinese più laica e moderata. Si trattò di un segnale significativo lanciato all’intero mondo arabo 97 nel quale la rivoluzione iraniana del 1979 era stata all’origine di un forte rilancio dell’integralismo religioso. Fino al 1988 la forza di attrazione del regime khomeinista fu contenuta dal conflitto scatenato dall’aggressione dell’Iran da parte dell’Iraq di Hussein. Occorsero otto anni di guerra affinché ci fosse un armistizio. Gli accordi di Oslo segnarono il punto più importante mai raggiunto dal processo di pace in Medio Oriente; La democratizzazione dell’America Latina – Nell’America Latina si aprì la strada della democrazia all’intero continente e nel giro di 7 anni tornarono al potere governi civili e vennero ripristinate libertà fondamentali in Argentina, Uruguay, Brasile, Cile e Paraguay. A sostenere questa evoluzione fu il mutato atteggiamento degli USA, sempre meno disposti a sostenere regimi che creavano problemi. Ma la democratizzazione non sarebbe stata possibile senza una mobilitazione delle società civili nazionali che dettero vita ad associazioni, partiti e movimenti accumunati dalla rivendicazione di un ritorno alla democrazia e alla libertà. Rhodesia e Sudafrica – Nel continente africano il segnale di un mutamento più significativo venne dalla Rhodesia e dal Sudafrica, contro cui le politiche di segregazione razziale l’ONU aveva adottato da tempo sanzioni commerciali e vietato misure di assistenza economica e militare:  Rhodesia – Tra il 1976 e il 1978 la mediazione di Stati Uniti e Gran Bretagna portò in Rhodesia una trattativa tra maggioranza nera e minoranza bianca, in seguito alla quale fu concesso il diritto di voto alla popolazione di colore. Nel 1980 si costituì la nuova repubblica di Zimbabwe nella quale i bianchi accettarono di sedere all’opposizione in parlamento in cambio di diritti politici e economici;  Sudafrica – Più difficile e contrastato fu il processo di democratizzazione del Sudafrica, dove nel ’76 la polizia aprì il fuoco contro la manifestazioni di studenti che protestavano contro l’imposizione della lingua afrikaan nelle scuole. Una svolta sopraggiunse solo nel 1989 con la fine della guerra fredda quando il nuovo primo ministro avviò trattative con i rappresentanti della popolazione nera. Nel 1990 il leader storico dell’African National Congress, Nelson Mandela, venne scarcerato e nel 1994 le prime elezioni paritarie tra bianchi neri assegnarono la maggioranza al suo partito portando alla presidenza della repubblica. La Commissione per la verità e la riconciliazione, istituita a tale scopo fu un originale esperimento di tribunale senza condanne, basato sulla pubblica confessione delle violazioni dei diritti umani resa di fronte alle vittime dei colpevoli di tutte le parti come condizione per essere amnistiati; Il miracolo asiatico: Giappone – Gli anni ’80 videro anche la crescita di nuovi poli di sviluppo dell’economia mondiale. Il primo di essi fu costituito dal Giappone, dove dal ’73 al ’90 il reddito nazionale crebbe del 3,1%. I fattori chiave furono:  La piena occupazione;  Le esportazioni; Dato che la disoccupazione rimase nulla, si cominciò allora a parlare di modello giapponese di capitalismo, fondato su particolari valori comunitari di attaccamento alla nazione e alla propria azienda. Ne derivarono nuove concezioni in materia di organizzazione del lavoro che si diffusero in tutto Occidente:  La qualità totale;  Il metodo just in time di controllo e programmazione della fornitura di materie prime e semilavorati per evitare stoccaggi improduttivi;  Il coordinamento dei lavoratori in pool autonomi legati a specifici obiettivi produttivi;  Una produzione snella basata sull’esternalizzazione delle mansioni non essenziali; Questo modello consentì di sviluppare una presenza competitiva nei mercati esteri pur continuando a proteggere dalle importazioni il mercato interni. I prodotti giapponesi si affermarono come standard di riferimento.
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