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L'educazione come vita: teoria dell'esperienza di Dewey e Montessori, Appunti di Storia Della Pedagogia

La teoria dell'esperienza di john dewey e maria montessori, due pioniere dell'educazione, che hanno avanzato idee rivoluzionarie sulla natura dell'apprendimento e del ruolo dell'educazione nella vita. Dewey, influenzato dalla psicologia sperimentale e dal pragmatismo, ha sostenuto che l'educazione deve essere un percorso di elaborazione e confronto delle esperienze, mentre montessori ha sviluppato un metodo educativo basato sull'autoeducazione dei bambini e sulla libertà. La filosofia di dewey e montessori, le loro esperienze pratiche e le loro influenze sulle scuole e sull'educazione in generale.

Tipologia: Appunti

2023/2024

Caricato il 14/02/2024

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flavia-di-pietro 🇮🇹

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Scarica L'educazione come vita: teoria dell'esperienza di Dewey e Montessori e più Appunti in PDF di Storia Della Pedagogia solo su Docsity! GIOVANNI GENTILE (1875-1944) G. Gentile è stato un filosofo, pedagogista e politico che ha segnato la storia e la cultura italiana nella prima metà del XX secolo. Nasce a Castelvetrano il 29 maggio 1875. Nel 1920 fonda la sua rivista filosofica, il “Giornale critico della filosofia italiana”; nello stesso anno si avvicina al Fascismo per la sfiducia maturata nella vecchia classe dirigente italiana. 1922 diventa ministro della Pubblica istruzione, come ministro tecnico nel primo governo Mussolini, grazie ai poteri che quel governo aveva avuto dal Re, nel 1923/24 Gentile poté varare la riforma della scuola italiana che porta il suo nome e che resta la più coesa riforma scolastica dell’Italia del Novecento. Si iscriverà al partito fascista nel 1923 per contribuire a costruire una sua compiuta ideologia dello Stato, difatti, porta in dote al regime fascista un vigoroso pensiero pedagogico. Gentile fu un uomo fortemente laico e, pur riconoscendo alla religione un importante ruolo storico e politico, resta comunque legato agli ideali risorgimentali e anticlericali criticando lo storico accordo tra la Chiesa e lo Stato italiano. G. Gentile non abbandona il regime fascista nemmeno dopo le leggi razziali contro gli ebrei del 1938 o quando si prospetta la tragedia della Seconda Guerra mondiale e Mussolini venne deposto ed arrestato il 25 luglio del 1943, il 24 giugno dello stesso anno in un discorso tenuto al Campidoglio chiese a tutti gli italiani di abbracciare lo Stato fascista che stava crollando. Gentile paga con la condanna a morte la propria ostinata scelta filofascista e filonazista. Il 15 aprile 1944 viene assassinato davanti la propria abitazione da un gruppo di giovani resistenti comunisti. La sua filosofia Fondatore dell’“attualismo”, forma più estrema di neoidealismo italiano, la corrente filosofica che aveva voluto rompere sia con il materialismo si con il positivismo ottocentesco, per promuovere “una rinascita dell’idea”. Riformò la dialettica hegeliana e valorizzò l’idea kantiana di “trascendentale” (dimensione cognitiva che regola la conoscenza senza essere qualche cosa di metafisico), egli cercò di dimostrare in che modo lo Spirito non debba mai uscire da sé essendo l’origine e il fine di ogni sapere. Nell’attualismo gentiliano il Soggetto/Pensiero è sempre in potenza e cresce in proposizione alla capacità di universalizzarsi attraverso un processo dialettico interno; Gentile spiega che la concretezza dell’individuo non è materiale nello spazio e nel tempo, ma è ciò che vive lo spirito, è autocoscienza ed è infinita. Il protagonista della filosofia gentiliana è il pensiero, pieno e concreto: è incarnazione, espressione e manifestazione di un esistere che nasce e si trasforma con e per il pensiero, senza uscire da sé. Infine, nella sua riflessione non è concepito che l’uomo possa raggiungere o annullarsi in un Assoluto estraneo e immediato, ma ritiene che l’elevazione del finito nell’infinito sia una mediazione interna all’Io individuale che non nega la propria limitatezza, ma ne prende coscienza e la trasfigura continuando a lavorare su sé stesso senza sosta. La pedagogia come filosofia Nel 1900 “Il concetto scientifico della pedagogia” Gentile spiega che l’identità tra pensiero e azione non presuppone la scomparsa del processo educativo ma che solo nell’autocoscienza si realizza la sintesi a priori tra maestro e allievo. La vera educazione si accende quando i momenti spirituali dei due coincidono pur nella distinzione ed è il risultato di un’unita di spirito e di un sapere pratico che si fa amore per la conoscenza in sé; rompere il diaframma nella relazione educativa tra maestro e allievo, per trasformare l’educazione in autoeducazione così da far giungere ogni uomo ad una piena coscienza della propria libertà e insieme al riconoscimento della necessità di un magistero, che è la forma più alta di amicizia e di intimità. Il “Sommario di pedagogia come scienza filosofica” (pubblicato in due volumi tra il 1913-1914) si apre proprio con il riferimento ad Agostino che aveva affermato che la verità abita nel cuore dell’uomo. Gentile perciò afferma che la verità è nell’uomo ed ogni forma di istruzione è sempre una creazione perché nulla può essere insegnato dall’esterno, e tutto invece è autocoscienza di ciò che si vive e dunque crescita spirituale autonoma. Sostiene il dovere dello Stato di educare il popolo a prendere coscienza della propria unità. La concezione etico-pedagogica dello Stato fascista presupponeva un senso del dovere che in verità non proveniva dal libero convincimento dei cittadini, ma piuttosto da una compressione delle libertà. La riforma scolastica di Gentile La riforma scolastica del 1923/24 Gentile è il frutto della volontà di rinnovare la scuola italiana senza tradirne l’impianto originario (legge Casati 1859) e tantomeno la sua struttura piramidale, incarnata in una scuola di cultura che elaborava i valori di una tradizione letteraria fondata sul classicismo, cioè su quanto di più universale l’Italia potesse dire di aver vissuto. Gentile rafforza:  la “via lunga” della formazione liceale classica (ginnasio di 5 anni più liceo di 3 anni), porta  l’obbligo scolastico a 14 anni (5+3)  apre forme ibride di formazione liceale scientifica e linguistica che concorrevano a rendere più ricca l’offerta pubblica di istruzione superiore  crea l’istituto magistrale, della durata di 4 anni, che sostituì i vecchi canali di formazione dei maestri e che diventerà una colonna della cultura pedagogica nazionale La scuola gentiliana era da un lato l’opera sociale più importante del paese e dall’altro la pù importante agenzia di mobilitazione delle coscienze e ciò spiega la particolare importanza attribuita da Gentile ai contenuti dell’insegnamento e ai programmi quelli altrui e imparare a svolgere attività di natura collaborativa destinate a risultati maggiori rispetto a quelli a cui si potrebbe giungere individualmente. La proposta educativa di Dewey trova un’adeguata definizione, educazione progressiva; l’aggettivo “progressiva” rimarca le finalità del percorso di apprendimento nel suo complesso , orientato al progressivo sviluppo culturale e morale degli individui e all’adeguamento a una società in continuo cambiamento. Educazione e democrazia Testo pubblicato nel 1916 nel pieno del dibattito sull’intervento degli Stati Uniti nella Prima guerra mondiale. Dewey si confronta con la minaccia del successo degli autoritarismi nel Vecchio continente, proponendo come antidoto la sua concezione di vita democratica. Per Dewey il concetto di democrazia consiste nel buon funzionamento di un regime collegato alla possibilità che tali principi diventassero un metro sicuro della qualità dei rapporti sociali; una società democratica inoltre garantisce a tutti i suoi componenti la possibilità di contribuire attivamente ai processi decisionali collettivi che li riguardano. Ognuno di essi deve avere la possibilità di esprimere in forma attiva le impressioni maturate dalla propria esperienza e i propri orientamenti, e di metterli a confronto con quelli degli altri, affinché la comunità possa esprimere, attraverso una maggioranza, la scelta che veramente rappresenta la propria volontà condivisa. Una società è democratica se un simile atteggiamento nei confronti dei problemi, che Dewey ha definito metodo dell’intelligenza, diventa l’unico fondamento ammissibile per le prese di posizione pubbliche. In conclusione, il pensiero sociale di Dewey può fondarsi soltanto sull’altrettanto efficace educazione di ogni singolo componente, la scuola se davvero pensata e condotta in un clima di libertà e con la partecipazione attiva di tutti i suoi componenti può diventare il grande laboratorio per introdurre a principi e metodi della democrazia e farli divenire asse essenziali della vita e delle relazioni interpersonali. Sviluppi e influenze Dewey è uno dei pensatori più influenti del Novecento; Negli USA dalla prima metà del Ventesimo secolo sorgono le metodologie d’insegnamento ispirate alla riflessione pedagogica di Dewey. Nel secondo dopoguerra il suo pensiero diventa un riferimento internazionale dei movimenti di rinnovamento educativo scolastico in senso egualitario e progressista. MARIA MONTESSORI (1870-1952) Nasce a Chiaravalle il 31 agosto 1870. Si trasferisce con la famiglia a Roma dove si iscrive alla facoltà di medicina presso l’università “La Sapienza”, nel 1895 viene ammessa insieme al collega Montesano (professore di psichiatria) nella clinica psichiatrica dell’università, dove conduce diverse ricerche per la sua laurea. Nel 1898 entra come medico in qualità di assistente nel manicomio romano, Montessori si avvicina molto a questi bambini, accorgendosi che la questione dei “frenastenici” fosse prevalentemente pedagogica anziché prevalentemente medica; facendone argomento di educazione morale. Nello stesso anno partecipa al Congresso pedagogico di Torino presentando i risultati delle sue prime ricerche, affermando che questi bambini erano stati privati degli stimoli giusti e di un metodo pedagogico pensato apposta per loro, proponendo, un’educazione dei bambini “deficienti”. 1900 assume la direzione della Scuola magistrale ortofrenica. 1907 aprì la prima “Casa dei bambini” nel quartiere romano di S. Lorenzo destinata ai figli degli abitanti del posto che venivano da condizioni familiari disagiate e presentavano diverse difficoltà. Montessori sposta la sua metodologia dei bambini frenastenici e diversamente abili, a quelli delle case dei bambini, che presentavano difficoltà di natura diversa, (familiare, sociale, culturale); la possiamo definire una prima esperienza concreta di interesse verso i bisogni educativi speciali. Nel primo dopoguerra viene appoggiata da Giovanni Gentile e dal fascismo. Con il regime la Montessori ha pero un rapporto complesso, prima di favore e poi di rottura. Gli ideali di libertà e di pace sostenuti da lei, erano alternativi al fascismo. Il libro più importante da lei pubblicato: “Il metodo della pedagogia scientifica applicata all’educazione dell’infanzia nelle Case dei bambini” conobbe rapidamente una grande diffusione mondiale. Il metodo della pedagogia scientifica 1898-1900 Montessori si occupa dei bambini “frenastenici”. Studia il metodo fisiologico di Séguin e il materiale didattico da lui elaborato. Ciò le ispira l’ideazione e il progressivo perfezionamento, sulla base dell’esperienza, di un materiale strutturato: il materiale montessoriano, appunto, per <<chiamare entro l’anima del fanciullo l’uomo che vi sta ssopito>>. Nelle Case dei bambini Montessori usa il materiale con i bambini “normodotati”, ottenendo risultati sorprendenti. Si tratta di oggetti che servono per l’educazione sensoriale, isolare una qualità sola dell’oggetto, come colore, forma, dimensione, suono, stato di ruvidezza, peso, temperatura, … (materiale analitico); oggetti di facile manipolazione e uso, (materiale attraente) e materiale che consente il controllo dell’errore, come per esempio gli incastri, (materiale auto- correttivo). Attraverso l’educazione sensoriale si giunge, all’educazione intellettuale, nei quattro rami della scrittura, della lettura, dell’aritmetica e del disegno, che si iniziano nelle Case dei bambini e continuano nelle scuole elementare. La pedagogia scientifica e sperimentale proposta da Montessori mira dunque non tanto a dare ai maestri e alle maestre nozioni scientifiche aggiornate quanto invece a formarli al metodo scientifico dell’osservazione e dell’esperimento: dare loro lo spirito della ricerca scientifica. Il maestro dovrò pure avere umiltà, rispetto e amore nell’osservazione del bambino, per imparare dal bambino stesso e così elevarsi nella propria perfezione, come nel cammino spirituale di un mistico; in questo modo il maestro è il tratto di unione tra il bambino e l’ambiente educativo: Aiuta il bambino a fare da solo. La Casa dei Bambini Il maestro deve avere un ambiente per la corretta osservazione del fanciullo: l’ambiente deve perciò consentire la libera attività del bambino. Montessori osserva che un principio di repressione, che quasi giunge alla schiavitù, regna nella scuola; una prova è data dal banco scolastico, nato per ottimizzare gli spazi ma anche per tenere il più possibile immobile lo scolaro. Montessori afferma dunque, che per una conquista vera e propria della libertà c’è il bisogno di abolirlo, e così trasformare la scuola con una pedagogia innovatrice che miri alla liberazione del bambino e lo aiuti a conquistare la libertà, con il solo limite dell’interesse collettivo. La maestra dovrà presentare il materiale al bambino mostrandoglielo anche più volte in modo da poter lasciare poi libero il bambino alla propria autoeducazione; la libertà non va però confusa con l’abbandono poiché il bambino libero va comunque nutrito: il suo corpo con il cibo, la sua anima con il materiale di sviluppo. L’educazione ha due fini: aiutare il naturale sviluppo dell’individuo e preparare l’individuo all’ambiente. Nelle Case dei bambini vi è un arredo tutto a misura di bambino, niente banchi ma tavolini leggeri e facili da spostare, vi sono anche lavabi, credenze, tavoli… proporzionato ai bambini che compiono esercizi di vita pratica non solo individualmente ma anche collettivamente: apparecchiare, servire il pranzo, rigovernare le stoviglie. Questi esercizi sviluppano il sentimento sociale, in quanto i fanciulli lavorano nell’ambiente comunitario, senza badare se lo fanno per sé o per il bene comune. La psicologia della mente assorbente Montessori elabora un’originale visione della psicologia dell’infanzia. Se la mente adulta si definisce cosciente quella dei bambini dovrebbe essere chiamata inconscia, il bambino assimila delle impressioni dall’ambiente in cui esso vive, inconsapevolmente passando poco a poco dall’inconscio alla coscienza. Il bambino assorbe le conoscenze con la sua vita psichica, mentre l’adulto le acquista con l’intelligenza. Le impressioni non solo penetrano nella mente del bambino, ma la formano; Montessori parla per ciò di mente assorbente. Il periodo post-natale è dunque un periodo formativo, che a livello psichico, ricorda quello avvenuto per il corpo nel periodo embrionale, definendo tale periodo formativo come Embrione Spirituale. Il bambino non ricorda le cose che vede o sente ma le incarna in sé stesso e ne è trasformato perché queste cose diventano parte della sua psiche, la formano. Nel bambino piccolo sono presenti delle potenzialità, definite nebule, che possono svilupparsi solo assimilando dall’ambiente gli elementi necessari per la costruzione delle funzioni psichiche. Il compito dell’adulto è quello di aiutare il bambino nel suo periodo sensitivo, ma con azioni sbagliate può anche bloccarlo, perturbarlo e così danneggiarlo e menomarlo psicologicamente. La liberazione del bambino dalla tirannia dell’adulto  “i sensitivi vegetativi e tattili” (cioè i selvaggi),  “i sensitivi muscolari” (operai non specializzati e agricoltori),  “i sensitivi sentimentali” (coloro che mirano al guadagno), Tre sono i gruppi sentimentali:  “i sensitivi” (impiegati ecc..),  “i sentimentali puri” (i conservatori),  “i sentimentali intuitivi” (membri di associazioni); Tre sono i gruppi degli intuitivi:  “intuitivi sentimentali” (i capipopolo),  “intuitivi puri” (gli educatori) e  “intuitivi razionali” (gli inventori); e infine vi sono le persone razionali:  quelle “razionali-intuitive” destinate a organizzare la società, ossia le persone di cultura. Le scuole nuove La scuola attiva di Ferrière. Ferrière trae l’importanza del lavoro manuale da G. Kerschensteiner e J. Dewey, riconosce i grandi risultati ottenuti dal metodo di M.Montessori, e dedica i suoi complimenti più vivi a l’Istituzione “scuola serena” di M. Boschetti-Aliberti; e dopo una serie di ricerche e confronti sui metodi pedagogici più efficaci, stila un elenco di 30 punti che caratterizzano le scuole attive, relativi sia alle sue strutture (per esempio l’ubicazione in campagna, non troppo lontano dalla città, o la forma preferenziale dell’internato), sia alle attività che vi si tengono e allo stile educativo. Un polo a cui deve sicuramente tendere l’educazione è la preparazione alla vita, deve sostenere lo sviluppo del corpo, lo sviluppo psicologico, il progresso sociale e morale. Particolarmente adatti al raggiungimento di questi obiettivi sono i lavori manuali, stimolando tutti e tre i livelli della persona. Essi forniscono conoscenze d’ordine fisico ed elementari cognizioni di ordini industriali, utili anche sul piano pratico; sviluppano nel fanciullo l’osservazione, il potere d’associazione mentale, l’immaginazione e riflessione. <<I lavori manuali favoriscono la coordinazione delle attività, mettendo in esercizio tutti i sensi, tutti gli organi, tutte le funzioni tanto del corpo quanto dello spirito>>. Si rende perciò necessario il superamento del concetto tradizionale di aula scolastica, a vantaggio di laboratori e officine; importante anche come si presentano gli ambienti che devono trasmettere il senso per il bello. L’istruzione che Ferrière propone, si fonda dunque nella teoria di Decroly dei centri d’interesse, Egli invita a far visitare agli alunni botteghe artigiane, officine e stabilimenti industriali, come pure i servizi pubblici (ospedali, stazioni ferroviarie, centrali telefoniche…) oltre a consigliare frequenti gite e campeggi nella natura; una scuola simile libera l’allievo ma anche il maestro, Ferrière aggiunge in consonanza con Dewey, che essa libera anche lo Stato, in quanto educa cittadini produttivi e partecipi al progresso. LORENZO MILANI (1923-1967) Nasce a Firenze il 27 maggio 1923 in una famiglia dell’alta borghesia, la madre di origine ebraica. Avvia gli studi elementari privatamente e li conclude nella scuola statale di Milano, dove i genitori si trasferiscono alla fine degli anni ’20. Nel 1933, con l’emergere del fanatismo razziale, i coniugi Milani fanno battezzare i tre figli, ottenendo nel 1940 il riconoscimento di <<non appartenenza alla razza ebraica>>. 1943 Milani abbraccia la fede cristiana ed entra in seminario, diventando nel 1947 vice-parroco a San Donato di Calenzano. L’ambiente cattolico fiorentino nel quale si forma e inizia il suo apostolato si distingue dal contesto nazionale (irrigidito a causa della diffusione del comunismo) per la notevole apertura culturale e per il vivace fermento ecclesiale; in quel clima per far conoscere il Vangelo ai più “lontani” (comunisti o atei), don Milani ricerca ed elabora nuove ricerche lo porteranno a sperimentare una originale pastorale missionaria (incentrata sulla scuola e sull’educazione, ritenuta veicolo di liberazione interiore e di emancipazione civile). Ciò che lo colpì di più fu il vissuto religioso degli strati popolari (fondato sull’abitudine, il conformismo, la tradizione); la povertà culturale degli operai; la miseria e l’emarginazione dei contadini montanari, declinando la sua vocazione sacerdotale con quella di educatore. A S. Donato (1947-1954): la scuola popolare per evangelizzare ed emancipare Nel 1947 avvia in canonica una iniziativa educativa privata, cioè una scuola popolare serale per giovani operai, per far fronte a una precisa esigenza pastorale, maturata nel constatare che l’analfabetismo religioso dei suoi parrocchiani nasce dalla mancanza di istruzione civile: per ottenere la comprensione della liturgia e della catechesi e preparare l’accesso alle verità di fede è necessario un patrimonio linguistico-lessicale e culturale di base. L’istruzione diventa così per don Milani (ottimista intellettuale) la premessa fondamentale per l’evangelizzazione e per la maturazione di una religiosità. In questa prima fase insegna anche religione nelle scuole elementari, introducendo una forma di “scrittura collettiva” (una Vita di Gesù redatta dai bambini), organizza corsi di formazione biblica per i maestri, sperimenta un nuovo metodo per il catechismo. Nel 1949 i corsi della scuola popolare sono riconosciuti dal Ministero che, inviando un maestro statale autorizza il conseguimento del diploma di quinta elementare. Le iniziative di lotta all’analfabetismo adulto e di rieducazione etico-civile postfascista promosse dal ministro della Pubblica Istruzione Guido Gonella. I metodi alternativi di insegnamento (basati sull’educazione linguistica, il dialogo, la lettura condivisa dei quotidiani e della Costituzione) la scelta aconfessionale (toglie il crocefisso dall’aula) e lo stile laico (non insegna religione) consentono di avvicinare la maggioranza dei giovani della parrocchia evitando discriminazioni tra credenti e atei, democristiani e comunisti: si presenta così come una scuola di servizio sociale. Nel 1952-53 torna alla scuola popolare dopo un lungo periodo d’assenza per malattia, don Milani prende in considerazione anche i giovani contadini, accentua l’attenzione verso l’educazione linguistica, destinata a diventare “la cifra fondamentale della sua pedagogia”; la mancanza di un “patrimonio comune di cultura generale” è identificata come la radice delle disparità sociali: la condizione di inferiorità dell’operaio o del contadino adulto. A Barbiana (1954-1967): una “pedagogia della parola” per diventare cittadini sovrani e solidali Nell’ estate del 1954 l’arcivescovo di Firenze card. Dalla Costa, un prelato conservatore, interviene per porre freno ai fermenti del cattolicesimo fiorentino facendo trasferire don Milani come parroco in una remota parrocchia di montagna a S. Andrea di Barbiana. Qui don Milani “si fa povero tra i poveri” contadini montanari (immersi in una condizione di emarginazione e chiusi nel silenzio) per dar loro la parola; conoscere l’estrema arretratezza sociale e culturale del sottoproletariato agricolo favorisce la piena saldatura tra il livello pastorale e il livello culturale-educativo, che don Milani sviluppa secondo due direttrici fondamentali: l’insegnamento e la scrittura che rendono delineabili un “metodo didattico”, “una pedagogia” e le più ampie “finalità educative”. A Barbiana avvia una scuola popolare serale, introduce una proposta formativa nuova (destinata a diventare l’iniziativa educativa principale). Nel 1958 esce Esperienze pastorali, un decennio di riflessioni pastorali-educative, dal quale emerge una acuta comprensione delle minacce che sfidano il cristianesimo, la natura diseducativa delle trasmissioni televisive, che portano ad una standardizzazione culturale, un conformismo intellettuale vuoto di veri valori, l’atrofizzarsi del senso critico. Il libro viene però condannato dal Santo Uffizio, ma continua ad essere letto e venduto, alimentando un ampio dibattito culturale. Si accentua inoltre l’importanza della dimensione comunitario nel processo educativo delineando un “metodo” fondato sulla centralità dell’educatore-maestro, sul mutuo insegnamento, e su partiche innovative: l’assenza di voti, di esami, di sospensioni; la centralità dell’educazione linguistica la scrittura collettiva di testi tramite la raccolta e l’analisi di informazioni e dati statistici: la lettura del quotidiano permette di collegare la scuola alla società. Propone anche l’insegnamento delle lingue straniere attraverso anche soggiorni di lavoro e studi all’estero per i più grandi. L’innovazione didattica della scuola pomeridiana di Barbiana risiede nell’aver applicato “gli indirizzi dell’educazione popolare, pensati per gli adulti, rivolti ai ragazzi). Si delinea una “pedagogia adulta” che responsabilizza gli allievi e li educa a diventare cittadini sovrani e solidali. attraverso il testo collettivo Lettera ai giudici, don Milani cerca di educare anche alla libertà di coscienza (rapporto tra coscienza e legge) la scuola deve formare nei ragazzi <<il senso della legalità, il senso politico>>. Bisogna educare i ragazzi a osservare le leggi quando sono giuste e a battersi per cambiarle quando non lo sono impiegando metodi non violenti, ad esempio il voto, lo sciopero o con la parola; educare dunque gli allievi a la responsabilità e al senso sociale. Il motto “I care” (“Me ne importa, mi sta a cuore”) affisso a Barbiana rappresenta l’invito a superare sia l’egoismo sociale sia il disimpegno individualistico, in netta opposizione con la diseducazione etico- civile ereditata dalle pedagogie adultistico-repressive e del fascismo. Nel 1965-66 la Lettera a una professoressa propone di applicare le riforme strutturali e di cambiare stile educativo: eliminare le bocciature; rendere la motivazione motore dell’apprendimento, collegando la scuola alla vita; tenere conto delle disuguaglianze iniziali; respingere “l’ideologia La struttura scolastica che Maritain ipotizza per questo progetto è articolata in due gradi: il primo (la scuola di base) indifferenziato e uguale per tutti; il secondo (scuola secondaria di secondo grado) differenziato in vista di un primo orientamento professionale. Il primo è finalizzato a dare all’alunno una <<conoscenza universale>> nel senso formativo, per promuovere il gusto del bello, del vero e per sviluppare l’intuizione, l’immaginazione e la emotività. Il secondo grado dovrebbe articolarsi in due indirizzi, entrami orientati verso le attività di lavoro: prevalentemente intellettuali nel primo e prevalentemente manuali nel secondo. Questo assicura il superamento delle antiche contrapposizioni tra lavoro e cultura. Primato della persona e umanesimo integrale: l’eredità L’opera umanesimo integrale, si propone di dare risposta alle sfide della modernità, in un’epoca in cui prevalevano, nel mondo cattolico e nello stesso magistero pontificio, la condanna; la denuncia e la presa di distanza. Nel suo pensiero emerge che la democrazia rappresenta il sistema politico più adatto per il superamento di tali questioni, l’ideale democratico incarna in sé valori umani razionali e su principi che trovano la loro radice nel Vangelo, quali la dignità di ogni uomo; la necessità dell’amore fraterno e l’uguaglianza di natura di tutti; scegliendo un atteggiamento di apertura prima che di rifiuto, di ricerca del positivo prima che di condanna del negativo. JEAN PIAGET (1896-1980) J. Piaget è stato uno psicologo, biologo, pedagogista e filosofo; nasce in Svizzera il 9 agosto 1896, fin dall’adolescenza si appassiona alle scienze naturali; l’incontro con il suo professore al ginnasio e all’università, Arnold Reymond, lo spinge in una direzione tesa a coniugare scienza e indagine filosofica, ma soprattutto l’avvicinamento alla psicologia e l’attrazione per la psicanalisi determineranno la svolta delle sue ricerche. Nel 1919 si trasferisce a Parigi, dove, grazie a Théodore Simon, pioniere nella creazione di test d’intelligenza, opera nel laboratorio di Alfred Binet, avviando qui i suoi primi lavori sperimentali sull’età evolutiva. Piaget è considerato il fondatore dell’epistemologia genetica, la disciplina che studia le origini della conoscenza, l’epistemologia spiega anche il processo tramite il quale un essere umano sviluppa le sue abilità cognitive nel corso della sua vita, a partire dalla nascita ed attraversando stadi sequenziali di sviluppo con particolare attenzione ai primi anni dello sviluppo cognitivo. La teoria degli stadi cognitivi Interesse rilevante di Piaget è quello di comprendere le condizioni di adattamento degli organismi all’ambiente; egli pensa che l’intelligenza rappresenti la forma più alta di tale adattamento e che il suo sviluppo derivi dall’interazione fra l’azione dell’organismo sull’ambiente (assimilazione) e il suo inverso (accomodamento), con ciò lo studioso supera le tesi basate sul principio dell’ereditarietà, piuttosto la sua posizione è interazionista. Fin da piccolissimo il bambino manifesta la sua intelligenza mediante l’agire. Per lo psicologo svizzero, egli è realista, tende a personificare le sue rappresentazioni mentali, ed è egocentrico, in quanto incapace di guardare il mondo da prospettive diverse dalla propria. La conoscenza appare perciò nella sua dimensione processuale, su una storia fatta di stadi successivi, quattro, ciascuno qualificato dalla presenza di specifiche strutture mentali. Il bambino nasce con un patrimonio genetico che costituisce la base dello sviluppo sia biologico che mentale.  Stadio Sensomotorio (0-2 anni)  Stadio dell’Intelligenza rappresentativa (2-7 anni) fase dominata dall’acquisizione del linguaggio Per rappresentazione s’intende non solo la riproduzione immaginifica di un oggetto realmente percepibile, ma anche la costruzione mentale di un dato non percettivo (ad es. la lunghezza totale di una cordicella tagliata a pezzi); tale dimensione è favorita da tre forme di attività fondamentali nella prima infanzia: l’imitazione differita (imitare un’ azione a distanza di tempo), il gioco simbolico (quello nel quale i bambini agiscono “come se” loro stessi o un oggetto fossero qualcos’altro, e il linguaggio verbale.  Stadio delle Operazioni concrete (7-12 anni) a questo livello il bambino conquista la capacità di compiere operazioni intellettuali sugli oggetti, pur su un piano ancora concreto, è qui che compaiono le principali operazioni logiche come classificare o numerare, ma anche le nozioni di spazio, tempo, causo, caso…  Stadio delle Operazioni formali (dopo i 12 anni, preadolescenza, adolescenza) qui compare la facoltà astrattiva, dalla quale deriva quella capacità di ragionare per induzione che introduce al pensiero dell’adulto, e dello scienziato. Nel solco della tradizione attivista Al centro delle su ricerche vi è l’immagine di un bambino costruttore di conoscenze, già in possesso di un bagaglio cognitivo nel momento in cui giunge alla scuola, la quale a sua volta ha il dovere di non trascurarle. Per Piaget, compito della psicologia sarebbe quello di fornire dati alla pedagogia e non di sostituirsi nella formulazione di una riforma generale dell’educazione. Solo un approccio individualizzato, adattato ai ritmi evolutivi di ciascun bambino, può infatti garantire il rispetto dei singoli bisogni, il che presuppone un insegnante-educatore in grado di determinare in ogni momento tali bisogni. L’educatore deve porre al bambino dei problemi utili che obblighino gli alunni a riflettere, l’insegnante deve perciò smettere di essere un conferenziere e piuttosto stimolare la ricerca e lo sforzo invece di accontentarsi di trasmettere delle soluzioni già pronte. Occorre però che il maestro-animatore conosca non soltanto la sua materia, ma sia informato a fondo anche circa le particolarità dello sviluppo psicologico dell’intelligenza infantile o adolescente. D’altronde l’educazione non sarebbe altro che un’opera d’adattamento all’ambiente sociale compiuta dal mondo adulto e proiettata nel mondo dell’infanzia, un’impresa trasformativa della costituzione psicobiologica. Metodi nuovi, attivistici, tendono a favorire l’adattamento puntando sul bambino e sulla sua verificata psicologia (puerocentrismo). Sul piano didattico gli argomenti di Piaget individuano una possibile strategia per ridurre l’egocentrismo infantile e assecondare lo scambio relazionale, la tecnica del self government, che affida agli alunni l’organizzazione della disciplina in classe, è chiamata a sviluppare i principi della solidarietà tra i compagni e il controllo vicendevole favorendo l’interiorizzazione delle norme e lo sviluppo della personalità. Scopo dell’educazione è di formare individui creatori, inventori e innovatori, dal momento che l’infanzia rappresenta la fase creativa per eccellenza. L’unica strada possibile per la pedagogia è quella ispirata da Rousseau, di un educatore disposto ad assecondare la natura del bambino, allestendo situazioni ad hoc. E’ soprattutto la scuola, come ambiente-laboratorio meglio osservabile e controllabile.
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