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Riassunto Storia della politica internazionale nell'età contemporanea (Nuova Edizione), Sintesi del corso di Storia Contemporanea

Riassunto del libro di Guido Formigoni "Storia della politica internazionale nell'età contemporanea" utile per il sostenimento dell'esame di storia contemporanea in IULM. Aggiornamento per i corsi dal 2017/2018 in poi.

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Riassunto Storia della politica internazionale nell'età contemporanea (Nuova Edizione) e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! CAPITOLO 1 Nascita dell’età moderna tra Settecento e Ottocento. Rottura con l’Ancien Régime grazie alla Rivoluzione industriale (Gran Bretagna 1760- 1800) e Rivoluzione francese del 1789. Politica ed economia ne risultano rivoluzionate. “Età delle rivoluzioni”, periodo 1750-1850 “età cerniera” verso la contemporaneità. Alle soglie dell’età delle rivoluzioni esisteva un “sistema politico internazionale”, mutò aspetto attorno al 1820-1830. Sistema come un complesso di interrelazioni relativamente stabili e organizzate tra soggetti distinti, il cui comportamento influenza le scelte degli altri estesa a dimensioni globali. In Europa tessuto di rapporti tra le entità politiche sovrane. Stati: creature culturali storicamente situate, che hanno conosciuto un processo di genesi e informazioni. 1. DALL’ UNIVERSALISMO MEDIEVALE AGLI STATI MODERNI Stati moderni nacquero con un processo storico di disgregazione e successiva riorganizzazione dell’universo della christianitas medievale concepito come unitario e organico. Dopo il crollo dell’impero il potere reale e l’amministrazione si erano frammentati. Mito della renovatio imperii garantito dalla pregnanza sociale e simbolica del cristianesimo. La costituzione carolingia del Sacro Romano impero (800) realizzava una forma di impero agrario, ad integrazione simbolico-religiosa, con la capacità di estrarre dalla terra un reddito fiscale, ma etnicamente e culturalmente diversificati in una concentrazione del potere reale selettiva e modesta in molti campi. Vita delle popolazioni in ambito locale: elevata anarchia e sovrapposizione di poteri diversi. Nell’Europa medievale i nobili avevano pretese di controllo sul territorio, con l’ereditarietà feudale che li rendeva indipendenti; dovevano omaggio ad un sovrano lontano da cui avevano ottenuto l’investitura del feudo. Elemento universalistico: risvolto politico e religioso (unica Chiesa, unico Impero). Stato in senso moderno: “Autunno del Medioevo”, ogni principe mirava a costruire il primato all’interno di un territorio rendendo più stabili le imposte, strutturando l’esercito tramite mercenari, controllando gerarchicamente l’esercizio della giustizia e riducendo i privilegi di città ed ordini religiosi. Importanza di una città capitale in quanto sede del re e dell’amministrazione e capacità di imporre leggi e farle rispettare attraverso un apparato amministrativo più capillare. Rinascita economica di ampie regioni, affermazione di circoli commerciali e metodi di produzione e richieste di certezza del diritto, di amministrazioni prevedibili, di regole sulle monete e gli scambi. Nuovo Stato garante di una primordiale struttura di mercati e imprese. Volgare divenne lingua ufficiale, premesse per una lingua nazionale. La lingua connota una nazione anche dove non c’è unità politica, e le vicende religiose accompagnarono questo percorso: la traduzione della Bibbia in palesavo, Riforma protestante. Difficoltà nei trasporti rendevano l’accentramento a volte solo nominale. Molte forze si opposero alla tendenza accentratrice: aristocratici e nobili rivendicavano le proprie libertà; grandi manifestazioni di questo tipo Fronda in Francia e rivolta del parlamento in Gran Bretagna. Seicento-Settecento assolutismo: sovrano svincolato dalle leggi della tradizione e libero di creare un nuovo diritto. Il re rivendicava il controllo sull’amministrazione e la fiscalità: in Francia, dal 1614 il sovrano non convocherà più gli stati generali, fino alla vigilia della rivoluzione. Re visto come un arbitro ultimo sempre più decisivo. 2. I SUCCESSI DEI NUOVI STATI SOVRANI Il sovrano non tollerava alcun tipo di subordinazione all’imperatore o al papa (superiore non recognoscens). Il re diventava imperator in regno suo e trasferiva nelle sue mani le prerogative dell’impero. La monarchia puntò a politicizzare il papato come potere assolutore appropriarsene mentre si sganciava dal vincolo nei confronti della guida universale della Chiesa. In Francia nasce la Chiesa gallicana, Enrico VIII dà il via allo scisma d’occidente (inizio ‘500): potere sovrano deriva direttamente da Dio. Impero medievale alveo germanico: corona imperiale attribuita al regno franco-orientale. 1512 sanzione linguistica: nuovo nome di Sacro romano impero “della nazione germanica”. Dal 1536 codificata prassi elettiva rispetto alla carica imperiale, soggetta a continue contrattazioni con i principi elettori ed i potentati autonomi rappresentati nella Dieta dell’Impero. Nuovo concetto di sovranità: “potere assoluto e perpetuo proprio della repubblica”. La sovranità è tale se riconosciuta, sia all’interno del corpo politico in quanto capace di generare la pace e l’ordine, sia da parte degli altri soggetti sovrani, come elemento essenziale di un rapporto paritario. 1200 concetto di frontiera assume carattere più concreto e moderno, ius belli (diritto di fare guerra) prerogativa dell’autorità statuale sottratta ai privati. Il monopolio della forza legittima carattere fondamentale della sovranità degli Stati moderni. Il concetto di stato in senso moderno si definì solo alla metà del ‘500. Si diffonde la dottrina della “ragion di stato” che identificava come compito dei sovrani quello di difendere, conservare, accrescere il proprio Stato. Regno più antico e avanzato: Francia, consolidato sotto ai Valois attraverso la Guerra dei Cent’anni (1453 fine). Regno d’Inghilterra dinastia dei Tudor (1484), contemporaneamente sorgeva il Regno delle Spagne, con l’unione tra le dinastie di Castiglia e Aragona. Italia tra ‘300 e ‘400 signorie e principati regionali, con la Pace di Lodi (1454) riconoscevano mutua indipendenza, con una sorta di equilibrio precario infra terminos italicos. Il sistema italiano in difficoltà: forte pluralismo impedì di sostenere un potere statuale, scarse basi territoriali non permisero la concentrazione del potere. Sorgere di un intreccio politica-economia di tipo capitalista, capace di costruire un’organizzazione del potere ai fini di sostenere la possibilità della ricchezza di moltiplicare sé stessa. Ad esempio: Venezia, città stato marinara governativa una élite del denaro a forte dominanza mercantile e finanziaria. Il regno del Portogallo con una sfera commerciale nell’Oceano indiano. I Paesi Bassi riconosciuti indipendenti dall’Impero all’inizio del ‘600, in forma di repubblica; navigli olandesi semi monopolio di alcuni traffici commerciali navali. Europa orientale nuclei statuari forti come quello polacco-lituano e quello ungherese. Europa dell’est: principato di Mosca unì e allargò terre dell’antica Rus’. Con la dinastia dei Romanov (1613) la nuova Russia si affacciava all’Europa: zar fondava la propria autocrazia sull’indipendenza dai vicini, e sul mito popolare della Santa Russia. Mosca, dopo la fine di Bisanzio, rappresentava la Terza Roma. Guerre di religione avviate con la riforma protestante: iniziate in Germania, si estesero in Francia (conflitto tra cattolici e ugonotti) e in Gran Bretagna (guerre civili del Seicento). Apice: Guerra dei Trent’anni (1618-1648) fallimentare tentativo di riportare l’influenza del papato sui paesi protestanti tedeschi. La guerra si concluse con la Pace di Westfalia (1648) che rafforzò gli Stati fissando l’unificazione religiosa delle popolazioni: esiti del processo avviato nel 1555 con la Pace di Augusta (cuius regio eius et religio). 3. UN SISTEMA DI STATI E UN ABBOZZO DI SOCIETÀ INTERNAZIONALE Metà del ‘600 sovrano assoluto non rispondeva più ad alcuna logica di tipo religioso o morale nel rapporto con gli altri stati. Lo “stato di natura”, caratterizzato da guerra di tutti contro tutti, era un’adeguata rappresentazione della realtà. Visione di una sorta di comunità espressa da una serie di convinzioni che rappresentavano la metamorfosi secolarizzata della comunità di fede e di cultura medievale. Autonomia assoluta esigeva un riconoscimento reciproco per non cadere in distruzione. Esigenza di riconoscere parità di diritti e doveri tra gli Stati; opera “Le droit des gens” riconosce la pluralità di entità politiche indipendenti in Europa e il principio dell’uguaglianza giuridica fra gli Stati. Il principio della reciprocità si affermò soltanto in ambito europeo. Corso del Cinquecento e Seicento diritto pubblico europeo: serie di norme di carattere vincolante, non più sanzionate da un’autorità superiore. Il concetto di trattato divenne un pilastro, con il connesso principio di rispetto degli accordi (pacta sunt servanda). I trattati regolavano questioni bilaterali, ma si occupavano anche di tematiche legate alla navigazione, ai limiti delle acque territoriali, alle forme legittime della guerra e così via. Fine Settecento la diplomazia cominciò a essere applicata all’insieme dei mezzi usati per sviluppare i rapporti tra gli Stati. Ambasciatore rappresentante personale del sovrano, affermò la differenza dei rapporti diplomatici tra gli Stati sovrani rispetto a tutte le altre relazioni che coinvolgevano sudditi di Stati diversi. Amministrazione pontificia: scelta papale di un assetto politico-ecclesiastico in cui l’alleanza tra il sovrano pontefice e i moderni stati era basilare. Tra la fine del Quattrocento e inizio Cinquecento le città-Stato e i principati italiani si dotarono di un sistema di rappresentazioni diplomatiche stabili, strutturate in una strettissima relazione reciproca. Tutto il sistema diplomatico moderno fu strutturato tra Seicento e Settecento e l’egemonia francese rimase fondamentale. L’ambasciatore godeva di grande influenza personale e consistente autonomia dal sovrano. I più accreditati diplomatici erano stranieri che servivano un monarca, apportando di conseguenza logiche sovranazionali. Il sistema diplomatico controllato dal centro: la cancelleria del sovrano si arricchì di segretari di Stato specializzati. 4. GUERRA ED ECONOMIA TRA GLI STATI SOVRANI Esercito permanente restava l’ultima ratio regis, strumento di potere per consolidare l’autorità del sovrano e per affermarla. Rivoluzione militare tra Cinquecento e Settecento aveva innalzato il livello degli armamenti e le dimensioni degli eserciti. Il New Model Army di Cromwell esempio di un esercito popolare. Ideologia di una guerra sufficientemente controllata secondo uno schema consuetudinario che evitasse lo sterminio e il dispendio eccessivo di risorse. La guerra mise a dura prova anche il sistema finanziario degli stati più solidi e la bancarotta di una dinastia non era un episodio occasionale. Molti dei disordini furono causati dalla volontà del re di inasprire il prelievo fiscale per finanziare le guerre. Fine del Seicento rivoluzione finanziaria: sviluppo di un sistema che ricorreva al credito. Economia ruolo fondamentale: Seicento francese mentalità mercantilista che vedeva la prosperità economica come elemento di prestigio per lo Stato; per arricchirsi ogni Stato doveva incrementare l’esportazione limitando al minimo le importazioni e lo sborso di denaro. Stato promuoveva attività economiche, sorvegliava la produzione e controllava il commercio attraverso dogane e dazi, motivo di scontri e guerre tra altri Stati. 1651 Navigation Act: Inghilterra scalzava il predominio marittimo olandese imponendo che le merci coloniali arrivassero su navi inglesi in porti inglesi. Tra Quattrocento e il Settecento si affermò l’economia-mondo, un sistema economico integrato ampio ma geograficamente circoscritto; centro nel Mediterraneo cuore pulsante tra Londra ed Amsterdam. Fino a tutto il Settecento ogni area geografica produceva le merci di cui aveva bisogno in modo quasi autosufficiente: economia mondiale soltanto nel corso dell’Ottocento. La nascita di una specifica sfera economica portò a nuovi accordi: questione della moneta. 5. IL SISTEMA EUROPEO E IL MONDO NON EUROPEO Ritenuto legittimo per gli Stati europei mantenere relazioni diplomatiche e stipulare accordi con entità politiche fuori dal sistema. Più conosciuto sistema islamico: percepito come alternativo e allo stesso tempo speculare e conosciuto. Con gli islamici si erano intrecciati rapporti bellicosi; mondo islamico parte di una sfera economia e commerciale integrata attorno al Mediterraneo. Dal 1300 in poi l’emirato degli ottomani si estese dalla Libia al Caucaso e dal golfo persico ai Balcani; si estendeva anche in Asia fino all’Impero Moghul in India. Impero ottomano tollerava una corona di stati tributari non islamici, tutelava l’esistenza di diverse comunità religiose che venivano lasciate libere di organizzare autonomie amministrative e culturali. Sistema delle capitolazioni: regole per cui gli europei che si trovavano nell’impero venissero giudicati secondo le leggi del paese di appartenenza. Impero ottomano fino a Ottocento inoltrato non veniva considerato parte del sistema degli stati europei, né dal punto di vista religioso e civile, né di quello giuridico. Con altri sistemi internazionali i rapporti europei rimasero più occasionali. Impero cinese percorso di stabilizzazione e modernizzazione nel corso dei secoli: efficiente sistema burocratico, capacità fiscale e militare solida, mercato della terra relativamente libero, un sistema commerciale internazionale piuttosto articolato. Il progresso tecnico diede agli europei una forza maggiore che permise di instaurare rapporti di controllo che divennero progressivamente strutturali: capacità di migliorare i vascelli per la navigazione oceanica, utilizzo avanzato dei metalli, miglioramento della stampa e l’utilizzo polvere da sparo. Le scoperte geografiche crearono meccanismi commerciali intercontinentali soprattutto per le merci di alto valore commerciale (metalli preziosi, tè, caffè, zucchero, spezie); crearono competizioni che vennero attenuate da tentativi di accordo come il Trattato di Tordesillas (1494) in cui Spagna e Portogallo definivano le sfere d’influenza con una linea che attraversava l’Atlantico. Modello più interessante: compagnie commerciali privilegiate ovvero imprese di mercanti a carattere privatistico che ricevevano dai sovrani una carta che garantiva una serie di prerogative da esercitare in territori fuori d’Europa. Compagnia olandese delle Indie orientali (1602) monopolio del commercio dal Capo di Buona Speranza fino allo Stretto di Magellano, Compagnia inglese delle Indie orientali sfruttò la crisi dell’Impero Moghul e la decadenza olandese e portoghese per conquistare alcune parti dell’India dopo il 1760. Ogni nuovo Stato ai vertici della potenza economica e militare mirava a costruire un proprio sistema imperiale: ricerca di strumenti tecnologici e militari servì ad estendere l’influenza europea. Improvviso fiorire dell’Impero americano; molto importante per la supremazia europea circuito atlantico che si creò tra Europa, Africa e Americhe. L’impero coloniale inglese stava diventando il più importante del mondo: la vittoria del 1763 contro la Francia nella Guerra dei Sette anni escluse la rivale dall’America del Nord e dal subcontinente indiano. 6. EQUILIBRIO O EGEMONIA? Lotta per l’egemonia in Europa. Lo scontro tra gli Asburgo e la casa di Francia non aveva preso origine da una consapevole spinta all’egemonia europea in senso moderno. L’impero asburgico molto vasto (dai Paesi Bassi alla Spagna, dalla Borgogna all’Austria, da Napoli ai possedimenti ibero-americani), realizzato nella persona di Carlo V e aveva unificato solo parzialmente terre tradizionalmente autonome. La concezione di monarchia universale risentiva della tradizione medievale sulle funzioni dell’imperatore al servizio della cristianità e non era sostenuta con Polonia nei confini napoleonici, e dalla Prussia per l’annessione della Sassonia. Accordo segreto austro-franco-britannico per contenere le mire russe e prussiane, finché Alessandro I sacrificò l’alleato prussiano accettando un compromesso. La Russia ottenne un ampio regno di Polonia, la Prussia una sola porzione del territorio sassone. Si decise di istituire una serie di corpi intermedi in grado di fungere da stati cuscinetto rispetto alla potenza francese e alle contrapposizioni tra grandi potenze. Furono riconosciuti 39 stati tedeschi, alla Prussia venne attribuito un consistente nucleo di territori sul Reno; fu istituita una debole confederazione di stati sovrani (Deutscher Bund), strumento della supervisione austriaca sull’area tedesca. In Italia vennero attribuiti i territori delle repubbliche aristocratiche di Genova e Venezia alla Sardegna e al regno Lombardo-Veneto, annesso all’Austria. L’influenza austriaca si estese tramite legami dinastici con i sovrani minori, recuperò buoni rapporti con la Santa Sede e arrivò anche a Napoli. Il nuovo regno dei Paesi Bassi fu costituito con una possibile funzione antifrancese. Nuova minaccia del ritorno di Napoleone dall’esilio dell’Elba, che fece crollare la monarchia borbonica restaurata e portò agli ultimi cento giorni di governo bonapartista nella primavera 1815. Vittoriosi a Waterloo gli alleati fissarono un primo caso esplicito di intervento europeo. 26 settembre 1815 fu firmato il Trattato della Santa Alleanza da Alessandro I, Francesco I d’Austria, Federico Guglielmo III di Prussia, che impegnava ad agire in modo comune secondo i principi dell’amore, della giustizia e della pace: il papa e la Gran Bretagna non aderirono. 2. IL “CONCERTO EUROPEO” E LA DIPLOMAZIA DELLE CONFERENZE Seconda pace di Parigi (1815): Francia ai confini del 1790 prevedendo un’indennità finanziaria e un’occupazione militare temporanea, occasione per rafforzare l’intenzione delle potenze vincitrici di cooperare all’interno del concerto europeo. Gran Bretagna e Russia erano due “semiegemonie” a carattere imperiale: la prima non volle che a Vienna si discutesse di libertà dei mari o delle questioni di pace con gli Stati Uniti, la seconda evitò che si discutesse sui rapporti tra Europa e Impero ottomano. Alessandro I non aveva intenzione di gettare la Russia in una competizione europea per ottenere uno sbocco sui mari del Mediterraneo. Metternich appariva il vero statista che incarnava lo spirito della Restaurazione, era il sostenitore del difficile equilibrio fra tradizione e modernità. L’impero asburgico controllava la Mitteleuropa, l’area tedesca e quella italiana; aveva dovuto ancorarsi alle formule federative di antico regime per coprire le debolezze fondamentali della propria posizione, come la mancata elaborazione di una cultura e amministrazione moderna. Prima fase del concerto europeo: periodiche riunioni al vertice tra gli esponenti delle grandi potenze che dovevano assicurare la funzione di controllo condiviso degli eventi, nonostante l’assenza di vere e proprie istituzioni di governo a livello internazionale. La Restaurazione in Francia cercava un equilibrio tra gli ultras realisti, gli ambienti promossi dall’epoca rivoluzionaria e bonapartista e i fermenti di una borghesia in ascesa. Conferenza di Aquisgrana (1818): Francia rimessa a pieno titolo nel concerto europeo: si era diffusa la consapevolezza che per Parigi fosse impossibile ambire ad un’egemonia europea scontrandosi con tutte le altre potenze, specie contro la Gran Bretagna. La campagna d’Algeria deviò fuori Europa l’obbiettivo di affermare il prestigio della monarchia. Nel periodo 1819-21 tensioni: in diversi stati medi tedeschi i sovrani concessero costituzioni, le agitazioni di gruppi studenteschi radicali furono bloccate da Metternich, che riuscì a utilizzare la Confederazione Tedesca per far passare nel 1819 i Decreti di Carlsbad, restrittivi delle libertà politiche. Nel 1820, moti liberali costrinsero i sovrani a concedere costituzioni in Spagna e a Napoli, in Grecia nel 1821 si avviò una rivolta nazionale contro il governo ottomano. Queste crisi generarono una correzione nel significato di concerto europeo. Si ridusse la preoccupazione per l’equilibrio tra le potenze, e nacque la volontàà di opporsi alla rivoluzione. Le diplomazie delle conferenze al vertice di Troppau, Lubiana e Verona furono complesse: alcune potenze volevano intervenire in modo autonomo nelle proprie sfere d’influenza. L’Austria fu legittimata a ripristinare il potere dei re a Torino e Napoli. La rivolta militare a Cadice costrinse re Ferdinando VII a ripristinare la costituzione liberale del 1812, il re aveva fatto appello al concerto europeo e allo zar per ripristinare il proprio potere; la crisi spagnola si legava al problema delle colonie in America Latina: da una parte vi era lo schieramento del governo britannico e dall’altra le tre potenze della Santa Alleanza. Lo State Paper di Castlereagh (1820) rifiutava di estendere l’alleanza antifrancese ad una visione di governo di mondo tramite l’interventismo negli affari interni degli stati. Il congresso di Verona (1822) fu l’ultimo episodio della cooperazione di vertice del direttorio europeo. Francia autorizzata ad intervenire in Spagna: il governo inglese si adeguò, ma il rappresentante Wellington abbandonò in anticipo. Con Canning politica inglese basata sull’azione unilaterale. 3. LA NASCITA DELL’ALTERNATIVA LIBERALE E NAZIONALE Idea romantica di nazione: organismo vivente nei secoli e dotata di significato politico. “Lingue nazionali” variegate di dialetti e differenti versioni ed erano parlate da quote ristrette di popolazione. Prima metà del secolo sembrò aprire il “secolo delle nazionalità”. Principio di nazionalità: a ogni nazione deve corrispondere uno Stato, base di nuovi movimenti politici che miravano a unificare vecchie esperienze politiche regionali in grandi Stati. Nell’Europa centro-orientale, il desiderio di autonomia politica si diffuse rapidamente presso alcune cerchie ristrette, che lottarono per la separazione e l’indipendenza; si cercò di fissare una sorta di soglia minima per ritenere sensata la costituzione di Stati nazionali, ma il tentativo fu problematico. Caso greco: piccoli gruppi riuniti in sette e società segrete, spesso appoggiate dai russi; aumentò la capacità di ottenere udienza da parte del movimento nazionale polacco, dove lo stato non esisteva più in seguito alle spartizioni del Settecento. Nuovi movimenti: boemo, rumeno, bulgaro, illirico. Decennio ’30 caso belga: Talleyrand amava sostenere che non esistevano belgi, ma solo fiamminghi e valloni, incontro tra i due crea base politica e culturale per un sentimento nazionale. Nascita di un forte nazionalismo irlandese antibritannico, di fermenti analoghi nei paesi baschi e in Catalogna, di carattere federalista e forte base economica. I sostenitori delle nazionalità avevano un’ottica particolaristica. Gioberti nel 1843 parlò di un primato spirituale italiano, che talvolta assumeva carattere di religione secolare, di religione della patria. Idea di una spontanea cooperazione generale dei movimenti nazionali contro le prigioni dei popoli. Liberalismo e nazionalità: due forze parallele e cooperanti nella critica e l’erosione dall’interno delle strutture internazionali. Diffusione di una nuova cultura economica, critica al mercantilismo internazionale. Sotto la spinta dei modelli capitalistici si affermò la concezione della ricchezza come frutto di una dinamica economica libera da vincoli. Si arrivò a proporre lo slogan “no foreign politics”, critica all’impegno dello stato nella dinamica internazionale. 4. IL NUOVO EMISFERO OCCIDENTALE INDIPENDENTE Nascita di una serie di stati indipendenti in America: la guerra d’indipendenza presa a modello, si diffuse nella'élite dell’America spagnola, caratterizzata da idee liberali e influenza massonico-illuminista. Le secessioni nacquero all’interno di sistemi giuridici tradizionali. Il diritto di secessione in caso di interregno fu fatto valere dopo che Ferdinando VII fu deposto ad opera di Napoleone (1807); il rifiuto di conoscere le novità introdotte dai francesi a Madrid portò alla costruzione di giunte autonome e governi cittadini. Tra il 1810-11 ci furono le prime dichiarazioni d’indipendenza (Venezuela, Paraguay) guidate da Simon Bolivar e Jose de San Martin. Gli interventi militari spagnoli del 1815 non riuscirono a risolvere la questione e fra le truppe riunite a Cadice si ebbe il pronunciamento militare del 1820. Si ebbe la proclamazione di nuovi stati: l’Argentina, la Grande Colombia, il Messico e il Perù; il Brasile dichiarò l’autonomia dal Portogallo sotto l’imperatore Pedro. Il tentativo di unificazione federale proposto da Bolivar nel Congresso Panamericano (1826) non riuscì definendo un pluralismo politico e dopo il riconoscimento da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna vennero ammessi nella società internazionale nata in Europa: per tutto l’Ottocento si mantenne una separazione geografica e politica tra i due mondi. Gli Stati Uniti e i nuovi stati latino-americani, ricevendo emigrati dall’Europa assunsero caratteri nazionali di stampo europeo. La problematica americana si intrecciò con le questioni diplomatiche europee del 1823, quando apparve un’ipotesi di intervento legittimista europeo contro gli insorti delle colonie spagnole. Il coinvolgimento del concerto europeo di parte spagnola puntava a ottenere aiuti per mediare il ritorno a forme di controllo delle ex colonie, salvandovi le istituzioni monarchiche, con i troni affidati a principi della casata dei Borbone. Canning cercò la solidarietà degli Stati Uniti su una dichiarazione che prevedesse azioni comuni contro intromissioni reazionarie europee nel continente americano: Washington declinò l’offerta optando per una dichiarazione autonoma con un discorso di James Monroe (4 dicembre 1823). La “Dottrina Monroe” citava “l’America agli americani” e intendeva sostenere la diversità dei due sistemi, europeo e americano: non si opponeva alla persistenza delle colonie europee sul continente americano, ma sosteneva che gli Stati Uniti si sarebbero opposti a intromissioni europee volte a far tornare in regime coloniale popoli che avessero deciso la loro indipendenza, o a creare nuove colonie. Alla vecchia Europa della politica monarchica, l’America contrapponeva la difesa di un mondo libero e cooperativo nella democrazia repubblicana; il dinamismo della nuova società si manifestò con forte crescita del commercio, inoltre l’espansione dei coloni aveva superato i limiti territoriali concordati con Londra. La Francia di Napoleone aveva venduto la Louisiana alla Repubblica Americana, ma i coloni fedeli a Londra avevano impedito l’espansione del nuovo stato verso il nord canadese (1812-18); la dissoluzione con l’impero spagnolo aveva fruttato la Florida, con il porto di New Orleans. Negli ambienti della democrazia jacksoniana si parlò di “Manifest Destiny”, che attribuiva agli Stati Uniti il compito di civilizzare le terre americane appartenute alle popolazioni indigene e alle colonie iberiche. Il confine incerto tra ex possedimenti francesi e spagnoli causò tensioni per la sorte della Repubblica del Texas; l’annessione statunitense condusse ad una guerra con il Messico (1846-48) conclusa con l’acquisizione dei territori di California, New Mexico, Nevada, Utah, parte di Colorado, Wyoming, Kansas, Oklahoma. 5. LE ORIGINI DELLA “QUESTIONE D’ORIENTE” La questione d’oriente nasceva da una delle maggiori lacune di Vienna, sarebbe stata fonte di crisi nel corso dell’Ottocento, fino a scatenare il crollo definitivo del concerto europeo. Il problema era posto dalla presunta decadenza dell’impero ottomano; all’interno dell’impero c’erano aree economicamente più dinamiche, però la sua ritirata nella competizione di potenza comportava l’indebolimento del controllo della penisola balcanica, aprendo problemi sia locali che globali. Nell’area balcanica, le agitazioni nazionali erano intrecciate con problemi religiosi, il sultano aveva però permesso la sopravvivenza di comunità confessionali e organismi comunitari a base sociale-religiosa; il governo perse mordente quando la sua struttura portante si trasformò da militare in burocratica, mostrando fatica nell’introduzione di riforme modernizzanti. Alcuni circoli commerciali erano gestiti da una classe di ricchi mercanti di origine greca, per contraccolpo l’impero venne indotto all’utilizzo di mezzi repressivi. Rivolta di alcune bande serbe contro gli amministratori locali, aveva portato il sultano a riconoscere l’autonomia del principato serbo di Milos Obrenovic (1812), che pagava solo un tributo verso la Sublime Porta. La Russia era la più coinvolta, sia per motivi strategici che politico-religiosi: voleva costruire uno sbocco nel Mediterraneo, controllando in qualche modo gli Stretti dei Dardanelli e del Bosforo, che condizionavano le proprie basi nel Mar Nero. La sorte di quest’area era vitale per l’impero zarista, portando a progetti di spartizione con l’impero ottomano per giungere a un controllo diretto degli stretti; la motivazione politica era legata alla protezione delle popolazioni di ceppo slavo e di religione cristiano-ortodossa dei Balcani. Forte la presenza britannica che controllava Gibilterra e Malta, esercitando il primato navale nel mediterraneo, intendendo la zona mediorientale come chiave delle comunicazioni verso l’India imperiale; si cominciò a ipotizzare un taglio dell’istmo di Suez, la Gran Bretagna si assicurò una base navale ad Aden (1839). Il caso greco dimostrò l’instabilità dei rapporti tra Gran Bretagna e Russia: la rivolta del 1821 sostenuta da potentati locali come il pascià dell’Epiro fu presente per qualche anno dopo il Congresso di Epidauro che proclamò l’indipendenza (1822). Alessandro I fu prudente, e l’idea di sostenere un movimento rivoluzionario nazionale era contraria ai principi di Metternich che condannò la rivoluzione. Nel 1825 l’opera di repressione turca fu affiancata dalle agguerrite truppe egiziane; Mehmet Alì, pascià d’Egitto, aveva costituito una politica autonoma e militare ed era alla ricerca di una legittimazione come potenza del Mediterraneo orientale. La morte di Alessandro e la successione di Nicola I portarono la politica russa verso obbiettivi di potenza imperiale; la Russia trascinò Gran Bretagna e Francia a imporre un armistizio per fermare i massacri dei cristiani greci, lo scontro navale di Navarino (1827) comportò la distruzione della flotta turco-egiziana e Mehmet Alì dichiarò guerra alla Russia. Il sultano dovette riconoscere la Grecia come indipendente sotto influenza occidentale: monarchia costituzionale con un principe tedesco sul trono. La Russia imporrà a Costantinopoli una sorta di protettorato. 6. LE PRESSIONI NAZIONALI, I CONFLITTI LEGITTIMI E L’ARROCCAMENTO DEL SISTEMA Sistema di Vienna: crisi nel 1830-31. La rivoluzione parigina del 1830 spazzò via Carlo X, sostituendolo al trono con Luigi Filippo d’Orleans che si proclamò re dei francesi, allargando in senso liberale la costituzione e accettando il tricolore blu- bianco-rosso come bandiera nazionale; egli sottolineò l’intenzione moderata della monarchia allontanando una nuova rivoluzione, tendenza che rassicurò gli inglesi e giustificò i sovrani della Santa Alleanza. I belgi rivendicavano l’autonomia amministrativa e volevano rivedere le regole economiche favorevoli all’Olanda, l’esempio francese avviò una sommossa. Guglielmo I dei Paesi Bassi ebbe una reazione di chiusura, trasformando le proteste in indipendenza nazionale, dichiarata e votata da un’assemblea costituente (ottobre 1830). Una conferenza europea fissò il principio del Belgio come stato indipendente monarchico-costituzionale, garantito dalla sua neutralità. La Russia stroncò la rivoluzione polacca: nel 1830 un ammutinamento militare mal gestito dal governatore russo, mise a capo una dichiarazione d’indipendenza da parte della Dieta (gennaio 1831), Luigi Filippo fu pronto al contro-intervento in caso di violazione dei diritti dei popoli limitrofi alla Francia. In Germania l’esempio francese suscitò moti popolari che portarono la nascita di governi costituzionali in diversi stati; nel maggio 1832 una manifestazione fece emergere idee democratico-repubblicane. L’Austria cercò regole confederali per impedire rivoluzioni, con l’appoggio prussiano: si imposero limitazioni alla libertà d’azione nelle assemblee legislative, ma il germe della terza Germania liberale e le corti di Vienna e Berlino poteva solo rafforzarsi. La Prussia aveva chiesto l’unificazione doganale, l’Austria si era opposta per non far saltare le regole doganali di tutto l’Impero; l’Austria concederà a Berlino i trattati bilaterali, in cambio di appoggio alle misure di controllo politico-finanziario del Bund, fu costituita l’unione doganale tedesca sotto presidenza prussiana (1833-34). L’Europa era quindi divisa in Occidente liberale (UK, FR, B) e un Oriente autoritario imperniato sulle corti del nord di Vienna, Berlino e San Pietroburgo. Nel 1833 a Munchengratz le ultime tre firmarono tre accordi che includeva la cooperazione per sconfiggere coloro che si opponessero all’interventismo europeo contro le rivoluzioni; in opposizione Gran Bretagna e Francia ebbero la prima intesa cordiale. In Spagna e Portogallo si succedettero intricate questioni di successione dinastica sfociate in guerre civili divise tra filoliberali e cattolico-tradizionalisti. I liberali (Maria da Gloria in Portogallo, Isabella in Spagna) erano contrastati dai partiti reazionari miguelista e carlista. L’accordo anglo-francese a sostegno dei liberali fu codificato nella Quadruplice Alleanza (1834), che mutò in una competizione per chi avrebbe avuto influenza sulla penisola. La Francia puntava a ottenere influenza su Madrid, consolidare la colonia algerina e ad utilizzare la potenza egiziana per affermarsi nel mediterraneo orientale. Nel 1831 il pascià conquistò la Siria, la Russia aveva già ottenuto il consenso di esercitare un controllo sul sultano e la Gran Bretagna non poté che accodarsi: Palmerston accettò di rompere con la Francia per affermare la priorità politica della salvaguardia dell’impero ottomano. L’imposizione al pascià di ritirarsi dalla Siria, ed il bombardamento navale a Beirut, provocarono sdegno in Francia, che arrivò a minacciare guerra sul Reno contro Prussia e Austria. Il 13 luglio 1841 tutte le potenze firmarono la Convenzione degli Stretti, fissando il sostegno comune alla chiusura degli stretti alle navi di guerra in tempo di pace, in caso di guerra il sultano avrebbe potuto chiamare una flotta alleata. 7. IL MUTAMENTO DEL RUOLO DELLA GRAN BRETAGNA: LIBEROSCAMBISMO E POTERE MARITTIMO La svolta politica del 1830-32 diede inizio ad un orientamento liberale, la cui manifestazione di ebbe nel 1846 dopo la battaglia per abolire le leggi protezioniste sul grano, introdotte nel 1815 per sostenere la produzione cerealicola interna. Nel 1849 vennero aboliti i Navigation Acts, mettendo fine al monopolio dei porti, e nel 1856 il governo non volle più arrogarsi il diritto di controllare i vascelli per far rispettare le proprie prerogative. Era l’economia dominante del continente, ma la dinamicità finanziaria presentava problemi: nel 1844 un Bank Charter Act dava più poteri alla Banca d’Inghilterra. Le spese statali ammontarono al 10% del PIL, agevolmente finanziate dalla tassazione e permettendo una riduzione progressiva del debito pubblico. Lo stato si pose l’obbiettivo di sostenere l’influenza economica, dopo il 1832 la camera dei comuni ricevette richieste di realizzare trattati commerciali a favore degli interessi britannici. Una richiesta particolare fu quella di chiedere a tutti gli interlocutori di adattarsi al liberoscambismo, la crescita commerciale venne vista di buon occhio anche nei paesi meno avanzati della Gran Bretagna; nel gennaio 1860 venne stipulato un trattato commerciale franco-britannico che introdusse la clausola della nazione più favorita, un impegno comune a generalizzare gli abbassamenti di tariffe. La “guerra dell’oppio” (1839-42) nacque dalla reazione britannica ai tentativi del governo cinese di far rispettare il divieto del commercio illegale d’oppio, esportato dall’India nel Celeste Impero. La vittoria inglese dimostrò quanto la dinastia Qing si fosse indebolita e la Gran Bretagna ottenne la sovranitàà sulla base marittima di Hong Kong e impose l’apertura al commercio europeo di alcuni tra i maggiori porti cinesi. Anche l’apertura commerciale del Giappone fu data dal governo statunitense che aveva seguito le azioni britanniche in Cina: nel 1853 una squadra della marina statunitense comandata da Matthew Perry si presentò nella Baia di Edo e impose l’apertura ai traffici. Canning aveva appoggiato la ribellione spagnola contro Napoleone, fissando il principio per il quale una nazione indipendente aveva il diritto di cambiare o modificare la costituzione interna; figura di spicco fu lord Palmerston che dominò la politica estera britannica fino al 1865, egli non volle provocare sviluppi rivoluzionari poichéé secondo lui la Gran Bretagna aveva solo eterni interessi. La crescita del radicalismo liberista portò con sé una cultura antimperiale: le colonie erano viste come fonte di spesa pubblica, di sprechi e distrazione alle attività produttive, ma l’impero accrebbe con piccole acquisizioni legate alla volontàà di costruire basi d’appoggio strategico-commerciali per la marina. 8. LA CRISI EUROPEA DEL 1848 Il 1848 vide uno sconvolgimento diffuso in tutta Europa che scosse la società politica ed ebbe influssi sulle relazioni internazionali. Vi fu la prima applicazione di metodologie telegrafiche che velocizzarono il flusso delle informazioni tra le parti d’Europa. Nel 1847 una crisi a Londra introdusse preoccupazioni per la stabilità finanziaria, con la quale presero piede le prime idee socialiste in quanto vi era l’idea di uno spettro comunista che si aggirasse per l’Europa. Il tema delle rivoluzioni era la battaglia per realizzare la sovranitàà nazionale, nell’aspetto della legittimazione liberale ed eventualmente della revisione dei confini ingessati dalla tradizione, per attuare il principio di nazionalità. La prima fase della “primavera dei popoli” fu data dalle giornate di Parigi (febbraio 1848) che fecero cadere la monarchia di luglio e proclamarono la Seconda Repubblica; ai sovrani venne imposta la promulgazione di carte costituzionali in diverse capitali italiane e nella Roma papale. Il poeta Lamartine emanò il manifesto del governo repubblicano provvisorio dicendo che le dichiarazioni di principio non prevaricavano le promesse di non impegnarsi attivamente nella modifica del lascito territoriale della Restaurazione. La crisi del sistema del 1815 procedeva rapidamente, vi fu l’abbandono di Metternich licenziato dall’Imperatore, si aprì la crisi nell’impero asburgico poiché gli ungheresi strapparono promesse di autonomia. Molti governi costituzionali italiani posero una questione italiana, la crisi ottenne forza dirompente dal successo iniziale dei movimenti rivoluzionari nel Lombardo-Veneto (cinque giornate di Milano) che cacciarono le guarnigioni militari degli austriaci, sostenuti dall’iniziativa dinastica dei Savoia. Vi fu un’illusione neoguelfa che il papato potesse coinvolgersi nei movimenti indipendentistici italiani: la Guerra d’indipendenza italiana (marzo 1848) rimase una guerra piemontese. Tentativo di creare un’unità politica in Germania: venne convocato a Francoforte un parlamento elettivo, con funzione di assemblea costituente; questo rappresentò la massima convergenza tra idee liberali e movimento nazionale tedesco, solidali nell’ipotizzare l’unità politica del paese sulle basi della sovranità nazionale, vi fu il rifiuto di Federico Guglielmo IV di Prussia ad accettare la corona imperiale tedesca, offertagli nel marzo 1849 dai costituenti francofortesi e il suo rifiuto segnò la fine del tentativo di unificazione liberale della 1875, fu costretto a vendere al governo inglese la propria quota di azioni nella Compagnia del Canale: il canale sarebbe presto diventato fondamentale nelle comunicazioni imperiali e fonte di reddito per azionisti. La Gran Bretagna non era il solo paese a coltivare interessi mondiali: sotto il profilo economico gli Stati Uniti erano un fenomeno straordinario; l’espansione produttiva con la prima affermazione di aree industriali (Boston, Philadelphia, Baltimora) si univa alla colonizzazione progressiva dei territori del West. L’estensione dell’influenza statunitense verso l’America centrale proseguì in parallelo: la tensione diplomatica con l’Inghilterra attorno alla progettazione di un canale interoceanico tra Atlantico e Pacifico fu poi appianata con il trattato Clayton-Bulwer, che ipotizzava una cooperazione tra i due stati. L’area di esercizio della Dottrina Monroe si stava allargando e l’espansione fu origine del contrasto tra due parti della società americana e tra due gruppi geograficamente distinti (Nord e Sud). La questione dello schiavismo era cruciale, nel 1833 era stata abolita nell’impero inglese e nel 1939 in quello francese. Il compromesso interno tra stati schiavisti e antischiavisti, definito nel 1820 sul caso del Missouri, iniziò a indebolirsi. Il problema politico dell’equilibrio tra le sezioni territoriali portò nel 1860 all’elezione del repubblicano antischiavista Abraham Lincoln, che portò 13 stati del sud a secedere dall’Unione, proclamando gli Stati Confederati d’Americani. Scoppiò una guerra di secessione in cui le due parti del paese combatteranno in nomi di rappresentazioni contrapposte della stessa nazione. I sudisti sperarono in un sostegno internazionale, sperando che le esportazioni di cotone fossero indispensabili; i maggiori stati europei tennero una posizione di neutralità. La vittoria militare dell’Unione avvenne molto lentamente e a duro prezzo: il blocco navale imposto dai nordisti fu rilevante, fermando le esportazioni sudiste. Fu una guerra moderna e violenta, con 700000 morti, gli stati sconfitti vennero occupati militarmente: l’abolizione della schiavitù non eliminò la segregazione razziale. Dopo la guerra ci fu l’occupazione dei territori tra Mississippi e California con le “guerre indiane” che ridussero gli spazi delle tribù autoctone. Nel 1867 la Russia acquisì l’Alaska, ci fu l’occupazione di alcune isole del Pacifico (Samoa, Hawaii) che fu intesa come creazione di stepping stones verso un’influenza nell’Asia estremo-orientale. La Russia aveva necessità di allargare la propria influenza verso i Balcani e il Mediterraneo: occupò l’Amur cinese, penetrò nel Turkestan, fino a Samarcanda e Bukhara; l’estensione arrivò dopo alcune guerre di attrito, i successi militari zaristi non furono accompagnati da una capacità di integrazione delle popolazioni di confine, verso cui ci fu una politica repressiva. Anche altre potenze di affacciarono fuori Europa dopo il 1850: l’intervento francese in Messico fu una reazione alla decisione di Benito Juárez di non onorare il debito internazionale. Con la cooperazione britannica e spagnola si sviluppò in autonomia un effimero impero affidato a Massimiliano D’Asburgo. Ci fu la crescita del Giappone alla fine degli anni ’60: una parte dell’élite locale legata alla piccola nobiltà e tra i samurai, comprese che la resistenza alla superiorità occidentale, non poteva essere condotta se fosse stata confermata la chiusura anacronistica al progresso. L’unico modo era conoscere e poi acquisire gli strumenti della forza occidentale: Stato, industria, esercito. Una breve guerra civile vide la sconfitta delle forze dei Tokugawa e la presa di potere di alcuni riformatori neoconfuciani. L’epoca della restaurazione Meji vide una rapida modernizzazione: tecnici, militari, finanzieri, giuristi e uomini di scienza; nacque l’industria tecnologicamente avanzata, fu istituita l’istruzione obbligatoria e un ministero degli esteri di tipo Europeo. Nel 1890 il Giappone era diventato un interlocutore obbligato per le questioni del Medio Oriente, ma il culto scintoista di stato assunse la funzione di un rituale di integrazione nazionale. 3. L’IMPASSE DEL CONCERTO EUROPEO: NAPOLEONE III E LA QUESTIONE ITALIANA La crisi dell’ordine della Restaurazione dominava l’Europa; il concetto di Realpolitik significava che i cambiamenti politici erano conseguenza dell’applicazione di un potere economico e militare esercitato in modo consapevole per modificare il processo storico. Vi era un quadro della vita intellettuale in cui emergeva la cultura positivista, una figura influenzata era Napoleone III, nuovo imperatore dei francesi; egli ebbe la possibilità di dispiegare la sua iniziativa, che combinava aspetti conservatori e rivoluzionari. I mezzi erano revisionisti: bisognava forzare la situazione incancrenita dell’ordine di Vienna, guidando un’epoca di affermazione delle nazionalità. Dopo il 1856, Napoleone investì sul caso italiano: voleva forzarne l’indipendenza dall’Austria. Dal punto di vista italiano, dopo il 1848, molti patrioti avevano iniziato a parlare d’indipendenza e libertà; l’influenza austriaca bloccava ogni evoluzione interna, il punto di riferimento era il Piemonte costituzionale, segnato da una fase di sviluppo liberale e di crescita economica. I fallimenti di alcuni tentativi insurrezionali mazziniani avevano indebolito i democratici a favore dell’ipotesi liberale e monarchica, impersonata da Cavour. Una legislazione liberoscambista e la capacità di attirare capitali stranieri orientarono l’economia tradizionale del paese a un legarmi con l’area capitalistica franco-inglese: l’ambizione era di rendere la penisola un anello decisivo del circuito economico internazionale europeo. La questione italiana era soprattutto un problema di relazioni internazionali: l’Italia non poteva farsi da sé. Cavour cercò l’appoggio di Napoleone III, legando al revisionismo bonapartista le sorti della questione italiana; l’intesa segreta franco-piemontese di Plombières (luglio 1858) era aggressiva, promettendo sostegno reciproco in una guerra all’Austria che avrebbe risistemato la penisola in quattro stati (uno sabaudo al nord, uno al centro francese, Roma papale e Napoli). Napoleone lavorò con la Russia ottenendo un trattato di neutralitàà, la guerra con l’Austria non doveva essere sovversiva, per ottenere la neutralitàà della Prussia, e della Gran Bretagna. Fu l’Austria a chiedere di smobilitare l’esercito sardo-piemontese e Cavour rispose negativamente, aprendo le ostilità. La guerra iniziò nell’aprile 1859, portò all’occupazione della Lombardia ma fu bloccata da Napoleone III con l’armistizio di Villafranca; Cavour si dimise vedendo fallire la sua politica. Ci furono rivoluzioni pacifiche nei ducati emiliani e in Toscana e nelle legazioni papali di Romagna, che creeranno governi provvisori che chiedevano l’annessione al Piemonte. Il nuovo governo inglese Palmerston, si convinse che fosse necessario allontanare l’Austria dall’Italia, convinse Napoleone III ad accettare la manifestazione volontàà popolare che stava emergendo, bloccando ogni ipotesi di intervento austriaco. I plebisciti nell’Italia centrale furono un primo successo di Cavour e la successiva annessione francese di Nizza alla Savoia fu vista negativamente da Londra. La rivoluzione siciliana e l’iniziativa Garibaldi-Crispi per il sud, con la spedizione dei Mille (maggio-settembre 1860), favorita da Cavour, portarono al crollo dello Stato borbonico. Napoleone III cercò di ostacolare gli eventi, ma Cavour si presentò come il solo a poter fermare Garibaldi a Napoli prima della marcia sovversiva su Roma. Il governo piemontese conquistò le Marche e l’Umbria; la conferenza di Varsavia convocata dallo zar, irritato per il trattamento riservato ai Borbone di Napoli, non riuscì a rinverdire i sogni della Santa Alleanza. Ci fu una circolare del ministro degli esteri inglese Russel, che approvava l’unificazione poichéé dovute a volontàà popolari. Il 17 marzo 1861 venne proclamato il nuovo Regno d’Italia. Re Emanuele si guardò bene dal modificare la sua numerazione dinastica; il parlamento aprì i lavori partendo da VIII legislatura, per sottolineare le continuitàà con le istituzioni sardo-piemontesi. Il problema di Roma era commesso, perché Bonaparte aveva scelto di impegnare la Francia a tutelare la sovranità del Papa. Il governo italiano dovette attendere il 1870 e il crollo del Secondo Impero, con i combattimenti della breccia di Porta Pia: Roma fu annessa all’Italia e il papa si ritirò nei palazzi vaticani (questione romana). I liberali italiani non accettarono la collocazione del paese come “prima delle piccole potenze”, ambendo a un ruolo di grande potenza. Napoleone III diventò molto più prudente, perchéé nella situazione italiana le forze della rivoluzione rischiavano di sfuggirgli di mano. Le vicende del 1870 concludessero un’epoca per un’autoritàà decisiva per la storia internazionale europea: il papato. La chiesa ottocentesca era in difficoltàà nei confronti del mondo moderno. 4. BISMARCK, LA PRUSSIA E L’UNITÀ TEDESCA Dopo il 1861 ci fu nuovamente la questione dell’unificazione tedesca. La dinamica economica prussiana catalizzò le forze prevalenti della “media Germania”, isolando l’Austria. Nel 1859 nacque il Deutscher Nationalverein, egemonizzato da liberali e democratici del sud, che rilanciò la soluzione unitaria, accettando la preminenza di Berlino. L’unitàà politica non poteva giungere automaticamente, proprio quando le pressioni francesi e russe aumentavano i rischi geopolitici. La questione costituzionale in Prussia creava problemi: la riforma dell’esercito veniva osteggiata dalla maggioranza liberale del Landtag, che non voleva approvare i bilanci; Guglielmo I era alla soglia dell’abdicazione e nel 1862 chiamò Otto von Bismarck a formare un governo. Bismarck restò sempre legato all’obiettivo di affermare la potenza prussiana in Europa, fin dalla metà degli anni ’50, si convinse che la potenza non poteva affermarsi se non rompendo l’ordine tradizionale e internazionalizzando il conflitto con l’Austria, per smantellare la vecchia confederazione tedesca. Intendeva sfruttare a favore della Prussia la pulsione nazionale rivoluzionaria e le forze profonde che la sostenevano, inoltre fu ambasciatore a San Pietroburgo e Parigi, dove conobbe la politica europea e capì che la chiave del successo era muoversi cautamente tra questi due paesi. Si adattò al nuovo ruolo di ministro di un sistema che era tra l’assolutismo tradizionale e l’evoluzione parlamentare: governò per qualche anno in un regime provvisorio, cercava il successo in politica estera per rinsaldare il potere della monarchia di fronte ai liberali in politica interna. Il 30 settembre 1862 alla commissione bilancio del Landtag dichiarò che le grandi questioni non andavano risolte con discorsi, bensì con il ferro e il sangue. Dopo la sconfitta austriaca nelle vicende italiane, iniziò a pianificare l’estromissione dell’Austria dagli affari tedeschi e la distruzione del vincolo del Bund. Importante fu l’esplosione della questione polacca, con la rivolta del gennaio 1863: Napoleone III rilanciò l’idea di un’Europa a nazioni indipendenti e progettò una guerra alla Russia, interrompendo l’intesa con Alessandro II. La convenzione che il generale prussiano Alvensleben negoziò a San Pietroburgo, prometteva allo zar il sostegno del governo berlinese nella repressione della rivolta. Bismarck sfruttò anche la fase della vicenda dei ducati danesi, di fronte alla violazione dei trattati da parte del nuovo re di Danimarca, che volle annettere lo Schleswig e Bismarck agì per rafforzare la potenza prussiana: offrì cooperazione all’Austria in cambio di un’azione militare comune contro la Danimarca. La guerra aprì una fase diplomatica difficile, Bismarck ipotizzò una riforma del Bund imperniata su un parlamento nazionale: ciò scatenò la reazione austriaca e avvicinò lo scontro. In Francia e Gran Bretagna non c’era più volontàà di opporsi a una soluzione prussiana, Napoleone III mirava a ripetere il ruolo svolto nella questione italiana, sperando di ottenere vantaggi ai margini di un ipotetico conflitto austro-prussiano e di allargare l’influenza francese verso la Terza Germania. Il regno d’Italia venne coinvolto in un’alleanza offensiva, con obiettivo militare di separare le forze austriache su due fronti e di ottenere il Veneto. L’Austria accettò la guerra e ottenne solo di essere seguita dalla maggioranza degli Stati intermedi tedeschi: la guerra austro-prussiana ruppe definitivamente l’equilibrio tedesco. La Prussia vedeva i primi effetti della modernizzazione militare: un esercito numeroso e addestrato coordinato da forti comunicazioni ferroviarie e telegrafiche; la rapidità della vittoria fece si che Bismarck fermasse i generali e impose l’armistizio dopo 7 settimane. La Pace di Praga portò allo scioglimento del Bund e all’annessione di alcuni stati tedeschi del nord, che permise di chiudere il corridoio del Weser tra le due parti del territorio prussiano. La rapida creazione della Confederazione della Germania del Nord formava l’egemonia prussiana a nord del Meno: Bismarck non aveva intenzione di annullare la Prussia in uno stato tedesco, nemmeno di ampliare l’appello al principio di nazionalità contro l’Austria. Rispettò una parvenza d’indipendenza degli stati tedeschi e fondò la nuova Germania sulla base del sistema degli stati storici, dinastici. Dopo la sconfitta, l’Austria conobbe un riorientamento politico, gli Asburgo rinforzarono l’impero riconoscendo le pressioni ungheresi per ottenere l’autonomia interna; la trasformazione costituzionale del 1867 creò la Duplice Monarchia di Austria e Ungheria. La struttura del 1866 aveva allargato il peso dell’obbiettivo nazionale per Bismarck, perchéé richiedeva nuovi motivi d’integrazione dell’opinione pubblica e delle masse. L’allargamento sotto al Meno era questione di tempo: esisteva il forte legame dello Zollverein, con le alleanze militari imposte dal cancelliere tra la Confederazione della Germania del Nord e i quattro stati indipendenti del sud tedesco. I francesi condussero i negoziati con Bismarck in modo ingenuo: vagheggiarono di ottenere il Lussemburgo e il Belgio, tale operazione portò all’umiliazione e all’isolamento di Napoleone III in Gran Bretagna. La svolta liberale del 1869 generò pressioni che indussero l’imperatore a seguire una linea nazionalista e bellicosa, ponendo un implicito veto nei confronti della finale unificazione prussiana della Germania. La questione della successione al trono spagnolo, con l’ipotesi di un principe Hollenzollen, fu un’occasione in cui la tensione franco-prussiana precipitò: Bismarck manipolò la crisi con la vicenda del telegramma di Ems, per suscitare la reazione dei falchi a Parigi, in modo che non sembrasse una provocazione prussiana. La volontàà di ottenere successo spinse il governo francese al conflitto: la guerra franco-prussiana (estate 1870) sembrò rapida e circoscritta, l’accerchiamento a Sedan dell’esercito francese e la caduta dell’imperatore prigioniero dei prussiani, portarono alla proclamazione della repubblica a Parigi, con governo provvisorio. La richiesta prussiana di annessione dell’Alsazia e parte della Lorena complicò le cose e la guerra assunse i caratteri di una prova di forza più ampia: si affacciavano confronti globali, finalizzati all’umiliazione piuttosto che alla sconfitta. Di fronte al rifiuto francese, la guerra continuò con l’assedio di Parigi e nel maggio 1871 venne firmata la pace a Francoforte, che prevedeva indennità di guerra. Prima della pace, il cancelliere completò la sua opera con la proclamazione del deutsches Reich, governato da un Kaiser, attraverso il conferimento della corona imperiale al re di Prussia da parte dei principi tedeschi, avvenuta nella sala degli specchi a Versailles (umiliazione a Luigi XIV). Il cancelliere, governava attraverso uffici che non avevano rango ministeriale: lo stesso Auswartiges Amt raccoglieva l’eredità del ministero degli esteri prussiano. Bismarck volle salvaguardare l’aspetto democratico circoscrivendone i poteri. L’unificazione era avvenuta senza influsso diretto del concerto europeo, la Russia approfittò della guerra per denunciare le clausole di neutralizzazione del Mar Nero dei trattati del 1856; le richieste russe furono accolte, legittimandole a una conferenza internazionale, convocata nel febbraio 1871 a Londra. 5. CONCENTRAZIONE TERRITORIALE, STATALISMO E NAZIONALISMO DOPO IL 1870 Il 1870 ha segnato una svolta di grande portata, e la crisi dell’Europa illuministica o romantica; si è vista negli eventi 1870-71 la rivelazione di due possibili sbocchi dell’idea di nazionalismo: una basata sul consenso e la decisione volontaristica delle popolazioni interessate, l’altra su dati oggettivi e naturalistici come la lingua o la razza. La condizione delle minoranze nazionali nella parte austriaca dell’impero asburgico fu migliorata, grazie alla politica del conte Taafe che prevedeva riconoscimenti delle diverse identità linguistiche. Non a caso Walter Bagehot parlò di nation-making; in questo clima ci furono esperienze nuove, come il gruppo di intellettuali ebrei della diaspora europea che ritrascrisse in termini moderni il tema dell’identità nazionale del popolo ebraico, rivendicando una patria statuale paragonabile a quella delle altre nazioni: si trattava della genesi del movimento sionista. Le guerre dei decenni centrali del secolo sono state definite guerre di ricostruzione nazionale; si verificò una svolta decisiva in un processo di concentrazione territoriale del potere. In svizzera nel 45-47 la guerra civile aveva sconfitto la lega autonomistica dei cantoni cattolici chiamata Sonderbund, arrivando alla costituzione di uno stato federale con un forte potere centrale, modellato su quello statunitense. La riforma interna giapponese imitò i modelli occidentali nella centralizzazione amministrativa e fiscale, nell’introduzione della coscrizione obbligatoria a servizio di un esercito nazionale, nella tutela della proprietà individuale e della libertà economica. Anche gli imperi più tradizionali cominciarono ad assumere caratteri di statualità moderna, presero le misure delle inedite dimensioni economiche allargate dall’industrializzazione e tornarono a essere i primi garantiti della ricchezza delle nazioni. Erano i mezzi tecnici del progresso a favorire il controllo e l’unificazione dei territori: la secolarizzazione dell’istruzione primaria secondo il “progetto Ferry” e il piano ferroviario Freycinet furono due elementi cruciali dello sviluppo di un’identità repubblicana della Terza Repubblica francese. Negli ultimi anni crebbe in quasi tutti gli stati un sistema fiscale basato sul reddito, inaugurarono una nuova grande ondata di colonizzazione e di sfruttamento della terra; in molti paesi fu inaugurata una politica di interventi sociali e di mediazione tra capitale e lavoro, per favorire la coesione popolare attorno alla nazione, basandosi sul modello bismarckiano. Nacquero i molteplici percorsi della “nazionalizzazione delle masse”: non solo lo stato iniziò a utilizzare il nuovo universo concettuale della nazione per definirsi e consolidarsi, ma si attivò per accrescere attorno a sé stesso. La nazionalizzazione procedette attraverso il ricorso alla sfera simbolica ed estetica: bandiere, monumenti, lapidi, celebrazioni e cortei. Dal punto di vista istituzionale, l’esercito con le nuove teorie e la scuola pubblica furono capisaldi fondamentali della strategia di unificazione; tali processi non furono immediati, nel corso dei decenni la terza repubblica trasformò le masse rurali da contadini a francesi. Nella Russia tradizionale, l’introduzione del servizio militare di leva fece fare passo avanti verso una cittadinanza moderna. Sotto il regno di Alessandro III, fu lanciata una politica di russificazione delle minoranze. Il tema nazionale era chiave dell’allargamento progressivo e sorvegliato della politica a dimensioni di massa, tutti i nuovi leader erano convinti che l’opinione di massa potesse essere utilizzata per sostenere l’ordine sociale e politico esistente. Dopo il 1870, forme di governo costituzionale avevano conquistato nuovi paesi, si diffuse in Europa una sensazione di difficoltàà e ritirata della corrente liberale. 6. VERSO UNA NUOVA COMPETIZIONE: PROTEZIONISMO E ARMAMENTI Ancora più embrionale l’allargamento della gestione politica degli affari internazionali; il modello di queste nuove posizioni divenne la costituzione americana, che prevedeva la maggioranza dei due terzi del senato per la ratifica dei trattati internazionali e l’esperienza del Foreign Relations Committee come organismo parlamentare di sorveglianza della politica estera. Certe costituzioni liberali iniziarono a prevedere il voto parlamentare; in Gran Bretagna gli anni ’50 videro in parlamento un’impennata di interesse alle questioni di politica estera, con aumento dei problemi discussi e delle informazioni che il governo forniva al parlamento. Analogo il discorso sull’opinione pubblica: era facile che fossero i governi a orientarla finanziando la stampa, spesso si crearono miti e stereotipi. Il trattato austro-tedesco del 1879 venne pubblicato nel 1888, quello franco-russo del 1894 sarà reso noto tre anni dopo; i governi iniziarono la prassi di pubblicare spezzoni selezionati di corrispondenza diplomatica, del resto i corpi diplomatici erano legati alle tradizioni del passato e solo lentamente si modernizzarono in modo professionale. Eccetto la Gran Bretagna, le economie avevano caratteri fortemente nazionali, un relativo grado di autosufficienza economica in un territorio era uno dei criteri fondamentali per sostenere la legittimità delle ambizioni a costruire stati nazionali. Nel 1873 un drammatico crack finanziario a Vienna, Berlino e poi New York, diede inizio a venticinque anni di stagnazione dei prezzi, sottolineando i problemi di adattamento alla diffusione dell’economia industriale e capitalistica. Inoltre, il minor slancio capitalistico si intrecciò con una tremenda crisi degli assetti agricoli tradizionali europei, messi sotto pressione da derrate a basso prezzo importate dagli Stati Uniti; la grande crisi agraria indebolì la classe dei proprietari e impoverì i contadini. La naturale dinamica protezionista dei governi assunse via via un carattere politico- strategico: si trattava di privilegiare i settori decisivi in termini militari, con la costruzione di una siderurgia nazionale. L’autosufficienza alimentare era un elemento spesso invocato, la tariffa generale tedesca del 1879 rafforzò l’alleanza tra Junkers e industriali nell’ombra del conservatorismo bismarckiano, contribuendo a riorientare il commercio estero tedesco fuori Europa. In Francia si ebbero lente progressioni dei dazi industriali e agricoli, tra il 1875 e il 1881 per arrivare alla tariffa generale Meline del 1892, complessivamente protezionistica. Il commercio estero divenne oggetto di regolazione, vincoli, controlli e orientamenti da parte dei governi; vi furono alcune guerre doganali: la scelta di un governo di alzare le tariffe ad hoc per le merci di un altro paese, provocava un gioco a spirale di ritorsioni parallele che giungeva ad annullare il commercio bilaterale. Va anche ricordata la nuova corsa agli armamenti: la modernizzazione dei sistemi d’arma, ebbe un’impennata attorno al 1850; la produzione non si limitò più agli arsenali statali ma fu estesa a grosse industrie private (Krupp o Schneider, Ansaldo e Terni in Italia). I governi sostennero queste imprese con un sistema di commesse pubbliche e cercarono progressivamente di controllare i flussi commerciali di armamenti, indirizzandoli a paesi alleati. Il modello prussiano, con la “legge del settennato”, che dava mano libera agli stanziamenti per l’esercito a discrezione del governo, nel quadro dei bilanci votati solo ogni sette anni. Più ancora che le guerre per l’unificazione tedesca, fu la guerra civile americana a colpire l’opinione colta internazionale. 7. IL “SISTEMA BISMARCKIANO” E L’EGEMONIA CONTINENTALE TEDESCA Tre potenze nazionali (Gran Bretagna, Francia e Germania) si affiancavano a due grossi stati plurinazionali (Austria e Russia). Il reich con 41 milioni di abitanti divenne il paese più popolato d’Europa: Bismarck riconobbe i limiti della potenza tedesca dopo il 1871. Bismarck rifiutò l’ipotesi “pangermanista”, rispettando e tutelando l’esistenza dell’Impero asburgico con i suoi dieci milioni austro-tedeschi. Il cancelliere mirava a stabilizzare il frutto degli sconvolgimenti del quindicennio precedente, per farlo occorreva sostituire il concerto con una manovra russa del rinnovo del trattato di contro assicurazione. Il governo non si preoccupò di utilizzare i termini di una brutale Machtpolitik, la crescita verticale della spesa pubblica per armamenti aprì deficit di bilancio, colmati tramite l’indebitamento sul mercato dei capitali, introducendo ulteriore instabilità. I nuovi governanti volevano seguire la scia bismarckiana cercando successi in politica internazionale per compattare la società e la classe politica. La novità più grande fu l’alleanza franco-russa, stretta dopo il raffreddamento dei rapporti tra Berlino e San Pietroburgo, la preoccupazione francese per la contrapposizione sul Reno faceva riscontro alle spinte russe verso l’oriente e i Balcani. La pressione comune delle parallele esigenze difensive portò a raggiungere un’intesa: nell’agosto 1891 fu raggiunta un’intesa di cooperazione generale e nel 1892 fu firmata una convenzione militare con significato antitedesco. Nel 1894 l’intesa venne ratificata. Per la Francia, l’alleanza con la Russia esprimeva la nuova forza delle correnti conservatrici, militariste e filoclericali: i finanzieri parigini erano in prima linea nell’investimento in titoli di stato russi. La FR viveva nella coscienza di una debolezza crescente, causata da una stasi demografico- economica; la politica di encerclement rispetto alla Germania, inaugurata da Delcassé, era la manifestazione dell’esigenza di trovare sostegni. In Russia vi era uno slancio di politica di modernizzazione, guidata dal ministro Vitte, nel 1913 l’80% della popolazione era legata alla terra e le maggiori esportazioni erano di legname e prodotti agricoli: mancava una classe sociale intermedia in grado di sostenere uno sviluppo autopropulsivo. Il tutto era reso problematico dall’incoerente governo dello zar Nicola II, che nel 1903 licenziò Vitte. Il continente si trovò diviso in due alleanze contrapposte: la Triplice (1882) e la Duplice franco-russa: erano alleanze difensive, circoscritte nelle loro previsioni. Con il tentativo di governo di Francesco Crispi, che cercò l’appoggio delle Triplice per l’espansione nel Corno d’Africa, mentre trattato prevedeva un sostegno difensivo tedesco nei confronti degli interessi italiani a Tripoli, la Germania cercò di dissuadere il governo italiano. Crispi forzò la mano impegnandosi nella guerra abissina, fino al disastro di Adua (1896). 3. CONTRASTI IMPERIALISTICI E RIALLINEAMENTI EUROPEI Il primo intervento massiccio di J e USA nella sfera d’azione delle potenze europee in Cina e nel Pacifico, diede il senso alla politica internazionale. J arrivò ad applicare alle relazioni con i paesi vicini più deboli la politica di imposizione che aveva subito dagli occidentali in precedenza. La guerra cino-giapponese (1894-95) scoppiò sulla questione della rispettiva influenza in Corea e si chiuse con la rapida vittoria giapponese; con il trattato di Shimonoseki, la Cina dovette cedere alla potenza vincitrice l’isola di Taiwan e le isole Pescadores, riconoscendo inoltre la sua mano libera in Corea. Tali episodi suscitarono preoccupazioni nei paesi continentali rivali nel vecchio mondo, che avevano comuni prospettive di espansione in Cina: RU, FR, GE decisero un’azione convergente, la cosiddetta Triplice d’Estremo Oriente che impose a J un ridimensionamento delle conquiste territoriali. La Russia si impegnò a concedere un prestito a Pechino per pagare l’indennità di guerra, sostenendo la Cina volevano ottenere che modificasse la politica commerciale della porta aperta, imposta agli inglesi che controllavano i 3/4 del commercio cinese. Miravano ad ottenere da Pechino sfere d’influenza protette ed esclusive, il governo dovette quindi istituire delle concessioni; nel 1896 la Banca russo-cinese aveva ottenuto la concessione per realizzare la ferrovia trans manciuriana, la Germania si assicurò la base di Kiao-Ciao, la Francia iniziò la penetrazione nelle regioni meridionali dello Yunnan. L’unica potenza a sostenere la libertà di commercio furono gli USA, attenti all’estremo oriente; la GB chiese una zona d’influenza esclusiva. La successiva rivolta dei boxer, uccise due o trecento europei e molti cristiani cinesi, condusse le potenze a cooperare tra loro: la Cina era quasi totalmente sotto controllo straniero. L’influenza tedesca nell’impero ottomano crebbe, il progetto ferroviario Costantinopoli- Baghdad fu percepito dagli statisti europei come forma evidente di penetrazione strategica degli interessi tedeschi in medio-oriente. Lo scontro tra le direttrici inglesi e francesi ebbe il suo culmine nel 1898, la questione era il controllo del Sudan e delle sorgenti del Nilo, verso cui ci fu una spedizione capitanata dal francese Marchand, che arrivò a Fashoda. Il generale inglese Kitchener risalì la vallata fino all’incontro delle due colonie militari, si sfiorò lo scontro e i francesi furono costretti a cedere elaborando un compromesso sulla zona. Nella classe dirigente inglese si accese una discussione sulla possibilità di seguire la logica dello splendido isolamento, Salisbury confidava nella capacità inglese di reggere la sfida dei tempi; il relativo declino economico si faceva evidente, le basi materiali troppo ridotte per le nuove competizioni imperiali. La guerra anglo-boera (1899-02) fu passaggio critico per il ripensamento inglese; quando furono scoperti nuovi giacimenti, i coloni tentarono di inglobarli. Una spedizione fallì nel 1895, l’imperatore Guglielmo arrivò ad inviare un telegramma di felicitazioni al presidente del Transvaal. La linea dura verso i boeri, condusse a una vera e propria guerra durissima, che costrinse Londra a mobilitare moltissimi uomini, nel più totale isolamento diplomatico ed emotivo nell’opinione internazionale; la vittoria portò a inserire le repubbliche boere inuma nuova colonia. Il leader Chamberlain diventò capofila delle pressioni per convincere i residui isolazionisti della necessità di allearsi con la Germania; una parte dell’establishment condivideva l’idea di una naturale convergenza tra razza anglosassone e teutonica, i tedeschi gestirono l’iniziativa in modo contraddittorio e fecero balenare l’ipotesi di un’alleanza antinglese. Dopo il 1902 ci fu un riorientamento complessivo nella classe dirigente britannica, che portò a ritenere centrale nell’analisi della situazione internazionale bipolarismo di potenza con la Germania; gli imperialisti di Chamberlain identificarono nella sfida competitiva tedesca il primo pericolo, proposero nuove strategie come il protezionismo imperiale. L’alleanza anglo- giapponese fu segnale della disponibilità britannica a stringere intese per difendersi, i paesi si promettevano di mantenere neutralitàà in caso di guerra e di offrirsi sostegno reciproco, motivo che portò il Giappone a osare di più negli scontri con la penetrazione russa in Cina e Corea: la guerra si concluse l’anno seguente con la sconfitta russa, il fatto che lo scontro restasse circoscritto era un segnale del miglioramento dei rapporti tra i due paesi a cavallo della Manica. Nell’aprile 1904 fu annunciata una entente cordiale anglo-francese, che somigliava a una risoluzione dei contrasti imperiali, il riconoscimento reciproco delle rispettive sfere d’influenza era centrale. Nel 1902 ci furono alcuni accordi politici italo-francesi che stemperavano il significato dell’alleanza italiana con Austria e Germania: l’impegno a mantenere neutralitàà se una delle due potenze fosse stata aggredita. Le posizioni prudenti della politica estera italiana nell’età giolittiana non impedivano al paese di coltivare ambizioni imperiali, dedicando una lunga preparazione diplomatica all’ipotesi della conquista della Libia. Restava il conflitto anglo- russo, depotenziato da quando i vertici del governo inglese avevano mutato la linea sulla questione ottomana: avendo le basi navali di Cipro e Suez, era importante per Londra controllare il passaggio negli stretti. Una nuova crisi fu scatenata nel decennio ’90 dalla repressione turca del movimento nazionale armeno, la Gran Bretagna assunse posizioni critiche nei confronti di Costantinopoli. La rivoluzione di San Pietroburgo del 1905 sembrò affossare l’autocrazia per favorire uno sviluppo liberale delle istituzioni imperiali, eleggendo una Duma rappresentativa; il ministro estero Izvol’skij puntava ad occuparsi dei Balcani; l’accordo anglo-russo sulla divisione di Persia, Tibet e Afghanistan fu logica conseguenza. Nello stesso anno il governo zarista negoziava un accordo segreto con il Giappone sui rispettivi interessi in Manciuria, qualcuno parlò di una Quadruplice intesa (GB, FR, RU, J). La diplomazia tedesca fu in crescente difficoltàà: Bulow tentò di ricucire un legame con la Russia indebolendo l’intesa con Parigi; Guglielmo II sembrò raggiungere un’intesa con lo zar nel 1905. Guglielmo sbarcò a Tangeri protestando contro le pressioni francesi sul sultano del Marocco, il timore francese portò Delcassé a dimettersi e Berlino chiese una conferenza internazionale che regolasse la questione: si tenne ad Algecrias ma vide la Germania isolata. Il nuovo ministro interno inglese Grey, seguì una prudente politica di assestamento delle nuove relazioni con Francia e Russia, senza puntare a trasformarle in vere e proprie alleanze. 4. SVILUPPO DELLA POTENZA AMERICANA E REAZIONI NAZIONALISTE ANTIMPERIALI Alla conferenza di Algeciras fecero la loro comparsa gli USA, segno di un nuovo ruolo mondiale della Repubblica Americana. Il primato produttivo statunitense non era legato a una dimensione commerciale equivalente: il paese era importatore netto di capitali ed era concentrato sul mercato interno. Negli anni ’90 una crisi economica diede spazio a proteste e alla nascita di un movimento populista di contestazione dell’establishment. La ricerca di frontiere era tema diffuso nel paese, l’evento scatenante fu la questione cubana dove nel 1895 ci fu una guerra civile a seguito di una rivolta dei coloni contro i metodi repressivi del governo spagnolo. Il presidente McKinley si mostrò propenso ad intervenire: un ultimatum alla Spagna per ottenere un armistizio a Cuba portò alla guerra ispano-americana (1898); la guerra ebbe conseguenze per gli USA: si avviò un protettorato informale sull’isola, che rimase uno stato semi-indipendente. Inoltre, si arrivò alla conquista di Portorico, Guam nel Pacifico e delle Filippine (occupate con un blitz militare grazie al trattato di pace con la Spagna). Non mancava una principale dimensione militare, con la partecipazione alla repressione internazionale della rivolta dei Boxers del 1900. Figura di spicco fu Theodore Roosevelt, presidente dopo l’assassinio di McKinley. La mediazione tra Russia e Giappone mostrava crescenti attenzioni allo scacchiere orientale, gli USA dovettero riconoscere le posizioni dominanti del Giappone nell’area cinese. La presidenza Roosevelt fu una politica decisa condotta in America centrale: un corollario alla dottrina Monroe che affermava il diritto nordamericano di svolgere un’attività di polizia internazionale in zona caraibica. Per decenni l’area centroamericana fu considerata sottomessa, venne risolta anche la questione del canale intra oceanico la cui apertura erano stati riconosciuti al paese. Ci fu un tentativo di accordo con Bogotà per istmo di Panama, ma il fallimento del negoziato portò ad una rivolta locale contro il governo colombiano, che porterà all’indipendenza nel 1903. Molti ambienti furono influenzati dal navalismo, dottrina espressa dall’ammiraglio Mahan, che induceva a considerare potenti flotte da guerra come qualità decisiva delle maggiori potenze. Secondo alcuni, in questi anni si sarebbe consolidato un particolare imperialismo americano della “porta aperta”, che avrebbe trovato la sua base nelle necessità economiche di un paese dinamico. Il presidente repubblicano Taft, parlò di una diplomazia del dollaro, come sostegno a ogni vantaggiosa impresa americana all’estero: per tutto il periodo gli USA non abbassarono le tariffe doganali protezioniste. La successiva amministrazione fu quella di Wilson (1912), che espresse l’eredità del dibattito interno americano dell’era progressista; il presidente intendeva conciliare la tradizione di libertà con un controllo da parte del governo federale sulle dinamiche sociali, evitando eccessive concentrazioni di potere economico. Era fiducioso di poter estendere al di fuori del paese l’equilibrio raggiunto in patria tra libertà e benessere, dichiarò di voler mutare la politica estera ed operò in una serie di interventi fuori dai confini in cui questioni umanitarie si mescolavano a esigenze di proteggere gli interessi finanziari. Il caso più delicato fu la crisi rivoluzionaria messicana (1913-15). In molti ambienti inglesi crebbe il mito di una relazione speciale tra i due paesi anglosassoni. Negli ultimi decenni emerse una nuova prospettiva: in alcuni settori delle élite indigene dei paesi dipendenti si radicarono influenze europee, tradotte in nuovi nazionalismi. Scoppiarono rivoluzioni contro governanti locali, proteste contro le ingerenze straniere: gli esiti non furono rilevanti ma il segnale piuttosto forte. Il caso del Messico fu rilevante: il lungo regime oligarchico militare-amministrativo di Porfirio Diaz aveva consolidato lo stato, che entrò in crisi; la rilevante crescita economica affidata agli investimenti stranieri produsse dualismi e insoddisfazioni sia per la rottura con la tradizione, sia per esigenze di modernizzazione borghese. Il crollo della dittatura nel 1910 aprì una lunga fase di guerra civile, stabilizzata solo dieci anni dopo, con risvolti internazionali: le preoccupazioni USA per le ingerenze tedesche. All’inizio del XX secolo, in Persia ci fu un movimento influenzato dal liberalismo inglese, da riformatori russi e dalle dottrine panislamiche, che porto lo shah a concedere una costituzione nazionale: si sviluppò una rivoluzione anti-straniera che fallì gli obiettivi di autonomia nazionale, nel 1911 fu sciolto il parlamento e il paese fu diviso a Nord (dominio russo) e a sud (dominio inglese). Nell’impero ottomano, un gruppo di liberali, studenti e ufficiali d’esercito (Giovani Turchi del Comitato unione e progresso), imposero al sultano di ripristinare la costituzione del 1876; il partito condizionò il nuovo sultano a una linea ancora più repressiva dei movimenti nazionali non islamici, nelle regioni slave e cristiane. L’idea nazionale si diffondeva anche tra le popolazioni arabe, nel 1905 la Lega della patria araba diffuse un manifesto che rivendicava la nazione araba; più incisivo fu il patriottismo egiziano. Nel 1910, il Giappone annesse la Corea; in Cina il nazionalismo comparve con la Fondazione della Lega Giurata ad opera di Sun Yatsen, che ottenne il consenso di molti cinesi. Una rivoluzione creò un’alleanza tra la Lega e una parte di dirigenza militare, instaurando la repubblica. Le elezioni videro il successo del partito, che però non riuscì a gestire il governo. 5. LE DIMENSIONI DI MASSA DEI NAZIONALISMI INTEGRALI Negli anni ’80 aumentò l’organizzazione e la dimensione dei ministeri degli esteri, la crescita delle tirature dei quotidiani caratterizzò le società avanzate: la stampa popolare raggiunse nuovi strati sociali, trattando le relazioni internazionali in modo banalizzato e spettacolarizzato. I nazionalismi di massa condizionarono le scelte politico-diplomatiche e si rivelarono difficili da moderare quando la diplomazia imponeva atteggiamenti realisti. In molti stati ci furono partiti e movimenti aggressivi e bellicosi, si collegavano ad un buon uso di nuovi mezzi di diffusione della propaganda. Un radicalismo nazionalista tedesco, formatosi parallelamente alle prime mosse della Lega Pangermanica, si pose l’obiettivo di costruire una Germania più grande. In Gran Bretagna, comparve il jingoismo, fondato sull’imperialismo popolare degli anni ’70. La lega navale funzionava come gruppo di pressione imperialista, una lega per il servizio militare propose la coscrizione obbligatoria per la difesa patriottica. In Francia, si formò lo sciovinismo, avvitato sulla contrapposizione secolare attorno alle rive del Reno. In Italia ci furono le dottrine di Enrico Corradini e della rivista “Il Regno”: parlavano delle nazioni proletarie; nel 1910 nacque l’Associazione nazionalista italiana, con i segnali di una volontàà di trasformazione partitica del piccolo gruppo di pressione nazionalista. Nella monarchia austro-ungarica, il problema della convivenza delle nazionalità era più aspro, con la crescita di movimenti polacchi, cechi e sloveni; crebbe un movimento di rigido nazionalismo, impersonato da von Schonerer. In Russia nacquero formazioni politiche ispirate al nazionalismo russo, antisemita e imperialista. Il nuovo cancelliere tedesco, non sopportava più le continue aggressioni da parte degli ultranazionalisti, il partito del nazionalismo integrale non poteva che sfociare in una guerra civile. Giungeva a dividere il tessuto sociale e politico dei diversi paesi: chi non condivideva le posizioni dei nazionalisti faceva parte dei traditori. In Francia, celebre fu il caso Dreyfus, che ricevette ingiustizia e pregiudizio antisemita in un processo. L’internazionalismo del manifesto di Marx ed Engels conobbe un’evoluzione particolare; nello stesso periodo una corrente pacifista ad ispirazione religiosa, assieme a Papa Leone XIII, rilanciò l’universalismo religioso. Non mancarono casi d’incontro tra ambienti cattolici e filoni nazionalisti, come il caso dell’Action française. Negli ambienti del pacifismo democratico nacque il progetto di sostenere le idee tramite una manifestazione che ogni anno riconoscesse una persona o un’istituzione che si fosse distinta nella realizzazione della pace (premio Nobel 1901). Lo zar Nicola II propose una conferenza sull’arbitrato e la condotta della guerra: si tenne all’Aja nel 1899, con scarsi risultati. 6. IL BIPOLARISMO INSTABILE E LE CRISI DI INIZIO SECOLO: POLVERIERA BALCANICA Dopo il 1907 ci furono una serie di incidenti, tensioni, crisi e prove di forza; le crisi sul continente europeo contrapposero il blocco austro- tedesco a quello franco-russo. Si diffuse l’idea che non fosse impossibile mutare lo status quo, forzando le situazioni che si presentavano; le alleanze facevano scattare solidarietà automatiche e ad approfondire rotture politiche. Il ruolo britannico era particolare, ma la coscienza di una contrapposizione con la Germania era sempre più chiara. Un gruppo di senior officials sostenne la necessità che il paese si orientasse a una politica attiva di equilibrio sul continente, in stretto accordo con Francia e Russia. Dal 1890 le maggiori potenze aumentavano ogni decennio le spese militari; la seconda conferenza all’Aja, nacque con l’ipotesi di controllare il riarmo navale: la Germania bocciò le proposte russe. Dal 1906 la rivalità anglo-tedesca nel settore navale venne rilanciata con la costruzione di potenti navi corazzate. Nel 1907 ci fu panico finanziario a New York, che coinvolse quasi tutte le piazze mondiali: la banca inglese non riuscì a gestire il problema e dovette mobilitare le sue riserve d’oro. La polveriera balcanica rischiò di incendiarsi spesso: il dualismo austro-russo era molto teso, l’Austria-Ungheria era in difficoltàà di fronte ai nazionalismi. Nel 1903 una congiura di palazzo aveva riportato alla guida della Serbia i Karageorgevic, che puntavano a riunificare i serbi della regione, sparsi fuori dai confini. In Croazia e Slovenia si sfiorava la rivoluzione. Il governo russo e il ministro estero avevano abbandonato le idee di espansione estremo orientali, fortemente influenzati dal panslavismo. Nel 1908 scoppiò la crisi bosniaca: si organizzarono gruppi di protesta clandestina filoserbi; l’Italia dal canto suo vide delusi i propri obiettivi d’influenza nella regione. Nel marzo 1911 ci fu un’altra crisi marocchina, con disordini a Fez che portarono all’occupazione militare francese, con il governo appoggiato diplomaticamente in modo aperto da Londra. Nel giro di alcuni mesi venne elaborato un compromesso che attribuiva alla Germania qualche compenso territoriale. All’inizio del 1912 Caillaux si dimesse, sostituito dall’antitedesco Pointcaré. Le ostilitàà con l’impero ottomano non videro vittorie folgoranti da parte dell’Italia, ma condussero alla proclamazione della futura colonia di Libia. La prima guerra balcanica contro i turchi ottenne successo militare, la vittoria non impedì la rapida distruzione della Lega Balcanica: la Bulgaria non accettò la mediazione russa, contro di essa si formò un’alleanza tra i membri della lega originaria assieme a Romania e Turchia. La seconda guerra balcanica portò alla sconfitta bulgara: Serbia, Montenegro e Grecia ottennero con la Pace di Bucarest parti più ampie di territori sottratti alla Porta. Si decise l’indipendenza dell’Albania, alla quale venne sottratto il Kosovo dalla Serbia. Il governo austriaco vide con sospetto l’avanzata della Serbia, sentendosi isolato; i bulgari ruppero la precedente alleanza con la Russia. Si decideva nel mentre il progetto di una Mitteleuropa tedesca, gli inglesi non accettarono di promettere neutralitàà in caso di conflitto continentale. La grande vittoria socialdemocratica in Germania, spinse sull’orlo della paralisi la politica interna, portando una parte di uomini influenti sul Kaiser a considerare l’ipotesi di sfruttare crisi internazionali. Analogo clima a Vienna, con ipotesi di una trasformazione triplista che allargasse il riconoscimento della componente slava. 7. GUERRA PREVISTA, GUERRA CASUALE: IL 1914 E LO SCONTRO EUROPEO PER IL PRIMATO MONDIALE La guerra era attesa e discussa: la minaccia era comparsa assieme alla tormentata definizione del bipolarismo delle alleanze. Era svanita la distinzione ottocentesca tra guerre premesse e guerre non pensabili, poiché rischiose per la stabilità e la sopravvivenza del sistema. Lo scoppio fu un fatto contingente: l’attentato di Sarajevo con l’assassinio all’erede al trono d’Austria Francisco Ferdinando, da parte del serbo-bosniaco Gavrilo Princip (28 giugno 1914), era stato concepito come protesta per un’inopportuna visita di stato connessa a manovre militari nella Bosnia occupata. La crisi locale si creò per la decisione di Vienna di risolvere il problema slavo, riducendo lo stato serbo a condizioni subalterne, ritenuto responsabile dell’attentato. Alla corte viennese gli oltranzisti presero il sopravvento: l’ultimatum del 23 luglio sembrò scritto per essere rifiutato, con richieste difficilmente accettabili, come la libertà di indagine della polizia austriaca in territorio serbo. Il sostegno diplomatico che Vienna ottenne da Berlino rispondeva ad un rischio calcolato: una forte strategia politico-diplomatica poteva ottenere vantaggi, mettendo l’avversario di fronte alla possibilità di una guerra generale. Il governo serbo rispose in modo subdolo, senza accettare le clausole dell’ultimatum: in seguito al bombardamento di Belgrado, la Russia mobilitò l’esercito minacciando guerra (dopo la rottura con la Bulgaria, la Serbia era l’unico fedele alleato balcanico). San Pietroburgo rifiutò di sospendere la mobilitazione nonostante le minacce di Berlino: la contro-mobilitazione tedesca fu una risposta alla Russia, alla mossa tedesca seguì lo stato d’emergenza francese. L’obiettivo della Francia era quello di far risaltare il torto tedesco. Il governo britannico, cercò di sostenere fino all’ultimo una mediazione internazionale, evitando di comunicare una decisione a intervenire in caso di attacco tedesco alla Francia. Si susseguirono nuove dichiarazioni di guerra; l’aggressione tedesca al Belgio secondo il piano Schlieffen, compattò il governo inglese a intervenire per impedire la totale sconfitta francese e la caduta del continente sotto la Germania, o una vittoria russa: il 4 agosto Londra dichiarò guerra. La prima guerra rinnovava una contesa del primato europeo tra due blocchi di potenze; l’ottica tedesca mostrava altri elementi cruciali e si trovarono le motivazioni dell’ingresso delle Gran Bretagna. Assieme al conflitto anglo-franco-tedesco e quello austro-russo si intrecciarono conflitti locali che portarono altri paesi a confluire nelle coalizioni, i paesi neutri restarono pochissimi (NL, SP, SW). All’Austria-Ungheria si aggiunse l’impero ottomano: temeva l’espansionismo russo, i tedeschi invece speravano di utilizzare il sultano-califfo per lanciare una campagna musulmana anti-inglese in Egitto. Alla Triplice Intesa si unirono la Romania, il Giappone e l’Italia. Il governo del liberale conservatore Salandra, proclamò la neutralità ma nel giro di poco si aprì un dibattito politico in cui i nazionalisti chiedevano la partecipazione per forgiare le forze del paese, gli irredentisti per completare l’unità territoriale con le terre sotto gli Asburgo e i democratici radicali per affermare il principio di nazionalità contro l’Austria conservatrice. Il dibattito fu lacerante, gli esiti gestiti dal re, dal premier e dal ministro esteri Sonnino che deciderò per minoritaria). Complicò il tutto la richiesta di un’assemblea di Fiume di unirsi all’Italia, il governo sposò questo appello. Orlando e Sonnino si scontrarono con Wilson, abbandonarono Parigi e provocarono un moto di scontento nell’opinione pubblica. Il mito della vittoria mutilata, gettò ombre sull’evoluzione interna del paese. 3. I PROBLEMI EXTRAEUROPEI E L’ABBANDONO AMERICANO DELLA SOCIETÀ DELLE NAZIONI Alla conferenza di pace si arrivò a discutere del problema coloniale, che divideva la tradizione politico-culturale statunitense da quella franco- britannica. L’urgenza era costituita dalle decisioni sulla sorte delle colonie ex tedesche e di molti territori distaccati dall’impero ottomano: vi era l’idea wilsoniana di avviare all’indipendenza questi paesi con una tutela della Società delle Nazioni civili, effettuata tramite mandato affidato ad una singola potenza. Inglesi e francesi accettarono, opponendosi solo all’idea wilsoniana di affidare i mandati a piccole potenze. Utilizzando i mandati, le due potenze realizzarono i propri progetti di spartizione in zone d’influenza del Medio Oriente ex ottomano, poiché in queste regioni vi era l’interesse comune del petrolio. La Francia si impose in Siria e Libano, GB in Palestina, Transgiordania e Iraq. I francesi seguirono una politica rigida di contrasto verso i movimenti nazionali e religiosi locali, gli inglesi invece cercarono mediazioni alla difficile situazione che avevano creato. Nella penisola araba si affermò il regno di Ibn Saud: gli inglesi cercarono di ricompensare gli hashemiti, concessero nel 1922 l’indipendenza all’Egitto monarchico- costituzionale e definirono un protettorato sulla Persia. Un ulteriore motivo di complicazione fu a seguito della dichiarazione Balfour: correnti di immigrazione ebraiche si diressero in Palestina, coordinate dall’organizzazione sionista. In Medio Oriente ci fu l’episodio di revisionismo turco: il trattato di Sevres (1920) imposto al sultano, aveva previsto lo spezzamento della penisola anatolica, la costituzione di uno stato armeno, prevedendo la colonizzazione greca nella zona di Smirne e quella italo-francese in Cilicia. Si sviluppò la rivoluzione nazionalista musulmana degli eredi al comitato Unione e Progresso, guidati da Mustafà Kemal, che riuscì ad abbattere il sultanato-sultanato-califfato, proclamando la Repubblica di Turchia. Il suo successo militare impose la revisione dei precedenti accordi di pace, con il trattato di Losanna (1923) che consolidava il territorio dell’Anatolia e della Tracia sotto il nuovo governo: nuove violenze caratterizzarono tale guerra. Nel 1921 il Trattato di Washington impegnò le maggiori potenze al rispetto della sovranitàà e dell’integrità territoriale cinese; fissò inoltre i limiti quantitativi per le marine da guerra delle grandi potenze, riconoscendo l’ormai raggiunta parità strategica in campo navale tra GB e USA. Wilson, aveva perso il contatto con la situazione politica interna e l’opinione pubblica d’oltreoceano. L’irrigidimento del presidente, che non volle negoziare con la maggioranza del senato alcuni emendamenti e riserve al trattato di Versailles, doveva condannare i suoi sforzi al fallimento. Il 19 marzo 1920 il Senato respinse la ratifica del trattato: le successive elezioni porteranno alla vittoria del repubblicano Harding. Gli USA restavano fuori dall’organizzazione, la Russia restava assente, l’Italia isolata; determinante era il debole e diviso asse franco-britannico. I trattati di Parigi, cancellarono solo in parte le ragioni di guerra. I governi si impegnarono a favorire lo sviluppo di una “società civile internazionale”: si istituì un’Organizzazione internazionale del lavoro e un’Organizzazione mondiale per la sanità. Dopo il 1919 si creò un tessuto di scambi internazionali e di interazioni civili per superare i traumi della guerra. Benedetto XV propose una riflessione in positivo sulla pace cristiana, Pio XI invece, non ebbe confidenza nell’organismo ginevrino e si preoccupò di affermare la pax Christi in regno Christi. I patti Lateranensi (1929), sciogliendo dopo sessant’anni la questione romana, diedero al pontefice un simbolico ruolo di capo di Stato. 4. DALLA TENSIONE POSTBELLICA ALLA STABILIZZAZIONE “SENZA GUIDA” Il governo francese fu condizionato dalle preoccupazioni per il crescente isolamento, che lo spinsero ad irrigidirsi nei confronti della Germania, con una politica di imposizione della pace. La fissazione delle riparazioni finanziarie tedesche porto la cifra a 132 miliardi di marchi: I governi tedeschi erano politicamente deboli e la risposta di Berlino seguì una linea di resistenza passiva che cercava di stemperare il costo finanziario delle riparazioni a prezzo di tensioni inflazionistiche. La questione portò ad una crisi tra i due paesi, quando la Francia mandò l’esercito ad occupare la zona industriale della Ruhr, per sfruttare il carbone in pegno ai ritardati pagamenti. Inoltre, era venuto meno il ruolo equilibratore geopolitico degli Asburgo, i nuovi stati erano fragili e isolati. La potenza che si incaricò di fare da gendarme dell’ordine di Versailles fu la Francia: la nascita di un sistema francese fu il tentativo diplomatico di stabilizzare l’assetto di Versailles. L’alleanza franco- belga e quella franco-polacca furono collegate a rapporti con la “piccola intesa”, stretta tra Romania, Cecoslovacchia e Jugoslavia, per opporsi al revisionismo ungherese. La Russia si fondò sul comunismo di guerra, con una pianificazione centralizzata dell’economia: l’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (Urss), costituita da Lenin, uscì vittoriosa dalla guerra civile e riuscì a salvaguardare molti territori non russi che avevano fatto parte dell’impero zarista. I bolscevichi sottolinearono un isolamento dalla vecchia società internazionale, spostando nuovamente la capitale a Mosca; il cordone sanitario occidentale e le necessità di stabilizzazione del potere, orientarono Lenin alla scelta del socialismo in un solo paese, abbandonando le ipotesi rivoluzionarie mondiali. Dopo accordi con GB, Lenin favorì la cooperazione con la Germania: gli Accordi di Rapallo portarono al riconoscimento mondiale del regime sovietico. La presenza del Comintern offriva uno strumento accentrato d’influenza diretta della patria del socialismo al di fuori dei suoi confini. In Italia, dopo l’avvio al potere di Mussolini, la linea del governo a guida fascista fu inizialmente prudente in campo internazionale; la svolta del 1925 rafforzò il quadro, con la nuova volontàà del regime di inquadrare le forze produttive della nazione per una futura competizione imperiale. L’aspetto totalitario del fascismo voleva operare una saldatura definitiva del nesso tra nazione e stato, senza distinzione di spazi di libera scelta per individui e gruppi sociali: Mussolini non voleva condurre un fenomeno d’esportazione e il paese non aveva le risorse per condurre una politica di ribaltamento dello status quo. Il conflitto aveva indebolito il primato economico europeo poichéé l’inflazione postbellica condizionava la società, mutava il ruolo delle monete e i debiti tra paesi dell’Intesa avvelenavano l’aria: i francesi volevano pagarli solo dopo aver ricevuto le riparazioni tedesche, gli USA non accettarono riduzioni. GB raggiunse un accordo con Washington. Un nuovo approccio francese con il governo Herriot si incontrò con la scelta del governo tedesco di uscire dalla fallimentare politica di resistenza passiva, per uscire dalla sconfitta elaborò una strategia di accettazione parziale dei trattati. Il nuovo pragmatismo riguardò le riparazioni con pagamenti scaglionati nel tempo con il Piano Dawes (1924): gli USA si impegnavano a concedere prestiti e investimenti alla Germania, per metterla in grado di riprendersi e di reggere il pagamento delle riparazioni. Il Protocollo di Ginevra negoziato dal governo laburista MacDonald e francese di Herriot prevedeva un’integrazione di sicurezza-disarmo-arbitrato: il consiglio avrebbe avuto bisogno della maggioranza dei due terzi del consiglio per varare le norme repressive di chi si fosse dichiarato aggressore. Con il Patto di Locarno (1925) la Germania accettava una parte del sistema di Versailles, ovvero il confine del Reno. In Germania la stabilizzazione economica sembrò funzionare e in Francia la stabilizzazione del franco rilanciò la potenza finanziaria del paese. In Gran Bretagna ci fu una consistente disoccupazione della forza lavoro, aggravata da un livello troppo alto di stabilizzazione della sterlina. Negli USA si impose la linea politica delle amministrazioni repubblicane, definite con il termine “isolazionismo” o “unilateralismo”, il governo non voleva impegnarsi in alcuna cooperazione politica istituzionale. Con il primo conflitto, NY era diventata il nuovo centro finanziario del mondo e le banche americane contribuirono alla stabilizzazione monetaria di molti paesi europei. Nel 1927 venne completata la ricostruzione del regime monetario internazionale basato sull’oro e i paesi vincitori iniziarono a rimborsare i debiti di guerra, a Ginevra nacque anche una banca dei regolamenti internazionali che collegava le banche europee. L’allargamento progressivo alla Società delle Nazioni ai paesi vinti fu un segnale di apparente stabilità e la sanzione finale fu il Patto Briand-Kellogg che divenne una dichiarazione di principi firmata da molti stati che si impegnavano ad evitare il ricorso alla guerra come strumento di politica nazionale. Tra agosto 1929 e gennaio 1930 all’Aja ci furono due conferenze sulla liquidazione della guerra, che portarono al ritiro delle truppe alleate della Renania. 5. L’IMPATTO INTERNAZIONALE DELLA GRANDE CRISI ECONOMICA DEL 1929 La crisi nacque negli USA a causa del sistema economico: mercato interno avanzato ma condizionato da una cattiva distribuzione del reddito e dalla scarsa redditività del settore agricolo; l’economia drogata dal boom della borsa fu travolta dallo scoppio della bolla speculativa a Wall Street: il crollo dei valori borsistici portò ad un panico diffuso e l’economia del paese cadde in depressione, arrivando al rallentamento di ogni dinamica economica. La crisi arrivò in altri paesi, a causa della chiusura del rubinetto di credito americano, con gli investitori che ritirarono i propri capitali. La crisi arrivò anche in Europa: in quei mesi si discuteva di un’unione doganale austro- tedesca, poco gradita a Parigi, così i banchieri francesi decisero di non contribuire al salvataggio della banca. Dilagò la disoccupazione di massa, economie come quelle latino- americane, delle Indie Olandesi e della Malesia britannica videro crollare le fonti di reddito; i mercati erano spiazzati, i governi non avevano strumenti per affrontare la grande depressione in maniera efficace. In paesi come la Germania, la risposta alla crisi fu trovata in maniera autoritaria e nei momenti di difficoltàà fu perseguito l’ancoraggio alla tematica nazionalista. Ogni grande potenza voleva raccogliere attorno al proprio ruolo-guida dei paesi indipendenti su cui esercitare la propria influenza. Negli USA la crisi rafforzò le posizioni dello slogan America First, che non venne invertita nemmeno con l’elezione dei democratici di Roosevelt, che lanciarono l’idea di un New Deal, strategia che riuscirà a scuotere l’economia. Mutò i rapporti tra stato e società e tra governo federale singoli stati e, per la prima volta, vennero introdotte forme di controllo e stabilizzazione delle dinamiche economiche in chiave nazionale. Uno dei provvedimenti fu sganciare il dollaro dall’oro e permettere la svalutazione, arginando la crisi del sistema travolto dalla speculazione, ma isolando ancora di più l’economia del paese. Si trovò un compromesso con il Messico, che nel 1938 nazionalizzò le industrie petrolifere. In GB la crisi rafforzò un nazionalismo imperiale: la spaccatura laburista e la fine dell’alleanza liberal-laburista portarono a un nuovo governo di fronte nazionale. La proclamazione dell’inconvertibilità della sterlina in oro (settembre 1931) fu un evento simbolico. Venne accelerata la riforma dell’impero, creando il Commonwealth of British Nations e tra questi paesi nacque un’area economica di libero scambio chiusa verso l’esterno: la Conferenza imperiale di Ottawa sancì un sistema di preferenze imperiali. In India, l’ondata di iniziative di Gandhi incalzò il partito del congresso nazionalista e convinse la classe dirigente britannica a venire a patti con l’élite indiana. Il sistema diplomatico francese cercò di allargarsi in un’area economica del franco, nel 1932 fallì l’ipotesi sostenuta da Parigi di creare un mercato comune nell’area danubiana. Crebbe il peso del modello sovietico, che intraprese la via del socialismo in un solo paese in chiave autoritaria, emarginando la tesi della rivoluzione permanente e rafforzando l’isolamento del paese. La stagione dei piani quinquennali vide numerosi investimenti e un indubbio slancio produttivo, in controtendenza rispetto alla crisi del mondo capitalista: tali successi ebbero costi altissimi. La leadership giapponese avvertiva gli effetti della crisi economica, dapprima furono tentate metodologie economiche, come la svalutazione dello yen e una politica di damping industriale. La preoccupazione per la disponibilità petrolifera agitava la leadership giapponese, con un braccio di ferro tra componenti militariste ed esponenti democratici e liberali. I vertici del presidio militare giapponese in Manciuria crearono un incidente alla ferrovia giapponese, come pretesto per un intervento armato: si arrivò alla creazione dello stato fantoccio del Manchukuò, come base per ulteriori allargamenti dell’espansione militare. Gli USA incoraggiarono la Società dall’esterno, ma la “dottrina Stimson”, che enunciava il non riconoscimento di mutamenti territoriali avvenuti con la forza, era debolissima. L’impatto della crisi economica orientò Mussolini a interpretare il fascismo come risposta universale allo sconvolgimento generale; in Germania la crisi della repubblica di Weimar e l’avvento del nazismo furono simboli evidenti di un cambiamento. Il governo di Müller fu l’ultimo a godere di una maggioranza parlamentare: dopo il 1930 ci furono governi del presidente, ma furono proprio gli effetti della grande crisi a sconvolgere il panorama sociale e politico. Il partito nazista guidato da Hitler, aveva fallito un putsch in Baviera (1923). 6. HITLER AL POTERE: REVISIONISMO E PROSPETTIVA IMPERIALISTICA Hitler si richiamò all’idea di Volksgemeinschaft, individuando il capro espiatorio delle difficoltà degli inquinamenti stranieri della nazione, e utilizzò l’antisemitismo come elemento di rassicurazione popolare: lo stereotipo dell’ebreo come simbolo dell’uomo senza fedeltà nazionale, del cosmopolita affarista che tramava ai danni del popolo tedesco. La Nsdap crebbe alle elezioni del 1930 e divenne il partito di maggioranza aprendo l’ascesa al potere di Hitler: nel 1933 fu nominato cancelliere da Hindenburg, in pochi mesi costruì uno stato dittatoriale sulle macerie istituzionali della repubblica. Il nazismo, attraverso riti estetizzanti delle grandi adunate di massa e l’uso di mezzi di comunicazione pubblica portò ad una dinamica aggressiva. La prima tappa doveva liberare il paese dai vincoli di Versailles, riportandola alla sovranità armata; poi occorreva lanciare l’appello per la riunificazione dei tedeschi d’Europa nei confini del terzo reich; infine, vi era la costituzione del Lebensraum tedesco in Europa. La coloritura razzista, esprimeva l’idea di una nuova gerarchizzazione del continente; per ottenere questo obiettivo, la contrapposizione al sistema francese era fondamentale. Hitler mirò a non farsi fermare dalle forze dei vincitori del 1918 e iniziò ad alternare fatti compiuti o gesti distensivi che lo rappresentassero come amante della pace; dichiarò l’uscita dalla Società delle Nazioni, accettando il Patto a Quattro con FR, GB, IT. Tra Italia e Germania vi erano divisioni strategiche e di interessi che toccarono il vertice con il caso austriaco: nel 1934 ci fu un momento di crisi con il tentato putsch dei nazisti austriaci che assassinarono Dollfuss. L’infortunio non bloccò il regime, che continuò il riarmo fino a renderlo palese nel 1935, l’economia tedesca superò di slancio la crisi. Nel 1936 il ministro del commercio Scacht avvertì che si erano toccati i limiti di espansione economica nell’autarchia: il deficit pubblico spinse Hitler a accelerar i progetti di espansione territoriale. FR e GB erano rimaste le uniche protagoniste della società delle nazioni, in ambito inglese venne coniata l’espressione appeasement, accettando i passi hitleriani ritenuti compatibili con l’equilibrio europeo, nella convinzione che raggiungendo i suoi obiettivi il dittatore avrebbe accettato di entrare in uno schema di sicurezza multilaterale. Il governo Baldwin si spinse a negoziare un accordo navale con la Germania che permetteva di superare i vicoli di Versailles per la flotta. Il governo francese soffriva di instabilità interne: il senso di insicurezza era aggravato da notevoli divisioni interne, i nazionalisti erano divisi tra la paura della Germania e l’apprezzamento delle posizioni autoritarie fasciste. Stalin stava abbandonando la logica del comunismo internazionale, il governo di Mosca chiese l’adesione alla Società delle Nazioni: il ministro Litvinov firmò il patto franco-sovietico di assistenza e non aggressione (1935). La svolta del VII Congresso del comintern fissò la priorità dell’antifascismo e la strategia dei fronti popolari, ovvero alleanze tra comunisti. Mussolini credeva nella possibilità di migliorare le posizioni italiane nel contesto dei paesi conservatori, decise di conquistare l’Etiopia sperando in un consenso forzato francese, e alla fine Francia e Inghilterra non poterono far altro che dichiarare l’Italia come paese aggressore; ciò non impedì al Duce di proclamare la “riapparizione dell’impero sui colli fatali di Roma” (1936). Mussolini iniziò a parlare di asse Roma-Berlino, con il Patto anti-comintern, mirato alla lotta al comunismo internazionale, stretto tra Germania e Giappone, si arrivò a parlare di asse Roma-Berlino-Tokyo. All’inizio del 1938 Roosevelt presentò alcune leggi sul riarmo navale ed aereo, preoccupava lo slancio giapponese in estremo oriente, con l’apertura nel 1937 di una vera e propria guerra non dichiarata contro la Cina. Nell’estate 1939 ci fu la decisione di abrogare il trattato di amicizia nippo-americano, segnale di una nuova determinazione a usare misure al limite della guerra per combattere i paesi aggressori. La guerra civile spagnola, fu la prima prova generale di uno scontro europeo tra fascismi e antifascismi, guidata da Francisco Franco, contro il fronte popolare, si definì come scontro tra nazionalisti della Spagna cattolica e tradizionale e un governo che accentuava l’anticlericalismo; divenne un caso internazionale e l’Italia sostenne gli insorti, permettendo con i suoi aerei lo spostamento delle truppe nazionaliste dell’Africa spagnola. GB impose una linea di non intervento e Stalin aumentò le diffidenze nei confronti di FR e GB. 7. LA DISCESA VERSO LA GUERRA NELL’EUROPA DEGLI ANNI ’30 Il rafforzamento delle posizioni tedesche giunse a prendere di petto gli assetti territoriali di Versailles, con una serie di colpi di mano mirati ad annettere al Terzo Reich i territori abitati da popolazioni tedesche; Hitler evitò aggressioni militari dirette, ma combinò pressioni diplomatiche indebolendo da dentro i paesi, tramite partiti affini al nazismo. L’Anschluss con l’Austria (marzo 1938) arrecò notevoli incassi per la Germania, grazie al ricco sistema bancario viennese. Nel settembre 1938 la Cecoslovacchia fu sottoposta a pressioni per la cessione dei Sudeti; la Francia era legata da un’alleanza difensiva alla Cecoslovacchia, ma non poteva pensare di agire da sola. Chamberlain era convinto che si potesse contenere la minaccia del riarmo vincolando diplomaticamente Hitler: Londra e Parigi parteciparono a una conferenza a Monaco, convocata da Mussolini, che rappresentò il vertice della politica di appeasement, con i partecipanti che cedettero alle pretese naziste sui Sudeti. Il “paradigma di Monaco”, come cedimento all’aggressione alle spalle dei diritti dei deboli. Nel 1939 egli impose lo smembramento della restante Cecoslovacchia, occupando militarmente Praga con la Wehrmacht, e riducendo Boemia e Moravia a protettorato del Reich. Alcuni nazionalismi minori cercarono di sfruttare il contesto: la Slovacchia si riconobbe nel nuovo stato indipendente e satellite di Hitler; nel mentre l’Italia annetteva l’Albania. Hitler, che preparava una guerra nel giro di cinque anni, voleva la Polonia come stato cuscinetto subalterno, ma si scontrò con i colonnelli di Varsavia che non vollero accettare l’egemonia est-europea tedesca. Allora Hitler decise di sbrigare militarmente la faccenda e Stalin, in agosto, giunse a un compromesso con la Germania con il patto Molotov-Ribbentrop; la scelta fu data dalla volontà di prendere tempo a causa delle debolezze interne e dell’Armata Rossa, provata dalle grandi purghe. Stalin temeva che le classi dirigenti occidentali auspicassero un’espansione tedesca a est, lasciandolo solo a combattere Hitler. Il patto tedesco-sovietico di non aggressione fu completato con protocolli segreti che definivano le zone d’influenza, con la spartizione della Polonia e altri vantaggi per l’Urss, come l’inglobamento delle Finlandia; questo obbiettivo riuscì parzialmente, provocando un imprudente attacco antisovietico militare francese. La guerra era iniziata il 1° settembre 1939, con i tedeschi che entravano in Polonia da ovest e la dichiarazione francese e inglese di guerra alla Germania. Il patto Molotov-Ribbentrop aveva causato una spaccatura nel fronte antifascista e all’opposto, il patto Anti-Comintern non poteva essere compensato sul piano degli equilibri mondiali dal “patto d’acciaio” italo-tedesco. Mussolini convinse Hitler a dilazionare l’intervento italiano, proclamando la non belligeranza, espressione volta ad allontanare nei tedeschi il ricordo del mutamento di fronte italiano nel 1915. La guerra entrò nella fase calda, con la conquista di Danimarca e Norvegia e la vittoria delle corazzate tedesche con il Blitzkrieg, che costrinse la Francia all’armistizio. La disfatta francese isolò GB e provocò l’arrivo al governo di Winston Churchill, l’Italia si convinse ad entrare in guerra. Mussolini invase la Grecia e andò incontro a una sconfitta, provocando l’intervento militare tedesco, con l’occupazione della Jugoslavia e della Grecia. Il Neue Ordnung si imponeva su un’Europa dove i piccoli nazionalismi volevano ritagliarsi uno spazio: il regime di Franco in Spagna rimase neutrale, ma si mostrò solidale all’Asse inviando materie prime e volontari. In diversi paesi sconfitti e occupati sorsero governi collaborazionisti con gli invasori. Il maresciallo Petain, capo di stato delle Francia non occupata con capitale Vichy, avviò un governo tradizionalista e antisemita: nel novembre 1942 l’occupazione fu estesa a tutta la Francia. In Giappone c’erano preoccupazione per l’ostilità statunitense, ma l’ipotesi di un’alleanza con la Germania era ambigua; nel settembre 1940 si firmò un Patto tripartito DE-J-IT dal suono antiamericano, e si valutò anche la possibilità che l’Urss vi aderisse. Nel 1941 il Giappone strinse un patto di reciproca neutralità con l’Urss che verrà rispettato fino alla vigilia della fine del conflitto. 8. TRASFORMAZIONE IDEOLOGICA E MONDIALIZZAZIONE DELLA GUERRA NEL 1941 La cooperazione anglo-americana aveva fatto passi avanti nel 1940, con la decisione del congresso statunitense di allenare l’embargo sui trasferimenti d’armi e con lo scambio di navi da guerra americane contro alcune basi strategiche inglesi nell’Atlantico. Dopo la terza rielezione di Roosevelt, vi fu l’approvazione della legge Lend-Lease, che portava la potenza americana al di là del neutralismo: il residente poteva affittare equipaggiamenti militari a quei paesi la cui sicurezza fosse ritenuta vitale per gli USA; Roosevelt propose quindi un ruolo di arsenale delle democrazie, dal carattere militare. La “Carta Atlantica”, firmata da Churchill e Roosevelt, sanciva una cooperazione tra i due paesi caratterizzata dalla tradizione Wilsoniana: autodeterminazione dei popoli, libertà dalla paura, libertà di commercio, disegno di un mondo sicuro e libero. L’Urss veniva coinvolta nel conflitto, a causa della decisione tedesca di lanciare un’aggressione a sorpresa (Operazione 3. GUERRA DI COREA, NUOVA INTEGRAZIONE EUROPEA E AVVIO DELLA GRANDE CRESCITA ECONOMICA La guerra fredda si allargò in Asia orientale: la vittoria della rivoluzione comunista di Mao Zedong in Cina chiuse la lunga guerra civile. Il conflitto mondiale aveva aiutato il Pcc a consolidare le sue posizioni nel nord-ovest, rafforzando l’organizzazione e presentandosi come capace di dialogare con le componenti sociali, nella tregua indotta dall’aggressione giapponese. L’avvio della guerra fredda orientò Mosca a sovvenzionare la controffensiva comunista e Mao trionfò militarmente. Chiang si ritirò nell’isola di Taiwan, salvando un embrione di governo cinese nazionale. La sfera comunista si allargava, la solidarietà tra Mosca e Pechino era stata complessa in fase rivoluzionaria e dopo la vittoria, ci fu diversità dell’elaborazione ideologica del comunismo cinese, che si collegava alla centralità del ribellismo contadino. Il Trattato di alleanza (1950) forgiò un modello di stato sovietizzato, benché il comunismo di Mao si presentasse come capace di ricostruire lo Stato della tradizione imperiale cinese. Giunse la notizia della sperimentazione della prima atomica sovietica: la modernità si rivelava capace di organizzazione scientifica e razionale dello sterminio programmato di civili. L’amministrazione Truman era preoccupata e mutò accenti nel condurre la guerra fredda: la direttiva strategica Nsc-68 tracciava un quadro enfatico della minaccia espansionista sovietica. Crebbe la pressione americana per arrivare all’utilizzo del potenziale economico della Repubblica federale tedesco-occidentale nella mobilitazione antisovietica. Si ipotizzò una nuova soluzione: l’integrazione politica tra diversi stati europei; la prima ipotesi era espediente di fronte alle pressioni americane, il piano presentato dal ministro esteri francese Schuman nel quale i francesi accettavano che la Germania ovest riprendesse la produzione di carbone e acciaio, vincolando i mercati a un quadro economico comune. Da questo piano, nel 1952 nacque la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca), vi aderirono Francia e Germania federale, i paesi del Benelux e l’Italia; restava fuori la GB per difendere l’autonomia della propria industria carbonifera. La guerra in Corea scoppiò nel giugno 1950. Liberata dalla colonizzazione giapponese, era stata occupata a nord da truppe sovietiche e a sud da un esercito americano. Il governo comunista nordcoreano di Kim Il- Sung lanciò un’offensiva militare a sud, l’iniziativa fu del regime nordcoreano, Stalin aveva dato una sorta di benestare dopo averla inizialmente scoraggiata. Gli USA chiamarono in causa l’Onu: il consiglio di sicurezza definì la Corea del Nord paese aggressore. L’autorizzazione del palazzo di vetro coprì l’invio di truppe statunitensi e di altri paesi a difendere il regime coreano del sud. L’occupazione della penisola da parte nordcoreana fu seguita da un’offensiva americana che recuperò terreno e conquistò il nord, con risposta diretta cinese. I russi furono prudenti, MacArthur, comandante delle truppe americane, fu destituito per l’audace proposta di estendere l’attacco alla Cina. L’armistizio arrivò nel 1953. Si rinunciò a smantellare i grandi gruppi economici, accettando di appoggiare l’influenza regionale sui ceti tradizionali della società giapponese: tale politica culminò con il Trattato di pace di San Francisco (1951). Il ritiro degli USA aprì la strada a una nuova autonomia politica e a un protagonismo economico di Tokyo; il nuovo assetto fu interpretato dal Partito liberal-democratico fondato nel 1955. Emerse l’idea di una catena di alleanze militari per il contenimento sovietico: gli USA si allearono con i paesi del Sud-Est asiatico. In Medio Oriente prevalevano gli impegni strategici britannici rappresentati dal Patto difensivo di Baghdad. Vi fu l’enfasi americana sul riarmo dei paesi occidentali, compresa la Germania federale; fu istituita la North Atlantic Treaty Organization, un’organizzazione militare integrata. Di fronte alla pressione americana per l’integrazione della Germania, i paesi della Ceca firmarono il trattato di Comunità europea di difesa (Ced), che fallirà due anni dopo. La Germania di Bonn venne inserita nell’Alleanza Atlantica tramite un’edizione rivista del Patto di Bruxelles, denominato Unione Europea Occidentale (Ueo). Il cancelliere federale Adenauer voleva ristabilire la completa sovranitàà del governo autonomo tedesco: definì la “dottrina Hallstein” con la quale avrebbe rifiutato relazioni diplomatiche con i sostenitori della Ddr. Alcune eredità del piano Marshall furono importanti: come l’Unione europea dei pagamenti, che permetteva di semplificare le compensazioni valutarie collegate al commercio intra-europeo. Nel 1948-50 prese avvio il boom economico internazionale, con un incremento della produttività del lavoro, e costi del denaro stabili; fu una crescita bilanciata dalla spesa pubblica e del welfare state. Si instaurò un compromesso tra Keynes e Smith, l’embedded liberalism, un liberalismo limitato e controllato. L’occidente sviluppò nuove forme diplomatiche: il controllo statale dell’economia e della politica interna, la stabilità e lo sviluppo di scambi internazionali. L’accordo per un’Organizzazione internazionale per il commercio (Ito) fu un fallimento: al suo posto il General Agreement on Tariffs and Trade, che avviò un negoziato permanente tra stati. I governi assunsero ruolo centrale nella sorveglianza e produzione monetaria mondiale; la base era il dollaro, e gli USA aprivano filiali nei paesi economicamente collegati. Punto delicato la sorveglianza dei governi nazionali su movimenti finanziari e valutari tra frontiere statali: fu provvisoriamente mantenuta nel dopoguerra. La convertibilità monetaria fu adottata progressivamente; si parlò di età dell’oro dell’occidente capitalista. Tale crescita ebbe effetti positivi anche sui paesi meno sviluppati; ci fu una parallela fase di sviluppo nelle economie socialiste: fu creato il Consiglio di mutua assistenza economica (Comecon). 4. LA STABILITÀ BIPOLARE E LE EVOLUZIONI INTERNE AI DUE BLOCCHI: IL 1956 La prima metà degli anni ’50 vide stabilizzarsi progressivamente i due blocchi, le tensioni militari sul crinale della contrapposizione internazionale si calmarono. Fu l’epoca della second red scare, con polemiche di settori politici oltranzisti contro la linea definita debole dell’amministrazione Truman e la fobia di infiltrazioni comuniste. La diplomazia americana iniziò a preoccuparsi di possibili sovversioni di minoranze comuniste, ma anche dell’evoluzione pacifica e democratica dei paesi occidentali verso le maggioranze di sinistra. Ci fu l’allargamento del concetto di mondo libero, coinvolgendo un paese non democratico come la Spagna franchista, che nel 1953 strinse un accordo con gli USA. Negli USA ci fu l’arrivo al potere dei repubblicani di Dwight Eisenhower e del suo segretario di stato Dulles, che lanciò una direttiva per il roll-black che dichiarava di voler andare contro il contenimento, volendo far arretrare il blocco comunista. Si era avviato un quadro di negoziazioni continue e di rapporti bilaterali, in cui ogni membro voleva il proprio ruolo nazionale. Il caso italiano significativo: la politica estera del neo-atlantismo cercò di conciliare la fedeltà alla potenza guida, le solidarietà europee e una libertà d’azione nel Mediterraneo, che collegava le rivendicazioni d’autonomia dei paesi arabi alle esigenze di sviluppo della propria economia. Francia e GB si comportavano come grandi potenze, la guerra indocinese fu altamente logorante per i francesi, da un punto di vista militare e finanziario; in Algeria era iniziata un’insurrezione nazionalista. Nel 1952 iniziò la rivoluzione egiziana con i repubblicani e i nazionalisti di el-Nasser al potere. Analoghi problemi in Iran, dove il governo nazionalizzò la Anglo-Iranian Oil Company. Gli USA via via individuarono pulsioni antioccidentali da combattere: nel ’53 la CIA appoggiò un colpo di stato dello shah in Iran contro il governo di Mossadeq. Nello stesso anno Stalin morì, dopo l’emarginazione di Molotov, il premier Malenkov tentò qualche riforma economica: nell’Urss i gulag furono ridimensionato e la censura allentata. Lo scoppio della bomba H sovietica, un anno dopo quella americana, sembrò colmare la distanza tra superpotenze. Nel luglio 1955 ci fu una conferenza tra i capi dei Quattro Grandi a Ginevra: la solidarietà internazionale del blocco comunista fu formalizzata con il Patto di Varsavia (1955). Emerse il segretario del Pcus Chruschev, che parlò per la prima volta di una coesistenza pacifica con l’occidente. Una crisi del blocco sovietico fu messa in moto dal famoso rapporto segreto in cui denunciò i crimini di Stalin. La vicenda ungherese con la nuova esigenza riformatrice, cercò di controllare la pressione rivoluzionaria che criticava il passato staliniano e di ottenere il ritiro delle truppe sovietiche: la decisione del governo di aprirsi ad elementi non comunisti proclamando la neutralitàà, non vennero accettate da Mosca, che occupò Budapest. Il mondo occidentale viveva la crisi attorno al Canale di Suez, la decisione del governo di Nasser di nazionalizzare la Compagnia del Canale, nacque come ritorsione al ritiro statunitense di un finanziamento per costruire la diga di Assuan su Nilo. Maturò l’idea di concordare segretamente un intervento militare israeliano nel Sinai, con truppe anglo-francesi che avrebbero cercato di detronizzare Nasser. Il governo israeliano pensò si trattasse di una guerra preventiva e l’Onu inviò una forza di pace per contenere la crisi. Il governo di Ben Gurion in Israele riuscì a costruire un rapporto con gli USA, approfittando di una crisi in Giordania e Libano. Il fallimento dell’impresa di Suez stimolò il governo francese a raccogliere le pressioni dei paesi del Benelux per operare un rilancio europeo. I trattati di Roma (1957) avviarono una Comunità economica europea (Cee), venne creata anche un’agenzia per l’energia nucleare civile (Euratom). Il 1956 avviò una nuova fase: nell’Urss, il tentativo di ricucire con Tito non impedì gli sviluppi del neutralismo in Jugoslavia; l’economia sovietica sembrò reggere la crescita. In Ungheria il governo Kadar intraprese una progressiva e cauta liberazione della società. L’Onu riconobbe un assestamento. Nel 1955 entrarono l’Italia e diversi ex satelliti dell’Asse. 5. LA DECOLONIZZAZIONE NEL QUADRO BIPOLARE Il dominio coloniale europeo su parte dei continenti africano ed asiatico, conobbe la sua crisi nel corso del primo ventennio postbellico. Dal punto di vista occidentale, il problema era di inserire il mondo extraeuropeo nel sistema globale. Il percorso non era scontato, in quanto le premesse economiche della modernizzazione erano molto fragili e perché questa esigenza si scontrava con gli interessi coloniali degli alleati europei. I francesi si attaccano all’anticomunismo della guerra fredda per giustificare la continuazione di un controllo coloniale. In Asia orientale vi erano movimenti nazionalisti a componente comunista; India e Pakistan erano alla ricerca di sostegni finanziari e militari per sostituire la vecchia potenza coloniale. In Indocina, il governo francese non concesse autonomie: la sconfitta francese vide la penetrazione dell’influenza cinese e sovietica. Mosca e Pechino convinsero i vietnamiti a una mediazione internazionale, con la divisione del paese in due regimi diversi. Ogni nazionalismo era visto come anticamera di un pericoloso neutralismo favorevole al comunismo: Washington appoggiò governi anche autoritari negli stati ex coloniali, purché anticomunisti. L’evoluzione caratterizzò la politica statunitense in America Latina: ripresero la carta dell’Organizzazione degli Stati americani, come giustificazione di un intervento collettivo per prevenire conquiste del potere da parte di movimenti filocomunisti. Vennero tollerati regimi nazionalisti e populisti in Argentina, Brasile e Messico; ci fu un progressivo irrigidimento nei confronti di regimi progressisti nazionalisti. Dopo il periodo staliniano, Mosca rispolverò le radici ideologiche, sfruttandole per ottenere posizioni influenti presso i movimenti di liberazione nazionale: qualche successo avvenne con l’India, il Vietnam del nord e l’Egitto di Nasser, anche con la Cuba di Fidel Castro. Si svilupparono tentativi di adattare il marxismo e la tradizione socialista europea alle condizioni di paesi ex-coloniali. Critica fu la situazione dei rapporti russo-cinesi: i comunisti cinesi criticarono la linea della competizione pacifica con i capitalisti, puntando ad un contagio rivoluzionario mondiale. Mao sapeva che la Cina non poteva impiegare la forza per esportare il socialismo e si sentì poco sostenuto da Mosca; riemersero dispute territoriali, Pechino chiedeva autonomia internazionale e la politica radicale provocò una carestia con 45 milioni di morti. Mao addossò a Mosca la responsabilità, i sovietici sospesero l’assistenza economica e militare, arrivando a scontri militare sul fiume Ussuri. Una serie di paesi di nuova indipendenza intesero sottrarsi all’alternativa imperiale offerta dalle superpotenze, cercando di costruire un punto di riferimento mondiale. Una Conferenza dei popoli afroasiatici di Bandung era stata convocata da India, Pakistan, Cina, Indonesia e Birmania sulla base della costruzione di una pace mondiale. Il premier indiano Nehru, che aspirava a un ruolo di potenza leader dei paesi di recente emancipazione. La conferenza di Belgrado vide un certo sviluppo, dall’incontro del premier indiano con il comunismo autonomo di Tito e il panarabismo di Nasser, mentre Mao si ritirò: si indicò l’obiettivo della coesistenza pacifica e la lotta anticoloniale. Si diffuse il concetto di Terzo Mondo, la collaborazione potenziale di popoli non privilegiati che intendevano sottrarsi al dilemma tra primo e secondo mondo. Nella conferenza dell’Onu sui problemi del commercio e dello sviluppo, un gruppo di paesi di nuova indipendenza (Gruppo dei 77) iniziò a porre il problema di un nuovo ordine economico mondiale. La nascita di nuovi stati indipendenti modificò la società internazionale, in 15 anni i membri dell’Onu raddoppiarono: vi erano nuovi elementi culturali e ideologici nelle relazioni internazionali. Nel 1960 l’Onu definiva il colonialismo come contrario alla Carta: Tunisia, Marocco e Ghana ottennero l’indipendenza. Fu l’anno dell’Africa: de Gaulle riconobbe l’indipendenza algerina, si diffusero le idee del panafricanismo. La costituzione dell’Organizzazione per l’unità africana, segnò una fase di cooperazione regionale tra i nuovi stati sulla base di una coscienza di “negritudine”. Il tentativo di secessione della provincia del Katanga, con l’intervento dell’Onu, portarono il presidente ad appellarsi ai paesi socialisti: gli USA sostennero contro di lui un partito anticomunista. Il governo bianco della Repubblica Sudafricana, uscito dal Commonwealth e sempre più isolato, cominciò ad essere considerato un baluardo occidentale nella zona. In molti paesi a maggioranza islamica sunnita, l’esercito era l’unica struttura autonoma e solida. 6. QUESTIONE ATOMICA, CRISI INTERNAZIONALI E COESISTENZA COMPETITIVA Nel decennio ’50 la corsa al riarmo vide una forte escalation; il successo del lancio sovietico dello Sputnik, satellite artificiale in orbita permanente, con la successiva rincorsa americana, aprirono un nuovo capitolo. La costruzione di missili balistici fu la via con cui l’Urss colmò il gap con gli USA: il rischio di una terza guerra mondiale si innalzava. A partire da studiosi come Kahn, si sviluppò un settore specializzato in studi strategici, negli USA con Eisenhower prevalse una dottrina della “rappresaglia massiccia”, per tentare di risparmiare sulle spese militari. Agli inizi degli anni ’60, Kennedy propose la dottrina della “risposta flessibile”, che prevedeva una crescita progressiva e dosata della risposta a un’eventuale minaccia, prima con strumenti convenzionali e poi con armi nucleari: ci fu un rilancio della spesa militare, le armi atomiche crescevano di numero e potenza. Ci fu la sperimentazione delle Mirv, testate atomiche multiple montate su un solo missile: i maggiori statisti dell’epoca furono iniziati alla questione nucleare, esprimendo dubbi sulla sua distruttività. Mao parlò senza remore della possibilità di utilizzare queste armi per combattere il capitalismo. Nel ’52 la GB compì la sua prima sperimentazione atomica, Kennedy manifestò la volontà di riaffermare la potenza americana in tutto il mondo. La retorica della “nuova frontiera”, esprimeva la fiducia in sé stessa della nazione, con l’intenzione di dare all’egemonia un volto più accettabile: Washington si impegnò in aiuti allo sviluppo, con “l’Alleanza per il progresso”, la cui idea era di opporsi ai progressi delle rivoluzioni comuniste del terzo mondo evitando di estendere la Guerra Fredda e facendosi alfieri di una modernizzazione democratica. La parallela strategia di Chruscev sembrò sfidare le posizioni occidentali, egli soffriva dello scontro propagandistico con le critiche di Mao. Il primo braccio di ferro fu attorno a Berlino: Chruschev annunciò agli altri occupanti di voler restituire alla Ddr la sovranitàà sulla città, che era diventata punto di crisi per la Germania comunista: il leader della Ddr Ulbricht premeva su Mosca per ottenere un irrigidimento. Si aprirono negoziati inconcludenti: nel 1961 Mosca rinnovò le pressioni, e in agosto le autoritàà comuniste decisero la rapida costruzione del Muro di Berlino. Berlino ovest fu costituita in Land separati dalla Repubblica federale tedesca e la presidenza occidentale e americana non fu messa in discussione. Anche l’America Latina era critica: gli USA non intendevano tollerare la presidenza del rivoluzionario cubano e, dopo le restrizioni sullo zucchero applicate, la CIA preparò un’invasione del paese. Kennedy decise di non fermare il progetto, lo sbarco alla Baia dei porci fallì. Fidel Castro preoccupato, si appoggiò all’Urss: la crisi più seria sarebbe scoppiata l’anno successivo con la scoperta di missili potenzialmente nucleari dispiegati nell’isola da parte dell’Urss. Chruschev intendeva proteggere il regime cubano, tentando l’operazione per compensare l’inferiorità strategica. Nell’ottobre 1962, denunciando il fatto in tv, Kennedy proclamò un blocco navale nell’isola: i due paesi erano vicini allo scontro atomico. Navi russe in avvicinamento furono fermate all’ultimo da Mosca: il problema fu risolto con una mediazione segreta con cui i russi accettavano di smantellare i missili in cambio della promessa americana di non invadere Cuba. 7. LA PRIMA DISTENSIONE DEGLI ANNI ’60 E L’ARTICOLAZIONE PROGRESSIVA DEI BLOCCHI Defenestrazione di Chruschev da parte di una più prudente guida politica di Breznev, conservatore e sospettoso ma meno crudele di Stalin: la rottura con la Cina aveva complicato le strategie dell’Armata Rossa, costretta a impegnare più truppe in Asia orientale. L’Urss si mostrò più disponibile a stabilizzare il confronto bipolare, con una tendenza a trasformare la guerra fredda in un sistema con regole stabili: dopo quasi vent’anni si raggiunse un assetto sedimentato sulle questioni europee. Ci fu la nascita di una linea telefonica tra Casa Bianca e Cremlino per la gestione delle emergenze, con l’avvio di negoziati per il controllo delle armi strategiche. Gli accordi bandivano anche i test nucleari nell’atmosfera e furono firmati da USA, GB e Urss. Analoga intesa per il divieto di utilizzare lo spazio a fini nucleari, con un trattato di non proliferazione per congelare la terribile arma presso altri paesi. Nel comunismo europeo occidentale si avviarono processi di policentrismo che porteranno alla parabola dell’eurocomunismo degli anni ’70. Più radicali le novità nella Chiesa cattolica con papa Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano II: venivano condannati gli atti di guerra totale, connessa alla fase atomica; il papa aprì la strada della proclamazione profetica della pace in situazioni di crisi. Paolo VI intervenne all’assemblea dell’Onu aprendo una missione permanente della Santa Sede, inoltre il Consiglio ecumenico prese posizione a favore dei movimenti di liberazione dei popoli del terzo mondo. Sotto il profilo politico- militare il test decisivo fu la guerra in Vietnam: nel Vietnam del sud, dopo il fallimento della riunificazione prevista dagli accordi di Ginevra, erano iniziate infiltrazioni dal Nord comunista di vietcong. Furono loro a pressare il regime di Hanoi, che forzò la mano sia ai propri partner cinesi che ai sovietici. Kennedy intese controbattere in nome di una teoria del domino: ogni cedimento locale dell’influenza comunista si sarebbe ripercosso sulle posizioni in Estremo Oriente. Alla morte del presidente, nella penisola operavano 16000 consiglieri americani: con Johnson nel ’65 vennero inviate le prime truppe da combattimento, con una campagna di bombardamenti intensi. Nel 1968 gli USA avevano 600000 uomini impegnati contro la guerriglia vietcong, nel frattempo un movimento pacifista si intrecciò con la contestazione giovanile di quel tempo e con il movimento per i diritti civili della popolazione nera di Martin Luther King. La presidenza entrò in crisi: il partito democratico si divise, inoltre il coinvolgimento in Vietnam seminava dubbi negli alleati europei, vennero sostenuti il regime dittatoriale pakistano, quello thailandese e quello filippino. Dopo il 1965 ci fu una guerriglia di ispirazione castrista, influenzata dal mito di Che Guevara che aveva espresso l’idea di creare molti Vietnam per sfiancare l’imperialismo americano; la dirigenza sovietica fu pressata da Castro a sostenere questa linea, per evitare che prendesse piede il modello cinese del terzo mondo. Nel 1964 Johnson appoggiò un colpo di stato che mise fine alla presidenza del cristiano-democratico Goulart in Brasile; il dispiegamento dei Marines nella Repubblica Dominicana per favorire la stabilizzazione conservatrice sembrò far tornare alla politica di inizio secolo. Il Medio Oriente vedeva continuare la crisi arabo-israeliana; Egitto e Siria preoccupati per la crescita saudita, cercarono di forzare la situazione armistiziale tramite un blocco navale del golfo di Aqaba. La coalizione araba conobbe una guerra lampo delle truppe di Tel Aviv con la guerra dei sei giorni. Lo stato israeliano ne approfittò per attuare occupazioni in Cisgiordania, Gaza, Golan e nella penisola del Sinai. Il legame israeliano con la politica statunitense si saldava, si aggravava la questione palestinese come problema di autodeterminazione nazionale. Il panarabismo laico dei leader indipendentisti cominciò ad essere affiancato dalla ripresa politica di un islamismo che guardava all’Arabia Saudita. Le vicende economiche contribuivano a mutare gli orizzonti: in occidente colpì la velocissima crescita del polo economico del Mec e, dal ’58 iniziò il boom economico in Italia e il rilancio dell’economia industriale tedesco-federale. Si manifestò una nuova prospettiva politica britannica: il governo aveva proposto la costruzione di un’area europea di libero scambio che avrebbe inglobato il Mec: l’iniziativa fu respinta. Il governo di Londra riconobbe il fallimento di una strategia nazionale e nel 1961 presentò l’adesione al Mec. Peculiare la politica di Charles de Gaulle: si adattò a riconoscere l’indipendenza algerina e nel 1966 annunciò il ritiro francese dalla Nato, per sviluppare un piccolo arsenale atomico indipendente (force de frappe). Egli pose un veto nei confronti dell’inserimento della GB nella Cee; il Piano Fouchet esprimeva un netto rifiuto di evoluzioni federaliste, incontrando ironicamente comprensione da parte della Germania di Adenauer, con cui firmò il Trattato dell’Eliseo. Il cancelliere voleva utilizzare quest’iniziativa per migliorare lo status del paese, ma venne sconfitto all’interno del proprio partito. Si delineava un polo economico significativo in Giappone, avviatosi all’ombra della guerra coreana; con una crescita media del 10% annua e un’economia protezionistica orientata alle esportazioni, negli anni ’50 il paese aveva ripreso la leadership commerciale in tutta l’Asia Meridionale. Il governo teneva un basso profilo in politica estera, rimanendo nell’ombra dell’alleanza americana. Nel 1968 un intervento militare sovietico in Cecoslovacchia impose un cambiamento: l’intervento non servì a rafforzare la coesione del campo comunista internazionale, ed era chiaro che Mosca stesse perdendo la guida del movimento comunista mondiale. del risparmio frutto della loro competitività all’esportazione. La versione della Spd tedesca guidata da Schmidt era molto sensibile agli orientamenti statunitensi. Il Giappone era al culmine della crescita: l’investimento in istruzione e ricerca permise una ristrutturazione industriale per salvare energia e rendere il paese meno dipendente dal petrolio. La leadership confermava una profonda eredità mercantilista, finché il rapporto nippo-americano si tramutò in aspra concorrenza. Il commercio mondiale non si esaurì come nella Grande Depressione degli anni ’30, ma continuò ad aumentare; la riduzione del peso dell’industria nelle economie avanzate chiedeva luoghi dove delocalizzare la produzione, che furono i paesi del terzo mondo: primi modelli furono le Tigri del sud-est asiatico (medi stati o città-stato dove condizioni politiche semi autoritarie si collegavano ad alti tassi d’istruzione e a un’apertura a investimenti stranieri). Si rafforzò un’industria manifatturiera e l’economia giapponese creò legami regionali più forti con le 4 tigri. Dinamiche analoghe in India, Indonesia, Malesia e Filippine dove fu creata l’Asean (associazione delle nazioni del sud-est asiatico). Da questi paesi, un flusso di merci a basso costo si dirigeva verso i paesi ricchi, creando un nuovo circuito globale del capitalismo. In Africa, Asia e America Latina, le nuove condizioni del sistema crearono processi problematici: tra il 1982 e 1988 la gestione delle masse di debito dei paesi in difficoltà economiche divenne un problema internazionale. Furono trovate formule per dividere gli effetti delle crisi e per permettere la salvezza delle banche occidentali. Il Fondo monetario internazionale concesse prestiti mirati, chiedendo in cambio interventi di liberalizzazione delle economie e riduzione della spesa pubblica. A livello internazionale una riduzione della confidenza nella capacità politico-giuridica di regolare il sistema globale. Ci fu la nascita di meccanismi informali intergovernativi per coordinare l’approccio alle nuove condizioni del sistema: il primo vertice dei sei paesi industrializzati (USA, GB, FR, DE, IT, J) si tenne a Rambouillet. Successivamente le riunioni del Gruppo dei 7 (G7), con l’aggiunta del Canada. L’economia sovietica non era capace di cogliere le occasioni dello sviluppo flessibile globale, a causa della debolezza agricola e del basso tenore di vita medio. L’autarchia socialista era impossibile, i circuiti economici del Comecon in crescente difficoltà. Si è stimato che la spesa per aiuti, sostegni, crediti, sconti su petroli e invio di armamenti ai paesi satelliti si avvicinasse ai 15-20 milioni di dollari annui. La repubblica popolare cinese, dopo la morte di Mao iniziò una notevole transizione con il ritorno al potere di Xiaoping, che ritenga centrale l’uscita dalla povertà utilizzando mezzi pragmatici. La nuova dirigenza avviò quattro modernizzazioni: agricoltura, industria, scienza e tecnologia, settore militare. Le migrazioni interne fecero crescere nuove città e il paese riequilibrò la volontà di sentirsi una potenza significativa in area internazionale. Dal 1981 una sistemazione dei rapporti con l’Urss che divennero meno tesi e la partnership tecnologica e militare con gli USA. 4. “SECONDA GUERRA FREDDA” DEGLI ANNI ’80 E LE TENSIONI INTER-ATLANTICHE I primi anni ’80 videro la chiusura della distensione internazionale. La direttiva riarmista fu rilanciata da Reagan che condusse il mandato con toni di una durissima propaganda contro il comunismo internazionale e l’Urss: sviluppò una contromossa ideologica nazionalista, mirata a ridare fiducia agli americani. Essenziale fu la convergenza di un fronte neoconservatore che aveva criticalo la distensione, riaffermando la superiorità americana. Il riarmo doveva aiutare il rilancio della crescita produttiva interna e contrastare la stagnazione dovuta alle politiche deflazionistiche. L’amministrazione aumentò le forze convenzionali terrestri e marittime, sviluppando programmi di innovazione per l’aeronautica e ammodernando i missili Icbm. Nei paesi interessati dalla decisione della Nato, i governi attuarono la decisione del 1979 scontrandosi con un nuovo movimento pacifista. Reagan annunciò lo Strategic Defense Initiative, soprannominato scudo stellare, un complesso sistema di apprestamenti nell’atmosfera e dispositivi su satelliti, mirato a distruggere ogni missile in volo per colpire il paese. La sperimentazione violò dei trattati sovietico-americani. I primi anni ’80 mostrarono l’esaurimento della credibilità del modello sovietico: si parlò di seconda guerra fredda, un clima di irresponsabilità politica in cui i canali tra le superpotenze furono interrotti. La crisi degli euromissili creò il panico a Mosca per un possibile attacco nucleare americano. La confrontation continuava a imperversare nel terzo mondo, con iniziative coperte e palesi della diplomazia americana per influenzare regime e partiti. Si pensi al caso salvadoregno, dove arrivarono massicci aiuti miliari al governo per contrastare la guerriglia del Fmln. Il sostegno della guerriglia anti-sandinista in Nicaragua, accompagnato da un embargo economico, fu ritenuto da Reagan priorità assoluta, arrivano ad aggirare il congresso con una triangolazione segreta di armi vendute al regime iraniano. Il piano di pace per i paesi del “Gruppo di Contadora” non fu facilmente accettato dal presidente; guerriglie in Angola e Afghanistan portarono alla scoperta di armamenti forniti dalla CIA a islamisti radicali per contrastare l’occupante sovietico. La politica reaganiana rilanciò la fiducia negli americani e contribuì a sbloccare il dinamismo economico in termini di innovazione tecnologica. Il corso del dollaro era sostenuto da iniezioni di capitale europeo e giapponese, la riaffermazione militare del ruolo di prima superpotenza serviva per rallentare le conseguenze della perdita del ruolo egemonico. Il dinamismo del presidente causò qualche marcata tensione transatlantica: nel ’79 gli europei rifiutarono di abbandonare il progetto del gasdotto destinato a portare in Europa il gas siberiano, come richiesto da Washington in reazione all’invasione sovietica dell’Afghanistan. I governi della Thatcher cercarono di riaffermare il ruolo di potenza nazionale: nel 1982 Londra mosse una rapida guerra all’Argentina che aveva cercato di sottrarle le isole Falkland. In Germania i governi democristiani continuarono a tenere basso profilo internazionale. Cresceva l’economia della Brd, il relativo successo del Sistema monetario comune fu strumento della germanizzazione della comunità. Molti paesi attribuirono alla Bundesbank il compito di regolatore del sistema economico europeo. Le istituzioni avevano marcata impronta autogovernata: l’Accordo di Parigi sanzionò la preminenza del nuovo Consiglio europeo; la decisione di eleggere a suffragio universale il parlamento della Comunità attribuiva maggiore legittimazione diretta. In questi anni si parlò di “eurosclerosi”. La Commissione europea, divenne organismo prevalentemente tecnico; venne guidata da Delors, che si intrecciò ad Altiero Spinelli: nel febbraio 1986 venne firmato l’Atto unico europeo che prevedeva l’unificazione definitiva dei mercati europei. Nel 1982 ci fu la crisi mediorientale, iniziata con il precipitare della guerra civile in Libano, che causò l’intervento militare israeliano: l’occupazione fu sostituita con l’invio di una forza di interposizione multinazionale italo-franco-americana. Nei territori di Cisgiordania e Gaza scoppiò una rivolta popolare (intifada). In questi anni Israele si trasformava da piccola società a territorio difficile in un moderno stato economicamente sviluppato. Washington cercò di rafforzare l’orizzonte economico ponendo le basi per un accordo sul libero commercio nell’America settentrionale. La fondazione dell’Apec, era l’Asean con l’aggiunta di Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Cina e anche Vietnam comunista. 5. LA FINE IMPREVISTA DEL BLOCCO SOVIETICO La crisi della leadership sovietica dava l’idea di una mancanza di risposte all’altezza della sfida. Il quadro cambiò con Gorbaciov, era stato responsabile della politica agricola ed era cosciente delle difficoltà del sistema: impostò una politica ambiziosa, proclamando di voler reinterpretare la tradizione socialista legata al primato del partito unico. Le parole d’ordine erano perestrojka (ricostruzione) e glasnost (trasparenza): avviò un disegno dirigista lottando contro corruzione e alcolismo. Aveva meno margini per attirare capitali stranieri nel sistema economico: la situazione economica non migliorò, gli aumenti di salari crearono aspettative contrastanti con la carenza di beni disponibili per l’acquisto. Fu perseguita l’abolizione della censura e del sistema delle verità ufficiali di partito, la catastrofe di Chernobyl (aprile 1986) fu uno sprone, all’inizio il sistema reagì con chiusura. Si aprì un dibattito tra comunisti riformatori e conservatori: G era convinto che tale operazione interna fosse incompatibile a un clima di competizione internazionale. Il successo della perestrojka chiedeva il superamento del sistema della guerra fredda: nel dicembre 1987 si raggiunse l’accordo sugli euromissili, in cui l’Urss accettava l’opzione zero proposta da gli USA, smantellando una categoria di missili. Si aprirono negoziati che andavano oltre l’obiettivo della limitazione. G. decise il ritiro delle truppe dall’Afghanistan; una sponda importante fu data da Giovanni Paolo II e da cardinal Casaroli, che dispiegarono un profondo tentativo di ricollegare le comuni radici cristiane dell’Europa. In Urss il 1986 conobbe l’abolizione dell’ateismo di stato e si arriverà all’incontro tra G e il papa. Mosca annunciò un programma di ritiro unilaterale delle proprie forze dispiegate in Europa orientale. G fu seguito quasi solo da ungheresi e polacchi: in Ungheria una serie di riforme economiche liberali, con la sostituzione di Kadar; in Polonia l’evoluzione permise di sanare i traumi e di uscire dal monopartitismo. La leadership avviò una tavola rotonda per negoziare le riforme, mediata dalla chiesa locale. Dal 1988 ci fu un conflitto armeno-azero sul controllo dell’enclave armena del Nagorno-Karabakh, situata nel territorio della repubblica sovietica dell’Azerbaigian. Emersero spinte autonomiste di Estonia, Lettonia e Lituania. In Cina, l’apertura al mercato comportò la crescita di richieste di pluralismo ideologico: la scelta della repressione fu compiuta dalla fazione di Deng Xiaoping, l’inserimento nell’economia mondiale capitalista andò assieme al monopolio dittatoriale del partito unico e del gruppo dirigente dentista. Il segretario del partito Zemin arriverà a parlare di un’economia socialista di mercato. In Polonia l’accordo con le opposizioni potrò ad avere elezioni libere nel giugno 1989: ci sarà un governo di coalizione guidato da un premier non comunista. In Ungheria ci fu una campagna d’opinione per la riabilitazione delle vittime del ’56: in ottobre il parlamento votò per le elezioni libere e multipartito, il Pc si scioglieva trasformandosi in partito socialista. Il governo di Budapest aveva deciso di smantellare i controlli che rendevano impenetrabile il confine con l’Austria: in estate un flusso di migrazione di tedeschi orientali verso occidente attraverso l’Ungheria. La vecchia dirigenza cercò di resistere alla perestrojka, ma le fughe e manifestazioni popolari portarono Honecker alle dimissioni e condussero la Sed a nominare un governo provvisorio. Il 9 novembre 1989 una dichiarazione di un funzionario in secondo piano portò la folla ad iniziare ad attraversare il muro. Contemporaneamente la rivoluzione di velluto praghese: la caduta di Husak e manifestazioni in piazza che portarono al cedimento dell’apparato politico autoritario. I regimi bulgaro e rumeno erano scossi da problemi di trattamento delle minoranze etniche; a Sofia la pressione portò alla rimozione di Zivkov e ad avviare un’autoriforma. In Romania, la resistenza di Ceausescu fu superata da una congiura di palazzo di una parte minore del partito di governo proclamatosi Fronte di salvezza nazionale, sotto la guida di Ion Iliescu. Il caso jugoslavo era complesso: con la morte di Tito il sistema rivelò crescenti limiti. Solo una minima parte degli abitanti si dichiarava di nazionalità jugoslava. Gli effetti delle riforme economiche avevano portato l’Urss in recessione, venne a mancarlo strumento-partito, che poteva governare la caotica situazione. Nel 1990 si ebbe l’indipendenza di Lettonia, Estonia e Lituania e quasi tutte le repubbliche originarie dell’unione proclamarono la sovranitàà. Maturava la riunificazione tedesca: le elezioni nella Ddr videro la vittoria dei cristiano-democratici; il governo di Bonn ruppe i negoziati 2+4 tra stati tedeschi e vincitori, premendo per una rapida unificazione. Il cancelliere promise che l’unificazione avrebbe portato a una Germania più europea, il 3 ottobre 1990 si ebbe la festa della riunificazione. A Parigi si decise di creare un’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea (Osce), dotata di intervento in momenti di crisi. Venne sciolto il Patto di Varsavia. In pochi mesi maturava la crisi finale dell’Urss: fallì un tentativo di golpe contro il presidente. La proposta di costituire una comunità di stati indipendenti, partita da Russia, Ucraina e Bielorussia ebbe l’adesione delle otto repubbliche asiatiche. Gorbaciov si dimise nel 1991. 6. L’APICE DELLA “GLOBALIZZAZIONE” E DELLA FINANZIARIZZAZIONE DELL’ECONOMIA MONDIALE La progressiva estensione della capacità del sistema capitalistico globale, guidata dagli USA fin dal dopoguerra, conobbe una spinta. Altri paesi acquisirono istituzioni democratiche-liberali, con il crollo di dittature latino-americane, la fine di guerre civili in centro America, la transizione sudafricana fuori dall’apartheid. La Corea del Sud nel ’92 ebbe il primo presidente non militare, la presidenza Taiwan venne eletta in competizione libera. Negli anni ’90 dilagò il termine globalizzazione: grazie a alcune innovazioni tecnologiche e organizzative, l’economia avrebbe unificato il mondo a un grande mercato con una crescente convergenza socioculturale all’interno. A livello economico, nel ’95 si compì il processo di costituzione di un’Organizzazione mondiale per il commercio: concepita come dotata di poteri per intervenire autorevolmente a garantire un’equa liberalizzazione del commercio. Altro elemento fu la diffusione di attori economici transnazionali: le imprese multinazionali. Dopo la liberalizzazione dei flussi finanziari, i capitali hanno preso a muoversi più rapidamente e intensamente. Un salto di qualità fu reso possibile dall’affermazione di Internet: nel ’92 la media giornaliera delle operazioni nette in valuta estera era un terzo del valore di tutto il commercio mondiale annuo. Il condizionamento diretto dei mercati riguarda le politiche economiche: ogni scelta venne valutata in tempo reale da operatori finanziari, riducendo i margini di manovra dei governi dei paesi industrializzati più solidi. La nazionalizzazione delle masse ha superato il vertice nei primi decenni del dopoguerra. Negli stati la diplomazia è sempre meno bilaterale e sempre più legata a processi multilaterali. Uno dei temi salienti era la crescente preoccupazione per l’effetto inquinante dell’attività umana; alla fine degli anni ’80 emerse la questione del riscaldamento globale: nel 1988 fu costituito l’Intergovernmental Panel on Climate Change. Nel 1922 a Rio l’Onu convocò una conferenza sul problema del rapporto tra sviluppo e ambiente, una mediazione verrà trovata nel 1977 con il Protocollo di Kyoto. La globalizzazione ha separato l’economia dalla politica mettendo in difficoltà gli stati troppo compositi all’interno: casi come Fiandre e Vallonia, protesta scozzese contro il Regno Unito, Quebec e Canada. L’internazionalizzazione dell’economia produttiva era molto relativa, negli USA il commercio estero riguardava il 15-20% del Pil. Ci furono tentativi di creare aree di libero scambio anche al di fuori delle aree sviluppate del mondo; il commercio si fa più regionalizzato in Europa, Nordamerica e Asia orientale in quanto gli scambi non mancano ma sono in proporzione minori. Ci sono aspetti dell’attività umana rimasti quasi del tutto controllati dalle politiche nazionali come lo spostamento della mano d’opera; difesa, alfabetizzazione, istruzione e sanità sono rimasti nazionali. Alla fine del decennio si è chiusa la parentesi della rapida accettazione dello sgretolamento di vecchi stati: il Kosovo, che dichiarò l’indipendenza dalla Serbia nel 2008, ha visto procedere il riconoscimento internazionale in modo più prudente. La globalizzazione ha portato a nuove divisioni: certe economie hanno trovato una collocazione positiva nella distribuzione internazionale del lavoro, cogliendo le opportunità di crescita. Nel terzo mondo, ci sono state differenze crescenti, anche all’interno dei singoli paesi. Il Giappone ha visto un rallentamento dei vecchi ritmi di crescita, nel ’91 è tracollata una recessione per lo scoppio di due bolle speculative parallele in borsa e nel mercato immobiliare. La seconda economia mondiale non ha più ripreso il processo di crescita, inaridendosi in un circuito deflazionista. Il caso indiano, che vedeva una crescita demografica proficua e forti contrasti interni, mancava di eguaglianza di basi e buona produttività agricola; la sua politica era fortemente influenzata dallo scontro regionale con il Pakistan e la crescita economica indiana fu progressiva ma imponente. Nel ’97 ci fu una dura crisi finanziaria asiatica, partì con lo scoppio di una bolla speculativa locale, connessa al sistema edilizio thailandese e le economie più fragili, come Corea del Sud e Hong Kong, ne furono colpite. Altre storie di crescita furono Brasile, Cile e parzialmente Messico. La situazione in Argentina, con la crisi del 2001, assistette a flussi di migrazione verso gli USA. In Africa, lo sviluppo post-apartheid fu positivo. In Russia, tipico lo smantellamento di imprese pubbliche, con la diffusione della proprietà azionaria. A partire dal 1999 si aprì un dibattito sui limiti della globalizzazione, criticate le strategie perseguite dalle istituzioni economiche globali, giudicate eccessivamente prone a un pensiero neoliberista (Washington consensus). 7. L’IPOTESI DI UN NUOVO ORDINE GLOBALE DOPO IL 1991 Dopo il 1991 si capì che il problema di una regolazione politica di questa integrazione non era affatto esorcizzato. Molti sostennero che l’Onu poteva diventare il mezzo politico necessario della globalizzazione economica: nel 1989 l’organizzazione cominciò a dispiegare i caschi blu in situazioni delicate. L’amministrazione George Bush Sr. Fu attenta a valorizzare l’Onu. Scoppiò la guerra nella zona del Golfo Persico: il dittatore iracheno Saddam Hussein occupò e annesse l’emirato indipendente del Kuwait. Confidava in un benevolo atteggiamento occidentale, date le benemerenze a suo parere acquisite nel fiaccare l’Iran. L’iniziativa suscitò una reazione statunitense legittimando un ultimatum affinché il dittatore ritirasse le truppe: al rifiuto la costituzione di una forza multinazionale a maggioranza americana con l’adesione di 35 stati. Nel febbraio 1991 fu avviata un’operazione militare contro l’Iraq con bombardamenti aerei di grande potenza: l’obiettivo fu raggiunto in poche settimane ottenendo l’evacuazione del Kuwait senza resistenza irachena. La Guerra del Golfo fu occasione per verificare la marginalità politica sovietica. Da un lato l’economia statunitense conobbe una fase di rilancio: l’era della New Economy centrata sul boom di internet; la funzione di magnete di consumi per l’economia confermava il carattere indispensabile dell’economia degli USA. La preponderanza americana fu molto marcata sul terreno aeronavale e tecnologico. La crisi israelo-palestinese sembrò trovare uno spiraglio di soluzione con accordi realizzati a Oslo che portarono alla creazione dell’Autorità nazionale palestinese, con un piccolo territorio semi- autonomo diviso tra alcune città della Cisgiordania e la Striscia di Gaza ottenute in cambio del riconoscimento di Israele. Dopo Oslo 2 le relazioni peggiorarono (assassinio primo ministro israeliano). In altre zone del mondo ci furono scontri e guerre civili che causarono crisi umanitarie (Caucaso, Ruanda, Corno d’Africa), il nuovo ordine mondiale conobbe un’ulteriore evoluzione. In pratica la tesi “dell’ingerenza umanitaria” riteneva che fosse possibile utilizzare lo strumento militare da parte di iniziative più o meno collegate all’Onu, che proclamassero di agire in nome dei principi della comunità internazionale in situazione d’emergenza. Nel 1992 in Somalia la missione di stabilizzazione dovette ritirarsi dopo che le milizie locali si rivelarono fuori controllo; caso più tragico in Ruanda condusse a un vero e proprio genocidio dei tutsi da parte delle milizie armate Hutu. Nel 1991 le repubbliche del nord si indirizzarono a proclamare l’indipendenza. Il caso più intricato era quello della Bosnia-Erzegovina in cui il 40%di abitanti erano registrati come musulmani: la dichiarazione d’indipendenza precipitò in una guerra civile, l’assedio di Sarajevo e la pulizia etnica della regione fecero precipitare l’Europa fino alle memorie delle guerre mondiali. In Cecoslovacchia ci furono aperte tendenze alla divisione tra area boemo-morava e la Slovacchia, sfociate nella separazione pacifica del 1933 tra Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca. L’unificazione tedesca doveva concedere un rafforzamento del discorso europeista: il Trattato di Maastricht (1992) trasformò la Comunità in Unione Europea, collegando i trattati Cee a due nuovi pilastri di integrazione e giustizia. Bonn orientata a una moneta unica, nel giro di dieci anni, fino alla nascita dell’euro: una moneta governata da una Banca centrale europea indipendente. L’inizio non fu facile, una ventata speculativa fece saltare lo Sme, affondando la lira e la sterlina; i benefici si evidenziarono nella convergenza dell’inflazione e dei costi di indebitamento dei paesi che si apprestavano a entrare nella moneta unica. Importante la fissazione del concetto di “cittadinanza europea”, unita alla possibile mobilità dei cittadini attraverso le frontiere, avviata con la Convenzione di Schengen negoziata da Brd, FR e Benelux. L’adesione di alcuni stati neutrali (Austria, Finlandia, Svizzera) si accompagnò a un processo di convergenza economica e riforma interne. I Criteri di Copenaghen definivano i prerequisiti d’ingresso: sistema politico democratico stabile, economia concorrenziale e disponibilità a sostenere le norme del patrimonio comunitario. Questione delicata fu la Turchia atlantica, preoccupante per l’ingresso di molti islamici. La presidenza Clinton si ispirò a un maggiore unilateralismo, con affermazione del ruolo di prima superpotenza economica. La parziale stabilizzazione della Bosnia fu raggiunta grazie a una mediazione USA tra croati e musulmani e all’applicazione successiva della forza con bombardamenti aerei. Gli Accordi di Dayton riconobbero una divisione verticale tra una repubblica serba e una federazione croato-musulmana. L’azione militare della Nato contro la Serbia fu in occasione di violenze in Kosovo e l’avvio si una parziale autonomia parziale. Ci fu il rilancio di una visione per cui la comunità internazionale potesse punire i colpevoli di crimini contro l’umanità: il tribunale per l’ex Jugoslavia fu il primo di casi che sarebbero poi sfociati nell’istituzione del Tribunale penale nazionale permanente. 8. IL PLURALISMO MONDIALE DISPIEGATO DEI PRIMI ANNI DUEMILA Il 2001 vide i gravissimi attentati dell’11 settembre che colpirono New York e Washington: fu rivendicata da una rete terroristica di orizzonte mondiale (Al Qaida, guidata da Osama bin Laden). Questi attentati fecero emergere l’altra faccia della globalizzazione, legata a resistenze all’egemonia americana e occidentale. La militanza della jihad esprime uno sforzo personale, simile alla guerra santa; si è espressa e ha cercato di imporsi in chiave antiamericana e antioccidentale, continuando ad essere interessata agli equilibri interni dell’area mediorientale. L’amministrazione repubblicana George Bush Jr. ha proclamato la condizione di guerra al terrore, che chiedeva un mutamento della politica statunitense: esisteva un asse del male da sconfiggere e occorreva gestire il ripristino dell’ordine tramite alleanze a geometria variabile. Lo
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