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Riassunto Storia del Giappone (Gatti-Caroli) per esame con Del Bene, Sintesi del corso di Storia dell'Asia

Riassunto del libro Storia del Giappone (Gatti-Caroli) per l'esame Storia dell'asia orientale e sud-orientale con il professor Del Bene. Il riassunto è esclusivamente sulla parte di storia contemporanea e parte dal capitolo 4.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 10/12/2021

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Scarica Riassunto Storia del Giappone (Gatti-Caroli) per esame con Del Bene e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Asia solo su Docsity! STORIA DEL GIAPPONE VERSO UN FEUDALESIMO CENTRALIZZATO: LA RIUNIFICAZIONE DEL PAESE E L'ISTITUZIONE DEL BAKUFU DI EDO 1 Il superamento dello stato di decentramento, scaturito dalle contese nel periodo Sengoku (1467-1603), fu dovuto all'opera di tre daimyo, i quali estesero il controllo sull’area di Kyoto e sul resto del paese. L’emergere di potenti daimyo che detenevano il governo assoluto nei propri territori fu stimolato dalla sfida lanciata loro dalle classi inferiori, contro cui essi reagirono affermando un controllo capillare; il crescente ricorso ad una nuova tecnologia militare accrebbe la distanza tra chi possedeva risorse da investire nell’attività bellica e chi no. Da questo confronto militare emersero importanti capi regionali. Alla disgregazione dell’assetto feudale concorse pure la generale crescita economica scaturita dall’espansione dell’attività commerciale; c’era la volontà di attirare verso i proprio domini le navi portoghesi e i profitti derivanti dai traffici con l'estero, ma l'incapacità di attuare questa politica avrebbe condotto ad una progressiva riduzione degli scambi fino alla chiusura quasi totale, anche perché, essendo un paese privo di un'autorità centrale forte, la presenza degli europei era avvertita come un pericolo (opera missionaria del cristianesimo). Fu all’interno di questo contesto che prese corpo il progetto di riunificare militarmente il paese e ristabilire un centro di potere unico. Fu l’esercito guidato da Oda Nobunaga a conquistare Kyoto nel 1568. Si dedicò a consolidare il potere attraverso matrimoni e alleanze e raggiunse un prestigio tale da attirare l’attenzione di Ashikaga Yoshiaki, desideroso di assicurarsi la successione alla guida del bakufu (termine usato per indicare il governo militare dello shogun. dunque sinonimo di shogunato). Yoshiaki, diventato shogun, iniziò a cospirare contro il suo protettore, il quale reagì costringendolo a lasciare la carica. Questi avvenimenti segnarono la fine del bakufu degli Ashigaka e l’inizio del periodo Muromachi (1336-1573). L’affermazione del potere di Nobunaga procedette con il consolidamento del controllo sulla capitale, attraverso metodi di violenza estrema, i daimyo rivali furono via via sconfitti e fu repressa la resistenza monastica, ponendo fine alla sua autonomia e al suo potere. Diverso fu l'atteggiamento riservato al cristianesimo, che venne favorito attirando numerosi missionari, e agli europei in generale. Nobunaga venne assassinato nel 1582. La riunificazione era stata realizzata solo in parte, la sua attività aveva avuto un carattere prettamente militare, ma nell’ambito dei territori conquistati aveva dato avvio ad una ristrutturazione dell’amministrazione; contribuì ad avviare la separazione tra classe militare e contadina (heino bunri), anche attraverso provvedimenti finalizzati a confiscare le armi della popolazione non guerriera (contadini diventano vincolati al proprio status). Queste misure furono rafforzate dai successori per stabilire una rigida separazione delle classi. Anche per quanto riguarda la religione furono attuati numerosi interventi che anticiparono la pratica del controllo della religione, caratteristica del periodo Tokugawa. Un altro rilevante provvedimento è rappresentato dalla riorganizzazione delle zone rurali in villaggi e dall’imposizione della consegna dei registri catastali relativi ai territori assoggettati. La riunificazione interessò anche il commercio che fu favorito con diverse riforme. Nobunaga creò le condizioni per la completa riunificazione che proseguì sotto Toyotomi Hideyoshi. Nel 1590 riuscì a portare a termine la completa riunificazione militare del Giappone, divenne il capo supremo del Giappone, la cui forza si basò sulla rete di alleanze che guidava. Il potere militare era però frammentato in numerose entità territoriali, note come han, ciascuna governata da un daimyo, la cui posizione era garantita da Hideyoshi. | daimyo per rinsaldare i vincoli feudali erano disposti strategicamente e dovevano mandare un proprio familiare o fedele vassallo presso il castello di Osaka. Successivamente si dedicò all’organizzazione amministrativa, a partire da una generale revisione catastale (taiko kenchi), che fu estesa in modo sistematico a tutto il paese, il quale potè essere sottoposto ad un uniforme sistema di tassazione. Le terre coltivabili furono misurate in modo da stimare la loro capacità produttiva, calcolata in koku di riso. Le famiglie contadine erano raggruppate in villaggi (mura), ciascuno dei quali selezionava un capo che aveva il compito di prelevare l'insieme delle quote di raccolto per trasmetterle agli amministratori alle dipendenze dei daimyo. A sua volta il daimyo assumeva i pieni diritti sulle risorse agricole del proprio han, nelle cui casse affluivano le quote di riso che provenivano dai villaggi sotto forma di tasse e che servivano a determinare il suo potere, inoltre attraverso i koku di riso ricompensava i guerrieri al suo servizio. | samurai vennero ad essere nettamente distinti dai lavoratori dei campi, divennero amministratori delle terre del daimyo. Ciò, unito alla caccia alle spade, completò il processo di separazione dei ceti rurali dalla classe militare e creò le basi del rigido sistema sociale gerarchico (mibunsei). Il sistema di registrazione e tassazione consentì a Hideyoshi di avere una chiara visione delle risorse agricole disponibili nel paese. Questo sistema in cui i feudatari regionali erano indipendenti pur cooperando tra loro ma sottostavano al signore viene definito feudalesimo centralizzato. Per quanto riguarda le attività commerciali proseguì la politica di libera circolazione delle merci eliminando le barriere locali, favorendo l'espansione del libero mercato e abolendo le corporazioni di mercanti. Attraverso la concessione di privilegi stimolò la crescita di attività commerciali e artigianali nelle città castello, avviando un processo di popolamento e di sviluppo dei centri urbani. Un’altra fonte di ricchezza fu rappresentata dallo sfruttamento delle risorse minerarie. In politica estera ambiva a avviare il progetto di dominio sull’Asia, inizialmente mobilitando le truppe per un’invasione in Corea, alla quale doveva seguire la conquista della Cina; le spedizioni ebbero un esito negativo a causa della morte di Hideyoshi. L’iniziale tolleranza mostrata verso l’attività missionaria iniziò a mutare nel momento in cui il Giappone ritrovò un'unità interna. Hideyoshi aveva cercato di assicurare la successione al figlio Hideyori, istituendo un consiglio composto da cinque grandi anziani (gotairo) ma alla sua scomparsa nel paese si aprì una contesa tra i vari signori feudali e uno tra i cinque grandi anziani, Tokugawa leyasu riuscì a prevalere, realizzando la completa riunificazione del Giappone e stabilendo un governo militare nazionale. Tokugawa: daimyo nella provincia di Mikawa, avevano esteso il controllo su un’estesa regione del Giappone centrale. leyasu aveva riconosciuto la supremazia di Hideyoshi, il quale lo aveva allontanato per trasferirlo nei territori del Kanto. Egli scelse Edo per stabilire il quartier generale. Fu prescelto come uno dei grandi anziani. Alla morte di Hideyoshi, sconfitti i suoi rivali, ottenne la carica di shogun nel 1603, nel 1605 affidò la carica al figlio e assunse quella di shogun in ritiro. Quando morì nel 1616 le basi dell’egemonia della sua famiglia erano state fondate. Bakuhan: sistema basato sull’equilibrio fra shogunato e circa 250 possedimenti di daimyo (han dal XIX secolo prende il significato di feudo); feudalesimo centralizzato. leyasu avviò una profonda riorganizzazione dei possedimenti feudali e i signori sconfitti videro scomparire o ridimensionare i propri territori. Solo dopo essersi garantito una base La situazione si aggravò ulteriormente con l’ascesa di letsuna nel 1651 e di Tsunayoshi nel 1680 (shogun cane), che portò ad un’inflessione della fiducia nell’istituzione shogunale. Il primo vero tentativo di risollevare le sorti del bakufu si ebbe sotto Yoshimune (1716- 1751). Avviò un programma di riforme (Kyoho) volte a risanare la crisi finanziaria del governo centrale e a ripristinare l'autonomia economica della classe militare. | primi provvedimenti riguardarono il drastico contenimento delle uscite, l'appello ad una condotta di austerità, l'imposizione di norme suntuarie e il ristabilimento del valore della moneta. Tra il 1721-1722 decise l'adozione di misure più drastiche: ai daimyo fu imposta una serie di prestiti forzosi che vennero usati per pagare le insolvenze contratte con gli uomini alle dipendenze dei Tokugawa. In ambito fiscale venne adottato un metodo più rigoroso di esazione delle tasse agricole, che prevedeva un pagamento annuo fisso (jomen). Gli anni successivi videro comunque una flessione delle entrate provenienti dalla tassazione agricola, in concomitanza con una fase di stagnazione economica. Si aprì una nuova stagione di riforme caratterizzata da una politica di espansione finanziaria, dal ritorno alla base aurea e a misure fiscali rigorose. Le riforme tuttavia non riuscirono ad assicurare una base solida alle finanze shogunali, né a risolvere i problemi strutturali del sistema economico. Le ripercussioni che ebbero, invece, in campo politico furono rilevanti, implicando in primo luogo la riaffermazione dell'autorità personale dello shogun, il ritorno ad un’amministrazione retta e responsabile della burocrazia e il rafforzamento del controllo sugli intendenti. Nel 1787 lenari ereditò una situazione disastrosa, il suo governo fu caratterizzato da due fasi: la prima dominata dalla figura di Matsudaira Sadanobu, nominato consigliere dello shogun, il quale inaugurò la seconda stagione di riforme (Riforme Kansei). La sua politica fu indirizzata verso il contenimento dell’espansione delle attività commerciali e le limitazioni finanziarie. Tentò di restituire efficienza all'amministrazione centrale, gli interventi nelle zone rurali furono orientati verso una più rigorosa esazione dell'imposta agricola, la creazione di riserve di riso per le cattive annate e il rafforzamento di misure per prevenire l’allontanamento di manodopera contadina dalle campagne. La posizione finanziaria di Edo fu rafforzata. Il ritiro di Sadanobu coincise con l'assunzione diretta dei compiti da parte di lenari (seconda fase): governo inefficace e poco incline a risolvere i problemi di fondo. Nel 1836, anno della rivolta contadina a Kai, lenari rinunciò alla carica in favore del figlio leyoshi, sotto il quale si ebbe l’ultimo ciclo di riforme, intraprese tra il 1841 e il 1843 e ideate da Mizuno Tadakuni. Il suo programma mirò al risanamento della situazione economica e politica del bakufu, che tentò di attuare con misure contraddittorie. Le riforme varate nel corso del XVIII secolo testimoniano le contraddizioni insite nel sistema economico-sociale dei Tokugawa e il malcontento popolare che si andava diffondendo soprattutto nella seconda metà del periodo Edo, costellato da rivolte popolari (messa in discussione della definizione pax Tokugawa). Nella ultima fase del periodo Tokugawa si ebbero mutamenti significativi. È ormai evidente come nel periodo Edo risiedano le basi del rapido sviluppo che il Giappone Meiji conobbe in ambito economico, sociale e culturale. La marcata crescita economica che si registrò in tutto il periodo fornì nuove opportunità alla distribuzione della ricchezza, la quale di rado seguì le regole della differenziazione sociale (arricchimento di una parte della classe contadina). La società idealizzata dal regime dei Tokugawa che poneva al centro l’attività agricola dovette fare i conti con il progressivo sviluppo dell'economia mercantile. L’imposizione del sankin kotai diede un marcato impulso alle attività commerciali e artigianali, le città-castello vennero a essere popolate da una varietà di persone di diversi strati sociali che stabilivano relazioni e contatti diretti. Nell’esistenza quotidiana la classe guerriera risultò essere meno separata dal resto della società; vincolati da uno status ereditario mantennero potere politico e posizione privilegiata, anche se la loro condizione economica mostrò segni di vulnerabilità. La cultura era per loro un dovere pari a quello delle arti marziali e ciò contribuì a formare la classe militare in una élite istruita. La diffusione dell'educazione non fu limitata ai samurai, interessando i ceti rurali ricchi e le classi socialmente meno elevate delle zone urbane, dove fiorì una cultura di stampo borghese. Il progresso economico produsse un generale innalzamento del livello di vita, che fu accompagnato dall’allargamento dell’istruzione. Ciò consentì anche ad artigiani, mercanti e contadini di acquisire un livello di istruzione superiore. | centri urbani rappresentarono la culla di una vivacissima cultura popolare: cultura chonin, che si orientò verso la ricerca di ciò che risultava essere piacevole e divertente, prediligendo temi amorosi e erotici; l’apogeo è rappresentato dall’era Genroku (1688- 1704) e una nuova ondata di vitalità si ebbe nelle ere Bunka e Bunsei. [Il mondo fluttuante] La società chonin non era priva dai doveri e dalle responsabilità: giri (dovere e ragione), ninjo (sentimenti umani). La politica del sakoku non comportò un completo disinteresse verso il mondo esterno: rangakusha, ovvero studiosi di cose olandesi, yogakusha, studiosi di cose occidentali; gli studiosi di cose nazionali erano invece i kokugakusha o wagakusha: Mabuchi e Motoori Norinaga. Nel complesso la loro attività contribuì a segnare il distacco dalla concezione sinocentrica, gettando le basi per il primato che il Giappone avrebbe avuto in Asia dal 1868, e preparò il terreno al ritorno allo shintoismo e alla sua trasformazione in culto di stato e al consolidamento di identità nazionale, ispirata al principio di unicità e esclusività. L’INGRESSO DEL GIAPPONE NEL SISTEMA INTERNAZIONALE, LA NASCITA DELLO STATO NAZIONALE E LA TRANSIZIONE AL CAPITALISMO 1. Nell’ultima parte del periodo Edo si ravvisarono sintomi della crisi che investiva la società, il malessere nelle zone rurali si manifestava con ricorrenza, sotto forma di insurrezioni contadine. Un ulteriore indice del disagio fu il proliferare di movimenti religiosi di natura messianica e di nuove sette popolari. Anche nelle città ci furono esplosioni di violenza, compreso tra i samurai. Negli ambienti politici e intellettuali la percezione della crisi stimolò riflessioni e soluzioni. Verso la fine del XVIII secolo la percezione di un occidente evoluto fu sempre più pervasa dal timore generato dalla loro presenza in Asia Orientale. Gli studi occidentali cominciarono a trovare un’applicazione nei problemi concreti del paese. Gli shogun iniziarono ad affrontare il problema della vulnerabilità delle frontiere di fronte alle minacce esterne, ricercando la soluzione nella costruzione di una solida flotta. La generazione successiva dei fautori dell'adozione del sapere occidentale per scopi difensivi ebbe modo di rendersi conto del reale pericolo che minacciava il proprio paese. Parallelamente anche le elaborazioni dei kokugakusha esercitarono un forte impulso: Aizawa Seishisai formulò la teoria del sistema nazionale (kokutai), esaltando la figura dell’imperatore e condannando le dottrine straniere; inoltre concepì il confronto con l'Occidente come una svolta storica, ovvero come la spinta per un rinnovamento morale. Negli ultimi anni del regime Tokugawa esisteva dunque un fermento culturale che conferma l’esistenza di tensioni profonde nella società giapponese. Il senso di crisi generato dall’atteggiamento che l'Occidente stava assumendo in Asia Orientale si intrecciò con la diffusa insoddisfazione scaturita di fronte alla palese incapacità dimostrata dal bakufu di attuare un'efficace politica. Ciò ebbe l’effetto di aggravare la frattura tra governanti e governati e di indurre le autorità di alcuni han a cercare di fronteggiare la situazione a livello locale (tentativi riformistici a Choshu e a Satsuma). Il successo di queste iniziative locali fu comunque limitato dall'assenza di un quadro generale di riferimento. Per destreggiarsi nella rete di rivalità e alleanze, occorreva trasformare il Giappone in una nazione forte e coesa; grazie al fatto che le sue frontiere storiche non avevano subito grandi modifiche, questo spazio geografico racchiudeva vari elementi che potevano essere usati come simboli di unità e di continuità con il passato. Gli shogun Tokugawa dovettero affrontare il problema della ricerca di una posizione in un contesto internazionale che stava mutando; la contestazione del primato cinese e della visione sinocentrica aveva stimolato il processo di emancipazione giapponese. Uno dei rimedi a questo problema fu riscontrato nella politica espansionista. Alle tensioni interne si aggiungono le minacce dalle potenze europee alla politica di chiusura giapponese. Uno dei primi tentativi fu quello che Russia zarista che, non avendo un porto accessibile durante l’inverno, cercò di stabilire rapporti commerciali con il Giappone. Nel 1792 fu inviata una missione da Caterina Il ma la proposta venne respinta. Il tentativo fu rinnovato nel 1804 con lo zar Alessandro | ma ne seguì l'ennesimo fallimento. La pressione russa si allentò durante il periodo della guerra di Crimea, mentre le navi britanniche iniziarono a compiere numerosi approdi, inducendo il governo di Edo a riaffermare la politica del sakoku. Alla vigilia della guerra dell’oppio gli strateghi giapponesi pensavano che un eventuale attacco occidentale fosse diretto verso il Giappone, per creare una base di attacco contro la Cina. L'impero cinese era quasi totalmente autosufficiente rispetto all'Europa, ma non viceversa (the, seta...). il commercio inglese provoca un drenaggio di metalli preziosi. In seguito l’attenzione britannica fu rivolta verso la Cina, ma di fronte all’intransigenza di Pechino, la East India Company aveva dato vita ad un sistema di vendita illegale di oppio in Cina. Ciò contribuì a sovvertire l’equilibrio della bilancia commerciale, dato che l'acquisto di questa merce non era più compensato dalla vendita di prodotti cinesi. Oltre a produrre un vertiginoso aumento della perdita di valuta, l'introduzione dell’oppio (India) procurò effetti deleteri sul piano sociale; nel 1839 Pechino inviò un commissario speciale a Canton con l’ordine di bruciare 1300 tonnellate di oppio sequestrato: ebbe inizio la prima guerra dell’oppio (1839-1842). AI termine della guerra la Cina fu costretta a firmare a Nanchino una serie di trattati umilianti, che la sottopongono ad un controllo economico e territoriale da parte delle potenze occidentali. Cambiano i meccanismi di forza in Asia Orientale: il Giappone inizia a vedere l'Europa come modello e non più la Cina. La presenza dei paesi europei e degli Stati Uniti diventa sempre più capillare. compiuta a condizione che lo Stato assumesse il ruolo di investitore. Il governo guardò in primo luogo all'agricoltura. Nel 1871 il Dajokan si riunì per discutere in merito ad una nuova legislazione fiscale unificata a livello nazionale, si discusse anche la necessità di abolire il divieto di compravendita della terra. Ciò consentì di procedere alla stima della terra secondo il valore di mercato. Nel 1873 fu varata l’Ordinanza di revisione dell'imposta fondiaria, la quale rispondeva all’esigenza di creare un sistema di tassazione che fosse facile da esigere e difficile da evadere; si passò da una tassazione in natura ad un’imposta in denaro. Il fatto di non tener conto delle fluttuazioni del mercato e esigere una tassa in denaro rese precaria la posizione dei piccoli proprietari, che passarono da una condizione di quasi autosufficienza ad una dipendenza diretta dal mercato. Si verificò un netto aumento della concentrazione di terre nelle mani di ricchi proprietari terrieri e una forte crescita di contadini spodestati. La riforma ebbe effetti positivi sul governo centrale che poté stabilizzare le entrate (proventi dell’imposta fondiaria 80% delle entrate complessive. Contribuì a formare il capitale necessario per la modernizzazione). Assicuratosi una fonte costante di reddito il governo adottò un moderno sistema fiscale basato sul bilancio preventivo. La riforma dell'imposta fondiaria consentì allo stato di assumere il ruolo di guida nel processo di rapida industrializzazione nel paese, svolgendo una funzione trainante nello sviluppo economico. Gli investimenti statali si concentrarono in primo luogo nella costruzione di infrastrutture e nella creazione di industrie di base. Fu avviata la costruzione di una moderna rete di trasposti, gli investimenti negli armamenti navali crebbero progressivamente, contribuendo a creare le basi del primo successo che la flotta giapponese avrebbe conseguito. L'intervento statale fu indirizzato verso le costruzioni navali, il settore tessile, edile, nel settore metalmeccanico e nell’industria estrattiva. Allo stesso tempo si cercò di stimolare l’iniziativa privata, promuovendo la crescita di una classe imprenditoriale (gestione dall'alto del processo di industrializzazione). La consapevolezza dei progressi tecnologici e scientifici compiuti dall’occidente indusse i dirigenti a comprendere come il processo europeo e statunitense costituisse un valido esempio da seguire. L’occidentalizzazione non fu un fine, ma uno strumento per realizzare il fukoku kyohei. Lo scardinamento dell'assetto feudale e la creazione di uno stato forte rappresentarono gli obietti principali. Alcuni esponenti del governo si convinsero della necessità di dare una dimostrazione di forza alla Corea che si ostinava a rifiutare i cambiamenti avvenuti in Giappone. Il progetto era in realtà stato concepito come una misura che avrebbe consentito agli ex samurai di riversare la loro insoddisfazione altrove. Il dibattito sull’invasione della Corea (seikanron) assunse i toni di un vero e proprio scontro, la crisi coreana fece emergere le diverse posizioni esistenti all’interno del blocco di potere. Il dibattito si concluse con la non aggressione della Corea. A seguito del seikanron molti uomini abbandonarono il governo e preferirono esprimere la loro opposizione in termini politici; questi fermenti furono ispirati dalle concezioni liberali e democratiche giunte dall’Occidente. Lo slogan bunmei kaika (civiltà a progresso) presupponeva che, per emergere dalla condizione di arretratezza, occorresse guardare alle società occidentali. Con questo obiettivo venne fondato il Meirokusha. In questo contesto vene emanata la riforma del sistema educativo, la quale introduceva un sistema piramidale di scuola, basata sull'idea che l'educazione costituisse il fondamento di una nazione moderna e un diritto da garantire a tutta la popolazione. In questi stessi anni nacquero partiti, movimenti e associazioni. In tutti questi esperimenti di istanza politica volontaria gli oligarchi videro un allarmante segnale; a partire dal 1883 una serie di provvedimenti limitò in modo sempre più rigido l’attività dei partiti politici: si attestò una reazione tradizionalista, fondata sullo slogan “spirito giapponese, sapere occidentale” (wakon yosai). Un esempio di questo cambiamento è evidente dagli interventi attuati nella politica educativa: venne ribadito il primato di una morale concepita in termini confuciani e venne identificato nel legame tra moralità, educazione e governo un requisito essenziale. Lo scopo fu quello di formare i giovani preparandoli a diventare fedeli sudditi dell’imperatore. Era in corso una riaffermazione di tendenze conservatrici. Per procedere alla revisione dei trattati ineguali era necessario consolidare le istituzioni politiche e economiche. Nella seconda metà degli anni settanta si ebbero alcuni tentativi di promulgare una costituzione; nel 1881 un disaccordo oppose le due più influenti personalità del governo, avviando una crisi politica. Lo scandalo che coinvolse uno dei due rivali concluse la disputa e nel 1890 venne annunciata l’istituzione di un parlamento e l’avvio dei preparativi della costituzione. Nel 1895 al posto del dajokan venne istituito il sistema di gabinetto. La costituzione dell'impero del grande Giappone fu promulgata |'11 febbraio 1889: sanciva l’inviolabilità della sovranità imperiale, a cui spettava il controllo supremo del potere politico e delle forze armate. L'imperatore aveva diritto di nomina del governo. Erano inoltre svincolati dal governo altri due organi: il Consiglio privato e il Ministero della Casa imperiale. AI popolo venivano riconosciuti diritti e doveri, pur assegnando alla legge il potere di limitarli e rivelando in tal modo la premessa assolutistica su cui l’impalcatura costituzionale si reggeva. La costituzione del moderno stato centralizzato implicò anche il superamento della eterogeneità sociale e geografica che aveva caratterizzato il Giappone. Essendo fondata sulla premessa di superiorità del modello occidentale, la modernizzazione pose un dilemma in relazione all’identità nazionale; gli oligarchi si resero presto conto dei rischi che comportava la diffusione di alcune concezioni (libertà, individualismo), dunque preferirono limitare la validità del modello occidentale al solo sapere. Queste scelte furono istituzionalizzate nella costituzione meiji, che riconobbe i giapponesi come sudditi di un sovrano divino. L'imperatore costituiva il fulcro attraverso cui il popolo stabiliva la propria appartenenza allo stato. Lo shintoismo venne trasformato in una vera e propria ideologia di stato e svolse un ruolo primario nella costruzione dell’identità nazionale. [Fukuzawa Yukichi: politica imperialista, civilizzazione Asia, civiltà occidentale come modello]. Gli anni ottanta furono caratterizzati da un ritorno alla tradizione, vengono riaffermati i valori tradizionali e inizia una progressiva riduzione degli spazi di dissenso. Si affermava la concezione dello stato come unica grande famiglia sottoposta all'autorità del sovrano, la scuola veniva trasformata in un luogo di indottrinamento. Poste queste scelte di fondo il Giappone diede avvio al rafforzamento interno e alla creazione di un impero coloniale. NAZIONALISMO E PRIMA ESPANSIONE Nel biennio 1889-1890 il superamento del feudalesimo è completato, inoltre con la costituzione e le prime elezioni politiche il Giappone diviene uno stato moderno. Nello stesso periodo si è completato il processo di consolidamento del capitalismo. Zaibatsu: il processo di formazione e sviluppo degli zaibatsu, forma giapponese dei monopoli capitalistici, ebbe luogo a partire dalla cessione a privati delle imprese statali non strategiche, che fu gestita dal ministro delle finanze Matsukata Masayoshi, consentendo al governo di concentrarsi sulle industrie militari. La cessione di tali imprese a prezzi favorevoli rispetto alla loro redditività agevolò i mercanti politicamente protetti (quelli che nel periodo precedente avevano accumulato numerose ricchezze). Essi divennero possessori di capitale finanziario e commerciale e di capitale industriale di nuova acquisizione. Secondo Norman il Giappone saltò la fase del libero scambio in quanto da feudale divenne immediatamente monopolista. in campo economico Matsukata attuò una politica deflazionistica, provvide a riorganizzare il sistema bancario istituendo la Banca del Giappone. Il successo delle sue riforme portò nel 1886 alla fine della politica deflazionistica e all'acquisizione di una solida base monetaria in grado di sostenere l’industrializzazione del paese. Parallelamente il Giappone andava aumentando l’esportazione di seta e di filati di cotone. Nell’ultimo scorcio dell'Ottocento, il sistema scolastico, l’alfabetizzazione delle reclute e la diffusione di messi di comunicazione stavano producendo risultati positivi nella nazionalizzazione delle masse. 1. Il secondo obiettivo, dopo il consolidamento del processo di industrializzazione, fu quello di raggiungere la piena indipendenza dell’impero da conseguire attraverso la revisione dei trattati. La crescita accelerata dell'economia giapponese fu resa possibile dalla contrazione dei consumi interni, collegata a sua volta ai bassi salari operai e all'alta imposizione fiscale sulle rendite fondiarie. Tuttavia il capitale finanziario, nella forma zaibatsu era relativamente debole. Dunque nonostante lo sviluppo accelerato e gli interventi del governo in economia, il capitalismo giapponese fu un capitalismo senza capitali. La scarsità di fondi pone l'imperialismo giapponese in una situazione di fragilità rispetto agli imperialismi occidentali. La politica espansionistica, funzionale alla coesione della società giapponese intorno ad obiettivi nazionalistici ed essenziale per difendere gli interessi del capitale, fu avviata con la guerra contro l'Impero cinese (1894-5), caratterizzata da una natura potenzialmente imperialista, aveva come obiettivo quello di sostituire l'influenza cinese in Corea. La guerra nippo-cinese si concluse con il trattato di Shimonoseki, che rifacendosi ai trattati ineguali previde pesanti clausole. Il tentativo di annettere il Liadong fu contrastato dal “triplice intervento” nel 1895: la Russia preoccupata per l’espansione del Giappone verso la Manciuria, insieme a Germania e Francia, imposero la restituzione della penisola con il pretesto che la cessione avrebbe danneggiato la Cina e messo in pericolo l'indipendenza della Corea. Alla fine considerata la disparità degli armamenti il governo giapponese fu costretto a cedere alla pressione internazionale e in cambio ottenne un aumento dell'indennità di guerra. Questa fu la dimostrazione che il Giappone rimaneva subordinato rispetto alle potenze imperialiste. Con l'espansione delle sue riserve di metallo il governo fu in grado di adottare nel 1897 il gold standard (affermazione di carattere politico). All’inizio del Novecento il Giappone ebbe modo di consolidare i rapporti internazionali, sfruttando la storia del Giappone quello delle donne. Il proletariato maschile mostrò nel complesso una minore subordinazione ai valori sociali non conflittuali. In conseguenza delle trasformazioni economiche e sociali all’inizio degli anni Venti tutta la società risulto profondamente mutata. Si avviò un processo di migrazione dalle campagne nei centri urbani minori e nelle grandi città; inoltre con la crescita del settore terziario si consolidò la media borghesia urbana. Nonostante i mutamenti economici e sociali i partiti non riuscirono a divenire organizzazioni politiche in grado di cogliere le aspirazioni delle classi sociali. Tra l’altro polizia e magistratura perseguirono ripetutamente i raggruppamenti che si ispiravano al socialismo (1918, kome sodo, moti del riso). La repressione dei moti del riso provocò la fine del governo del primo ministro che fu sostituito da Hara Takashi. Con la fine del governo Terauchi si giunse alla consapevolezza da parte del blocco dirigente che lo spargimento di sangue e gli antagonismi sociali erano inconciliabili con il perseguimento dell’armonia sociale. Hara fu il primo uomo di partito non appartenente né all’oligarchia né alla cerchia di fedeli. La sua nomina fu decisa sulla base del fatto che era a capo del partito di maggioranza alla camera bassa. Aveva convinzioni politiche ispirate all'ideologia dominante. [democrazia Taisho? 1912-1926] Alla sua morte divennero primi ministri due ammiragli. Nonostante la censura e gli interventi repressivi, i moti del riso diedero slancio all’organizzazione del proletariato; la prima forma di associazione fu opera di Suzuki Bunji che nel 1912 fondò l'Associazione della fratellanza, e, dopo il rientro dalla conferenza di Versailles, fondò il primo sindacato giapponese (Sodomei). La sodomei unificò le preesistenti società di mutuo soccorso e inglobò le prime forme di organizzazione sindacale. Obiettivi primari divennero le richieste di varare una legge per la previdenza sociale, di abolire il lavoro notturno e minorile, di prevenire la disoccupazione e di avviare il restauro dei quartieri operai. Le leggi limitative delle libertà politiche e dei diritti civili, la supervisione della burocrazia statale furono ostacoli insormontabili, dunque il sindacato ebbe poco possibilità di crescita. La storia dello sviluppo di istituzioni politiche e culturali antagoniste, o semplicemente non coerenti con il sistema, fu costellata in Giappone da azioni repressive e da persecuzioni. Lo sviluppo economico e le trasformazioni sociali conseguenti alla prima guerra mondiale crearono nella società giapponese attese per il dopoguerra, in ampi strati della popolazione si diffuse un profondo senso di orgoglio nazionale. Tuttavia le aspettative andarono in parte deluse. L'espressione “vittoria mutilata” si adatta bene al sentimento diffuso nella classe dominante e fra i ceti popolari dopo la firma del trattato. Durante il conflitto mondiale il Giappone aveva tentato di consolidare la propria egemonia in Asia Orientale: la diplomazia di Tokyo attuò una politica finalizzata a trasformare la Cina in colonia giapponese. A tale scopo vennero presentate le “ventuno richieste” al governo cinese, che ne accettò sedici, che portarono al potenziamento dell’egemonia giapponese in Cina. Nel periodo bellico il governo intensificò la propria offensiva diplomatica che aveva al centro la questione cinese: Tokyo strinse una serie di accordi segreti finalizzati al mantenimento di una condizione privilegiata al termine del conflitto. Inoltre spinto da questa esigenza aderì alle sollecitazioni degli alleati e partecipò alla spedizione in appoggio delle armate bianche. Segnali preoccupanti per il blocco di potere vennero nel 1919 con i movimenti del Primo marzo in Corea e del Quattro maggio in Cina (spettro del comunismo). Alla conferenza di pace di Versailles la delegazione giapponese non riuscì a far accogliere tutte le richieste, la questione dello Shandong fu rinviata a trattative dirette tra il Giappone e la Repubblica cinese. Il punto di maggiore attrito tra il governo di Tokyo e gli alleati fu rappresentato dal mancato riconoscimento della parità razziale. All’interno del blocco di potere dominante crebbe l’opinione che le potenze occidentali intendessero mantenerlo in una posizione di subordinazione politica e economica. Tra le masse venne rafforzandosi uno sciovinismo che accentuò l’antioccidentalismo. Poco dopo si tenne la Conferenza di Washington che registrò il declino del primato mondiale della Gran Bretagna e sancì il contenimento delle aspirazioni giapponesi nell’area del Pacifico. Fu sancita la fine del trattato anglo- giapponese, sostituito da un Trattato del Pacifico, firmato da Giappone, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, il Giappone fu costretto a restituire la penisola del Jiaochou alla Cina. In Giappone prevalse un giudizio fortemente negativo sulla volontà degli Stati dell’intesa di riconoscere il sostegno svolto dal paese durante il conflitto. Il periodo successivo, fino ai primi anni Trenta, fu caratterizzato da una serie di congiunture negative seguite da momentanee riprese. Alla crisi seguita alla fine del conflitto si erano aggiunti altri elementi di preoccupazione di origine internazionale. La rivoluzione d’ottobre in Russia fu considerata una minaccia incombente; inoltre nel 1919 in Corea e in Cina presero corpo movimenti di massa contro la dominazione imperialista. La crisi di riconversione che colpì gli Stati Uniti si riversò con estrema violenza sull'economia giapponese. | manufatti prodotti nei Paesi dell'Intesa ripresero a occupare il mercato asiatico, riducendo lo spazio commerciale giapponese. A queste difficoltà si aggiunse nel 1923 il terremoto del Kanto, a seguito del quale partì una violenta persecuzione di cinesi e coreani presenti a Tokyo. Accanto all'andamento altalenante della produzione industriale, la struttura e l’organizzazione del settore primario rimase inadatta a superare la stagnazione agricola, l'introduzione della meccanizzazione fu limitata e non ha permesso incrementi della produttività. Nel 1924 venne varata la Legge per l’arbitrato dell’affittanza. Nella seconda metà degli anni Venti, nella società giapponese si manifestarono tensioni e si profilavano possibili movimenti che rischiavano di incrinare la compattezza della società. Il club riformatore e i partiti Kenseikai e Seiyukai diedero vita a una coalizione nella camera bassa e formarono una maggioranza in appoggio del governo di Kato Takaaki, presidente del primo governo di partito (esecutivi operanti tra 1924-1932, arco di tempo in cui i governi nacquero sulla base di maggioranze parlamentari). Anche i governi di partito dovettero però sottostare a regole determinate dai rapporti di forza interni al blocco di potere. La subalternità dei partiti politici emerse in tutta evidenza nel 1925. La tensione presente nella società indusse il governo a dare una risposta alle rivendicazioni del movimento per il suffragio universale. Il 5 maggio venne approvata la legge che istituì il suffragio universale maschile, con numerose limitazioni. Alla limitata apertura democratica fece seguito l'approvazione della Chian ijiho, Legge per il mantenimento dell’ordine pubblico; la legge rappresenta un punto di svolta nel processo politico giapponese, infatti i funzionari del ministero degli interni, la polizia e la magistratura la utilizzarono più volte per colpire legalmente ogni opinione difforme all'ideologia dominante. La legge, inoltre, perseguendo i crimini di pensiero, dette ampie possibilità di intervento sia contro le attività politiche si contro le ideologie considerate pericolose. DAL FASCISMO AL CROLLO DELL’IMPERO 1. Nel ventennio che seguì l'approvazione della Chian ijiho, il regime adottò una politica sempre più repressiva contro i propri oppositori: da autoritario divenne compiutamente fascista. | primi interventi furono attuati in chiave antimarxista e antiproletaria (incriminazione studenti di sociologia dell’Università di Kyoto e nel 1928 arresto dei dirigenti e militanti del partito comunista). Il regime fascista giapponese non si limitò a imprigionare militanti e a reprimere organizzazione del proletariato, ma perseguitò personalità vicine al liberalismo. In questo senso sono emblematici il caso Minobe e il caso Tsuda: il primo indica un intervento repressivo contro Minobe Tatsukichi, costituzionalista, che aveva enunciato la teoria dell’organo, secondo la quale l'Imperatore era un organo dello Stato e non al di sopra di esso; Tsuda Sokichi pubblicò alcuni studi che posero scientificamente in discussione la cronologia ufficiale che fissava all’11 febbraio 660 a.C. la fondazione del paese. Questi due casi sono emblematici della stretta autoritaria del regime fascista giapponese, in quanto rappresentano l’epilogo della storia della repressione di ogni dissenso, iniziata nel 1925. Per quanto riguarda i reati di opinione, il ministero degli interni compilò un elenco di riviste e di libri dei quali fu vietata la circolazione; il ministero dell’educazione accentuò la sua azione di controllo sul dibattito e sulla ricerca accademica. | principali strumenti della coercizione furono il Tokubetsu koto keisatsu (apparato di polizia speciale superiore) e i procuratori del pensiero, insediati presso ogni tribunale. Questi ultimi ebbero ampi margini di manovra all’interno della dicotomia consenso/coercizione. Fu messa in atto la pratica Il familismo postula all’interno della società rapporti di tipo familiare, tutta la società giapponese rappresenta una grande famiglia. Il ruralismo è una teoria che pone al centro della società la comunità agricola, con il suo spirito di autogoverno. La comunità agricola doveva rappresentare il modello ideale al quale la società doveva ispirarsi. Il panasiatismo velava sotto la demagogia dell’unione di tutti i popoli le mire espansionistiche sul continente contro l'imperialismo bianco. La dominazione giapponese si fondò sull’occupazione di territori al fine di garantire sia le materie prime alle proprie industrie, sia la penetrazione sui mercati, sia gli investimenti dei capitali zaibatsu. La conquista della Manciuria avvenne nel corso della crisi del 29, ma tutti gli anni venti ebbero un andamento altalenante. AI susseguirsi di cicli positivi e negativi, nel 1927 fece seguito lo Showa kyoko (panico). L'origine della crisi finanziaria risale alle misure adottate allo scopo di riavviare l'economia. La gravità della situazione è evidenziata dallo sviluppo tra capitale bancario versato e depositi della clientela. Il nuovo governo fu costretto a intervenire proclamando una moratoria, cioè la sospensione di tutti i pagamenti da parte delle banche. Le misure introdotte diedero luogo ad una riorganizzazione del sistema finanziario e del settore industriale. Molte piccole imprese dichiararono il fallimento e i risparmiatori accentuarono la tendenza a ricorrere ai servizi delle banche principali. Dunque le grandi banche dei maggiori zaibatsu beneficiarono della crisi. Il riassetto finanziario non riavviò il sistema economico; le maggiori difficoltà derivavano dalla mancata riadozione del gold standard, lo yen era sottoposto a continue oscillazioni. La vicenda del ritorno al gold standard dimostra conoscenze assai approssimative delle teorie economiche da parte degli ambienti politici e finanziari. Nel 1929 il Giappone annunciò il ritorno alla base aurea, una decisione del tutto inopportuna in quanto avvenne dopo il crollo di Wall Street, nel momento in cui i paesi avanzati lo stavano abbandonando per consentire la libera fluttuazione delle monte. L’avvio della svolta in economia è dovuto all’azione di Takahashi Korekiyo: abbandonò la politica liberista e accentuò l'intervento statale in economia. Introdusse l'abbandono del gold standard, la dilatazione della spesa pubblica, l'ampliamento dell’emissione fiduciaria, la riduzione del tasso di interesse, il sostegno dell’economia rurale (keynesiano ante litteram). Tra il 1931 e il 1935 il governo aumentò gli stanziamenti a favore di esercito e marina. L'esercito giapponese nel luglio 1937 invase la Cina dando inizio alla Guerra dell'Asia Orientale. Il conflitto fu concepito come una guerra totale, che comportò la progressiva ristrutturazione dell'economia in funzione dello sforzo bellico, l'ulteriore stretta autoritaria e la riorganizzazione del sistema politico-partitico. Si attuò il passaggio dal parziale liberismo al dirigismo statale. In questo clima il parlamento approvò la Legge di mobilitazione generale nazionale (Kokka sodoinho) che forniva le indicazioni di carattere generale al cui interno il governo o il parlamento potevano emanare norme specifiche. Venne meno uno dei principali fondamenti del liberismo: la separazione dei tre poteri. Proclamata questa legge, il primo ministro proclamò la volontà di istituire in Asia un nuovo ordine. Sul piano internazionale venne firmato il Patto tripartito con l’Italia fascista e la Germania nazista e l’anno successivo venne occupata l’Indocina settentrionale. Dopo la firma del Patto di neutralità con l'Unione Sovietica l’esercito imperiale occupò l’Indocina meridionale, azione che comportò l'embargo da parte degli Stati Uniti. L’8 dicembre 1941 il Giappone attaccò la base statunitense di Pearl Harbor. La guerra diventò mondiale. All’inizio il Giappone riscontrò numerosi successi, vennero sconfitti dagli alleati nella battaglia delle Midway. Dal 1937 esponenti di rilievo del blocco di potere fascista operarono per attuare controlli centralizzati sull'economia. L'intervento dello stato aveva trovato valida applicazione, in particolare, la partecipazione pubblica era preminente nell’industria dell’acciaio e nelle società che indirizzavano gli investimenti di capitale nelle colonie o in Manciuria. Fin dai primi anni trenta, molti intellettuali e studiosi giapponesi guardarono alle esperienze del fascismo italiano, del nazismo e dell’Unione Sovietica. Negli anni in cui si sviluppò il dibattito sulla riorganizzazione dello stato si chiarì definitivamente il nesso esistente tra la riorganizzazione e il suo obiettivo finale: l'espansione in Asia Orientale e Meridionale in sostituzione dell’imperialismo bianco. L’intervento dello Stato in economia operò lungo due direttrici: una fu costituita da massicci investimenti pubblici nel settore degli armamenti, l’altra consistette nella promulgazione di una serie di provvedimenti legislativi di regolamentazione e controllo dei settori industriale e finanziario. Accanto a questi l’amministrazione statale emanò una serie di norme atte a razionalizzare la raccolta e la distribuzione dei prodotti alimentari. La regolamentazione dell'economia non avvenne solo tramite leggi, decreti e ordinanze; la Sezione del Piano stilò infatti il Piano per la mobilitazione delle risorse e altri piani per rafforzare il controllo su commercio, lavoro, capitali, trasporti e energia elettrica. Il perdurare della Guerra dell'Asia Orientale, l’irrigidimento delle relazioni con Washington e il possibile conflitto con Usa sfociarono in ulteriori controlli sull'economia: vennero fondate tredici associazioni di controllo nelle industrie chiave, che avrebbero dovuto collaborare all’attuazione di un piano economico, ma fallirono per diverse cause. In definitiva, negli anni della guerra, fu attuata un'economia controllata dall’amministrazione statale. Inoltre sul piano dell'intervento finanziario dello stato, l’amministrazione giapponese operò attraverso vari tipi di società per la politica nazionale. Negli anni successivi al 1937 il potere dello stato in economia si accentuò e si completò la separazione tra proprietà e management. I sudditi giapponesi parteciparono attivamente alla guerra, la propaganda che puntò sullo sciovinismo, sul comunitario e sulla unicità della razza ebbe facile presa; mancò qualsiasi forma di resistenza, anche perché chi si opponeva veniva inviato al fronte (regista). La popolazione fu sottoposta al razionamento dei prodotti tessili e alimentari, subì incursioni aeree e bombardamenti. L’aggravarsi della situazione impose ulteriori interventi da parte dell’amministrazione pubblica e le associazioni di rione e di vicinato divennero il fondamento del sistema. Con il prolungarsi del conflitto fiorì il mercato nero, divennero sempre più frequenti i “crimini economici”. A sostenere lo sforzo produttivo furono chiamate ampie fasce della popolazione. Le difficili condizioni di vita peggiorarono nel 1944. Coni bombardamenti atomici e l’entrata in guerra dell’Unione Sovietica Tokyo accettò la resa incondizionata. L'OCCUPAZIONE E IL MIRACOLO ECONOMICO 1. L'occupazione statunitense del Giappone si protrasse dal settembre 1945 all'aprile 1952. | paesi occupati dal Giappone durante la guerra del pacifico ritornarono sotto la dominazione coloniale o furono restituiti alla Cina (Taiwan e la Manciuria), mentre la Corea fu occupata dall'Unione Sovietica e dagli Stati Uniti a sud. Il Giappone usciva prostrato dalle guerre (8 milioni di senzatetto). Il Piano per l'occupazione del Giappone era stato elaborato da una commissione istituita nel 42 quando le sorti della guerra iniziarono a volgere a favore degli Stati Uniti. Quando Tokyo accettò la resa il presidente Truman nominò capo del comando supremo delle potenze alleate Douglas MacArthur, affidandogli l’obiettivo di democratizzare e smilitarizzare il Giappone. Venne istituita la commissione per l’Estremo Oriente. Nella politica di occupazione le scelte strategiche e gli interventi quotidiani furono prerogativa degli Stati Uniti. All’interno del periodo di occupazione la politica statunitense subì un mutamento radicale, tra il 1946-7 si verificò la cosiddetta inversione di rotta: il Giappone da nemico sconfitto divenne il principale alleato degli Stati Uniti in Asia. Lo Scap nell’applicare il programma di intervento operò per mezzo di direttive impartite al governo giapponese, responsabile della loro applicazione (diversamente in Italia e Germania). Venne richiesta inoltre la stesura di una nuova costituzione, l'introduzione dei diritti politici avviò il processo di formazione dei partiti. Dopo meno di due anni di occupazione Washington riconsiderò le scelte politiche: paradigmatica fu la vicenda della “giustizia dei vincitori”; per volontà degli Stati Uniti non furono prese in considerazione le prove di alcuni fatti gravissimi, tra cui il massacro di Nanchino e la vicenda delle comfort women. 2. Il governo statunitense, con l'appoggio britannico, optò per la non perseguibilità dell’Importatore Hirohito: Washington ebbe timore che con l’abdicazione del sovrano si corresse il rischio dell’instaurazione di un regime repubblicano e oltre a ciò, secondo MacArthur avrebbe comportato la sollevazione di gran parte della popolazione e l’indebolimento dei vertici burocratici. CRISI, NUOVO SVILUPPO E RECESSIONE 1. Nei primi anni settanta iniziarono a profilarsi in Giappone i segni della crisi, le cause principali sono da ricercarsi in decisioni esterne. Nel 1971 Nixon annunciò l'abbandono del gold standard, con questa misura le monete iniziarono a fluttuare. Inoltre gli Stati Uniti al fine di ridurre il forte saldo commerciale in passivo con il Giappone iniziarono a porre restrizioni alle importazioni di prodotti giapponesi. In questo contesto si inserì la crisi petrolifera del ’73. Le condizioni per il superamento della crisi e per la ripresa dello sviluppo ebbero radici sia endogene sia esterne. All’interno agì da propulsore lo stesso sistema economico-sociale (contribuì l’intera nazione). Il governo operò attraverso Programmi redatti dall’Agenzia per la programmazione economica. Nel 1978 e 1983 il governo approvò due leggi che permisero agli imprenditori la riorganizzazione con l'assistenza dello stato, un esempio è l'industria cantieristica. Il governo favorì le fasi di transizione dei lavoratori disoccupati con l'assegnazione di sussidi, di indennità di formazione e di spese per lo spostamento di residenza. In alcuni settori al contrario si registrò una crescita colossale: nella fabbricazione di automobili, le vendite aumentarono sia all’interno che all’esterno, dove le auto si imposero per i prezzi contenuti e l’alta qualità (Toyota, Nissan); la politica protezionista statunitense promosse investimenti giapponesi negli Stati Uniti e favorì una maggiore interdipendenza tra le due economie. Anche il settore delle costruzioni elettriche e elettroniche trasse grande vantaggio dalla crisi. 2. Lo sviluppo successivo alla prima crisi petrolifera permise la stabilità economica fino al 1985, quando l’economia giapponese entrò nella recessione endaka (apprezzamento dello yen). L'accordo del G7 firmato a Parigi consentì solo una temporanea stabilità. In questa situazione le banche stimolarono la domanda di prestiti dei clienti. Crebbero i consumi di beni voluttuari e la domanda di residenze. Grande espansione del commercio al dettaglio. Da questa situazione trassero vantaggio soprattutto le sei maggiori imprese edili che fruirono anche di massicci lavori pubblici. L’euforia da endaka fece aumentare gli investimenti all’estero, furono gli anni delle grandi operazioni finanziarie internazionali, dell’aggressione delle istituzioni finanziarie giapponesi ai mercati statunitense e europeo. 3. L'economia giapponese tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta ha in sé i segni di una grande fragilità. Il mercato interno è sostanzialmente drogato dall’incentivo ai consumi consentiti dal facile ricorso al prestito bancario. Il problema riguarda le difficoltà nel recupero dei crediti da parte degli istituti bancari. La recessione colpisce imprese, che iniziano a ridurre il personale e famiglie. Il licenziamento ha gravi conseguenze individuali e sociali (’98 i suicidi superano le 30000 unità). Un altro problema è costituito dall’invecchiamento della popolazione, dovuto all'allargamento della speranza di vita e al calo delle nascite. Una peculiarità del Giappone è costituita dai rapporti tra il sistema burocratico e quello politico. La particolarità risiede nel potere di gestione e di iniziativa legislativa dei burocrati. In Giappone le proposte di legge raramente sono di iniziativa parlamentare, in genere sono i funzionari di medio livello dei singoli ministeri che provvedono a stilare i disegni di legge. Segno evidente del potere burocratico è la stessa organizzazione dei vertici dei singoli ministeri e agenzie governative, infatti al ministro e ai sottosegretari di appartenenza politica si affianca un sottosegretario di provenienza burocratica. Questa interdipendenza burocratico-politica ha conseguenze anche a livello parlamentare e politico generale. In sostanza, il sistema politico appare relativamente debole, mentre i funzionari ministeriali fruiscono di ampi margini di azione. Nel secondo dopoguerra i governi che si sono succeduti sono sempre stati formati da politici di area liberaldemocratica. Con le elezioni della camera alta nel 1989 si apre una fase di incertezza e turbolenza politica, anche le elezioni della camera bassa del 1990 videro una flessione del PId. La crisi politica fu palese in occasione delle elezioni della camera bassa del ’93 che decretarono l'allontanamento dei liberaldemocratici. Fu eletto Hosokawa Morihiro del Nuovo partito del Giappone, ma il suo governo si fondò su una coalizione fragile e nel 1996 tornò alla guida del governo il PId, che nelle elezioni del ’98 subì una nuova contrazione. Nel 1996 veniva fondato il Partito democratico. Il premier Hashimoto (PId, 1996) lanciò un programma di riforme che ebbe molte difficoltà a decollare. Riguardò il sistema finanziario, l'economia, il sistema politico-burocratico e quello dell'educazione. Si dibatte sulla fondazione di un nuovo modo di studiare, dalla scuola elementare all’università. Tuttavia pare stia emergendo un indirizzo di non cambiamento, una linea di irrigidimento e di chiusura. Chiusura che attualmente è in vigore attraverso il divieto di adozione nelle scuole di libri di testo senza il visto ministeriale. Inoltre la scuola giapponese è molto selettiva, determinanti per la vita futura sono già i primi passi come scolaro. Le relazioni internazionali del Giappone sono state caratterizzate per lungo tempo dall’allineamento alla politica statunitense. Per il governo è sempre stato di particolare importanza mantenere buone relazioni con i paesi fornitori di materie prime. In questo contesto si colloca la contrattazione permanente dei rapporti bilaterali con gli Stati Uniti. È riconoscibile l’obiettivo di una più spiccata indipendenza da Washington. Durante la guerra del Golfo, l’Onu inviò contro l’Iraq una forza di combattimento e chiese al Giappone di partecipare. La richiesta pose gravi problemi in quanto la Costituzione vieta la partecipazione a qualsiasi azione militare. Il dibattito si concluderà nel 1992 con l'approvazione di una legge che consente al corpo di sicurezza nazionale di partecipare alle operazioni di peace-keeping delle Nazioni Unite in Cambogia (khmer rossi). Con la caduta del muro di Berlino la diplomazia giapponese ha tentato di trovare con la Russia un accordo per la restituzione delle isole a nord di Hokkaido, senza aver successo. Le relazioni diplomatiche del Giappone presentano parecchi punti di tensione. Dall’ultimo decennio del XX secolo, le linee di politica internazionale di Tokyo tendono all’affermazione del Giappone come potenza regionale. Oltre che puntare alla politica dell'assegno con investimenti in Cina, Corea del sud e paesi dell’Asean, ha compiuto alcune scelte politiche. Il caso di maggiore tensione è costituito dalla condanna della Repubblica democratica popolare della Corea da parte del presidente Bush. Le relazioni con la Corea del nord presentano numerosi punti di tensione. Nel 2002 Tokyo ha riaperto il canale di comunicazione con Pyongyang. Dal 2003 fa parte del Gruppo di sei, insieme a Stati Uniti, Rep. Di Corea, Russia, Cina e Repubblica democratica popolare di Corea. Il Giappone tra la fine della seconda guerra mondiale e l’ultimo scorcio del novecento è diventato la seconda potenza economica mondiale. Percorso che è stato costellato da periodo di crisi e di sviluppo. La recessione dei primi anni novanta, dovuta allo scoppio della baburu ekonomi (fallimento di cinque banche a causa della inesigibilità dei prestiti: economia della bolla), si è allentata solo nel 2005. La risposta delle istituzioni per lungo tempo non è stata risolutiva. La persistente crisi ha favorito l’ingresso di capitali stranieri. La banca del Giappone ha deciso di abbandonare il tasso zero, introducendo il tasso di interesse dello 0,25%. SVILUPPI INTERNI E SFIDE INTERNAZIONALI NEL NUOVO MILLENNIO 1. Lo scoppio della bolla speculativa segnò l'epilogo di una prolungata fase di sviluppo economico, nel corso del quale il Giappone si era affermato come seconda potenza economica, la stabilità politica era stata garantita da un’ininterrotta egemonia liberaldemocratica, i lavoratori avevano beneficiato di una sicurezza occupazionale. Nel 2010 il Giappone ha dovuto cedere il posto di seconda economia mondiale alla Cina e la società è stata oggetto di numerosi mutamenti. Dopo aver registrato una ripresa agli inizi del millennio la situazione economica ha pesantemente risentito gli effetti della crisi finanziaria del 2008, che ha causato una grave militare statunitense di Futenma al di fuori della provincia di Okinawa, spostamento che era stato concordato nel 1996. Nel 2006 il governo di Koizumi e Bush avevano sottoscritto un accordo sul riallineamento delle forze statunitensi in Giappone, il quale prevedeva il trasferimento a Guam di circa 8mila militari e altri civili americani, nonché la riallocazione della base nella baia di Henoko. L'accordo aveva provocato una mobilitazione della popolazione locale. La prospettiva di rivedere l’accordo aveva provocato reazioni nell’esecutivo di Obama. Un altro punto di attrito nel programma di Hatoyama riguardava il ritiro della missione della marina giapponese nell'Oceano Indiano, inviata nel 2001 per rifornire le forze internazionali impegnate in Afghanistan. Hatoyama è stato costretto a riconoscere l'impossibilità delle sue richieste e l’importanza della cooperazione con gli Stati Uniti. Il ritorno dei liberaldemocratici al governo nel 2012 ha fornito un'ulteriore conferma della solidità e priorità dell’alleanza nippo- statunitense. Per quel che riguarda la Corea del nord, l'impegno del governo coreano di porre termine al programma nucleare è stato disatteso; nel 2010 l'affondamento di una corvetta sudcoreana ha acuito le tensioni, che sono aumentate con l’ascesa al potere di Kim Jong-un. L'ascesa economica e militare della Cina ha contribuito a rendere sempre più conflittuali le relazioni tra Tokyo e Pechino. Emblematica è la disputa territoriale per le Senkaku, un gruppo di isole disabitate situate in una zona ricca di riserve petrolifere. Le isole rientrano negli accordi di pace del 1952 e furono poste sotto l'occupazione statunitense fino al 1972. La Cina, che non sottoscrisse il trattato di pace, denuncia la mancata restituzione delle isole, occupate dal Giappone imperiale e quindi riottenute con il crollo dell’impero coloniale nipponico nel 1945. Il governo giapponese nel 2012 ha annunciato l’acquisto di una parte delle isole dai legittimi proprietari. Xi Jinping nel 2015 ha sottoposto l’area al controllo cinese, suscitando la reazione degli stati uniti. Dunque è anche nel contenimento della Cina che gli obiettivi di Tokyo si saldano a quelli statunitensi. L’amministrazione Obama ha adottato la strategia del “pivot to Asia”, che identifica quella regione come fulcro della sua politica. Oltre a riaffermare la leadership regionale degli Stati Uniti, individua nell’Asia lo spazio in cui espandere gli scambi commerciali; politica che si è tradotta nel 2015 nella conclusione della Trans pacific Partnership, nella quale non è compresa la Cina. Sui rapporti tra Tokyo e Seoul pensano numerosi problemi, a partire dalla questione delle comfort women (accordo nel 2015). Un altro problema è rappresentato dalla contesa per il gruppo di isolotti Takeshima. L'Asia Orientale se è caratterizzata da un dinamismo economico è anche pervasa da profonde conflittualità e spinte nazionalistiche.
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