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Riassunto - Storia delle idee pedagogiche - Furio Pesci, Sintesi del corso di Storia Della Pedagogia

Riassunto sensato del libro Storia delle idee pedagogice di F. Pesci, per l'esame di Storia della Pedagogia. Spesso sulla piattaforma i colleghi lasciano i riassunti incompiuti o con frasi poco plausibili in italiano, a differenza mia.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 02/06/2021

Jojojovanna
Jojojovanna 🇮🇹

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Scarica Riassunto - Storia delle idee pedagogiche - Furio Pesci e più Sintesi del corso in PDF di Storia Della Pedagogia solo su Docsity! STORIA DELLE IDEE PEDAGOGICHE - Furio Pesci INTRODUZIONE Con l’inizio dell’età moderna si realizzano le condizioni per la crescita di un atteggiamento riflessivo specifico sull’educazione. Anzi l’idea stessa di una pedagogia come sapere intorno all’educazione rientra nel progetto culturale della modernità. Con ciò non si deve intendere che in epoche precedenti alla modernità non ci siano state riflessioni sull’educazione: bensì che prima dell’età moderna l’accento sull’educazione non è mai stato orientato alla costruzione di un mondo nuovo. Nella modernità la riflessione pedagogica si identifica con un progetto antropologico ed etico, nella possibilità di un continuo cambiamento delle condizioni sociali. La storia della pedagogia deve rientrare in un contesto di formazione che fornisca le basi e gli strumenti per un lavoro proficuo con i più giovani, e in vista di questo obiettivo non può mancare la capacità di comprendere criticamente il presente. È dunque necessario avere una prospettiva interdisciplinare, considerare il sapere pedagogico come una disciplina di frontiera: una "mediazione pedagogica". Così come lo storico studia il passato partendo dalle domande che pone il presente, è necessario per costruire una storia della pedagogia una ricognizione della situazione di oggi. Il primo sguardo di una storia della pedagogia è rivolto alla condizioni materiali delle pratiche educative e prima alle condizioni materiali entro le quali di svolge la vita quotidiana odierna. È necessario offrire a chi vuole formarsi come educatore una consapevolezza della profondità dei problemi riguardanti la disciplina. La storia della pedagogia dunque deve fornire le basi e gli strumento per un lavoro proficuo sugli allievi, non potendo mancare di prospettiva e di capacità critica per comprendere il presente. Visto che Il progetto antropologico ed etico della modernità. La ricerca storico-educativa, dunque, ha acquisito nella contemporaneità una prospettiva più attenta alle dinamiche sociali concrete, superando l’approccio della storiografia tradizionale sulle grandi idee o le grandi correnti di pensiero legata a singoli personaggi. Dunque anche in ambito pedagogico si è iniziato a dare importanza capitale alle problematiche sociali di ogni epoca: l’attenzione alle donne, alla vita quotidiana, alla famiglia, in generale la prospettiva della storiografia sociale, si sono progressivamente integrate con i nuovi territori della storiografia contemporanea, permettendo di riscrivere quasi integralmente ampie parti della storia dell’educazione. Questa attenzione al sociale ha dato vita ad una nuova disciplina: STORIA DELLE IDEE, una disciplina a sé stante rispetto alla filosofia e alla storia, che abbraccia un abito più ampio perché studia la realtà sociale, la cultura di un’epoca per coglierne la mentalità e le idee. La storia della pedagogia, che si è staccata nel Novecento dalla storiografia per entrare a far parte delle scienze umane, rientra in questa storia delle idee. CAPITOLO 1 - La paideia : Socrate e Platone Dobbiamo alla società e alla cultura greche il modo di concepire l’educazione che si trova alla base delle prime riflessioni sulla pedagogia e sull’essenza della formazione dell’uomo, che ha influenzato il pensiero occidentale. Con paideia, termine che deriva da pais (bambino) tradotto come “educazione”, i Greci intendevano il processo di maturazione dell’essere umano attraverso lo studio e la ricerca costanti della verità, mettendo il giovane a contatto con la cultura religiosa, morale, intellettuale ed estetica. Il filosofo Jaeger ha sottolineato quanto la formazione dell’adulto in Grecia avvenga a contatto con il divino presente nella realtà e nell’interiorità dell’uomo. L’educazione impartita dalla famiglia e dallo Stato era volta a questo fine, tramite un percorso di studi che privilegiava anche le discipline delle arti, della danza ed del canto oltre che quelle logico-matematiche. Dunque lo scopo dell’educazione greca era promuovere nei giovani lo sviluppo delle “virtù”, intese come delle forze interiori che aiutano l’essere umano ad agire bene e a vivere una vita buona e serena. Sia le doti intellettive che quelle fisiche devono essere rivolte a questo ideale di formazione. Socrate Socrate è il primo a problematizzare questa visione pedagogica. Della vita e del pensiero del filosofo abbiamo informazioni, anche perché egli non lasciò nulla di autografo, mal sopportando la scrittura, credendo che quest’ultima impigrisse la mente e la memoria. Le informazioni che abbiamo di lui ci sono state tramandate dalle opere del suo allievo Platone. Nei suoi insegnamenti egli cercò di realizzare un ideale di uomo sempre alla ricerca degli aspetti più profondi del reale, mai con la verità in tasca, controllando ed analizzando se stesso, le proprie emozioni. Fiducia nell’idea che la ragione, se allenata, possa e debba essere il fattore più importante nel controllo di tutti gli aspetti della vita umana: egli stesso non prova timore di fronte alla sua ingiusta condanna a morte (fu condannato dalla polis ateniese per aver “corrotto” con i suoi insegnamenti i giovani). Il suo ideale è alimentato dalla certezza che, una volta che si è riconosciuto cos’è la virtù non si possa non agire virtuosamente. Quindi la Virtù è una forma di conoscenza: egli spende molte energie su domande che indagano il concetto stesso delle singole virtù (cos’è il coraggio, cos’è la pietà). Il filosofo ateniese è ricordato per aver spostato l’attenzione del ragionamento umano dalla natura, al centro dell’interesse speculativo dei primi filosofi, all’uomo. Nel pensiero di Socrate avviene la scoperta dell’anima come essenza autentica dell’uomo. L’uomo è un essere spirituale, e dunque la virtù è intesa come cura dell’anima. Il suo metodo di ricerca è definito “maieutico”: riprendendo il termine dall’arte delle levatrici che portavano alla luce i bambini dal grembo delle madri, Socrate aiuta il suo interlocutore a “partorire” la Verità. Tutto questo è possibile grazie al dialogo: domande e risposte che spingono verso una ricerca interiore della verità che è presente in noi, in maniera assolutamente autonoma. Quindi il maestro aiuta l’allievo a farsi domande e ad estrarre le risposte dall’animo, tramite il ragionamento. Socrate non si propose mai come insegnante nel senso tradizionale del termine, si definiva piuttosto un “interlocutore scomodo” e il suo modo di fare didattica consisteva nel dialogo e nello scontro anche polemico con l’interlocutore e gli ascoltatori. Fu anche per questo che non scrisse nulla in documentazione dei suoi insegnamenti, perché era convinto della forza dialogica maieutica del suo metodo di apprendimento. Il suo concentrare l’attenzione sulla vita interiore dei suoi discepoli, a discapito dell’eloquenza e dell’oratoria pubblica sofistica, ebbe per lui una forte ripercussione politica: fu condannato a morte per corruzione dei giovani: era temuto dall’aristocrazia poiché disdegnava il denaro e gli eccessi e forniva i giovani di senso critico non apprezzato dalla classe dominante. Le discussioni di Socrate erano volte alla consapevolezza di non sapere: non forniva mai i suoi allievi di risposte pronte, dogmatiche e nozionistiche, ma tendeva ad instillare dubbio, perplessità e discussioni dai quali estrarre “maieuticamente” la verità. CAPITOLO 3 - Il cristianesimo e l’educazione di Sant’Agostino e San Tommaso Il cristianesimo ha una valenza pedagogica poiché pone al centro della sua attenzione il problema della formazione dell’uomo. Il problema della formazione era di primaria importanza per la chiesa primitiva: i catecumeni avrebbero dovuto ricevere il battesimo dopo un’adeguata istruzione sui contenuti della fede che stavano per abbracciare. Il pedagogismo del primo cristianesimo nacque a contatto col mondo classico. L’educazione è vista nella prospettiva della salvezza dell’anima dalla dannazione eterna. L’uomo è un essere che vive, diviene e cresce nel tempo: così pure la fede cresce e si evolve insieme alla persona. L’esistenza umana è vista come un percorso educativo di crescita interiore sul piano fisico, psichico e spirituale. La famiglia è valorizzata nella sua funzione sociale di ambiente educativo privilegiato; i genitori assumono un ruolo e una responsabilità importante e alla funzione materna è attribuito un valore significativo. La Sacra Famiglia diviene il modello della famiglia umana. Nei primi secoli i cristiani non si posero il problema a proposito della scuola, quando entrarono a far parte famiglie altolocate si pose la questione di quale istruzione offrire ai loro figli. I problemi sorsero quando i giovani cristiani cominciarono a frequentare le scuole pagane: i contrasti tra cultura pagana e cristiana furono risolti dall’incontro con il pensiero filosofico classico critico della mitologia. Momento decisivo dello sviluppo della pedagogia cristiana fu la cristianizzazione delle scuole pagane ad opera di maestri che professavano la loro fede. Sant’Agostino d’Ippona Agostino riuscì ad esporre i contenuti della fede e del modo di vere cristiani nella forma più sistematica possibile. Il suo pensiero implica un percorso non solo conoscitivo, ma d’amore: per Agostino la vita intellettuale non è mai disgiunta da quella affettiva e morale, ogni essere umano è desideroso d’amore e quest’ultimo è il fine di tutto. La Verità è Dio e Dio si configura come amore assoluto: l’uomo nella sua ricerca di amore in realtà cerca la verità e dunque Dio. Agostino considera la ricerca esistenziale dell’uomo nei riguardi della sua natura come una spinta che va al di là dell’apparente, anche quando gli esiti portano lontano da Dio. La scelta di credere diventa quindi di importanza capitale anche per la ricerca della verità. I testi di Agostino sono incentrati da una forte visione personalistica: nelle sue Confessioni è il racconto della sua vita che si snoda in un Dialogo continuo con Dio. Agostino non parla di una ricerca esistenziale generale, non dà precetti, ma descrive la sua personalissima ricerca della Verità. Elemento basilare per comprendere la sua pedagogia sono le sue riflessioni sulla Trinità divina: la relazione pedagogica tra le persone (divine ed umane) è costitutiva della loro identità. La dimensione relazionale è sia alla base dell’identità della persona divina che della persona umana. L’educazione si figura come un rapporto tra persone, dunque il rapporto educativo è un esempio delle molteplici relazioni della vita umana, sia con gli altri che con Dio. Per Agostino ogni uomo deve raggiungere la verità e la felicità. La ricerca umana è un desiderio del bene, poiché solo il bene può portare ad una felicità autentica: l’Educazione deve sottolineare questo passaggio e rendere le giovani generazioni consapevoli del legame tra bene, verità e felicità. L’educazione quindi è per Agostino ricerca del senso della vita attraverso l’avvicinarsi al bene più elevato, Dio. Le due fonti primarie per descrivere il pensiero di Agostino riguardo la filosofia dell’educazione e le metodologie didattiche educative sono: - De Magistro, dialogo sul maestro che si basa su una conversazione tra Agostino e il figlio, facendo da base per una discussione sul processo di apprendimento; - De catechizandis rudibus, un trattato pratico sulla catechesi. Agostino era convinto che colui che apprende possieda già una spinta interiore alla verità, egli non è guidato dalle parole del maestro, ma da Dio. Visto che la verità viene da Dio le parole sono in se stesse strumenti non adatti all’insegnamento, tramite le parole l’uomo può solo aumentare la sua conoscenza ed apprendere. L’insegnamento è altro: avviene attraverso la relazione e implica un apprendimento di atteggiamenti e comportamenti. Le virtù teologali (fede speranza ed amore) sono i fini dell’educazione ed il vero maestro è Cristo, la cui bontà pervade gli animi di tutti. L’uomo dunque ha una capacità innata di raggiungere la verità. Il metodo educativo per Agostino: l’insegnante deve essere davvero interessato a quel che insegna e provare gioia nel trasmettere la conoscenza. Non deve consentire che nulla lo turbi o lo distragga dall’insegnamento, deve rispettare l’allievo in maniera completa. Deve usare un linguaggio vario ed adattarsi alle esigenze e all’indole del ragazzo, cercando un’intesa, un unione fraterna. Il maestro deve portare i suoi allievi a manifestare se stessi liberamente: deve trarre l’allievo fuori dalla sua timidezza e portarlo a partecipare attivamente. Nel De catechizandis rudibus Agostino dedica un’intera sezione al benessere psichico degli studenti: il maestro deve riconoscere e rispettare l’affaticamento degli allievi e assecondarli nei ritmi dell’apprendimento. Tommaso D’Aquino (San Tommaso) La sua opera comportò un rinnovamento culturale. Colse la continuità tra la tradizione agostiniana e quella aristotelica. La sua opera principale è la Summa Theologica. Tommaso non si interessò mai direttamente all’apprendimento, ma si concentrò sulla natura della verità e sui modi in cui l’uomo può acquisirne conoscenza. L’educazione, come per Aristotele, viene definita come lo sviluppo dell’uomo secondo le sue potenzialità. Nella sua visione teocentrica l’uomo è la più nobile delle creature perché possiede l’intelletto e la volontà, e quindi è capace di conoscere la verità: Dio, che è creatore e la prima causa efficiente e finale della creazione. Dio è il fine verso il quale ogni essere umano deve essere orientato. Dunque il contenuto essenziale dell’indagine di Tommaso è la concezione dell’uomo come essere intellettuale. Secondo lui la conoscenza preesiste nell’allievo in potenza in senso attivo. Vi sono due modi di acquisire conoscenza: 1) scoperta: la ragione di per sé raggiunge la conoscenza di cose prima sconosciute 2) apprendimento: avviene tramite l’istruzione. Qualcuno aiuta la ragione naturale di chi apprende. L’apprendimento tramite scoperta per Tommaso è il modo migliore per acquisire conoscenza, poiché dimostra anche le capacità di chi apprende nell’acquisire quella conoscenza, ma dato che l’insegnante conosce tutta la scienza in maniera esplicita può insegnarla prontamente all’allievo più facilmente di quanto egli stesso possa apprenderla da solo. Dunque è meglio acquisire conoscenze tramite l’istruzione. Un altro tema importante è quello delle virtù intellettuali: le buone abitudini dell’intelletto. Le virtù umano sono qualità acquisite che fanno in modo che l’uomo agisca abitualmente in una determinata maniera per raggiungere un fine. La virtù dimostra la perfezione della potenza, la perfezione è da considerare in relazione al fine: il fine della potenza è l’atto e la potenza è perfetta quando è adeguata all’atto. Le virtù quindi sono modificazioni della personalità acquisite tramite la reiterazione. Esistono 5 virtù intellettuali: tre riguardano l’intelletto speculativo e due quello pratico. Le virtù dell’intelletto speculativo perfezionano l’intelligenza in vista della considerazione della verità. La verità è soggetta a una duplice considerazione, come conosciuta in se stessa e come conosciuta attraverso altro. Le virtù dell’intelletto pratico hanno invece a che fare con la ragione applicata al fare. L’arte è la virtù del produrre e la prudenza quella dell’agire. L’allievo può acquisire sia la conoscenza che le virtù intellettuali e queste lo aiutano a liberarsi dei pesi che gli impediscono di approfondire la sua ricerca della verità. Le virtù si acquisiscono attraverso la ripetizione dell’atto virtuoso: poco a poco, tramite un progresso graduale dal più facile al più difficile. È necessario impegnarsi costantemente, comprendere tutto ciò che si sente e legge, tentare di immagazzinare il più possibile e quello che è difficile lasciarlo per dopo. La filosofia dell’educazione di Tommaso sostiene che i segni e i simboli che l’insegnante presenta ai suoi studenti devono rendere capaci questi a correlarli ai principi primi: L’insegnante conoscendo bene ciò che insegna è capace di condurre questa conoscenza ai principi primi. L’insegnamento deve andare per gradi: l’allievo deve acquisire conoscenza del mondo materiale prima di avanzare nel mondo dell’astrazione. L’insegnamento è un’arte: quanto l’insegnante non è guidato dalla natura dell’allievo non insegna, ma indottrina. CAPITOLO 4 - Erasmo e l’ideale umanistico L’umanesimo è considerato il punto di partenza della cultura moderna ed è caratterizzato dall’ideale di un’educazione che sia contraria a pratiche coercitive. Erasmo da Rotterdam è l’esponente più significativo dell’umanesimo europeo nella sua opera ne delinea i principi della cultura e dell’educazione. Caratterizzato dal riconoscimento critico dei limiti della visione del mondo medioevale, l’Umanesimo si avvia verso una vera e propria riforma del pensiero. La riforma umanistica ha due fonti ispiratrici: la cultura classica e l’ideale evangelico. Nel pensiero di Erasmo possiamo notare una certa avversione verso la cultura dotta tradizionale, ma anche l’impegno nel recupero della cultura classica con uno studio delle sue radici linguistiche, applicando un metodo filologico con il proposito di ritornare alla centralità del messaggio evangelico. L’opera maggiore, alla quale deve la fama è l’Elogio della follia. Per Erasmo lo studio è il mezzo per raggiungere la salvezza umana e corrispondere alla grazia di Dio; lo studio è una caratteristica innata dell’uomo. Fra i più importanti compiti dell’istruzione c’è quello di far penetrare il seme della carità nelle menti giovani, suscitando loro l’amore per la conoscenza. È necessario per le giovani menti assimilare sin dall’infanzia le regole delle buone maniere che preparano ai doveri della vita. Per Erasmo porsi in maniera gentile nella relazione col prossimo, con gentilezza dei modi è un segno che mostra preminenza della carità dell’animo umano. Erasmo dedicò particolare attenzione all’insegnamento delle lingue: lo studio delle lettere classiche doveva essere associato e riferito ai vari aspetti della vita quotidiana, secondo un approccio onnicomprensivo che va dallo studio della teologia all’agricoltura. Il suo pensiero sull’educazione si richiama ad un rapporto maestro-allievo basato sulla fiducia e sulla confidenza, rifuggendo la violenza e le punizioni corporali. L’educazione dunque deve iniziare il prima possibile, sin dall’infanzia privilegiando giochi e racconti. Anche il primordiale studio delle lettere, dovrebbe avvenire sotto la guida dei genitori, per essere più efficace: il maestro interverrebbe solo per impossibilità dei primi. L’educazione per Erasmo si distingueva in chiari fattori, che determinano la formazione dell’individuo: l’inclinazione naturale verso lo studio, l’esercizio e la pratica. Ogni uomo ha dei talenti in delle discipline, e la scuola non deve mortificare le peculiarità di alcuno, bensì valorizzarle. La questione educativa riguarda la società tutta, non solo i singoli: i genitori hanno l’obbligo di formare i figli poiché questi hanno doveri verso la Patria e Dio. Erasmo quindi crede che il fine della formazione sia morale, politico e religioso. Poiché l’uomo ha grandi potenzialità, è necessario iniziare presto l’opera della formazione. La duttilità infantile deve essere stimolata e sfruttata tramite esempi e modelli: per questo motivo il precettore deve essere un uomo di carattere buono e integro. Erasmo esalta la potenza della ragione come guida verso la felicità, che può essere raggiunta però solo con esercizio costante, infatti la felicità consiste in: natura (capacità di apprendere), ragione (l’insegnamento tramite precetti) ed esercizio. L’educazione per Erasmo è un apprendistato per affrontare la vita; deve essere fondamentalmente indirizzata verso l’acquisizione di una sapienza morale che non è innata nell’uomo. Educatore e genitore collaborano per guidare la giovane mente di cui si prendono cura ad utilizzare le capacità intellettive in sintonia con la natura autentica dell’uomo. La formazione dell’identità avviene attraverso l’assimilazione di esempi e di comportamenti altrui, molto più che attraverso discorsi, così come la consapevolezza di sé e l’autostima che crescono quotidianamente a contatto con i fatti della vita di tutti i giorni. Il fulcro dell’educazione è la morale. A poco servono, per Erasmo gli studi mnemonici, l’utilizzo di un atteggiamento serioso e verboso: il gioco è il metodo d’insegnamento più efficace perché l’allievo apprende senza annoiarsi. Una gran parte gioca l’indole personale dell’insegnante e la sua prontezza per adattare l’accorgimento giusto per stimolare l’apprendimento in ogni differente allievo. CAPITOLO 7 - La svolta naturalistica di Rousseau Rousseau ebbe dei rapporti complessi e contraddittori con gli illuministi, ma a lui si deve la costruzione dell’idea di Natura così come concepita nel mondo occidentale. Il suo pensiero prende avvio da una riflessione problematica sui mali della società del tempo. Dedica la sua analisi alla società aristocratica affermando che sia proprio la vita in società ad allontanare l’uomo dalla sua “vera natura” buona e ad incattivirlo. Rousseau quindi vede in ottica dicotomica natura e società, natura e cultura: la sua opera si basa su una denuncia dell’artificialità del vivere civile e del patto sociale, contrario alla naturalità del soddisfacimento dei bisogni essenziali dell’uomo. A questi semplici bisogni naturali, che sono gli unici necessari, si sovrappongono bisogni artificiali: desideri smodati ed indotti dal vivere in società, la ricerca di potere, denaro e la sopraffazione tra esseri che naturalmente sono di natura buona, fino alla creazione di un mondo che divide ingiustamente l’umanità in classi. Il suo pensiero dunque si basa su una profonda critica della società, che in quanto artificiale allontana dalla natura, deforma l’essere umano tramite desideri di potere e ricchezza, incattivendolo. Emilio o dell’educazione è il testo che sistematizza la sua filosofia pedagogica. Per Rousseau né la storia né l’agire umano sono orientati verso un atteggiamento positivista, il progresso non porta ad un miglioramento ed una crescita continua. Egli vede nel patto sociale solo una contaminazione progressiva e degenerata di ciò che il Creatore aveva concepito come perfetto: la natura è deturpata dalla società. La filosofia di Rousseau fu dunque un Deismo, poiché nonostante l’ispirazione chiaramente spirituale non si conciliò mai in una confessione religiosa. L’uomo solo allo stato di natura si trova nella condizione che gli permette il pieno dispiegamento delle proprie potenzialità, e il completo sviluppo armonioso delle sue facoltà e la massima felicità. La storia del genere umano invece appare come una degenerazione susseguita al patto sociale che ha portato allo sviluppo di una società estranea alla natura dell’uomo, con la distinzione dei singoli in classi sociali. Questo classismo comporta anche una distinzione e ad una contrapposizione continua degli interessi personali e di gruppo, dovuti dalla “gabbia” del ritualismo delle regole sociali, alle quali l’uomo deve adattarsi per non essere escluso. L’educazione quindi è un processo di adattamento alla società che ogni essere umano compie. Tutto ciò che crea Dio è buono, è la società a deturpare la creazione, quindi l’unico cambiamento auspicabile per il raggiungimento di una felicità e serenità con Dio è un ritorno allo stato di natura. È in questo modo che Rousseau si pone in una posizione critica dell’Illuminismo, muovendosi in maniera contraria all’idea di progresso dominante al suo tempo, verso posizioni più radicali. Romanzi come L’Emilio oppure la Nuova Elosia, il Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini, racchiudono la sua concezione pedagogica. La pedagogia di Rousseau è la prima a fondarsi principalmente su un percorso psico-evolutivo. Egli propone infatti un’educazione libertaria, descrivendo le grandi tappe dell’evoluzione psicologica, culturale e morale del bambino. Secondo Rousseau i maestri dell’essere umano sono 3: la natura, gli uomini e le cose. L’unico influsso positivo viene dalla natura: quindi afferma che l’educazione debba svolgersi esperienzialmente secondo natura, ovvero tramite la libera espressione delle facoltà intellettive che si sviluppino attraverso l’interazione con l’ambiente fisico, al fine di una crescita armoniosa e positiva, sotto la cura di un educatore che deve prevenire le cattive esperienze. Educare vuol dire insegnare a vivere in armonia con la natura e l’educatore predispone le esperienze del bambino di cui è precettore. Fondamentale è anche l’educazione familiare: in quanto il luogo degli affetti, padre e madre devono offrire ai figli opportunità di crescita libera nella sicurezza di poter contare sempre sulla famiglia come luogo sicuro per coltivare le relazioni più autentiche. L’educatore deve essere capace di riconoscere i bisogni e le qualità, i punti di forza degli allievi lasciando che siano liberi di sviluppare le proprie propensioni e capacità; mentre l’allievo dovrà rispettare la libertà e l’autonomia ricevute. La grandezza del pensiero pedagogico rousseauiano consiste anche nella grande profondità esistenziale, novità assoluta, che si mostra nell’attenzione data all’esperienza del dolore nella formazione dell’individuo: il dolore è presente nella vita di ognuno e l’educazione deve contemplarlo ed preparare il bambino a gestirlo. Bisogna riconoscere al bambino una pienezza di personalità che lo ponga in contatto con la vita reale: l’educatore deve riconoscere in ogni momento dello sviluppo la pienezza delle opportunità proprie di quel periodo di vita del bambino. L’educazione, per poter essere efficace, deve essere quando meno indottrinante possibile, deve essere indiretta e garantire al bambino la massima libertà per renderlo un uomo libero: mai intervenire direttamente, né imporsi tramite premi o punizioni. È preferibile evitare un eccesso di ragionamento intellettualistico col bambino, tipico dell’insegnamento tradizionale, mentre si devono proporre modalità che attingano all’esperienza diretta: rifiutare l’apprendimento libresco a favore di un contatto diretto. L’educazione nella bilancia tra sapere e fare deve dunque privilegiare il fare, l’apprendimento deve avvenire in maniera indiretta tramite esperienze concrete che portano alla conoscenza del sapere: in questa educazione esperienziale è fondamentale l’errore, proprio perché ognuno è diverso, e quindi il processo di apprendimento deve tenerne conto ed adattarsi ai tempi del bambino. La formazione secondo Rousseau deve essere completa: ci si deve dedicare anche all’educazione morale e religiosa, affettiva e sessuale. L’adulto deve presentare al bambino le norme guida di un comportamento morale lasciando che il suo agire ne faccia comprendere le conseguenze, senza alcuna punizione. Per quanto riguarda la religione, Rousseau ripudia l’idea di peccato come innato all’essere umano: l’uomo di sua natura è buono, è l’ordine sociale a portare la degenerazione del creato, quindi la religiosità per lui si indirizza alla custodia della natura. Rousseau non contempla un ruolo pubblico per la donna, considerata debole e volubile, ma anch’essa deve essere educata secondo natura con lo stesso metodo educativo, ma con una formazione specifica in vista dei suoi compiti domestici. CAPITOLO 8 - Natura ed educazione: Pestalozzi L’attenzione alla natura vista in Rousseau fu uno degli elementi essenziali dell’atteggiamento pedagogico romantico: Pestalozzi mette in teoria pedagogica questo sentore comune. Colpito dalla lettura dell’Emilio, il suo pedagogismo è di chiara ispirazione rousseauiana, ma egli vuole assumere un indirizzo concreto. Il punto cardine dell’idea di Pestalozzi consiste nella comprensione della centralità del ruolo materno nell’educazione: lo sviluppo naturale dell’essere umano può avvenire nel modo migliore attraverso rapporti naturali con i genitori e la famiglia. Secondo lui dunque è sufficiente il buon senso della madre senza la necessità di una formazione speciale o saperi particolari, attribuendo alla donna una responsabilità di grande rilievo sociale. Nella sua opera Gertrude è infatti proprio la madre, che anche senza basi culturali, educata adeguatamente i figli attraverso una vita di famiglia e di villaggio operosa. Secondo Pestalozzi la virtù e il carattere si formano tramite il lavoro, così come la cultura formale attraverso l’esercizio dell’attenzione, dell’osservazione e della memoria. Queste doti dell’essere umano devono essere adeguatamente sostenute dalla cura familiare e degli educatori. La concezione della natura è la base della sua pedagogia, ed è collegata a una forte critica nei confronti della società che deve essere trasformata. Lo strumento principale di questa trasformazione è l’educazione stessa del bambino e l’adulto deve favorire il suo sviluppo naturale. Pestalozzi modificò l’impianto di Rousseau sulla base di una maggiore considerazione delle potenzialità educative presenti nella vita comune: se Rousseau si occupa dell’educazione di una famiglia benestante, Pestalozzi si interessa dei contadini e trova nel loro mondo ciò che serve per l’educazione. Era certo che il progresso dell’umanità dipendesse dallo sviluppo degli individui, senza distinzione di classe; il progresso non è inteso in senso individualistico come nell’Emilio, ma universale. Sul piano didattico Pestalozzi si accorge che la parola parlata precede la lettura, come il disegno e la scrittura. Le fasi del processo di formazione delle conoscenze sono 3: si va dalle impressioni confuse a quelle distinte e concrete di alcuni oggetti fino alla formazione di idee, sulla base di queste gli oggetti vengono conosciuti. Punto centrale è assumere il punto di vista del bambino durante il percorso evolutivo. Compito dell’insegnante è guidare l’allievo a mettere ordine nelle sue impressioni confuse; è essenziale che il bambino arrivi ad impadronirsi delle idee: separando gli oggetti per renderli distinti, riunendo con l’immaginazione le intuizioni e le relazioni tra gli oggetti. Si deve partire da ciò che ogni bambino può apprendere, mettendo quindi al centro il singolo individuo, i suoi interessi ed aspettative. Secondo Pestalozzi prima di insegnare contenuti è necessario evitare la noia: oltre alle materie stesse, l’educazione deve avvalersi delle abilità pratiche, prima con l’esercizio fisico e poi con il lavoro. Lo sviluppo autentico dell’essere umano implica una conformità alla sua natura, che secondo Pestalozzi è espressione di leggi eterne, la cui violazione determina una degenerazione non desiderabile per la stessa vita sociale dell’uomo. L’uomo raggiunge la sua natura tramite l’esercizio adeguato di ciascuna facoltà senza forzatura da parte del precettore. Il mancato esercizio delle facoltà porta ad un’atrofizzazione delle stesse e allo scoraggiamento e alla rinuncia. Pestalozzi concepisce l’educazione come un percorso di elevazione eroica dell’individuo dallo stato primordiale, naturale a quello della spiritualità creativa; se la sua pedagogia è caratterizzata dall’esaltazione della figura materna la sua ragion d’essere consiste nel fatto che questo percorso richiede che il bambino sia nutrito d’amore. CAPITOLO 11 - Le pedagogie nell’epoca della mobilitazione: Rosmini (1797/1855) Uomo di Chiesa e teologo, fondatore nel 1828 dell’Istituto della Carità, Rosmini portò avanti tesi filosofiche tese a contrastare l’illuminismo. In campo pedagogico sottolinea l’esigenza di una formazione integrale dell’uomo come fine dell’educazione. L’armonia dell’uomo si manifesta nella convergenza di mente e cuore: l’educazione quindi non è solo trasmissione di conoscenza, ma anche di saggezza fondata su una riflessione ontologica e antropologica cristiana. Nella ricerca e nella divulgazione della verità l’educatore deve essere consapevole e riconoscere l’ordine gerarchico con apice Dio come l’unica conoscenza veritiera: la ricerca della conoscenza consiste nell’interiorizzare l’ordine delle cose. La pedagogia è fondata sulla dottrina della verità divina e assume un’impronta fortemente religiosa: Dio è centro di tutte le cose, unità fondamentale del cosmo; l’uomo arriva a Dio attraverso la propria volontà e l’attività morale. Un motivo rilevante del pensiero di Rosmini è la perfezione della persona: è compito dell’educatore osservare ed agevolare il perfezionamento della volontà e dell’attività morale umane, che ha in ciascun uomo un compimento unico. L’educazione ricerca l’armonia dello sviluppo umano. La crescita umana è data dallo sviluppo di una dimensione spirituale, quindi il metodo di insegnamento deve adeguarsi all’ordine oggettivo dell’essere e l’articolazione del curriculum deve rispecchiare l’ordine ontologico (riguardante la natura e la conoscenza dell’essere come oggetto in sé) ed aderire alla struttura dell’essere umano. Rosmini crede di impostare in modo nuovo e scientifico il problema del metodo educativo: nell’insegnamento c’è bisogno di proporre la verità per ordine sequenziale, in modo che le nozioni che seguono non debbano essere chiarite, perché si basano su conoscenze già comprese: l’insegnamento deve cominciare da ciò che è già noto. Rosmini tenta una sistemazione teorica di ampio respiro, volendo però fondare un clima di libertà interiore ed esteriore che vuole essere motivo distintivo dell’educazione cattolica moderna: ha dei punti di contatto con la pedagogia salesiana, che però ha un forte orientamento pratico. Rosmini fu uno spirito innovatore e riformatore, ma le sue posizioni non furono quasi mai estreme: di fronte ad una crisi acuta della società, affrontò le riforme con equilibrio. La sua opera riformatrice in campo educativo puntava sull’unità dell’educazione, che poteva essere raggiunta solo a partire da un’antropologia e un’ontologia di carattere cristiano. Rosmini sottolineava l’istanza di un rinnovamento religioso e sociale, riconducendo il disorientamento presente all’interno della Chiesa alle radici delle pratiche educative: vi era bisogno di un’unità nel fine educativo, declinata in chiave religiosa, nella riaffermazione della visione del mondo cristiana. La religione è l’unica possibilità per l’uomo di scoprire la verita e dare senso alla vita, dunque doveva anche essere la risposta certa per l’educazione, in un mondo smarrito dai tumulti che agitavano la società. Il cristianesimo doveva tornare a essere riconosciuto come base dell’educazione: lo spiritualismo cristiano diventava un mezzo per rivitalizzare una cultura che agli occhi di Rosmini stava precipitando nel disordine. Egli ribadisce l’esigenza, contro la mentalità moderna, di una riunificazione della mente e del cuore, degli affetti e dell’intelligenza in virtù della contestazione ai guasti portati dalla disgiunzione a opera degli studi razionalisti ed empiristi. Nell’educazione ciò comportava il recupero del legame che unifica l’opera di ragione, sentimenti, abitudini non più slegati. Il cristianesimo si poneva come una dottrina autentica, in grado di raggiungere la verità e il sommo bene. CAPITOLO 12 - L’educazione della prospettiva rivoluzionaria: il marxismo Il pensiero marxiano ha una notevole importanza in ambito pedagogico. Negli scritti di Marx e Engels si trovano importanti riflessioni di carattere educativo, soprattutto a proposito della condizione dell’infanzia e dell’adolescenza nel mondo industriale. Il loro interesse per l’educazione è comunque sempre legato ad un’analisi di carattere economico e sociologico piuttosto che pedagogico. Tutti i fenomeni culturali sono, nell’idea di Marx, espressioni (sovrastrutture) della struttura economica e sono mascherati da quella che viene chiamata “ideologia” (espressione della falsa coscienza degli uomini di ogni tempo) che nasconde dietro visioni del mondo spesso complesse ed astratte, la realtà dello sfruttamento economico. In questa realtà è radicata la stessa educazione, intesa come prassi sociale volta all’indottrinamento e alla conservazione delle differenze tra classi. Il pensiero di Marx vede dunque un mondo fisico e sociale gerarchicamente diviso in uno status quo variamente giustificato sul piano religioso (questo mondo è così per volontà divina) e su quello morale (è il più giusto dei mondi possibili). L’educazione è al servizio del potere costituito e avrebbe l’unico scopo di dissuadere da qualsiasi ipotesi di cambiamento e a conservare la struttura sociale nella sua forma. Secondo il marxismo le classi subordinate devono prendere coscienza della loro condizione di sfruttamento e l’educazione gioca un ruolo fondamentale nel rivolgersi a questa presa di coscienza rivoluzionaria: compito dell’educazione quindi è far sorgere una nuova coscienza di classe, idee nuove per liberare le coscienze. il proletariato deve essere formato alla rivoluzione attraverso un’opera educativa che miri a rendere consapevoli tutti i salariati dello sfruttamento insito nella natura stessa delle relazioni tra capitalisti e lavoratori. I proletari devono comprendere che l’unica soluzione si loro problemi viene dall’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, misura principale del nuovo ordinamento rivoluzionario. Marx vive nell’epoca della prima e seconda industrializzazione e descrive le trasformazioni sociali e produttive che ne conseguirono, il suo intento non è solo descrittivo, ma mira ad evidenziare le contraddizioni di un sistema di relazioni che produce oppressione e sfruttamento. La società capitalistica produce alienazione, perché l’uomo non è più padrone del proprio lavoro, e per riportare l’uomo ad essere protagonista della propria attività e della propria vita occorre una trasformazione radicale del sistema sociale ed economico: una rivoluzione. Anche la critica della religione rientra nell’ampia discussione di Marx a proposito dell’alienazione umana: egli la definisce “oppio dei popoli”; inducendo gli uomini ad accettare la loro condizione di miseria e di sfruttamento addirittura come grazie in vista di quella vita buona che farà guadagnare il paradiso a chi la conduce, la religione è uno dei principali strumenti di indottrinamento a disposizione delle classi dominanti. Il capitalismo industriale è il sistema che ha portato alle forme estreme l’alienazione umana. Si usa parlare infatti di materialismo storico-dialettico per il pensiero di Marx: per lui vi è una stretta relazione tra l’idea della storia come storia materiale e come storia di rapporti tra le classi. Concetto essenziale del suo pensiero filosofico e politico è la lotta di classe. Soltanto attraverso l’impegno attivo dei proletari, sarà possibile abbattere il sistema capitalistico, tramite una rivoluzione. Il proletariato, quindi, deve essere “formato” alla rivoluzione attraverso un’opera educativa che miri a rendere consapevoli tutti i salariati dello sfruttamento insito nella natura stessa delle relazioni tra detentori dei capitali e lavoratori, e che l’unica soluzione per evitare lo sfruttamento è nella collettivizzazione dei mezzi di produzione. Marx prospetta quindi un fine educativo della lotta politica: per contrastare lo sfruttamento intrinseco al sistema capitalista è necessario che il proletariato si organizzi in lotta contro il padrone, tramite il Partito. I dirigenti del partito devono formare i lavoratori, ovvero renderli coscienti del loro status e che li porti a maturare quella coscienza di classe che è l’unico asso nella manica degli sfruttati nella lotta di classe. CAPITOLO 13 - L’affermazione della prospettiva secolare: il Positivismo Il Positivismo fu la filosofia che dominò l’Europa nella seconda metà dell’800. Riuscì ad esprimere gli ideali della società industriale che andava rafforzandosi sulla base dell’alleanza tra scienze e tecniche. Comte La sua filosofia rappresenta la visione più sistematica del Positivismo. Elemento fondante della concezione positivistica del mondo fu il suo secolarismo: una concezione evolutiva della scienza e della conoscenza. Secondo Comte la società umana avrebbe avuto tre stadi evolutivi: da uno stadio dominato dal pensiero teologico e religioso ad una completa scientificità, passando per la metafisica. Ogni scienza, come la società, avrebbe avuto uno sviluppo progressivo interno a loro stesse. L’unico modo per raggiungere un grado di civiltà superiore, è tramite lo sviluppo della conoscenza: tutto ciò che non era scientificamente provato avrebbe dovuto scomparire dalle pratiche e dagli studi. Quindi Comte propose un sistema di scienze (da lui dette “positive”) che avrebbe costituito l’asse fondamentale per curriculum di ogni cittadino: fisica, chimica, matematica, biologia, astronomia e sociologia. Tutto quel che esulava da questi saperi era figlio di pratiche superstiziose e non scientifiche. Il positivismo dedicò notevole importanza alla formazione dei lavoratori: non troppo specialistica, poiché Comte contemplò l’opportunità di formare una nuova classe di sapienti che non si dedicasse più alla ricerca specifica in discipline singole, ma ad uno studio globale e sistematico. La cultura della nuova Era industriale quindi avrebbe dovuto essere meno specialistica, per dare una completa visione del mondo a tutti gli uomini: allo scopo di costruire una epistemologia globale. L’educazione nell’epoca industriale, in cui la fiducia nel progresso della scienza e della conoscenza è un presupposto inevitabile per l’uomo, diventa fondamentale: l’uomo di scienza deve essere al corrente di tutte le discipline per comprendere meglio la propria e sviluppare la ricerca in maniera adeguata in una prospettiva multidisciplinare. Da qui la necessità di una nuova classe di sapienti: avvertì il problema della mancanza di un linguaggio scientifico comune e di ponti tra discipline, perché la specializzazione del lavoro scientifico aveva reso difficile lo sviluppo armonioso del sapere interdisciplinare. La scienza doveva essere indipendente dalla politica, e anzi avrebbe dovuto soppiantarla, “ingegnerizzando” la società con scelte oculate e scientifiche. I programmi educativi che presero spunto dal pensiero di Comte tennero conto di una distinzione tra due generi differenti di scienze naturali: quelle astratte (studiano leggi generali dei fenomeni) e quelle descrittivo-osservative (che analizzano i fenomeni nel dettaglio). Spencer Egli portò il problema dell’educazione al centro della riflessione positivistica, sottolineando il ruolo dell’interazione sociale, del rapporto individuo e società nella formazione della personalità, nell’adattamento all’ambiente e nel progresso storico. Per Spencer, come per Kant e per Herbart, l’educazione avrebbe prima di tutto per oggetto il realizzare in ogni individuo, portandolo al più alto punto di perfezione possibile, gli attributi costitutivi della specie umana in generale. Durkheim Grande esponente del Positivismo, e della moderna Sociologia, fu una figura di spicco in campo pedagogico. Diede vita ad una concezione problematica della società contemporanea, nella quale i fattori fondamentali sono: l’organizzazione razionale degli spazi e tempi di vita; la depersonalizzazione funzionale (tentativo di superamento dell’ordine precedente in cui le funzioni sociali erano strettamente legate ai caratteri personali di coloro che le ricoprivano); l’interdipendenza delle funzioni sociali e la pianificazione e la divisione del lavoro. Secondo Durkheim lo scopo della sociologia è la comprensione dei fatti sociali. In particolare egli studiò i modelli sociali e il modo in cui essi forgiano l’individuo, arrivando ad affermare che stati psichici come la religiosità, l’amore non sono intrinsechi nella natura umana, ma derivano da comportamenti stereotipici causati dal vivere in società. Solo attraverso lo studio dei gruppi sociali e dei meccanismi che regolano le dinamiche sociali, è possibile arrivare ad una autentica “Scienza Pedagogica”. CAPITOLO 15 - Il movimento attivistico e l’educazione per la democrazia: Dewey Tra la fine del 19° secolo e l’inizio del 20° ebbe origine e si sviluppò il metodo educativo dell’attivismo pedagogico. Nel corso della storia l’attivismo è stato oggetto di grandi apprezzanti, ma anche critiche anche per il carattere estremo delle proposte. Secondo l’attivismo la conoscenza è uno strumento a disposizione dell’uomo forgiato dalla società nel tempo per affrontare l’insidia e l’ostilità dell’ambiente: per questo motivo la conoscenza presenta esigenze continue di adattamento dinamico al contesto. Si tratta di una concezione funzionale di cultura che si scontra direttamente con la tradizione umanistica che vede nel corpus delle discipline una cultura stabile che i giovani dovevano solo assimilare per essere dei validi membri della società. In questa nuova prospettiva l’educazione deve porsi creativamente e diventare essa stessa come la società un ambiente pregno di vita intensa in cui sperimentare responsabilità ed esperienze nuove. L’esigenza chiave è salvaguardare la spontaneità del bambino: la scuola è una preparazione alla vita, non un “a parte”. L’educazione deve basarsi sulle esigenze del bambino, e portarlo a compiere esperienze formative che avrebbero segnato poi la sua personalità e lo avrebbero inserito nella società come membro creativo ed altruista. Per quanto riguarda la metodologia didattica, l’attivismo ha sempre creato dei curricula che privilegiassero gli interessi del bambino adattandosi alla loro continua evoluzione, con lo scopo di superare qualsiasi tipo di nozionismo. Il centro viene spostato dunque dall’insegnante all’allievo in una scuola che fa leva sul continuum esperienziale per trasformare le osservazioni e le esperienze educative in slancio per le prossime, allo scopo di maturare un metodo (scientifico) per approcciare alla vita, piuttosto che un corpus di conoscenze. Non si definiscono più curricula e programmi dall’alto, ma i piani di lavoro sono periodici e continuamente in aggiornamento secondo modalità paritarie tra insegnanti ed allievi. L’attivismo inoltre individua nella socialità dell’essere umano il fondamento della convivenza civile: la scuola avrebbe dovuto tendere alla relazionalità in vista di una maturazione morale, la quale si sviluppa attraverso la lieta attività laboratoriale nella vita comune della classe. Di seguito riassumo le caratteristiche principali dell’Attivismo pedagogico: - Puerocentrismo: mentre precedentemente l’educatore era spinto a rendere il bambino adulto il prima possibile, adesso ci si concentra sull’importanza dell’infanzia; - Legame insegnamento/vita: la scuola doveva servire alla vita come palestra, non doveva essere una parte separata della vita; - Legame interesse/bisogni: la ricerca di un insegnamento personalizzato a seconda degli interessi e dei bisogni del bambino; - Insegnante come un “organizzatore di esperienze”: l’insegnante non era più visto come la persona che doveva infondere conoscenza, quanto la guida nel processo di scoperta del fanciullo; - Intelligenza operativa: il bambino andava stimolato ad utilizzare la propria intelligenza attraverso laboratori operativi e sperimentali, imparare tramite le esperienze. Dewey Uno dei massimi esponenti fu il filosofo e pedagogista americano John Dewey. Egli risentì in particolare delle influenze del pragmatismo di William James, una filosofia che ha come oggetto di riflessione e studio l’esperienza intesa come processo di interazione tra l’individuo e l’ambiente. Oltre a questa influenza, fondamentale per il suo pensiero fu l’evoluzionismo di Darwin, che pose l’interazione individuo-ambiente alla base dell’evoluzione della specie. Il pedagogista, aprendo una scuola sperimentale presso l’Università di Chicago, sostituì le lezioni tradizionali con una serie di attività, da lui definite “esperienze”, tramite le quali avvia l’apprendimento nei ragazzi: una scuola “attiva”. Si tratta di una vera rivoluzione: attività laboratoriali, lavori collettivi che nascono dagli interessi degli allievi, anziché classi, banchi individuali e nozionistiche materie di studio, con il maestro che non è più insegnante, ma “organizzatore di esperienze”. Si tratta di una scuola attiva e progressiva, che si fonda sull’idea che il pensiero nasce dall’azione, e l’apprendimento dalla ricerca di soluzioni concrete a problemi reali (vissute in forma esperienziale dagli allievi), con lo scopo non solo di essere proposta innovativa, ma di essere un fattore di cambiamento e progresso sociale. Ad un’esperienza intesa in maniera tradizionale come un “conoscere” nozioni, Dewey oppone, la sua concezione dell’esperienza che prima di tutto un “fare”, di cui il pensiero è fattore costitutivo di direzione, di superamento di ostacoli. Nella tradizione pedagogica al pensiero è stata sempre assegnata una funzione “contemplativa”, rispetto alle cose del mondo, Dewey invece fa del pensiero un momento interno all’azione: assegnandogli una funzione attiva, di modificazione della realtà. La scuola non deve essere più un luogo di mera trasmissione del sapere, ma un luogo di esperiente ed attività che coinvolgono gli alunni nei loro interessi e ne sollecitano il pensiero. La crescita per Dewey è un autoformazione dell’uomo tramite l’acquisizione di sempre maggior autocontrollo dei propri bisogni e delle proprie “abitudini”, che devono anch’esse essere attive: pensiero, iniziativa, creatività e proposizione nell’applicare le capacità apprese a nuovi scopi sono il contrario della pigra e dogmatica routine, che rappresenta un pensiero ascientifico. Il pensiero pedagogico è compiutamente espresso nella sua opera, Democrazia e educazione del 1916. Dewey definiva la scuola come una società in piccolo: per lui è fondamentale l’interazione tra individuo ed ambiente, perché intende la scuola come una comunità di vita. Proprio per questo motivo pone molta importanza all’ambiente: quello scolastico deve rispecchiare quello sociale, la scuola non può essere altro rispetto al mondo reale. La scuola è un luogo chiave per creare una società democratica, perché insegna a ragionare con metodo scientifico sulle esperienze vissute, senza cadere in pigrizia di pensiero. II termine “scuola attiva” venne introdotto per la prima volta dal Bovet nel 1917, e divulgato successivamente dal Ferrière per distinguere le nuove tendenze pedagogiche del primo Novecento dalle cosiddette “scuole nuove”. Dewey preferisce impiegare la dizione “scuola progressiva”, e la propria proposta pedagogica “pedagogia progressiva”. Dietro la distinzione terminologica si colloca una distinzione sostanziale perché, a differenza di numerosi altri attivisti, Dewey basa la propria idea pedagogica su un’organica filosofia dell’educazione (con basi nello strumentalismo logico), intimamente connessa con lo spirito del metodo scientifico e dell’ideale democratico. La scuola di Dewey designa qualcosa di più e di diverso rispetto alla scuola attiva così come viene comunemente intesa, perché all’attività esperienziale (di matrice laboratoriale e scientifica) egli accosta il motivo democratico di progresso sociale. La scuola non è per Dewey il luogo in cui sviluppare individualisticamente il singolo, ma dove sviluppare la società in senso democratico: una comunità occupata in un comune lavoro in cui ogni singolo individuo è chiamato a portare il proprio contributo di originalità e creatività. Il motivo per cui Dewey mette così tanto l’accento sulla democrazia è perché egli vive con timore la fine degli anni ‘30, allorché l’ombra oscura delle dittature si dilata su tutta l’Europa, rischiando di minacciare l’America. CAPITOLO 16 - Il neoidealismo italiano: soggettività assoluta ed educazione Le morti e le distruzioni della Prima guerra mondiale misero in crisi l’ottimismo positivista e il mito dell’eterno progresso, tant’è vero che all’atteggiamento sperimentale del Positivismo si sostituirono e si fecero strada nuovi movimenti filosofici che ponevano al centro dell’attenzione non la comprensione della realtà concerta, ma la vita interiore, unica via per penetrare il reale. La più diffusa di queste correnti fu il Neoidealismo. In Italia questo pensiero assunse un posto di grande rilievo, diventando quasi egemone: Benedetto Croce e Giovanni Gentile giganteggiarono sulla cultura filosofica italiana del periodo. Le filosofie neoidealistiche rispecchiavano, con notevoli differenziazioni interne, la mentalità tipica del liberismo italiano, anche nella sua ambiguità rispetto alla concezione dello Stato e del suo carattere etico. L’influenza neoidealistica sulla cultura italiana non si limitò esclusivamente sul piano degli indirizzi ideali, infatti Croce e Gentile si impegnarono fortemente anche nella vita politica: Croce mise in atto un sistema di controllo di tutte le scuole da parte dello Stato che si esplicava attraverso una procedura generalizzata di esami finali (ancora oggi esistenti nella scuola secondaria); Gentile, in potere all’esecutivo di Mussolini, operò una ristrutturazione dell’intera scuola italiana in 3 gradi e con una pluralità di orientamenti che intendevano rispecchiare l’ordinamento sociale ed economico finalizzandolo alle scelte di regime. Croce Fu oltre che filosofo critico letterario e storico, nonché Ministro dell’Istruzione all’inizio degli anni Venti. Grande amico di Gentile, si allontanò da lui soprattutto per ragioni politiche, rimanendo profondamente ancorato a posizioni opposte a quelle del regime fascista. Gentile Fu senza dubbio il più grande filosofo e maestro di pensiero che l’Italia abbia avuto dall’Unione in poi: Ministro della Pubblica Istruzione, operò la riforma della scuola che da lui prese il nome. La sua filosofia si fonda sull’asserzione che ogni cosa è in quanto atto di pensiero. Egli non rinnegò la propria adesione al regime, aderendo in seguito anche alla Repubblica di Salò e venendo ucciso dai partigiani nel 1944. Gentile affidò al suo “Sommario di pedagogia come scienza filosofica”, saggio pubblicato nel 1912, la prima espressione compiuta della sua propria filosofia: mentre con il Positivismo era prevalso il concetto di pedagogia come scienza, Gentile combatté a fondo questa tendenza, perché secondo lui la pedagogia, così come la psicologia, essendo una conoscenza che indaga lo Spirito e l’interiorità, è a tutti gli effetti una Filosofia. La sua opera ebbe una vasta eco non solo nel mondo filosofico ma anche in quello pedagogico. Caposaldo teoretico della filosofia di Gentile è il cosiddetto “metodo dell’immanenza assoluta”, con la sua concezione della soggettività irriducibile della realtà: egli afferma l’infinità e la libertà assoluta dell’io, che concepisce lo spirito umano come “autocoscienza”. L’educazione è una comunicazione (interazione di spirito) tra maestro ed alunno, senza delle regole specifiche. L’educazione si pone come una autoeducazione: lo sviluppo della libertà e razionalità dell’uomo sollecitato interiormente dal maestro. Tramite questo rapporto non viene educato solo l’alunno, ma anche l’educatore, il quale perfeziona così le sue qualità: “L’uomo educa sempre”. Per Gentile la vera educazione avviene quando l’insegnamento pratico permette di formulare un pensiero proprio: mette in guardia dall’educazione come momento utilitaristico, che si accontenta di insegnare nozioni. Non importa conoscere nozioni, ma importa che quel che si impara lo si applichi nella vita reale: l’istruzione è anche educazione morale. Infatti il modello di pedagogia neoidealista comporta la presenza di un maestro che sia “artista”, ovvero che non si attenga in maniera scientifica e rigida ad un metodo, ma che improvvisi creando un contatto reale e sentito con l’allievo. L’educazione non deve essere tecnica, ma deve creare l’uomo (prevalenza per le materie umanistiche, la filosofia, l’arte, la religione). Per Gentile non esiste il problema di come conciliare la libertà con l’autorità, perché se il maestro insegna con amore, di riflesso l’alunno si autodisciplina, interessandosi spontaneamente alla lezione. CAPITOLO 18 - Bisogni e interessi: dall’attivismo alla psicologia dell’educazione Claparéde La figura di Claparéde è centrale nella storia dell’attivismo pedagogico della prima metà del Novecento. Il funzionalismo di Claparéde merita di essere approfondito per le tesi riguardanti il rapporto stretto tra la dimensione biologica e quella mentale della vita umana, i percorsi dello sviluppo umano e il rinnovamento dell’educazione. Il nesso tra biologia e psicologia era dunque il punto di partenza di tutta la sua ricerca che si sofferma su domande del tipo “cos’è la vita” o “cos’è l’organismo vivente” per poter comprendere affondo il significato di domande più complesse sul significato della vita mentale e sui suoi processi. Egli trova nell’autoregolazione dell’organismo una caratteristica basilare sia della vita biologica che di quella mentale: sostiene che la vita sia un continuo ristabilimento di un equilibrio che man mano si rompe, ogni reazione ha come fine la restaurazione dell’integrità. La rottura d’equilibrio in un organismo è ciò che chiamiamo bisogno. Il punto di partenza dello sviluppo individuale è dunque individuato nel “bisogno”. Ogni attività è suscitata da un bisogno, perché esso provoca interesse nell’individuo, e di seguito reazioni per soddisfarlo. È tramite la ricerca di una soluzione per soddisfare i propri bisogni che l’uomo impara e progredisce. Nel caso dell’uomo le nozioni di bisogno e di interesse sono peculiari e distinte da quelle degli altri organismi viventi, perché non sono legati ad esigenze immediate: la tensione al superamento e all’estensione dell’io è il bisogno imperioso dell’essere umano. Claparéde definì Funzionalismo la sua filosofia dell’educazione, basata sulla salvaguardia dell’interesse del bambino, sulla creazione di una scuola fondata sulla stimolazione dei bisogni umani in maniera esperienziale ed attiva. Egli elaborò una serie di concezioni educative programmatiche che rispecchiassero la sua idea di scuola, come ad esempio: - la scuola deve avere concezione funzionale dell’insegnamento, avendo il fanciullo al centro dell’insegnamento; - il fondamento dell’educazione deve essere l’interesse, non l’autorità o il timore per il castigo; - la scuola deve preservare l’infanzia, essere attiva, laboratoriale ed esperienziale, utilizzando anche il gioco; - la scuola deve creare un ambiente sociale e socievole; - il maestro è uno “stimolatore di interessi” non un indottrinatore, avrà una preparazione psicologica; - una “scuola su misura”, che tiene maggior conto delle attitudini individuali degli allievi, eliminando gli esami. Attivismo Nella storia dell’educazione moderna, l’attivismo si può considerare uno spartiacque: ha dato avvio ad un profondo processo di rinnovamento della scuola e dell’educazione a partire dagli interessi del bambino e in corrispondenza con le fasi dell’età evolutiva. Nel Novecento questo ideale di scuola e di educazione a partire dagli interessi del bambino ha trovato una notevole varietà di espressioni. La ragione delle pedagogie attivistiche e non direttive risiede precisamente nel riconoscimento dell’impraticabilità di approcci fondati sull’autorevolezze in un mondo che non riconosce più alcune forma di autorità esteriore. Negli anni più vicini a noi gli studi di Gardner hanno permesso di individuare sul piano scientifico il significato e il fondamento dell’istanza dell’insegnamento individualizzato, in grado di seguire gli interessi del bambino. La valutazione dovrebbe tenere conto della molteplicità delle intelligenze e soprattutto relativizzare e ridimensionare le materie letterarie e scientifiche rispetto ad altre forme espressive, da quelle motorie a quelle relazionali. Rogers, Carkhuff e Gordon Per Rogers è necessario liberare le pratiche terapeutiche superando i limiti di un’impostazione medica e costituire un vero e proprio deposito di conoscenza utili per lo sviluppo delle relazioni umane e per quelle che da Rogers in poi si chiamano relazioni di aiuto, tra le quali rientrano quelle educative. Carkhuff ebbe un ruolo centrale, nella continuazione dell’orientamento di Rogers; studiò le modalità di un ampliamento di prospettiva dalla clinica alle altre forme di aiuto. Inserì le teorie di Rogers in uno studio sistematico delle relazioni umane, dedicandosi a porre le fondamenta delle attività di helping. Gordon si è dedicato all’applicazione delle idee di Rogers e Carkhuff all’ambito specifico dell’educazione, con riguardo ai tre settori principali: quello informale della famiglia, quello scolastico, e quello delle attività associative giovanili e di comunità. Gordon sottolinea l’eccessiva concentrazione delle politiche formative sui contenuti a scapito della considerazione del clima relazionale. La sua proposta di un metodo è volta a sensibilizzare il mondo dei formatori intorno all’esigenza di un metodo democratico in famiglia e a scuola come nel tempo libero. Carattere relazionale dell’uomo La consapevolezza del carattere relazionale dell’uomo fu l’elemento comune ad alcune tendenza della ricerca psicologica che hanno messo in questione lo stile e la qualità della vita nella società contemporanea, andando sotto il termine-ombrello di scuole di pensiero “anti-riduzionistiche”. Alcuni psicologi hanno contribuito a definire una pedagogia che mettesse al centro la natura dell’uomo in quanto essere relazionale: che si incontra e si scontra con i suoi simili, con altri esseri e col mondo, giungendo a cogliere l’importanza della comunicazione come oggetto di studio per comprendere la natura umana. Lo sviluppo personale dell’essere umano non può essere diviso dallo sviluppo delle sue relazioni: ovvie le ricadute sul piano educativo, come ad esempio l’affermarsi di orientamenti relazionali o ecologici. L’analisi transazionale di Berne Un indirizzo che ha conseguito grandi risultati in campo educativo è l’analisi transazionale ideata da Berne. Egli si staccò dal movimento di Freud rielaborando l’antropologia freudiana (le istanze psichiche) in termini di una teoria della comunicazione. Berne legge la mente alla luce della complessa interazione tra le istanze che egli chiama Bambino (curiosità, desideri, spontaneità infantile), il Genitore (deposito delle relazioni, degli atteggiamenti, dei permessi e dei divieti), e l’Adulto (istanza del senso di realtà). La vita psichica è in questa prospettiva animata dall’interazione data dalla relazione e dal dialogo intrapsichico tra le tre istanze (genitore, adulto e bambino) di ciascun individuo e delle persone che interagiscono esternamente nelle occasioni formali e informali della vita di tutti i giorni. Lo sviluppo della vita relazione procede lungo un arco di tempo più lungo dei primi tre anni vita e può strutturarsi anche negli anni della piena maturità, tramite la presa di coscienza individuale riguardo le proprie modalità di comunicazione con gli altri e con se stessi. Inoltre il peso della vita sessuale è relativo rispetto alla varietà di altri ambiti dell’esperienza comunicativa. Studi psicologici di tipo ecologico: Sullivan, Bateson, Watzavich La ricerca ecologica negli studi psicologi è legata all’opera di Sullivan, Bateson e Watzavich. Il loro pensiero costituì un punto di approdo essenziale per lo sviluppo dell’approccio sistemico relazionale. L’approccio ecologico ha avuto anche il grande merito di puntare l’attenzione sulle disfunzioni dei sistemi relazionali ed educativi, sulla famiglia e sulla scuola quando in questi contesti si affermano modalità di comunicazione e pratiche educative patologiche. Sono precisamente i disturbi della comunicazione che determinano lo sviluppo della personalità e la crisi dei rapporti educativi, all’interno della famiglia tra genitori e figli e nella scuola tra allievi e insegnanti. La prospettiva ecologica analizza nei particolari le forme distorte di comunicazione umana e prospetta le vie praticabili per una pratica comunicative ed educativa efficace, sottolineando il valore positivo di quelle pratiche basate sul riconoscimento dell’altro e sulla pariteticità dei rapporti interpersonali: basandosi su approcci non autoritari e sul riconoscimento dell’esigenza dell’accettazione incondizionata che ciascun essere umano possiede fin dai primi anni di vita. Attivismo e rapporti intergenerazionali Un altro aspetto che rende l’attivismo un movimento interessante è la possibilità che apre a una riflessione sui problemi dell’educazione e sui rapporti intergenerazionali. Le tradizioni e le comunità, se non sono morte del tutto, sono moribonde e la società che scaturisce dall’indebolimento del tessuto relazionale è stata definita come individualizzata. Si tratta di una contraddizione in termini che genera disagio e sofferenza perché la vita umana non può essere vissuta pienamente, se è priva di relazioni. Il nostro tempo, e l’atteggiamento moderno pone in risalto i valori della libertà e dell’autenticità, senza rendersi conto che questi valori trovano senso solo nel contesto di un legame organico con le radici. Se il momento cruciale della modernità, l’età delle rivoluzioni, pose l’accento, sul piano politico, sui tre valori di libertà, uguaglianza e fraternità, l’ultimo è stato messo da parte. La società individualizzata, esito finale della modernità, è caratterizzata dalla scomparsa delle tradizioni e delle comunità; questa situazione genera una forma di sofferenza che è data dal vivere una vita priva di senso, condizione che è tipica di ciascun individuo atomizzato. E’ la mancanza di senso a generare sofferenze che giungono fino al livello di patologia (vuoto esistenziale). Viktor Frankl Fu il primo a parlare di vuoto esistenziale. La sua psicologia parte dalla constatazione che in passato le persone anche se afflitte erano comunque sorrette dalla consapevolezza di essere parte di un tessuto sociale in cui potevano confrontarsi e appoggiarsi, riconoscendosi in gruppi più o meno omogenei di simili. Questo salvagente è stato spazzato via dal gigantismo industriale che ha portato con sé il disgregamento e lo sradicamento delle famiglie, l’inurbamento caotico, lo spostamento dalle campagne di intere popolazioni e la segregazione della gioventù negli spazi artificiali. Erickson Erickson individua nell’adolescenza un periodo di crisi di identità che attraversa tutta l’età giovanile e che ha come effetto la progressiva strutturazione dell’identità personale nel confronto con gli altri, siano pari o adulti. La scoperta di Erickson ha trasformato la prospettiva psicoanalitica circa lo sviluppo psichico della persona riconoscendo l’importanza non solo dell’infanzia e dei primi anni di vita, ma giungendo alla conclusione che lo sviluppo della umana procede lungo tutto l’arco dell’esistenza, e persino in vecchiaia l’essere umano si trova alle prese con il problema di trovare un senso unificante per la comprensione della propria vita. In questo modo Erickson ha fornito un contributo essenziale al miglioramento della pratiche educative, sottolineando il valore di un’accettazione incondizionata dell’altro nello sviluppo di una fiducia di base che dovrebbe affermarsi nei primi anni di vita dell’uomo. La società individualizzata rappresenta l’ultimo stadio di un processo di decomposizione del tessuto sociale. Oggi viviamo in un tempo in cui il vuoto esistenziale è enorme, per di più colmato con una molteplicità infinita di surrogati, soprattutto beni di immediato e facile consumo, e la vita comunitaria è ridotta. CAPITOLO 20 - Al femminile: Arendt e Zambrano Durante il Novecento si è affermata sempre più una cultura di tipo “femminista” che ha dato importanti spunti e riflessioni alla filosofia e agli studi sociali, ed ha svolto un ruolo rilevante anche in ambito pedagogico. Sebbene ancora oggi non si possa parlare del raggiungimento della parità tra sessi, si può registrare nel corso dell’ultimo secolo un profondo cambiamento di mentalità, legato alle trasformazioni economiche e produttive che permisero un massiccio inserimento delle donne nel lavoro nei paesi più avanzati. Questa progressiva emancipazione delle donne dal ruolo di madri, mogli comportò cambiamenti anche in altri ambiti della vita quotidiana. Nell’ambito della filosofia due esempi celebri: Hannah Arendt e Maria Zambrano. Arendt Arendt fu testimone dell’olocausto, a cui scampò rifugiandosi negli USA. La sua opera è caratterizzata da un atteggiamento fortemente critico nei confronti dell’età moderna che le appare come l’età della vita attiva in cui il “fare” prevale su tutte le altre forme d’interazione tra uomo e mondo delle relazioni tra persone. Arendt riconosce che sebbene la tecnologia possa potenziare le capacità dell’uomo fino a renderlo dominatore della natura, ciò non avverrà senza un alto prezzo da pagare. L’uomo moderno è un essere tragico, poiché si ritrova solo con se stesso: l’attività di pensiero non è da intendersi come l’uscita da sé, ma come un rannicchiarsi e arrovellarsi in una soggettività e in un soggettivismo che è solo foriero di sofferenza, e comporta un’anestesia morale. L’uomo, di fronte ad una vita senza scopi oggettivi, finisce a concepire se stesso come un essere privo di senso e destino, la cui sola finalità è vivere e contribuire alla sopravvivenza della specie in un universo senza scopo. Arendt nella sua opera analizza il nazismo come conseguenza logica dell’evoluzione dello Stato moderno, non come un unicum retto da pochi folli: l’educazione, tramite la propaganda, modellò le coscienze a tal punto che la dittatura e i suoi crimini contro l’umanità furono accettati come normalità dalla popolazione. L’uomo, anestetizzato dal soggettivismo, non può far altro che dissolversi nel totalitarismo politico, grazie alla forte persuasività pedagogica di quest’ultimo. Il totalitarismo non è una deviazione del corso del pensiero moderno, quanto piuttosto l’esito coerente della modernità. Quello che un tempo era considerato homo faber, è concepito dalla Arendt come homo consumer: dall’azione si passa al consumo, in una tecnologia che rende sempre più meccanico l’agire. Non a caso la Arendt dedicherà delle lucide e graffianti analisi al consumismo e all’edonismo contemporaneo, e quindi alle contraddizioni della vita e della società USA. In campo pedagogico sono da ricordare le critiche sulle idee educative e sulle pratiche spesso negative messe in atto nel Novecento: per la Arendt ai bambini è stata consentita una libertà eccessiva e prematura che non fa il loro interesse, non facendo in modo che passasse alle nuove generazioni una visione critica ed oggettiva della società in cui si sarebbero poi dovuti inserire. Concludendo, la sua opera è caratterizzata da un atteggiamento critico nei confronti dell’età moderna che appare ai suoi occhi come l’età della vita attiva, in cui il “fare” prevale su tutte le altre forme di relazione. Zambrano Maria Zambrano articola il suo pensiero, come gran parte dei filosofi della Spagna contemporanea, sotto l’influenza di José Ortega y Gasset, un antesignano dell’esistenzialismo. L’essere umano non è definibile attraverso alcuna determinazione biologica o culturale: l’autentica umanità rifugge da qualsiasi categorizzazione. Per comprendere davvero l’essenza dell’umano occorre comprendere la singolarità degli individui in carne e ossa. Il tema centrale della riflessione filosofica della Zambrano verte intorno alla necessità di congiunzione tra mondo femminile e quello maschile, tra rigore e passione, tra mente ed anima. Il suo pensiero si articola nel sogno di un’unione di opposti. In lei la filosofia non è mai mero esercizio speculativo, bensì un’esigenza profonda dell’essere alla ricerca di risposte vitali. Per la pensatrice spagnola, dunque, la filosofia è un tutt’uno con la vita, significa trovare se stessi, giungere finalmente a conoscersi concretamente ed esistenzialmente. La Zambrano elabora un’antropologia in cui l’uomo possiede una chiara coscienza della propria finitezza, che alimenta in lui nostalgia e speranza a un tempo: è per questo che il futuro dell’uomo (la speranza) coincide con una sua rinascita (la nostalgia). Nelle sue opere, Zambrano ci parla del risveglio dell’anima e del suo incamminarsi per boschi oscuri, dove opprime l’angoscia del vuoto fino al compiersi quasi miracoloso della liberazione; ritrovandosi, l’anima infine nei chiari del bosco, piccole radure di luce che appaiono all’improvviso e senza ragione, ridando ordine all’essere che vagava perso a se stesso. La filosofia ha sempre smussato gli angoli, cancellato le sbavature, teso alla perfezione, mistificando il reale. Questa mistificazione opera perché si è asservito il pensiero ai dogmi logici di una razionalità che si dava come unico modo per conoscere il reale. Dove si conosce però si pongono limiti, opero di taglio sulle possibilità: si cela il mistero. La filosofia di Zambrano è una riappropriazione del proprio diritto alla sofferenza, a un dolore che è mistero, ricerca, tentativo individuale di spiegazione, che sempre si cerca, si trova un attimo solo per tornare a perdersi. Il pensare è per la Zambrano non tanto un analizzare quanto un osservare, un restare testimone, un’accettazione di cui lei costruisce una religione del silenzio e della dignità. Per Zambrano la filosofia è quel sapere che consiste nel porre domande. Per scoprire le risposte invece utilizza la poesia. Con il linguaggio allusivo della poesia, la filosofa spagnola arriverà a porre anche la questione della metodologia della riflessione etica. Il domandare, proprio della filosofia, implica la consapevolezza dell’alterità dell’essere umano rispetto a tutto il resto del reale, richiamando, almeno parzialmente, la lezione della fenomenologia a proposito del rapporto tra l’uomo e il mondo, tra l’individuo e l’ambiente. Il valore del sapere poetico consiste nella sua capacità di mantenere inalterato il carattere enigmatico della realtà e del rapporto dell’uomo con essa. Per questo motivo, insieme alla poesia come attività consapevole, Zambrano valorizza l’esperienza di altre “forme” dell’esperienza e del rapporto con il reale. Educare significa suscitare nell’uomo l’attitudine alla domanda, alla ricerca di una dimensione non banale dell’esistenza, che rende la vita pienamente umana, ricca di significati grazie anche alla poliedrica versatilità del linguaggio.
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