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Riassunto Storia della critica d'arte di Lionello Venturi, Sintesi del corso di Storia Dell'arte

Riassunto chiaro, preciso e completo del libro "Storia della critica d'arte" di Lionello Venturi, suddiviso in capitoli e paragrafi.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 28/12/2021

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Scarica Riassunto Storia della critica d'arte di Lionello Venturi e più Sintesi del corso in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! Riassunto Storia della critica d’arte Lionello Venturi L I Greci e i Romani La critica d’arte in Grecia nel III secolo avanti Cristo e le idee di Platone e Aristotele Il pensiero critico sulla scultura e la pittura del III secolo in Grecia ci è stato tramandato da Plinio il Vecchio nella sua “Natura Historia”. I giudizi che troviamo all’interno del suo testo sono presi dai trattati della pittura e della scultura di Senocrate di Sicione, scultore della scuola di Lisippo, e dai trattati di Antigono di Karystos. Prima di Senocrate tutte le arti erano pensate come un prodotto dell’ispirazione divina che dovevano rispettare dei canoni di armonia e di ritmo. A queste leggi appartiene anche il canone di Policleto della figura tetragona, cioè costituita da proporzioni numeriche di origine pitagorica. Quando Senocrate scrive il trattato dedicato a pittori e scultori, non si limita più all'enunciazione di una legge astratta come il canone di Policleto, ma mette in rapporto le sue idee estetiche con alcune personalità artistiche facendo scaturire quindi la critica. Con Senocrate si giunge quindi per la prima volta ad un livello intellettualmente elevato della critica d’arte. Due fattori contribuirono ad elevare la critica d’arte: il prammatico e il culturale. Senocrate seguiva nel suo lavoro letterario le norme retoriche dell’ecfrasì mirava a creare un linguaggio capace di rappresentare o uguagliare le immagini descritte. Egli aveva avuto davanti a sé, come esempi di maestri, Platone e Aristotele; l'interesse storico per l’arte infatti fu vivo in Aristotele e gli accenni alla storia della poesia, delle sue origini e suoi contributi, nella Poetica, furono dei modelli per Senocrate. Duris di Samo, discepolo di Teofrasto, della seconda metà del IV secolo, raccontò le vite degli artisti senza discuterne le opere, tranne in alcuni casi come per esempio, quando interpretò l’idealismo di Zeusi, con la scelta delle parti belle dei corpi naturali che in sé non sono mai perfetti. La profonda differenza che vi è tra Duris di Samo e Senocrate è che nel primo la critica scaturisce quando l’aneddoto tocca l’idea, nel secondo quando la regola si concreta in un artista o in un’opera. Questa fu la doppia origine della critica d’arte, tra fine IV e inizio III secolo a.C. che si conservò fino al XVIII secolo, secolo in cui si scrisse la storia dell’arte e non la storia degli artisti. I limiti che si riscontrano nella critica di Senocrate sono dovuti al fatto che conosce solo l’arte greca del V e del IV secolo. Nell’antichità si deve sottolineare anche il fatto che non si cercò di rappresentare lo svolgimento dei valori umani, ma si cercò di determinare i fatti avvenuti, di spiegarli nelle loro cause immediate e di trarne ragione di ammonimento. Chi scrisse d’arte si occupò solo di trarne ragione di perfezionamento per la disciplina. Per quanto riguarda il pensiero estetico, i problemi principali che posero Platone e Aristotele furono quelli della fantasia, del piacere estetico, del bello, della mumesi. La fantasia, o immaginazione creatrice, che oggi è considerata come l’attività spirituale che produce le opere d’arte, assume significati diversi nelle tappe del pensiero di Platone. Nella “Repubblica” egli distingue l’arte che si occupa della simiglianza (icastica) da quella che si occupa delle apparenze (fantasia). Nel “Filebo” invece la fantasia da forma all’opinione aiutando a sorreggere il concetto. Nel "Fedro” e nel “Timeo” Platone afferma che la fantasia si avvicina all’intuizione, all’ispirazione e al sogno, il quale, appartenendo anche esso all'anima, produce fantasie piuttosto che immagini reali. Sempre secondo Platone quindi la fantasia ha un legame sia con i sogni che con Dio. Aristotele si oppone all'idea platonica; egli riduce l’arte sotto il concetto di mimesi o imitazione riservando lo studio della fantasia alla psicologia. Platone e Aristotele, non occupandosi di estetica in senso modemo, non trovarono rapporto tra fantasia e arte, ma a proposito del concetto di fantasia hanno stabilito due principi esterni: il primo l’ha trascesa dalla ragione e il secondo ha affermato che è presente nella nascita del pensiero. Entrambi inoltre si sono accorti che le bellezze naturali e le opere d’arte danno piacere, e hanno distinto il piacere estetico dal piacere sensuale. Aristotele ha definito i piaceri estetici di vista, udito e odorato come disinteressati; quindi il piacere ricavato dalle opere d’arte, condannato da Platone, è ammesso da Aristotele come legittimo. Platone ha esaltato l’idea del bello, ma né lui né Aristotele hanno detto che il bello fosse l’essenza dell’arte; anzi Platone, nel Filebo, ha escluso che la bellezza assoluta si potesse trovare nelle pitture. La loro bellezza è relativa, per loro la bellezza assoluta si trova solo in figure geometriche, colori puri e suoni puri. I corpi più belli sono quattro: tefraedro, ottaedro, icosaedro, cubo. Platone e Aristotele sono d’accordo nel determinare le specie della bellezza in ordine, simmetria e limite. Il limite è il contrario dell’infinito, la simmetria è proporzione. Attraverso la proporzione sorge in Aristotele il concetto del rapporto tra misura e convenienza e tra convenienza e bellezza. Il concetto di arte in Platone e in Aristotele comprende non solo la poesia, le arti figurative e la musica, ma anche i mestieri e le scienze applicate. C'è però anche un'ulteriore distinzione: le arti creative e le arti imitative dove quest'ultime sono subordinate alle prime e sono quelle che noi chiamiamo arte. I due filosofi si interessano molto alla poesia che usa il solito mezzo di espressione della filosofia, ma assai molto meno alla pittura e alla scultura in quanto qui è molto più evidente il processo di imitazione che deve essere oggettiva. L'esigenza di imitazione materiale si intreccia in Platone col disgusto per i mutamenti e col desiderio che gli artisti non innovino nulla di ciò che è ammesso nella dottrina tradizionale; i due infatti preferiscono pittori e scultori che li hanno preceduti: Fidia e Policleto in particolare. Le idee di Plotino, di Sant'Agostino e di San Tommaso Il principio che permise a Plotino (203-270 d. C.) di trascendere dal concetto d’imitazione fu quello di emanazione di origine orientale. L'oggetto materiale diventa bello solo quando vi partecipa il pensiero che discende dal divino. La fantasia ha il compito di rappresentare le sensazioni, al di sopra di essa vi è la facoltà di contemplazione che è l’attività mistica. L'arte deve trascendere dalla natura: questa fu l’idea che ha condizionato l’arte per tutto il medioevo ed è proprio su questo che Plotino si vece iniziatore di una nuova epoca nella storia dell’estetica che lo distacca dalla filosofia classica e che fa di lui il massimo annunciatore dell’arte medievale. La sua attenzione si porta sulla scultura sostenendo che nel passaggio dall'arte stessa alla creazione dell’autore della materia, una parte di bellezza si perde; secondo lui non è vero che gli artisti imitano semplicemente ciò che vedono con gli occhi. L'artista dunque trasforma la materia in una forma che non è razionale. I mistici cosi si dovettero limitare a riconoscere il valore spirituale delle visioni senza definirne l’umano processo; tuttavia i pensatori paleocristiani si interessarono al problema della fantasia ed ammisero in essa un doppio carattere, sensibile e sopra-sensibile. Con Sant'Agostino si diede un nuovo impulso alla concezione della fantasia come immaginazione creatrice e connessa alla libertà di volere. Le creazioni interiori sono opera della visione spirituale, a sua volta definita come una specie di forza mediatrice della visione corporea ed intellettuale. Tutto ciò va quindi oltre l’analisi psicologica di Aristotele; come moralista Sant'Agostino ammette che l'immaginazione possa portare sia alla salvezza che alla dannazione. Per quanto riguarda invece il problema del bello e del brutto dice che il brutto non è propriamente tale, ma è qualcosa di meno bello rispetto alla norma. Sant'Agostino è un uomo libero dal razionalismo quando si tratta di esporre un giudizio su un’opera d’arte; il giudizio diretto è il giudizio dei sensi, ma vi è anche il giudizio superiore della ragione che giudica però sulle leggi della bellezza che vengono da Dio. Egli non ama particolarmente la pittura e la scultura tra le arti, ma la musica e l’architettura. Quest'ultima tra le arti figurative è la più astratta dall’imitazione naturale ed infatti egli preferisce una rigorosa rispondenza delle parti, un’uguaglianza di finestre, una misura architettonica razionale. San Tommaso considera invece la fantasia e l'immaginazione come un deposito delle forme ricevute dai sensi e riconosce il valore razionale dei due sensi superiori: la vista e l'udito; essi sono la conoscenza con carattere di forma. Tommaso esalta quindi il valore dei sensi che godono delle proporzioni anticipando la teoria dell’Einfiuerhlung: Infine sostiene che tanto il buono quanto il bello sono amabili: il primo piace al desiderio ed il secondo al desiderio conoscitivo. Tutte queste sono idee che hanno il valore di essere anticipazioni, anche se non costituiscono una estetica, in qunto non furono applicate all’arte. Architettura, scultura e pittura continuarono ad essere considerate sotto il loro aspetto pratico, di mestiere. 5 L’ornato e l’artificio. Enciclopedie e trattati di ottica. La teoria dell’omato, cioè dello stile guardato per sé, ebbe molta importanza per la critica del medioevo in quanto fu il risultato dell’aver guardato all'opera d’arte sotto il solo aspetto dell’artificio umano. Isidoro di Siviglia (VII secolo) tratta in modo tipico dell’arte figurativa nei suoi libri che costituiscono un’enciclopedia molto importante fino al XIII secolo. Il XIX libro tratta delle navi, egli edifici e delle vesti; per quanto riguarda gli edifici egli li considera come tre parti diverse (la dispositio, cioè la pianta, la constructio cioè l'elevazione delle pareti, e la venustas). È sotto il nome di quest’ultima che egli considera l’aspetto artistico dell’architettura. Se si compara il pensiero di Isidoro con quello di Vitruvio si nota che quello del secondo è più civile e colto. L'enciclopedia di Isidoro di Siviglia ignora completamente la scultura e si limita a considerare le decorazioni a stucco o le pitture per le quali offre varie “ricette” di colori. Un'altra opera fondamentale per la conoscenza delle idee medievali sulla bellezza e le arti figurative è il trattato d’ottica di Witelo, un uomo di origini Polacche amico di San Tommaso. Anche lui adora la luce secondo la tradizione neoplatonica e nota che la bellezza del colore sta nei colori scintillanti perché diffondono una loro luce e l’oscurità è bella solo perché da risalto alla luce. I ricettari. Teofilo. Dionigi di Furna. Tra i più vecchi trattati medievali ci appare il cosiddetto Eraclio, desideroso di trovare il segreto dell’arte romana. In cosa consiste però tale segretoP Nel modo in cui i romani erano riusciti ad inserire l’oro tra il vetro di alcune fiale per renderle splendenti. Il prete Teofilo, appartenente alla generazione del XII secolo è colui che offre il più enciclopedico trattato di notizie tecniche ed abbraccia nelle sue esperienze la produzione della Grecia e dell’Italia, della Francia e della Germania e persino dell'Arabia. La sua preoccupazione principale è la composizione e la mescolanza dei colori entro i contomi in quanto l’effetto sia di ornato, libero e come se fosse nato. Egli non parla dei pittori, ma solo della casa di Dio e non si occupa nemmeno della pittura: si limita a ricordare che l’arte è nata come mestiere a cui è stato obbligato Adamo dopo la cacciata dal paradiso terrestre. Nella Guida della pittura di Dionigi di Furna, opera risalente al XVIII secolo, contiene al suo interno elementi di una tradizione più antica e che meglio di ogni altro scritto rappresenta la tradizione delle norme scolastiche dell’arte bizantina. L'autore afferma che vuole spiegare attraverso il suo libro le misure e i caratteri delle figure, ma senza mantenere il suo progetto e limitandosi solo a offrire ricette di colori e del repertorio iconografico. La nuova coscienza dell’arte a Firenze nel XIV secolo. Dante, Boccaccio, Petrarca, Filippo Villani, Dante nella poesia e Giotto nella pittura hanno chiuso un'epoca della storia e ne hanno aperta un’altra. Per questo motivo anche la storia della critica d’arte deve tenere in conto di loro: Giotto ha ispirato muove idee agli scrittori e Dante ha accennato a muovi bisogni grazie alle sue idee riguardanti l’arte. Quintiliano in wn passo del suo saggio in cui tratta il concetto di imitazione della natura, diche che Giotto ha riportato alla luce un'arte che era stata sepolta da molto tempo. Boccaccio, vent'anni dopo la morte di Giotto, inizia una nuova era artistica. Insieme a lui Petrarca, Sacchetti, Villani e Cennini scrivono di arte toscana e da essa traggono l’incentivo a formarsi un criterio di giudizio artistico. Si instaura dunque un legame tra l’arte figurativa e la cultura letteraria classicheggiante. I principi appresi dagli scrittori sono messi in rapporto con le storie dell’arte. Da questo confronto nasce un primo abbozzo di storia delle epoche storico-artistiche. Il primo che si propose di compilare un trattato sulle arti figurative fu il Petrarca, ma dai pochi frammenti di documenti che ci sono arrivati si capisce come egli volesse solo aggiungere una sensibilità morale. Egli crede che la scultura sia l’arte più vivace e più vicina alla natura. Tra il 1381 e il 1382 Filippo Villani scrisse un libro in lode della città di Firenze e tra gli uomini famosi comprese anche alcuni pittori. Le sue sono dunque le prime vite di artisti dopo il medioevo; egli sente di giustificare la sua trattazione dei pittori fiorentini rispetto agli uomini di scienza e rispetto ad altri pittori. Il soggetto estetico quindi è chiaramente indicato, mentre l’oggetto estetico non è altrettanto chiaro: secondo lui occorre che la creazione del pittore sia più naturale possibile, come se sembri vivere e respirare. Cennino Cennini scrive alla fine del Trecento il suo Libro dell’arte per racchiudervi la dottrina che aveva appreso da Agnolo Gaddi, anch'esso scolaro di Giotto. Il suo libro è per la maggior parte un ricettario di color, ma il suo significato è nuovo. I suoi precetti talvolta assumono la coscienza della pittura del suo tempo, si riferiscono ad essa e in essa si concentrano come giudizi. Il ricettario di Cennini quindi assume un aspetto nuovo rispetto a quello di Teofilo. III. Il Rinascimento L'estetica del Rinascimento. L’interpretazione scientifica ella natura. L’artista-mago. Gli scrittori d’arte fiorentini del XIV secolo chiudono l’epoca del medioevo e aprono quella del Rinascimento, periodo in cui lo studio della natura diviene uno degli scopi se non il più importante scopo degli artisti. I trattati d’arte che vengono scritti in questo periodo si occupano delle interpretazioni della realtà, non vista più come ingenuità empirica come era vista dagli antichi. La religione, colonna portante dell’arte del medioevo, non è sparita, ma ha concentrato la sua attenzione sull'uomo considerato come un microcosmo in cui è racchiuso l’universo. L'interpretazione della natura assegna molta importanza alla figura dell’uomo interprete al quale però talvolta sfuggono; lo scopo è l’interpretazione scientifica della natura, ma il metodo non è appropriato allo scopo in quanto il metodo scientifico non era ancora stato scoperto. Nel rinascimento ci si avvia alla scienza attraverso i modi dell’arte, gli artisti iniziano quindi ad adoperare alcuni strumenti come ad esempio la matematica e la geometria. Gli artisti italiani nello specifico emergono rispetto agli altri nella panoramica europea in quando sanno calcolare l’effetto 7 Non scrisse mai un trattato d’arte, ma sporadicamente espresse le proprie idee nel suo campo. Rispetto a quelle di Leonardo, i suoi pensieri sono quelli di un reazionario per il quale il solo ideale artistico è la forma plastica della tradizione fiorentina del XV secolo. Rispetto al concetto di Leonardo in cui sostiene che la pittura è superiore alla scultura, Michelangelo obbietta sostenendo che le due arti sono simili. Durer Le idee di Leonardo giunsero ad un numero ristretto di persone nel XVI secolo, mentre quelle dell’Alberti arrivarono all'orecchio di un numero sostanzioso di artisti tra cui Durer. Questo artista, di origini nordiche, scrisse un trattato sulle proporzioni in cui cerca di misurare tutto con estrema precisione e minuzia mai usata prima per dare la regola dell’arte secondo i principi italiani. Egli considera l’arte come una teoria in opposizione alla pratica ed è convinto che si debba dare all’arte una legge matematica. Arrivato a questa considerazione però, si accorge che la matematica non basta e che è necessario che l’artista riceva il dono da Dio. Il compito che Durer quindi si propose era quello di dirozzare la mente e di dare con le proporzioni un modo per avvicinarsi alla bellezza. Egli quindi approfondisce quella crisi nella fede della bellezza obbiettiva e della perfezione umana che fu la fede dell’Alberti. Aretino, Pino e Dolce Le idee di Leonardo non sopravvissero a Firenze, ma negli scritti veneti di Pietro Aretino, Paolo Pino e Ludovico Dolce si. Verso la metà del secolo a Venezia era sorta una pittura diversa dalle altre città italiane, ma che tuttavia riscosse un grande successo. La filosofia dell’umanesimo veneto non era di tipo neo-platonico come a Firenze, ma si avviava allo studio della realtà naturale. Nessuno dei grandi scrittori veneziani aveva le conoscenze per scrivere la teoria della propria arte; Aretino e Dolce furono scrittori, non artisti mentre Pino fu un pittore di terzo ordine. Nel 1557 Dolce pubblicò un “Dialogo di pittura” che intitolò /'Arentino, in memoria del collega scomparso l’anno prima. Egli stabilisce che a Venezia la pittura iniziò a diffondersi quando si andò al di là dell’ordine. Sin dal 1548 Paolo Pino aveva scritto un trattato sulla pittura; la sua conoscenza e la sua intelligenza erano assai limitate, ma le sue parole sono l’eco di quelle dei migliori artisti veneziani. Egli qui solleva le sue riserve, persino contro le proporzioni affermando che di rado un pittore può osservarle in quanto ogni immagine deve essere dipinta con il movimento e quest’ultimo distrugge ogni proporzione astratta. Dolce e Pino furono d’accordo nell’indicare le tre parti della pittura: invenzione, disegno e colorito. 10 L'innovazione è l’arte di comporre in pittura dei racconti letterari o storici; essa riguarda quindi il contenuto e non la visone. L'espressione del colorito è spiegata da Dolce il quale crede che il rilievo sia una questione di colori. Vasari All’inizio del XVI secolo il desiderio di scrivere sulle vite degli artisti aumentò, l’opera che mise nel dimenticatoio tutte le altre furono le “Vite dei pittori, scultori e architetti” di Giorgio Vasari. Egli vi ha fatto precedere un suo trattato d’arte in cui metteva in rapporto la biografia degli artisti con la teoria dell’arte. Anzi, egli afferma esplicitamente che nelle Vite i profani impareranno la perfezione e l’imperfezione delle opere e la differenza delle maniere degli artisti. Ciò che fece e che prima di lui non aveva mai fatto nessuno, fu di sviluppare enormemente il racconto della vita degli artisti e la descrizione scrupolosa delle loro opere, dando così prova di un interesse storico nuovo. Le idee estetiche di Vasari sono più volgari di quelle dell’Alberti o di Leonardo. L'idea dell’imitazione della natura si fa più banale, egli sa che può essere un'operazione parallela a quella della natura, ma è una nozione senza più forza. Una volta venuto meno il contenuto scientifico, il Vasari crede che si possa raggiungere l’arte per mezzo dell’imitazione della maniera dei maestri. Vasari non era solo uno scrittore, ma credeva di essere anche un pittore e un architetto; fu scolaro di Michelangelo da cui apprese le maniere, cioè le apparenze esteriori dello stile. Egli distingue tre età che corrispondono al XIV, XV e XVI secolo, sostenendo che l’arte del Cinquecento era superiore alle altre due e ne vede anche la decadenza. Quando Vasari parla di Michelangelo i suoi criteri non gli bastano più ed ha bisogno di affidarsi a Dio in quanto è lui che ha mandato Michelangelo in Terra e lo ha fornito alla perfezione nel disegno della pittura e della scultura, nell’ornato e nell’architettura oltre che nella filosofia morale e nella poesia. Se nell'edizione del 1550 egli aveva espresso solo il suo esaltamento presso Michelangelo, in quella del 1569 vi aggiunge riserve per influsso dell’Arentino; proprio quelle riserve iniziano a rendere critico il discorso vasariano. La stessa cosa successe per il giudizio riservato a Raffaello: nel 1550 egli considera lo sviluppo dell’arte di Raffaello come un continuo sviluppo che raggiunse il suo apice nelle sue ultime opere; nel 1568 invece opponeva la personalità di quest'ultimo a quella di Michelangelo determinando i limiti di entrambi. Serlio e Palladio La critica architettonica non fece, durante il XVI secolo, notevoli progressi come quella pittorica grazie a Leonardo, Arentino e Vasari. In questo periodo quattro trattati di pittura ebbero però un grande successo e numerose edizioni: quelli del Serlio, del Vignola, del Palladio e dello Scamozzi. Il più importante tra questi è quello di Serlio che, pur proponendosi di restare fedele alle leggi dell’antico, espone il proprio gusto ingenuamente: egli considera i vuoti non come integrazione dei pieni, ma come un valore di massa atmosferica e vede la distribuzione degli elementi architettonici più come la giustapposizione dei colori che come rapporti di forme plastiche. Per quanto riguarda il trattato di Palladio, si leggono solo idee di Vitruvio, dell’Alberti e del Vasari. Anche lui ha un accenno di storia dell’architettura. Lomazzo 11 Fu detto con finezza che i critici della storia dell’arte del Rinascimento sono quasi tutti pittori manieristi che scelsero dalle opere dei grandi maestri più importanti quegli elementi che secondo loro potevano far raggiungere alle loro opere la “bella maniera”. Evidentemente si sbagliavano sia come artisti che come critici in quanto gli elementi presi in considerazione erano più che altro simboli dell’arte, non l’arte stessa. Quello che ebbe maggior fortuna fu il “Trattato d’arte della pittura” del 1584 di Gian Paolo Lomazzo. Egli fu un pittore manierista lombardo che, diventato cieco, è passato dalla pratica alla teoria della sua arte. Il gusto di Lomazzo era basato su quello di Leonardo ed integrato con quello di Michelangelo e Raffaello. E’ orgoglioso della tradizione lombarda a cui apparteneva e conosce discretamente anche l’arte fiamminga; fu un pittore manierista che mette in guardia dal manierismo. Egli formula un programma di eclettismo, sottolineandone però i pericoli; il suo pensiero oscilla tra il pensiero dell’arte come imitazione della natura e la rappresentazione dell’idea. Il suo trattato è diviso in tre parti principali: teorica, pratica ed iconografica; quest'ultima è un’esemplificazione letteraria dei soggetti da trattare in pittura. La parte teorica vuole fissare la scienza delle possibilità pittoriche mentre quella pratica indica le preferenze di gusto di Lomazzo. La differenza tra questo trattato e gli altri è che qui vi è una maggiore astrazione del concreto problema pittorico. Il contributo quindi della critica d’arte nel periodo del Rinascimento non solo fu molto complesso e importante, ma si manifestò in molti modi che rimasero esemplari per gli scrittori d’arte del XVII secolo ed in parte del XVIII secolo. I modi principali sono: vite degli artisti, dottrina dell’interpretazione della natura e dottrina delle diverse maniere degli artisti. IV. Ilperiodo Barocco La passione per il realismo e l’idea del classicismo Le dottrine artistiche del rinascimento offrono al XVII due principi ben distinti: l’interpretazione della natura e la distinzione delle maniere. Il secondo ebbe il suo naturale sviluppo durante il secolo mentre il primo trovò un ostacolo insormontabile in quanto gli uomini della scienza come Gallileo scoprirono il linguaggio proprio della natura e resero inutile e superata la dottrina artistica della natura. Senza la fede nella verità della loro interpretazione della natura, la pittura fiorentina del XV secolo era inconcepibile. I pittori migliori del XVII secolo si liberarono dal manierismo per attaccarsi alla natura ed il simbolo visivo di questa loro passione fu il colore in antitesi alla forma plastica astratta, considerata come guida razionale. Essi sono i grandi pittori fiamminghi, olandesi, spagnoli che dettero al XVII secolo il valore di grande epoca artistica. Gli scultori e gli architetti del XVIII secolo però non ebbero la possibilità di ritornare alla passione con tanta forza e libertà. D'altra parte gli scultori e gli architetti però partecipavano a quella passione cui partecipavano i pittori. Essi ricorsero quindi ad un compromesso: conservarono le dottrine manieristiche e vi aggiunsero elementi passionali. A questo compromesso si addice l'epiteto di barocco in senso negativo come di gusto corrotto e confuso. Nel frattempo la dottrina del manierismo aveva molti incoraggiamenti d’ordine sociale; poiché il manierismo consisteva nella scelta delle migliori maniere del XVI secolo, era naturale che sorgesse il bisogno di trovare l’Idea con cui scegliere di razionalizzare quella scelta e le sue combinazioni, 12 Fréart de Chambray scrive un trattato contro la pittura libertina, cioè piacevole di colore, ma senza geometria, prospettiva ed anatomia. Il Chantelou dice al Bernini che egli fa dell’architettura libertina; di contro quest'ultimo risponde che la maniera degli artisti francesi è triste e meschina e che bisogna dar loro un senso di grandezza. Anche la denominazione che comprende pittura, scultura e architettura cambia. Il Vasari le aveva chiamate arti del disegno, ma è soltanto nell’ambiente dell’Accademia Francese che si diffonde e diviene comune il termine Belle Arti. Il programma artistico è ideato dal Félibien in cui si dice che si deve correggere la natura con lo studio delle statue antiche ed attaccarsi alla composizione per raggiungere la bellezza ideale. Disegno e colore appartengono alla pratica e sono le parti meno nobili della pittura. Il disegno in un’opera, deve predominare sul colore in quanto è l'elemento essenziale per rappresentare la storia, la favola e l’espressione. Per raggiungerla bisogna spiritualizzare l’imitazione della natura: nei calchi di cera non vi è somiglianza in quanto essa è data dalla rappresentazione dell’animo. Il Félibien riconosce la forza dell’immaginazione e la necessità di abbandonarsi al “genio”, ma dopo che quest’ultimo ha fissato la composizione, bisogna correggere i disegni secondo gli esempi classici. La nobiltà del soggetto gli sta particolarmente a cuore, sia per ragioni morali che per ragioni sociali. Principi come quelli di Félibien erano troppo rigidi per essere applicati e perciò era necessaria una certa sopportazione. Questo libro era una compilazione di giudizi e di notizie interessanti perché rispecchiavano le idee classicistiche che erano confluite a Parigi nella seconda metà del XVII secolo. Boschini e l’idea di forma pittorica La coincidenza tra il principio dell'idea e l’arte espressa da Poussin rimase senza seguito; non rimaneva dunque cercare una scelta tra le varie maniere in modo soggettivo, non arbitrario. Occorreva quindi che il giudizio coincidesse con l’arte effettiva, che la maniera scelta non fosse astratta, ma concreta, non uno schema ma un gusto. A queste esigenze rispose il veneziano Marco Boschini molto sensibile alla pittura. Sensista è colui che formula una teoria secondo cui ogni conoscenza deriva dai sensi. Egli non nega i manieristi e non distingue nella pittura veneziana le forze vive e le forze morte. La sua posizione è parallela a quella del Vasari, che si ispirava al modello di un artista autentico, ma in modo più polemico. Egli sostiene di essere un conoscitore cioè di saper distinguere il buono e il non buono in una pittura; per far ciò egli sostiene che bisogna saper dipingere giungendo alla conoscenza solo attraverso la pratica. Per lui il disegno è il fondamento della pittura, ma in pratica è solo una falsariga in quanto ciò che da vita al disegno è il colorito. La forma pittorica non è solo la forma plastica, anzi ne è una deformazione con l’intento di trovare una forma nuova che sia solo l'apparenza delle cose. V. Illuminismo e Neo-Classicismo Rococò e neo-classicismo L'arte nel XVIII secolo fu un argomento di ricerche, discussioni, teorie che diedero dei grandi risultati. Per la prima volta in questo secolo l’arte fu riconosciuta da una muova scienza filosofica 15 chiamata estetica. Per giungere a questo punto fu necessario non solo proseguire e sviluppare lo spirito scientifico del secolo precedente, ma anche vivere gli ideali del rinascimento italiano. I migliori pittori del XVIII secolo mantennero, se pur modificandolo, l'indirizzo del gusto dei migliori pittori del secolo precedente. Il rococò fu un correlativo del barocco ed insieme un'affermazione della libertà della fantasia che faceva valere i suoi diritti anche di fronte al classicismo. Verso la metà del 700 però si delineò una reazione nei confronti del pittorico e del rococò di tipo sia morale che intellettuale, morale perché si era troppo associato alle classi aristocratiche ed a quella vita artificiale che la rivoluzione francese doveva presto distruggere ed intellettuale perché i nuovi scavi di Pompei ed Ercolano, ed in generale l’interesse per l’arte greco- romana, fecero capire la serietà dei capolavori antichi. Il XVIII secolo non finì solo con un'arte neoclassica, oltre alle influenze romantiche contenute nell'Arte inglese bisogna ricordare che Goya anticipò il realismo della metà del XIX secolo. La nuova forma della critica d’arte e della storia dell’arte Prima del XVIII secolo le occasioni della critica d’arte sono da cercarsi nei trattati d’arte e nelle vite degli artisti, ma con l'avvento del nuovo secolo, grazie alle esposizioni d’arte la critica d’arte ha trovato una sua forma naturale; si trattava di scrivere per dire unicamente la propria opinione su un gruppo di opere o artisti. Essa assumeva il carattere di critica di attualità, ma non fu molto apprezzata fino a quando Diderot non la nobilitò con la sua passione per la verità e la libertà. L'interesse per l’arte del passato fu altrettanto grande anche per l’arte contemporanea. Tra tutti gli scritti la “Storia dell’arte presso gli Antichi” di Winckelmann fu considerata un capolavoro ed influì profondamente su tutta l’estetica idealista. Egli non si occupò delle singole opere d’’arte e dei singoli artisti, ma all’interno del suo libro si descriveranno le Arti del disegno e la loro origine passando poi a trattare le diverse materie su cui lavorano gli artisti. L'interesse che dimostra Winckelmann si concentra su: - Lo scorgere, il fiorire e il decadere del bello a proposito delle opere d’arte - Le tecniche - Imiti geografici Rispetto alle precedenti vite degli artisti vi è qui la rimmcia all’aneddoto, lo studio dell’opera d’arte in sé più che delle testimonianze scritte e lo sforzo a comprendere il linguaggio dell’opera. La critica in Francia. Les Salons e la comunità del gusto. Diderot, la libertà rispetto alle leggi dell’arte e i primitivi L'accademia di Francia mantiene ed estende la sua funzione fino al XVIII secolo, con maggior vivacità nel 1747 in particolare. Anno in cui esce il saggio di La Font de Saint-Yenne, primo vero resoconto delle esposizioni. Le pubblicazioni d’arte si fanno sempre più numerose, ma per qualche tempo le idee ed il gusto non cambiano. La Font de Saint-Yenne si propone di interpretare l'opinione pubblica ed interpreta le sue tendenze tradizionali accademiche; egli crede ad una decadenza dell’arte contemporanea e propone la creazione di un museo. A lui ovviamente si oppongono coloro che invece parteggiano per l’arte del tempo. 16 Diderot ha iniziato a scrivere i suoi Salons nel 1759 fino ad arrivare al 1781; la sua preparazione per parlare di arte era molto limitata infatti i suoi testi erano più da giornalista che da filosofo, ma ciò che lo caratterizza è il forte impeto intuitivo ed una coscienza morale molto seria. Per quanto riguarda il rigore delle proporzioni si chiede se il sistema vitruviano non fosse stato inventato per condurre alla monotonia e per soffocare il genio e se pittura e scultura non sarebbero già distrutte una volta sottoposte a rigore scientifico come l’architettura. Negli scritti di Diderot l’illuminismo critico ci appare in uno stadio anteriore alla distinzione di neo-classici e romantici. Egli si esalta per gli antichi, ma il modo in cu li intende è anti-neoclassico, egli li ama perché li considera primitivi. Egli rimane una testimonianza preziosa del gusto francese del XVIII secolo nel suo bisogno di leggere l’estetica, ma allo stesso tempo capace di comprendere e giudicare i più svariati temperamenti. La critica in Italia: Lanzi, Milizia In Italia la tradizione conservatrice delle idee del XVII secolo durò a lungo come in Francia; alla fine del secolo fu scritta la “Storia pittorica dell’Italia” di Luigi Lanzi che si propose di classificare gli artisti come i botanici classificano le piante: li raggruppa secondo le scuole regionali, individuali e secondo i generi. La sua erudizione è molto ampia e la sua spregiudicatezza verso i primitivi molto accentuata. Egli segue un’opinione comune ma non ne indaga le contraddizioni. Da molta importanza all’individualità di ognuno in quanto egli si attiene alle vite dei pittori, piuttosto che alla storia dell’arte del tipo di Winckelmann. Per lui non era importante il bello ideale o la perfezione dell’arte, ma l’Italia e la sua gloria. Due teorici dell’architettura di notevole valore si ebbero in Italia in quel periodo: Carlo Lodoli, il primo a considerare la bellezza di un edificio come la rappresentazione della sua funzione; mentre il secondo, Francesco Milizia, fu il più grande critico dell’architettura di gusto neoclassico; egli sostiene che il suo compito era polemico contro il pittoresco dell’architettura in nome dell’organismo logico che gli ordini classici avevano tramandato. La critica in Inghilterra: Hogarth e Reynolds In Inghilterra gli amatori d’arte crearono un'opinione pubblica uguale a quella francese e a quella italiana. I libri di Richardson sono più un rendiconto dello stato della critica piuttosto che un contributo di nuove idee. Un saggio che avrebbe voluto essere di estetica, ma cosi non è stato, è l’analisi della bellezza di Hogarth; egli voleva determinare quale fosse la linea della bellezza. Praticamente è un saggio su come si sarebbe potuto passare dal Rococò direttamente al Romanticismo. Il neoclassicismo però qui è stato molto più blando rispetto ad altri paesi. Tocco a Ioshua Reynolds il compito di rappresentare quella critica molto diffusa che aveva una tendenza classicista, ma che non voleva però rinunciare al barocco. Egli ironizza sulle regole ed insiste sull’affinità di gusto e genio. Per lui la bellezza non deve consistere in un'idea, ma nella natura. Il neoclassicismo, Mengs e l’eclettismo. Winckelmann e la concezione morale della bellezza. Storia dell’arte e storia del bello. Originali e copie. 17 principi, in quanto conosceva troppo poco ed era molto più timido di altri nell’esprimere giudizi sugli artisti. Proprio questa sensibilità lo porterà non solo a riconoscere i valori dell’arte, ma anche a giustificare socialmente la propria scoperta. Egli non fu il solo ad assegnare all’intuizione religiosa il compito essenziale della vita dello spirito, con maggio energia intellettuale lo Schleiermacher affermava il rapporto tra l’individuale e l'infinito considerando ogni uomo come il compendio dell'umanità. Le idee di Wackenroder ebbero una grande diffusione ed influenzarono i Nazareni e Schlegel; quest'ultimo nel 1798 apparteneva ancora alla corrente del neoclassicismo, ma già nel 1800 aveva rivolto la sua empatia al soggettivismo romantico. Egli li preferì anche rispetto ai primitivi italiani in quanto credette di vedere in essi una maggiore religiosità, quando in realtà era solo una religiosità diversa, ma non maggiore. Studi sull’arte del medioevo. In Italia: Cicognara. In Francia: Seroux d’Agincourt. Rio e la critica Imistica. In Italia durante in XVIII secolo non erano mancati studi importanti sull'arte medievale. Nel 1757 il Lami scrisse una dissertazione sui pittori e scultori dal 1000 al 1300 per opporsi al disprezzo della maniera greca in pittura e al disprezzo dello stile gotico in architettura. Nel 1818 apparve il primo testo di Cicognara “Storia della scultura in Italia”, testo in continuazione di quello di Winckelmann. Qui Cicognara considerava la religione come simbolo fondatore dell’arte barbara e riconosceva le bellezze dell’arte del XIV secolo. La presenza a Roma dei Nazareni tedeschi suscitò varie discussioni tra il 1830 e il 1840 che sboccarono nel manifesto dei Puristi del 1843, scritto da Antonio Bianchini e che tendeva ad improntare la pittura su una maggiore serietà morale e religiosa. Seroux d’Agincourt, prima ancora della rivoluzione francese, aveva scritto un saggio monumentale sulla storia dell’arte medievale che fu pubblicato però solo nel 1823. Egli dimostrava ‘un vivo interesse verso i maestri medievali e ne diffondeva le opere con l'incisione. Un altro personaggio importante è il Rio, autore di “De l’art chrétien”, iniziata a pubblicare nel 1836 e considerata come il codice dell'ideale cristiano. Il risorgere dello stile gotico in Francia è collegato al nome di Viollet le Duc, architetto e scrittore che nei suoi scritti fa trasparire razionalismo esagerato che condiziona e attenua la simpatia morale del critico. I medesimi principi, che secondo lui rendevano necessario l’uso del gotico, servirono a ‘un suo avversario per restaurare una specie di neoclassicismo. Ruskin: contro una scienza nell'arte, riserve sul rinascimento, unità delle arti figurative, criterio di scelta, storia della visione, distacco dall’arte contemporanea. Nell’Inghilterra del XIX secolo un importante lavoro critico sull’arte del medioevo è attuato da Ruskin. Nel frattempo la moda dell’architettura gotica si diffondeva in Inghilterra. L'architetto e scrittore Pugin dimostrò uno stato d’animo nuovo rispetto a quello del XVIII secolo; nei suoi scritti affermò che il gotico non è uno stile, ma una religione e vale di più dello stile greco. Da lui si iniziò a giudicare l’opera d’arte dal punto di vista della moralità del suo creatore dove la sincerità più assoluta e la verità erano gli elementi centrali della costruzione e devono essere chiaramente 20 palesati nell’architettura. Egli si distacca dalla moda contemporanea del gotico e va alla ricerca del vero gotico antico come quello di Venezia o di Amiens; la vera origine della sua critica d’arte non risiede ne nella religione, ne nella morale, ma nell’entusiasmo per l’arte. Egli si ribella alle regole del disegno e vi sostituisce il principio di amore. Illuminata la natura dell’arte il Ruskin considera poi quella dell’artista come una creatura veggente e vibrante, la sua vita ha due scopi principali: vedere e sentire. Per definire lo stile gotico, Ruskin non si limita a ricorrere agli schemi costruttivi consueti dell’arco ogivale e della volta a crociera, o della spinta e controspinta, ma analizza tutto ciò con accuratezza. Afferma che la vera architettura è l’opera di scultori e pittori in potenza e va osservata proprio come pittura e scultura. Sempre per il solito principio morale Ruskin si oppone al celebre principio greco della scelta della natura, scelta che a lui risulta insolente. Dato che tutta la natura è degna di essere rappresentata, ma non è possibile farlo in un solo quadro, l’artista deve scegliere tra gli elementi della sua arte, deve scegliere per esprimere il suo amore alla natura le linee piuttosto che i color, le luci e le ombre piuttosto che le forme o viceversa. Il misticismo di questo autore non gli impedisce di vedere chiaro nel processo figurativo dell’artista, che è un modo necessario per qualsiasi critica d’arte; anzi per la prima volta egli eleva gli schemi figurativi dal piano tecnico al piano del gusto: - Linea (scuole primitive) - Linea e luce (ceramica greca) - Lineae colore (vetrate gotiche) - Massa e luce (Leonardo e scuola) - Massae colore (Giorgione e scuola) - Massa, luce e colore (Tiziano e scuola) Egli inoltre vede uno sviluppo del gusto in tre tempi distinti: linea, superficie e massa o spazio in profondità. Proprio grazie alla sua capacità di identificare il gusto dell’artista con uno o più schemi figurativi, egli riesce a liberarsi del pregiudizio classico della superiorità della forma sul colore. Egli fu il punto di arrivo della critica romantica che resterà come un momento eterno della critica d’arte, come il simbolo di un valore morale che è insito in ogni critica. VII. La filosofia idealistica e la storia dell’arte Il concetto dell’arte e la verità artistica. Il distacco dell’arte contemporanea. I pittori d’idee. Da Senocrate fino a Diderot il giudizio dell’arte è stato strettamente collegato ad una produzione artistica con un equilibrio tra il fattore prammatico e quello ideale. La critica neoclassica e quella romantica hanno perduto questo equilibrio perché ci si è dedicati all’arte passata. Nella critica idealista si può dire che il fattore prammatico sia completamente scomparso. L'arte diventava quindi una specie di super filosofia o una quasi filosofia, ma il suo carattere specifico di arte scompariva. 21 I filosofi dell’idealismo erano spiriti troppo seri per non aver bisogno di dare un contenuto alle loro idee; essi si accorsero di quegli artisti che i romantici incitavano, i Nazareni e li giudicarono per la loro povertà spirituale. Verso gli artisti del XVII e XVIII secolo invece, furono indifferenti e disinteressati in quanto in qualche modo li consideravano rappresentanti del sensismo. Presero invece molto sul serio l’arte antica perché avevano sotto mano una mediazione assai efficace nell'opera di Winckelmann. Accettarono da quest'ultimo l’idea della perfezione unica di un unico periodo dell’arte greca e di un'unica arte, la scultura. L'estetica idealistica, malgrado le sue premesse teoriche fondamentali per qualunque storia dell’arte, non ebbe un'efficacia benefica su questa materia, ma sul giudizio delle opere. La liberazione del neoclassicismo che i romantici avevano iniziato trovò un ostacolo assai grande nell’estetica idealistica. Questa infatti proponeva agli artisti e ai critici un ideale classico di tipo anacronistico. In Germania si ispirarono al pensiero idealistico alcuni pittori che ebbero contatti con i Nazareni come ad esempio Comelius, Bethel e Kaulbach. In Francia invece, dove la vita artistica era più intensa, quando ci si allontanò dal gusto di David, si preferì ispirarsi al romanticismo anziché all’idealismo olimpico di Hegel ed il risultato fu una rinascita artistica di Delacroix. Baumgarten. Kant e il giudizio di gusto. Schiller. W. Von Humboldt. Goethe e il caratteristico. L'estetica nacque in Germania con la riflessione sul concetto di arte anziché sull'esperienza dell’attività artistica. Questa è la ragione del suo valore filosofico. Il primo libro intitolato Aesthetica è scritto da Baumgarten e fu pubblicato dal 1750 al 1758. Egli era un maestro di analisi logica scolastica e si basava sulla lex continui e cioè sulle percezioni oscure, confuse e distinte. Egli riconobbe che la conoscenza dell’arte aveva la sua perfezione diversa dalla perfezione della scienza. Emanuele Kant è il punto di partenza del pensiero idealistico e riflette sul giudizio di gusto chiamando la sua estetica: Critica del giudizio (1790). Il gusto che indica se un’opera è bella o meno ha la pretesa che il giudizio sia universale; perciò non si può dare nessuna regola oggettiva del gusto stesso. L'arte bella è arte del genio ed il genio deve essere originale, ma per evitare di essere arbitrario deve produrre un modello. In tal modo Kant realizzò la distinzione tra il soggettivo e l’arbitrari nell’arte e nel giudizio artistico, rifrtutò ogni regola e fuse il concetto di bello con quello di arte; distinse inoltre tra arte e scienza, arte e natura, senso e immaginazione. Nel suo celebre libro “Poesia ingenua e sentimentale” lo Schiller cercò di far ammettere il valore della poesia moderna malgrado i suoi aspetti diversi da quelli della poesia antica e di definire quel valore nel carattere infinito e spirituale. Qui lo Schiller ammette che un’opera è fatta per l'occhio e trova la sua perfezione solo entro i limiti della visione: di qui la superiorità della scultura antica su quella moderna. Wilhem von Humboldt procede oltre: la poesia antica fa la stessa impressione dei frammenti della scultura greca. Egli nel suo libro cerca di spiegare psicologicamente la differenza spiegando che i greci avevano un'intuizione sensibile esterna che li dirigeva verso la proporzione e l’armonia mentre i moderni hanno un senso interno che rende possibili contrasti più forti e passaggi più bruschi. 22 Il suo merito maggiore riguarda l’arte del medioevo, la più cara a lui e dove vede le più immediate espressioni dei sentimenti più profondi. Principi idealistici nella critica italiana e inglese In Italia l'estetica idealistica ebbe varie risonanze influenzando anche Gioberti che contemperò le idee sull'arte con quelle sulla religione. Già il Cicognara aveva inteso la perfezione di alcuni scultori cristiani e insistito sul valore dell'impulso religioso nell'arte. Pietro Selvatico, che aveva letto sia Hegel che Rio, e che aveva divulgato i propri principi di quell’arte filosofica, pubblicò una “Storia estetico-critica delle arti del disegno” con il quale volle togliere alla filosofia il compito di dirigere gli artisti per assegnarlo alla storia. La sua opera però manca alquanto di organismo in quanto i motivi tradizionali delle vite degli artisti si introducono di soppiatto in mezzo ai problemi idealistici. In Inghilterra l’idealismo tedesco influì sulla teoria della poesia e fu deliberatamente ignorato da Ruskin, ma intorno al 1870 Walter Peter divenne il maggiore continuatore europeo della critica dell’arte idealistica. Il suo pensiero non era solo derivato da Ruskin e Platone, ma anche da Hegel . Il suo saggio su Winckelmann conferma il mito che Goethe aveva delineato, anzi lo arricchisce di una forza magica. Peter non vuole occuparsi di teoria estetica, ma di critica; per quel che riguarda invece le arti figurative, i suoi capolavori sono saggi su Botticelli, Luca della Robbia, Leonardo e Giorgione che egli ha inserito nel volume “Il Rinascimento” VIII. Filologi, archeologi e conoscitori nei secoli XIX e XX Il metodo filologico delle storie dell’arte. Le fonti di Plinio e del Vasari. La decomposizione dell’opera d’arte. La scepsi e l'ampliamento delle conoscenze. La filosofia idealistica diede un forte impulso alla storia per quanto riguarda il concetto di svolgimento in cui si fondevano idea e fatto, divino e umano. L’idea fu considerata fusa dal fatto per esempio da Hegel, ma come abbiamo visto a proposito della sua storia dell’arte, tale fusione non sempre avveniva. Era quindi naturale che gli spiriti realistici si occupassero dei fatti per se per liberarsi dalle stesse idee. Sorse così il metodo logico della storia che ebbe un particolare sviluppo in Germania nel XIX secolo. Tale metodo consiste nel controllo delle fonti e nella loro decomposizione; prima di accogliere una testimonianza quindi si cerca di determinare su quali notizie essa sia fondata. Compiuto questo processo si passa al processo interno nel quale si cerca di determinare se l’autore della testimonianza abbia ragione di dire il vero e di modificarlo/falsificarlo. Mentre le fonti letterarie tradizionali venivano così controllate e spesso neutralizzate, si è intensificata la ricerca e la pubblicazione delle fonti scritte dirette, cioè delle iscrizioni e dei documenti d’archivio. Soprattutto quest'ultimi hanno arrecato uno straordinario accrescimento di notizie sul rinascimento e sull’evo moderno. In alcuni casi la tradizione letteraria, in alcuni passi del Vasari per esempio, è stata completamente ridotta in polvere ed alcune trattazioni della vita e 25 delle opere degli artisti sono state fondate su alcuni documenti d'archivio. Tale compito per gli storici dell’arte era però di tipo secondario in quanto le fonti principali di cui dovevano fare la critica filologica erano le opere d’arte. I critici filologici per apprezzare una fonte l'avevano decomposta nei suoi elementi secondo alcuni schemi fra cui i principali sono: 1. Il contenuto dell’opera considerato non come sentimento espresso dall'artista, ma come tema trattato dove sorse una disciplina particolare 2. La tecnica, concetto assai vago e in cui furono compresi la scienza della costruzione, i sistemi di lavorazione del marmo, del legno e del bronzo per la scultura, i diversi modi di amalgamare i colori per la pittura oltre che la prospettiva, l’autonomia e gli altri mezzi di illusione naturalistica 3. Lo stile inteso come l’insieme delle concezioni figurative che distinguono le personalità artistiche Il centro dell’attenzione dei critici filologici fu non più l’arte, ma la filologia stessa. I monumenti dell’arte furono considerati solo come documenti per conoscere la religione, gli usi e i costumi, i caratteri dei popoli, la loro vita ecc Il lavoro filologico dell’arte ha avuto due importanti conseguenze sul piano critico di cui uno dei due è negativo. L’idealismo, specie quello dello Schelling, aveva esaltato l’arte come modo di conoscenza ed a forza di spiegarlo in modo razionale aveva fatto diventare razionale anche il concetto di genio. Stretta ai fatti quindi, la critica filologica ha riconosciuto i propri limiti. L'altro contributo invece è positivo: Winckelmann aveva creduto di capire l’arte greca e quella egiziana, ma conoscendo di fatto solo quella romana. La scoperta dell’arte greca iniziò nel 1800 quando si iniziarono a spogliare gli edifici dell’Acropoli di Atene per portare a Londra le sculture. Intere epoche invece, come quelle delle arte micenea e minoica, sono apparse dopo a seguito di alcuni scavi fortunati. Il movimento romantico ha portato a favore dell’arte medievale uno scoprire muovo dei monumenti legati all’arte bizantina, gotica, romanica e ad esplorare le catacombe cristiane. Taine Il secolo XIX, dopo i primi decenni, fu un periodo fecondo per le scienze storiche e filologiche e per le scienze della natura, ma non per la filosofia e tanto meno per l’estetica. Quest'ultima infatti non ha dato alcun risultato; si potrebbe quindi non parlare nemmeno di questa disciplina se non fosse per Ippolito Taine le cui idee esercitarono una forte influsso sulla storia dell’arte. Il “Cours de Philosophie positive” da A. Conte ha ispirato Taine nella sua concezione deterministica dell’arte. Egli sostiene che per comprendere l’opera occorre metterla in rapporto con le altre opere dello stesso artista, con la scuola e la famiglia a cui appartiene e con il contesto e il gusto che lo attornia. Manuali ed enciclopedie di storia dell’arte 26 Lo spirito di analisi prevalente nella filologia ha fatto concepire i libri di storia dell’arte come dei musei scritti dove le opere d’arte sono ordinate e classificate. Soprattutto l’archeologia classica volle diventare qualcosa di più che una storia dell’arte. Si partì dai monumenti figurativi per trovare il rapporto con la filologia e la linguistica, con l’estetica e la teoria dell’arte. Si è voluto distinguere l’archeologia dalla storia dell’arte antica e si è raggiunta la cosiddetta scienza dell’antichità, desiderando così tutto ciò che non è classificato come arte. Il primo manuale di archeologia è di Muller, filologo più che archeologo che propose una storia totalitaria e progettò una raccolta generale dei monumenti dell’arte antica. Nel 1842 apparve poi il manuale di storia dell’arte di Kugler che ebbe un grande influsso non solo in Germania; egli ha piena coscienza del carattere empirico e che oppone all'idealismo di Hegel. Egli è antiromantico e non si occupa dei fini dell’arte, ma non rinuncia a cercare dei caratteri intimi artistici di vari monumenti. A lui si deve la partizione dei quattro momenti dell’arte: arte dei popoli primitivi, arte classica, arte romantica e arte modema. Il manuale più popolare e poi ripubblicato nel XX secolo fu quello dello Springer apparso nel 1855 in cui l'approccio al positivismo è maggiore. Egli comprende che lo sviluppo della personalità artistica è il maggior compito della storia dell’arte, ma intende quella personalità come attività pratica. In Francia il trattato tecnico pratico che ebbe più diffusione fu la “Grammaire des arts du dessin” di Charles Blanc in cui l’esperienza storica vuole essere organizzata in modo sistematico. Si tratta di un classicismo di maniera senza nessuna convinzione ne sensibilità artistica. Studi di tecnica. Semper. La tendenza enciclopedica dell'attività filologica era quella che otteneva risultati meno concreti. La tecnica che richiede l’attività pratica dell'artista e che è connessa con il mondo fisico, doveva attirare particolarmente l’attenzione dei filologi, sempre ansiosi di certezze materiali. Infatti gli studi sulle tecniche di tutte le arti sono stati particolarmente sviluppati nel XIX secolo. Colui che ha dato valore generale e pretesa estetica al motivo tecnico è stato l’architetto Gottfried Semper, il quale attraverso ogni idealismo, tende alla scienza naturale. Egli non è interessato alla vita intima dell’arte, ma all'evoluzione di forme assunte come essenziali che ritrova nella tecnica. Non si occupa né di scultura né di pittura, ma di architettura, arti decorative, tessuti, ceramica e metallo. Una tale concezione materialistica dell’arte ha avuto il suo compito: richiamare l’attenzione dello storico sulla realizzazione dello spirito nella materia, sul modo in cui quest'ultima è stata sensibilizzata dall’arte. Studi di iconografia I primi a sviluppare lo studio del soggetto sono stati gli archeologi a cominciare da Winckelmann e poiché egli credeva di scorgere la perfezione dell’arte nella perfezione dei tipi degli dei, identificò arbitrariamente critica d’arte e iconografia. I filologi del XX secolo non incapparono nel solto errore e si interessarono all’iconografia degli dei per sé stessa, e in genere della mitologia artistica, considerando l’opera come un semplice strumento per raggiungere la storia del mito. Conze e Overbeck si sono particolarmente illustrati in questo campo. Gli archeologi dovevano interessarsi particolarmente all’iconografia ed infatti la ragione dei loro studi era assai l'illustrazione del cristianesimo primitivo anziché la storia dell’arte. Il metodo 27 Valenciennes fu invece un pittore paesista ed un maestro dei migliori pittori appartenenti a quella corrente artistica. Egli pubblicò il suo libro tra il 1769 e 11 1800 in cui distingue il paesaggio realista dal paesaggio storico sostenendo che il primo è dipinto con il sentimento del colore mentre il secondo con il colore del sentimento. Valenciennes inoltre distingue i pittori disegnatori e i pittori coloristi che agiscono con foga e fretta. La critica romantica Nel Salon del 1824 il contrasto fra i classicisti e i romantici apparve evidente in quanto i due partiti vennero chiamati rispettivamente gli scolari di Omero e gli scolari di Shakespeare. Si ebbe l'impressione di un trionfo del romanticismo, ma i classicisti passarono all’offensiva accettando Ingres e facendo guadagnare al loro partito la maggioranza dei critici e dell’opinione pubblica. Il rappresentante tipico di una critica costante avversa alla pittura romantica e poi a quella realistica fu Delécluze, scolaro del David, che scrisse i suoi Salons dal 1818 al 1863; egli fu contrario a qualsiasi espressione di forma sculturale classica, convinto che la pittura dovesse essere il prodotto della scultura originata a sua volta dall’architettura. La sua importanza critica fu quindi strettamente negativa con l'esclusione di qualsiasi compromesso. Il problema essenziale della critica romantica fu quello della pittura di Delacroix quando nel 1822 questi espose il suo primo quadro che lo farà contraddistinguere come un grande pittore. Nel 1827 egli espose al Salon il “Marino Faliero” indicato da Vitet come uno scandalo, ma ne ammira il colorito. Nel salon del 1881 invece egli espose “La liberté” che fu valutata negativamente. Il protagonista del nuovo tipo di paesaggio è Rousseau che fu segnalato nel 1833 da due critici francesi molto importanti: Lenormant e Laviron. La resistenza al romanticismo di Delacroix e al realismo dei paesisti come Rousseau, fu l’opera di Ingres. Baudelaire Il primo saggio di Baudelaire sui Salon fu scritto nel 1845. Egli ama e odia, ma vuole che le sue passioni non siano arbitrarie, ma anzi abbraccino le più diverse personalità d’artisti. Egli rispetta l’individualità, l’ingenuità e la sincerità dell’espressione di un temperamento; il gusto del suo tempo è prettamente romantico. Ma che cos'è il romanticismo autenticoP Esso consiste in una maniera di sentire e va cercato dento all'uomo. Baudelaire non ama i realisti che considera positivisti, ma preferisce gli immaginativi che illuminano le cose con il loro spirito creando una magia suggestiva. Essi sono i suraturalistes. La critica realistica Il decano dei critici realistici è Thoré i cui primi saggi sono del 1832, anche se egli ha indicato che 1 più importanti sono i libri sul Salons dal 1844 al 1848. Esiliato nel 1849 si occupò di arte antica e una volta rientrato a Parigi nel 1860 scrisse il suo ultimo Salon del 1868. Egli si orientò nel mondo della pittura e considerò l’arte come una manifestazione di amore per la natura grazie a Rousseau. Egli ama questo artista e lo crede il più grande paesista del suo tempo, anche se si accorge che è migliore la sua prima maniera abbozzata che quella finita. Thoré ammira anche Corot e comprende che sotto l'apparenza dell’abbozzo confuso c'è un mondo spirituale ed ammira altresì Delacroix, ma non lo considera più come il problema centrale della sua critica. 30 X. Lacritica d’arte e la pura visibilità Visione ed espressione, i simboli visivi della realtà e del giudizio artistico. La differenza tra la critica d’arte contemporanea rispetto a quella passata è che la prima appare concentrata di più sui simboli visivi. Il compito della critica era quello di comprendere come l’espressione psicologica sia diventata pittura e come la visione dell’artista esprime il suo modo di sentire. La scienza della visione artistica ha dovuto essere un insieme di generalizzazioni tratte dall’osservazione delle linee e dei colori usati dagli artisti. Ma quando si paragonano tra loro le linee e i colori di due artisti diversi che cosa restaP Il simbolo fisico di una realtà composta da fisico e spirito. Raffaello e Michelangelo per esempio hanno adoperato la linea in un modo che presenta alcune affinità tra cui quella che è chiamata “linea chiusa”; mentre Tiziano e Tintoretto erano affini per quanto riguardava la tecnica della “linea aperta”. L'uso dei simboli visivi si ricollega alla tendenza storico-filosofica della critica d’arte. I simboli della visione, usati fin dall'antichità, sono stati in qualche modo purificati e sistematizzati; per esempio secondo Mengs, perché un giovane diventi pittore è necessario che apprenda: disegno, chiaroscuro, colorito, armonia, composizione, grazia e la proporzione del corpo umano. Il formalismo dello Herbart e i simboli visivi dello Zimmermann. Per ritrovare le origini teoriche della critica della pura visibilità bisogna risalire ad una distinzione del Kant tra bellezza libera e bellezza aderente; le prime sono quelle che per sé stesse non significano nulla come ad esempio i disegni alla greca, i fogliami e i tappeti; mentre le seconde sono quelle che presuppongono un concetto di scopo che determina ciò che la cosa deve essere. L'estetica idealistica, e in particolar modo quella di Hegel, riconobbe solo la bellezza aderente e considerò l’arte solo come una manifestazione sensibile dell’idea. Herbart, invece, fedele a Kant, opponeva al contenutismo dell'estetica idealistica un formalismo astratto; per conoscere quindi la bellezza, bisognava compiere una doppia astrazione: dal sentimento e da tipi di arte differenti. Un suo seguace di nome Zimmermann ebbe un notevole influsso sulla critica della pura visibilità e con la sua estetica rinviava alla psicologia lo studio del contenuto della fantasia e riservando all’estetica il contenuto stesso della fantasia. Egli distingueva diversi gruppi di opere d’arte: nel primo gruppo si trovano opere il cui modo di rappresentazione è tattile o materiale come ad esempio le rappresentazione del lineare, del piano e della plastica; nel secondo gruppo vi si trovano opere il cui modo di rappresentare dipende dalla percezione (chiaroscuro e colore); al terzo ed ultimo gruppo invece appartiene la poesia che rappresenta il pensiero. 31 Conrad Fiedler e la teoria della pura visibilità La teoria della pura visibilità è l’opera di Conrad Fiedler in cui parte dalla distinzione di Kant tra una percezione soggettivistica che è determinazione di sentimento, piacere o pena ed una percezione obbiettiva che è la rappresentazione di una cosa. Egli afferma che il campo proprio dell’arte è la percezione obbiettiva. Fiedler si oppone all’estetica dell’idealismo in nome del realismo estetico e, confrontando il senso della vista con quello del tatto, afferma che il secondo non ha un suo sviluppo; mentre quando ci si occupa della vista, esiste un’attività che si presenta come sviluppo del vedere sensibile e che è destinata ad essere percepita dall'occhio senza il bisogno di ricorrere a mezzi intellettuali. Le arti hanno quindi le loro leggi che non sono quelle della natura, ma della visibilità; la natura non può mai diventare oggetto di rappresentazione artistica. Alois Riegl: relatività dei modi di vedere e universalità dell’arte Fiedler e Hildebrand trassero i loro giudizi dall'esperienza dell’arte greca e di quella italiana del rinascimento; all’infuori di questi due periodi artistici, nulla è stato fatto di perfetto. Il tentativo compiuto da Fiedler di giudicare, secondo criteri trovati per l’architettura del tempio greco, anche la cattedrale romanica è timido e incerto. Perché la teoria della pura visibilità desse la piena misura delle sue possibilità nel giudizio dell’arte, occorreva rinunciare al suo valore normativo. Il massimo contributo è dato da Alois Riegl il quale pensa che la storia dell’arte debba essere una storia universale che insorge contro i due maggiori pregiudizi tradizionali della storia dell’arte. Il principio che giustifica insieme l’interesse storico ed il giudizio estetico di Riegl è il Kunstwollen (il volere dell’arte) in cui l’opera d’arte è morta senza il suo processo spirituale creativo: bisogna ricondurla all'origine della sua creazione. Enrico Woelfflin: i concetti fondamentali della storia dell’arte e il binomio tattile ottico. Egli fu molto più famoso di Riegl e passa ad oggi come il maggior creatore dei simboli della pura visibilità: presenta una più viva conoscenza del bisogno della storia della cultura e della trattazione psicologica dell’arte, ma con meno creatività rispetto a Riegl. Per esempio non comprende l’arte dei primitivi e quando ne parla descrive la loro rigidezza, la loro incoerenza e la loro mancanza di unità. Il suo libro “Concetti fondamentali della storia dell’arte@ è suddiviso in cinque concetti fondamentali: 1) Lo sviluppo dal lineare al pittorico in cui lineare significa la concezione degli oggetti nel loro carattere tattile di contorni e di piani e pittorico indica la rinuncia al disegno palpabile e la volontà di pura apparenza visiva. 2) Lo sviluppo dalla visione della superficie alla visione della profondità. L'arte classica riporta tutte le parti di una composizione alla superficie, mentre il barocco accentua le sovrapposizioni. La superficie è l'elemento della linea e la giustapposizione dei piani è la forma della massima nitidezza. 32
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