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Riassunto: Storia di Roma. Dalle origini alla tarda antichità. M.Mazza. Esame di storia romana, Sintesi del corso di Storia Romana

Tutta la storia di Roma in sintesi e nel dettaglio. Italia preromana. Fase monarchica. Periodo repubblicano magistrature. affermazione nel Lazio e in Italia, guerre sannitiche, guerra contro Pirro. guerre puniche, guerre midriatiche, Gracchi, Merio e Silla, Cinna, guerra giugurtina, Catilina, primo triumvirato, età di Cesare, Antonio e Ottaviano, guerre civili. Augusto e pincipato. dinastie imperiali (tutti i sovrani). anarchia militare. Diocleziano. Costantino. Caduta dell'impero romano.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 20/02/2020

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francesca.olivieri93 🇮🇹

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Scarica Riassunto: Storia di Roma. Dalle origini alla tarda antichità. M.Mazza. Esame di storia romana e più Sintesi del corso in PDF di Storia Romana solo su Docsity! RIASSUNTO di: STORIA DI ROMA DALLE ORIGINI ALLA TARDA ANTICHITA’ CAP 1. L’ITALIA PREROMANA: I POPOLI DELL’ITALIA ANTICA Prima dell’unificazione romana, l’Italia era abitata da gruppi etnici diversi, caratterizzati da lingua, cultura, organizzazione sociale e densità demografica differenti. Vediamoli prendendo in considerazione 3 macro-aree: l’Italia settentrionale, centrale e meridionale. ITALIA SETTENTRIONALE Area nord occidentale Aree corrispondenti all’attuale Piemonte e Lombardia Area Alpina (che conobbe la fioritura di cultura tra la fine dell’età del Bronzo e la prima età del Ferro qualià) Area centro-orientale •Liguri, che occupavano un’area più vasta dell’odierna Liguria, da Marsiglia a Pisa, dalla Pianura Padana fino al Po • Orobi, attorno al lago di Como • Leponzi (nord del lago Maggiore) •Insubri (pianura lombarda) • Reti (Alpi Centrali) • Camuti (Val Camonica) • Euganei (Alpi Venete). Questi originariamente erano stabiliti nella pianura padana, ma dovettero arretrare per la penetrazione dei Celti e dei Veneti. •Veneti, popolazione indoeuropea che, secondo la tradizione antica sotto la guida del troiano Antenore avrebbero scacciato gli Euganei e fondato Padova. •Celti (oltre il Mincio) ITALIA CENTRALE Etruschi Lazio Altre popolazioni dell’Italia centrale L’origine degli Etruschi o Tyrrhenoi rappresenta una delle problematiche più complesse della storiografia antica: 1.per Erodoto provenivano dalla Lidia guidati, dopo la guerra di Troia, dall’eroe eponimo Tirreno 2.Per Dionisio di Alicarnasso, erano una popolazione autoctona dell’Italia 3.nel dibattito moderno, Pallottino sostiene che essi siano l’esito del processo d’evoluzione (avvenuto in Italia intorno all’VIII sec a.C) della civiltà villanoviana (da Villa Nova, nei pressi di Bologna), affermatasi nel IX sec a.C (e preceduta dalla cultura proto- villanoviana, diffusasi alla fine dell’età del Bronzo). La civiltà villanoviana si aprì a sollecitazioni commerciali e culturali con il Vicino Oriente e con la Grecia, e ciò diede avvio a uno sviluppo in senso urbano e monumentale. Nell’VIII sec i villaggi villanoviani furono trasformati assumendo la forma di città e dando avvio alla civiltà propriamente etrusca. Essa si articolava in città stato (affini alle poleis greche) connesse tra loro da vincoli religiosi e politico-economici. Esse erano rette da re detti “lucumoni” (toga di porpora, trono e scettro poi trasmessi ai romani); ogni anno i lucumoni eleggevano uno zilath, o pretore, incaricato dell’organizzazione di celebrazioni per lo più religiose. Si trattava di una società aristocratica, probabilmente a base schiavile. Tra le principali città ricordiamo: Veio, Caere (Cerveteri), Tarquinia, Vetulonia, Chiusi, Volterra, Felsina (Bologna), Capua, Pontecagnano, Aleria (in Corsica). Le 12 maggiori città dell’Etruria si costituirono nella Lega dei Dodici Popoli, il cui centro era il santuario di Voltumna (nelle vicinanze di Volsinii). Era popolato da genti latine, il cui territorio originario includeva: la fascia tirrenica a sud-est del Tevere fino al Latium Vetus (Terracina); a nord la pianura tra il Tevere e i Monti Tiburtini e Prenestini; al centro i Monti Albani. La pianura costiera era abitata dai Laurentes e dai Rutuli. Secondo tradizione, il re del popolo latino era LATINO (discendente degli aborigeni e figlio del dio Fauno) che accolse Enea nel suo territorio dandogli in sposa la figlia Lavinia. Il figlio della coppia, Silvio, fu il capostipite dei re latini che regnarono sul Lazio e Albalonga, collegando così Enea con la fondazione di Roma da parte di Romolo. Questa civiltà subì culturalmente anche l’influsso dei popoli protostorici, con l’immissione di elementi esterni di origine osco-umbra, equa, volsca. Principali città: Satrico, Ardea, Preneste, Lavinio, Gabii. Particolare importanza assunsero le aree sacre, come il santuario di Lavinio e di Nemi, attorno a cui si sviluppò la Lega delle città latine. Nel VI sec, si rafforzò il processo di urbanizzazione e monumentalizzazione. A seguito della crisi del V secolo s’impose l’egemonia di Roma. Fatta eccezione per gli Etruschi e i Latini, l’area centrale era occupata da un fondo etnico variegato e indistinto, ma si possono comunque individuare popolazioni connotate con caratteri specifici: •Sabini o Sabelli, (radice etimologica alla base di Samnium e Sanniti), stanziati a cavallo dell’appennino abruzzese, tra le Valli dell’Aterno, del Nera, del Tevere e dell’Aniene. •Piceni, sul versante medio- adriatico, dall’Abruzzo alla Romagna •Equi, (centri Trevi, Carsoli, Alba Fucens) •Marsi, disposti attorno al bacino del Fucino, con centro Marruvium •Volsci, dal V sec, si estendono dall’alta valle del Sacco alla pianura pontina •Umbri, stanziati al di là dell’Appennino, fino al litorale adriatico e alla Romagna. Fra i centri principali: Gubbio (Iguvium), Todi (Tuder), Assisi, Spoleto. Uno spaccato della religione umbra è fornito dalle Tavole Iguvine, sette lastre di Bronzo databili tra III e I a.C, redatte in parte in alfabeto di derivazione etrusca in parte in alfabeto latino, ritrovate a Gubbio nel XV secolo. ITALIA MERIDIONALE E ISOLE Prima della colonizzazione greca dell’Italia meridionale, questa era abitata da diverse popolazioni locali. Zona pugliese Zona centrale Sicilia Sardegna •Iapigi, in tutta ‘area pugliese fino all’800 a.C, quando subentrarono anche altri stanziamenti: •Dauni (nord) •Peucezi (centro) •Messapi, in Salento. Il ceppo iapigio, di lingua indoeuropea, si oppose ai greci e ai Lucani, mantenendo in un certo periodo una certa indipendenza. Famosa la ceramica policroma con decorazione geometrica. Cultura aristocratica con divisioni di classe e senza città strutturate: prevaleva l’organizzazione in villaggi. •Lucani •Enotri, inizialmente occuparono il tratto tra Taranto e lo stretto di Messina, spingendosi poi verso l’interno montuoso e interagendo con i centri coloniali greci della costa ionica. •Ausoni, zona Campana, ma anche in Calabria. (ad essi in origine si affiancavano gli Osci – o Opici-) •Sanniti, nell’ Appennino Campano, che si espansero a partire dal V sec. •sull’estrema punta della Calabria: Morgeti e Itali. Prima della colonizzazione greca, l’isola era abitata da: •Sicani, popolo pre-indoeuropeo. Zona interna della regione •Elimi, ritenuti immigrati dopo la guerra di Troia e stanziati nell’estremità ovest dell’isola. (Segesta) •Siculi, area orientale della Sicilia. La fondazione della colonia di Nasso (774 a.C) e poi quella di Siracusa segnarono l’inizio della colonizzazione greca •Sardi, popolazione ricollegata all’Iberia e all’Africa sett. Già a partire dal II millennio, elaborarono una particolare forma di civiltà, nota come nuragica e imperniata su costruzioni troncoconiche (nuragi). Era una società gentilizia, organizzata in potentati e dominata da proprietari di mandrie di bestiame, con base schiavile e che intratteneva commerci d’oltremare. Successivamente dal IV secolo, Cartagine stabilì la sua supremazia sull’isola. completamente escluso dalla vita politica): partecipavano ai comizi curiati, potevano diventare senatori o sacerdoti, nell’esercito avevano il ruolo di capi. All’interno di ogni gens vi erano le familiae, gruppi minori con a capo un pater familias (con liberti e schiavi). Per Familia si intendeva tutto ciò che sottostava al pater familias (animali, cose, moglie, figli, figli adottivi, schiavi, liberti, clientes). Egli creava nuovi cittadini: si diventava cittadini a tutti gli effetti quando il pater presentava pubblicamente il figlio nel Foro; il neo-cittadino indossava la toga bianca dei cittadini romani adulti durante i Liberalia, festa del 15 marzo. Tria nomina: Il sistema onomastico dei Romani rivelava l’origine e la condizione sociale di ogni singolo individuo. In età arcaica si usava spesso un solo nome (Romolo ad esempio, il mitico fondatore), oppure due, secondo un uso sabino (come Tito Tazio, appunto re dei Sabini). Ma in seguito tra l’aristocrazia romana si impose l’uso di tre nomi (i tria nomina): il prenome(praenomen), corrispondenti ai nostri nomi propri (e di norma abbreviato, L-lucius, M-marcus, T- titus). Ve n’erano in numero limitato (Gaio, Tiberio, Manlio, Publio ecc.). I patrizi, in particolare, ne usavano pochissimi, una trentina, che tendevano a ripetersi sempre uguali all’interno di una famiglia. Solitamente il padre dava al primogenito lo stesso suo prenome, che invece variava per gli altri figli, spesso in relazione all’ordine nella nascita (Quinto, Sesto) o al tempo (Lucio, per esempio, era tradizionalmente imposto ai nati “con la luce del giorno”). Il nome (nomen) era invece quello della gens a cui si apparteneva, dunque indicava immediatamente la condizione aristocratica di chi lo portava. il cognome (cognomen) corrisponde più o meno a ciò che noi definiamo soprannome ed era in origine facoltativo. Divenne col tempo necessario a causa delle molte omonimie. Trasmettendosi di padre in figlio divenne un’indicazione del ramo familiare all’interno della gens. Alcuni cittadini romani, famosi per aver compiuto qualche particolare impresa (o caratterizzati da particolarità fisiche molto riconoscibili) ricevevano poi un ulteriore soprannome, come nel caso di Publio Cornelio Scipione Africano, il vincitore della battaglia di Zama, in Africa, nella Seconda guerra punica. I liberti prendevano il nome del loro ex padrone, e usavano loro nome come cognomen; i figli adottivi prendevano il nome gentilizio del padre e come cognomen usavano un aggettivo derivante dal loro vecchio nome. Le donne portavano solo il nome gentilizio (no voto, no capacità giuridica) (matrimonio, solenne: confarreatio, semplice: coemptio). - I PLEBEIàclasse composta da una vasta tipologia di persone libere, ma senza diritti. (contadini, artigiani, commercianti). I matrimoni tra patrizi e plebei erano severamente proibiti. - CLIENTES à persone libere, ma senza diritti che si ponevano al servizio delle famiglie patrizie, ottenendo in cambio una certa protezione e aiuto economico. Il cliente giurava fedeltà totale al patrizio (patronus), e lo sosteneva con il suo lavoro, con i suoi beni (se ne aveva), con l’appoggio politico (se aveva diritto di voto come accadde in epoche successive), con le armi. Il rito con cui entrava a sotto la protezione di un pater era l’adplicatio, consistente nel mettersi in ginocchio. Aggiungeva al suo nome quello della gens del suo patrono, perciò abbandonava il proprio culto domestico e riconosceva come propri gli dei della gens del patrono. Se veniva meno ai suoi impegni era considerato un traditore e veniva accusato di spergiuro e bandito dalla società come nemico di Giove. Nel corso della successiva storia di Roma, i clientes costituiranno efficaci gruppi di pressione politica. - SCHIAVIà privi di diritti e dignità, appartenevano al paterfamilias ed erano uno strumento di lavoro. Alla morte del capofamiglia passavano in eredità ai successori. (divenivano schiavi: figli nati da madre schiava, debitori insolventi, prigionieri di guerra. Questi ultimi venivano portati a Roma e venduti all’asta. Non potevano contrarre matrimoni validi e perciò i suoi figli erano illegittimi e sempre di proprietà del padrone. Lo schiavo poteva tornare libero se il padrone avesse deciso di affrancarlo con la pratica della manumissio –effettuata o con testamento o con l’intervento di un garante davanti ai magistrati- divenendo così liberto, ottenendo la libertà e i diritti civili (status libertatis e status civitatis. In Grecia solo status libertatis), ma mantenendo un rapporto di fedeltà (obblighi morali e civili) con l’ex-padrone. Diveniva perciò un cliente fedele al suo padrone. ISTITUZIONI. ETA’ MONARCHICA SENATO (<da senes anziani) à assemblea dei senatori, eletti dalle grandi famiglie aristocratiche: uno per ogni gens. Inizialmente era composto da 100 senatori, ma col tempo il numero fu raddoppiato (200), e infine triplicato (300 – da Prisco). L’organo sceglieva al suo interno il re e lo affiancava nell’azione di governo. COMIZI CURIATI à assemblea in cui si radunavano i gentiles delle 30 curie per provvedere alla formazione dell’esercito, per svolgere pratiche religiose, per eleggere i senatori e riconoscere il re eletto dal senato. RIFORMA SERVIANA Secondo la tradizione Servio Tullio intraprese una riforma del sistema politico romano, che prese il nome di “riforma serviana”: al posto della tradizionale suddivisione basata sulla nascita e quindi sull’appartenenza a famiglie, introdusse una divisione della popolazione con diritti politici in 6 classi basate sul censo, sulla ricchezza (calcolata in assi, l’unità di conto monetaria). Ogni classe, in proporzione alle proprie possibilità, aveva un impegno economico nel fornire l’esercito di un numero diverso di centurie. Di conseguenza: Attribuzione di maggiori diritti politici a chi poteva contribuire alla costruzione dell’esercito. Così Roma strutturò l’esercito, che nei secoli successivi permise la conquista della penisola. Venne istituita una nuova assemblea popolare: • COMIZI CENTURIATI à ogni classe aveva tanti voti quante erano le centurie che forniva all’esercito, con una prevalenza del peso politico delle classi superiori. Col tempo i comizi centuriati acquisirono una funzione sempre più importante nella vita politica romana e sostituirono quasi totalmente nel corso del V secolo i comizi curiati (che però non furono aboliti). Il nuovo sistema permise di inserire nelle classi superiori i “nuovi ricchi” che non appartenevano alle antiche famiglie patrizie: in questo senso la riforma ebbe un effetto anti-aristocratico, sostituendo al criterio della nascita quello del successo economico Ci fu anche una divisione territoriale diversa (definitasi nel corso del V secolo) in 4 tribù urbane (Suburana, Palatina, Esquilina e Collina) e 16 tribù rustiche, cioè poste fuori le mura. La suddivisione per censo e quella per nuove tribù portò alla costituzione di nuove gentes di origine plebea. La reazione dell’aristocrazia alla riforma e la crescente ostilità verso una monarchia straniera sempre più autoritaria potrebbero meglio spiegare la cacciata dell’ultimo re nel 509 a.C. RELIGIONE La religione sin dalle origini svolse per i romani la funzione di garanzia della coesione sociale e della stabilità delle istituzioni ad ogni livello. (religione e politica di pari passo). In epoca antica gli abitanti dei colli del Tevere adoravano divinità legate ai lavori agricoli, genericamente chiamate “numina”. Poi si assimilarono le divinità elleniche (vedi Giove –Zeus, Giunone –Era, Marte) (sincretismo). Divinità di origine romana sono: Quirino (Romolo divenuto dio) e Vesta, protettrice del focolare domestico. Ogni famiglia aveva poi le divinità del proprio focolare domestico, culto presieduto dal paterfamilas: i lari, (protettori della casa) e i penati (protettori della dispensa e della famiglia, progressivamente identificati con gli antenati). I romani concepirono sempre il rispetto degli dei come un dovere civico, per questo regolarono le istituzioni religiose con la stessa cura di quelle politiche. Ordini di sacerdoti: - PONTEFICIà avevano la supervisione generale del culto e erano chiamati ad interpretare il diritto, sia religioso che civile. Il re ne presiedeva il collegio in qualità di pontifex maximus. - I FLAMINI (Flamines)à cui era affidato il culto di Giove, Marte e Quirino, e delle divinità maggiori del pantheon romano (più antico sacerdozio.) -I SALII à compivano riti propiziatori in caso di guerra -GLI ARVALIà purificavano i campi - I FEZIALI àassicuravano la sacralità delle alleanze -LE VESTALI à Vergini consacrate a Vesta che mantenevano sempre vivo il fuoco nel suo tempio, simbolo della vitalità della città. Erano scelte e controllate dal pontifex maximus. Interpreti del volere degli dei: Auguri (leggevano il volo degli uccelli e i fenomeni atmosferici, dando avviso al popolo al senato, -e, più in la- ai magistrati- bloccando se necessario le attività pubbliche) e arùspici (esperti etruschi che leggevano il fegato degli animali). Una cera importanza aveva anche il collegio dei duumviri, poi decemviri e infine quindecemviri sacris faciundis, incaricati talora dal Senato di consultare i Libri Sibyllini, raccolta di indicazioni oracolari attribuite alla sibilla di Cuma (che secondo leggenda le avrebbe venduti a Tarquinio il Superbo). Il ruolo di tutte queste figure era inscindibilmente religioso e politico. SEZIONE II: ROMA REPUBBLICANA Periodizzazione: ETÀ REPUBBLICANA: 509 a.C. à31 o 27 a.C. L’età repubblicana può essere a sua volta suddivisa in più periodi: 1. ETA ALTO-REPUBBLICANA (509 – 367 a.c) Il passaggio Monarchia repubblica avviene alla fine del VI secolo. Roma fu una città governata da un senato, da una serie di magistrature repubblicane elettive annuali e di comizi (assemblee cittadine, il cui peso e i cui equilibri di forza mutarono nel tempo). È l’età delle lotte tra patrizi e plebei, conclusesi appunto con le leggi Licinie-Sestie del 367 a.C. che consentirono l’accesso al consolato anche a membri di famiglie plebee e la formazione della nobilitas patrizio-plebea che avrebbe guidato l’espansione di Roma in Italia e nel Mediterraneo. 2. L’ETÀ MEDIOREPUBBLICANA (367 -133 a.C.), è detta anche ETÀ DELL’IMPERIALISMO / REPUBBLICA IMPERIALE. È il periodo dell’espansione di Roma in Italia e nel Mediterraneo, caratterizzato da enorme compattezza politico-istituzionale all’interno. Soprattutto a partire dalla seconda guerra punica – decisiva per il futuro assetto del Mediterraneo e per il destino egemonico di Roma – si assiste a profondissime trasformazioni nel corpo civico dovute all’afflusso ingentissimo di ricchezza e al potere acquisito dalla classe dirigente romana in seguito alle vittorie militari. Anche l’economia romana subisce un’accelerazione decisiva. Questa fase segna: - Espansione di Roma - Crisi dell’ “istituzione repubblica” (si manifestano i germi della crisi repubblicana) 3. L’ETÀ TARDOREPUBBLICANA (133 al 31 o 27 a.C), è detta anche l’ETÀ DELLA CRISI DELLA REPUBBLICA. Con il tribunato di Tiberio Sempronio Gracco nel 133 a.C. e l’esplosione della questione agraria tutte le intense trasformazioni accumulatesi nelle strutture della società romana negli ottanta anni precedenti producono una sanguinosa crisi politico-istituzionale, aperta dall’assassinio del tribuno nel luglio 133 a.C. Da questo momento e per un secolo Roma mantiene e amplia la sua egemonia ecumenica e non conosce difficoltà economiche, ma il suo apparato istituzionale si sfalda e la compattezza del corpo civico viene meno (Guerre sociali e guerre civili: Cesare, i Gracchi, Optimates e Populares, Silla e Mario). Ciò porterà alla nascita del principato: secondo alcuni esso parte dalla vittoria di Ottaviano su Antonio a Anzio nel 31 a.C, secondo altri nel 27 a.C quando Otaaviano ricevette il titolo di Augustus. CAP 1. AVVENTO DELLA REPUBBLICA. ETA’ ALTO-REPUBBLICANA. Le famiglie dell’aristocrazia patrizia, non accettando il crescente potere della monarchia (straniera e sempre più autoritaria) cacciarono nel 509 Tarquinio il Superbo e istaurarono a Roma la Repubblica (< res publica, “cosa di tutti”, anche se come vedremo fu da subito guidata dall’oligarchia dei patrizi, unici che potevano sedere in senato). Secondo la leggenda, il ratto della moglie di Collatino Lucrezia da parte del figlio del re Lucio, provocò una congiura di patrizi romani guidati da Giunio Bruto che, aiutato da Publio Valerio Publicola, scacciò il tiranno. Organi preposti a reggere lo stato sono: le magistrature, i comizi, e il senato. La città si affida a istituzioni basate sulla divisione dei poteri e su magistrature annuali e collegiali àautorità elettive e di breve durata che dovevano evitare l’accentramento dei poteri nelle mani di una sola persona o clan. Le cariche erano onorifiche, cioè non retribuite. La principale innovazione fu l’istituzione del consolato. 2 consoli (“coloro che si consultano”), eletti per 1 anno dai comizi centuriati, e scelti tra i patrizi. Avevano entrambi gli stessi poteri e nessuno dei due poteva imporre una decisione senza aver prima consultato l’altro Essi avevano piena autorità (imperium), cosa che si manifestava anche nei simboli associati alla loro persona, come i 12 littori che li scortavano ciascuno di loro. Non avevano il potere legislativo (quello di stabilire le leggi), né il potere religioso , come nel caso del re, ma avevano: - Potere esecutivo sull’esercito e nell’amministrazione giuridica. Supremi capi dell’esercito, giudici, e presidenti delle assemblee. facevano rispettare le leggi; Entro il Pomerio il loro potere era limitato dalla possibilità di appellarsi al giudizio dei comizi popolari; fuori da esso, il potere consolare era di tipo militare e pressoché assoluto. Inizialmente erano detti praetores (“coloro che marciano a capo dell’esercito” e comunicavano con gli dei tramiti gli auspici, durante le elezioni e prima di iniziative importanti). Alla fine del mandato potevano essere chiamati a render conto davanti al Senato o al popolo. Un console non poteva essere rieletto se non dopo 10 anni. In caso di scomparsa violenta dei due consoli, c’era la breve magistratura dell’interrex, scelto dai senatori (unica carica che i patrizi riuscirono a mantenere dinanzi alle rivendicazioni della plebe) e in carica per 15 giorni col compito coordinare l’elezione dei nuovi consoli e trasmettere loro gli auspici. In casi eccezionali, come una grave minaccia esterna, i consoli, con il senato, potevano eleggere un dictator (detto anche magister populi), le cui decisioni (decreti) avevano valore di leggi indiscutibili, e che era l’unica guida suprema dell’esercito. Aveva come suo collaboratore subalterno un magister equitum, capo della cavalleria. Durata carica: massimo di 6 mesi. Non poteva dichiarare guerre o imporre tasse. 2 questori, coadiuvavano i consoli nell’esercizio della giustizia ( processi penali) e gestivano la cassa di denaro pubblico, detta aerarium. Prima venivano nominati dai consoli, poi vennero eletti (dal 447 a.C.) dal popolo, nei Comizi Tributi in numero di due; dal 421 a.C. poterono accedervi anche i plebei e così divennero quattro, dei quali due rimanevano a Roma (quaestores urbani) ad amministrare l'erario (quaestores aerarii) e gli altri due, invece, rimanevano al fianco dei consoli. Il Senato in età repubblicana ebbe una centralità decisiva: era l’unico organo politico stabile, che garantiva la continuità politica, e perciò aveva un forte potere di indirizzo e di controllo su tutta la vita pubblica. Potevano far parte del Senato solo gli ex-magistrati (in una prima fase solo ex consoli e ex pretori, e perciò all’inizio roccaforte del patriziato, successivamente tutti gli altri). Composto da 300 membri, divisi in Patres – ex consoli patrizi- e i Conscripti – (aggiunti) quando dalla seconda metà del V secolo potevano diventare senatori anche i plebei. Il Senato: - Aveva ruolo consultivo determinate: i magistrati prima di prendere le decisioni più importanti chiedevano un “senatus consultum” (senatoconsulto) ossia il parere del Senato; anche se questo pronunciamento non era vincolante, i magistrati (destinati poi a entrare nel consiglio) difficilmente si mettevano in contrasto con esso. - Rappresentava Roma: riceveva ambasciatori, redigeva trattati di pace alla fine dei conflitti e le condizioni di vinti e conquistati. Tale ruolo è esemplificato nella formula senatus populusque romanus (S.P.Q.R) (=il senato e il popolo romano), apposta su tutte le deliberazioni della repubblica. Fin dai primi decenni della repubblica, l’importanza del contributo dei plebei allo sviluppo della città crebbe enormemente grazie alla loro partecipazione alla composizione dell’esercito, ma essi non avevano alcun diritto politico e non potevano assumere cariche pubbliche (riservate ai patrizi), non potendo in alcun modo influire sulle decisioni dello Stato. Lo strapotere patrizio e il crescente divario economico tra ricchi e poveri, provocò il malcontento di questa classe sociale che cercò di conquistare maggiori diritti politici grazie al ricorso ripetuto alla secessione (forma di protesta consistente nel rifiuto di partecipare alle assemblee e di prestare servizio militare per un certo periodo di tempo). La secessione più importante fu: CONSOLI DICATATOR: magistratura straordinaria QUESTORI La centralità del Senato (e del patriziato) La questione sociale: le prime lotte dei plebei per affermare i propri diritti CAP 2. ROMA ALLA CONQUISTA DELL’ITALIA. POLITICA ESTERA TRA V e III sec a.C ❃ROMA AFFERMA IL SUO PRIMATO NEL LAZIO • Trattato con Cartagine: 509-508 a.C Roma iniziò a svilupparsi economicamente: i suoi commerci e i primi scambi effettuati via mare portarono (come riporta Polibio) al primo trattato con Cartagine, datato al primo o al secondo anno della repubblica. Esso: - Regolava la compravendita delle merci e fissava distinte aree di influenza - Garantiva a Roma il controllo della costa laziale a sud del Tevere • La minaccia del re etrusco Porsenna. Sventata Pochi anni dopo la fondazione della repubblica, un esercito della federazione delle città etrusche guidato dal re Porsenna, conquistò Roma. Egli tentò anche di sottomettere i Latini a sud di Roma, ma fu sconfitto ad Aricia, grazie all’intervento a fianco dei Latini dei Greci di Cuma, e dovette ritirarsi dalla regione. • Roma e i Latini: Lago Regillo (496) e Foedus Cassianum(493). Cominciò un periodo di ostilità tra Roma e le città laziali, che culminò nella Battaglia del lago Regillo (496 a.c), in cui i Latini furono sconfitti e privati di parte delle loro terre. La pace fu raggiunta nel 493, grazie al console Spurio Cassio, quando fu stipulato il Foedus Cassianum: Romani e Latini crearono la lega Latina, che poteva fondare colonie latine. - Eserciti federali e reciproca assistenza militare tra romani e latini - Comando alterno dell’esercito - Spartizione dei bottini di guerra e matrimoni misti. Tra loro vigeva lo Ius latinum. Nel 486 gli Ernici si legano ai romani con un trattato analogo. Il sistema di alleanze sarà strategico per fronteggiare le mire espansionistiche nel Lazio dei Sabini, Equi, Volsci. • Guerre nel V sec contro popolazioni sabelliche degli Equi e Volsci / Etruschi Il Lazio occidentale, vista la pace, divenne un’area economicamente importante, che attirò l’attenzione dei popoli appenninici sabellici, Equi e Volsci, che miravano alla costa. Per questo Roma accolse nel proprio corpo civico gentes sabine, come i Claudii e i Valerii. I Volsci si stanziarono sulla costa, specie a Terracina, Anzio, Velletri, e contro di loro combatté Marcio Coriolano, strappando la città di Corioli. Il confronto contro questi nemici comuni impegnò romani e latini per 30 anni. Allo stesso tempo, crescente era la pressione etrusca: a nord del Tevere città etrusche erano Veio (definita da Livio urbs opulentissima) e Caere. Nel 477 si ha notizia di una guerra contro Veio sul fiume Cremera guidata dai Fabii, ma che fu una sconfitta. Tra Roma e Veio c’era un’antica rivalità per il controllo delle saline alla foce del Tevere. Nel 406 iniziò l’assedio di Veio, durato per 10 anni: Veio fu distrutta definitivamente nel 396 (anche grazie all’alleanza della città di Tuscolo), e i suoi territori furono annessi ai domini di Roma. Questo conflitto: - Portò a una ostilità tra Roma e Latini - Rese necessaria l’istituzione di un soldo militare per permettere ai soldati di sopravvivere senza lavorare la terra, finanziata da una tassa pagata da chi era troppo anziano per partecipare alla guerra. - Riflessi economici della conquista: create nuove 4 tribù rustiche, per un totale di 25 tribù. • L’invasione dei celti (390 a.C) mette in pericolo la nascente potenza romana. I Celti (popolo nomade proveniente dall’Europa centrale), chiamati galati dai Greci e galli dai romani, a metà del V secolo occuparono le città etrusche della pianura padana. Parte di essi, guidati da Brenno, si diressero verso l’Italia centro-occidentale e nel 390 conquistarono Chiusi. La via per Veio e Roma era così aperta a Brenno, che sconfisse i romani presso il fiume Allia: i Galli entrarono a Roma, saccheggiata e messa fuoco (tranne il Campidoglio). Roma evitò il completo annientamento grazie al pagamento di un pesante riscatto (e grazie, secondo tradizione, a Furio Camillo). I Galli proseguirono così la loro spedizione verso sud. • Egemonia di Roma su Lazio: guerra latina (340-338). se le scorrerie dei Galli avevano definitivamente indebolito la potenza etrusca e anche la forza dei popoli latini, Roma riguadagnò notevolmente potenza e approfittò della debolezza dei vicini per imporre la sua egemonia sul Lazioà i latini furono più volte sconfitti e nel 338 a.C la Lega Latina venne sciolta e venne aggiunto l’ager Falernus, con una nuova colonizzazione agraria e la creazione di 2 nuove tribù rustiche. Roma impose la sua supremazia sul Lazio e su parte della Campania. Alcune città (Tuscolo) vennero annesse ai territori della città, ad altre venne lasciata una certa autonomia in cambio di trattati di alleanza che li ponevano comunque in condizioni di inferiorità (metodi di controllo illuminati, volti a creare con Roma interessi comuni e vincoli indissolubili). Ai popoli latini Roma concesse importanti privilegi: alle città fedeli à piena cittadinanza romana; a quelle sconfitte e costrette a stringere alleanza coi romani à cittadinanza senza suffragio, ossia senza diritto di voto. Avevano comunque dei vantaggi nei rapporti commerciali con Roma, nella possibilità di diventare cittadini a pieno titolo attraverso il matrimonio con romani o il trasferimento nella città. Roma aumenta la sua potenza commerciale: - 348, secondo trattato con Cartagine (siglato in funzione antisiracusana) - 306, terzo trattato con Cartagine. ❃ROMA ALLA CONQUISTA DELL’ITALIA CENTRALE: LE GUERRE SANNITICHE. Mentre Roma si rafforzava nell’attuale Lazio, nel corso del V secolo i Sanniti (popolo italico di pastori e agricoltori, di stirpe sabellica, stanziato da secoli nei rilievi e nelle valli dell’Appennino centro-meridionale, tra Abruzzo e Molise) si mossero verso ovest, spinti dalla propria crescita demografica e in cerca di nuovi pascoli e regioni pianeggianti migliori. La loro mobilità fu provocata da cause economiche e particolare interesse suscitò la grande pianura tirrenica della Campania, per la qualità delle sue terre e gli accessi al mare. Essi si impadronirono nel 423 dell’etrusca Capua, e nel 421 della greca Cuma, venendo a contatto con la civiltà greca e dando vita a una civiltà più evoluta (rispetto al popolo delle montagne da cui discendevano), in cui il potere politico era detenuto dagli equites campani (rappresentanti dell’aristocrazia osco- sannita). Gli Osco-campani delle pianure, etruscizzati e grecizzati, si erano profondamente diversificati dalle popolazioni sannitiche appenniniche (legate a forme culturali meno evolute), e tra essi non correvano rapporti di buon vicinato, tanto che (come abbiamo visto) i campani accettarono il predominio di Roma, che poteva difenderli dagli attacchi dei popoli appenninici. I Sanniti (dell’Appenino) erano politicamente riuniti in un’organizzazione federale (nota come touto e con a capo un meddix tuticus) che riuniva vari pagi, (circoscrizioni montane abitate d vari populi – Caraceni, Irpini, Pentri, Caudini- e ciascuna guidata da un meddix, capo militare e amministratore della giustizia). Capitale della federazione era Bovianum Vetus. Le mire espansionistiche dei sanniti, intimorivano Roma, e nel 354 venne stipulato un accordo romano Sannita, che definiva le rispettive aree di influenza. I due contraenti nutrivano interesse per la valle del Liri. Tuttavia Roma non poté ignorare la minaccia rappresentata dalla loro crescente potenza ai propri confini, né le loro mire espansionistiche verso le zone campane di comune interesse, e perciò lo scontro tra i due popoli fu inevitabile: il conflitto fu lungo e difficile e durò circa 50 anni, periodo in cui si possono individuare 3 guerre-sannitiche. 1) PRIMA GUERRA SANNITICA (343-341 a.C) Il primo conflitto fu innescato dalle annose rivalità tra i Sanniti dell’Appennino da un lato, e i Campani e Sidicini (abitanti di Teano) dall’altro. La prima guerra sannitica scoppiò nel 343 quando la città di Capua, minacciata dai Sanniti, invocò l’aiuto dei romani in sua difesa. Per aggirare l’ostacolo dell’alleanza romano-sannita questi popoli fecero atto di deditio a Roma, circostanza che in virtù del concetto di fides, obbligava moralmente i romani all’intervento in Campania contro i precedenti alleati. La guerra non ottenne i risultati sperati perché i Sanniti si rivelarono combattenti organizzati e ben armati, e perciò si concluse nel 341 a.C con una situazione di parità e con il ripristino dell’accordo precedente. Negli anni successivi Roma rafforzò il suo potere su parte della Campania e continuò a fondare colonie, come quella di Fregelle (328) che sbarrò ai Sanniti la strada della valle dei Liri verso la Campania e ogni accesso alla costa occidentale. 2) SECONDA GUERRA SANNITICA (327-304 a.C) Ebbe come causa scatenante lo scoppio nel 327 di un conflitto interno a Napoli, tra i Paleopolitai, (il popolo/ forse antichi esuli da Cuma) favorevoli ai Sanniti, e l’aristocrazia greca che dominava la città, che chiese l’intervento dei romani per liberarsi dai Sanniti. Il compito di condurre l’assedio fu affidato al console Q. Publilio Filone (vedi riquadro di approfondimento sotto). Napoli fu riconsegnata alla classe dirigente greca, ma strinse un’alleanza con Roma che apriva la strada al controllo sul suo importante porto commerciale. Ma la guerra con i sanniti proseguì, e le prime fasi del conflitto, combattute nel Sannio, furono sfavorevoli per i romani, inesperti dei luoghi e non abituati a combattere in territorio montano: nel 321 vennero accerchiati e sconfitti presso Caudium (gola montana tra Benevento e Caserta) e due legioni fatte prigioniere furono umiliate e costrette (in segno di sottomissione) a passare sotto un gioco di lance, le cosiddette Forche Caudine. Roma accettò una tregua e cedette ai Sanniti la colonia di Fregelle. La durissima sconfitta indusse i romani a modificare la tattica militare, riorganizzando le legioni in manipoli, ossia piccole unità di combattimento di 200 uomini, in grado di muoversi agevolmente in territori angusti e di effettuare rapide azioni di ripiegamento. Inoltre Roma strinse accordi con le popolazioni dell’Apulia che si sentivano minacciate dai Sanniti e fonda nuove colonie (Luceria). La guerra riprende nel 315, e Roma dovette fronteggiare l’ostilità di diverse popolazioni/nationes (Ernici, Marsi, città etrusche) che tentavano di ribellarsi a Roma approfittando del conflitto. Dopo una prima sconfitta dei romani di Q. Fabio Rulliano a Lautulae (strettoia nei pressi di Terracina), essi ebbero una rivincita sul lago Vadimone (310 – episodio che sancì il declino delle città etrusche e l’egemonia romana su di esse). Le operazioni militari si concludono a favore dei romani nel 305 nella battaglia di Boviano. I Sanniti mantennero inalterato il territorio, ma erano ormai accerchiati dalle colonie dedotte da Roma. In seguito alle sconfitte i Sanniti abbandonarono la Campania. 3) TERZA GUERRA SANNITICA (298-291 a.C) Abbandonata la Campania i Sanniti crearono una coalizione contro Roma stringendo alleanze con umbri, sabini, galli senoni ed etruschi. Il conflitto scoppiò nel 298. I romani sconfiggono gli Etruschi prima a Volterra (298) e poi nel 295 a Sentino, in Umbria (scontro che alcuni autori antichi, per via dei popoli della coalizione, chiamarono, “battaglia delle nazioni”. Secondo tradizione ciò sarebbe avvenuto grazie al sacrificio del console Publio Decio Mure, lanciatosi solo verso il nemico. Livio la delinea con tono sacrale – cerva e lupo apparsi ai due schieramenti, simbolo di Diana e Marte). Sconfitta la coalizione, la guerra contri i Sanniti si protrasse per altri 5 anni, concludendosi nel 290 quando il console Manio Curio Denato annetté la Sabina e li costrinse alla pace. La pace prevedeva la confisca di parte del territorio sannita e l’imposizione di essere socii – ai quali era fatto divieto di avere rapporti politici internazionali a prescindere dai legami con Roma-. Fu una figura rivoluzionaria di questi anni. -339, durante la guerra latina, era stato nominato dittatore e la sua, a detta di Livio, era stata una “dittatura popolare” per via delle leges Publiliae -337, fu il primo pretore plebeo -327, durante la 2 guerra sannitica, fu il primo cui venne prorogato l’imperium consolare per le esigenze belliche di Napoli Vennero fondate nuove colonie in territorio sannita ( tra cui Maleventum e Isernia) e venne imposta l’alleanza ai Lucani, agli Apuli, agli italioti e ai Brutii, che persero parte della Sila; Nel territorio dei salentini, pesantemente agro multati, i romani dedussero la colonia latina di Brindisi. Alla Sabina fu riconosciuta la civitas sine suffragio. Una simile abbondanza di terre permise: - Colonizzazione - Distribuzione ai cittadini romani, e riserva di parte delle terre per vendita privata in lotti di 50 iugeri da parte dei questori ❃ROMA ALLA CONQUISTA DELL’ITALIA MERIDIONALE: GUERRA CONTRO PIRRO/ ROMA-TARANTO (282-272 ) Dopo aver ottenuto il controllo sull’Italia centrale, Roma poteva mirare a far parte degli Stati che dominavano il Mar Mediterraneo; ma per accedere all’area orientale di questo mare e divenire una potenza marittima, Roma doveva conquistare l’Italia meridionale. L’avanzata romana verso sud e il mondo greco (di cui avvertiva la superiorità culturale) era motivata da interessi mercantili. [Come vedremo il risultato fu raggiunto in pochi anni sfruttando le divisioni interne fra aristocratici e classi popolari delle città greche di Puglia e Calabria]. Verso la fine del IV sec la colonia greca di Taranto aveva assunto la leadership sulle poleis magno-greche vicine, indebolite dalle incursioni delle tribù montane e dai conflitti interni. Roma era legata a Taranto dal 303/302 dal trattato cautelativo di Capo Lacinio, che la impegnava a non inviare navi nello Ionio, oltre Capo Lacinio (a sud di Crotone). (ciò limitava i percorsi commerciali romani à altro motivo di dissidio) Il conflitto tra le due città scoppia nel 282, quando: - Roma accettò la richiesta di aiuto dell’aristocrazia della colonia di Turi (in guerra coi Lucani) inviando una guarnigione in città. (con modalità analoghe guarnigioni si insediarono anche a Reggio, Locri e Crotone) - Quando Roma per provocazione inviò 10 navi nelle acque dinanzi a Taranto violando i patti stipulati: i tarantini, circondata la piccola flotta romana, ne distrussero metà e misero in fuga l’altra parteà così il senato ebbe il pretesto per dichiarare guerra alla città (281). Taranto chiese l’aiuto di Pirro, re dell’Epiro (stato ellenistico sui Balcani affacciato sullo Ionio, corrispondente all’odierna Albania), il quale sognava di creare un dominio in Italia e nel Mediterraneo Occidentale, sostenuto militarmente e finanziariamente dai sovrani ellenistici (aveva già riportato vittorie sui regni ellenistici di Macedonia, Siria, Tracia ed Egitto). Pirro sbarcò a Taranto nel 280 con un esercito di 25.000 uomini, addestrato a combattere secondo lo schema della falange macedone e accompagnato da 20 elefanti (che i romani non avevano mai visto). Gli Epiroti sconfissero due volte i romani, a Eraclea (280) e Pirro si alleò in funzione anti-romana con Sanniti, Messapi, Apuli, Lucani, Bruzi, e con le città di Crotone e Reggio. Forte di ciò, Pirro vinse sui romani a Ascoli Satriano (279). Ma non furono vittorie decisive, tanto che Pirro ritenne opportuno intraprendere le trattative inviando a Roma Cinea: ma le trattative saltarono, sia per le parole di Appio Claudio, sia per l’appoggio promesso dai Cartaginesi, desiderosi di tenere Pirro lontano dai possessi siciliani. 278, accordo Roma-Cartagine di mutuo soccorso vs Pirro. Pirro sbarcò in Sicilia per affrontare i Cartaginesi che minacciavano le città greche: i risultati sull’isola non furono decisivi, anche perché le città temevano tuttavia le sue mire espansionistiche e non lo aiutarono né militarmente né finanziariamente. (errore tattico fatale) Tornato in Italia, si scontrò per l’ultima volta contro i romani: nel 275 i romani di Curio Dentato sconfissero Pirro a Maleventum, da allora Beneventum. Pirro abbandonò l’Italia e nel 272 Taranto e le città Magno-greche si arresero ai romani. Fu concesso loro di conservare una certa autonomia in cambio della fornitura di navi alla flotta romana (socii navales). Nel frattempo nel 273à conquista di Paestum e tra 265-264 Roma conquistò tutta la Toscana, dove le città etrusche si arresero. [è dalla sconfitta di Pirro che la storiografia greca si accorge davvero dell’emergente egemonia romana –es. lo storico Timeo di Tauromenio-. Come vedremo Roma diventerà la protettrice dell’ellenismo.] Oramai Roma agli occhi degli stati mediterranei era una potenza tanto che nel 273 Tolomeo II Filadelfio, re d’Egitto, manda un’ambasceria a Roma per chiedere un accordo di amicizia. Approfondimento - CENSURA DI APPIO CLAUDIO (312 a.C) Appio Claudio è l’unico uomo politico che per l’età medio-repubblicana possa essere confrontato con i grandi del II-I sec a.C. La sua censura fu un momento rivoluzionario degli assetti sociali a Roma nel tardo IV secolo. Di lui abbiamo un ritratto completo in Livio (trattazione che risente della sua ostilità verso i Claudii) e in Diodoro Siculo; il suo elogio si leggeva ancora in età augustea ad Arezzo. Nel 312 a.C fu censore, e durante l’incarico attuò una serie di innovazioni che mostrano un’apertura popolare. Infatti - Appio avvalendosi della facoltà del censore di cooptazione dei membri del senato (che era stato introdotto dal Plebiscito Ovinio), introdusse nel consiglio senatorio i figli dei liberti. - Stabilì che gli humiles si iscrivessero indistintamente nelle tribù urbane e rustiche. Perciò redistribuì i nullatenenti di terra, originariamente divisi nelle 4 tribù urbane, tra tutte le tribù allora esistenti, comprese quelle rustiche, che erano controllate fino a quel momento dall’aristocrazia terriera - Ammise per il calcolo patrimoniale anche i beni immobili (e non solo le terre), per cui un ricco mercante poteva essere iscritto alla prima classe di censo, che nei comizi centuriati era determinante. ( secondo Staveley, in questo modo Appio appoggiando i ceti mercantili, contribuì all’evoluzione degli assetti socio-economici, favorendo il passaggio da una Roma prettamente agricola, a una città dove importanti erano anche gli interessi commerciali). I consoli che l’avevano in odio, convocarono il Senato non secondo l’albo da lui redatto, ma sulla base di redazioni dei precedenti censori, respingendo così la sua riforma. Fabio Rulliano, insieme a Decio Mure, si affrettò a cancellare la riforma delle tribù, consentendo al popolo senza terra di iscriversi solo nelle tribù urbane. Il popolo invece era favorevole a queste innovazioni, tanto che nel 304 elessero come edile curule un plebeo cliente di Appio Claudio, Gneo Flavio, che rese pubblico il diritto civile custodito fino a quel momento negli archivi dei pontefici, ed espose il calendario dei giorni fasti, in cui potevano svolgersi azioni legali (ànacque così quello che i giuristi chiamano ius civile Flavianum, fondamento del diritto civile in età repubblicana); secondo Livio egli era inviso al popolo, e contò piuttosto sulla turba forensis, ossia sul ceto mercantile in ascesa. Diodoro dice che dopo la censura Appio Claudio si rintanò a casa fingendosi cieco per sfuggire all’odio del senato. Lo si ricorda anche per: -la costruzione della Via Appia che collegava Roma a Capua; -per l’acqua Appia, che portava le acque dell’Aniene a Roma; -la costruzione del tempio a Bellona, dea della guerra. La storiografia su questa figura ha scritto fiumi di inchiostro e ha espresso interpretazioni diverse: Alcuni vedono in lui una linea riformista di apertura; Altri una linea di conservazione (Appio Claudio nel plebiscito Ogulnio si oppose all’immissione dei plebei nei collegi degli auguri e dei pontefici). Per Mommsen à fu un demagogo antesignano di Cesare; per Niebuhrà fu reazionario ostile alla nuova nobilitas patrizio-plebea). Nel 247 Cartagine inviò in Sicilia il generale Amilcare Barca (padre di Annibale), che impegnò i romani in incursioni per terra e per mare. Perciò Roma con un ultimo sforzo (grazie al prestito forzoso imposto ai ricchi) armò un’altra flotta di 200 quinqueremi al comando del console Lutazio Catulo, che nel 241 distrusse la flotta cartaginese al largo delle isole Egadi, mettendo fine a 23 anni di guerra. Cartagine fu costretta a –cedere la Sicilia, che passa ai romani, -al pagamento di un’indennità di guerra dilazionata in 10 anni e –alla restituzione dei prigionieri senza riscatto. Appendice di questo conflitto fu la conquista romana della Sardegna 240. Qui I mercenari punici si ribellarono a Cartagine, che non aveva corrisposto il soldo pattuito. A Cartagine fu imposto una maggiorazione del tributo e la cessione della Corsica. Nel 227 a.C Sicilia, Sardegna e Corsica divennero entrambe le prime province romane (primo pretore in Sicilia Gaio Flaminio). ❃ L’INTERMEZZO: 2 GUERRE CONTRO ILLIRI e GUERRA CONTRO I CELTI. Tra la prima e la seconda guerra punica Roma fu impegnata su altri fronti di guerra: in Illiria (regione costiere sull’Adriatico, oggi Croazia e Albania) e in Gallia Cisalpina. 1° GUERRA ILLIRICA (230-229) Dal momento che i pirati illirici spadroneggiavano da un capo all'altro del Mar Adriatico danneggiando i commerci dei negotiatores, Roma si sentì in dovere contro di essi. Nel 230 il Senato inviò due ambasciatori presso la regina degli illiri, Teuta, la quale non solo non ascoltò le richieste ma provocò la morte di uno dei due legati e ciò fu visto dai senatori come una dichiarazione di guerra. Qualche successo di poco conto degli illiri non bastò a fermare l’imponente flotta romana, che costrinse alla resa la regina Teuta (229) alla quale furono imposte –la rinuncia ad ogni mira sulle città greche della Dalmazia liberate dai romani, -il pagamento di un tributo annuo a Roma e –che nessuna nave illirica si spingesse oltre Lisso. Al termine di questo conflitto Roma si affermava definitivamente nell'Adriatico, riuscendo ad annettersi alcuni luoghi nuovi. Roma affidò Demetrio di Pharos il governo delle isole e delle coste dalmate e rendeva suo tributario un regno prima considerato potentissimo. Conseguenza indiretta della guerra fu l'affermazione dell'amicizia greco-latina: Roma acquistò molte simpatie presso le popolazioni greche le quali, consapevoli della sua potenza sempre crescente, cominciavano a considerarla come una loro protettrice. A dimostrazione di ciò, i romani furono invitati da Corinto ai giochi Istmici del 228 a.C. Infine, Atene ammise i romani ai Misteri eleusini, equiparando così Roma non a una città barbara ma a una città greca. 2° GUERRA ILLIRICA (219) Demetrio di Faro, reggente dello stato illirico tributario di Roma, riprese azioni piratesche a Piros e nelle Cicladi e violò il trattato precedente. Nel 219 a.C. il Senato romano, assegnò il comando della flotta romana al console Lucio Emilio Paolo, che in brevissimo tempo occupò le principali roccaforti nemiche, a partire da quella dell’isola di Dimale: Demetrio dichiarò la resa e si rifugiò in Macedonia. LA CONQUISTA DELLA GALLIA CISALPINA Prima dello scoppio della seconda guerra punica, Roma completò l’unificazione dell’Italia sotto la sua egemonia, conquistando la fertilissima Gallia Cisalpina, evento che avrà conseguenze sulle strutture agrarie e sugli assetti socio-economici dell’Italia romana. Nel 232, il tribuno Flaminio Nepote, leader insieme a Claudio Marcello della plebe rurale, fece approvare la legge de agro Gallico Piceno viritim dividundo, secondo cui l’ager gallico e piceno veniva distribuito ai cittadini romani). Da ciò furono preoccupati i Galli Boi, i cui territorio confinava con quello romano presso la colonia di Ariminum (Rimini): perciò i Galli Boi promossero una grande coalizione antiromana (70.000 uomini) con gli Insubri (lombardia centrale), i Lingoni (sud del po) e i Gesati (tribù d’oltralpe). La minacciosa avanzata fu fermata da Roma nel 225 a.C a Talamone (in Maremma, Orbetello). I romani, guidati da Claudio Marcello, nel 222 sconfiggono gli Insubri a Clastidium e, subito dopo, conquistano la capitale del territorio gallico Mediolanum (Milano). A suggello di queste vittorie nel 218 vennero fondate le colonie di Piacenza e Cremona. Altri eventi in questo intermezzo: •create in Sabina, nel 241, le ultime due tribù rustiche (Velina e Quirina) per un totale di 35. •riforma dei comizi centuriati, attribuita a Gaio Flaminio, che furono maggiormente vincolati all’ordinamento per tribù. Gaio Flaminio inoltre si rese di nuovo inviso ai nobili, appoggiando il tribuno Quinto Claudio, che fece approvare una legge/lex Claudia (218) che vietava la magna mercatura ai senatori e ai loro figli. (questi ultimi spesso aggirarono la legge con dei prestanome) ❃ SECONDA GUERRA PUNICA (219-202 a.C) – guerra annibalica: circa 16 anni di guerra Nella fase d’intermezzo, Cartagine riprese le operazioni militari, affidando a Amilcare Barca (della famiglia dei Barcidi) la conquista di nuovi territori in Spagna, dove si trasferì col genero Asdrubale (che fondò qui “Cartago nova”) e il figlio Annibale. Essi, contro un settore dell’aristocrazia punica capeggiato da Annone (che avrebbe voluto una politica più conciliante verso Roma), si fecero promotori di una politica nazionalista e anti-romana. Questa ripresa intimorì i romani che, stipularono con i Punici il trattato dell’Ebro (226-5),à che limitava Cartagine a non estendere le sue conquiste oltre quel fiume. Allo stesso tempo i romani strinsero un’alleanza con la città iberica di Sagunto, che si trovava nella zona di influenza cartaginese. -Il casus belli si ebbe quando Annibale, cui passò il comando delle truppe puniche in Spagna, nel 219 a.C attaccò ed espugnò Sagunto, dopo un assedio di otto mesi. Così nel 218, Roma dichiarò guerra a Cartagine. –nello stesso anno 218, Annibale dopo aver attraversato i Pirenei, valicò le Alpi con un esercito di 20.000 fanti, 6.000 cavalieri e decine di elefanti. Egli intuì l’importanza di spostare il terreno del conflitto in Italia, comprendendo anche di dover puntare (per controbilanciare l’esiguità delle proprie forze) sullo smembramento della confederazione romano-italica, (tradire fides). Infatti valicate le Alpi, ottenne l’appoggio delle popolazioni celtiche e delle tribù settentrionali, riportando vittorie sui romani presso i fiumi Ticino e Trebbia (218) e al lago Trasimeno (217). A questo punto Annibale si diresse verso la Daunia e l’Apulia, sperando di accerchiare Roma ottenendo consensi tra gli italici (ma quasi tutte le popolazioni rimangono fedeli a Roma > errore di valutazione della situazione politica./forza del sistema federativo romano) Punto di forza di Annibale era il suo genio militare, inventando sempre nuove tecniche di guerra per sorprendere il nemico (specie l’accerchiamento). -Intanto Dopo le sconfitte i romani avevano nominato dittatore Quinto Fabio Massimo, che adottò una tecnica di logoramento (da cui soprannome cunctator “temporeggiatore”) per sfiancare l’avversario in piccoli conflitti isolati (evitando lo scontro frontale con Annibale), puntando sulle difficoltà di approvvigionamento e di ricambio di truppe che i punici avrebbero avuto così lontani dalla madre patria. Ma ciò provocò malcontento e impazienza, e al termine del mandato il potere andò ai consoli Lucio Emilio Paolo e Marco Terenzio Varrone, che preferirono lo scontro apertoà 216, scontro di Canne (in Puglia), dove i romani ebbero una sconfitta senza precedenti (60.000 morti – tra cui Emilio Paolo- e 12.000 prigionieri). Res publica era in ginocchio, l’esercito quasi annientato -Annibale (commettendo un errore) non marciò su Roma ma ripiegò su Capua. Dalla parte dei cartaginesi passarono alcune città alleate di Roma, come Capua e Siracusa. Da qui al 212 situazione di stallo della guerra, che Livio definì “ozio capuano. Nel frattempo Roma ebbe modo di riorganizzare il suo esercito. Intanto nel 215 Annibale siglò anche un trattato con Filippo V di Macedonia, coinvolgendo l’area balcanica nella sua guerra con Roma, la quale rispose con l’alleanza con gli Etoli, nemici in Grecia del sovrano macedone, e con Attalo I di Pergamo. La “prima guerra macedonica” (215-205) si concluse in modo incruento con la pace di Fenice (205) che confermava il protettorato romano in Illiria, sancendo lo status quo. -Roma conquista Siracusa (212, dopo un assedio in cui morì anche Archimede), distrugge Capua (211) e espugna Taranto (209). Le città che avevano defezionato ebbero un durissimo trattamento e videro confiscati i propri territori (> ampliamento ager publicus: in campania si formò l’ager campanus). Roma, sotto la guida del giovane generale Publio Cornelio Scipione (in qualità di proconsole), riaprì dal 209 il fronte in Spagna, e con una vittoriosa campagna militare durata fino al 206, strappò ai punici il sud della penisola iberica, conquistando, Cartagena. I romani, guidati dal console Claudio Nerone, fermarono l’esercito giunto dalla Spagna sotto la guida di Asdrubale, presso il fiume Metauro (207) e uccisero Asdrubale. -Publio Cornelio Scipione, tornato a Roma e eletto console, progettava di spostare la guerra in Africa, intuizione vincente perché essendo Annibale impegnato in Italia, Cartagine era priva della protezione del suo generale più valido; ma dovette scontrarsi con il senato, che però convinse dopo l’appello ai comizi. Ottenne così il comando di due legioni in Sicilia, usata come base per l’addestramento e la spedizione. Nel 203 Scipione sbarcò sulle coste africane, e strinse un’alleanza con il re di Numidia Massinissa: ottenne una prima vittoria e Cartagine richiamò in patria Annibale. I due generali si confrontarono nello scontro epocale e risolutivo a Zama (202), dove la cavalleria romana e numida accerchiò le forze nemiche (fondamentali le intuizioni tattiche di Scipione, che adeguò l’esercito romano alle novità tattiche e strategiche con cui Annibale aveva costruito le sue vittorie. > soprannome Scipione “africanus”) àfine dell’impero di Cartagine. Durissime condizioni di pace imposte a Cartagine: - Cessione della Spagna (organizzata come provincia romana) e di tutti i territori non africani - Consegna di tutte le navi da guerra (fuorchè 10) e degli elefanti - Indennità di 10.000 talenti in 50 anni - Divieto di condurre una politica estera autonoma, perché ogni guerra dichiarata da Cartagine non poteva farsi senza il preventivo assenso di Roma Catturato Siface, Massinissa ottenne i suoi territori, e ebbe il compito di controllare in Africa, eventuali spinte di Cartagine (àtendenza di Roma a appoggiarsi a “re clienti” per controllare aree lontane) Roma usciva vincitrice, ma pagava un prezzo altissimo di vite umane e impoverimento del territorio, devastato da 15 anni di guerra. Conseguenze del conflitto: - Svolta nelle strutture socio-economicheà concentrazione fondiaria in mano a pochi ricchi.Ciò provocò l’inurbamento e la proletarizzazione di questo ceto contadino rovinato, che formò a Roma l’infima plebs, pronta ad essere faziosamente manovrata. - Affermazione nel bacino del Mediterraneo occidentale - Slancio ai commerci “ (>getta le basi per l’affermazione a metà del secolo successivo del forte ceto affaristico degli equites) Scipioneà nell’ultima tranche del conflitto impone prepotentemente il suo valore militare e le sue doti di chiaroveggenza politica. Nell’immaginario dei posteri, unico vincitore della II guerra punica. Primo a portare un cognomen ex virtute legato alla conquista di una natio esterna all’Italia. ( si profila “il potere del carismatico” che avrà funeste conseguenze per il futuro della res publica) (Annibaleà dopo qualche anno dalla fine della II guerra punica, fu eletto alla più alta magistratura di Cartagine, operando una democratizzazione delle istituzioni e combattendo il peculato e gli arricchimenti illeciti della classe dirigente. Ciò gli valse l’ostilità dell’elitè cartaginese che si rivolse ai romani, accusando Annibale di aver stretto rapporti con Antioco III contro Roma. Partì una legazione senatoria, che fingendo un viaggio di mediazione, doveva catturare Annibale, che però fuggì prima a Tiro, in Fenicia, poi presso Antioco III) ❃ L’ESPANSIONE IN ORIENTE: LE GUERRE MACEDONICHE [Nell’Oriente Mediterraneo esistevano ancora i regni ellenistici, nati dalla disgregazione dell’impero di Alessandro Magno. Tra questi vi erano: -I Seleucidiàin Siria, Asia Minore e nell’Oriente -Attalidiàa Pergamo -Tolomeiàin Egitto, Celesiria e alcune regioni costiere dell’Asia Minore -AntigonidiàMacedonia -lega etilica o lega acheaàlibere città greche unitesi per conservare la loro indipendenza minacciata dalla Macedonia] Contro i sovrani di Macedonia Roma entrò in conflitto all’epoca della seconda guerra punica. Ci 4 furono guerre macedoniche: 1. PRIMA GUERRA MACEDONICA (215-205). Vedi su. 2. SECONDA GUERRA MACEDONICA (200-197) Roma intervenne in difesa di alcune città dell’Attica e del regno filoromano di Pergamo contro Filippo V di Macedonia, che nel frattempo si era alleato con Antioco III di Siria (il primo conquistò posizioni in Tracia, nell’area degli stretti e aveva invaso l’Attica; il secondo sottrasse la Celesiria all’Egitto). La proposta di guerra fu presentata dal console Publio Sulpicio Galba ai comizi centuriati che la bocciò, ma poi con l’appoggio del Senato riuscì ad avere la loro approvazione. Roma inviò al re macedone un ultimatum che venne respinto: scoppiò così nel 220 la seconda guerra macedone. Le legioni romane, guidate dal console Tito Quinzio Flaminino, invadono la Macedonia e riportano una vittoria a Cinoscèfale (197), costringendo Filippo ad abbandonare la Grecia (comprese la Tessaglia, e Demetriade, Calcide d’Eubea e Corinto) e a pagare a Roma un pesante tributo. (Flaminino aveva portato dalla sua parte gli achei, offrendo loro la restituzione di Corinto, e anche i Beoti). Questa conclusione portò allo scontento degli Etoli (fino a quel momento alleati romani), che aspiravano alla guida della Grecia liberata, e che invece ottennero da Flaminino la sola Tebe Ftie (à il contrasto con gli Etoli si fece insanabile). In occasione dei giochi istmci del 196, nei pressi di Corinto, Flaminino fece proclamare la libertà e autonomia dei Greci, esentandoli dal pagamento di tributi e dall’obbligo di ospitare guarnigioni. 3. TERZA GUERRA MACEDONICA (171-168) Quando a Filippo succede il figlio Perseo, questi riorganizzò l’esercito con fini imperialistici. Sulla scia della guerra furono decisive le accuse contro la dinastia macedone che il re di Pergamo Eumene portò in Senato nel 172. perciò nel 171 Roma dichiara guerra. Le prime fasi del conflitto si trascinano stancamente, finché l’esercito romano al comando del console Lucio Emilio Paolo sconfigge i macedoni a Pidna (168), mettendo in fuga il re. La Macedonia viene divisa in 4 repubbliche tributarie di Roma, e la classe dirigente antigonide venne deportata a Roma. Le città greche alleate o con atteggiamento incerto vedono deportati i loro cittadini migliori a Roma (tra cui Polibio. Questo evento favorì la diffusione della cultura greca a Roma). ALTRI EVENTI IN GRECIA TRA PRIMA E SECONDA GUERRA MACEDONICA • Guerra contro Nabide di Sparta. Nel 195 Flaminino, cui era stato prorogato il potere per un anno, con il consenso di tutti gli alleati Greci (tranne gli Etoli) dichiarò guerra al re spartano Nabide, promotore di una politica sociale rivoluzionaria e pericolosa per il dominio acheo nel Peloponneso. Alla fine (95-94) della guerra gli fu imposto di abbandonare Argo e le città costiere della Laconia. Nel 94 Flaminino ritirò le guarnigioni dell’esercito e tornò in Italia. • Guerra contro Antioco III e gli Etoli (o guerra romano-siriaca). Sin da subito Antioco perseguì il programma della riconquista, forte anche dell’appoggio e dalla pressione degli Etoli che erano avversi ai romani e che chiesero il suo aiuto per liberare la Grecia. Al precipitare degli eventi contribuì anche l’esilio di Annibale, che si era rifugiato da Antioco, temendo che i suoi avversari interni lo consegnassero ai romani (secondo la tradizione egli, divenuto consigliere militare del seleucide incitava alla creazione di una vasta coalizione antiromana tra Antioco, Filippo V, Etoli e Nabide di Sparta, ma il progetto si rivelò irrealizzabile e Filippo V rimase fedele ai romani.) Nella primavera del 192 a.C., gli Etoli provarono a sovvertire i governi locali di tre grandi città greche: Demetriade, (dove sbarcò Antioco sempre in quell’anno), Calcide, Corinto e Sparta, ma in queste ultime il loro tentativo di sedizione fallì. I romani intervennero e nel 191 occuparono il passo delle Termopili, mettendo in fuga il re che tornò in Asia. Ai romani interessava sconfiggere definitivamente Antioco: così nel 190 il console Lucio Cornelio Scipione, affiancato dal fratello Scipione l’Africano in qualità di legato, concesse una tregua agli Etoli e mosse verso l’Asia Minore, attraversando la Macedonia e la Tracia, grazie anche alla collaborazione di Filippo V. Intanto le vittorie navali riportate a Corico, Polissenida, Side e Mionneso, avevano consegnato il dominio del mare alla flotta romana e agli alleati di Rodi e Pergamo. In Asia Antioco venne sconfitto nella battaglia di Magnesia (190). Aperte le trattative di pace, gli si impose - Di abbandonare i territori in Europa e quelli in Asia a nord del Tauro (catena montuosa) - Di pagare 15.000 talenti - Di consegnare ai romani Annibale e i greci che lo avevano seguito in Asia. nel 188 a Apamea venne conclusa la pace con Antioco. I territori dell’Asia Minore vennero concessi a Eumene di Pergamo, alleato del governo romano. La pace con gli Etoli fu raggiunta solo nel 189 con la resa di Ambracia, assediata da Marco Fulvio Nobiliore, e la mediazione di Atene e Rodi. Il trattato obbligava gli Etoli a riconoscere il dominio del popolo romano, a rinunciare ai territori passati ai romani dopo il 192, a consegnare i disertori e a pagare 500 talenti, fornendo 40 ostaggi a garanzia dell’accordo. Al termine di tali guerre (2 macedonica e siriaca) i Romani non governavano direttamente la porzione orientale del Mediterraneo, ma esercitavano su gran parte di essa una forma di tutela militare, che equivaleva a un dominio indiretto. Pace con Antioco Pace con gli Etoli La classe dirigente romana, ossia l’ordine senatorio, si trovò dinanzi a problematiche nuove; inoltre dinanzi a una società in trasformazione e che stava perdendo coesione e compattezza, si delinearono due opposti indirizzi politici all’interno dell’aristocrazia senatoria: - OTTIMATI / OPTIMATES à i più tradizionalisti e meno disposti ad affrontare la mutata situazione sociale, convinti di dover mantenere il tradizionale ordine sociale, basato sul primato dell’ordine senatorio. - POPOLARI / POPULARES à più disponibili al cambiamento e attenti (anche per ragioni elettorali) alle esigenze dei ceti emergenti (equites), degli Italici e delle classi inferiori. ❃ LA RIFORMA AGRARIA DI TIBERIO GRACCO (tribunato 133 a.C) Al problema sociale dei possedimenti (ager publicus in mano a pochi) e dell’aumento della povertà dei contadini, cercò di rispondere Tiberio Sempronio Gracco, nipote per parte di madre (Cornelia) di Scipione l’Africano e eletto tribuno della plebe nel 133. Senza preoccuparsi di ottenere la ratifica preventiva del Senato, presentò un progetto di legge/riforma agraria (Lex Sempronia agraria), che riprendeva una delle leggi Licinie Sestie e riduceva la concessione dell’ager publicus a privati. Infatti essa: - Fissava il limite di assegnazione di ager publicus (=terra di proprietà demaniale) a 500 iugeri a persona (ovvero 125 ettari), più un surplus di 250 iugeri per ogni figlio maschio. (soglia massima per famiglia di 1000 iugeri). - Imponeva di restituire allo Stato le terre possedute in esubero (a chi aveva costituito latifondi), redistribuendolo ai poveri in lotti inalienabili di 30 iugeri. Per lui tutti i cittadini romani, che avevano combattuto per lo Stato senza aver nemmeno una zolla di terra (lottando e morendo per la ricchezza altrui), dovevano poter godere dei beni pubblici. La sua riforma incontrò l’opposizione dell’ordine senatorio (ceto che occupava grandi estensioni di ager publicus), guidato dall’atro tribuno Marco Ottavio, il quale usò il diritto di veto e bloccò la legge. Tiberio allora si liberò di lui facendolo destituire (in modo illegale e senza precedenti) dai comizi tributi. La legge poté così essere approvata regolarmente e venne istituita una commissione triumvirale ( Tiberio, il fratello Gaio, e Appio Claudio Pulcro – princeps senatus-) col compito di giudicare l’assegnazione dei territori [aveva infatti funzioni di -agris dandis (concessione terreni) -agris adsignandis (assegnazione terreni) -agris iudicandis (dirimere controversie territoriali)]. L’attuazione venne finanziata con l’eredità del re di Pergamo, Attalo III. Si verificarono gravi disordini sociali e Tiberio decise di ricandidarsi come tribuno per l’anno successivo, cosa vietata dalla legge e che provocò ulteriori agitazioni (i suoi avversari lo accusarono di ambire al potere assoluto, e di sacertà –homo sacer-). Durante uno di questi tumulti, guidato da Scipione Nasica (nobile, pontefice massimo), Tiberio fu assassinato insieme a 300 suoi sostenitori sul Campidoglio, dove si tenevano i comizi. à (primo di una lunga serie di omicidi politici, che caratterizzarono la fase finale della repubblica). Tiberio ha avuto il limite di incentrare tutto sulla riforma agraria, senza trovare un appoggio e il favore dell’elitè romana, ricercando solo il favore dei contadini. Dopo la morte di Tiberio la legge agraria rimane in vigore (il suo posto nella commissione è preso da Licinio Crasso); ma nel 129 i possessori italici, colpiti anch’essi dalle confische si rivolsero a Scipione Emiliano (impegnato nella guerra numatica): questi sottrasse alla commissione agraria la funzione di agris iudicandis, affidandola ai consoli. Di fatto perciò anche se in vigore, la riforma non decolla, rimane sospesa. ❃ L’OPERA RIFORMATRICE DI GAIO GRACCO (tribunato 123 e 122 a.C) Dieci anni dopo, venne eletto tribuno Gaio Sempronio Gracco, che riprese il programma riformatore del fratello abbandonando però i suoi atteggiamenti spregiudicati e adottando una politica conciliante, tesa ad assicurarsi alleanze politiche: aveva compreso che le riforme potevano essere attuate solo se sostenute da un ampio consenso di forze sociali, che dovevano essere gratificate. Perciò cercò il consenso: - Dei cavalieri, che con la lex iudiciaria vennero ammessi ai tribunali incaricati di giudicare la corruzione dei magistrati provinciali dell’ordine senatorio (quaestiones de repetundis) , prima composti solo dai senatori. - Della plebe tramite Ø La fondazione di nuove colonie in Italia e Africa (potevano portare lavoro e benessere) Ø Lex de viis muniendis, prevedeva la costruzione di una fitta rete stradale e opere pubbliche, per dare lavoro. Ma Roma nel 103, invia un contingente di quattordicimila mila uomini, accompagnati da due corpi di mercenari, con a capo il pretore Licinio Lucullo. Tryphon verrà ucciso e Athenione, che gli succede nella direzione della rivolta, riesce a ravvivare la ribellione tanto che Roma sarà costretta a sostituire Licinio. Occorreranno quattro anni perché la ribellione venga definitivamente domata dal console Gaio Aquilio, che nell’anno 101 uccide Athenione in combattimento e successivamente provvederà a eliminare gli ultimi focolai di resistenza. 3) Rivolta di Spartaco (73-71 a.C), trace che aveva prestato servizio con i Romani in qualità di mercenario prima di disertare. Catturato e venduto come schiavo, era stato assegnato alla “scuola” di gladiatori di Capua, in Campania. Scintilla fu la presa di coscienza dei gladiatori della loro condizione. Alla testa di un piccolo gruppo, egli riesce ad evadere e, dopo un primo combattimento contro una guarnigione romana, riesce ad armarsi. A differenza dei capi siciliani, Spartacus non si richiama a un passato reale: Guerriero esperto, valido tattico, con qualità di fine stratega, egli riesce ad ottenere la lealtà delle sue truppe, propugnando la divisione in parti uguali del bottino (“comunismo primitivo”). Mette su un esercito di 300 ribelli, in marcia da nord a sud, che cresce fino a 40.000 uomini. Nel 71, in Lucania, in un combattimento finale le legioni romane guidate da Licinio Crasso ebbero la meglio e Spartacus troverà la morte. 700 superstiti vennero fatti crocifiggere lungo la via Appia, e un gruppo di fuggitivi venne sconfitto in Etruria da Pompeo, di ritorno dalla Spagna. Ø Lex frumentaria, vendita di frumento a prezzo agevolato ai cittadini romani. - Degli italici proponendo l’estensione della cittadinanza romana a Latini e del diritto di voto agli italici. Quest’ultima proposta sollevò l’opposizione degli optimates, ma anche dei cavalieri e della plebe, intimoriti di dover dividere i vantaggi con nuovi cittadini. Anche in questo caso, gli oppositori di Gaio utilizzarono contro di lui un collega, il tribuno Livio Druso. Nel 121 a.C. a Caio Gracco non riuscì la terza elezione al tribunato e il Senato mise in discussione tutte le riforme graccane. Scoppiarono violenti disordini, perciò il Senato emanò per la prima volta il cosiddetto senatus consultum ultimum («estrema deliberazione del Senato»), con cui affidò ai consoli poteri straordinari per ristabilire l’ordine e «difendere la Repubblica», anche a costo di soffocare il movimento graccano nel sangue. Iniziò la repressione degli uomini a lui più vicini (3000 uomini furono giustiziati) e Caio Gracco, per non cadere vivo nelle mani dei nemici, si fece uccidere da uno schiavo sull’Aventino. L’azione conservatrice del Senato lasciò irrisolti i problemi posti dai Gracchi, problemi che alimenteranno le continue guerre civili nel secolo successivo. Con i gracchi si è aperta la strada alle trasformazioni politiche che metteranno fine all’oligarchia senatoria. Si afferma infatti un nuovo scenario politico (tipico del I secolo), ossia le due fazioni di Optimates-senatori/populares-cavalieri (vedi su). Il proletariato oscillerà, a seconda dei vantaggi assicurati, in favore dell’uno e dell’altro. ❃ LA GUERRA GIUGURTINA (112/111-105 a.C) (Sallustio) E L’ASCESA DI MARIO: RIFORMA DELL’ESERCITO Tra 111-105 Roma combatté in Africa una guerra contro Giugurta, re di Numidia (tra Marocco e Tunisia). Egli, dopo la morte di Massinissa (alleato di Roma nella seconda guerra punica) e poi di suo figlio Micipsa, avrebbe dovuto dividere il trono con i cugini Iempsale e Aderbale, ma fece uccidere il primo e usurpò il diritto al secondo, che rifugiatosi a Roma chiese aiuto ai romani. Gli antichi legami con la Numidia (tributaria di Roma) spinsero il senato a intervenire, ma la guerra fu condotta con lentezza perché Giugurta riuscì a corrompere con le sue ricchezze i generali romani. Dopo il massacro di cittadini italici a Cirta e in seguito alla denuncia di inerzia del Senato da parte di Gaio Memmio, Roma intervenne militarmente (111). Dopo i primi insuccessi romani, nel 109 il comando viene affidato al console Quinto Cecilio Metello, che riesce a riportare dei successi (anche grazie al valore del luogotenente Caio Mario, che usò la guerra come palestra per la sua carriera politica), finchè Giugurta non si allea con il re della Mauritania. Così Metello, inviso ai populares, viene sostituito dal console Caio Mario, che giunse in Africa nel 107 coadiuvato dal luogotenente Silla, concludendo in due anni vittoriosamente la guerra e portando Giugurta a Roma in catene. Mario celebrò il trionfo e festeggiò anche l’elezione a console per il 104 a.C (à questa rielezione dell’homo novus è spia del suo successo personale che gli valse altri 4 consolati consecutivi dal 104-100). Mario conseguì un’altra importante vittoria militare, bloccando tra 102-101 due pericolosi popoli germanici in marcia verso Roma: i Teutoni ad Aquae Sextiae in Francia, e i Cimbri ai Campi Raudii nella pianura padana. Homo novus (di famiglia appartenente all’ordine equestre e primo in essa a intraprendere la carriera politica) grazie al prestigio delle sue vittorie e al suo carisma, si impose come leader dei populares (dominando la scena politica fino all’88 a.C quando la sua fazione fu sconfitta da Silla, esponente degli optimates) e ricoprì il consolato per ben sette volte, rompendo il vincolo di annualità. Egli guardò con particolare attenzione all’esercito, necessario per la difesa di Roma, proponendo migliorie nell’equipaggiamento, innovazioni nell’addestramento e promuovendo una radicale riforma del reclutamento militare, non più basato sul censo e le centurie, ma una scelta volontaria di una vera e propria professione retribuita con salario mensile (detto soldo), cosa che spinse l’arruolamento dei ceti più bassi, facendoli legare a lui in un legame di tipo quasi personale. Mario comprese la crisi del ceto contadino e richiama alle armi i proletari, allettati dal soldo e dalla promessa di ricompense a fine guerra. Mario attuò nei confronti delle classi meno abbienti una politica di concessioni e benefici (vedi i tribunati di sotto), provocando una violenta opposizione degli ottimati. ❃ TRIBUNATO DI SATURNINO (103-100) e TRIBUNATO DI MARCO LIVIO DRUSO (91 a.C) Analoga sorte a quella dei Gracchi, ebbero i tribuni Saturnino e poi Druso, che con le loro riforme si procurarono ostilità che gli valsero la morte. •il tribuno Lucio Apuleio Saturnino (103-100 a.C), alleato e amico di Mario, abbassò il costo del grano e propose la lex Apuleia da maiestate (prevede l'ampliamento del campo di applicazione della pena per il crimen maiestatis alle eventuali restrizioni imposte dai magistrati in caso di lesa maestà del popolo romano). Ma fu la sua proposta di assegnare ai soldati di Mario appezzamenti di terra nel territorio sottratto ai Cimbri e l’obbligo prescritto ai senatori di giurare il rispetto di quest’ultima, a scatenare l’opposizione non solo i senatori, ma anche parte della plebe e cavalieri. Anche la candidatura per la seconda volta di Glaucia alla pretura, scatenò un tumulto. Mario allora, per non inimicarsi parte del popolo, decise di dare retta al Senato e si liberò di entrambi con la violenza, uccidendoli. •Nel 91, dieci anni dopo la fine tragica di Saturnino e Glaucia, il tribuno Marco Livio Druso propose un pacchetto di leggi che, pur riallacciandosi al progetto riformistico dei Gracchi, mirava ad ampliare il potere dell’aristocrazia attraverso alleanze. Tra i suoi interventi a favore della plebe, installò una commissione per garantirle più terre, sia a Roma sia nelle nuove colonie (lex agraria), e impose l'abbassamento del prezzo del grano (lex frumentaria). Mise in atto una politica che andò a favore della classe senatoriale, proponendo di conferirle la giurisdizione sulle giurie sottratta all'ordine equestre (che però nel numero di 300 membri sarebbe entrato nel senato) ottenendo il sostegno di molti influenti senatori (questa proposta sarà realizzata in seguito da Silla). Lo perse però quando propose di estendere la cittadinanza romana a tutti gli Italici, inimicandosi il Senato, i membri dell'ordine equestre, il popolo di Roma che non voleva che gli Italici divenissero cittadini, e persino i ricchi possidenti terrieri italici, che temevano di perdere le proprie terre. Le sue leggi precedenti vennero dichiarate invalide, e dopo poco, nel novembre dello stesso anno, Druso venne assassinato. La sua morte segnò l'inizio della Guerra sociale del 91-88 a.C., con gli Italici che si rivoltarono. Guerra giugurtina Ascesa di Mario, leader dei populares. ❃ LA GUERRA SOCIALE –dei socii- (90-88 a.C) Il rifiuto di concedere la cittadinanza agli italici, secondo la proposta di Druso, esasperò il malcontento già diffuso tra gli alleati (socii): le genti italiche (Piceni, Marsi, Vestini, Marrucini, Frentani, Peligni, Irpini, Lucani e Sanniti) si allearono e si federarono, guidate dai Sanniti e dai Marsi, dandosi istituzioni comuni (2 consoli e 12 pretori, coniazione di moneta propria) e stabilendo a Corfinio in Abruzzo la base della loro lega, detta Italia. [Gli Apuli e i Campani presero le armi contro Roma solo in un secondo momento. L’Umbria e l’Etruria si mantennero nel complesso fedeli, come l’Italia settentrionale e il Lazio.] L'episodio che scatenò la guerra sociale accadde ad Ascoli Piceno nel 91 a.C., dove vennero uccisi il propretore Servillo e il suo luogotenente Fronteio, giunti da Roma, e i romani lì residenti vennero massacrati. Si combatté con durezza per quasi tre anni, con devastazioni e perdite umane ingenti, nonostante la presenza di ottimi comandanti, quali Gneo Pompeo (padre del Magno), Mario, Silla. Ma alla fine Roma, riuscì a piegare uno dopo l’altro i ribelli e prevalse non soltanto per mezzo dell’impegno militare, ma soprattutto grazie a una politica istituzionale di immediate e larghe concessioni. Infatti nella direzione di un compromesso vanno leggi di apertura alle istanze degli italici: - Lex Iulia de civitate Latinis e Sociis danda (90)à con cui si dava la cittadinanza alle città del Lazio e agli alleati che sarebbero rimasti fedeli a Roma - Lex Plautia Papiria (89) à che concedeva la cittadinanza agli italici (esclusa la Gallia transpadana) che ne facessero richiesta entro 60 giorni - Lex Pompeia de Traspandis (89) à che estese la cittadinanza agli abitanti del Nord Italia Tuttavia gli italici vennero iscritti in solo 8 tribù, rispetto alle 35 tribù elettorali romane, limitandone così l’incidenza politica. Dopo queste concessioni la guerra scemò: solo Sanniti e Lucani resistettero ma vennero sconfitti con la presa di Ascoli. ❃ IL CONTRASTO CON SILLA, LA RESTAURAZIONE DI SILLA, L’INTERMEZZO DEI POPULARES, LA PRIMA GUERRA MITRIDATICA Lo sconto tra i populares (che facevano capo a Mario) e gli optimates (che facevano capo a Silla), in un clima di guerra civile, scaturì dalla competizione tra Mario e Silla per aggiudicarsi il comando della guerra militare apertasi nell’88 contro Mitridate VI, re del Ponto (regno affacciato sul Mar Nero), il quale aveva occupato la Bitinia, la Frigia e la provincia romana d’Asia. • Il comando è assegnato per sorteggio a Silla, console per quell’anno • La classe equestre, per timore che i propri interessi in quell’area fossero minacciati dagli aristocratici, si allearono con i populares, che volevano attribuire il comando a Mario. Essi vennero appoggiati dal tribuno Publio sulpicio Rufo, che propose delle leggi demagogiche: - redistribuzione equa degli italici nelle 35 tribù - esclusione dal Senato di chi aveva debiti superiori a 2000 denari - richiamare gli esuli del partito democratici - affidare il comando della guerra in oriente a Mario. I consoli (tra cui Silla) e gli aristocratici si opposero e dichiararono le feriae imperativae (sospensione delle attività politiche) per ostacolare l’approvazione delle proposte di legge, e ciò scatenò un tumulto, guidato dal gruppo di Sulpicio, che uccisero Pompeo, figlio del console Quinto Pompeo e genero di Silla, che abolì le ferie. • Un plebiscito diede il comando militare in oriente a Mario (un cavaliere. Irregolarità: l’imperium era dei consoli!). Silla (che in quel momento era a Capua) marciò con sei legioni di soldati verso Roma (88) varcando per la prima volta nella storia il Pomerium, riprendendo il comando della guerra mitridatica, emanando una serie di provvedimenti d’urgenza per indebolire i democratici/populares e dichiarando “nemici della repubblica” Sulpicio, Mario e altri 10 esponenti populares: Sulpicio venne ucciso subito, Mariò riuscì a fuggire. Le leggi di Silla, approvate nell’assemblea popolare dopo la vittoria, stabilivano: - Nessuna proposta di legge poteva essere approvata senza prima l’auctoritas patrum - Votazioni dovevano avvenire per centurie secondo lo schema serviano, (sottraendo in questo modo peso politico alle classi povere) - Senato integrato con 300 nuovi membri e riduzione del potere dei tribuni. A questo punto Silla nell’87 partì per l’Oriente per la guerra mitridatica (vedi giù), tornando in Italia nel’83. I populares tornarono al potere, quando Cinna, dopo la partenza di Silla, venne eletto console per l’87 (purché giurasse di non attentare alla costituzione). Cinna propose leggi per una maggiore eguaglianza nella distribuzione dei cittadini nelle tribù, provocando l’opposizione dei senatori e di parte della plebe: Il giorno fissato per le votazioni delle leggi nel Foro scoppiò una sanguinosa battaglia tra le due fazioni (si narra di 10.000 morti). Così il console Ottavio intervenne militarmente: molti dei seguaci furono uccisi e Cinna si rifiugiò a Nola. Sostenuto dagli italici, dopo che gli era stata revocata la cittadinanza per aver tentato di sollevare gli schiavi, combattè contro Ottavio e il Senato: I diversi eserciti democratici strinsero Roma in una morsa di accerchiamento, mentre Mario cinse d'assedio Ostia per impedire i rifornimenti alla capitale, che non poté far altro che capitolare (87 a.C.). In città si scatenarono il terrore e la repressione e vennero uccisi molti esponenti del partito conservatore, tra cui anche elementi di spicco come Ottavio, Lucio Giulio Cesare e Quinto Lutazio Catulo. Le Durante l’assenza di Silla: a Roma i populares tornano al potere (87-82) il trionfo per la sua compagna in Oriente e la ratifica delle terre da lui conquistate, per la distribuzione ai suoi veterani. Su questi punti il Senato tergiversò per due anni. Pompeo perciò avvertì la necessità di un’alleanza per ottenere quanto il Senato gli nega e superare l’immobilismo: si riavvicina a Crasso, e si legò a Cesare (esponente di spicco dei populares), di cui sposò anche la figlia Giuliaà tra i 3 si creò così un’alleanza, sugellata nel 60 da un patto privato, ricordato come primo triumvirato. [cosa importante di ciò e la centralità di un’esperienza politica sganciata dall’autorità senatoria. Varrone lo definì “mostro a tre teste]. Il progetto e le modalità furono opera dell’intuizione strategica di Cesare, che sfruttò la delusione di Pompeo per la mancata ratifica, per cementare un’alleanza rafforzata dal matrimonio con la figlia, e avvicinò Crasso (dopo averlo fatto pacificare con Pompeo), uomo più ricco di Roma, possessore di enormi ricchezze e di una vasta rete clientelare. I 3 ottennero dei vantaggi dall’accordo: • Cesare ottenne il consolato per l’anno successivo, ossia il 59, con l’appoggio della sua fazione, dei veterani di Pompeo e i cavalieri di Crasso, che finanziò la sua campagna elettorale. L'unica consolazione per gli aristocratici fu quella di riuscire a far eleggere come altro console, Marco Calpurnio Bibulo, nemico di Cesare, anche se venne completamente oscurato e la sua opposizione non ebbe risultati. Durante il mandato favorì i suoi nuovi alleati: • Pompeo ottenne la ratifica delle conquiste in Oriente e la distribuzione di terre ai veterani. [Infatti Cesare propose una legge agraria che garantiva la distribuzione di terre dell'ager pubblicus ai poveri e anche ai veterani di Pompeo, senza ledere a nessuno e senza ricorrere all’esproprio di terreni privati. Nel tentativo di ridurre la forte opposizione aristocratica, Cesare aveva escluso dal provvedimento le terre della Campania, in mano ai latifondisti, ma benché qualcuno tra gli ottimati sembrava intenzionato ad accettare il compromesso, Catone tentò di far invalidare la seduta utilizzando l'arma dell'ostruzionismo e cioè parlando fino al sopraggiungere della sera, quando la seduta sarebbe stata dichiarata conclusa con un nulla di fatto. Cesare resosi conto delle intenzioni di Catone lo fece arrestare, benché quando l'aristocratico giunse nei pressi del carcere mamertino ordinò che venisse liberato. Di fronte ad un atto così deciso, nella Curia si scatenò la violenza e Bibulo rischiò di essere ucciso, ma, nonostante il caos, il provvedimento venne approvato e nei giorni successivi, tutti i senatori, compreso Catone, furono costretti a ratificarlo. Poi Cesare, con un'abile mossa si liberò anche di Catone, che fu incaricato di porre sotto il controllo di Roma, l'isola di Cipro. Inoltre con la Lex Iulia de actis Cn. Pompei confirmandis ratificò l'ordinamento dato da Pompeo all'Asia] • Crasso, grazie alla riduzione delle tasse per gli appalti pubblici nelle provincie, ha agevolazioni economiche per sé e i cavalieri provinciali. [Infatti Cesare con la lex de publicanis ridusse di un terzo la somma di denaro che i cavalieri dovevano pagare allo stato, favorendo così le loro attività. Per tutelare i provinciali riformò le leggi sui reati di concussione (lex Iulia de repetundis), definendo dettagliatamente i reati di concussione e di estorsione e fissando un tetto alle somme in denaro che i magistrati romani potevano percepire nell'adempimento delle loro funzioni] -Un'altra abile mossa di Cesare fu quella di far nominare come tribuno della plebe, quel Publio Clodio Pulcher, che era stato l'amante della sua ex-moglie Pompea. A quei tempi Publio Clodio si chiamava ancora Publio Claudio ed era un patrizio, per cui non avrebbe potuto ricoprire la carica di tribuno della plebe, ma grazie al sostegno di Cesare, si fece adottare dal giovane Publio Fonteio, diventando a tutti gli effetti un plebeo. Claudio, il suo nome patrizio, venne trasformato nel plebeo Clodio. La sua nomina a tribuno diventava un altro vantaggio per Cesare, mentre diventava un pericolo per Cicerone, verso cui Clodio aveva giurato eterna vendetta. - Ma il vero colpo da maestro, fu il varo della legge Vatinia, dal nome del tribuno che propose di assegnare a Cesare, terminato il mandato di console, il comando proconsolare per 5 anni (a capo di legioni e con la possibilità di nominare legati) della Gallia Cisalpina e dell'Illirico e grazie all'appoggio di Pompeo e Crasso il provvedimento passò senza opposizioni. Anzi il Senato nella sua delibera aggiunse, tra le province assegnate a Cesare, anche la Gallia Narbonese concedendo così al console una grande opportunità che lui saprà sfruttare in modo mirabile, portando il suo potere personale agli estremi. Quindi da console Cesare si comportò in modo autoritario e pose le basi per il rafforzamento della sua posizione politica. ❃ L’IRREFRENABILE ASCESA DI CESARE: LA GUERRA GALLICA (58-52 a.C) (Cesareà proviene dall’antichissima famiglia patrizia, la gens Iulia; nipote di Mario e marito di Cornelia, figlia di Cinna. Esponente dei populares. Ebbe un ruolo fondamentale nella transizione del sistema di governo dalla forma repubblicana a quella imperiale.) Quando Cesare nel 58 a.C arrivò nella Gallia Narborense (attuale Provenza, sud della Francia) la regione era minacciata da popolazioni germaniche, perciò a protezione della provincia romana, condusse una campagna contro gli Elvezi (abitanti dell’attuale Svizzera, sconfinati in territorio romano perché spinti dagli Svevi) che sconfisse a Bibracte (58) e subito dopo contro gli Svevi. Da questa prima fase difensiva egli passò a una consapevole opera di conquista: le sue legioni attaccarono i belgi, i veneti, e gli aquitani, tanto che sul finire del 57 a.C. gran parte della Gallia sembrava sotto il controllo romano. La conquista delle Gallie richiedeva una proroga del comando proconsolare. Così Cesare mise momentaneamente da parte l’impresa, per combinare un incontro con Pompeo e Crasso, così da rinsaldare i rapporti tra i triumviri e precisarne i compiti. Essi si riunirono a Lucca nel 56 (alla presenza di 200 senatori e molti magistrati) accordandosi per una nuova spartizione del potere: - Pompeo e Crasso ebbero il consolato per l’anno successivo - Pompeo, dopo il consolato, avrebbe avuto il controllo quinquennale delle province spagnole Prima fase e primi successi: 58-57 L’accordo di Lucca, 56 - Crasso, dopo il consolato, avrebbe avuto il comando quinquennale della Siria, per combattere contro i Parti (àin Siria Crasso andò incontro a una delle sconfitte più luttuose della storia repubblicana, morendo egli stesso nel 53 a Carre). - Cesare, avrebbe visto prolungato l’imperium in Gallia per altri 5 anni Tornato in Gallia nel 55, condusse spedizioni – oltre il Reno, contro i Germani, e –oltre la Manica, contro i Britanni. Nel 53 le sue conquiste vennero minacciate dalla rivolta delle genti galliche contro i romani, sollevata e guidata dal re degli Averni, Vercingetorige. Fu una guerra durissima e le truppe romane persero alcune battaglie e si trovarono talvolta sull’orlo del tracollo, ma la vittoria finale fu di Cesare: solo nel 52 a.C i ribelli vennero sconfitti ad Alesia, assediata ed espugnata dai romani àsconfitta definitiva dei Galli. Vercingetorige venne catturato e condotto a Roma, dove fu tenuto in carcere e ucciso solo nel 46, dopo la celebrazione del trionfo. Dopo la vittoria del 52, nei due anni successivi (51-50 a.C), il condottiero procedette alla completa sottomissione della Gallia Transalpina: molte popolazioni furono sterminate, molte ridotte in schiavitù. Egli divise il territorio in Gallia belgica, Gallia Celtica, Gallia Narborense. Il ricordo delle sue imprese fu affidato a un’opera autobiografica, De bellico gallico. La guerra, per via dei territori sconosciuti conquistati, delle enormi ricchezze che i territori costituivano per Roma, costituì per Cesare un accrescimento del consenso dell’opinione pubblicaàprimato politico. ❃ LA FINE DEL TRIUMVIRATO: LA LOTTA PER IL POTERE, LA GUERRA CIVILE (49-45 a.C), La DITTATURA DI CESARE. Durante la permanenza in Gallia di Cesare, a Roma la situazione cambiò. Nel 54, morta Giulia, Pompeo e Cesare non furono più legati da parentela. Con la morte di Crasso nel (53), Pompeo approfittò dell’assenza di Cesare e si riavvicinò all’oligarchia senatoria: visti i vari tumulti (in uno di questi venne ucciso il tribuno Clodio) e nel timore di perdere il controllo della situazione, nel 52 il Senato nominò Pompeo “consul sine collega”, affidandogli pieni poteri per tutta la durata del mandato (operazione che violava uno dei cardini della res publica e che il Senato usò per rafforzare la sua posizione, contro Cesare, che era temibile). Iniziò quindi una fase in cui i rapporti tra Cesare e il Senato si inasprirono. Dopo questa nomina Pompeo si preoccupò di mettere fuori gioco il rivale facendo approvare al Senato 2 leggi di contenuto politico: - Lex Pompèia de provinciis àstabilì che nessuno poteva rivestire una magistratura provinciale prima che fossero trascorsi cinque anni da quella urbana precedentemente rivestita. Il valore politico della legge va ricercato nel tentativo, fatto da Pompeo, di arginare l’avanzata di Cesare al potere. - Lex Pompeia de iure magistratuum à divieto della candidatura al consolato in absentia: si richiese la presenza fisica a Roma del candidato al consolato. Rientrò nella tattica adottata da Pompeo contro Giulio Cesare per farlo permanere nello status di privato cittadino, privandolo così del comando delle sue truppe. Cesare cercò di trattare col Senato, dichiarandosi pronto a deporre l’imperium (il comando delle legioni) se anche Pompeo avesse fatto altrettanto, ma la proposta non venne presa in considerazione. Di ritorno dalla Gallia, perciò, lo scontro fu inevitabile: Nel 49 a.C. egli attraversò, con una sola legione il pomerium, il Rubicone, che rappresentava il limite oltre il quale non ci si poteva avvicinare a Roma con eserciti armati senza essere dichiarati nemici dello Stato, così come aveva stabilito Silla. Con questo gesto Cesare proclamava l'inizio della seconda guerra civile. Famosa è rimasta la sua frase: “alea iacta est” "Il dado è tratto". Pompeo e i senatori si rifugiarono in Oriente, favorendo la conquista Cesariana quasi indisturbata, di Roma, dell’Italia, della Spagna, dove lottò contro i seguaci di Pompeo. Quando Cesare tornò a Roma fu nominato dittatore, ma rifiutò il titolo e si fece eleggere console insieme a Publio Servilio, in modo da creare un governo legittimamente costituito che si contrapponesse a quello formato da Pompeo. Poi Cesare sbarcò a Durazzo (48 a.C), città che Pompeo aveva fatto fortificare: tentò di assediarla, ma non vi riuscì. Dato che Pompeo aveva distrutto tutte le navi di Cesare, rendendogli così impossibile la ritirata, Cesare dovette proseguire verso l'interno, in Tessaglia, dove i due si scontrarono a Farsalo nel 48 a.CàCesare sconfisse definitivamente Pompeo, che si rifugiò in Egitto dove venne ucciso dal re Tolomeo. Quest'ultimo sperava, con l'uccisione di Pompeo, di farsi amico Cesare e di portarlo dalla sua parte nella lotta che lo vedeva coinvolto con la sorella Cleopatra per la divisione del regno. Ma Cesare, una volta giunto in Africa, non premiò Tolomeo anzi, gli tolse il trono e lo affidò alla sorellaà nel 47 a.C. L'Egitto entrò, così, sotto l'influenza romana. Sistemato l’Egitto Cesare: - ristabilì la sitiuazione in Asia minore: Farnace II, re del Ponto e figlio di Mitridate VI, approfittò della situazione venutasi a creare per occupare la Bitinia e la Cappadocia. Cesare lo sconfisse (47). - Sedò le ultime resistenze dei partigiani di Pompeo in Africa, a Tapso (46) e in Spagna, a Munda (45) - Nel 47 Cesare era stato nominato dal Senato dictator con carica decennale, e fu ripetutamente eletto console nel 46, nel 45 (senza collega) e nel 44 a.C . Nel febbraio 44 ottenne anche la carica di dittatore a vita, cosa che sancì definitivamente il suo totale controllo su Roma. Assunse anche il titolo permanente di imperator, ovvero comandante in capo degli eserciti, si fece proclamare tribuno della plebe, censore (e ciò gli dava il controllo del Senato) e pontefice massimo, assumendo su di sé tutti i poteri dello Stato. Cesare usò la sua autorità per creare a Roma un clima di concordia e usò clemenza nei confronti dei suoi nemici sconfitti. Diede vita ad una profonda opera di riforma (finalizzata al consenso popolare). Altre conquiste Seconda Guerra civile: 49-45 La dittatura di Cesare (48-44) -In campo politico ed amministrativo, Cesare: • Fondò colonie romane e inviò 80.000 cittadini nelle colonie d'oltremare con lo scopo di ripopolare i centri urbani disabitati e i campi, ma anche al fine di favorire la romanizzazione le province; • aumentò il numero dei senatori da 600 a 900, facendo entrare nel Senato anche molti ex-ufficiali legati a lui, nonché rappresentanti della Spagna e della Gallia, e raddoppiò il numero di magistrati; • concesse la cittadinanza romana alla Gallia Cisalpina; -In campo economico Cesare: • assegnò terre ai veterani delle sue legioni; • riformò il sistema degli appalti in modo da evitare le possibili speculazioni dei pubblicani; • promosse grandi lavori pubblici a Roma e in tutto l'impero al fine di ridurre la disoccupazione; Insomma, pur restando in vigore la costituzione repubblicana, il governo di Cesare ebbe caratteristiche monarchiche (basti pensare al culto della personalità). Tutto questo potere e il timore di un ritorno alla monarchia, portò all’odium regni, anche da parte dei suoi stessi sostenitori: fu così ordita una congiura, capeggiata dagli aristocratici Marco Giunio Bruto (figlio adottivo di Cesare) e Caio Cassio Longino (che prima erano stati dalla parte di Pompeo e poi fedelissimi di Cesare), e Cesare fu ucciso con 33 coltellate mentre si recava in Senato il 15 marzo del 44 a.C (IDI DI MARZO – disse a Bruto “Tu quoque Brute, fili mi!” “anche tu Bruto, figlio mio!”). (paradosso: la soppressione della tirannide, traghettò la res publica verso l’instaurazione del principato). CAP 6. VERSO IL PRINCIPATO: LE LOTTE PER IL POTERE E L’AFFERMAZIONE DI OTTAVIANO ❃ DAGLI ATTRITI TRA ANTONIO E OTTAVIANO PER IL POTERE al SECONDO TRIUMVIRATO Alla morte di Cesare la situazione politica era molto complessa. I cesaricidi erano convinti che il loro gesto avrebbe avuto il sostegno del popolo, ma le loro previsioni si rivelarono però sbagliate e allora, rifugiatisi in Campidoglio, decisero di attendere là l'evolversi degli eventi, lasciando in questo modo l'iniziativa agli stretti collaboratori del defunto dittatore: Marco Antonio e Marco Emilio Lepido. il primo a prendere il controllo della situazione fuà àMarco Antonio, che era stato luogotenente di Cesare (perciò cesariano), console in carica, trattò con il Senato: in cambio di un’amnistia per i cesaricidi, decretò onori divini per Cesare e l’approvazione di tutti i provvedimenti emanati (acta cesaris) sino alla vigilia della morte. Durante le celebrazioni del funerale di stato, la lettura del suo testamento generoso verso i romani e il discorso ad effetto di Antonio, accesero d'ira l'animo del popolo contro gli assassini (che per paura partirono per Anzio): tuttavia fino all'aprile del 44, Antonio mantenne comunque un atteggiamento conciliante e per sé chiese e ottenne la provincia di Macedonia e per Dolabella quella di Siria. Per adesso Roma si era salvata dal caos, anche se i rapporti tra Antonio e il senato erano sempre più tesi. (Antonio sperava di poter succedere a Cesare) La situazione peggiorò con l’arrivo in Italia dall’Oriente di Gaio Ottavio, pronipote di Cesare che gli aveva lasciato in eredità i suoi beni: per via dell’adozione testamentaria assunse il nome di Gaio Giulio Cesare Ottaviano. ll giovane chiese ad Antonio di consegnargli l'eredità lasciatagli dal defunto dittatore ma Antonio, che aveva dilapidato i beni di Cesare, rifiutò. Ottaviano entrò nel gioco politico: il Senato (controllato da Cicerone) pensò di usarlo contro Antonio, e egli stesso non si fece scrupoli a appoggiare il senato e gli uccisori del padre adottivo pur di ostacolare il primato politico di Antonio, il quale (di rimando) cercò di accrescere il suo peso politico per mezzo di una legge (de permutatione provincie) che gli assegnava per cinque anni la Gallia Cisalpina (che era già assegnata a Decimo Bruto) al posto della Macedonia. (ricordiamo che Ottaviano, sfruttando il suo nome e presentandosi come l’erede di Cesare, riuscì a ricompattare la fazione dei cesariani e ad averne l’appoggio. Quindi appoggiato –paradossalmente- da cesariani, cesaricidi Bruto e Cassio, e dal Senato) Antonio nel 44, senza aspettare l’approvazione della legge suddetta, assediò Modena per strappare la Gallia Cisalpina a Bruto. Cicerone (che appoggiava Ottaviano) lo attaccò con la prima e la seconda Filippica e Ottaviano riuscì a convincere il senato a muovere contro di lui in guerra: l’esercito sarà guidato dallo stesso Ottaviano con comando proconsolare e da due consoli, Irzio e Pansa. Ottaviano sconfisse Antonio in una battaglia in cui entrambi i consoli persero la vita (43). Allora Antonio si rifugiò nella Gallia Narborense, dove ricevette aiuti militari da Lepido. Nel 43 a.C., dopo che il Senato gli rifiutò i fondi per pagare i soldati, Ottaviano ruppe con la suprema assemblea romana e presentò la propria candidatura a console, pur sapendo che non sarebbe stata accettata. Allora Ottaviano con le sue legioni marciò su Roma (43) per ottenere il consolato che gli era stato rifiutato, ottenendolo (sebbene non avesse completato il cursus honorum) e potendo ricompensare le sue truppe. Fece annullare l'amnistia che era stata concessa ai cesaricidi (che vennero dichiarati fuori legge) e fece istituire un tribunale speciale per giudicarli; Fece quindi annullare la sentenza che aveva dichiarato Antonio nemico pubblico dello Stato e strinse un'alleanza con lui, grazie alla mediazione di Marco Emilio Lepido (era stato magister equitum di Cesare). I tre si incontrarono a Bologna 43, dove formalizzarono l'accordoàSECONDO TRIUMVIRATO: non si trattava più di un patto privato di divisione di potere e territori (come per il primo triumvirato), ma di una vera e propria magistratura romana di durata quinquennale, istituita dalla Lex Titia (43) e approvata dai comizi, con poteri coercitivi e normativi, alla scopo di riorganizzare lo stato: i tre divennero triumviri rei publicae constituendae (“triumviri per la ricostruzione della repubblica”). Guerre di Modena (44-43) OTTAVIANO rompe col Senato, marcia su Roma e ottiene il consolato e crea il SECONDO TRIUMVIRATO ❃ ORGANIZZAZIONE DELL’IMPERO E RIORDINAMENTO AMMINISTRATIVO Augusto, coadiuvato dal consilium principis (“consiglio imperiale” – pochi uomini a lui fidati, tra cui Agrippa), era a capo di un territorio vastissimo. Perciò egli si impegnò in un’opera di riorganizzazione dello stato. Venne creato un articolato apparato burocratico e venne riformato il sistema fiscale. •L’Italia venne divisa in 11 regioni (per facilitare il censimento), e la città di Roma in 14 circoscrizioni e 265 vici (quartieri). I vici eleggevano annualmente tra la plebe residente dei magistri, che dovevano controllare l’ordine pubblico. Vennero create nuove figure amministrative per l’amministrazione locale, i prefetti, molte delle quali vennero riservate ai cavalieri (Augusto voleva coinvolgere anche l’ordine equestre): (le prefetture erano conferite, non elettive, e non avevano limite di annualità). - Prefetto urbanoà scelto nell’ordine senatorio e responsabile dell’ordine pubblico di Roma. (3 coorti urbane) - Prefetto del pretorioà (ordine equestre) a comando della guardia pretoriana (nove coorti) deputata a proteggere l’imperatore. Il primo prefetto del pretorio fu Mecenate. - Prefetto dell’annonaà (ordine equestre) controllava l’approvvigionamento alimentare di Roma e si occupava della distribuzione di grano alla plebe - Prefetto dei vigilià (ordine equestre) funzioni di polizia notturna e di vigili del fuoco. (7 coorti) - 2 prefetti della flottaà (ordine equestre) comandanti delle guarnigioni navali con sede sull’Adriatico (Ravenna) e sul Tirreno (Miseno, in Campania) Inoltre Augusto riformò la magistratura dell’edilità (che si occupava della costruzione, gestione, manutenzione delle strutture e dei servizi): le competenze vennero estrapolate e divise in curae specifiche, assegnate direttamente dal principe a ex-pretori o ex-consoli: - Cura aquorum (sovraintendenza al funzionamento e al controllo degli acquedotti), affidata a tre senatori - C. aedium sacrarum et operum locorumque publicorum (manutenzione e costruzione edifici sacri), senatori di rango consolare - C. riparum et alvei Tiberis et cloacarum (controllo e manutenzione dell’alveo del Fiume, istituita da Tiberio) senatori rango consolare - Cura frumenti dandi e c. viarum, affidate a senatori di rango pretorio •L’impero venne diviso: - Prefettura d’Egitto, che era considerato come un possedimento personale del princeps. Il prefetto era scelto dal principe nell’ordine equestre e aveva imperium proconsolare. L’amministrazione fiscale era gestita da un funzionario di tradizione tolemaica, l’idiologos. Il territorio era diviso in distretti territoriali detti nomoi. - Province imperiali (provinciae Caesaris), di recente conquista o considerate non pacificate, affidate all’imperatore e da lui governate tramite “legati” dell’ordine senatorio (ex consoli o ex pretori) che avevano un imperium propretore (legati Augusti pro pretore). In ciascuna erano stanziate delle legioni, i cui comandanti erano scelti nell’ordine senatorio dal principe. I tributi delle province imperiali, riscossi da procuratores dell’ordine equestre, confluirono in una nuova cassa, detta Fisco, amministrata direttamente dal principe. - Province senatorie (provinciae populi), di antica istituzione e considerate pacificate. Erano governate da proconsoli (ex consoli o ex pretori) votati nei comizi e nominati dal senato, in carica per un anno: essi amministravano la giustizia e erano coadiuvati da quaestores per l’amministrazione fiscale. I tributi confluivano nell’erarium, tesoro di stato gestito dal Senato. Esse hanno un numero di legioni inferiori rispetto alle provincie imperiali. Augusto vietò ai governatori, la possibilità di creare clientele nelle provincie governate Approfondimento - GLI STORICI SULLA DEFINIZIONE GIURIDICA DEL PRINCIPATO 3 sono le tesi sul Principato come istituzione giuridica: TESI DELLA “DIARCHIA” DI MOMMSEN à Secondo Theodor Mommsen il principato è una “diarchia” (=potere di due), ossia il potere/la sovranità era in mano al Principe e al Senato, il quale assume nuove competenze. Mommsen basa la sua teoria “dualistica” considerando la divisione delle province ( imperiali/senatorie). Lo storico tedesco riteneva che il Senato fosse dotato di poteri non inferiori a quelli del principe. In realtà questa teoria non è corretta: non si può parlare di due poteri di pari entità. La prospettiva di Mommsen è “italocentrica”: infatti se si considera la totalità dell’impero, il potere del principe è nettamente superiore. TESI DEL “PROTETTORATO INTERNO” DI ARANGIO-RUIZàSecondo Ruiz nell’impero vi erano due ordinamenti interdipendenti: - Il Principe, prottetore del popolo - Il popolo romano, protetto dal principe Per Ruiz Augusto non ha soppresso la repubblica, ma la ha avvolta entro una fascia protettiva garantita dal suo potere monarchico. Il principato per Ruiz è una sorta di protettorato. Il protettorato di Augusto su Roma, non sarebbe dissimile da quello dei re ellenistici sulle poleis. TESI DEL “RAPPORTO CLENTELARE” DI FREZZA (tesi che accoglie e sviluppa quella di Arangio-Ruiz) à Secondo Frezza, il rapporto tra principe e popolo ricorda quello instaurato tra patrono e cliente (rapporto di reciproco vantaggio, in cui il primo offre sicurezza e protezione in cambio del rispetto di una serie di obblighi nei suoi confronti. Il patto è basato sulla fides, sulla reciproca fiducia, ed è posto sotto la protezione della divinità preposta: perciò il cliente che non rispetta il patto è accusato di sacertà). Per Frezza il giuramento fatto tra Ottaviano e gli abitanti dell’Italia e delle province, è analogo a quello della clientela del diritto privato. ❃ RIFORMA DELL’ESERCITO E POLITICA ESTERA La riforma dell'esercito effettuata da Augusto riguardò: • il sistema di arruolamentoà Augusto sviluppa il criterio dell’arruolamento volontario nell’esercito (già introdotto da Mario) e dà all’esercito carattere permanente. La durata di permanenza nell’esercito fu portata a 20 anni per la fanteria, e a 10 anni per la cavalleria. • l'attribuzione di un salario ai soldatià oltre allo stipendio annuo, venne istituito un premio al momento dell'arruolamento e uno al momento del congedo, oltre a dei doni periodici. Ai veterani, al termine del servizio militare, spettava un pezzo di terreno. Coloro che provenivano dalle province acquisivano anche la cittadinanza romana. Venne creato l’erarium militare, le cui entrate provenivano dalle imposte sulle successioni e sulle vendite e serviva per pagare gli stipendi ed il premio di congedo ai veterani delle legioni. • riduzione del numero delle legionià L'esercito aveva assunto delle proporzioni eccessive: vi erano più di 60 legioni. Augusto ridusse le legioni prima a 28, poi (dopo la sconfitta di Teutoburgo) a 25. Ogni legione era formata da 6.000 uomini. Nelle legioni erano arruolati cittadini romani. Vi erano anche truppe ausiliarie (auxilia) arruolate tra i provinciali: la ferma degli ausiliari era obbligatoria e più lunga di quella dei legionari. • la costituzione di un corpo speciale quello dei pretorianiàAccanto all’esercito Augusto creò un corpo speciale di 9.000 uomini, detti Pretoriani, (che dipendevano dal Prefetto del Pretorio) ed avevano il compito di proteggere la persona del principe. I PRETORIANI (arruolati tra i cittadini romani residenti in Italia) avevano una ferma più breve e una paga superiore rispetto a quella dei legionari e divennero un’elitè militare davvero molto potente. In politica estera Augusto si propone di consolidare i confini dell’impero (si passa dalla conquista alla messa in sicurezza). Augusto in persona si dedicò, con l'aiuto di Agrippa, a portare a compimento una volta per tutte la sottomissione di quelle "aree interne" all'impero non ancora conquistate completamente. -Operazioni militari in Spagna (29-19 a.C) (specie in Catambria) che portarono alla pacificazione della zona. - conquista dell'arco alpino, per dare maggior sicurezza al confine fra Gallia e Italia: nel 26-25 a.C. furono sottomessi i Salassi con la fondazione di Augusta Praetoria (Aosta); nel 23 Tridentium (Trento) fu fortificata; nel 16 furono vinti i Camuni della Val Camonica e le tribù della Val Venosta; - Campagne militari in Germania e nelle regioni danubiane, condotte da Druso e Tiberio (i figli della seconda moglie di Augusto, Livia). I due nella conquistarono l’arco alpino centrale (Rezia, Vindelicia, Norico); poi vennero sottomesse anche la Pannonia (odierna Ungheria) e la Mesia (od. Bulgaria); L’illirico diventa provincia. Si tentò anche di sottomettere le popolazioni germaniche, che nel 9 si ribellarono: l’esercito romano guidato da Quintilio Varo subì una sconfitta a Teutoburgo. Il confine della regione rimase il Reno. -In Africa (ridefinita come africa proconsolare) Cornelio Balbo estese e consolidò il controllo romano dell’area. -Rapporti col regno partico: resa diplomatica dei Parti (20 a.C) che restituirono le insegne legionarie (strappate a Crasso a Carre). Per supervisionare la zona, ci si affidò al controllo indiretto delle regioni di confine, tramite trattati di amicizia e matrimoni, con i re di Giudea (erode), di Cappadocia (Archelao), del Ponto (Polemone). “ re clienti di Roma”. In seguito alla morte dei dinastià provincializzazione. Riforma dell’esercito Politica estera ❃ PROBLEMA DELLA SUCCESSIONE L’eccezionalità del potere di Augusto – legato alla sua auctoritas e non formalmente monarchico- poneva il problema della successione. Augustò coltivò ben presto il progetto della successione, ossia della trasmissione del titolo di princeps. Tuttavia Augusto aveva un’unica figlia femmina avuta da Scribonia, Giulia, e il caso volle che tutti i membri della sua famiglia diretta, che avevano qualche possibilità di succedergli, morirono (così fu per il nipote Marcello, figlio della sorella Ottavia e marito di Giulia; per il genero Agrippa, secondo marito di Giulia; per i figli di Giulia Gaio e Lucio –detti “Cesari”perché destinati alla successione-). La scelta cadde perciò sul figlio che la seconda moglie Livia Drusilla (chiamata Augusta) ebbe dal primo marito Tiberio Claudio Nerone: Tiberio (alcuni ritengono che proprio Livia abbia avvelenato i nipoti di Augusto, Gaio e Lucio, per porre Tiberio sul trono). Già dal 6 a.C Augusto fece assegnare a Tiberio la tribunicia potestas e gli affidò campagne militari ed il comando proconsolare (garantiva il controllo dell’esercito e delle province), poteri necessari per dargli autorità legale, soprattutto nei confronti del senato. Nel 4 d.C lo adottò. Per patto Tiberio dovette adottare suo nipote Germanico. Quando Augusto morì nel 14 d.C, Tiberio gli successe: il senato lo riconobbe dunque come principe e, conseguentemente, riconobbe l’idea stessa di una successione, operante nei fatti, benché non prevista dalle leggi (La successione di Tiberio è un momento centrale nella definizione del “novus status rei publicae”). Data l’appartenenza di Ottaviano alla gens Iulia e la nascita di Tiberio dalla famiglia Claudia, gli imperatori che detennero il potere dopo Augusto dal 14-68 d.C (Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone) sono detti Giulio-Claudi. CAP 2. GLI IMPERATORI GIULIO-CLAUDI (14-68 d.C) ❃ TIBERIO (14-37 d.C) (Fonti per conoscere la vita e la politica perseguita da Tiberio, sono Tacito –Annales, “grande dissimulatore”- e Svetonio –Vita dei Cesari-; ne danno un’immagine negativa) Tiberio (56 anni) ricevette dal Senato l’offerta dell’impero, incarico che accettò con titubanza: infatti rinunciò ai titoli onorifici augustei (imperator e pater patriae) e mostrò un atteggiamento di ossequio per le prerogative del Senato: tuttavia fallì ogni suo sforzo di trovare una collaborazione con il Senato, presso cui non aveva grande popolarità. (tra gli oppositori ricordiamo Asinio Gallo, o lo schiavo di Agrippa Postumo, Clemente, che appoggiato da ambienti di corte , cercò di fomentare una rivolta 16, ma fu eliminato. Anche le legioni di Pannonia e Germania, non avevano apprezzato la successione di Tiberio, cui preferivano il loro comandante Germanico). Inizialmente mantenne un atteggiamento cauto sia in politica interna che estera: •Politica interna à fu un Buon amministratore (alla sua morte lasciò all’erario 2700 milioni di sesterzi): attuò un risanamento economico, evitando ogni spesa inutile (per esempio proibisce l’allestimento di spettacoli costosi e riduce le spese militari), favorendo la ripresa dell’agricoltura e tutelando le province con alleggerimenti fiscali e con un maggior controllo sugli abusi dei funzionari pubblici. Organizzò anche la guardia pretoriana, per la quale l’imperatore costruì l’accampamento (Castra praetoria, i cui resti imponenti troneggiano ancora oggi a Roma, nei pressi della Stazione Termini). •Politica esteraà adottò una linea mirante al consolidamento dei confini dell’Impero di Roma, senza lanciarsi in nuove conquiste. Si appoggiò alle doti militari del figlio adottivo Germanico. Approfondimento - TEORIE SULL’INVESTITURA PUBBLICA DEL PRINCEPS (aspetto formale dell’investitura) MOMMSEN à per lui il potere del princeps è legittimato da due specifici atti: l’acclamazione del futuro imperatore da parte del Senato, e l’acclamazione da parte delle truppe. L’acclamazione porta all’investitura, alla detenzione dell’imperium. KROMAYER à per lui il potere imperiale è conferito tramite ratifica con una legge. Per Kromayer, oltre all’atto di acclamazione, è necessario che l’imperium e la potestà tribunizia siano accordate all’imperatore da leggi comiziali. Quindi il potere è accordato dalle truppe e dal Senato, che lo propone al popolo riunito nei comizi. La costituzione imperiale si fonda sul principio di sovranità popolare. Col tempo il sistema della “creatio principis” si evolve: a partire tra II-III secolo d.C le leggi di investitura si riducono a un unico attoà conferimento dei poteri all’imperatore in un’unica volta ( àun esempio ne è la “lex de imperio Vespasiani”. È l’unico esemplare epigrafico a noi pervenuto di una legge che regola l’atto di investitura di un princeps) ASPETTO PRIVATO DELL’INVESTITURA DEL PRINCEPS: PRINCIPIO DI ADOZIONE DEL SUCCESSORE (aspetto sostanziale) La trasmissione del potere era preparata e anticipata sul piano privato: Augusto cerca una “successione familiare”, e la attua ricorrendo al principio di adozione (adotta i suoi nipoti, e poi Tiberio). Questo principio durerà fino al III sec d.C: la successione per adozione è stata la più gettonata tra i principià questo meccanismo ha fatto sì che la legittimità del potere non sia legata al diritto di nascita (come in passato), ma alla scelta del Princeps più degno tra i suoi collaboratori/familiari: gli imperatori sono “scelti”, “cooptati” dal princeps sulla base delle loro effettive capacità, e del loro gradimento agli occhi del Senato e del popolo. -con i Giulio-Claudià principio di adozione si ha solo con Tiberio -Con i Flavi, principio dinastico - Nel II secolo, principio di adozione (Nerva, Traiano, Adriano, “principi adottivi) -III sec: il principio dinastico ha funzionato sporadicamente e in ogni caso è stato sempre legalizzato attraverso l’adozione. ❃ VESPASIANO (69-79 d.C) Vespasiano, non apparteneva alla nobiltà romana, ma alla piccola nobiltà centro-italica (era infatti nato a Rieti), e aveva avuto una prestigiosa carriera militare in Oriente (guerra giudaica), premessa fondamentale per la sua ascesa al trono. - In un senato consulto del dicembre 69, tramite la lex de imperio Vespasiani (poi approvata dall’assemblea comiziale nell’arco di qualche settimana) Vespasiano fu riconosciuto dal senato imperator, Augustus e pontifex maximus, e ciò venne addirittura ratificato in modo retro-attivo, individuando come dies imperii del nuovo sovrano, il giorno in cui era stato acclamato dagli eserciti di Alessandria d’Egitto. Si tratta di un atto di forte novità, una svolta epocale nella stori dell’impero: • Viene riconosciuta per la prima volta la derivazione dell’imperium dal solo pronunciamento delle truppe • I poteri sono conferiti in blocco, con un unico conferimento di legge. • definizione costituzionale del regime: istituzionalizzazione del principato. Egli tornò a Roma nel dicembre 70, e alimentò una propaganda tesa ad amplificare il più possibile il successo in Oriente: celebrò il trionfo con sfilate grandiose, in cui vennero esibiti i tesori depredati e fu ucciso il capo degli ebrei ribelli Simon Bar Giora. La vittoria militare fu in seguito immortalata visivamente nella costruzione di opere pubbliche. Vespasiano fu un buon amministratore e sotto di lui ci fu una sostanziale stabilità (anche se non mancò l’opposizione della parte del senato più intransigente): - affidò la carica chiave di prefetto del pretorio al figlio Tito - rinnovò il Senato, che era stato decimato dalle purghe neroniane e dalle guerre civili. Vespasiano, che ricoprì la censura nel 73 e 74, inserì molti esponenti del ceto equestre, ed allargò la provenienza geografica dei senatori, provenienti anche dai municipi italici o provinciali (comprese le province orientali). Anche Domiziano si mosse su questa linea di rinnovamento. à quindi coesione fra le classi dirigenti del centro e quelle della periferia, importante per la riuscita del governo dell’impero. - Concesse a molte comunità peregrine lo status di municipio (specie in Spagna): attribuzione dello ius Latii. Così I magistrati di queste città, alla scadenza della loro carica, poterono ottenere la cittadinanza romana. I cittadini avevano lo ius civilis. In ambito economico Vespasiano si distinse per una sana gestione delle finanze dello Stato: risanò il bilancio, evitò sprechi, aumentò la tassazione nelle province (ricordiamo ad es. la tassa sulle latrine > da cui “pecunia non olet”), razionalizzò la gestione delle entrate, separò il patrimonium imperiale dalla res privata del principe. Egli stesso adottò un atteggiamento sobrio, opposto allo sfarzo neroniano. Inoltre affidò i dicasteri della casata imperiale a cavalieri (non più a liberti). In ambito culturale istituì cattedre pubbliche di retorica greca e latina, con salari pagati direttamente dal tesoro imperiale (Quintiliano)- Politica della “DIFESA DEL CONFINE” del Limes. Campagne in questo periodo: - Guerra giudaica - Nel 69 rivolta delle popolazioni germaniche, sollevata dal nobile batavo Giulio Civile: i forti e le città romane lungo il Reno vennero attaccati e dati alle fiamme, furono uccisi i legati imperiali della Germania, e gli eserciti romani in loco furono costretti a giurare fedeltà ai ribelli: nel 70, un grande esercito inviato dall’Italia da Licinio Muciano, riuscì a sedare la rivolta e ripristinare l’autorità romana. (tra i generali ricordiamo Petilio Ceriale)à consolidamento in Germania. - Presa di Masada nel 73 (appendice della guerra giudaica): una volta caduta Gerusalemme, gli ultimi strenui ribelli zeloti, guidati da Eleazaro, trovarono rifugio nella fortezza di Masada. L'esercito romano, guidato dal legato di Giudea Flavio Silva, assediò nel 73 fortezza: vi trovò i cadaveri di quasi tutti gli assediati, dovuto a un suicidio di massa. (episodio raccontatoci da Flavio Giuseppe) - Consolidamento in Britannia: Petilio Ceriale nel 71 fu inviato come governatore e attuò una politica espansionistica occupando il sud della Scozia. Dopo di lui agirono altri insigni comandanti come, Frontino, che debellò i Siluri del Galles, e Giulio Agricola che dal 77 continuò la pacificazione dell’isola. Il culmine della sua attività si ebbe con la battaglia del mons Graupius (83) nella quale ai margini della Britannia sconfisse i Caledoni. Fu però richiamato a Roma da Domiziano, forse per gelosia. - In Oriente, Annessione del regno satellite della Commagene, che fu incorporato nella provincia di Siria. Vespasiano morì nel 79 d.C. LA GUERRA GIUDAICA (66-70) La prima guerra giudaica durò dal 66 al 70 (anche se continuò con strascichi fino al 73) ed ebbe come conseguenza la distruzione del tempio di Gerusalemme (70). La rivolta scoppiò nel 66, sotto Nerone, a seguito delle richieste fiscali romane e della crocifissione di alcuni ebrei. Già nel 67 Vespasiano, dopo aver espugnato una serie di città fortificate e aver catturato il nobile ebreo Flavio Giuseppe (cantore della guerra giudaica, che in seguito alla cattura si guadagnò le simpatie del comandante e si stabilì a Roma), aveva preso possesso della Galilea. Nell’arco di altri 2 anni eliminò tutti i capisaldi della resistenza ebrea, forte di cinquantamila uomini (oltre alle legioni, disponeva di unità ausiliarie inviate dai re satelliti dell’Oriente e del re collaborazionista ebreo Agrippa II). Rimaneva da espugnare la capitale ebraica, cinta da una possente cinta muraria: nel 70 Vespasiano, che nel frattempo era stato proclamato imperatore, partì alla volta di Roma e lasciò al figlio Tito il compito di conquistare Gerusalemme, espugnata dopo un assedio di 5 mesi nel dicembre 70, con distruzione del tempio (per il popolo ebreo una tragedia). Lo stato ebraico ebbe 1 milione e 100 mila morti, 97mila prigionieri e distruzioni di villaggi e piccole comunità (diaspora). Ricchezze ingenti vennero depredate, e le somme di denaro che gli ebrei della diaspora erano soliti devolvere al tempio, da allora confluirono per ordine di Vespasiano in una cassa dell’impero appositamente creata, il fisco giudaico. La Giudea divenne una provincia, retta da un legato pro- pretore (legatus Augusti pro praetore) Il rientro a Roma. Il trionfo e il riverbero della vittoria sulle opere pubbliche Politica interna. Stabilità Politica estera ❃ TITO (79-81 d.C) Il potere passò in modo tranquillo al figlio maggiore Tito, che godeva della gloria della vittoria giudaica e che già durante il governo di Vespasiano aveva avuto incarichi di governo (aveva addirittura condiviso con il padre la potestà tribunizia e il potere proconsolare). L’automatismo dinastico provocò una debole opposizione senatoria. Si sospettò che avesse una relazione con la principessa ebrea Berenice, sorella di Agrippa II: la prospettiva di un’imperatrice ebrea a Roma non fu ben accolta, e Berenice fu costretta a lasciare la città. Nel suo breve regno fu equilibrato e governò d’intesa col Senato, tanto che Svetonio riporta che Tito era chiamato “delizia del genere umano”. Sotto di lui ci furono due eventi celebri: - L’inaugurazione del Colosseo - Eruzione del Vesuvio (79 d.C), che provocò la distruzione di Pompei e Ercolano, in cui morì anche Plinio il Vecchio, allora al comando della flotta imperiale. Morì prematuramente nell’81. ❃ DOMIZIANO (81-96 d.C) Salì al potere suo fratello minore Domiziano, che • in politica estera à seguì le orme del padre, intraprendendo campagne militari tese a rafforzare i confini lungo i fiumi Reno e Danubio: fece a tale scopo costruire una serie di fortini collegati tra loro nella regione del Reno, presidiati stabilmente da contingenti di ausiliares, e nell'area danubiana stanziò stabilmente guarnigioni di legionari, dall'attuale Austria fino quasi al Mar Nero. Creò così gli Agri decumates (94), una sorta di territorio “cuscinetto” tra questi fiumi a protezione dei domini romani contro gli assalti di genti germaniche. (guerra contro i Daci nella zona danubiana, conclusasi con la pace col re Decebalo, e contro i Marcomanni e i Quadi che premevano sulla Pannonia) •In politica internaà invece Domiziano si distanziò dal tracciato paterno, instaurando di fatto un regime autocratico. Egli si paragonò a “Giove in terra”, si fece chiamare "Dominus ac deus"(signore e dio) e si attribuì la qualifica di censore perpetuo, grazie alla quale esautorò il senato ed espulse da esso gli oppositori. Si rese estremamente impopolare per le sue tendenze autocratiche, e ai tentativi di congiura scoperti rispose emettendo numerose condanne a morte che colpirono anche personaggi in vista dell'aristocrazia. Domiziano fu vittima di una congiura di palazzo (liberti, pretoriani, senatori) nel 96. Con la morte di Domiziano (96) ebbe fine la dinastia flavia. Al pari di Nerone, anche a Domiziano venne inflitta la damnatio memoriae, che ordinò la distruzione di ogni immagine, iscrizione o dedica che lo potesse ricordare ai posteri. Tuttavia bisogna ricordare (nonostante le fonti parlino negativamente del regno, definito “tirannide”), alcuni aspetti positivi della sua poltica: - Continuò il rinnovamento del Senato e la creazione di un funzionariato imperiale affidato al ceto equestre - Mantenne una politica economica oculata. - Lotta alla corruzione CAP 4. L’ETA’ DEGLI ANTONINI (96-192 d.C): NERVA-TRAIANO- ADRIANO-ANTONINO PIO-MARCO AURELIO-COMMODO – imperatori per adozione àUno dei periodi più felici della storia di Roma antica. Dopo Nerva, gradito all’aristocrazia senatoria, per quasi un secolo si succedettero imperatori che non erano imparentati con i predecessori, ma da questi adottati perché ritenuti idonei a ricoprire il ruolo (non più criterio dinastico, come i giulio-claudi e i falvi ma à criterio adottivo, II secolo). Fu Marco Aurelio a interrompere il principio adottivo, scegliendo come erede il figlio Commodo. Il periodo degli Antonini. è caratterizzato da: stabilità politica, floridità economica, espansione territoriale. Ebbero un atteggiamento equilibrato: collaborazione con il Senato e attenzione per i ceti più bassi e per gli emergenti ceti medi (sia italici che provinciali, già valorizzati dai Flavi), ottenendo un largo consenso sociale. ❃ NERVA (96-98 d.C) Alla morte di Domiziano, il senato si riunì d’urgenza e per evitare guerre civili acclamò come imperatore un proprio esponente, il vecchio senatore Cocceo Nerva, gradito all’aristocrazia. Nerva era stato uno dei lealisti ricompensati da Nerone, poi era stato due volte console. Nerva non aveva figli, cosa che fa pensare che si fosse pensato a lui come “imperatore di transizione”. Tuttavia dopo la sua elezione alcuni stavano tramando un colpo di stato, in favore del senatore spagnolo Cornelio Nigrino, governatore della provincia di Siria: per sventare la manovra nel 97 Nerva adottò e associò al potere Ulpio Traiano, allora governatore della Germania superior (àdi origine spagnola, in particolare della colonia di Italica, Traiano aveva un grosso esercito e poteva contare sull’appoggio dei governatori delle province del settore renano-danubiano). Nel suo breve principato: -allenta la pressione fiscale e riorganizzò i servizi di distribuzione di grano e rifornimento di acqua. -cerca di alleviare la crisi agricola con la concessione di terre ma anche di prestiti (congiarium) a basso interesse ai contadini. -gli eserciti e i pretoriani ottennero donativi -combatte gli abusi connessi con l’esazione del fisco giudaico ❃ TRAIANO (98-117 d.C) (primo imperatore provinciale) Dopo la morte di Nerva, Traiano rimase per più di un anno sul Reno per organizzare le frontiere, per poi tornare a Roma (facendo un donativo al popolo – congiarium). Fu un principe buon principe, molto amato e popolare, abile a mantenere saldo il consenso. Plinio il giovane, senatore originario di Come, gli dedicò un panegirico e lo definì optimus princeps, dalle ottime qualità morali e pratiche (filantropia e humanitas). Traiano assunse poi nella nomenclatura ufficiale l’epiteto di Optimus. Traiano instaurò una politica di pacificazione sociale, fatta di rispetto per tutte le componenti della società romana: - Fu collaborativo col senato (al quale vennero ammessi molti provinciali) - Fu attento ai ceti medi e alle masse popolari: concesse prestiti ai contadini italici, attuò distribuzioni di grano o denaro (evergetismo) e promosse gli alimenta, vere e proprie “borse di studio” per l’educazione dei giovani italici meno abbienti. Costruì grandi opere pubbliche per far progredire l’impero in Italia e nelle province (ristrutturazione del porto di Ostia e vennero costruiti porti minori a Civitavecchia, Terracina, Ancona; costruzione del foro Traiano e dei mercati traianei; monumenti che esaltavano i successi militari come la colonna Traiana –le cui decorazioni illustrano le vicende delle guerre daciche- o i numerosi archi trionfali a Roma, Ancona, Benevento, Carsoli; Terme di Traiano e nuovo acquedotto) Traiano ottenne una serie di vittorie militari che ingrandirono l’impero e rafforzarono i confini: sotto di lui si raggiunse la massima estensione imperiale (tanto che alcuni storici paragonano la sua azione a quella di Alessandro Magno) 1. Prima guerra contro i Daci (101-102 d.C), popolo che viveva nell’odierna Romania e che era una minaccia per i domini romani al confine danubiano. La guerra scoppiò nel 101 e fu giustificata dalle incursioni dei Daci nella regione romana della Mesia (attuale Bulgaria). Egli stesso fu impegnato in prima persona alla guida di un grande esercito ben organizzato. Lo scopo era quello di ridimensionare la potenza del re Decebalo. I Romani sconfissero i Daci a Topae, misero a fuoco diverse città. L’esercito intraprese poi una manovra a tenaglia: Traiano sferrò l’attacco al “passo delle porte di ferro”, Lusio Quieto (a capo della cavalleria del popolo dei Mauri) sorprese Decebalo al Passo di Vulcan, e il governatore della Mesia inferiore Laberio Massimo perse possesso del “passo della torre rossa”. Le truppe poi si ricongiunsero e mossero verso la capitale del regno: a questo punto Decebalo chiese la pace. Traiano impose come condizioni, la restituzione di armi e prigionieri, il disarmo delle fortezze dei Daci lungo il Danubio e la cessione dei territori occupati dai romani durante la conquista. 2. Seconda guerra contro i Daci (105-106) e riduzione della Dacia a provincia. La pace non durò a lungo: Decebalo non rispettò le clausole e lanciò un attacco contro le forze romane (105). I Daci tentarono di stringere alleanze con i popoli transdanubiani, ma rimasero isolati: l’esercito di Traiano, forte di nuove legioni, eliminò la resistenza a Vulcan, conquistò molte fortezze e assediò la capitale Sarmizegetusa: Decebalo si suicidò decapitandosi. La Dacia divenne provincia e fu fondata una nuova capitale (colonia Ulpia Traiana Augusta Dacia). Si trattava di un territorio importante sia strategicamente sia economicamente (distretti di oro dei Carpazi, e di salgemma), e Roma rimpinguò le sue casse con il bottino di guerra e le miniere di quella regione. A Roma ci fu un grandioso trionfo e vennero organizzati giochi gladiatorii. Delle imprese, raccontate da Cassio Dione, rimane testimonianza artistica negli splendidi rilievi della Colonna Traiana a Roma, costruita da Apollodoro di Damasco. 3. Riduzione a provincia dell’Arabia Petrea (odierna Giordania). Nel 106 gli eserciti imperiali, guidati dal legato di Siria Cornelio Palma, occuparono il regno dei Nabatei, alleato dei romani, e territorio ricchissimo: la capitale Petra era uno snodo della famosa via delle spezie. Il territorio fu organizzato come provincia di Arabia, e qui venne costruita la via Traiana. 4. (113-117) campagne vittoriose in Oriente per la conquista di Armenia, Mesopotamia, Assiria e per fronteggiare i Parti. Nel 113 il sovrano dei parti Cosroe aveva deposto il re di Armenia senza interpellare i romani. Traiano organizzò un esercito di 80mila uomini. I romani rifiutarono la richiesta di pace: l’Armenia venne affidata come provincia a un governatore romano. Traiano mosse verso la Mesopotamia. Venne conquistata l’Adiabene che divenne provincia di Assiria. Traiano poi scese l’Eufrate con la flotta giungendo nel regno dei Parti, ormai esausti. Tuttavia un nipote del re parto mise in atto una rivoluzione, forte anche della popolazione ebraica che viveva nelle città dei parti: le guarnigioni romane in Armenia e Mesopotamia vennero distrutte. Traiano comprese l’impossibilità di mantenere una provincia così estesa e nominò sul trono di Partia un re eletto dai romani. Tentò però l’assedio di Hatra, in Mesopotamia, centro chiave per i commerci, ma fallì. Tornò verso Roma. 5. Seconda guerra giudaica 116-7, detta anche guerra di Kitos àcontemporaneamente tra 116-7 gli ebrei di Egitto e Cirenaica si erano sollevati portando in queste province una guerra, che comportò morti e devastazioni. La rivolta fu sedata dall’esercito romano, che accorse in aiuto alle truppe in loco. Anche instabilità della Giudea, tanto che Traiano vi inviò Lusio Quieto, che aveva sconfitto gli ebrei della Mesopotamia, e elevò il governatore della provincia allo status di legato consolare. Morì in Cilicia nel 117. ❃ ADRIANO (117-138 d.C) Dopo la morte di Traiano salì al trono Publio Elio Adriano, spagnolo anche lui di Italica, che aveva seguito Traiano nelle campagne in Dacia, era asceso nel cursus honorum, e aveva ricevuto da Traiano la cura degli eserciti orientali: Adriano esibì un testamento in cui Traiano ne proclamava l’adozione (su cui però gli storici nutrono dei dubbi, ipotizzando una falsificazione testamentaria). Tuttavia la successione venne contestata in alcuni circoli (secondo cui Traiano voleva come reggente il giurista Nerazio Prisco, in attesa che il senato scegliesse un nuovo imperatore). L’ostilità senatoria verso Adriano fu dovuta alla sua posizione in politica estera, di abbandonare l’espansione imperialistica: infatti rinunciò a sottomettere i Parti e abbandonò Armenia, Mesopotamia e Siria. Tuttavia Adriano riuscì a stroncare il partito dell’opposizione prima che divenisse troppo forte. Per ottenere la simpatia del senato e del popolo si avvalse di tutti gli strumenti di propaganda: - organizzò la cerimonia e gli spettacoli per il trionfo partico riportato dal defunto Traiano - dispose che le proprietà confiscate ai condannati confluissero nel tesoro pubblico e non in quello imperiale - finanziò i senatori per i giochi che dovevano organizzare durante le magistrature e aiutò quelli in difficoltà economiche - fece varie erogazioni di denaro al popolo e emanò un provvedimento di remissione di debiti (comprendenti arretrati di 15 anni) e fece bruciare i documenti delle tasse - numerose opere pubbliche a Roma (ristrutturò il pantheon e rinnovo altre aree monumentali;) Dal punto di vista amministrativoà divise l’Italia in quattro distretti governati da 4 consolari, equiparando la penisola alle province e togliendo al senato la prerogativa di supervisione sul territorio italiano. Politica interna. Politica estera difensore della tradizione e vendicatore di Pertinace. Quest’ultimo partì alla volta di Roma, dove fece uccidere Didio Giuliano, disarmò i pretoriani e sciolse le coorti pretorie, che ricostituì con i suoi legionari. Sistemata la situazione in Italia, si volse contro gli avversari: sconfisse Pescennio a Isso, e mosse una campagna fulminea e vittoriosa contro i Parti (dove alcuni territori approfittando della guerra civile erano avanzati in Mesopotamia), che gli valse la conquista della provincia di Osroene; Poi marciò contro Clodio Albino, pericoloso perché apprezzato dal senato, che sconfisse ed uccise nel 197 in Gallia. (Crisi politica 193-197 – mostra il processo di affermazione delle province e di decentramento). Con Settimio Severo (193-211) inizia la dinastia dei Severi – Settimio Severo era nato in Africa, a Leptis Magna (nell’attuale Libia) e aveva fatto tutta la sua carriera nell’esercito. (per legittimarsi si autoproclama “membro degli Antonini”) •In politica estera il suo regno fu contrassegnato da continue guerre: quelle contro Pescennio e Clodio Albino (vedi su), la prima campagna partica, la seconda campagna partica (192-99) che gli valse la provincia della Mesopotamia. Per quasi 4 anni (199-202) si trattenne nelle province orientali, specie in Siria che riorganizzò dal punto di vista amministrativo, dividendola in due province più piccole (Siria Cele, e Siria Fenice) per impedire che i suoi governatori si sentissero tanto potenti da aspirare all’impero. Volse poi sul limes danubiano per la riorganizzazione di quelle province. •Politica interna. = politica accentratrice - Mutamento della fisionomia del Senatoà il senato fu epurato dai sostenitori di Pescennio e Albino, e vi inserì i suoi sostenitori, soprattutto di origine provinciale e di rango equestre. - provvedimenti a favore dell’esercito: aumentò le paghe dei soldati, istituì premi straordinari per i veterani, estese il reclutamento dei legionari nei bassi strati sociali (favorendo così l’ascesa dei provinciali), diede ai soldati la possibilità di contrarre matrimoni e vivere con le proprie famiglie nelle vicinanze dei campi militari. I centurioni ebbero la possibilità di accedere direttamente all’ordine equestre, saltando il primpilato, e i cavalieri ebbero il comando delle tre legioni partiche. Istituì una nuova imposta fondiaria, l’annona militare, per l’approvvigionamento degli eserciti. - in economia il suo regno si caratterizzò per una politica inflazionistica, riducendo il valore del denario, che ebbe come conseguenza l’aumento della moneta circolante e dei consumi. Sostenne anche la produzione. - Si dedicò allo sviluppo delle province e proseguì nell’opera di riforma giuridica iniziata dagli Antonini, specie nel campo del diritto privato, avvalendosi della collaborazione di grandi giuristi Papiniano, Treboniano, Ulpiano. (il Digesto di Giustiniano è composto con i loro frammenti. Furono membri del consilium principis) Per quanto riguarda la successione, Severo volle che il trono fosse diviso tra i suoi 2 figli, (riaffermazione del principio dinastico), Caracalla e Geta, che per pacificare portò con sé in una spedizione in Britannia, dove i Caledoni rendevano poco sicuro il confine. Tuttavia morì improvvisamente a York, mentre preparava la campagna militare, e i due figli si affrettarono a concludere la pace con i Caledoni e a tornare a Roma. ❃ CARACALLA (211-217 d.C) Marco Aurelio Antonino, detto Caracalla (per la veste gallica che usava indossare) eliminò ben presto il fratello Geta (pare di fronte alla madre), per assicurarsi il potere. Caracalla continuò sostanzialmente la politica accentratrice del padre, e dovette affrontare una grave crisi economica. Ø Il suo nome è legato alla Constitutio Antoniniana promulgata nel 212, anche detta Editto di Caracalla, con la quale estese la cittadinanza romana a tutti i cittadini liberi dell’Impero (sono esclusi solo i dediticiii – masse rurali non urbanizzate e/o di estrazione barbarica). D’ora in poi il discrimine sociale sarebbe stata solo la qualitas delle persone, ossia essere tra gli honestoires o gli humiliores. L’editto concedeva dignità politica alle province, traducendo l’ormai evidente ecumenicità dell’impero e unificandolo sotto il profilo politico- religioso; L’editto ebbe anche conseguenze vantaggiose: -allargava la base fiscale dello stato, in un momento in cui le casse dello stato erano in dissesto; (su questo punto insiste Casso Dione, in maniera negativa, vedendovi le motivazioni dell’editto) -estendeva il reclutamento dei cittadini a tutto l’impero, includendo anche quei barbari che erano disposti a combattere sotto le insegne di Roma. Ø Introdusse una nuova moneta, (per affrontare il dissesto e attenuare gli effetti catastrofici dell’inflazione), L’ANTONINIANO, dal valore nominale di due denari, ma dal valore effettivo di un denario e mezzo GUERRA CONTRO I PARTI à Cercò la gloria militare, sognando di essere un secondo Alessandro Magno. Nel 213, nella Rezia, vinse gli Alemanni e poi ottenne successi in Tracia contro Quadi, Iazigi e Carpi. Passò in Oriente: nonostante le condizioni economiche, organizzò una campagna contro i Parti, approfittando della crisi interna ( Vologeso IV, era stato scalzato da Artabano). Dapprima inserì nella provincia di Osroene lo stato cuscinetto di Edessa, poi chiese in sposa la figlia di Artabano, che però si rifiutò. L’esito disastroso e la sua condotta dissennata lo screditarono agli occhi dei soldati e nel 217 d.C., a Carre, fu fatto uccidere dal prefetto del pretorio Opellio Macrino. ❃ Macrino (217-18 d.C) / ELAGABALO (218-222 d.C) Morto Caracalla, Opellio Macrino fu proclamato imperatore dall’esercito e ottenne anche il riconoscimento del senato. Fu il primo cavaliere a diventare imperatore e il suo regno durò 16 mesi. Il suo atteggiamento remissivo verso i Parti (con cui siglò una pace) e la sua politica a favore del risanamento delle finanze pubbliche provocò malcontento nell’esercito e diede modo alle influenti donne siriache della dinastia dei Severi (che dopo l’acclamazione aveva rimandato in Siria, ad Emesa) di tramare per far acclamare dalle truppe d’Oriente un nipote di Giulia Domna (moglie di Settimio Severo), Vario Avito Bassiano, detto Elagàbalo (così chiamato in quanto sacerdote del dio del sole El Gabal). I due eserciti si scontrarono Macrino e fu fatto giustiziare come usurpatore (218). Elagàbalo ebbe scarse attitudini guerriere e volle estendere all’impero il culto del dio del sole: fece porre la sua statua in un tempio che egli stesso fece costruire e rafforzò la presenza dei culti orientali nella corte di Roma, ma i rituali orientali erano davvero troppo stravaganti per venire accettati; agli occhi dei romani l’imperatore incarnava i vizi e le turpitudini da loro associati alla cultura orientale. Il suo governo fu Settimio Severo S caratterizzato inoltre dall’enorme influenza delle donne (soprattutto la madre del principe, Soemia, vera padrona dello Stato – si parla di “senatino delle donne”). L’ostilità cresceva e la zia Giulia Mesa, per far continuare la dinastia lo convinse a nominare Caesar suo cugino Severo Alessandro. L’imperatore fu ucciso insieme alla madre dai pretoriani. ❃ SEVERO ALESSANDRO (222-235 d.C) I pretoriani acclamarono Severo Alessandro. Egli tentò di riportare la pace sociale: abolì i culti orientali, ripristinò il prestigio dell’aristocrazia senatoria che ritornò a collaborare con il governo, diede terre ai veterani e proseguì anche nell’opera di elaborazione del diritto romano, grazie alla collaborazione del grande giurista Ulpiano. (per questo è dipinto dalla storiografia come un imperatore buono, virtuoso). Nel 224 Ardashir prese Ctesifonte e sconfisse il re parto Artabano, imponendo sulla regione la dinastia persiana; spinto da velleità espansionistiche mosse guerra all’impero, attaccando Armenia, Cappadocia, Mesopotamia e Siria. L’entourage dell’imperatore organizzò una possente spedizioni su tre direttrici: una colonna avrebbe dovuto attaccare in Mesopatamia, una seconda guidata dall’imperatore avrebbe dovuto attaccare il cuore del regno, una terza si sarebbe mossa lungo l’Eufrate. Ma il piano fallì per le esitazioni dell’imperatore: il suo esercito si mosse in ritardo, così che le altre due colonne vennero decimate. Nonostante la sconfitta a Roma l’imperatore celebrò il trionfo, ma si incrinò il rapporto con le truppe. Partì subito dopo per il nord per difendere dai Germani il confine lungo Reno e Danubio: ma fu ucciso a Magonza con la madre dall’esercito, guidato dall’ufficiale, passato alla storia con il nome di Massimino il Trace. (sotto il suo regno per la prima volta Roma attaccata su più fronti) CAP 6. L’ANARCHIA MILITARE (235-284 d.C) del 3° secolo e LA CRISI DELL’IMPERO. (un cinquantennio. Periodo più buio della storia di Roma) LA FINE DELLA DINASTIA DEI SEVERI (235) APRÌ UN PERIODO DI CRISI PROFONDA NELL’IMPERO ROMANO, CHE FU CONTESO DAI COMANDANTI DELL’ESERCITO: È L’EPOCA DELL’ANARCHIA MILITARE (235-284 D.C.), caratterizzata dall’instabilità politica e dallo strapotere dei militari, i quali proclamavano imperatore il proprio comandante sperando di ottenere così in cambio privilegi, avanzamenti nella carriera oppure terre e denaro (Se poi il nuovo principe non manteneva quanto promesso, veniva rapidamente eliminato per far posto a un nuovo candidato. Inoltre poteva accadere che più legioni eleggessero contemporaneamente un imperatore. Si scatenavano allora lotte terribili in cui diversi reparti dell’esercito combattevano l’uno contro l’altro). Nel giro di un cinquantennio si alternarono una trentina di principi. Ad aggravare la crisi vari fattori che si sommavano tra loro: - le invasioni dei territori imperiali - ambizioni di numerosi prefetti del pretorio e governatori delle province "militari" - le difficoltà economiche (tracollo del sistema monetario; inflazione e aumento dei prezzi; l’eccessiva burocratizzazione aveva aumentato le spese: stipendi a funzionari; la rovina dei piccoli proprietari che sempre più spesso erano costretti a svendere i loro poderi, favorendo, così, la rinascita dei grandi latifondi. L’estendersi del latifondo, a sua volta, provocò una fuga dalle campagne con la conseguenza che una gran massa di diseredati si riversò nelle città ad ingrossare la folla dei disoccupati.) - le epidemie e pestilenze che portarono a un calo demografico. Massimino il Trace (235-238) –all’epoca era solo addetto all’addestramento delle truppe (praefectus tironum): Fu acclamato imperatore dalle truppe, aprendo così il periodo dell’anarchia militare. Le fonti lo descrivono come un tiranno, rude, incolto, dedito solo alla milizia. Non si recò nemmeno a Roma per l’investitura. Per questi motivi e per la sua origine mezza barbara, non era gradito al senato, anche se egli mostrò rispetto per l’ordine. Massimino si dedicò con grande energia alla lotta contro i Germani e ottenne importanti successi lungo il Reno e il Danubio. Lo sforzo militare e la ristrutturazione viaria intrapresa in alcune province per facilitare lo spostamento delle truppe e dei rifornimenti, richiesero un inasprimento della pressione fiscale. Scoppiò allora una rivolta (238) che partì dall’Africa: qui ci fu una congiura contro il procuratore fiscale e venne eletto imperatore il proconsole Antonio Giordano, che associò al potere il figlio Antonio Giordano iunior. La rivolta dilagò in Italia (dove fu guidata dal senato) e nel frattempo in Africa una legione rimasta fedele all’imperatore si liberò dei 2 Giordani. Intanto a Roma il senato elesse un corpo per la difesa di Roma e dell’Italia, e scelsero due imperatori, Pupieno e Balbino, ma la plebe chiese il coinvolgimento del nipote del vecchio Giordano, che fu associato al potere col titolo di Cesare. Massimino indugiò prima di prendere delle misure e la sottovalutazione del pericolo gli valsero la disfatta: scese nella penisola con il suo esercito, ma si trovò di fronte a una resistenza compatta. La situazione dell’esercito imperiale, privo di rifornimenti e insidiato da più parti, si aggravò di giorno in giorno, finché Massimino fu trucidato assieme al figlio Massimo dai suoi stessi legionari nei pressi di Aquileia. Giordano III fu acclamato imperatore dai pretoriani e da una parte dell’esercito e in breve tempo Pupieno e Balbino furono eliminati. Gordiano III (238-244) – era un ragazzo di appena tredici anni. Il governo fu legittimato e appoggiato dal senato, e rispettò le forme costituzionali. Il prefetto del pretorio ottenne un potere straordinario grazie al controllo dell’annona militare e degli approvvigionamenti dell’esercito. Il suo regno si ricorda per la difficile situazione alle frontiere: prima Carpi e Goti attaccarono la Mesia, e con essi si stipularono accordi di pace; poi in Oriente a partire dal 239 cominciò l’offensiva Persiana. Giordano organizzò una grossa spedizione (che partì nel 242), ma incontrò difficoltà nel reclutamento degli eserciti: la crisi demografica e la esistenza dei contadini che cercavano di eludere il servizio militare, avevano spinto da qualche tempo gli imperatori romani a reclutare, in qualità di mercenari, soldati barbari (barbarizzazione dell’esercito); con Gordiano III il reclutamento di questi soldati stanziati oltre il confine, chiamati federati, fu fortemente intensificato (vennero inclusi contingenti gotici) suscitando il malumore delle truppe romane, che vedevano negativamente l’eccessiva presenza di barbari nell’esercito. Lo scontro decisivo con i persiani si ebbe nel 244: i romani ebbero la peggio e Gordiano morì. Nell’urgenza del momento le truppe acclamarono imperatore il prefetto al pretorio, Marco Giunio Filippo, noto come Filippo l’Arabo (dalla sua provincia d’origine) Filippo l’Arabo (244-249) /i due Filippi– Concluse con i Persiani una dolorosa pace (pagata 500.000 aurei) e si recò a Roma, dove venne riconosciuto imperatore. Per rinsaldare il proprio potere proclamò Cesare il figlio omonimo, innalzandolo nel 247 anche al rango di Augusto. Per tentare di riassestare la situazione in Oriente nominò suo fratello Giulio Prisco prefetto di Mesopotamia, con imperium maius su tutta la Siria (qui fiscalismo esagerato), e procedette alla riorganizzazione della difesa del limes Danubiano, dove affidò potere straordinario a 1 2 3 Pacazianoà strategia dell’imperatore era affidare il controllo delle aree pericolose dell’impero a uomini di sua fiducia. L’avvenimento più importante del suo regno fu nel 248, quando si festeggiò solennemente il millesimo anniversario della fondazione di Roma. Filippo l’Arabo fu ucciso l’anno seguente da Messio Quinto Decio. Infatti dopo che Filippo aveva negato il tributo pattuito ai Goti, questi invasero la Mesia e la Tracia, dove le truppe elessero imperatore Pacaziano; allora Decio sconfisse Pacaziano, ma fu a sua volta eletto imperatore dall’esercito, scontrandosi con Filippo a Verona nel 429 (uccidendolo). Messio Quinto Decio (249-251) –l'aver sguarnito le difese dell'area balcanica per scendere in Italia (vedi su) permise, ancora una volta, a Goti e Carpi guidati da Kniva di riversarsi nelle province romane, muovendosi su due direttrici: un contingente in Tracia fino a Filippopoli, un altro più numeroso guidato da Kiva in Mesia inferiore fino a Novae. Intanto a Roma, per difendere i culti tradizionali, Decio avviò una feroce repressione verso i cristiani: questo soprattutto per una politica di rafforzamento dell'autorità imperiale attraverso il culto dell'Imperatore (tutti gli abitanti della città dovevano sacrificare e giurare sull’imperatore, ottenendo un libellus in cambio dell’avvenuto sacrificio). Nel 250 Decio fu costretto a fare ritorno sulla frontiera del basso Danubio, per affrontare l'invasione dell’anno precedente dei Goti: però, subì una prima sconfitta presso Beroe (odierna Stara Zagora), tanto pesante da impedire all'imperatore non solo la prosecuzione della campagna, ma soprattutto la possibilità di salvare Filippopoli che, caduta in mano ai Goti, fu saccheggiata e data alle fiamme. Intanto nel 251 il figlio dell’imperatore Erennio Etrusco riportò una vittoria contro i Germani e fu proclamato augusto insieme al padre Decio. Ma ancora i Goti, riuscirono a battere Decio nei pressi di Abritto, in Dobrugia, uccidendo l'imperatore ed il figlio Erennio Etrusco. Treboniano Gallo (251-252) – Volusiano- Emiliano. A Decio successe il governatore della Mesia Treboniano Gallo, acclamato imperatore dalle truppe. Concluse frettolosamente la pace con i Goti e tornò a Roma. Qui nel frattempo il secondogenito di Decio, Ostiliano (che aveva ricevuto dal padre il titolo di Cesare) salì al potere e associò al trono suo figlio Volusiano. Nel 252 ci fu una nuova offensiva persiana, in Siria e Cappadocia. Le truppe delle Mesie acclamarono imperatore il loro legato Marco Emilio Emiliano. L’anno seguente Gallo e Volusiano furono uccisi dai loro soldati a Terni. Emiliano fu imperatore per soli tre mesi, nell’anno 252. Infatti, nel frattempo anche Publio Licinio Valeriano era stato acclamato imperatore dalle legioni della Rezia: l’acclamazione fu subito riconosciuta dal senato a Roma, dove il figlio Gallieno venne persino nominato prima Cesare e subito dopo Augusto Diarchia Valeriano (252-260) e Gallieno – Gallieno (260-268) (. Sotto i loro regni: apice della crisi). Valeriano divise i compiti, affidando al figlio Gallieno il controllo dell’Occidente e a lui quelle dell’Oriente: egli riconquistò gran parte della provincia di Mesopotamia e si stabilì ad Antiochia riorganizzando il limes orientale, mentre suo figlio fronteggiò con successo l’avanzata dei Franchi lungo il Reno. Nel periodo di questa diarchia: - Valeriano con 2 nuovi editti, perseguitò i cristiani (257-8). Il primo proibiva ai cristiani di tenere assemblee e frequentare i cimiteri romani, pena l’esilio; il secondo stabilì l’esproprio dei beni e la pena di morte per i cristiani che si fossero rifiutati di sacrificare. Gallieno nel 260 fece revocare i provvedimenti. - Dal 259 dal Mar Nero al reno ci furono incessanti invasioni barbariche - Nel 260 i persiani tornarono ad attaccare la Siria. Durante la battaglia di Edessa, Valeriano venne fatto prigioniero (prima volta che un imperatore romano cadeva nelle mani del nemico) e poi fu deportato in Persia, morendo in prigionia nel 260. Questo scatenò una serie di reazioni a catenaà i persiani continuarono a invadere l’Oriente, e l'impero subì una scissione in tre parti per quasi quindici anni (che però ne permisero la sopravvivenza): - ad Occidente l'Impero delle Gallie (imperium gallorum), un organismo politico autonomo modellato su quello romano (aveva consoli e senato), retto da Postumo. - A Oriente il Regno di Palmira (città della Siria), guidato da Settimio Odenato. Infatti a Oriente i generali Macriano, Quieto e Ballista scacciarono i Persiani che, sulla via del ritorno vennero sconfitti dal principe di Palmira Odenato. Le truppe orientali nominarono imperatori Macriano e Quieto, ma quando il primo partì per l’occidente, Odenato eliminò senza troppo sforzo Quieto e Ballista. Gallieno, in cambio di fedeltà, nominò Odenato corrector totius Orientis, che gli dava di fatto un controllo quasi autonomo sull’ Oriente. - Nella parte centrale dell’impero (Italia, Africa, regioni danubiane) Gallieno. Egli attuò una serie di riforme, specie in ambito militare (alcuni lo hanno definito “vero padre dell’esercito tardo-antico): •Istituì un’unità indipendente di cavalleria, composto prevalentemente da Mauri e Dalmati, con l’aggiunta di alcuni corpi mobili legionari, le vexillationes (portate da 120 a 726 uomini). • Anziché distribuire le truppe su tutto il confine, le concentrò nelle retrovie, nei punti strategicamente più importanti. • tolse ai senatori il comando delle legioni e l'affidò a generali di estrazione equestre, per porre fine alle continue ribellioni dei generali di estrazione senatoria: atto importante, che poneva le basi di quella distinzione tra potere civile e funzioni militari che caratterizzeranno l’ultima fase della storia romana. Nel 267 gli Eruli imperversarono nell’Egeo arrivando a saccheggiare Atene, ma vennero cacciati dall’Attica. Costretti a ripiegare in Tracia e Macedonia, furono accerchiati dalle truppe romane e sconfitti dall’imperatore a Nesso (268). Gallieno però fu richiamato a Milano dall’usurpazione di Aureolo: durante l’assedio della città, Gallieno fu ucciso da una congiura. Emerse il generale di origine illirica Aurelio Valerio Claudio (vedi giù). [Da qui in giùà periodo dei “restitutores illirici”. imperatori illirici (268-82): ripresa e riunificazione dell’impero] Claudio II il Gotico (268-270) – Ricevuta la sottomissione di Aureolo e scacciata l’avanzata verso l’Italia degli Alamanni, ricoprì prima il consolato a Roma. Nel 269 Claudio II il Gotico vinse a Naisso la guerra contro i Goti, che si erano spinti fino alla penisola balcanica, meritandosi il titolo di Gothicus Maximus, Gotico Massimo: per un secolo i Goti non avrebbero più rappresentato un pericolo per lo Stato romano. L’imperatore non riuscì a godere il frutto delle sue vittorie, perché morì di peste quasi subito. Le sue truppe acclamarono imperatore uno dei suo più valorosi generali, Domizio Aureliano, anche lui di origine illirica. Domizio Aureliano (270-275) – a Roma Aureliano affrontò la rivolta dei monetieri (chiuse la zecca per due anni e li esiliò nelle zecche provinciali) e fece circondare la città da un’imponente cerchia muraria, per difenderla dai barbari (le Mura Aureliane). Egli: - ottenne importanti vittorie sulle popolazioni germaniche: tuttavia abbandonò i territori transdanubiani conquistati da Traiano e al loro posto venne creata una nuova provincia di Dacia, posta tra le 2 Mesie. 4 5 5 6 7 Nel 308 infatti, si tenne a Carnunto un incontro cui parteciparono Galerio, Massimiano e Diocleziano: venne riorganizzata una quarta tetrarchia: furono scelti come Augusti Galerio per l’Oriente e Licinio per l’Occidente, mentre come Cesari, Massimino Daia e Costantino. Massimiano fu obbligato ad abdicare. [Perciò àQuarta tetrarchia 308-311: Galerio e Licinio Augusti, Daia e Costantino Cesari] Nel 310 i rapporti tra Massimiano e Costantino si acuirono, e quest’ultimo lo eliminò, e l’anno successivo morì per malattia Galerio, così Massimino Daia e Costantino divennero Augusti. Perciò nel 311à si hanno 3 Augusti: Daia controllò l’Asia minore, Licinio l’Illirico, Costantino la Gallia, Spagna e Britannia. Rimaneva l’usurpatore Massenzio su Italia e Africa: Costantino si coalizzò con Licinio, e nel 312 sconfisse Massenzio prima a Torino, poi a Verona, poi a Roma nella battaglia di ponte Milvio, rimanendo l’unico imperatore d’Occidente. Quindi solo 2 AugustiàCostantino assunse il governo dell’Occidente, mentre Licinio (che nel 313 aveva sconfitto dopo la morte di Galerio, Daia) quello dell’Oriente. Il rapporto tra Costantino e Licinio fu segnato da molti contrasti, soprattutto per l’atteggiamento favorevole di Costantino verso i cristiani. Nel 324 Licinio fu sconfitto da Costantino a Adrianopoli e a Crisopoli e l’impero tornò ad avere un unico Augusto. CAP 8. COSTANTINO il grande (fino 337) e i successori, fino a Teodosio. Anche se con Costantino si ha una continuità con l’organizzazione avviata da Diocleziano, egli non mostra gli atteggiamenti tradizionalisti di quest’ultimo, ma si pone come un rivoluzionario. La sua politica: • Campo religioso: Tolleranza religiosaà Costantino fu consapevole della necessità di mediare con la crescente influenza del Cristianesimo e della chiesa per mantenere saldo il proprio potere politico: egli considerava la religione cristiana un potente strumento di governo e un ottimo mezzo per consolidare il proprio potere. Il suo rapporto con la religione va analizzato considerando 3 questioni importanti: 1. L’editto di Milano nel 313. Secondo una tradizione leggendaria, Dio sarebbe apparso in sogno a Costantino prima della battaglia di Ponte Milvio ordinandogli di porre sugli scudi dei suoi soldati il simbolo cristiano della croce per ottenere la vittoria. Egli lo fece e sconfisse Massenzio: Da qui sarebbero derivate la sua personale conversione al cristianesimo e la sua legislazione a favore dei cristiani. L’editto concedeva la libertà a tutti i culti dell’impero, ratificando di fatto il provvedimento analogo di due anni prima emanato da Galerio (editto di Serdica). Le fonti cristiane tuttavia attribuirono il merito storico della tolleranza a Costantino, perché Galerio era stato un feroce persecutore dei cristiani prima di concedere loro la libertà di culto. Le chiese vennero ricostruite e dotate di beni; la Chiesa fu esentata dal pagamento di tasse e fu autorizzata a ricevere le eredità, tramite un legato (la chiesa diviene un ente giuridico); Costantino assegnò poteri giurisdizionali ai vescovi e compiti assistenziali alle chiese. Pertanto Il clero assume una posizione privilegiata. 2. Presunta conversione dell’imperatore. Oltre al simbolo sulle insegne, ricevette forse il battesimo prima della morte, e la madre Elena è considerata Santa per aver trovato in Palestina la croce di Cristo. Tuttavia, Costantino ebbe atti di devozione anche per il culto del Sole e di Apollo. Quindi di certo egli tendeva al monoteismo, ma non in forme del tutto chiare e definite. [im merito all’adesione di Costantino al cristianesimo, c’è stato un lungo dibattito storiografico, che vede contrapposte 2 posizioni: sincerità del gesto vs strumentalizzazione politica. Già il pagano Zosimo sottolineava la strumentalizzazione, mentre Eusebio ne sottolineava la sincerità. Lo storico Burckhardt ha sottolineato che l’epoca costantiniana, più che una cesura, ha rappresentato nella continuità un periodo epocale: la conversione rispecchia quella di un intero mondo che, avendo perso le sue certezze aveva attese soteriologiche cui il monoteismo rispondeva) 3. Cesaropapismo e consiglio ecumenico di Nicea (325). Nel mondo cristiano si manifestarono contrasti su questioni teologiche. Costantino temeva ogni forma di divisione nello stato che avrebbe potuto avere ripercussioni politiche e sociale per questo presenziò al Concilio di Nicea (325) in Asia Minore, un’assemblea di vescovi da lui convocata per condannare l’eresia ariana (dal nome del prete di Alessandria d’Egitto, Ario) che era diffusa soprattutto in Africa settentrionale e secondo cui Cristo era un semplice uomo e non figlio di Dio. Costantino secondo gli storici adottò un atteggiamento definito “cesaropapismo” perché l’imperatore –“Cesare”- assunse il ruolo di guida della chiesa che sarebbe spettato al papa. (Costantino nel 314 durante il concilio di Arles era intervenuto contro i Donatisti, diffusi soprattutto in Africa, i quali non ritenevano validi i sacramenti amministrati dai traditores, ossia da coloro che durante le persecuzioni avevano consegnato i libri sacri) • Campo politico: autoritarismo à il cerimoniale di corte adottato sottolineava la centralità della figura dell’imperatore, che costituiva il vertice di una società piramidale che dai suoi collaboratori giungeva fino ai livelli inferiori della burocrazia imperiale. Si pose in continuità con la riorganizzazione dioclezianea. Riformò i poteri dei prefetti del pretorio, privati ormai delle funzioni militari, per conservare invece quelle amministrative e giuridiche ed essere collocati al di sopra dei vicarî dell'organizzazione dioclezianea, nel quadro di una ripartizione dell'impero in quattro prefetture (delle Gallie, d'Oriente, d'Italia e Africa, dell'Illirico). Inoltre istituì una nuova nobiltà di corte e l'apparato burocratico venne snellito e suddiviso tra gli affari della corte, affidati a quattro alti dignitari, e gli affari dello Stato, affidati a tre alti funzionari: costoro, insieme con i prefetti urbani componevano il Concistorium principis o Sacrum concistorium. •Riforma militare—> abolì il corpo dei pretoriani (coinvolti in passato in congiure anti-imperiali) sostituendolo con quello dei palatini (truppe scelte); perseguì la compresenza di limitanei e comitatensi istituita da Diocleziano, potenziando il comitatus; rafforzò la cavalleria e l’uso di macchine da guerra. •Politica fiscale e monetariaà Non allentò la pressione fiscale; promosse la coniazione del solidus, moneta aurea, che però accentuò la svalutazione delle emissioni in argento e rame e venne spesso tesaurizzata. Nel 330 Costantino spostò la capitale a Costantinopoli, vecchia Bisanzio che portava il nome del suo “rifondatore” e che volle rendere una seconda Roma (posizione strategica): Roma veniva quindi ulteriormente marginalizzata. (la volontà di farne una seconda Roma si vede in una serie di provvedimenti dell’imperatore per la nuova città: divisioni in 14 regioni, attribuzioni alla popolazione di privilegi come la frumentationes, creazione di un senato, costruzione del palazzo imperiale e dell’ippodromo). Da questa data, si fa iniziare la civiltà bizantina, destinata a sopravvivere a quella romana per mille anni. Egli morì nel 337: la sua morte pose fine al lungo periodo di stabilità politica. ❃ I COSTANTINIDI Ricordiamo che Costantino aveva eliminato, dopo esser rimasto unico imperatore, la moglie Fausta e il figlio Crispo. Per la sua successione egli preferì non nominare un unico erede ma dividere il potere tra i suoi tre figli cesari Costante I, Costantino II e Costanzo II e due nipoti Dalmazio e Annibaliano. Morto Costantino l’esercito uccise i nipoti e i fratellastri di Costantino; nel settembre dello stesso anno i tre cesari si riunirono a Sirmio (in Pannonia) dove furono acclamati imperatori dall'esercito e si spartirono l'Impero: -Costanzo II à ottenne l'Oriente con la diocesi tracica, -Costanteà ottenne l’Italia, l’africa e Illirico con la diocesi macedonia -Costantino II à la parte più occidentale (Gallie, Hispania e Britannia). Ma la divisione del potere tra i tre fratelli durò poco: Costantino II morì nel 340, mentre cercava di rovesciare Costante, lasciandolo unico signore d’Oriente. Perciòà(Costante a Occidente / Costanzo II a Oriente). Negli anni successivi le due parti dell’impero si differenziarono notevolmente: A Oriente Costanzo II, per sottolineare la sua indipendenza dal clero cattolico, appoggiò l’arianesimo (sostituendo il vescovo di Alessandria Atanasio con l’ariano Lucio); A Occidente Costante si mostrava alla volontà della chiesa di Roma, unica ad appoggiarlo. Nel 350 Costante fu rovesciato dall'usurpatore Magnenzio: lo scontro con Costanzo fu inevitabile e avvenne a Mursa così nel 353 Costanzo II divenne unico imperatore dell’impero nella sua totalità. l’imperatore doveva affrontare la minaccia dei barbari: le continue incursioni di Franchi e Alamanni a Occidente e la minaccia Persiana ad Oriente. In questa situazione, mentre Quadi e Sarmati si avvicinavano al Danubio, decise di nominare un nuovo cesare, il cugino Giuliano, che mandò nelle Gallie a comando delle legioni. Mentre Costanzo incontrava difficoltà con i persiani, Giuliano, riportò l’equilibrio nelle regioni di sua competenza e cercò di venire incontro alle classi meno agiate con una politica di deflazione e elaborò un programma politico gradito all’aristocrazia pagana e all’esercito. Nel 360 Costanzo gli chiese l’invio di truppe per la spedizione persiana. Nel 361 le sue truppe, ostili a Costanzo, lo acclamarono imperatore: la guerra civile stava per scoppiare, ma Costanzo II morì nel 361. Giuliano fu il contraltare di Costantino: è stato infatti l'ultimo sovrano dichiaratamente pagano, che tentò, senza successo, di restaurare la religione romana dopo che essa era caduta in decadenza di fronte alla diffusione del cristianesimo. Non a caso fu chiamato dai cristiani Giuliano l'Apostata (=rinnegatore della fede). Egli tentò di impedire l’insegnamento della cultura classica ai cristiani, inimicandosi il clero, e ad Antiochia scrisse anche tre libri di polemica anticristiana, “Contro i Galilei” (opera andata perduta). Egli mostrò anche l’adesione alla filosofia neoplatonica e alla cultura ellenistica. Si inimicò molte amministrazioni cittadine (come quella di Antiochia). In campo fiscale e amministrativo Giuliano proseguì la politica che aveva tenuto quando governava la Gallia. Egli intraprese una spedizione persiana, riprendendo una politica espansionistica: partendo da Antiochia, marciò lungo l’Eufrate dirigendosi sempre più a Oriente, ottenendo numerosi successi; tuttavia pur avendo la possibilità di assediare la capitale Ctesifonte, preferì una vittoria definitiva spingendosi lungo il Tigri: ciò provocò il malcontento delle truppe. Egli cadde in battaglia contro i Persiani, colpito a morte da un dardo nemico. (si sospetta però che lo abbiano ucciso i suoi stessi soldati). Con la morte di Giuliano si estinse la dinastia degli imperatori costantiniani e si concluse l'ultimo tentativo di espansione imperiale occidentale in Oriente. ❃ GIOVIANO, I VALENTINIANI E L’ASCESA DI TEODOSIO. Venne eletto imperatore Gioviano. Una volta ottenuto il potere, Gioviano, consapevole della sua inesperienza militare, concluse con l'impero persiano una pace svantaggiosa per Roma (che lo storico del tempo Ammiano Marcellino, definì “patto vergognosissimo, ignominioso), abbandonando i territori conquistati dai romani in età severiana e lasciando di fatto l'Armenia sotto il controllo dell'Impero persiano. Abrogò i decreti del suo predecessore contrari alla chiesa cristiana. Di ritorno dalla spedizione persiana dovette affrontare una difficile situazione interna: il generale delle Gallie Iovino, non voleva cedere il potere, e per evitare la rivolta vennero inviati molti ambasciatori, tra cui l’ufficiale di origine pannonica Valentiniano. Gioviano morì dopo soli otto mesi di regno, nel 364. Alla morte di Gioviano i comandanti dell’esercito, a Nicea, nominarono imperatore Valentiniano (forse anche grazie alla moglie, nipote di Costantino, che gli dava una parentela imperiale): Valentiniano associò al trono come Augusto il fratello Valente, con il quale a Sirmio condivise il regno, affidandogli la parte orientale dell’impero, tenendo per se quella occidentale e l’Illirico. Contro i suoi oppositori aprì la stagione definita dei “processi romani” (369-71): vennero eliminati i rappresentanti più in vista dell’aristocrazia pagana, in base all’accusa di magia e alto tradimento e fu favorita la fazione cristiana del senato. I Valentiniani in campo militare amministrativo e fiscale seguirono la linea di Giuliano. Dal punto di vista della politica estera furono attenti alla difesa del confine (Valentiniano rafforzò il confine renano-danubiano, mentre Velente cercò di tener testa ai Goti) e dal punto di vista economico cercarono di ridurre l’inflazione (politica deflazionistica), con particolare attenzione alle classe più umili: il defensor civitatis, in funzione sin dai tempi di Costantino, d'ora in poi fu detto defensor plebis, per tutelare gli umili contro le angherie dei potenti. Morì nel 375 e gli successero i figli Graziano e Valentiniano IIà così l’impero risultò diviso in tre tronconi: Graziano sulle Gallie con base Treviri; Velentiniano con sede a Milano, che controllava l’Italia, l’Africa e parte dell’Illirico; Valente sull’Oriente con sede a Costantinopoli. Valente tentò di contrastare i Visigoti, ma l’esercito romano fu sbaragliato nel 378 a Adrianopoli, e lui stesso perse la vita. Allora l’imperatore Graziano nel 379 associò al trono l’abile generale spagnolo Teodosio affidandogli la parte orientale dell’Impero. Egli seppe guadagnarsi il consenso, raccolto anche presso i Goti, che non solo utilizzò nell’esercito ma con i quali mantenne anche relazioni Costanzo II 337/353-361 Giuliano 361-63 Gioviano 363-4 •Valentiniano (364-75) e Valente •Graziano/Valentiniano II/ Valente •”/”/ Teodosio diplomatiche: si accordò con i visigoti, consentendo loro di potersi stabilire entro i confini romani (nella Mesia) con lo status di foederati, cioè alleati dell’impero. ❃ TEODOSIO (379-395) Per rafforzare il regime, egli chiamò dall’Occidente dei compatrioti che potessero formare una squadra efficiente di collaboratori, e si mosse nella direzione di una cristianizzazione in senso niceno. Infatti è’ soprattutto la politica religiosa ad aver connotato l’azione di Teodosio che, nel 380 emanò (insieme con Graziano) il celebre editto di Tessalonica (380) con il quale il cristianesimo divenne religione di stato, unica e obbligatoria, mettendo di fatto il paganesimo “fuori legge”: per questo fu chiamato Teodosio I il Grande dagli scrittori cristiani e le Chiese orientali lo venerano come santo. L’editto fu seguito da altri decreti implicanti la proibizione dei culti pagani (con conseguenti persecuzioni per i praticanti), la confisca dei beni dei templi, e l’abolizione dei giochi olimpici, visti come una manifestazione della cultura pagana (tuttavia il paganesimo, specie nelle zone meno soggette al controllo imperiale, continuò a essere praticato). L’imperatore rafforzò i legami con il clero, che si poteva porre come tramite tra il vertice e la base della gerarchia sociale. Nel 381 Teodosio convocò a Costantinopoli un nuovo concilio ecumenico per combattere l’eresia ariana (Tuttavia l’imperatore non era più, come Costantino, vescovo tra i vescovi e lo dimostra bene un episodio. nel 390 il vescovo di Milano Ambrogio scomunicò l’imperatore dopo una strage di rivoltosi verificatasi a Tessalonica, riaccogliendolo solo dopo averlo costretto pubblicamente ad ammettere le sue colpe. QUINDI L’Imperatore mantiene una dimensione laica e il clero è unico interprete della volontà divina). Graziano venne ucciso nel 383 a seguito della rivolta gallica guidata da Massimo, il quale (deluso dalle trattative con Teodosio e Valentiniano II) invase l’Italia: Valentiniano e Giustina si rifugiarono da Teodosio, Il quale raggiunse l’usurpatore ad Aquileia e lo fece giustiziare nel 388.: Quando nel 394 sconfisse l’altro usurpatore Eugenio sul fiume Frigido (nei pressi di Gorizia) Teodosio divenne, seppur per breve tempo, l’ultimo imperatore a governare su un impero unificato. Tuttavia egli morì un anno dopo: il potere sarà nuovamente diviso tra i suoi figli, Arcadio (imperatore d’Oriente) e Onorio (imperatore d’Occidente, 395-423), ognuno dei quali aveva a fianco un comandante supremo di origine barbarica, il goto Rulino in Oriente e il vandalo Stilicone in Occidente. [Il vescovo di Milano Ambrogio pronunciò una solenne orazione funebre “de obitu theodosii”, chiedendo ai soldati lealtà per i figli del defunto sovrano e definì Stilicone “guardiano dell’impero”, legittimando il generale vandalo] CAP 9. LA FINE DELL’IMPERO D’OCCIDENTE: il periodo 395-476 [Se l’impero d’Oriente – detto poi “bizantino”- durerà con alterne fortune fino al 1453, il V secolo segnò invece la caduta dell’impero d’Occidente nel 476 d.C. Una delle cause della caduta fu l’ondata di invasioni barbariche che logorarono i confini e la stabilità] il giovane imperatore di Occidente Onorio era stato affidato all’esperto generale di origine vandala Stilicone: egli era convinto che la politica di assimilazione, conciliazione e integrazione delle genti barbariche già operata da Teodosio fosse l’unica possibilità in quel delicato momento storico; i barbari integrati avrebbero potuto aiutare a difendere l’impero dagli Unni che premevano a est. La situazione era complicata perché da una parte l’aristocrazia romana non era favorevole all’integrazione, dall’altra i barbari, consapevoli dell’instabilità, cercavano di rafforzare la propria posizione (molti capi germanici pretendevano dall’imperatore tributi per non muovere guerra a Roma). Egli: - Nel 402 sconfisse a Pollenzo (in Piemonte) i Visigoti di Alarico, che avevano invaso l’Italia del Nord. - Nel 402, per ragioni di sicurezza, la capitale venne spostata da Milano a Ravenna - Dovette fronteggiare un’incursione di Ostrogoti in Italia (406) - Nel 407 una coalizione germanica di Vandali, Svevi e Burgundi, pressati dagli Unni, sfondarono il limes sul Reno, occupando le Gallie e spingendosi fino in Spagna. Perciò la politica perseguita da Stilicone non diede i risultati sperati e per via di essa si creò una forte opposizione nei suoi confronti: egli con tutta la sua famiglia fu ucciso nel 408, durante una congiura ordita dalla corrente anti-barbarica dell’aristocrazia imperiale (nel fronte di opposizione, vi erano anche i cattolici). Nel 408 Alarico riportò gli eserciti in Italia e, dopo due anni di razzie indisturbate, nel 410 (non avendo ottenuto alcun tributo in denaro da Onorio) marciò su Roma: la città (a ottocento anni dopo il primo sacco dei Galli di Brenno) per tre lunghi giorni fu saccheggiata. La morte di Alarico impedì ai Visigoti di proseguire verso sud e di sbarcare in Africa: il suo successore Ataulfo si diresse verso la Gallia sud-occidentale dove creò il primo regno barbarico sul territorio imperiale, con capitale Tolosa. Il suo matrimonio con la romana Galla Placidia, sorella dell’imperatore Onorio da tempo ostaggio dei goti, sancì un periodo di convivenza pacifica con le autorità imperiali. L’Africa (provincia più ricca dell’impero) fu occupata dai Vandali: essi, guidati da Genserico, nel 429 attraversarono lo stretto di Gibilterra per raggiungere l’Africa e vinsero la resistenza romana conquistando Ippona e Cartagine (439 d.C), che divenne capitale del regno vandalico d’Africa. Genserico diede al regno un’efficiente organizzazione, e si dotò di una flotta che consentì in breve tempo ai Vandali di diventare padroni del Mediterraneo meridionale. Gli Unni (pastori nomadi della steppa euroasiatica) erano una delle principali minacce dell’impero, e pretendevano dei tributi in cambio della non aggressioni dei territori imperiali. Guidati da Attila, a partire dal 441 d.C essi devastarono molte città d’Oriente, dove allora governava Teodosio II; mossero poi verso Occidente, dove regnava Valentiniano III (425-455), ultimo dei Teodosidi, figlio di Galla Placidia e di Costanzo III. Il generale Ezio si accordò con i Visigoti per combattere gli Unni: Attila fu sconfitto nel 451 d.C presso i Campi Catalaunici (vicino Troyes in Francia). L’anno successivo tornò però in Italia con il pretesto di reclamare in sposa Onoria, sorella di Valentiniano III: in quell’occasione mise a ferro e fuoco la parte nord-orientale dell’Italia, distruggendo Aquileia e occupando Milano. Allora il capo Unno fu raggiunto a Mantova da una delegazione imperiale, di cui faceva parte anche il papa Leone I Magno, per persuaderlo a non marciare su Roma. Forse perché resosi conto della stanchezza dei soldati fiaccati da battaglie e epidemie, forse perché temeva un accerchiamento da nord, Attila tornò in Pannonia nel 453 d.C provocando la rapida dissoluzione del suo “impero nomade supernazionale”. La politica di Stilicone I Visigoti e il Sacco di Roma (410) I Vandali in Africa Gli Unni di Attila
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