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La lotta per le investiture: il controllo imperiale sulla Chiesa e il diritto romano, Sintesi del corso di Storia Del Diritto Medievale E Moderno

La lotta per le investiture tra la chiesa e l'impero durante il medioevo, con un focus particolare sul controllo imperiale sulla chiesa e il ruolo del diritto romano. Il testo tratta della denominazione delle leggi imperiali, il controllo imperiale sulle funzioni vescovili, la convocazione dei concili e le proposizioni di grande rilevanza che sottolineano l'ambizione del pontefice. Vengono anche menzionate le raccolte di leggi romane e il ruolo della chiesa nella diffusione del diritto romano.

Tipologia: Sintesi del corso

2011/2012

Caricato il 05/07/2012

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Scarica La lotta per le investiture: il controllo imperiale sulla Chiesa e il diritto romano e più Sintesi del corso in PDF di Storia Del Diritto Medievale E Moderno solo su Docsity! CAPITOLO VI IL RINASCIMETO GIURIDICO: LA RINASCITA ECONOMICA Intorno all’anno 1000, l’Europa era teatro di grandi trasformazioni economiche, sociali e politiche, in qualche modo legate, ma contemporaneamente autonome l’una dall’altra; si parlava di rinascita dell’Europa (o anche di Età del rinascimento giuridico, ma solo a partire dal 1100). Questa rinascita economica era legata soprattutto all’evoluzione dei sistemi di produzione; si sviluppò un sistema di coltivazione intensivo che soppiantava l’agricoltura a carattere estensivo, che aveva connotato l’economia curtense, ossia l’economia che aveva nella “curtis” il suo centro propulsore e nei grandi feudi la sua espressione. Il valore della terra non era dato dal prodotto che essa forniva, quanto dal punto di vista del potere che il dominus esercitava sugli uomini della terra. Queste trasformazioni, erano legate anche alla patrimonializzazione dei benefici; infatti, quando il beneficium entrò nel patrimonio del vassallo, fu evidente l’incremento d’interesse nel rendere più produttiva la terra che era oggetto di questa concessione beneficiale, poiché non veniva più restituita alla fine della vita del soggetto che la possedeva: la terra diventava, così, una fonte di reddito che naturalmente suscitava l’interesse del dominus. L’aumento del prodotto comportò, come conseguenza, l’esubero del prodotto rispetto alle necessità della curtis, per cui il prodotto in esubero iniziò ad essere commercializzato, diventando fonte di reddito. Dato ciò, il rilancio di attività artigianali, stimolate da più cospicui consumi, assunsero un grandissimo impulso in questo periodo. Questa economia di scambio cominciò ad influire fortemente anche sull’ordine sociale dei Paesi europei; accanto all’aristocrazia feudale, cominciò ad assumere rilievo la figura del mercante, il quale si presentava come il vero protagonista di questa età, affiancato dalla figura dell’artigiano. La città diventò il centro propulsore di questa nuova società organizzata non più in senso verticalistico, come la società feudale, ma in senso orizzontalistico; nacquero ed assunsero sempre più rilevanza le associazioni tra soggetti che praticavano una medesima professione, ossia le corporazioni. Anche se in maniera lenta, ma sempre più evidente, tale società andava trasformandosi: nacquero nuovi rapporti giuridicamente rilevanti, nuovi tipi di obbligazioni; nell’ambito del diritto commerciale nacquero le figure della “commenda” e della “collegantia”. I documenti notarili, assunsero un’importanza notevole poiché era importante dare fermezza a tali rapporti, per poterne assicurarne la stabilità. I “notai”, godevano di una grandissima rilevanza, in quanto, i documenti notarili erano fonti di cognizione estremamente importanti per lo storico del diritto che osservava quest’epoca. PAGE 16 I notai si servivano di formulari tralatizi, tramandati da notaro a notaro da epoche remote; queste nuove figure contrattuali, pertanto, vennero rivestite di una forma antica; per cui, ad esempio, nell’ambito dei contratti commerciali, il “commenda” e la “collegantia”, vennero ricondotti in questi documenti notarili a delle figure appartenenti al diritto romano (quali il mutuo e la società) pur essendo diversi per molti aspetti. Assunsero grande impulso le corporazioni ed i protagonisti della vita cittadina; la città si andava distaccando lentamente dal “contado” (la circoscrizione amministrativa, conosciuta meglio come contea), mentre andava maturando una vita autonoma che porterà poi alla nascita dei “comuni”. In quest’età, si riformarono anche l’Impero e la Chiesa. L’IMPERO Nell’888, con la morte di Carlo il Grosso, si estinse la dinastia carolingia; il primo Imperatore, dopo Carlo il Grosso, fu Ottone I, incoronato nel 972, appartenente alla casa di Sassonia. Ottone I, ed ancor meglio i suoi successori, furono i rinnovatori dell’Impero”; l’Imperatore aveva perduto, come si era visto, il ruolo di “primus inter pares”, poiché si era spogliato dei suoi poteri attraverso quel sistema di immunità di cui i feudatari erano titolari nell’ambito dei loro beneficia. Con gli Ottoni, cominciò un recupero dei “iura regalia”, cioè dei diritti riservati all’Imperatore. Ottone III, figlio di una principessa bizantina moglie di Ottone II, quest’ultimo figlio di Ottone I, fu educato in un ambiente bizantino; si rese conto che non poteva proporre nell’Europa di quel tempo, un modello proveniente dagl’Imperatori romani, ma volle recuperarli come sovrano feudale. Ricomparve, così, il titolo di “Romanorum imperator” tant’è Ottone III si fregiò del titolo di “romanorum imperator”; il sigillo imperiale iniziò a portare codesta dicitura: «Renovatio imperi romanorum». La “traslatio imperi” che si era verificata nell’età del pontefice Leone III, con Carlo Magno, ora con Ottone III può definirsi “renovatio imperi”. Nell’ambito delle fonti del diritto non vi fu un recupero del diritto romano, anche se sarebbe quasi naturale pensarlo; tuttavia cambiò qualcosa: quando fu trattato il Capitolare Italicum, fu detto che in esso erano raccolti i provvedimenti emanati dagl’Imperatori del Sacro Romano Impero, da Carlo Magno fino ad Enrico III. Da Ottone I fino ad Ottone III, la denominazione delle leggi imperiali, mutò; presero i nomi classici di “costituito”, “edictum”, etc.. Soltanto formalmente le leggi emanate a partire da Ottone I, non si chiamarono più capitolari, poiché presero il nome delle leggi degl’Imperatori romani. PAGE 16 La stessa convocazione dei concili, oltre all’approvazione della deliberazioni dei concili, era compito del Pontefice; tale potere era visto come un segnale, sia dai vescovi che dagli stessi Imperatori, i qual convocavano precedentemente i concili, in quanto, la Chiesa era vista come un’istituzione dello Stato. Il pontefice non era giudicabile: non vi era alcuna possibilità che il pontefice potesse essere sottoposto a giudizio, in quanto era al di sopra di ogni possibilità di giudizio. Vanno menzionate altre due proposizioni di grande rilevanza, in quanto, sottolineano un’ambizione del Pontefice, che andava al di là dell’intento di liberare la Chiesa dal potere laico, poiché tendevano a sottomettere lo stesso potere laico al potere spirituale. Una disposizione affermava che: “I fedeli non devono accostarsi agli scomunicati; nell’ipotesi in cui un sovrano dovesse esser scomunicato, esce fuori dalla comunità dei fedeli, esce dalla Chiesa e a chiunque è fatto divieto di avvicinarsi, pena la scomunica”.2 Tale disposizione comportava un forte fattore di deterrenza, in quanto, il potere temporale dell’Imperatore era minacciato dal fatto che lo stesso pontefice poteva sciogliere i sudditi dal giuramento di fedeltà fatto al sovrano. Tale progetto di riforma non venne attuato in quell’età, ma maturò fino ad arrivare all’età di grandi pontefici quale, per esempio, Bonifacio VIII; quest’ultimo affermerò la prevalenza del potere spirituale su quello temporale, o meglio, la titolarità del pontefice di entrambi i poteri. Queste proposizioni, espresse in questo documento presero il nome di “Dictatus Papae”, non vennero realizzate del tutto; lo scontro con l’Imperatore Enrico IV, fu violentissimo e si svolse anche a colpi di scomunica da parte del Pontefice, nei confronti di Enrico IV, cui contraccambiò con elezioni antipapali. Questo scontro si placò temporaneamente nel 1122 grazie al concordato di Worms, che vide come protagonisti i due successori dei soggetti di cui abbiamo parlato pocanzi: il Pontefice Callisto II e l’Imperatore Enrico V. ASPETTI GIURIDICI In quei secoli si formarono due correnti intellettuali in sostegno, una del Pontefice e l’altra dell’Imperatore, ossia i curialisti ed i regalisti. È importante ricordare che l’ambiente degli intellettuali era formato, essenzialmente dal clero, in quanto, quest’ultimo aveva avuto il monopolio della cultura in tutti i secoli dell’alto medioevo. Queste teorie, trovavano il loro fondamento su fonti che erano, in parte canonistiche (prodotte dalla Chiesa nei concili, attraverso decretali dei pontefici), ed in parte romanistiche (ossia fondate sul diritto romano). Il diritto romano, era da sempre rimasto la “lex seculi” della Chiesa, tanto che la Chiesa si era fatta veicolo di diffusione della legge romana, PAGE 16 2 intervenendo su di essa per adeguarne talvolta alcuni aspetti alla dottrina cattolica; si erano addirittura realizzate da parte della Chiesa, intorno al X secolo, delle raccolte di leggi romane, filtrate dal pensiero cristiano- cattolico. Una delle più famose di queste raccolte era la “Lex Romana Canonicae Compta”, ovvero una raccolta di materiale romanistico redatta canonisticamente, ossia, ponendo in raffronto le leggi romane con i canoni, e verificandone la corrispondenza. Ivo di Chartres, autore di un’importante raccolta realizzata immediatamente prima del pontificato di Gregorio VII, affermava che la fonte di legittimazione del diritto romano era posta nella stessa volontà della Chiesa di assumere questo diritto romano come sua legge in quanto era una legge voluta da Dio per il tramite degl’Imperatore. Ivo di Chartres sosteneva che: “Gli Imperatori romani composero le leggi e le trasferirono alla Chiesa romana, affinché questa le conservasse e le facesse osservare attraverso la sua autorità”. Alle pretese dei curialisti, come detto precedentemente, si contrapponevano le pretese dei regalisti, i quali, ritenevano che doveva esserci una divisione tra i compiti del potere temporale e del potere spirituale, ed a questa divisione di compiti doveva corrispondere una divisione di diritti: • il diritto civile, e quindi la “lex seculi”, era prerogativa del potere temporale; • il potere spirituale aveva soltanto il potere di legiferare e regolamentare la vita spirituale del popolo dei fedeli in Cristo. Tra questi scritti “polemici”, bisogna ricordarne uno scritto da un regalista, appartenente al clero: si trattava di una “Defensio Enrici Quarti Regis”, (cioè una difesa di Enrico IV, proprio nel momento dello scontro contro Gregorio VII); questo regalista era Pietro Crasso, appartenente all’ambiente culturale di Ravenna3. Pietro Crasso affermava in codesta opera che: “La legge civile, come la legge canonica, sono entrambe emanazioni di Dio; l’una, cioè la legge civile, attraverso l’opera degli Imperatori, l’altra, attraverso l’opera degli apostoli e dei suoi successori, devono essere seguite entrambe, sia dai sacerdoti che dai laici”.4 Sotto quest’ottica, s’individuavano come leges, sia la “lex civile” che la “lex canonica”, ossia, le leggi dell’Impero e le leggi della Chiesa5; non venivano considerate altre fonti normative ad eccezione di queste due. Erano tali da essere considerate “Utraque Lex”, ovvero, intimamente legate in quanto, entrambe dovevano essere seguite sia dal clero che dai laici; inoltre, entrambe dovevano essere subordinate al volere di Dio, ovvero, dovevano essere subordinate alle Sacre Scritture. PAGE 16 3 4 5 Nell’opera di Pietro Crasso, si ritrovava una citazione di una costituzione che si trovava nel Codex di Giustiniano; tale costituzione affermava che: “Chiunque, per ignoranza o negligenza, viola e offende la santità della legge divina, commette sacrilegio”. La legge divina era considerata all’apice di ogni altra manifestazione legislativa; sia le leggi imperiali, che le leggi della Chiesa erano subordinate alla legge divina, e quindi, non potevano in alcun modo deviare da quanto era disposto nelle Sacre Scritture. Il fatto che si citava un passo del “Codex” di Giustiniano e non un canone della Chiesa per affermare la supremazia della legge divina, era un segnale del nuovo interesse nascente, sia da ragioni politiche, che economiche (come nel caso dei notai che utilizzavano il diritto romano per dare una configurazione alle nuove figure contrattuali), che culturali, per le fonti del diritto romano (più specificamente per la compilazione giustinianea che nell’alto medioevo era stata poco applicata e conosciuta). Proprio la compilazione giustinianea, anche se era riconosciuta come legge ufficiale, estesa all’Italia tramite la “Pragmatica Sanctio”6, era andata dispersa, a causa della guerra gotica e delle successive divisioni politiche risalenti ai tempi delle invasioni longobarde, che avevano provato la penisola. LA COMPILAZIONE GIUSTINIANEA NELL’ALTO MEDIOEVO Si è visto come, sia da parte dei notai e dei giudici, che da parte dei teorici che fondavano le loro teorie relative al rapporto tra l’Impero e la Chiesa, si manifestasse un interesse verso le fonti del diritto romano e del diritto giustinianeo. Cominciarono a comparire citazioni di quella parte della compilazione giustinianea che nell’alto medioevo era andata quasi perduta: il “Digesto”. Erano i primi segnali del recupero della cultura giuridica, che nel corso dell’alto medioevo (che vedeva nella consuetudine la fonte prevalente d’ogni espressione giuridica), non era stata coltivata. Nel 528, Giustiniano emanò il Codex, ovvero il “Novus Iustìnìanus Codex”; la Costituzione con la quale veniva ordinata la redazione di questo Codex, prevedeva che i materiali dovessero essere tratti dai tre codici precedenti, ossia, il “Codex Gregorianus”, il “Codex Hermogenianus”, ed il “Codex Theodosianus”, ai quali bisognava aggiungere alcuni rescritti che nel frattempo erano stati prodotti dagl’Imperatori al fine di adattare alle esigenze della pratica il materiale tratto dai codici precedenti. PAGE 16 6 Di queste novelle, non venne ordinata nessuna raccolta dall’Imperatore, ma privatamente furono create tre raccolte private, di cui due di notevole importanza, in quanto, furono quelle che circolarono in Occidente: ossia, l’”Epitome Iuliani” e l’”Autenticum”. L’Epitome Iuliani era una raccolta realizzata da un certo Giuliano, forse un maestro di diritto nella scuola di Costantinopoli; questa raccolta conteneva 124 novelle (due delle quali erano ripetute), in forma epitomata, cioè, in una sorta di riassunto nel quale era inserito un intervento di chi riassumeva il testo. A differenza dell’Epitome Iuliani, l’Autenticum, conteneva 134 novelle. Queste due raccolte circolarono in Occidente, soprattutto in Italia, nella prima parte dell’alto medioevo, ma ad un certo punto dell’Authenticum, non si seppe più nulla, ma continuò ed essere utilizzata l’Epitome Iuliani; si denota, quindi, la tendenza all’esemplificazione, tipica dell’alto medioevo, in base alla quale, si cercava di utilizzare solo quello che serviva adattandolo all’esigenze pratiche. GLI SVILUPPI DEL DIRITTO BIZANTINO POST- GIUSTINIANEO La compilazione giustinianea venne conosciuta e parzialmente utilizzata in quelle parti della penisola italiana rimaste formalmente legate all’Impero Bizantino; ovvero, l’Italia centrale e l’Italia meridionale, poiché, come già detto precedentemente, l’Italia settentrionale subì l’invasione longobarda. Ma anche in queste zone, le condizioni culturali e politiche, erano tali da non permettere alla compilazione giustinianea d’essere conosciuta ed applicata. Ciò avvenne anche perché a Bisanzio, nell’età immediatamente successiva a Giustiniano, il diritto subì delle trasformazioni; anche a Bisanzio, la compilazione giustinianea non ebbe un forte radicamento, poichè aveva una connotazione data dalla tradizione romana, ossia, una tradizione che in Oriente era poco radicata, in quanto, il diritto romano era stato esteso all’Oriente soltanto con l’Editto di Caracalla7. Nel 717, quando salì al trono Leone III detto l’Isaurico, la frattura tra la cultura giuridica Occidentale, rappresentata dalla compilazione giustinianea, e quella Orientale rappresentata, dalle consuetudini che si andarno sempre più arricchendo, diventò più marcata, in quanto, Leone III l’Isaurico, era un nemico dell’Occidente, poichè l’Occidente sembrava, ai suoi occhi, in qualche modo rappresentato dal Pontefice, o meglio, dalla religione cattolica. Leone III l’Isaurico, fu l’Imperatore che lanciò l’eresia iconoclasta alla quale fortemente si contrappose il Pontefice romano. Prima di Leone III, non vi era stata una legislazione di un certo peso; gl’Imperatori che avevano preso il posto di Giustiniano, avevano emanato varie Costituzioni, ma nessuna raccolta normativa di un certo rilievo. PAGE 16 7 Leone III l’Isaurico emanò, invece, una raccolta normativa che prese il nome di “Ecloga Isaurica”8; l’intento era quello di raccogliere in questa antologia, norme giustinianee, modificate all’occorrenza, per essere rese di più facile utilizzo. Formalmente egli si poneva in ossequio, nei confronti delle disposizioni che Giustiniano aveva dato emanando la sua compilazione; Giustiniano aveva dato ordini affinchè la sua opera fosse perpetua, vietando sia i commenti sulla stessa, che l’attività interpretativa che potesse in qualche modo alterare il contenuto. Aveva, quindi, limitato la possibilità che i suoi successori legiferassero in contrasto con la sua opera legislativa. Leone III l’Isaurico, si presentò formalmente come ortodosso, dicendo che aveva tratto le Costituzioni contenute nell’Ecloga, dalle Costituzioni giustinianee, modificandole soltanto per renderle più umane; in realtà, esaminando il contenuto dell’Ecloga, si può notare che le Costituzioni furono fortemente influenzate proprio da questo diritto volgare, da queste consuetudini ellenistiche, dallo spirito del diritto delle Province orientali, che era visto come un diritto vivo contrapposto al diritto ufficiale. Testimonianza di tutto ciò furono tre raccolte di consuetudini orientali che, in questo periodo storico, ebbero larghissima diffusione tanto da far supporre che avessero ricevuto il crisma dell’ufficialità da parte dell’Imperatore. Queste tre raccolte di consuetudini erano raccolte contenenti materiale omogeneo con riguardo alle materie disciplinate: • la “Lex Rustica”: raccolta di consuetudini disciplinanti prevalentemente contratti agrari, ma anche norme riguardanti reati penali connessi all’agricoltura ed alla pastorizia; • la “Lex Militaris”: raccolta di diritto militare; • la “Lex Navalis”: raccolta di consuetudini disciplinanti il diritto della navigazione ed il diritto commerciale, ciò in quanto, il commercio avveniva per via marittima. In questa raccolta, si poteva individuare il primo nucleo di leggi sul quale si formò il “ius mercatorum” del medioevo; quest’ultimo, continuò ad essere osservato, con aggiunte e modifiche apportate attraverso statuti, dalle corporazione dei mercanti, fino all’età moderna proprio perché, attraverso il percorso delle merci, il diritto si diffondeva. Dopo la dinastia Isaurica, iniziò in Oriente, il recupero della legislazione giustinianea; mentre si ricorda che, nella seconda metà dell’800, in quell’età in cui iniziò la crisi dell’Impero, la Sicilia era stata conquistata dagli Arabi, mentre si era insediato e sviluppato nell’Italia meridionale, il Ducato di Benevento che aveva diffuso nell’Italia meridionale il diritto Longobardo. In Oriente, quindi, iniziò il recupero del diritto giustinianeo, da parte di una dinastia d’Imperatori macedoni, il cui primo Imperatore fu Basilio I. PAGE 16 8 L’avvento della dinastia Macedone, segnò un rilancio della politica Bizantina; quest’ultima, si esprimeva nella volontà di riconquistare le terre che erano andate perdute precedentemente, come ad esempio, quelle dell’Italia meridionale, ma anche attraverso la riforma dell’amministrazione periferica delle stesse, oltre che, la riforma del diritto. Basilio I, volle rilanciare la legislazione giustinianea, condannando quel periodo oscuro della dinastia Isaurica; condannò, quindi, l’opera svolta dalla dinastia Isaurica, nell’ambito del diritto. Progettò, invece, una grande raccolta che però non riuscì a realizzare; fu il figlio, Leone VI il Sapiente, a realizzare l’opera progettata dal padre, a cui diede il nome di “Le Cose Imperiali”, cioè “I Libri Imperiali”, da noi conosciuti col nome di “Basilici”. L’opera fu promulgata intorno alla fine del X secolo, nell’età in cui, in Occidente, cominciò a manifestarsi quella curiosità per il diritto, per le fonti del diritto romano e le fonti giustinianee. In quest’opera, fu raccolto tutto il materiale normativo a cui l’Imperatore volle dare ufficialità, e del quale volle fare il Codice da applicare nelle terre bizantine. Quest’opera si presentava più compatta di quanto non si presentava l’opera giustinianea; gli iura e le leges, tratte dalla compilazione giustinianea, sono raccolte in 60 libri, divisi in titoli in ragione della materia disciplinata, ed in ciascun titolo si ritrovano insieme, frammenti giurisprudenziali tratti dal Digesto e dalle Costituzioni; decadde quella distinzione formale che Giustiniano aveva mantenuto. Questo codice appariva come un codice omogeneo che mirava a dare unità al diritto attraverso la completezza; con l’emanazione dei Basilici, il cui materiale era tratto in gran parte dalla compilazione giustinianea, alla quale si aggiunsero molte costituzioni macedoni, venne abrogata la compilazione giustinianea. Il diritto giustinianeo, che venne recuperato, proprio perché in qualche modo recepito all’interno di questa raccolta normativa, venne abrogato, ed i Basilici diventarono la legislazione ufficiale dell’Oriente, sulla quale la stessa cultura giuridica orientale (che si sviluppò quasi parallelamente alla cultura giuridica occidentale), si sperimentava attraverso delle interpretazioni svolte intorno ai Basilici, che presero il nome di “Scolia”. Questa legislazione ufficiale ebbe dei riflessi in quelle terre della penisola italiana che, almeno formalmente, continuarono ad essere sottoposti a Bisanzio; ancora oggi, si riscontrano tracce di diritto bizantino in Italia meridionale, dove addirittura si crearono delle operette di rielaborazione delle stesse opere legislative bizantine, come ad esempio, un’ecloga privata “aucta”, composta da un privato che traeva ispirazione dall’Ecloga di Leone l’Isaurico. Bisogna osservare, però, che la tendenza alla volgarizzazione, cioè all’adattare queste legislazioni ufficiali all’esigenze dei tempi, era sempre PAGE 16 legge romana), che fece sua la “Lex Seculi”, adattandola ai principi cristiani. Queste opere, anche se segnalavano un certo interesse nell’alto Medio Evo nei confronti della lex romana e delle fonti giustinianee, non erano testimonianza di nessuna cultura giuridica; la stessa Scuola di Roma, (scuola ufficiale individuata tra le quattro scuole da Giustiniano), subì una forte crisi e la sua attività vennero meno già intorno al VII secolo. Nell’alto medioevo, non esistevano scuole di diritto, in quanto, la concezione del sapere era una concezione enciclopedica; non vi era una partizione tra le varie scienze, e non vi erano centri in cui venisse insegnata una scienza. L’attività didattica riguardava il sapere nel suo complesso, e quest’ultimo era costituito dalle sette arti liberali che erano ripartite nell’età Carolingia in due blocchi: • “Artes Sermocinale”, cioè, le arti del discorso; • “Artes Reales”, cioè. quelle che conducevano alla conoscenza del mondo fisico. Le Artes Sermocinales erano tre: 1. la grammatica; 2. la retorica; 3. la dialettica. Le Artes Reales, invece, erano quattro: 1. l’aritmetica; 2. la geometria; 3. l’astrologia (che in qualche modo corrispondeva alla nostra astronomia e riguarda gli astri che si riteneva avessero influenza sulla vita degli uomini); 4. l’armonia, cioè, la musica. Questa erano le basi della conoscenza, 1a quale aveva la sua massima espressione nella filosofia, ossia, la conoscenza delle cose umane e delle cose divine. Gli strumenti per accedere alla conoscenza delle cose umane e delle cose divine erano racchiusi in queste sette arti pocanzi enumerate. Questa sapienza era patrimonio del clero; infatti, le scuole nelle quali questo sapere veniva impartito erano scuole monastiche, e successivamente le scuole episcopali (cioè, quelle che avevano sede nell’episcopio, ossia, nella sede vescovile cittadina). Queste scuole ebbero un grande sviluppo intono all’anno 1000, età in cui la città trova un nuovo impulso attraverso lo sviluppo dei commerci e dell’artigianato; di questo slancio si avvalsero le scuole episcopali che finirono col soppiantare le scuole monastiche. Il diritto, nell’ambito di questo sapere enciclopedico, non aveva un posto autonomo, però, nozioni di diritto venivano impartite nell’ambito dell’insegnamento della retorica, poichè le fonti utilizzate per l’insegnamento della retorica erano, per esempio, gli scritti di Cicerone. PAGE 16 Quindi, l’insegnamento del diritto non era un insegnamento che aveva una dignità scientifica, non aveva un posto autonomo nel sapere medioevale; tuttavia, aveva un suo canale di diffusione nell’ambito della retorica. Il diritto, fra l’altro, rientrava nella filosofia, in quanto, da una parte era norma di vita, cioè norma che regolava i rapporti umani fa parti dell’etica (era subordinata all’etica, perché il diritto doveva realizzare la giustizia e la giustizia faceva parte della morale); d’altra parte, era legato alla logica, cioè, all’arte del discorso che era espressione del pensiero. Non vi erano delle scuole in cui s’impartiva l’insegnamento del diritto come scienza autonoma; tuttavia, si cominciarono ad avere dei segnali sempre più forti di un’interesse nei confronti della cultura giuridica che ci spingono a supporre che nell’ambito di queste scuole di arti liberali, che si diffusero in tutta l’Europa, la richiesta di un sapere giuridico si sia fatta sempre più massiccia per cui, probabilmente, le nozioni di diritto che nell’ambito della retorica venivano offerte erano sempre maggiori perché sempre maggiore era la richiesta. Quindi, era probabile che, nell’ambito delle stesse scuole liberali, si sia sviluppato, nell’ambito della retorica, un maggiore interesse per gli studi giuridici. PAGE 16
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