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Riassunto Storia materiale della scienza - Marco Beretta, Sintesi del corso di Scienze Della Comunicazione

Riassunto di uno dei tre libri richiesti dal prof

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 20/12/2018

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Scarica Riassunto Storia materiale della scienza - Marco Beretta e più Sintesi del corso in PDF di Scienze Della Comunicazione solo su Docsity! Storia materiale della scienza – Marco Beretta. Capitolo 1: Scienza e natura A partire dal rinascimento, l’identità della scienza è dipesa da una filosofia della natura. Nel 1931 Alfred N. Whitehead affermava che il principio fondamentale su cui si basa la pratica scientifica è <<una convinzione istintiva dell’esistenza di un Ordine delle cose e, in particolare, di un dato orine della natura.>> Una definizione soddisfacente di scienza si poteva riassumere in <<tutto ciò che gli scienziati scoprono intorno alla natura […] e i mondi in cui tali scoperte sono utilizzate a fini pratici.>> Nel IV secolo a.C., nella filosofia della natura di Aristotele, si trova la prima definizione di un assunto apparentemente scontato: “Esiste un insieme di fenomeni esterni che ci è dato conoscere e classificare grazie a un insieme di nozioni. Ciò ci ha condotto ad avere un intreccio di discipline scientifiche sempre più ricco.” Quindi Aristotele prende le distanze dalla realtà naturale, riconoscendone per la prima volta l’irriducibile differenza e alterità rispetto al soggetto. Per Aristotele la natura è definita: “La materia che per prima fa da sostrato a ciascun oggetto il quale abbia in sé stesso il principio del movimento e del cangiamento” L’idea di natura esalta la ricerca e la classificazione del particolare. Per Aristotele medicina, botanica, medicina, fisica ecc. non differiscono solo per gli oggetti che studiano ma anche per le metodologie cognitive e di indagine. Egli associa a questi tipi di conoscenze, delle categorie secondo un ordine logico basato sulla percezione dei sensi. La possibilità di classificare secondo le categorie di sostanza, quantità, relazione, tempo e situazione, permetteva di guidare i sensi ad una conoscenza approfondita ed analitica della realtà. Seguendo il ragionamento imposto da questa nuova logica, i corpi gravi tendono verso il basso e i corpi lievi tendono verso l’alto. Avviene così che logica e percezione coincidano: viene così garantita sia la regolarità della conoscenza, sia la sua obiettività. Ad Aristotele si deve inoltre la consapevole distinzione tra artificiale, cioè tutto ciò che sottostà alla produzione del lavoro umano e naturale, ovvero tutto ciò che sottostà a leggi di casualità permanenti. Egli delinea chiaramente l’area di indagine delle singole scienze, delimitandone il raggio d’azione. L’elaborazione da parte sua di un’enciclopedia delle scienze, aveva il vantaggio di presentarsi sul piano concettuale come un sistema omogeneo. Allo stesso tempo però presentava un corpo di nozioni veramente articolato. Tra il quattordicesimo ed il diciassettesimo secolo, la filosofia aristotelica sembrò non essere più in grado di soddisfare le esigenze di naturalisti e filosofi. Durante il Rinascimento, la filosofia naturale tradizionale s’incrinò: nacquero concezioni diverse della natura, in aperto contrasto tra loro e talvolta difformi dalla metodologia scientifica riconosciuta. 1 Da una parte ci sono i nuovi saperi, rappresentati dalle scienze occulte che pongono la natura come guida del sapere. Dall’altra c’è la scienza istituzionale, sollecitata dalle critiche, che cerca di sviluppare l’apparato concettuale della fisica aristotelica allontanandosi sempre di più dall’evidenza empirica. Alla fine del quindicesimo secolo e nei primi anni di quello successivo, nuove specie animali e vegetali vennero importate nel vecchio continente sconvolgendo credenze e dogmi consolidati da millenni L’introduzione di un numero così elevato di nuove specie fu un evento traumatico. La sorpresa di non trovare concetti e nozioni corrispondenti a quanto si stava osservando costituiva un fattore di frustrazione. Il lavoro dei primi naturalisti del Rinascimento fu quello di chiarire i termini usati dagli antichi. Tale lavoro era reso arduo dalla scarsità di testi corretti e dalla mancanza di illustrazioni. Solo dal confronto con i termini, le definizioni e le descrizioni del mondo naturale era possibile risalire alla loro identificazione. L’impresa presentava comunque numerose difficoltà: In primo luogo, la terminologia scientifica degli antichi era suscettibile di gravi fraintendimenti. Gli antichi non avevano l’abitudine di entrare nel dettaglio quando si trattava di descrivere procedure sperimentali e infine, c’era la resistenza psicologica degli umanisti a riconoscere che gli autori classici avessero potuto commettere errori scientifici. L’opera degli umanisti diede un apporto fondamentale per l’elaborazione di nuovi criteri di classificazione delle specie e dei fenomeni naturali. Tra la fine del quindicesimo secolo e la seconda metà del sedicesimo, si affacciò alla ribalta scientifica una schiera di naturalisti. Nacque il movimento che possiamo definire “naturalismo rinascimentale.” Per loro non c’era bisogno di ricorrere ad apparati complessi, poiché erano convinti che un’attenta osservazione della natura rivelava tutti i segni necessari alla sua comprensione diretta. La natura doveva essere considerata come l’effetto di un’armonia che collegava il tutto con la parte e non come un insieme di oggetti separati. Si celebra quindi il ritorno all’antropomorfizzazione della natura e della scienza. La conoscenza diretta della natura, per porsi come reale alternativa alla fisica aristotelica doveva rivelare i fenomeni del cosmo in modo verosimile. I metodi adottati per ciò erano diversi a seconda degli autori: La conoscenza del cosmo poteva avvenire solo facendo ricorso alla capacità del naturalista di rivelare i segni nascosti delle cose che si sottraevano alla visione diretta. La rivelazione di tali segni si può apprendere solo dall’esperienza diretta. Le opere di Francesco Bacone e Renato Cartesio rappresentano i due tentativi più sistematici di riformare i criteri di razionalità e scientificità stabiliti dalla logica aristotelica e costituiscono due esempi del cambiamento avvenuto nella concezione tradizionale della natura. Secondo Bacone, l’uomo non poteva continuare ad essere spettatore passivo delle meraviglie della natura ma ne doveva diventare <<ministro e interprete>>. L’opera di Cartesio – così come anche la sintesi newtoniana – sostituirono alla fisica qualitativa di Aristotele un’immagine meccanicista del cosmo. 2 La diffusione della stampa contribuì in modo notevole al risveglio dell’interesse per le scienze della natura. Fu proprio l’introduzione della stampa a rendere non solo materialmente possibile la rivoluzione scientifica, ma addirittura a favorirla. Il libro costituiva uno strumento scientifico e non un compendio di conoscenze. Così alcuni trattati botanici riportavano immagini illustrate delle piante conosciute. La mancanza di precisione degli strumenti, l’incertezza della definizione di un metodo uniforme di sperimentazione, la variabilità delle circostanze dell’esperimento e la conseguente dispersione dei risultati furono solo alcuni dei vari ostacoli che si opposero alla ricerca naturalista del Cinquecento. Nonostante ciò, l’entusiasmo rinascimentale diede un nuovo impulso alla ricerca di mezzi materiali capaci di rendere più agevole l’osservazione empirica. Gli alchimisti con i loro laboratori furono forse i primi ad imprimere una svolta decisiva all’orientamento sperimenta della nuova scienza. Non fu comunque nel campo dell’alchimia che vennero introdotti i primi strumenti scientifici, ma nel campo dell’astronomia e nelle scienze della vita. Anche se gli occhiali erano già stati utilizzati nel tredicesimo secolo e l’ottica sperimentale si era sviluppata nel Medioevo, il vetro – finora utilizzato prevalentemente nelle cattedrali – e le lenti divennero di uso comune solo a partire dal Cinquecento. Nascono quindi telescopi, microscopi, barometri e il termometro. I filosofi del tempo furono affascinati dal vetro e ne compresero immediatamente le potenzialità scientifiche. Cartesio lavorò le lenti servendosi di un mastro vetraio, Spinoza addirittura guadagnandosi da vivere con la molatura del vetro. Ben presto l’ottica venne studiata dalle migliori menti dell’epoca e la maestria nell’uso dei nuovi strumenti fu determinante per l’innovazione scientifica. La produzione di strumenti ricavati dal vetro raggiunse il suo apice nella penisola italiana, dove operavano le celebri officine di Murano e altri siti di produzione. Il primo telescopio fu probabilmente opera di artigiani olandesi, e sembra che il primo esemplare sia stato costruito attorno al 1590. Fu solo però grazie a Galileo che il telescopio divenne un vero e proprio strumento scientifico. E grazie alle scoperte astronomiche del 1610, il telescopio divenne uno strumento fondamentale per la fondazione della “nuova scienza”. Dal punto di vista tecnico il telescopio era uno strumento elementare. Due lenti, una concava e una convessa, poste agli estremi di un tubo di cartone lungo poco meno di un metro. Ingrandiva gli oggetti fino a 20 volte. Grazie a Galileo lo strumento ebbe un nuovo utilizzo, che gettava le basi per una nuova concezioni dei sensi della conoscenza che da essi si poteva ricavare. 5 Nel marzo del 1610 Galileo pubblicava il Siderus Nuncius, un’opera destinata ad avere un impatto senza precedenti nella storia occidentale. Galileo scoprì in pochi mesi non solo nuovi satelliti e pianeti, ma anche le irregolarità della superficie lunare e quindi la sua <<parentela e somiglianza>> con la Terra, le macchie solari e altri mirabili fenomeni astronomici. La cosmologia aristotelica uscì a pezzi dalla pubblicazione del Siderus nuncius. I cieli e le stelle cadevano sotto il dominio dei fenomeni fisici e la materia dei pianeti e delle stelle era simile, se non identica a quella terrestre. Dopo la prima osservazione di Galileo, gli anelli di Saturno furono scoperti ufficialmente soltanto a seguito delle sistematiche osservazioni promosse dall’accademia del Cimento. Quest’accademia era sorta a Firenze per volere dei Medici e di Galileo, col preciso intento di continuare l’opera del maestro. In un momento in cui le scoperte astronomiche determinavano cambiamenti radicali nella concezione dell’universo, la mancanza di strumenti adeguati poteva compromettere il ruolo dell’Europa. In questo contesto, il marchigiano Eustachio Divini, incomincia a costruire telescopi di grandi dimensioni, apportando significativi miglioramenti tecnici al taglio delle lenti. Consapevole della sua eccellenza tecnica costruttiva, comincia a divulgare i vantaggi scientifici dei suoi telescopi. Nel 1649 pubblicò un foglio volante nel quale mostrava a Ferdinando II de’ Medici, la potenza di un ingrandimento dei suoi telescopi. Il foglio conteneva un’illustrazione dettagliata della superficie lunare e una rappresentazione corretta degli anelli di Saturno. Divini diventò il primo costruttore di strumenti che rivendicasse pubblicamente, la priorità di una scoperta scientifica. Sull’onda di questa scoperta Huygens pubblicò nel 1659 un’opera intitolata Systema Saturnium, dove confermava l’esistenza degli anelli di Saturno ma annunciava l’esistenza di un suo Satellite. Tale scoperta metteva in discussione la precisione e la superiorità dei telescopi costruiti da Divini, tanto che Huygens rivendicava esplicitamente al proprio strumento una migliore possibilità di messa a fuoco. Questa rivendicazione provocò la reazione di Divini, il quale aiutato da Honorè Fabri, nel 1660 pubblicò un’opera intitolata Brevis annotatio in Systema Saturnium: il primo testo astronomico pubblicato in Italia – e forse in Europa – scritto da una persona priva di educazione universitaria. Huygens risposte, e Divini rispose ancora a sua volta. Per risolvere la questione, gli accademici come Alfonso Borelli, s’impegnarono a realizzare una serie di osservazioni astronomiche per confrontare il potere di ingrandimento delle lenti utilizzate nei due strumenti. Alla fine gli accademici adottarono la spiegazione di Huygens sulla natura degli anelli di Saturno, ma fu solo grazie al telescopio di Divini che furono in grado di osservare l’ombra di Saturno sul suo anello, riconoscendo così implicitamente la maggior potenza ottica allo strumento del marchigiano. La disputa sugli anelli di Saturno continuerà anche per gli anni a seguire coinvolgendo tutti gli astronomi d’Europa. 6 L’uso del telescopio e l’eco suscitata dalle scoperte di Galileo non furono l’effetto di una coincidenza ma la conseguenza di un modo di osservare l’universo destinato a cambiare radicalmente il metodo e la pratica di molte discipline scientifiche. L’invenzione del microscopio non ha alcuna analogia con quella del telescopio, se non l’uso rivoluzionario che gli scienziati ne fecero a partire dalla prima metà del Seicento. Fu ancora Galileo a intravedere la possibilità del nuovo strumento. In una lettera indirizzata al principe Federico Cesi, fondatore dell’accademia Lincei, inviava <<un occhialino per vedere da vicino le cose minime>>. I naturalisti dell’accademia romana, più interessati di Galileo all’osservazione del mondo naturale non tardarono a comprendere l’efficacia dello strumento che Cesi chiamò “microscopio”. Già nel 1625 usciva a Roma, per opera di Cesi, un foglio volante intitolato Apiarium in cui si concludeva che: “[…] l’impiego del microscopio porta a concludere che la natura elabora corpuscoli di minuzia notevolmente superiore alle possibilità percettive dei nostri sensi” L’atomismo di Democrito e Lucrezio trovava finalmente una base sperimentale. L’atomismo era un’ipotesi filosofica che Aristotele aveva non solo respinto ma deriso come una favola. Il primo naturalista a realizzare scoperte significative con il microscopio fu Giambattista Hodierna, che nel 1644 pubblicò un’opera intitolata L’occhio della mosca, il primo contributo di anatomia microscopica che illustrasse le sezioni dell’occhio della mosca. Fu il medico Marcello Malpighi ad affidare al microscopio un ruolo scientifico. II medico bolognese aveva utilizzato il microscopio a partire dal 1657 nelle sue opere di anatomia e anatomia comparata, identificando la composizione dei tessuti. Grazie al microscopio la natura meccanica del corpo, le sue minute strutture e meccanismi venivano finalmente alla luce. Cartesio aveva dato fondamento filosofico per la meccanizzazione dell’universo e Malpighi sottrasse la medicina all’empiria e alla speculazione filosofica per farne una scienza. Il microscopio dunque partecipava alla meccanizzazione dell’universo e dimostrava come l’osservazione precisa dei fenomeni naturali non potesse essere affidata esclusivamente ai sensi. Altro tema particolare di quegli anni è il vuoto, che creerà polemica tra i suoi sostenitori e i sostenitori dell’horror vacui. Evangelista Torricelli, allievo di Galileo, fu senza dubbio uno dei maggiori matematici italiani della prima metà del Seicento. Egli applicò le nozioni di ottica geometrica alla costruzione di lenti per telescopi. Ciò lo portò a realizzare i telescopi più accurati del suo tempo, ma anche strumenti per la misurazione atmosferica. Ad esempio riempendo di mercurio un tubo di 76 centimetri e capovolgendolo in un secchio contenente anch’esso mercurio, Torricelli aveva osservato che la colonna del fluido scendeva fino al punto in cui il suo peso veniva controbilanciato dalla pressione che l’aria esercitava sulla superfice del secchio. 7 Nel 1665 a Parigi veniva fondato il celebre Journal des savants, uno dei primi periodici europei che diede ampio spazio alle pubblicazioni scientifiche. Contribuì in modo decisivo a stimolare gli scienziati ad avere un occhio di riguardo per la stampa periodica, facendo comprendere il valore della circolazione delle idee a mezzo stampa. Nel 1672 Jean-Baptiste Denis, fondava Mèmories sur les sciences et sur les arts basato sul modello del Journal des savant ma interamente dedicato alle scienze. Questi periodici però si limitavano ad informare un ampio pubblico del contenuto della letteratura scientifica. A prendersi l’onere di entrare nel merito dei dibattiti e delle controversie scientifiche fu il Philosophical Transactions, da un’idea di Henry Oldenburg a Londra. Le Philosophical Transactions divennero i principali strumenti di divulgazione in Europa. Verso la fine del Settecento erano centinaia i periodici specializzati. Nel caso della chimica ad esempio la fondazione di Annales de chimie nel 1790 da parte di Antoine-Laurent Lavoisier rappresenta l’atto di nascita della chimica come scienza autonoma. Nel ventesimo secolo le difficoltà sono state parzialmente superate dall’introduzione di Internet. La carriera scientifica è stata costruita intorno alla pubblicazione e alla comunicazione di scoperte. La questione della segretezza dei risultati scientifici si è riaffacciata con prepotenza nella storia occidentale con la corsa al riarmo, soprattutto in campo nucleare. Ci sono anche dei casi in cui però la comunicazione scientifica viene manipolata. Vedi il caso Pons e Fleischmann sulla fusione fredda. 10 Capitolo 4: Scienza e arte Fino alla fine del Diciottesimo secolo numerose professioni manuali rientravano nella definizione generica di “arti e mestieri”. La posizione sociale ed intellettuale degli artisti era rigidamente subordinata rispetto a quella degli accademici e degli universitari. Gli artisti furono i primi a guardare al mondo della natura in modo diverso e a riflettere sui mezzi più idonei per rappresentarlo. La prospettiva lineare costituisce in effetti il primo atto tangibile di una visione scientifica e naturalistica del mondo. Furono pittori, ingegneri e architetti come Leonardo, Brunelleschi e l’Alberti a comprendere che la natura, doveva essere mediata dalla matematica e dalla geometria. La prima teoria della prospettiva nasceva dunque nelle officine e nelle botteghe degli artisti. Il nuovo punto di vista manifestava l’esigenza ben più ampia di un accesso diretto alla conoscenza. La prospettiva lineare infatti conferiva all’osservatore un ruolo che determinava di fatto la percezione della realtà. L’ottica geometrica forniva il fondamento oggettivo per guardare i fenomeni secondo le reali proporzioni e dimensioni della natura. Anche se le scienze avevano beneficiato sin dall’inizio del contributo degli artisti, sarà necessario aspettare il diciannovesimo secolo per cominciare a intravedere i primi segnali di una reale integrazione professionale e istituzione tra teoria e pratica scientifica. Gli artisti preferivano non pubblicare i loro segreti in opere a stampa ma tramandarli a voce nelle botteghe. Certo non mancarono eccezioni di artisti che pubblicarono a mezzo stampa. Per esempio l’opera metallurgica di Vannoccio Biringuccio, De la pirotechnia (Venezia, 1540). È la prima opera sistematica di metallurgia. Malgrado la discriminazione sociale, l’importanza della rappresentazione iconografica e dell’illustrazione divenne già verso la fine del Quattrocento, patrimonio integrante delle scienze. La rappresentazione iconografica del fatto scientifico metteva in discussione l’autorità degli antichi i quali avevano utilizzato pochissimo le immagini. La rappresentazione iconografica delle specie naturale divenne uno strumento privilegiato di conferma delle definizioni e dei concetti descritti dal testo. Esempio importantissimo è la pubblicazione nel 1530 di Herbarum vivae eicones di Otto Brunfels. Le piante vive pubblicate all’interno dell’erbario erano il risultato di un’inedita ma proficua collaborazione tra l’autore e l’artista: Nasce da qui la tradizione dell’erbario illustrato. La pianta doveva essere osservata com’era dal vivo e l’iconografia e stampa doveva trasmettere ciò che l’occhio del pittore aveva osservato direttamente. Seguiranno poi numerosi erbari illustrati. Degno di notare è quello di Leonhart Fuchs, De historia stirpium, pubblicato nel 1542, nella cui introduzione l’autore dirà: “Le cose che sono presentate all’osservazione e dipinte su tela o su carta si fissano più fermamente alla mente che quelle descritte con semplici frasi.” 11 In quegli anni, nel mondo della scienza stava accadendo però qualcosa. Nel 1543, due opere scientifiche, il De revolutionibus orbium coelestium di Niccolò Copernico e il De humani corporis fabrica di Andrea Vesalio avevano dato l’avvio ad un periodo che durò poco più di un secolo a cui per molto tempo è stata associata la Rivoluzione Scientifica. Il crollo della cosmologia aristotelica e tolemaica da una parte e la riforma, nel microcosmo umano dell’anatomia galenica, sono due componenti simboliche e significative di quest’anno mirabile della scienza. Le opere di Copernico e di Vesalio si presentavano al pubblico con una differenza di fondo: La prima illustrava il testo della riforma del sistema astronomico tolemaico usando tradizionali rappresentazioni geometriche delle traiettorie dei pianeti. La seconda invece sconvolgeva l’iconografia anatomica del corpo umano introducendo innovazioni di grandissima importanza artistica. La scelta di Copernico di illustrare il cosmo con digrammi e figure geometriche probabilmente fu condizionata da fini didattici. Ben diverso fu il caso dell’opera di Galileo, il Sidereus Nuncius, pubblicato nel 1610. L’autore accompagnava ai risultati delle osservazioni compiute con il telescopio la pubblicazione di bellissimi disegni sull’irregolarità della superficie lunare. Aggiunse anche immagini che mostravano la superficie della Luna nelle diverse fasi d’illuminazione solare. Nel 1543, Andrea Vesalio, autore, Jan Steven van Kalkar, pittore e Johannes Oporinus, stampatore, realizzarono con il De humani corporis fabrica uno dei capolavori assoluti del libro illustrato rinascimentale, un’opera che viene considerata rivoluzionaria nella storia dell’anatomia moderna proprio per lo splendido apparato iconografico. L’arte di rappresentare il corpo dunque prendeva il posto delle parole. I rapporti tra scienza e arte condizionarono profondamente i progressi della tecnica. L’uso delle immagini costituì un accrescimento culturale di enorme rilevanza teoretica. Un caso emblematico di questo nuovo approccio lo troviamo nell’opera metallurgica del medico e umanista Giorgio Agricola. Pubblicato nel 1556, il De re metallica costituisce la summa del sapere metallurgico del suo tempo. Fu tradotto in tre lingue e stampato in 4 edizioni. I motivi per cui un testo scientifico ebbe così tanto successo sono molteplici, ma l’innovazione più evidente introdotta da Agricola nella sua opera era certamente rappresentata dalle 292 xilografie utilizzate per illustrare varie fasi e strumenti dell’arte. Le xilografie servivano a non incorrere nell’errore degli antichi, i quali usavano termini tecnici senza illustrarne il significato perché esso doveva essere conosciuto da tutti. 12 Ma anche una garanzia filosofica che forniva un saldissimo fondamento teorico alla dottrina cristiana. Criticare la filosofia della natura di Aristotele non poteva non insidiare dogmi e credenze che non appartenevano alla scienza e che investivano il fondamento della fede. La migliore strategia, utilizzata da Paracelso e dagli alchimisti, consentiva nel portare il campo d’indagine scientifica e il metodo epistemologico al di là dei limiti previsti della filosofia scolastica. L’alchimia ad esempio si occupava di oggetti e fenomeni che erano stati quasi completamente trascurati dai filosofi antichi. In altre discipline però questa possibilità era meno agevole. In astronomia, la concezione tolemaico e aristotelica del cosmo erano legate all’interpretazione delle Sacre Scritture e a posizioni dottrinali della teologia cristiana. Ne era consapevole anche Copernico che, nella sua lettera dedicatoria indirizzata a Paolo III, giustificava il suo eliocentrismo con l’impossibilità di spiegare altrimenti i moti apparenti dei pianeti. Galileo fu il primo naturalista di spicco ad entrare in conflitto con la Chiesa su una questione il cui contenuto era apparso sospetto di eresia. Dopo che il frate domenicano Niccolò Lorini, il 2 novembre 1612 ebbe bollata come eretica la teoria copernicana, Galileo risposte attraverso una serie di lettere con le quali si proponeva di conciliare i contenuti della nuova teoria con i dogmi della fede cattolica. In realtà in queste lettere, che diedero avvio ai procedimenti istruttori che condurranno molti anni dopo, alla condanna dello scienziato, Galileo stabiliva una nuova gerarchia del sapere, affidando alla scienza il ruolo di guida più alta e affidabile nell’ambito dell’indagine della natura. L’argomento così esposto però stabiliva chiaramente che la scienza da sola poteva illustrare la natura dell’universo in modo più esteso ed autorevole rispetto alle Sacre Scritture. Passarono quasi tre anni prima che la dottrina copernicana e Galileo venissero sottoposti a provvedimento di censura. Nel febbraio 1616, la congregazione del Sant’Offizio, definiva la dottrina secondo cui il Sole era il centro immobile dell’universo <<stolta e assurda in filosofia, formalmente eretica, in quanto contraddice espressamente le sentenze della Sacra Scrittura>> Come conseguenza, Galileo venne ammonito ad abbandonare l’opinione copernicana. La questione sfocerà in un processo persecutorio che porterà al 1633 alla condanna dello scienziato e alla sua conseguente abiura. Galileo passò i suoi ultimi anni in confino – a villa Acetri – in isolamento. Il dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, pubblicato nel 1632 era stato proibito e la teoria eliocentrica a quel punto sembrava sconfitta. Ebbe risonanza paragonabile a quello della condanna di Galileo, la controversia che seguì la pubblicazione nel 1859 dell’opera di Charles Darwin, L’origine della specie. Il naturalista inglese aveva stabilito che l’evoluzione delle specie animali era conseguenza di un processo di selezione naturale. La novità era rappresentata dal fatto che la selezione fosse del tutto accidentale e non traeva origini da fattori genetici. 15 L’opera di Darwin ebbe un impatto senza precedenti nella storia della scienza e si può dire che fu la prima opera scientifica non divulgativa a scatenare un dibattito che coinvolse non solo scienziati e teologie ma anche persone appena acculturate. Ma come si conciliano tali teorie con la Genesi e la storia della creazione? Un’impresa praticamente disperata. La discussione che seguì la pubblicazione dell’opera di Darwin aveva generato tante reazioni così contrastanti che la Chiesa, decise di attaccare l’evoluzionismo con i toni da crociata. La teoria dell’evoluzionismo si era prestata anche a generalizzazioni di carattere filosofico che avevano contribuito a tenere viva e alimentare la controversia con la teologia e la religione. Protagonista assoluto di questa battaglia culturale fu il biologo tedesco Ernst Haeckel, il quale delineava una nuova religione che trovasse nel “monismo” una nuova e superiore sintesi. Nota: il monismo è “ogni concezione filosofica che consideri la realtà come essenzialmente unica o riducibile a un unico principio fondamentale” Le leggi che regolavano il rapporto tra l’anima umana e il cosmo non erano più dettate da testi sacri ma da quelli scientifici. Le leggi di Lavoisier della conservazione di massa, quella di Helmholtz e Mayer della conservazione della forza e le scoperte di Hertz sulla natura delle forze elettriche erano sufficienti per svelare ogni mistero della natura umana. Anche se il tentativo di Haeckel di combinare i risultati acquisiti dalle scienze naturali con una professione di fede religiosa scientista aveva trovato un certo numero di proseliti, la stragrande maggioranza degli scienziati europei di fine Ottocento si astenne dall’entrare nel merito di dispute religiose e metafisiche. Da allora in poi, gli sporadici interventi della chiesa su questioni scientifiche o su applicazioni tecnologiche non hanno minimamente influito sul progresso. 16 Capitolo 6: I musei della scienza Il museo per definizione è un edificio destinato alla conservazione di reperti. L’idea sembra essere in contrasto con la mentalità scientifica e tecnica che è proiettata verso il futuro. Dalla seconda metà del sedicesimo secolo questa istituzione ha avuto una considerevole importanza scientifica e ha favorito la classificazione moderna del mondo naturale. Proprio grazie alla fondazione dei primi musei naturalistici si venne delineando l’esigenza di organizzare la ricerca scientifica in luoghi aperti al pubblico. In età classica la parola “museo” poteva designare sia un luogo consacrato al culto delle muse, sia un luogo destinato all’insegnamento delle lettere e della filosofia, sia infine un edificio dove si conservavano reperti preziosi. Fu il museo di Alessandria, fondato nel 280 a.C. il prototipo dei musei moderni: un edificio monumentale, sede di un’istituzione laica. Anche ad Alessandria il museo rimase un luogo di discussione e ricerca piuttosto che di conservazione e raccolta. Se nell’uso del termine permangono dubbi è certo invece che il collezionismo era un’attività assai diffusa tra i patrizi romani. Oltre a collezioni di sculture e marmi, Plinio registra anche il diffondersi della dactylotheca, ovvero la collezione delle gemme e pietre preziose. La riscoperta dei classici nel quattordicesimo secolo doveva suscitare negli umanisti un rinnovato interesse sia per il collezionismo sia per il “museo” inteso come luogo laico di cultura. Con l’affacciarsi di questo genere di interessi, gli umanisti vollero creare per essi un luogo specifico e deputato e durante il quattordicesimo secolo lo individuarono nello studiolo (stanza appartata dal resto della casa) il luogo del collezionismo, della ricerca e del raccoglimento. Già nella prima metà del Cinquecento si ha uno sviluppo e una specializzazione del collezionismo naturalistico, ispirati dalle scoperte geografiche con conseguente afflusso dalle Indie e dalle Americhe di nuove specie naturali. A pochi anno dallo sbarco di Colombo nelle Americhe la proliferazione degli enti da studiare e da classificare pose ai naturalisti rinascimentali il problema di trovare metodi e strumenti che facilitassero il più possibile il compito. Occorreva estendere lo spazio della ricerca scientifica. Nacque così, l’idea di trasferire l’attività scientifica nel “museo”. I naturalisti italiani individuarono nel giardino botanico una sede privilegiata della ricerca naturalistica, che rendeva possibile anche l’osservazione diretta delle piante. I primi giardini botanici furono creati a partire dal 1544, a Pisa. Non è un caso che i direttori di queste strutture fossero anche dei collezionisti. Il più importante fu certamente Ulisse Aldrovandi, naturalista bolognese. Era riuscito a mettere insieme presso la propria residenza un museo naturalistico senza pari al mondo. Il collezionismo doveva soggiacere a un disegno scientifico che guidasse il visitatore. La rappresentazione del mondo naturale doveva essere capace di produrre un discorso che ne 17 7: Le accademie È un dato storico incontestabile che prima del diciassettesimo secolo, la produzione scientifica è progredita più grazie all’intraprendenza e creatività dei singoli individui che per effetti di un’organizzazione istituzionale. Sulla base di queste premesse, ci si interroga sul ruolo delle accademie scientifiche nell’affermazione della scienza moderna. Prendiamo in considerazione L’Accademia dei Lincei, fondata a Roma nel 1603 dal Principe Federico Cesi. I membri dell’accademia Lincei procedevano nella loro attività scientifica in ordine sparso e in modo quasi del tutto isolato. Mentre a Roma Cesi lavorava alla realizzazione del monumentale catalogo naturalistico del museo messicano. Il ruolo dell’Accademia era più quello di promuovere la pubblicazione e la diffusione dei risultati scientifici ottenuti dai singoli membri che quello di coordinarli secondo un preciso disegno. Completamente diversa fu la struttura e l’organizzazione dell’Accademia del Cimento, fondata a Firenze nel 1657 per volere del Granduca di Toscana Ferdinando II de’ Medici e di suo fratello, il Principe Leopoldo. È la prima accademia organizzata secondo struttura sociale ed istituzionale. Nel periodo di attività di questa accademia vennero fondate la Royal Society di Londra (1660) e l’Acadèmie des Sciences di Parigi (1666). Il modello dell’accademia del Cimento costituisce un esempio emblematico per comprendere l’origine e le caratteristiche peculiari di tutte le principali accademie scientifiche sorte in Europa. Le attività di questa accademia si discostarono dalle ricerche teoriche del maestro delineando una visione sperimentale della scienza più consona alla funzione sociale e politica. La fondazione di questa accademia sanziona la nascita di un nuovo modo di fare scienza. La collaborazione tra diversi membri di un gruppo unito da interessi scientifici e la sperimentazione come mezzo di persuasione dell’oggettività e utilità delle scoperte sono due fattori importanti per la distinzione dalle altre accademie. La ripetizione di esperimenti pubblici fu una delle attività principali svolte durante le sedute. Ruolo cruciale ebbero anche gli strumenti e i laboratori. Gli accademici del Cimento abbracciavano una concezione della scienza basata sullo sperimentalismo. Riconoscevano il valore della geometria e la superiorità della matematica, ma ne mettevano in rilievo i limiti strutturali. La fiducia nell’esperimento venne ripresa pochi anni dopo dai membri della Royal Society di Londra. Il programma di ricerca delineato dagli accademici del Cimento metteva al centro delle proprie attività la ripetizione degli esperimenti. Viene ribadita l’assoluta centralità della sperimentazione e viene data voce alla consapevolezza della problematicità del metodo sperimentale. 20 La fondazione delle prime accademie scientifiche fu decisiva per lo sviluppo di una nuova forma di sapere scientifico. Gli scienziati fino ad allora svolgevano le loro attività come individui isolati. Scoprirono i vantaggi di un’organizzazione collegiale che garantiva loro la possibilità di fare ricerca senza gli assilli della precarietà economica e sollecitava lo Stato a prendere atto del valore e delle potenzialità di questo ramo del sapere. Le accademie secentesche avevano introdotto anche la standardizzazione, la pubblicazione dei primi periodici di comunicazione scientifica e la valorizzazione della specializzazione delle discipline. I primi a mettere in discussione l’utilità delle accademie per il progresso della scienza furono due illuministi francesi: Denis Diderot e Jean-Jacques Rousseau. Entrambi manifestavano forte insofferenza per le scienze matematiche, mettendo in luce come l’estro del genio non potesse essere regolato da un modello astratto di ragione. La critica dei due illuministi fu fatta propria anche da Jean-Paul Marat. L’attacco di Marat alle accademie non mancava della consapevolezza del ruolo che le scienze avrebbero svolto nell’immediato futuro. Nel 1753, il matematico Jean d’Alembert aveva pubblicato a Parigi un Saggio sui rapporti tra intellettuali e potenti, dove metteva in luce le qualità necessarie ad un intellettuale per rafforzare il fragile connubio tra progresso e ragione. Il declino del ruolo istituzionale e scientifico svolto con successo dalle accademie europee fino alla fine del Settecento subì nei due secoli successivi un’impressionante accelerazione e le accademie diventarono un luogo d’incontro idoneo tutt’al più alla presentazione dei risultati delle ricerche scientifiche realizzate e finanziate altrove. La creazione nella prima metà del diciannovesimo secolo di associazioni scientifiche disciplinari rivelavano che la scienza europea si stava trasformando radicalmente con la nascita di organismi più snelli e più incisivi sul piano decisionale e politico. 21 8: Le scienze e l’università Se le accademie svolsero un ruolo fondamentale per l’istituzionalizzazione della scienza, l’università continuò ad essere il luogo privilegiato di una cultura che conobbe momenti innovativi e fecondamente creativi. L’immagine storiografica delle università rinascimentali immobiliste e rigide andrebbe rivista. Sicuramente l’esigenza di trasmettere agli studenti un sapere coerente con la cultura dominante non incoraggiava i naturalisti a esplorare fenomeni naturali inconsueti e men che mai a farsi paladini di teorie scientifiche non ortodosse. La diffusione del cartesianesimo fu tale che nel Settecento divenne in molti paesi europei l’unica dottrina nella cui cornice concettuale uno studente universitario potesse studiare i fenomeni della natura. La struttura statuaria delle università rinascimentali prevedeva che l’insegnamento delle scienze naturali fosse impartito nelle facoltà dedicate alle cosiddette arti liberali. Gli insegnamenti delle scuole cattedrali, propedeutici agli studi superiori di teologia, giurisprudenza e medicina, erano raccolti nelle arti del trivium e del quadrivium: il primo comprendeva la grammatica latina, la retorica e la dialettica, il secondo includeva l’aritmetica, la geometria, l’astronomia e la musica. Inoltre nelle università rinascimentali le scienze naturali avevano un ruolo istituzionale subalterno: Non si apriva per gli studenti la possibilità di uno sbocco professionale “scientifico” e lo svolgimento tradizionale delle lezioni non dava possibilità di sperimentazione e osservazione diretta. All’inizio del diciottesimo secolo Hermann Boerhaave, contribuì a formare una nuova generazione di medici, combinando il tradizionale riferimento alle principali teorie con un moderno senso della pratica e della sperimentazione. Dava ai suoi allievi una nuova visione della medicina. La verifica sperimentale della diagnosi e l’analisi chimica del rimedio divennero parte integrante della formazione medica. L’insegnamento di Boerhaave contribuì in modo decisivo allo sviluppo di una disciplina scientifica: la chimica. Boerhaave fu in grado per la prima volta d’istituzionalizzare all’interno di un’università europea (Leida) la ricerca in questa disciplina. Veniva dunque messa in discussione la didattica tradizionale. Nel curriculum universitario tradizionale, il manuale era per lo più rappresentato da sintesi, commenti e spiegazioni dei testi classici. Il rapido evolversi delle tecniche sperimentali e degli strumenti rendevano necessario un aggiornamento dei manuali e un approccio meno compilativo. In altri paesi europei come la Germania o la Svezia, fu l’agenza politica dei governi a scardinare il sistema tradizionale. In Svezia fu il governo a decidere di promuovere nel 1739 la fondazione dell’Accademia Reale delle Scienze di Stoccolma come laboratorio di nuove idee. Anche in Italia e in alcuni stati tedeschi le università settecentesche favorirono la creazione di curricula scientifici istituendo nuove cattedre. In Inghilterra le più antiche e prestigiose università di Oxford e Cambridge istituirono un curriculum in scienze naturali solo nel 1850. Nello stesso periodo la Francia subiva un umiliante quanto repentino sorpasso dai vicini tedeschi. L’efficienza ed i successi del modello tedesco seppero garantire alla Germania una netta supremazia nelle scienze della natura fino al ventesimo secolo. 22 Secondo il filosofo francese le scienze dovevano essere rifondate attraverso un metodo semplice, basato sulle leggi della matematica e della meccanica. Le opposte riflessioni di Bacone e Cartesio tendevano comunque all’obiettivo comune di creare uno spazio istituzionale dove lo studio della natura potesse esprimersi in totale autonomia e fosse finalmente libero dai condizionamenti della metafisica, della scolastica e dell’aristotelismo. Diverse furono le riflessioni dell’Acadèmie des sciences, la quale prevedeva l’esistenza e la coesistenza di discipline differenti. Nel 1699 le classi previste erano solo sei: geometria, astronomia, arti meccaniche, chimica, botanica, anatomia. La chimica e le arti meccaniche non avevano una collocazione disciplinare autonoma. Nel 1785 le classi disciplinari diventarono otto: geometria, astronomia, meccanica, fisica, anatomia, chimica e metallurgia, botanica e agricoltura, storia naturale e mineralogia. La specializzazione delle scienze non fu soltanto l’effetto della fondazione delle accademie e delle nuove università. Concause ragionevoli potrebbero essere ad esempio l’esigenza economica di intensificare l’estrazione dei metalli e migliorare la loro lavorazione, ad esempio. Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, la specializzazione delle scienze ha favorito, invece di ostacolare, la collaborazione tra gli scienziati e l’interdisciplinarietà della ricerca. Ad esempio la fisica nucleare: è evidente che le ricerche di chimici come i coniugi Curie furono complementari a quelle di fisici puri come Einstein. 25 10: Scienza e politica La scienza è diventata una forma autonoma del sapere nel momento in cui è riuscita a focalizzare l’attenzione sul proprio valore strategico e sui benefici che gli stati e le nazioni potevano trarre dalle applicazioni della ricerca. I naturalisti operavano in maniera isolata coltivando la propria curiosità per i fenomeni naturali. Solo a partire dal Rinascimento, il naturalista fu capace di promuovere un itinerario intellettuale attraverso il quale l’investigazione dei fenomeni naturali diventava un’attività intellettualmente autonoma. Il naturalista del Rinascimento non solo difendeva una forma del sapere, ma si trovava di fronte da un lato, una classe intellettuale, quella degli umani, che godeva di sovrani di immenso prestigio e dall’altro quella dei teologi frequentemente contrario allo studio autonomo della natura. Le guerre, la riforma protestante, le scoperte geografiche e gli altri elementi esterni accrebbero l’esigenza degli Stati di servirsi di saperi tecnici. I lavori scientifici commissionati dai sovrani riguardavano le scienze esatte e meccaniche ma anche le discipline eterodosse come l’alchimia e l’astrologia. È fuorviante, almeno fino alla seconda metà del diciottesimo secolo, individuare una contrapposizione tra scienza istituzionale e sapere non accademico. In realtà la politica della scienza in Europa, dal Rinascimento fino alla Rivoluzione francese, si caratterizzò per gli atteggiamenti volutamente ambigui dei sovrani: da un lato promuovevano e finanziavano creazioni di accademie scientifiche basate sul metodo baconiano e cartesiano, dall’altra continuavano a sostenere discipline che per metodo e ispirazione si contrapponevano a quelle accademiche. Questo atteggiamento è probabilmente da imputare alle difficoltà di discernere quale dei due approcci potesse garantire il più utile servizio alla politica culturale degli Stati europei. Caso clamoroso di questa ambiguità sono gli studi sul magnetismo di Franz Mesmer. Nato nel 1743 vicino al lago di Costanza, si iscrive alla scuola di medici di Vienna e diventa dottore nel 1766. Nel 772 inizia a sperimentare il magnetismo nel trattamento delle malattie. Alla base c’è l’idea di una relazione di polarità tra il corpo umano e l’azione del magnete. Secondo Mesmer il mondo è circondato un fluido magnetico il quale malgrado la sua invisibilità può essere individuato nei suoi effetti naturali. Tali effetti sarebbero diventati particolarmente visibili durante le malattie di viventi, che si configuravano - nella teoria – come difetto o eccesso di fluido magnetico. Compito del medico era dunque quello di ristabilire l’equilibrio del fluido. La seduta tipica veniva svolta così: il medico si poneva in prossimità del paziente in modo da creare un sistema bipolare. Successivamente premeva i pollici sulla cavità dello stomaco del paziente, senza esercitare alcuna pressione, compiendo esclusivamente movimenti parabolici. A seconda della localizzazione del dolore, Mesmer esercitava questo tipo di azione su altre parti del corpo mantenendo lo sguardo fisso sul paziente e ricorrendo in alcuni casi all’ipnosi. La massoneria parigina prese Mesmer sotto la sua protezione e per un breve periodo anche la regina Maria Antonietta aveva mostrato vivo interesse per la teoria del medico austriaco, adoperandosi per il suo riconoscimento ufficiale. 26 Mesmer sentiva l’esigenza di essere riconosciuto dalle principali istituzioni scientifiche parigine, in particolare dall’Acadèmie des Sciences. Dopo vari esperimenti venne screditato ma continuò a sostenere che il fluido costituiva “una verità essenziale per la felicità dell’umanità”. La spiegazione forse più convincente per dar conto del clamoroso successo ottenuto da Mesmer risiede nella sua abilità nel riportare l’attività scientifica dentro la società e la cultura del suo tempo. La definizione della malattia coinvolgeva il paziente indicandogli un percorso di guarigione. Le difficoltà incontrate della comunità scientifica ufficiale nel persuadere i sovrani francesi della superiorità del proprio approccio all’investigazione della natura su quello proposto da Mesmer testimonia la fragilità e la precarietà del suo ruolo politico. Solo nel momento in cui la scienza ufficiale avesse potuto dimostrare la sua indispensabilità per il potere politico, si sarebbero create le condizioni per una saldatura tra scienza e potere. Lo scoppio della rivoluzione francese e le nuove circostanze politiche e militari offrirono l’occasione favorevole per lo stabilirsi di un rapporto stabile e durevole fra scienza e politica. Con questi avvenimenti le scienze avevano subito una scossa salutare che ne aveva trasformato radicalmente sia la funzione sociale sia i contenuti. Secondo alcuni personaggi dell’epoca, come Biot, la fondazione di nuovi istituzioni scientifiche erano stato agevolate dalla politica culturale del dispotismo rivoluzionario. Il cambiamento risiedeva nel controllo della pubblica istruzione, la quale era stata istituita non per fondare cittadini d’Europa ma preti, suore e teologi. La sua requisitoria prevedeva anche una pars construens delineando la fondazione di un “Institut national” con sede a Parigi che potesse coordinare a livello nazionale l’insegnamento e la diffusione delle scienze. Fu Napoleone il primo sovrano a comprendere l’utilità politica delle scienze, venne anche eletto membro della prima classe di matematica dell’Institut. Napoleone guardava allo scienziato come a un tecnocrate che garantiva maggiore efficienza e prosperità allo stato, senza entrare però nel merito di contenuti e decisioni. Il metodo scientifico approvato e sostenuto dall’autorità politica fu quello neutrale delle scienze esatte e della matematica. Durante la seconda metà del diciannovesimo secolo, molti scienziati occupavano incarichi politici e ministeriali di grande prestigio. La neutralità politica e il patriottismo manifestati dagli scienziati francesi, resero la figura dello scienziato progressivamente ben accetta al potere politico. La loro neutralità e fedeltà, erano compensate dal potere politico che appoggiava l’espansione progressiva del ruolo delle scienze. Durante il diciannovesimo secolo questa tacita intesa tra scienza naturale e potere politico giovò agli scienziati i quali, furono in grado di scalzare filosofi e letterati dai gradini più alti della cultura europea. I primi a rendersene conto furono proprio i filosofi. Augusto Comte, fondatore del positivismo, accolse questo cambiamento delle gerarchie del sapere tradizionale con favore, tanto da affidare al pensiero scientifico il compito di realizzare una trasformazione nella società. L’obiettivo di Comte era più consapevole delle difficoltà che potevano ostacolare la realizzazione di tale disegno. 27 Diderot elaborò una concezione della tecnica che prevedeva una nuova classificazione delle scienze naturali ispirata allo sperimentalismo utilitaristico di Bacone. L’enfasi con cui l’Encyclopèdie sottolineava l’importanza delle tecniche rifletteva lo sviluppo economico e manifatturiero che la Francia conosceva ormai da mezzo secolo. Il valore che Diderot attribuiva alle scienze applicate e alla chimica, considerata come l’emblema della mediazione tra scienza e arte, ebbe seguito in diverse importanti iniziative promosse dall’’Acadèmie Royale des Sciences di Parigi. Si riconosceva allo scienziato un nuovo ruolo professionale che prevedeva il contatto diretto con le tecniche manifatturiere e un suo apporto al perfezionamento dei processi di fabbricazione. Anche gli scienziati, cercarono di risolvere i problemi relativi al perfezionamento dei processi e tecniche produttivi partendo da assunti teorici. La chimica settecentesca aveva creato uno spazio d’incontro per le competenze professionali degli uni e degli altri. Lavoisier, ripropose nel 1793 la fondazione della Societè centrale des arts dove gli scienziati e gli artisti potessero collaborare alla creazione di una nuova pratica scientifica. Il chimico francese era riuscito a costruire un apparato sperimentale idoneo a confermare la sua teoria chimica. Lavoisier aveva dimostrato che l’acqua non era altro che un composto di due “arie”, l’idrogeno e l’ossigeno. Per Lavoisier esisteva una differenza fondamentale tra lo scienziato e l’artista: il primo lavorava esclusivamente per amore della scienza e della fama. Per l’artista invece lo scopo primario delle proprie ricerche e applicazioni era ricavare un beneficio economico e il ricorso alla pubblicazione diventava naturale solo quando una scoperta non poteva più essere mantenuta segreta. In Inghilterra la tecnica aveva ricevuto un maggiore impulso dal mondo dell’imprenditoria privata. Già dal 1750 molti industriali e capitalisti avevano messo a profitto i brevetti di alcune importanti innovazioni tecnologiche. Ad esempio la Spinning Jenny, il filatoio parzialmente meccanizzato inventato nel 1765 da Hargreaves. L’introduzione della macchina a vapore mostra in modo emblematico come le innovazioni tecnologiche debbano integrarsi con un sistema economico che sia in grado di appropriarsene con profitto e di creare le condizioni per un loro perfezionamento. Nei primi anni del Settecento, Denis Papin e Thomas Savery misero in pratica, con due modelli differenti l’idea di una macchina che delineava in pratica, i già ben delineati principi teorici della macchina a vapore. Il suo valore pratico fu compreso appieno dall’ingegnere Thomas Newcomen nel 1712, che la utilizzò per creare pompe aspiranti per il drenaggio ed eduzione delle acque. La macchina a vapore fu perfezionata solo molti decenni dopo grazie alla collaborazione di uno scienziato, un tecnico ed un imprenditore. Il diciannovenne James Watt, costruttore di strumenti matematici grazie alle frequentazioni con accademici come Joseph Black e John Robinson, cominciò ad approfondire la costruzione delle macchine. Alcuni strumenti utilizzati per la costruzione della macchina a vapore avevano consentito a Watt di scoprire la natura composta dell’acqua, indipendentemente dagli studi di Lavoisier. Watt individuò prima del chimico accademico Claude-Loius Berthollet, le proprietà candeggianti del cloro. Con le sue scoperte, Watt fu uno dei primi ad intuire il potenziale della connessione tra scienza, 30 tecnologia e capitale e sarebbe impossibile comprendere il panorama economico e sociale dell’Inghilterra di fine Settecento senza tenere presente tale felice combinazione. Watt conobbe la teoria del calore latente e comprese che la macchina a vapore di Newcomen aveva il difetto di disperdere nell’ambiente una gran quantità di energia. L’universalità e versatilità della macchina di Watt, accelerarono enormemente gli investimenti di grossi capitali nell’industria meccanica, dando luogo ad una nuova legislazione di brevetti. La crescita dei costi della scienza, determinò una vera e propria rivoluzione, trasformando la scienza tradizionale in quella che è stata chiamata Big Science, un’attività che passa per i grandi laboratori. Il passaggio dalla scienza pure alla Big Science ad alto contenuto tecnologico si consumò definitivamente nei primi anni 40 del ventesimo secolo, dando vita al progetto Manhattan District che portò alla costruzione dell’atomica. Non è più l’originalità della conoscenza pura a determinare la selezioni dei programmi di ricerca degni di essere sostenuti, ma la possibilità di trasformare in modo radicale il mondo materiale. Strumenti, macchine, calcolatori e laboratori sempre più complessi ed elaborati costituiscono oggi i prerequisiti di qualsiasi ricerca scientifica d’avanguardia, costringendo così lo scienziato ad interagire con il mondo della tecnologia e soprattutto, con quello dell’industria. 31 12: Scienza e industria La rivoluzione industriale è considerata dagli storici dell’economia un evento epocale nello sviluppo. Il contributo della scienza e della tecnologia alla realizzazione di questa rivoluzione è inspiegabilmente sottovalutato. La scienza e la tecnica trovarono un terreno socioeconomico favorevole alla loro crescita. Spesso non mancarono imprenditori e capitalisti che consideravano la scienza e la tecnica un semplice strumento per aumentare i profitti. Dal diciottesimo secolo, alcuni scienziati accademici erano stati chiamati a ricoprire incarichi direttivi nelle tintorie e nelle manifatture del vetro e della porcellana. Questi incarichi furono prevalentemente appannaggio dei chimici, una classe di scienziati che nel tempo aveva conservato rapporti di collaborazione con i tecnici. Di rado lo scienziato era investito della responsabilità di dirigere l’organizzazione della manifattura nel suo complesso produttivo. In molti casi la mancanza di dialogo tra chimici e industriali non ebbe altro esisto che quello di ostacolare il successo applicativo di alcune importanti scoperte. Ad esempio nel 1775 l’Acadèmie des Science di Parigi aveva bandito un premio per chi fosse stato in grado di individuare un metodo efficace ed economico per produrre la soda ricavandola dal sale marino. La produzione di soda era importante per la fabbricazione di molti prodotti industriali, come vetro, sapone e sostanze candeggianti. La maggior parte della soda prodotta durante il Settecento veniva ricavata dalle alghe marine seguendo un procedimento efficace ma costoso. Questo problema attirò l’attenzione di un medico, Nicolas Leblanc, che lavorava sotto la protezione e con il sostegno finanziario del duca di Orlèans. Leblanc riuscì a convertire il sale marino in solfato di sodio. Mescolando il solfato con del carbonato di calcio fu in grado di ottenere della soda e del solfuro di calcio. Il metodo venne brevettato. Il successo del metodo di Leblanc era legato al destino del suo committente, il quale coinvolto negli eventi della rivoluzione e a causa della parentela con la famiglia reale, venne ghigliottinato. A causa di ciò Lesblanc veniva espropriato della sua fabbrica e del diritto di produrre Sali e soda con il suo metodo. Poco dopo una commissione istituita per fronteggiare la scarsità di soda sul mercato francese stabiliva che il processo introdotto da Lesblanc non era migliore di quello in uso attualmente e ordinava lo smantellamento della fabbrica. I membri della commissione non erano stati in grado di capire il significato innovativo del nuovo procedimento, limitandosi solo a considerare la qualità del prodotto ottenuto. Il caso del processo di Leblanc sottolineava come, le relazioni tra scienza e industria fossero talvolta estremamente problematiche. La caratteristica principale dell’industria chimica era di rispondere alle sollecitazioni e alle esigenze di altri cicli produttivi, per esempio, quello dell’industria tessile. L’industria chimica dipendeva dalle sollecitazioni del mercato e dal progresso tecnico e rispondeva all’esigenza di compensare la crescente scarsità di prodotti naturali. 32 All’inizio del ventesimo secolo, furono molte le industrie americane ed europee che costruirono laboratori di ricerca dove impiegare gli scienziati accademici. Per la prima volta lo scienziato non era un consulente industriale ma diventava protagonista del sistema di produzione. Uno dei primi risultati ottenuti dall’industria farmaceutica fu l’isolamento e lo studio delle proprietà antinfiammatorie e antifebbrili dell’acido acetilsalicilico. La ricerca promossa dalla Bayer portò a commercializzare il prodotto con il nome di “Aspirin”. La prima industria chimica americana, la Dupont, decise di diversificare la propria produzione e di investire ingenti capitali nella ricerca di base. Il chimico Wallace H. Carothers venne chiamato a dirigere insieme al dirigente industriale Charles Stine, il laboratorio di ricerca. L’unico obbligo imposto a Carothers e ai suoi collaboratori era la pubblicazione dei risultati ottenuti nel laboratorio. L’investimento non era disatteso e ben presto grazie a ricerche sistematiche sui polimeri vennero scoperti il neoprene e nuove fibre tessili sintetiche. Nel 37 Carothers riuscì a brevettare il nylon, sostanza destinata a diversificare radicalmente il mercato della Dupont. Nella maggior parte dei casi, gli scienziati ebbero un rapporto conflittuale con i laboratori di ricerca industriale. La diversificazione dell’industria nel ventesimo secolo rende comunque impossibile una generalizzazione a senso unico dei rapporti tra scienza ed industria. Le industrie hanno preferito investire in maniera più indiretta. La tendenza dell’industria ad allontanarsi dalla ricerca di base è favorita dalla crescita esponenziale dei costi della ricerca di base e ha reso sempre più difficile per le industrie sopperire da sole a programmi di lunga durata. Le esigenze degli scienziati di rendere pubblici i risultati delle ricerche e dall’altra gli interessi economici e la tuteli dei brevetti, ha determinato uno stato di tensione. Con questa strategia però gli industriali sono nella posizione di scegliere le scoperte più adeguate alle loro esigenze 35 13: Professione scienziato Nel 1858 a Venezia vide luce La piazza universale di tutte le professioni del mondo, un’opera di Tomaso Garzoni, che aveva raccolto un repertorio estremamente dettagliato di tutte le pressioni che erano venute ad arricchire la società italiana di fine Rinascimento. Garzoni accenna solo di sfuggita a matematici, meccanici e astronomi mettendo in evidenza come la tradizione classica fosse ancora dominante sui timidi tentativi di emancipazione intellettuale e istituzionale. Garzoni non era al corrente dei recenti progressi realizzati in astronomia né era consapevole di essere un contemporaneo della rivoluzione scientifica. Nella sua opera, troviamo una società in cui gli scienziati occupano una posizione subalterna. Nella Piazza manca addirittura la figura stessa di scienziato. Esistono solo medici, astronomi, matematici, alchimisti, gli speziali, i metallieri e così via fino ai vetrai. Per lo scienziato rinascimentale non esiste uno sbocco professionale garantito. Si accentuò la crisi della filosofia naturale tradizionale. Il termine latino scientia richiama la filosofia prima aristotelica, alludendo in maniera indiretta e subordinata all’indagine del mondo naturale. Fatta eccezione per i medici, gli scienziati del sedicesimo e diciassettesimo secolo hanno serie difficoltà a definire un profilo della professionalità scientifica e del curriculum necessario per accedere al consesso dei filosofi naturali. Giorgio Agricola, il padre della geologia e della mineralogia moderne. Fu proprio grazie alla formazione umanistica e di sapiente filologo che Agricola divenne l’autore del celebre De re metallica (1556) un trattato che riflette in più punti il debito verso gli studia humanitatis. Galileo elevava il rango professionale del matematico a quello del filosofo. Il titolo Philosophus, qualificato dall’aggettivo naturalis, divenne abbastanza comune durante il diciassettesimo secolo per designare chi, studiava la natura. La storia dei termini utilizzati per designare lo scienziato consente di individuarne i progressi e i primi significativi cambiamenti. La Gran Bretagna fece passi avanti in tal senso quando s’impose il fortunatissimo titolo di natural philosopher. Questa semplice inverse del philosophus naturalis cambiò la gerarchia del sapere naturale ponendo in rilievo la specificità dell’oggetto d’indagine – la natura – piuttosto che la qualifica generica di filosofo. I natural philosophers inglesi intendevano occuparsi dell’indagine del mondo naturale. Durante il secolo dei Lumi non solo le scienze naturali non garantivano alcun introito finanziario ma discipline come chimica, fisica e biologia non facevano parte dei curricula universitari e non potevano contare su sussidi dello Stato. Solo la medicina e in misura minore l’astronomia e la matematica avevano raggiunto un grado di istituzionalizzazione che permetteva agli studiosi d’intraprendere una carriera professionale. La pratica delle discipline scientifiche era riservata per lo più a dilettanti. Ancora molto diffusa nel Settecento era la pratica della committenza. Questa committenza era legata alla volubilità dei principi e dei re i quali, erano ancora lontani dal comprendere l’importanza economica e strategica della scienza nello sviluppo delle nazioni. 36 Gli scienziati erano nella condizione di rivendicare un ruolo superiore a quello garantito alle discipline umanistiche e alle scienze “gradevoli”. Gli scienziati potevano vantare anche un primato di tipo sociale. La scienza era portatrice di verità obiettive ma anche strumento per il conseguimento della pubblica attività. Anche se l’economia dell’Europa settecentesca era basata su agricoltura e reddita fondiaria, con la rivoluzione francese si arrivò alla creazione di istituzioni per la formazione della nuova classe dirigente, dove l’insegnamento delle scienze naturali era considerato non solo necessario, ma aveva valore nettamente preponderante. Il ruolo politico degli scienziati durante la rivoluzione aveva creato opportunità perché la carriera scientifica fosse un curriculum professionale. Sul piano istituzionale la carriera dello scienziato ebbe un’evoluzione lineare. L’affermarsi di un’identità intellettuale, l’emergere della figura di scienziato seguì invece un percorso più complesso. Prima di coniare il termine “scienziato” era necessario indentificare una rete di valori condivisi che trascendessero i contenuti dei singoli settori d’indagine. La matematica, la fisica, la chimica, la biologia, la botanica, la geologia e tutte le altre scienze naturali confluirono nella seconda metà dell’Ottocento in una sorta di meta-scienza capace di comprendere tutte le varie discipline in una sola identità. Questo processo di uniformazione emerse solo quando coloro che si occupavano di scienze naturali ebbero la coscienza che la loro attività era del tutto distinta da quella letteraria e filosofica e stabilirono delle regole che di fatto, definivano l’identità collettiva dell’autore scientifico. L’identità dello scienziato si manifestò attraverso la negazione dell’autore individuale. La figura dello scienziato non coincideva con quella del sapiente e dell’intellettuale. Gli autori classici rappresentavano la forma più alta della cultura degli antichi e avevano portato le conoscenze alla loro massima portata. Lo scienziato non poteva fare ciò. Il carattere obiettino e universale del ragionamento scientifico aveva la conseguenza di offrire all’intelletto una via certa ma anche di eliminare la soggettività della conoscenza. Si tratta di un argomento retorico ma la riflessione sulla questione, promossa dagli scienziati del Seicento, avrebbe esercitato enorme influenza sulle generazioni successive. Ancor oggi la scienza è un’attività intellettuale che si avvale di metodi oggettivi, validi universalmente, indipendentemente dalla propria cultura. Nella pratica era forte l’esigenza di rivendicare il risultato ottenuto attraverso l’attività scientifica, d’indentificarlo con nome e cognome di chi l’aveva ottenuto e trarne tutti i vantaggi. Questa dicotomia tra scienza oggettiva e rivendicazione del ruolo dell’autore è nata nel momento in cui le accademie scientifiche hanno voluto stabilire i criteri che garantissero alla scienza uno status di oggettività incontestabile. A questo fine era necessario collocare l’autore di opere e scoperte scientifiche entro un nuovo ruolo. L’accademia del Cimento aveva la funzione di trarre risposte inequivocabili dagli esperimenti. La distinzione tra i membri dell’accademia e l’istituito di cui facevano parte era sottile in quanto istituzionalizzava il principio secondo il quale compito della scienza era solo sottoporre i fenomeni 37 Nel 1831 venne fondata la British Association for the Advancement of science, la quale si prefiggeva l’obiettivo di accrescere il peso istituzionale e culturale degli scienziati britannici organizzando riunioni che di anno in anno mettessero a punto direttive comuni. Grazie a questo genere di iniziative la scienza cominciò ad interessare anche i non addetti ai lavori e nel tempo il congresso dive divenne una vera e propria sede della ricerca scientifica. Nel 1860 Carl Weltzein, rilevava che per la prima volta i cultori di una singola disciplina, si riunivano per discutere di un programma di unificazione degli standard concettuali e terminologici della scienza. Le questioni principali messe sul tavolo in quel congresso sulla chimica erano due: 1. “La definizione delle nozioni chimiche importanti – come quelle che sono espresse dalle parole <<atomo equivalente>> e <<molecola equivalente>> - e delle formule chimiche”. 2. L’introduzione di una <<notazione o nomenclatura chimica uniforme>> Anche il congresso di Karlsruhe come quello di Parigi intendeva stabilire un insieme di standard terminologici e scientifici. Kelulè fu il primo a parlare. Egli aveva sostenuto la necessità di mantenere una ferma distinzione tra molecola fisica e molecola chimica e separare nettamente i due ambiti di indagine. C’era chi Cannizzaro, che non vedeva la necessità di distinguere i due concetti, dato che la materia era composta secondo lui solo da molecole fisiche, rifacendosi al metodo introdotto da Amedeo Avogadro. Dall’ipotesi di Avogadro era possibile ricavare il peso relativo delle molecole degli elementi gassosi semplicemente in base alla densità del gas. L’idea di Cannizzaro verrà poi utilizzata come standard. Questo caso ci permette di apprezzare l’importanza dei congressi come quello di Kerlsruhe. La comunità chimica si riconobbe nei valori di cosmopolitismo e internazionalismo. Nel 1931 le massime autorità fasciste misero a disposizione di Guglielmo Marconi ed Enrico Fermi una somma astronomica per l’organizzazione di un convegno internazionale di fisica. Lo scopo dell’iniziativa però era solo propagandistico. La struttura dei congressi specializzati favoriva lo scambio di idee e l’emergere delle nuove discipline ma anche la possibilità di dar voce a quegli scienziati che non afferivano ancora in modo stabile al mondo accademico. Questo fu uno dei fattori che giustificavano l’organizzazione di incontri internazionali periodici. Il congresso costituisce dunque la materializzazione dell’ideale della scienza come impresa collettiva, cosmopolita e universale. 40 15: Scienza e guerra Nel 1540 il fonditore e capitano d’artiglieria senese Vannoccio Biringuccio, celebrava la scoperta della polvere da sparo. Il caso dell’invenzione della polvere da sparo mostrava quanto fosse giustificato l’elogio dell’anonimo inventore e l’orgoglio del suo epigono moderno Biringuccio. Furono le armi da fuoco a segnare un passaggio decisivo nella storia europea, ed è stato più volte sottolineato dagli studiosi del colonialismo come l’uso dell’archibugio e del cannone siano stati sufficienti ad annientare intere civiltà. Le nuove invenzioni militari avevano stimolato la domanda di ferro e favorito lo sviluppo dello sfruttamento minerario. La polvere da sparo da sola, non poteva giustificare la rapidità con cui l’arte della guerra fu rinnovata, alla fine del quindicesimo secolo. Già descritta da Bacone nel 1248, la polvere da sparo rimase nel limbo fino alla fine del quindicesimo e l’inizio del sedicesimo secolo, quando la produzione di bronzo e ferro subì un incremento prodigioso. Proprio nel sedicesimo secolo, la raffinazione del ferro aveva permesso di migliorarne la resistenza ad alte temperature ed il bronzo dei cannoni veniva sostituito con l’ottone. L’aumento della produzione dei metalli e portò ad una conseguente diminuzione dei costi dei manufatti metallici, a cominciare dalle armi. Il trattato di metallurgia di Biringuccio dà ampio spazio alla preparazione della polvere da sparo e alla fusione delle armi da fuoco. La metallurgia divenne nel Rinascimento un’arte da cui dipendevano i successi di gran parte delle strategie militari. La metallurgia cessava di essere competenza esclusiva di tecnici semianalfabeti ma diventava un oggetto d’interesse per gli uomini di scienza. Nel 1537 a Venezia fu pubblicata un’opera intitolata “Nova scientia” da Niccolò Tartaglia. In quest’opera stabilì che la traiettoria dei proiettili sparati da un cannone era sempre curva e che risultava possibile raggiungere la massima gittata portando l’evoluzione della canna a 45°. Tartaglia introdusse uno strumento nuovo, la squadra per artiglieri, che consentiva di calibrare l’elevazione della canna dei cannoni con semplicità. L’opera di Tartaglia rappresenta il primo trattato di balistica e dimostrava come fosse chiaro la scienza ed in particolar modo la matematica, doveva costituire il fondamento delle applicazioni strategico – militari. La rivoluzione francese portò con sé il miglioramento da parte degli scienziati. Sia sulla polvere da sparo, sui cannoni ma anche sullo sviluppo del telegrafo ottico, nuovo sistema di comunicazione decisamente innovativo per il coordinamento degli spostamenti delle armate. Durante la prima guerra mondiale si videro invenzioni promosse dalla scienza come il sottomarino, lo Zeppelin e l’impiego dei gas asfissianti o lacrimogeni. Con la seconda guerra mondiale si perfezionarono invenzioni strabilianti come il radar, la macchina di Turing per la decifrazione dei linguaggi cifrati, gli aerei da bombardamento ed i razzi, ma anche purtroppo la bomba atomica. La neutralità dello scienziato che Napoleone aveva voluto depurare di qualsiasi velleità filosofico e politica, faceva sì che ora fosse il politico ad avere l’onere di gestire gli effetti devastanti degli armamenti atomici. 41 La guerra era finita e gli scienziati avevano dato un contributo decisivo al raggiungimento di una vittoria schiacciante, ma la pace aveva portato con sé la minaccia di nuove e ancora più terribili invenzioni che potessero distruggere definitivamente l’umanità. 42 Ormai si è trasformato nello spazio ideale ed ottimale per ospitare gli strumenti. L’uso sistematico degli strumenti ha rafforzato la convinzione che la natura sia dominata da leggi meccaniche e perciò riconducibile a modelli riproducibili attraverso la sperimentazione in laboratorio. Solo la combinazione tra uso di strumenti ad alta precisione e mediazione del linguaggio matematico offre sufficienti garanzie di riuscita della ricerca. L’importanza terminologica della tecnica rende il laboratorio un luogo dove la comunicazione è centrale, sia tra membri interni che verso l’esterno. La produzione dell’articolo da pubblicare è il frutto di un complesso processo di mediazioni che sottolinea la natura collegiale della ricerca scientifica. Questo spiega la prassi di pubblicare articoli firmati da più autori. La presenza pervasiva degli strumenti e l’assunto secondo il quale una teoria o ipotesi scientifica non è valida finché non sia stata verificata sperimentalmente, ha prodotto una dipendenza sempre più marcata della scienza dalla tecnologia. L’innalzamento degli standard di misurazione e quantificazione per la qualifica di affidabilità degli esperimenti ha comportato una progressiva tecnologizzazione della ricerca scientifica. Al contempo, l’esigenza di dotare i laboratori di macchine e strumenti sempre più costosi ha reso necessario un coinvolgimento finanziario sempre più diretto dell’industria. A causa delle dimensioni dei laboratori e del valore strategico economico della ricerca, esso è diventato un luogo ove gli scienziati intrattengono frequenti rapporti con le agenzie governative e gli enti nazionali. Solo i laboratori possono avere sufficiente autorità per chiedere e ottenere sostegno politico e finanziario dai governi. L’identità professionale dello scienziato contemporaneo è determinata dalla sua attività di laboratorio tanto che è ormai diventato impossibile comprendere il contesto delle scoperte scientifiche prescindendo dal loro luogo di produzione. 45 Argomenti trattati durante il libro su cui porre attenzione: 1. Scienza e natura 2. Strumenti 3. Comunicazione scientifica 4. Scienza e arte 5. Scienza e religione 6. Eliocentrismo 7. Musei della scienza 8. Le Accademie 9. Scienza ed università 10. Specializzazione e discipline 11. Scienza e politica 12. Scienza e tecnica 13. Il chimico francese Lavoisier 14. James Watt e la macchina a vapore 15. Idee di Bacone e di Cartesio 16. Rapporto tra scienza ed industria 17. L’invenzione dell’aspirina e del nylon 18. L’evoluzione della professione dello scienziato 19. I congressi 20. Scienza e guerra 21. I laboratori ed il rapporto tra tecnologia e scienza 46
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