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Riassunto "Storia medievale" - L. Provero, M. Vallerani, Sintesi del corso di Storia

Riassunto del manuale "Storia medievale"

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 02/09/2020

aliceors
aliceors 🇮🇹

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Scarica Riassunto "Storia medievale" - L. Provero, M. Vallerani e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! 1 STORIA MEDIEVALE PARTE PRIMA Capitolo 1 – L'impero cristiano 1. Il sistema romano imperiale tardoromano II secolo d.C. → termina l'espansione militare dell’Impero Romano che si stabilizza nei confini segnati dal lime del Reno e del Danubio. Diocleziano ristabilisce l'ordine su tutto il territorio, prima segnato da anarchie militare e lotte interne, condividendo il potere a partire dal 285 con Massimiano. → Roma perde la sua funzione di capitale. La polarizzazione oriente-occidente diventa ancora più forte quando ai due Augusti vengono affiancati due Cesari, Galerio e Costanzo Cloro. Nel 324 Costantino fonda la città di Costantinopoli, che divenne subito residenza imperiale e sede di un Senato, ancora però dipendente da quello di Roma. Nel 395, con la successione a Teodosio I, avvenne la vera spartizione dell'impero in due territori, affidati ai figli Arcadio e Onorio. Una macchina statale complessa come quella dell'Impero richiedeva un afflusso costante di denaro per sostenere i tre grandi capitoli di spesa: la burocrazia, la capitale e l'esercito. Esse erano sostenute da un prelievo fiscale il cui cespite principale era costituito dall'annona, imposta che gravava sulle popolazioni rurali. → Espressione della capacità romana di integrare province diverse. La fine dell'espansione militare determinò anche la fine di una espansione economica che era stata accelerata dalle conquiste, che avevano garantito l'afflusso di bottino. Le ingenti spese militari produssero una politica inflazionistica: venne coniata sempre più moneta, la quale possedeva sempre meno valore in quanto costituita da meno materiale prezioso. L'Italia inoltre perdette progressivamente la propria rilevanza produttiva. 2. L’esercito, il limes, i barbari Nel corso del IV secolo si definirono due settori fondamentali dell'esercito: i comitatenses e i limitanei, i quali erano posti a difesa del confine. È da considerare il limes come un'ampia fascia di incontro, scambio e scontro tra le popolazioni inquadrati nell'impero e quelle che ne rimanevano all'esterno. → Non vi era una separazione netta fra romani e barbari. Questi ultimi erano definiti come coloro che non parlavano il greco, o il latino. Questi gruppi armati non avrebbero mai pensato a sé stessi come a dei “Germani” o “barbari”: essa è una nozione intellettuale derivata da Tacito che non corrispondeva ad una reale identità delle popolazioni. Da un lato il senso di appartenenza dei barbari era probabilmente legato soprattutto a piccole unità sociali, mentre dall'altro lato abbiamo un sistema di fonti scritte prodotto integralmente dalla cultura romana che cercava di individuare tra i barbari strutture politiche ampie, regni e popoli stabili e riconoscibili. → Bisogna tenere a mente che non si tratta di gruppi omogenei e stabili: erano strutture estremamente mobili, confederazioni di gruppi tribali che si riunivano e si sfaldavano al seguito dei re più abili nel guidarli alla ricerca del bottino. Spesso l'incontro fra barbari e romani assumeva connotati politici: gruppi tribali o interi popoli entravano a far parte dell'esercito come corpo organizzato, conservando le proprie gerarchie e i propri comandanti. L'Impero si trovava così a disporre di corpi militari efficaci, ma anche a dover gestire gruppi la cui integrazione nei quadri imperiali era più debole. → I popoli germanici non erano collocati all'esterno, ma alla periferia dell’Impero Romano. Tuttavia, nel verso la fine del IV secolo si assistette ad una accelerazione del processo di penetrazione dei barbari all'interno dei limes. Furono gli Unni a scatenare questo processo a catena, invadendo le tribù orientali. → I Visigoti invadono le terre imperiali e la battaglia di Adrianopoli (378) segnò una terribile sconfitta per l'Impero e procurò la morte dell'imperatore Valente. → Forte impatto nell'immaginario collettivo. Nell'inverno fra il 406 e il 407 il limes renano perse efficacia e importanti gruppi armati riuscirono a penetrare nei territori imperiali. → Sacco di Roma del 410. Importanti comandanti dell'esercito di origine germanica furono Arbogaste, che uccise Valentiniano II e fu poi ucciso da Teodosio, Stilicone, ucciso per una accusa di tradimento, e Alarico, re dei Visigoti, che nel 409 giunge fino a Roma per saccheggiarla. Tutti questi personaggi erano barbari, ma tutti erano comandanti 2 militari romani; tutti combatterono al servizio dell'Impero e al contempo tutti lo fecero per le proprie ambizioni. 3. Cristianizzazione dell'Impero La cristianizzazione dell'impero fu la trasformazione delle strutture di potere in senso cristiano, fu la sua adozione come religione ufficiale e ideologia fondante del potere imperiale. Di fatto, nel corso del IV secolo il Cristianesimo passò dalla condizione di religione minoritaria e illecita a quella di religione dominante e ideologia ufficiale dell'impero. Il punto di partenza di questo processo può essere rappresentato dalle persecuzioni contro il Cristianesimo attuate da Decio. Tali persecuzioni avevano come fine il consolidamento della coesione ideologica dell'impero a cui si univano indubbie ragioni di tipo economico. Tre sono le tappe che portarono invece all'affermazione del culto cristiano. La prima è costituita dall'editto di Milano del 313, ad opera di Costantino, che sancì la fine delle persecuzioni e la libertà di culto. → Reso operativo il nesso tra potere imperiale e cristianesimo. A partire da questi anni gli imperatori individuarono nel cristianesimo una possibile ideologia unificante del frammentato territorio romano. La seconda tappa è rappresentata dal Concilio di Nicea del 325, dove fu condannato l'arianesimo, la dottrina cristiana che riteneva che il Figlio fosse sottoposto al Padre e non partecipasse della sua stessa sostanza. → Ciò non garantiva l'efficacia salvifica del cristianesimo. L'arianesimo ebbe comunque una notevole diffusione all'interno dei popoli germanici. Infine, vi fu l'editto di Tessalonica del 380, con cui l'imperatore Teodosio ordinò ai sudditi di adottare il cristianesimo, facendone la religione ufficiale dell'impero. 4. Vescovi e monaci La Chiesa cristiana del IV secolo non aveva tuttavia ancora un'organizzazione unitaria: la struttura portante era destinata a singole diocesi raccolte attorno ai vescovi. Essi goderono di numerosi prestigi cui concorsero le loro funzioni religiose e la loro identità familiare: erano spesso ricchi aristocratici. Nel corso del V secolo andò definendosi la superiorità di alcune maggiori città, definite sedi patriarcali, come Roma, Antiochia, Alessandria, Gerusalemme e Costantinopoli. Tale superiorità era solo di prestigio: i patriarchi non possedevano un reale potere sui vescovi. → Roma era l'unica sede patriarcale d'occidente e la più prestigiosa di tutte, per il suo richiamo alla tradizione imperiale e perché il suo vescovo era il diretto discendente di Pietro. → Nel medioevo è più corretto parlare di “chiese” al plurale. È a partire dalle sedi vescovili che si avviò il processo di evangelizzazione dell'impero, attraverso la creazione di una rete di chiese dipendenti dal vescovo. Nelle isole britanniche l'evangelizzazione non ebbe una rapida diffusione, ma acquisì nuova vitalità a partire dal VI secolo. L'unico territorio britannico che si era orientata precocemente al cristianesimo era l'Irlanda. → Con il cristianesimo irlandese entra in gioco una diversa forma di religiosità, quella monastica, intesa come una sorta di fuga dal mondo finalizzata a seguire un metodo tendente alla purificazione e all'avvicinamento all'Essere supremo, un metodo che si costruisce prima di tutto attraverso la rinuncia → forma di ascesi. Il monachesimo si affermò dunque anche come una forma di tacita protesta per riaffermare un modello di vita religiosa coerente ed estrema. → Allontanamento dal mondo, rapporto continuo con le Scritture, rinuncia alla ricchezza e autosostentamento. Le prime forme di monachesimo furono quelle degli eremiti, ubicati in Siria e in Egitto, e dei Cenobiti. I primi erano monaci solitari, spesso attorniati da una fama di santità, mentre i secondi vivevano in comunità, adottavano una regola e stabilivano una gerarchia. → Sostentamento reciproco e rispetto e disciplina verso l'abate. Capitolo 2 – Barbari e regni 1. Mobilità degli eserciti Il crollo del limes del 406-407 fu l'espressione di uno squilibrio strutturale, legato alla difficoltà dell'impero nel tenere sotto controllo gli eserciti. → Intensi spostamenti dei barbari. Alcuni di questi spostamenti furono l'espressione militare e politica di gruppi più definiti e coesi, popoli che costruirono e mantennero la propria identità collettiva per diverse generazioni. − Visigoti: saccheggiano Roma sotto la guida di Alarico. Si stabiliscono poi in Francia nel 414. − Vandali: si insediano nella penisola iberica per poi spostarsi nell'Africa romana e conquistare la Tunisia e l'Algeria. 5 famiglie che volevano conservare e aumentare la loro preminenza sociale e il prestigio di tali cariche aumentò proprio a causa del fatto che molte famiglie aristocratiche desideravano impossessarsene. Nel tardoantico i franchi non erano un gruppo compatto, quanto piuttosto un insieme di tribù. La prima figura di riferimento per questo popolo fu Childerico I, il quale combatté contro i Visigoti ma non riuscì ancora a creare una vera e propria coesione politica e sociale. Il processo di consolidamento fu completato invece dal figlio Clodoveo, succeduto al padre nel 481. Egli operò un'efficace espansione militare contro gli altri popoli germanici, sottomettendo Burgundi e Visigoti e segnando la piena affermazione del suo gruppo parentale, i Merovingi. All'espansione territoriale fece seguito nel giro di pochi anni la conversione del popolo e del re al cattolicesimo, la quale non permise l'innescarsi quei meccanismi di contrapposizione religiosa che invece agirono in altri regni. Si coglie in questo senso, da un lato la centralità della figura dei vescovi (fu infatti un vescovo a battezzare e a convertire Clodoveo, Remigio), e dall'altro l'assimilazione di Clodoveo a Costantino, il primo imperatore cristiano. L'integrazione dei Franchi e dei Gallo-romani si sviluppò tuttavia a livelli più profondi del solo incontro fra vescovi e re: fu l'unione delle due aristocrazie, la creazione di un gruppo sociale dominante unitario. Lungo il VI secolo si creò una aristocrazia che sapeva basare il proprio potere su diverse azioni: combatteva e accumulava terre, era vicina al re, ma attenta a radicarsi nelle città, tesseva reti clientari e occupava cattedre vescovili. 2. Le chiese Franche e la diffusione del monachesimo in Occidente La rapidità della conversione dei franchi favorì l'affermarsi della figura del vescovo aristocratico, ricco e potente, e quindi l'assommarsi nelle mani dei vescovi di risorse e funzioni. Essi erano al contempo portatori di cultura, letteraria e politica, erano ricchi, il che ne faceva dei grani padroni, ovvero il vertice di clientele. Un peso rilevante va inoltre assegnato ai monasteri. In particolare, accanto alle esperienze cenobitiche ed eremitiche, è da segnalare la figura di Martino di Tours, soldato attivo in Gallia prima di dedicarsi alla vita religiosa. Già a partire da Clodoveo i re franchi fecero di Martino un punto di riferimento della propria religiosità e un patrono del regno. L'esperienza di Martino mise inoltre in rilievo come il mondo monastico e vescovile non fossero così separati: i grandi monasteri furono un bacino di reclutamento importante per i vescovi. Fuori dalla Gallia furono decisive le figure di Agostino, in Africa, e di San Gerolamo, in Italia. Il metodo prevalente per la vita monastica fu quello benedettino: Benedetto da Norcia nacque a Roma nel 480 e divenne presto un eremita, poi cenobita e infine abate, fondando nel 529 l'abbazia di Montecassino. Qui scrisse la sua “Regola”, che sarà adottata da gran parte dei monasteri medievali. → Forma di ascetismo moderato. Alla base della vita monastica vi dovevano essere la preghiera, mentre il lavoro trovava un posto marginale. La “regola” inoltre integrò la prospettiva cenobitica, proposta a tutti, con quella eremitica, destinata a pochi monaci superiori e spiritualmente più forti. → Gli eremiti vivevano un'esistenza solitaria ma riconoscevano comunque l'autorità dell'abate. Per quanto riguarda il monachesimo irlandese, esso ben presto si diffuse nelle terre continentali, grazie all'azione di monaci come Colombano. Si creò già in questi anni un intenso rapporto fra aristocrazia e monaci. 3. I regni e l'aristocrazia L'efficacia politico-militare dei franchi derivò soprattutto dal coordinamento dell'aristocrazia attorno ai re. La “Lex salica” (510) espresse la ripresa di forme e strumenti di governo tipici dell'amministrazione romana: essa infatti fu una legge scritta, la cui formulazione era tipicamente assente dai regni germanici. Di chiara matrice romana era inoltre la suddivisione del territorio in distretti, affidati ognuno ad un “comes” (conte). Essi erano persone fidate del re (trustis), a cui egli affidava delle funzioni amministrative. Rispetto agli imperatori, i merovingi furono relativamente poveri, in quanto il prelievo fiscale non era una pratica consolidata, ma ben più ricchi dei re a loro contemporanei: le famiglie aristocratiche e le chiese accumulavano grandi patrimoni fondiari e i re disponevano di conseguenza di una grande quantità di risorse economiche e politiche, di beni che potevano essere utilizzati per consolidare il loro rapporto con i nobili. Le famiglie aristocratiche, per quanto ricche, cercavano di aumentare la propria potenza tramite i legami politici e clientari con il re. 6 Per quanto riguarda il rapporto fra il re e il popolo, fu notevolmente ridimensionato il ruolo delle “assemblee” dell'esercito e allo stesso tempo assunsero importanza le assemblee regionali, riunite attorno ai singoli conti. Tali assemblee ebbero quindi un indubbio rilievo politico e giudiziario, ma non portarono ad una frammentazione del regno in dominazioni minori → Tutti i successivi processi di divisone e ricomposizione si svilupparono sempre all'interno della dinastia merovingia. Capitolo 4 – La rottura del Mediterraneo romano 1. Produzione e scambi in Occidente La caduta dell'impero occidentale è il fondamento necessario per comprendere la profonda ridefinizione degli assetti economici sia il nuovo assetto territoriale dell'Europa. Rispetto all'equilibrio economico segnato dalla fine dell'espansione romana, nel periodo altomedievale ci fu un mutamento profondo, che comportò la rottura dei più grandi circuiti di scambio e la fine di molte forme di produzione, nel contesto generale di un calo demografico. All'interno delle regioni si ridussero le funzioni delle città, mutarono i sistemi di produzione e di scambio, si trasformarono profondamente le forme di circolazione ed ebbe fine l'interdipendenza tra le varie parti dell'impero. 1.1 Le città Il tramonto del sistema imperiale allontanò le élite dalle città. In un contesto di generale calo demografico, la crisi delle funzioni dei centri urbani fu accompagnata anche da una loro drastica riduzione della popolazione. Fra tutte, la città che subì maggiori trasformazioni fu Roma: essa non poté più sostenersi con le risorse provenienti dalle varie regioni imperiali e la popolazione subì un drastico calo, fino ad arrivare a 20.000 abitanti. Poche città avevano inoltre una forte esclusiva vocazione commerciale: solo per alcuni grandi porti come Marsiglia si può dire che vivessero grazie ai traffici commerciali. 1.2 Reti La fine dell'unità territoriale ebbe rilevanti conseguenze sul piano economico: la prima grande rottura fu rappresentata dalla conquista vandala della Tunisia, avvenuta del 439, che interruppe l'asse fiscale che collegava Roma a Cartagine e garantiva alla capitale il regolare rifornimento di grano nordafricano. Nel periodo altomedievale lo scambio si ridusse drasticamente e assunse forme più specificamente commerciali, e non fiscali. Di conseguenza Roma dovette mantenersi su risorse molto più ridotte e di conseguenza avviò un processo di profonda riduzione. Inoltre, le produzioni africane subirono anch'esse una riduzione, attestata dall'abbandono di laboratori e officine. → L'aristocrazia tunisina non era abbastanza numerosa e ricca per sostenere una domanda di prodotti pari a quella del periodo imperiale. 1.3 Produzione Il quadro produttivo delle regioni mediterranee dei primi secoli del medioevo è caratterizzato da una fortissima varietà, ma anche da alcune tendenze comuni. Al centro dell'attenzione va posta la domanda delle élite, la cui ricchezza appare inferiore a quella dell'aristocrazia romana. L'Africa si trovò ad affrontare un calo produttivo, dato che la domanda e l'esportazione commerciale non erano tali da sostenere un sistema produttivo che si era modellato per rispondere alla domanda fiscale dell'impero. → Generale caduta della domanda in tutto il mediterraneo. Nemmeno la successiva conquista da parte dell'impero orientale riuscii ad invertire la tendenza al declino. L'Italia fu un'area a fortissima frammentazione economica, con prodotti artigianali che viaggiavano a raggio assai limitato. Inoltre, le guerre degli Ostrogoti e dei Longobardi provocarono ingenti danni alla produzione e al commercio. Nel regno franco, lungo il VI secolo si assistette ad un abbandono del prelievo fiscale, ma un dato di fondo di questa regione era la ricchezza dell'aristocrazia e dunque la domanda elevata. Caso opposto è la Britannia, dove si constata una rottura totale delle reti commerciali, una netta semplificazione dei manufatti e una produzione ceramica esclusivamente locale. → In tutto il Mediterraneo occidentale la circolazione si mantenne su dimensioni regionali, in un contesto di generale calo della produzione connessa alle aristocrazie, che nel complesso era più povere rispetto al periodo romano. 7 1.4 Contadini I contadini in epoca medievale rappresentavano la stragrande maggioranza della popolazione, quasi il 95%. La transizione al medioevo fu infatti segnata da un abbandono delle città e quindi da un aumento relativo della popolazione rurale. In linea generale si può dire che l'autonomia contadina fu inversamente proporzionale alla ricchezza aristocratica: l'aristocrazia medievale era relativamente debole e ciò comportava un controllo meno diretto sull'operato dei contadini. 2. Le ambizioni universali dell’Impero di Giustiniano Nel corso del V secolo Costantinopoli assunse le funzioni di capitale dell'impero, in parallelo al declino di Roma. → Costantinopoli si pose in diretta continuità con l'impero cristiano del secolo precedente. È da notare come la successione imperiale non si era fondata su una semplice e diretta ereditarietà (molta importanza era assegnata al consenso del popolo) e questa fluidità dei meccanismi di successione si riprodusse lungo tutto l'alto medioevo orientale. → Non esisteva una dinastia imperiale e vi furono numerose lotte per il trono. Giustiniano salì al trono nel 527 perché vi fu associato dallo zio Giustino, un militare che aveva compiuto una grande carriera all'interno dell'esercito. Ciononostante, l'instabilità politica era compensata innanzitutto dalla stabilità dell'apparato burocratico, il motore che garantiva il regolare funzionamento della macchina imperiale. Lo stato viveva sulla relazione tra la corte imperiale e le province e questo sistema burocratico fu il principale strumento per gestire il prelievo fiscale. → La tassa fondamentale era la cosiddetta “annona”. L'azione fiscale richiedeva la produzione di un complesso sistema documentario per accertare i patrimoni e le persone presenti, ma ciò garantì all'Impero una buona stabilità finanziaria. L'organizzazione di questo sistema burocratico richiedeva la formazione di individui specializzati, in particolare in campo giuridico. → Questo sistema di alta formazione si espresse nel “Corpus Iuris Civilis” (534), una grande riforma legislativa operata da Giustiniano (attraverso una commissione di 7 giuristi guidati da Triboniano), nata per risolvere le contraddizioni e le sovrapposizioni delle innumerevoli leggi romane e rimuovere i testi anacronistici. Giustiniano ebbe inoltre l'ambizione di riconquistare l'Occidente e quindi di riunificare l'impero, data la relativa tranquillità dei limes e il rafforzamento dell'economia e dell'esercito. Il primo obiettivo fu il regno vandalo in Tunisia, che rappresentava la principale minaccia al commercio marittimo. Esso fu conquistato con relativa facilità dal generale Belisario tra il 533 e il 534. Ben più faticose furono le conquiste degli altri obiettivi imperiali: la Spagna visigota e l'Italia ostrogota. Riguardo alla prima, ne fu conquistata solo una piccola parte meridionale, mentre la campagna in Italia durò quasi venti anni, dal 535 al 553. Belisario attaccò la Sicilia per poi risalire la penisola, giungendo nel 540 a Ravenna. Quando però salì sul trono italico Totila, egli rilanciò una efficace controffensiva che però non resse alla potenza imperiale. L’Italia passò sotto il controllo di Giustiniano nel 553. Per sopperire agli ingenti danni materiali e umani, Giustiniano emanò la “Prammatica sanzione”, volta a ristabilire la condizioni precedenti al regno di Totila. Tuttavia, la fragilità del dominio imperiale si manifestò quando i longobardi, nel 568, valicarono le Alpi e diedero inizio ad una lunga conquista disordinata. Essi conquistarono il nord, la Toscana e alcune regioni centromeridionali. → I confini fra Longobardi e impero non era una linea netta e semplice, ma una fitta trama di confini e territori. → Dal punto di vista territoriale l'eredità di Giustiniano fu fragile. 3. Dibattiti teologici e identità locali Se nel V e nel VI secolo la distinzione fra cattolici ed ariani aveva modificato le forme di convivenza all'interno dei regni, in questo stesso periodo il dibattito teologico si era spostato dal piano trinitario a quello cristologico. → Problema della convivenza nella figura di Cristo di una natura divina e una natura umana: Cristo dev'essere pienamente divino e pienamente umano. Nestorio sosteneva la presenza di queste due nature distinte in Cristo e attribuiva a Maria non il titolo di “Madre di Dio”, ma di “Madre di Cristo”. Il nestorianesimo fu condannato nel Concilio di Efeso del 431, organizzato da Teodosio II. → Tale dottrina non fondava in modo sufficiente l'unità delle due nature in Cristi e di conseguenza non era affermato in modo solido il pieno coinvolgimento del Figlio nella sofferenza e morte di Cristo. La via teologica opposta fu quella del Monofisismo: in questa interpretazione umanità e divinità si fondano per dare vita ad una sola natura. Questa posizione fu condannata a Calcedonia nel 451, 10 religioso. Capitolo 2 – Nuovi quadri politici: il regno longobardo 1. I Longobardi in Italia Le fonti principali per leggere la storia del regno longobardo sono la Hisoria Longobardorum di Paolo Diacono e le leggi promulgate dai re a partire dall'editto di Rotari del 643. I Longobardi vivevano inizialmente all'estrema periferia del mondo romani, alcuni ne ipotizzano un'origine scandinava. L'esercito che nel 568 si mosse alla conquista dell’Italia era quindi un popolo che conosceva la romanità, ma che non si era romanizzato. I longobardi erano sicuramente un popolo esercito, la cui attività principale era combattere, ma accanto all'azione violenta di conquista, la discesa in Italia fu anche una vera e propria migrazione di uomini, donne e bambini. L'iniziativa della conquista lanciata dal re Alboino fu una grande opportunità di arricchimento e di conseguenza ai longobardi si unirono numerose altre tribù che andarono a rafforzarne notevolmente l'esercito. Questo valicò le alpi nel 568 e diede origine ad una conquista lunga e discontinua che divise l'Italia in due: da una parte i longobardi e dall'altra i domini bizantini con il vescovo di Roma. Il re non era tuttavia l'unico potere alla guida dei Longobardi, la sua azione anzi era assai limitata. Coloro che comandavano realmente il popolo longobardo erano i capi (duces) delle “farae”, ovvero i corpi militari. Il potere regio nasceva dunque dal coordinamento delle farae con i duchi. L'autonomia di tali duchi si espresse in proprie iniziative militari: essi si spinsero ad esempio alla conquista di Spoleto e Benevento. Anche il re dunque era prima di tutto una guida militare, colui che garantiva la capacità bellica del suo popolo. Il titolo era elettivo e solitamente venivano scelte le persone più forti. Quando Alboino fu ucciso (672) gli succedette Clefi, che però rimase in carica solo due anni, per poi essere ucciso anch'esso. Dal 575 al 584 i Longobardi rimasero senza re: probabilmente i duchi ritenevano che non fosse necessario. Tuttavia, la pressione dei franchi e l'esigenza di un coordinamento li spinsero a scegliere il figlio di Clefi, Autari, come nuovo re. Da qui in avanti vediamo o giocare continuamente i due principi, elettivo e dinastico. Alla morte di Autari la successione fu posta nelle mani della vedova Teodolinda, che sposando il duca Agilulfo ne fece il nuovo re. Il potere del re fu dunque importante dal punto di vista militare, ma dovette sempre confrontarsi con la volontà dei duchi. I Longobardi inoltre designarono Pavia come residenza regia e come capitale e mole altre città del regno conservarono una funzione politica come residenze dei duchi. → Essi si insediarono in misura importante nelle città. 2. Longobardi e romani L'identità etnica dei Longobardi non era un dato stabile: la stessa Teodolinda era una bavara e Agilulfo un turingio. L' “Origo gentis longobardorum” si concentra proprio su questa differenza di etnie e sull'origine del popolo, sul momento in cui un gruppo di persone aveva assunto un nome e una identità collettiva. In ogni caso i processi di etnogenesi dei longobardi e i rapporti fra gli stessi e i Romani non possono essere delineati in modo semplice e netto. Sappiamo che gli aristocratici romani furono esclusi dal potere nel regno, subirono importanti espropriazioni ed emigrarono verso le aree imperiali. Nel regno, il potere si concentrò nelle mani dei Longobardi e dei loro duchi. Tuttavia, questa chiarezza andò sfumandosi nel giro di poche generazioni: i matrimoni misti e l'assimilazione degli stili di vita tolsero rilievo alla distinzione etnica. Per quanto riguarda la religione, la fede dei longobardi si rivolgeva sia ai culti pagani tradizionali sia al Cristianesimo ariano. → Romanizzazione debole. Le fede ariana divenne quindi un perno attorno a cui i longobardi poterono consolidare la propria identità etnica distinta dai romani. Nemmeno la fede cattolica della regina Teodolinda e il battesimo del figlio bastarono a influenzare la popolazione longobarda: le due fedi viaggeranno a lungo in parallelo, fino a che non venne innescato un processo di lenta conversione che rese solo nel VIII secolo il regno longobardo un regno cattolico. In Italia non si realizzò dunque mai quel processo di simbiosi fra regno e vescovi in atto nei regni franchi e visigoti. → Le cariche vescovili non erano un obiettivo politico. Inoltre, le tensioni territoriali e religiose fecero sì che si creasse una fitta tensione fra papato e regno, che non venne superata nemmeno quando re come Liutprando e Astolfo diedero vita ad un regno pienamente cattolico. Le potenzialità politico-territoriali del papato emersero con forza attraverso l'azione di papa 11 Gregorio Magno (590-604). Egli fu l'espressione dell'antica aristocrazia senatoria e provò a rifondare su nuove basi il ruolo politico di Roma, ormai eclissata dalla potenza di Costantinopoli. I vescovi di Roma, constatata la debolezza dell'Impero nelle loro terre, si proposero come figure fondamentali dal punto di vista religioso e sociale, come punti di riferimento per la comunità. Gregorio si pose quindi come vertice politico dell'Italia centrale, avviando contatti con i Longobardi e ridefinendo forme di equilibrio fra le due dominazioni. 3. Crescita e fine del regno La stesura dell'editto di Rotari (643) ci mostra come la scrittura delle leggi fu pienamente parte del processo di rafforzamento regio → Il fatto di scrivere una norma è segno di mutamento importante nei funzionamenti politici del regno. Rotari pone innanzitutto in primo piano la propria persona, poi sottolinea l'esigenza di tutelare i più deboli e dichiara che la presente legge rinnova ed emenda tutte le precedenti, aggiunge e toglie ciò che è superfluo. → Integrare le norme ed eliminare quelle superflue. L'editto pone inoltre in piena evidenza l'inviolabilità del re. Esso fu inoltre destinato ad applicarsi a tutta la popolazione presente nel regno, a tutti i sudditi di Rotari. È chiaro che, se la fusione fra Longobardi e romani non era ancora completata, il processo era comunque avviato. Da Rotari in poi furono promulgate altre leggi, ma i testi di queste non raggiunsero mai l'estensione di tale editto. L'espansione territoriale avviata da Rotari fu poi completata da Grimoaldo, che ampliò il dominio sul veneto e si spinse fino in Puglia. Questo rafforzamento regio dovette comunque fare i conti con il crescente potere ducale, ma durante il VII secolo al fianco del tradizionale meccanismo di elezione regia, emerse in modo ricorrente la tendenza dinastica. La successione non si trasmetteva automaticamente di padre in figlio, ma vi era la tendenza ad eleggere il re all'interno della stessa casa parentale. → Presenza di un carisma regio che si trasmetteva tramite il sangue. La tendenza all'accentramento del potere si accentuò in modo significativo sotto il regno di Liutprando (712-744), che da diversi punti di vista può essere considerato un punto di svolta. Militarmente Liutprando agì su un orizzonte pienamente italiano, nella prospettiva di un dominio completo dei longobardi sulla penisola. Conquistò Spoleto e Benevento, sottomise Ravenna per un breve periodo e giunge alle mura di Roma. Di fatto, egli non arrivò mai a dominare l'Italia intera, ma questa possibilità fu reale e concreta, e tutti i protagonisti ne ebbero coscienza. Un secondo aspetto in cui il regno ebbe grande rilievo fu quello legislativo. Egli fu colui che intervenne in modo più incisivo sull'editto di Rotari, con più di 150 articoli di legge. Ciò che vediamo emergere da questa attività legislativa è una chiara ideologia cattolica del regno, impegnato a estirpare usanze di matrice pagana e a proteggere le chiese. Tuttavia, questo non permise ancora al regno longobardo di costruire un rapporto di forte e stabile collaborazione con i vescovi. Di particolare rilievo è inoltre l'istituzione dei Gastaldi, funzionari incaricati di gestire il patrimonio regio. Al contempo i re valorizzarono le forme di fedeltà personali: i “gasindii” erano coloro che si erano legati alla persona del re tramite uno speciale e personale rapporto di fedeltà. Gastaldi e gasindii andarono quindi a costituire a diverso titolo una rete di fedeltà raccolta attorno al re. Questo rafforzamento del regno si espresse in modo significativo con la conquista di Ravenna da parte di Astolfi nel 751. Ciò fu tuttavia l'event che segnò la fine del regno: la rottura con il papato divenne ormai insanabile e nel 754 Pipino in Breve scese in Italia, sconfisse Astolfo e consegnò Ravenna al papato. Vent'anni dopo, il figlio Carlo Magno depose il re Desiderio e sconfisse definitivamente i longobardi. Egli si intitolò “Rex Francorum et Longobardorum”. L'unico ducato a sopravvivere fu quello di Benevento. Capitolo 3 – Impero carolingio, ecclesia carolingia 1. Dal regno all’Impero Una data chiave nella storia dell'impero carolingio è sicuramente il 751, quando Pipino III depose Childerico II e diede inizio alla dinastia dei pipinidi. Il colpo di stato si attuò rinchiudendo Childerico in un monastero, procedendo così all'unzione del nuovo re da parte del monaco Wynfrith. Probabilmente il papa Zaccaria approvò successivamente ciò che fu già avvenuto, ma il nesso tra papato e pipinidi divenne rilevante qualche anno dopo. Il nuovo papa Stefano III dovette infatti constatare che l'impero non era più in grado di fornire protezione contro i longobardi e Roma doveva quindi trovare un nuovo protettore. 12 Nel 754 Stefano e Pipino si incontrarono a Saint-Denis, e il loro incontro fu la premessa per una spedizione franca in Italia. Pipino scese dunque in Italia, sconfisse Astolfo e lo costrinse a restituire al papato le terre conquistate e poi tornò in Gallia. Dopo la morte di Pipino nel 768, ci fu un breve periodo di equilibrio: il fratello di Carlo, Carlomanno, o lo stesso Carlo (o entrambi) si sposarono con due figlie del re Desiderio. La tensione maggiore si ebbe tuttavia quando nel 771 morì Carlomanno e Carlo diede inizio ad una più chiara politica di espansione, che gli valse l'appellativo di “Magno”. La conquista più importante fu sicuramente l'Italia, e ciò gli valse una importante alleanza con il papato che permetterà di trasformare il suo dominio da regno a impero. Dopo che i franchi conquistarono Pavia, la frammentazione territoriale dell'Italia si fece ancora più evidente: vi erano i franchi stessi a Nord, i Bizantini a Sud, i Longobardi che mantennero Benevento e il papato che possedeva il Lazio e Ravenna. Ad Ovest, Carlo conquistò una piccola striscia di terra iberica, denominandola “Marca Hispanica”, mentre ad est comandò un'azione di grande rilievo, giungendo a conquistare attraverso una difficoltosa campagna dal 772 all'803, la Sassonia. Anche la Baviera fu posta sotto un più diretto controllo franco. Sul piano commerciale, si articolarono sempre di più i rapporti fra Carlo e il re Offa di Mercia, che adottò linguaggi e modelli politici di chiara derivazione franca. → Influenza del regno anche oltre i confini. La linea di azione del papato a cavallo fra VIII e IX secolo fu volta da un lato al consolidamento dell'egemonia sull'Italia centrale, e dall'altro alla definizione di un rapporto stabile con i franchi. Quando Leone III fuggì da Roma per scappare dai suoi oppositori, fu riportato da Carlo nell'Urbe e nella notte di Natale dell'800 lo stesso Carlo venne incoronato imperatore dal papa. → Maggior rilievo al potere carolingio e superiorità rispetto agli altri regni. Il papa doveva quindi contare su un impego definito e stabile di Carlo a proteggere la sede papale. → Imperatore come protettore del papa anche nei secoli successivi. L'incoronazione di Carlo comportò gravi tensioni con Bisanzio → Atto di concorrenza ed ostilità. L'impero orientale era governato in quegli anni da una imperatrice reggente, Irene, ed era indebolito da un conflitto religioso importante che aveva reso difficili i rapporti con Roma. Questa concorrenza era tuttavia poco utile ai Franchi e quando venne incoronato il figlio Ludovico il Pio nell'813, Carlo scelse di non sottolineare le implicazioni imperiali e romane, procedendo ad una incoronazione ad Aquisgrana (nuova capitale) secondo le tradizioni franche. 2. Conti, vassalli e liberi All'interno di un impero così vasto era necessario un sistema di deleghe che garantisse il controllo regio su tutto l'impero. Per quanto riguarda l'aristocrazia laica, la funzione chiave era quella dei conti, mentre marchesi venivano definiti coloro che possedevano territori più ampi posti ai confini imperiali. La forza dell'impero si espresse nella capacità di separare efficacemente la loro potenza personale da quella esercitata a nome dell'imperatore. → Gli aristocratici assumevano le proprie funzioni in aree lontane rispetto alla regione di provenienza. La carica inoltre era temporanea. I legami tra imperatore e realtà locali erano garantiti anche da altri funzionari, i missi regi, funzioni in grado di garantire il collegamento tra centro e periferia, affiancando, controllando o sostituendo i conti. Le forme di fedeltà assunsero una forma definita durante il regno di Carlo, in quello che viene definito il “rapporto vassallatico”. Il vassallo era un uomo che giurava fedeltà militare a un potete, impegnandosi a servirlo e a combattere con lui, ottenendo in cambio protezione o terre (beneficium). → Creazione di un rapporto formalizzato. La rete di fedeltà attraversava l'intera aristocrazia franca: vediamo ampie clientele vassallatiche dei re, ma anche dei maggiori aristocratici. Il vassallaggio divenne così un'integrazione del sistema politico regio, consolidando la solidarietà interna all'aristocrazia e polarizzandola attorno ad un re. Nello specifico, i vassalli regi furono l'ambito di normale reclutamento dei conti e dei marchesi. La forza carolingia nasceva così dalla capacità di coordinare l'autonoma potenza aristocratica, coinvolgendola in una rete di clientele e funzioni. → il re era potente perché coordinava una aristocrazia a sua volta ricca e potente. 15 Hierea, Costantino V ottenne la condanna formale al culto delle immagini, ma a tale concilio parteciparono solo i vescovi bizantini. La pressione iconoclasta si attenuò con Leone IV, che nel concilio di Nicea del 787 riaffermò la liceità dei culti delle immagini. Il movimento iconoclasta andò così indebolendosi fino a essere condannato in un nuovo concilio di Costantinopoli nell'854. Queste tensioni furono uno dei fattori che indussero i vescovi di Roma a cercare del regno franco un alleato più affidabile fino ad offrire a Carlo la corona imperiale. 3. Le articolazioni del mondo islamico e bizantino Nell'età abasside, l'articolazione territoriale ed etnica del califfato si tradusse in una sua più chiara organizzazione politica: in diversi contesti gli emiri assunsero una piena autonomia di azione. Alla fine del X secolo l'Egitto si rese autonomo, grazie all'azione della dinastia dei Fatimidi. Per quanto riguarda la penisola iberica, essa assunse una fisionomia politica più definita quando attorno alla metà dell'VIII secolo prese il potere un principe omayyade sfuggito al colpo di stato degli Abassidi. La capacità di governo dell'emiro permise all'emirato di affermarsi come una delle maggiori potenze europee del secolo, tanto che gli emiri di Al-Andalus (la parte islamica della spagna) assunsero il titolo di califfato nel 929. Lungo il IX secolo inoltre gli arabi conquistarono la Sicilia, imponendo una presenza stabile. Per quanto riguarda l'impero bizantino, nell'867 salì al trono Basilio I, che diede inizio alla dinastia dei Basilidi. Essa realizzò un ampliamento dell'impero sul mediterraneo e sull’Europa orientale e costruì una rete di fedeltà e legami politici con i popoli confinanti. Concentrandoci su due aree, l'Europa orientale e l'Italia meridionale, esse seguirono vicende profondamente diverse ma furono oggetto della pressione egemonica dei bizantini. Vi fu innanzitutto una divisione fra le chiese di Roma e di Costantinopoli, con il successivo riconoscimento formale della superiorità di Roma. Una questione chiave fu quella del “filioque”, sostenuta da Roma, che riteneva che lo spirito santo procedesse dal Padre e dal figlio, mentre Bisanzio affermava che lo spirito procedesse unicamente dal padre. Oggetto delle pressioni ricorrenti dei due imperi furono in particolare gli slavi, orientati alla conversione al cristianesimo ma che temevano al contempo le implicazioni politiche di questa scelta. La chiave del successo e dell'egemonia di Bisanzio su questa terra fu la lingua: nelle terre slave operarono due missionari, Cirillo e Metodio, che crearono una grafia apposita per la lingua slava. Con questa scrittura poterono tradurre i principali testi sacri e avviare un processo di assimilazione delle popolazioni slave. Capitolo 5 – Società e poteri nel X secolo 1. I mutamenti dei poteri comitali L'impero carolingio non crollò sotto il peso di massicce invasioni militari, ma mutò natura dall'interno, in conseguenza della divisione in regni distinti e per un cambiamento dei comportamenti politici dell'aristocrazia e delle chiese. Durante il regno di Carlo mutarono i rapporti fra re e aristocrazia. I rapporti erano fondati sullo scambio tra i servizi e la redistribuzione: i servizi che i grandi garantivano al re e la redistribuzione che il re operava in favore dei nobili. Quando però i re non disposero più di terre da assegnare, questo rapporto mutò. Al contempo, gli eredi di Carlo avevano un continuo bisogno dell'appoggio militare aristocratico → Spostamento dell'equilibrio in favore dei nobili. I re erano più disposti a cedere alle loro richieste. Inoltre, i funzionari, a partire dal IX secolo, restavano sempre più a lungo nella propria sede e spesso trasmettevano la carica al figlio. Si andò così appiattendo la distinzione fra vassallo e funzionario: le stesse funzioni di conti e marchesi si andarono sovrapponendo con i benefici vassallatici. → L'opportunità di governare una contea era per l'aristocratico un'opportunità non diversa dai un beneficio vassallatico. Attraverso il capitolare di Quierzy di Carlo possiamo notare come fossero stabilite forme di gestione provvisoria, affidate ai parenti del conte, al vescovo, in attesa della decisione imperiale nel caso di morte del conte e come, in generale, il successore naturale era sempre il figlio. → Ciò favorì il radicamento delle dinastie in alcune regioni governate. Nel corso del X secolo un ulteriore fenomeno degno di nota fu la formazione di poteri vescovili nelle città: ciò indusse molti ufficiali regi ad allontanarsi dai centri urbani per concentrarsi sui propri possessi fondiari nelle campagne. → Indebolimento del controllo del re sul territorio e sui propri funzionari. 16 2. Minacce esterne: le incursioni Saraceni, Ungari e Normanni La crisi del potere carolingio fu prima di tutto una crisi della capacità imperiale di controllare militarmente i territori, e ciò lasciò campo aperto a iniziative di piccole bande che compivano incursioni più o meno rapide. Queste bande sono ridotte a tre entità fondamentali: i Normanni della Scandinavia, gli Ungari e i Saraceni, bande di pirati attive nel Mediterraneo. Questi ultimi rappresentano sicuramente il gruppo dai contorni più indefiniti e sfuggenti. Essi avevano origine araba ma le loro azioni non erano volte ad un tentativo di espansione territoriale del dominio islamico, quanto piuttosto l'accentuarsi di una pirateria marittima endemica. Ciò che essi instauravano nella popolazione era soprattutto la paura, fattore determinante che accentuò un generale senso di insicurezza. → Paura dei “pagani”. Gli Ungari attraversarono invece le grandi pianure dell’Europa centrale e le Alpi e combattevano con grande efficacia a cavallo. Essi erano dunque terribili nemici ma potenzialmente ottimi alleati: i diversi aspiranti al trono italiano si allearono spesso con gli Ungari per farli combattere al loro fianco. Gli Unni furono comunque sconfitti a Lechfeld (955) da Ottone I di Sassonia, e questa battaglia determinò la loro fine. I Normanni attuarono all'inizio del IX secolo delle piccole incursioni di rapina sulle coste dell'Inghilterra e della Frisia, per poi aumentare verso la metà del secolo il numero dei saccheggi, con flotte di decine di navi che permettevano di risalire i fiumi e di giungere in città come Londra o Parigi. Queste invasioni si trasformarono poi in insediamenti stabili all'interno dei regni della Mercia e dell'Est Anglia e nel nord del regno franco. Carlo il Semplice poté ottenere una forma di pacificazione solo con la concessione di un settore rilevante del regno, che venne però integrato rapidamente nel territorio francese. Il ducato di Normandia divenne anzi un elemento di stabilità militare, perché la sua forza costituì un freno a ulteriori incursioni da parte di altri gruppi di Normanni. I normanni furono dunque i soli a trasformare la propria azione militare in stanziamento permanente e dominio politico. È inoltre importante notare che le incursioni stimolarono l'azione militare locale e quindi la costruzione dei primi castelli. 3. Il potere dei re Fra il X e l'XI secolo scomparve pressoché totalmente l'attività legislativa e i re iniziarono ad intervenire attraverso i diplomi, ovvero concessioni accordate ad un singolo destinatario. I re dovettero quindi rinunciare a regolare complessivamente la vita politica del regno tramite nuove leggi. I numerosi diplomi che in questa fase i re concedettero a chiese e dinastie non avevano un'incidenza tale da dare vita a nuovi poteri, a favorivano quei poteri che conservavano un rapporto di fedeltà con il re. L'importanza locale dei diplomi si coglie dal fatto tesso che chiese e signori si impegnavano per prendere nuovi diplomi. La crisi postcarolingia non corrisponde quindi ad una cancellazione dei poteri regi, ma a una profonda ridefinizione della loro funzione politica. → Modalità di azione diverse. L'impero carolingio si divise inoltre in quattro regni: Germania, Italia, Francia, Borgogna. Quest'ultima fu la struttura politica di minor durata, controllata dai Rodolfingi. Tale dinastia mantenne il potere con una autonomia limitata, che si concluse nel 1043, quando il regno passò direttamente nelle mani del re di Germania, Corrado II. 3.1 Italia A partire dalla morte di Carlo il Grosso, nell'888, l'Italia seguì per alcuni decenni una vicenda sua propria, svincolata da quanto avveniva nelle terre carolingie. Nell'888 fu incoronato re Berengario del Friuli, ma fu sconfitto da Guido di Spoleto l'anno successivo. Berengario mantenne comunque alcune dominazioni nel nord-est, e quando Guido morì egli prese la corona, regnando fino al 924, dopo aver ottenuto anche il titolo imperiale nel 915. Egli dovette sconfiggere anche Lamberto di Spoleto e Ludovico di Provenza. Venne poi chiamato in gioco un nuovo pretendente al trono, Rodolfo di Borgogna, che alla morte di Berengario si trovò a scontrarsi con Ugo di Provenza. Egli sconfisse Rodolfo e ottenne il titolo di re fino al 946, quando tornò al di là delle Alpi e lasciò il titolo al figlio Lotario. Alla morte di Lotario crebbero le ambizioni di Ottone I di Germania, che scese in Italia e affermò il proprio pieno e diretto controllo sul regno italico, unendo i regni di Germania e Italia. 17 3.2 Germania L'ultimo re carolingio a controllare il regno dei Franchi fu Ludovico il Fanciullo, che morì nel 911. Alla sua morte fu scelto come re Corrado di Franconia, ma a minacciare il suo potere fu Enrico di Sassonia. Quando Corrado morì nel 919, ascese al trono proprio Enrico. Da questo momento in avanti la corona si trasmetterà per più di un secolo fra i duchi di Sassonia. Il dominio dei re sassoni si ampliò quando nel 925 sottomise il regno di Lotaringia e quando Ottone I nel 951 conquistò l'Italia. Egli non prese tuttavia ancora diretto controllo del regno, in quanto nacque una ulteriore tensione fra Ottone e il figlio Liutdolfo, che sfociò in un atto di sottomissione da parte di quest'ultimo nel 955. La pacificazione interna al regno e l'accresciuto controllo sull'aristocrazia furono inoltre le premesse per la vittoria di Ottone a Lechfeld contro gli Ungari. Nel 961 Ottone scese di nuovo in Italia e ne prese direttamente il controllo. Ciò definì anche i successivi meccanismi di ascesa al trono: il re di Germania veniva eletto dai principi elettori, scendeva poi in Italia per prendere possesso del regno e ottenere dal papa la corona imperiale. Ottone segnò inoltre l'inizio del successo della propria dinastia. A lui succedettero Ottone II e Ottone III, che dovettero comunque ricevere il consenso dei principi elettori. Si delineò nella successione di Ottone un sistema di potere estremamente solido, con una piena occupazione dei ruoli di potere del regno da parte di un unico gruppo parentale. Ottone III pose al centro della propria ideologia la nozione di “Renovatio Imperii Romanorum”: il linguaggio e il cerimoniale imperiale si arricchirono di elementi tratti sia dalla tradizione occidentale che da quella bizantina. Inoltre, nel 996, mentre Ottone si dirigeva a Roma per ricevere la corona, lo raggiunse la notizia della morte di papa Giovanni XV. L'imperatore impose come papa suo cugino, Bruno di Worms, che divenne Gregorio V. → Novità di un papa d'oltralpe. Alla morte di Gregorio, Ottone impose come papa Gerberto d'Aurillac, Silvestro II. Sia Gerberto che Bruno era profili di alto spessore intellettuale, svincolati dalle lotte di potere dell'aristocrazia cittadina. Alla morte precoce di Ottone nel 1002 si aprì una breve crisi dinastica che si risolse con l'ascesa al trono di Enrico II, appartenente ad un ramo collaterale della dinastia. In Italia, dopo la notizia della morte di Ottone, un gruppo di grandi aristocratici del settentrione si riunì per incoronare Arduino re d'Italia. Egli tuttavia fu subito sconfitto da Enrico nel 1004 e poi nel 1014, ritirandosi poi in monastero e morendovi. → Tensioni interne all'aristocrazia italica che voleva avere il diritto di nominare il re. 3.3 Francia Alla morte di Carlo il Grosso, in Francia prese il potere il conte Oddone di Parigi, ma anche qui si trovarono a contendersi le maggiori dinastie principesche del regno. Alcuni settori dell'aristocrazia scelsero infatti di incoronare Carlo il Semplice, che si contrappose ad Ottone e che, alla morte di questo, divenne re nell'898. → Re debole che concesse territori ai Normanni. Nel 922 i grandi del regno decisero che non era in grado di governare e lo deposero. Begli anni successivi l'aristocrazia francese pose sul trono Roberto di Neustria e Rodolfo di Borgogna. Alla morte di Rodolfo (936), il figlio di Oddone, Ugo il Grande, nonostante la sua potenza, scelse di non imporre la propria elezione a re e preferì far tornare dall'esilio il figlio di Carlo il Semplice, Ludovico IV, con cui i carolingi ripresero il trono di Francia fino al 987. In quest'anno salì al trono il nipote di Ugo il Grande, Ugo Capeto, da cui prese il via la dinastia dei capetingi che conservarono la corona fino al 1328. Il 987 è storicamente considerato il momento fondativo della monarchia nazionale. → Esito coerente di un processo di affermazione della dinastia avviato con il conte Oddone di Parigi. 3.4 Ai margini del mondo carolingio Per quanto riguarda l'Inghilterra, il secolo IX può essere letto alla luce di due processi: da un lato la progressiva crescita delle incursioni normanne, che alla fine del secolo si trasformarono in un dominio stabile sull’area centro orientale, e dall'altro lato una crescita egemonica del Wessex. Il culmine di questo potenziamento fu il regno di Alfredo il Grande, che sottomise la Mercia e giunse a controllare tutti i territori inglesi non occupati dai Normanni. Tuttavia, alla morte di Alfredo e del figlio Edoardo, i destini di Mercia e Wessex tornarono a dividersi nuovamente. Un regno inglese unitario si costituì quando il re norvegese Knut nel 1016 arrivò ad affermare il proprio controllo su tutti i principali regni inglesi e anche sulla Danimarca e sulla Norvegia. → Integrazione tra i regni che si affacciano sul mare del Nord e unità politica dell'Inghilterra. Alla morte del re Edoardo nel 1066, la corona poté essere contesa da diversi personaggi: il duca del Wessex 20 non Pietro. L'ambasciata di Umberto finì con la scomunica del patriarca che formalizzò lo scisma fra le due Chiese. Qualche anno dopo lo scisma di aprì anche la questione dell'elezione del papa. I papi tedeschi erano protetti da Enrico III, ma il papato come istituzione non era ancora stabile. → Ogni elezione poteva essere contestata. Spicca in questo contesto la figura di Ildebrando di Soana, nominato da Leone IX arcidiacono e amministratore della Chiesa. Egli acquisì un potere tale da imporre come papa il vescovo di Firenze, Gerardo, che fu eletto con il nome di Niccolò II. Il papa presentò un nuovo sistema di elezioni, che limitava il diritto di voto ai cardinali-vescovi. Fu in questo contesto che si svolse l'elezione al pontificato di Ildebrando di Soana, salito al trono papale con il nome di Gregorio VII (1074). 2. Il momento del conflitto. Il pontificato di Gregorio VII Sotto il governo di Gregorio si raggiunse la fase di massimo conflitto fra la Chiesa di Roma e i poteri laici dell'impero. Gregorio infatti aveva in mente un programma che prevedeva l'inquadramento della società e dei poteri laici ed ecclesiastici in una gerarchia unica con al vertice il pontefice di Roma. Le sue tendenze riformatrici furono tuttavia osteggiate e l'accoglienza in Italia dei canoni moralizzatori fu assai debole. In Germania, Gregorio fu addirittura accusato di eresia. Durante il concilio di Roma del 1075, Gregorio colpì i vescovi disobbedienti minando la base del potere politico dell'episcopato: l'investitura laica dei vescovi. Egli condannò l'intervento dei laici nelle investiture come una indebita intromissione nelle cose sacre. Nel “Dictatus Papae”, Gregorio emanò una lista di 27 tesi che elencavano i poteri riservati solo al papa come guida spirituale e politica della Chiesa, fra cui vi era il potere dell'investitura. Nessuno poteva inoltre giudicare il papa o condannare chi presentava appello alla sua corte. Fra le prerogative del papa risultava anche il potere di deporre l'imperatore. A seguito di una controversia sulla nomina del vescovo di Milano, scoppiò una furiosa lotta istituzionale fra Gregorio ed Enrico IV, che volevano scomunicarsi e delegittimarsi a vicenda. Nel concilio di Worms del 1076, Gregorio fu deposto dai vescovi riuniti sotto l'impero. Nel sinodo romano dello stesso anno fu invece deposto e scomunicato Enrico IV. I vescovi tedeschi rinnovarono la deposizione di Gregorio ed elessero un antipapa, Guiberto, potente vescovo di Ravenna. Dopo una breve pausa, Gregorio scomunicò nuovamente Enrico nel concilio di Roma del 1080 e come risposta l'imperatore scese a Roma insediando Guiberto e facendosi incoronare nel 1081. Gregorio fu salvato dai normanni ma dovette morire in esilio a Salerno. I papi che si succedettero a Gregorio rinnovarono comunque il divieto di ricevere investiture di chiese da parte dei laici. Papa Pasquale II aveva raggiunto un accordo con i re di Francia e Inghilterra che rinunciarono a eleggere i vescovi con anello e pastorale, limitandosi alla conferma dell'eletto. Enrico V, re di Germania, non acconsentì a queste decisioni. Pasquale sospese l'incoronazione dell'imperatore ma fu arrestato e nel 1111 capitolò, riconoscendo il potere del re di investire i vescovi. A Worms, nel 1122 venne trovato un accordo fra Enrico e Callisto II: al papa spettava l'investitura con l'anello e il pastorale, mentre al re l'investitura di regalia con lo scettro. 3. Pretese universali e definizione istituzionale della Chiesa Lo scontro con Enrico IV aveva dimostrato che non era difficile deporre un papa, convocando un concilio di vescovi fedeli. Nonostante la crisi che aveva dunque attraversato, il papato si presentava alla fine dell'XI secolo come una istituzione nuova, un centro di potere spirituale e politico in grado di condizionare contesti locali e la politica dei regni europei. Il papa infatti rivendicava un ruolo di guida delle anime che prescindeva dai confini territoriali dei regni. → Insieme vastissimo di sudditi sottoposti alla Chiesa in virtù dell'adesione alla fede cattolica. La Chiesa inoltre disponeva ormai di numerosi documenti circa le decisioni prese in sede conciliare e di una vasta letteratura sulla divisone dei poteri. Colui che sistemò materie così diverse fu un maestro di nome Graziano, che mise assieme una raccolta di canoni chiamata “Decreto”. Il suo intento era quello di rendere coerenti passi in aperta contraddizione. Questa raccolta rimase per lungo tempo la principale compilazione di diritto ecclesiastico studiata e commentata dai giuristi di Chiesa che presero il nome di “decretisti”. L'organizzazione delle istituzioni ecclesiastiche fu sempre più sottoposta a norme giuridiche → Non esistevano norme assolute da applicare a tutti, ma casi da risolvere secondo equità. I papi inoltre cercarono di subordinare il potere dei vescovi al proprio, creando una fitta rete di controllo 21 attraverso i legati apostolici. Il papa era colui che aveva una maggiore discrezione e che poteva giudicare nel merito di materie più delicate. Le materie di base erano di competenza del clero parrocchiale, altre erano affidate al vescovo e altre ancora al papa. Le inchieste partivano dalla “fama”: una voce collettiva su una persona o su un fatto, suscitata dal comportamento riprovevole di un chierico. Con questa procedura inquisitoria si potevano controllare ormai tutti i gradi della gerarchia, anche i vescovi, cosa che avvenne soprattutto sotto papa Innocenzo III, che si distinse per il gran numero di vescovi rimossi. Gradualmente il papa iniziò inoltre a fregiarsi non più del titolo di vicario di San Pietro, ma di Vicario di Cristo. Intorno al papa si formò un sacro collegio di cardinali, mentre gli affari di governo venivano affidati alla curia. Nelle varie diocesi europee si iniziò inoltre la costruzione di nuovi edifici collettivi, le canoniche, per ospitare il clero cittadino, che fu chiamato ad una vita di penitenza e di rinunce. Intorno alle cattedrali si costituirono i “capitoli”, formati da canonici del vescovo. I capitoli acquisirono presto una personalità giuridica autonoma e un centro importante di concentrazione del potere politico. Il risveglio della vita religiosa coinvolse anche le istituzioni monastiche. In particolare, i cistercensi e i certosini saranno destinati ad una grande fortuna. I primi presero il nome dal luogo della prima congregazione, nata a Citeaux. Nel 1108 fu eletto abate Stefano Harding, che diede all'ordine una struttura stabile. I cistercensi divennero presto degli esperti colonizzatori e dei grandissimi proprietari terrieri e alcuni abati divennero dei veri punti di riferimento per tutta la cristianità, come Bernardo di Chiaravalle. L'ordine produsse anche uomini di potere come vescovi e papi. Il primo salire sul soglio pontificio fu Eugenio II, allievo di Bernardo. I certosini nacquero nel 1084 sotto l'iniziativa di Bruno di Colonia e cercavano l'isolamento e il ritiro dal mondo, inseguendo l'ideale del “deserto”. A differenza dei cistercensi, che adottarono la regola benedettina, i certosini elaborarono un modello misto fra l'eremitismo e la vita in comune del modello cenobitico. I monaci non dovevano lenire le pene degli altri, ma elevare la propria anima. I certosini avevano inoltre un limite per tutto. 4. L'inquadramento religioso dei laici La parola “laicus” indicava nelle traduzioni della Bibbia, la parte della popolazione non consacrata a Dio. Per i padri della Chiesa, una distanza incolmabile divideva il clero dai laici, gli uomini carnali. Ad esempio, nel Decreto, veniva ribadito che nessun laico poteva accusare un chierico o anche solo testimoniare contro di lui in tribunale. Gli uomini di chiesa possedevano dunque un potere spirituale che doveva portare alla salvezza il popolo di laici. La rivalutazione della funzione del sacerdote aveva portato inoltre con sé una nuova rivalutazione dei sacramenti che finivano per inquadrare in una cornice sacrale l'intera esistenza del fedele. → Battesimo come necessario rito di entrata nella comunità. Eucarestia come perno della messa. Inoltre, la sottomissione dei laici alla pratica della confessione fu uno dei principali strumenti impiegati dagli uomini di chiesa per inculcare l'obbedienza ai fedeli. Prese inoltre forma una nuova “economia religiosa”: nelle loro ultime volontà, i fedeli dovevano pensare non solo agli eredi, ma anche alle istituzioni ecclesiastiche che avrebbero celebrato le messe in suffragio del defunto. Vennero dunque fatte ingenti donazioni per assicurare la sepoltura in luoghi prestigiosi. Le chiese divennero lentamente un luogo collettivo di culto delle memorie familiari, un luogo di intensa mediazione fra il regno dei vivi e quello dei morti, dove preghiera e ricordo univano i due mondi in un unico sistema di salvezza. La nascita delle eresie segnò un punto importante nella costruzione della chiesa come istituzione. Queste eresie erano le idee, le dottrine e i comportamenti che negavano le basi della missione divina della Chiesa e del suo ruolo salvifico. Le azioni degli eretici venivano ritenute assurde, folli e i loro riti macchiati dalla magia nera, dal culto del demonio e dalla pratica di attività sessuali deviate. Nel 1018 in Aquitania furono trovate alcune persone che negavano il battesimo, il valore della croce come simbolo di Cristo e la dottrina della Chiesa. In generale gli eretici venivano chiamati pauperisti, evangelici, manichei ecc. In genere le loro azioni erano collegate ad un rigoroso ascetismo religioso, caratterizzato dal rifiuto della carne e dal ritorno a un modello di vita evangelico. → Attacco alla Chiesa in quanto istituzione. Gli eretici, considerati come coloro che rifiutavano la mediazione della chiesa, vennero condannati nel concilio di Pisa del 1135. Vennero considerati eretici anche coloro che semplicemente desideravano vivere secondo il vangelo ma disobbedivano al potere di Roma → esempio di Valdo. Diverso fu invece il caso dei Catari, delle sette a cui si attribuiva una dottrina apertamente non cristiana: un dualismo di fondo che riconosceva due principi, il bene e il male, come coesistenti e in conflitto fra loro. La diffusione del credo cataro sembra sia stata 22 particolarmente influente nei centri urbani, tra artigiani e lavoratori che criticavano aspramente la Chiesa cattolica. Tuttavia, le uniche fonti che possediamo su queste sette derivano dagli stessi inquisitori ed è perciò difficile scoprire cosa si celi effettivamente sotto l'etichetta di catarismo. Di certo la repressione fu violenta e colpì veramente migliaia di persone, colpevoli di aver disobbedito ai dettami di Roma. Nella bolla papale “Vergentis in senium”, del 1199, l'eresia fu equiparata ad un reato di lesa maestà. Questa segnava dunque la linea di confine fra il gregge dei fedeli e i “lupi” rapaci che li minacciavano dall'esterno, o peggio mascherati da agnelli li ingannavano con false credenze. Diffusa fu l'immagine del sacerdote come medico dell’anima, che scopre il cancro dell'eresia e la cura. Capitolo 2 – La guerra, la Chiesa, la cavalleria 1. Il controllo della violenza e le paci di Dio Dalla fine del X secolo l'assenza di una forte autorità centrale era stata avvertita dagli ecclesiastici come un pericoloso vuoto di potere, un elemento di disordine che liberava una violenza incontrollata e senza limiti. → Nessun re difensore della Chiesa. Vi sono racconti di massacri, torture e veri e propri martirii di uomini religiosi disposti a morire per difendere le cose sacre. Tali racconti mettono sotto accusa non solo i barbari nel nord e dell'est, ma anche i cattivi cristiani che attaccavano e saccheggiavano le chiese. L'azione pacificatrice era poi indipendente ormai dall'intervento regio, aveva connotati più concreti, lontani dall'universalismo carolingio. Lo si è già visto attraverso il caso delle “paci di Dio”, riunioni di vescovi di una o più diocesi che disponevano la sospensione delle violenze in nome di Dio. Le assemblee stabilivano comunque che fosse lecito combattere una guerra giusta, era lecita la violenza armata come atto di giustizia, per reprimere i criminali. Nei concili si affermava dunque implicitamente la presenza di una autorità laica legittima che doveva amministrare la giustizia e proteggere le chiese. 2. La sacralizzazione della guerra e le prime crociate Tutto ciò aprì la strada a un processo più ampio di inserimento della guerra nella vita religiosa e di rivalutazione della figura del cavaliere. I papi riformatori sostennero le guerre volte a liberare le regioni periferiche dell'Europa in mano agli infedeli. Nel 1063 Alessandro II concesse una bolla di remissione dei peccati per coloro che fossero partiti per liberare la Spagna dai musulmani, invito che poi fu ripreso nel 1073 da Gregorio VII. Nel 1089 Urbano II concesse un'altra indulgenza e la vita eterna per la conquista della Terragona. La qualifica di “miles Christi” si diffuse velocemente e venne concessa a molti principi laici che si impegnavano nei conflitti religiosi. 3. La spedizione in Terrasanta Nel secolo XI si diffusero forme di pellegrinaggio che avevano come obiettivo il raggiungimento dei luoghi sacri. Il viaggio veniva considerato come una forma di penitenza, come ricerca del pericolo e della solitudine. Si scatenò tuttavia una competizione internazionale per accaparrarsi le reliquie più importanti, che conferivano prestigio politico ai loro possessori. La via che interessò maggiormente i pellegrini fu quella verso Gerusalemme ma il viaggio risultava pericoloso, minacciato dall'ostilità dei gruppi musulmani. Urbano II, nel 1095, durante il concilio di Clermont incitò i fedeli a partire per la Terrasanta e incitò i cristiani a combattere contro i nemici della fede. Fu questo il primo atto ufficiale di quelle che saranno poi chiamate le “Crociate”. Furono inviate quattro armate che rispondevano tutte al medesimo appello: riaprire il pellegrinaggio verso il santo sepolcro, reso difficile dall'avanzata dei Turchi. Dopo un lungo viaggio gli eserciti raggiunsero Costantinopoli e, spinti dall'imperatore, iniziarono una discesa verso la Palestina. I cavalieri europei conquistarono numerose importanti città: Nicea fu la prima a cadere nel 1097 e l’anno successivo toccò ad Antiochia. Baldovino di Boulogne, fratello di Goffredo di Buglione, intravide la possibilità di conquistare anche Gerusalemme. Egli organizzò un lungo assedio e il 15 luglio del 1099 i cavalieri entrarono in città. Baldovino si fece incoronare re, mentre i territori conquistati negli anni precedenti furono organizzati in principati autonomi. La prima crociata ebbe un esito insperato e impose una massiccia presenza cristiana in Medio Oriente. Le successive spedizioni non ebbero però lo stesso successo: dopo la caduta di Edessa nel 1144, Luigi VII di Francia organizzò una seconda crociata che finì però in un nulla di fatto. Peggio andò la terza, successiva alla sconfitta inflitta agli europei ad Hattin nel 1187 dal Saladino. La vittoria di Hattin gli aprì le porte della Palestina, con la conquista di Gerusalemme e degli stati cristiani sulla costa. Fu dunque 25 fondarono anche monasteri, ma per una finalità diversa: essi innanzitutto contavano di ricevere benefici spirituali, quali la salvezza dell'anima, da parte dei monaci che vi risiedevano, e in secondo luogo il monastero poteva avere una funzione di riserva patrimoniale sicura per sé e per i propri discendenti. L'atto di fondare un monastero era dunque un'azione tramite cui dare forma alle proprie solidarietà familiari ed evidenziare l'estensione e i limiti del proprio potere. → I legami parentali diventavano più forti e più definiti. 4. Produzione e prelievo I signori operavano in scala ridotta ciò che un tempo aveva fatto il re tramite i suoi funzionari. Essi erano in grado di controllare efficacemente i propri sudditi e operare un pesante prelievo di prodotti e di denaro. Ciò rispondeva alla logica dell'economia signorile che era essenzialmente una economia di spesa: usare le proprie ricchezze per rafforzare il potere. Per sostenere queste spese, i signori accentuarono la pressione economica sui sudditi, traendo vantaggio anche da una costante crescita demografica. Si moltiplicarono infatti i flussi migratori e gli spostamenti di popolazione, che aumentarono la creazione di nuovi centri urbani. → Prerogativa dei signori era “sistemare” gli uomini nel proprio villaggio. Mutarono anche le condizioni di lavoro, con un innalzamento della qualità degli strumenti tecnici. → Attrezzi in ferro e aratro a versoio che permettevano arature profonde e frequenti. Questi investimenti tecnici sulla terra alzarono sicuramente le rese rispetto all'età carolingia. → Divenne molto redditizio investire sull'economia. L'intento dei signori non tuttavia certo quello di promuovere lo sviluppo dell'economia locale, quanto quello di ottenere la maggiore quantità possibile di ricchezze per sostenere la propria azione politica. Alla crescita economica si affiancò dunque una crescita della tassazione dei cittadini, il cui stile di vita non migliorò. → Si produceva di più per pagare di più. 5. L’inquadramento delle popolazioni rurali e l’azione politica contadina Tutte le persone escluse dall'aristocrazia militare, dai braccianti fino ai medi proprietari, erano accomunati nella grande categoria dei rustici. Tuttavia, la diversificazione interna al mondo contadino assunse pian piano connotati politici: gli strati superiori entravano a far parte di sistemi di solidarietà clientelare. Venivano delegati certi compiti dai signori ai contadini che, grazie a queste funzioni, instauravano con il nobile un rapporto che andava al di là della semplice sottomissione. → Gruppo di élite economica contadina. La forma più evidente e strutturata della politica contadina fu la creazione di “comuni rurali”, piccole istituzioni del mondo contadino. I testi che mostrano l'esistenza e i funzionamenti di questi comuni sono le “franchigie”, documenti in cui aristocratici e contadini mettevano per iscritto i propri diritti e doveri. Spesso i signori erano costretti ad alleggerire la propria pressione sui sudditi e concedergli un certo grado di potere, che era tuttavia sempre vincolato al potere aristocratico. → Reciprocità degli impegni. → Protezione e produzione. Nel secolo XII aumentò anche la creazione di nuovi centri abitati e i grandi proprietari videro condizioni favorevoli per attrarre abitanti nei propri villaggi, attenuando le richieste fiscali e gli obblighi signorili. → Accentramento della popolazione in luoghi di convivenza collettiva. Capitolo 4 – Le città nell'Europa medievale 1. Le basi dello sviluppo urbano Gli elementi che più di altri determinarono lo sviluppo urbanistico in età medievale furono il legame con il territorio, la capacità di trasformare la condizione degli abitanti e il decisivo impulso dei signori territoriali alla promozione dei centri urbani. Ciò che accompagnò lo sviluppo dei centri urbani fu un aumento delle migrazioni e dell'attività agricola. Nei centri medio-piccoli i nuovi arrivati provenivano dalle campagne circostanti e dunque il rapporto con il territorio restava assai stretto. Lo stesso territorio rappresentò sempre un nodo di scambio fondamentale, in quanto la città non riusciva a mantenersi da sola. Per quanto riguarda la composizione sociale delle popolazioni urbane, va innanzitutto segnalata la dipendenza signorile del nucleo originale di abitanti della città. I legami di dipendenza degli abitanti con i signori erano ancora forti, e tuttavia va rilevato come ci fu una trasformazione degli abitanti della città, i quali si sentivano parte di un sistema nuovo, accumunati da una aspirazione all'autonomia delle proprie 26 attività economiche. → statuto giuridico comune a tutti gli abitanti e maggiore libertà personale. Per quanto riguarda i rapporti fra centri urbani e poteri signorili regionali, in alcuni casi questi furono di collaborazione immediata. Così i cittadini poterono ottenere dei suoi urbani e diventarne proprietari, garantendo così anche una eredità ai propri successori. → Nuova popolazione di abitanti-proprietari con una debole ma persistente dipendenza dai signori. Esempi di questo tipo si possono riscontrare nella fondazione di alcune città tedesche come Monaco, Hannover o Lubecca. In Francia invece la nascita di una autonoma rappresentanza della città, chiamata genericamente comune, fu osteggiata pesantemente dai poteri signorili. Furono fermate delle cospirazioni a Le Mans e a Combrai. Questi casi di scontro erano più frequenti nelle città antiche, dominate da una autorità ecclesiastica. Nelle città della Francia meridionale l'autonomia era invece maggiore e in molte di queste furono eletti dei magistrati, chiamati consoli. → Governo collegiale dei cittadini che erano rappresentati da consoli appartenenti all'aristocrazia. → Autonomia controllata. I residenti della città chiedevano soprattutto la difesa dei propri interessi, la possibilità di espandere le attività produttive e le relazioni commerciali e al contempo si riconoscevano fedeli al principe. → Il potere militare restava nelle mani dei signori. 2. Le città fra XII e XIII secolo: unificazione e differenziazione sociale Tra il XII e il XIII secolo tutte le città furono circondate da una nuova cerchia di mura in pietra, intervallate da torri di guardia, porte e postazioni di difesa → Le mura univano parti della città prima separate, divennero il simbolo delle città stesse e segnarono un confine più netto con il territorio esterno. La concessione di carte di franchigia o carte di comuni ai centri urbani era ormai una pratica generalizzata e anzi contraddistingueva propriamente l'istituzione urbana, sempre più orientata verso un riconoscimento della libertà dei cittadini. Lo sviluppo economico acuiva tuttavia le differenze fra ceti. Se era vero che la città rendeva libera, non tutti erano liberi allo stesso modo. Anche il comune urbano era dunque gerarchizzato allo stesso modo del territorio circostante. Ciò che in particolare stabiliva questa gerarchia era la ricchezza dei cittadini: le élite economiche conquistarono il potere nel corso del Duecento e si fecero garanti della prosperità del territorio. La città aveva inoltre un sistema di rappresentanze, ma esse riflettevano solo gli strati urbani superiori e non tutti i cittadini. Esistevano gerarchie anche all'interno del mondo del lavoro: innanzitutto fra i diversi mestieri (superiorità di mercanti e banchieri), poi all'interno dei mestieri stessi. Il prestigio sociale raggiunto da alcune corporazioni di mestiere riguardava solo i maestri. Il salariato urbano fu invece spinto lentamente verso una condizione di marginalità, attraverso contratti di tipo quasi servile. → L'attività economica si rivelò sempre più una attività dai risvolti politici, in grado di influenzare gli assetti dei principati territoriali. Capitolo 5 – I regni e i sistemi politici europei fra XI e XIII secolo 1. Limiti dei regni nei secoli XI e XII Le dinastie regnanti di questi secoli si basavano su fragili rapporti matrimoniali, che costituivano una trama di governo debole e spesso mutevole. L'assetto della Francia ad esempio mutò quando il ducato di Aquitania fu unito per via matrimoniale alla contea di Angiò e alla Normandia, e quindi all'Inghilterra sotto il dominio di Enrico II Plantageneto, prendendo così vita una dimensione sovraregionale che eclissò i re di Francia fino al 1204. I regni erano soprattutto potenze regionali, considerati quasi alla stregua di principati con una tendenza egemonica sugli altri. I re inoltre erano signori parziali di grandi vassalli che avevano a loro volta i propri vassalli, su cui il re non aveva nessun potere. Ultimo grande limite era l'assenza di un vero e proprio apparato di funzionari pubblici. → Nessuna affermazione dei poteri statali in questo secolo. 2. L’Inghilterra Guglielmo il conquistatore sbarcò in Inghilterra dalla Normandia nel 1066 e sconfisse ad Hastings il re eletto Harold. → Rovesciamento delle istituzioni e insediamento dei baroni normanni. Il potere normanno si fondò tuttavia su istituzioni già stabilite e conservò molte caratteristiche della dominazione precedente. Prima dell'invasione, il regno inglese era diviso in circoscrizioni (shires) che godevano di una certa autonomia e avevano come fine il mantenimento della pace e della giustizia. → La pace era compito del re ma le comunità avevano un ruolo attivo nell'organizzazione della vita locale. Anche per Guglielmo il tema 27 della pace era urgente, ma la realtà si presentava complicata: da un lato vi erano i baroni normanni che richiedevano una assegnazione di terre e una certa autonomia nei rispettivi possessi, dall'altro il dominio del re, se fosse voluta sopravvivere, avrebbe dovuto continuare a fondarsi sulla libertà del popolo. → L'appoggio dei baroni era necessario, ma questi rischiavano di indebolire la presenza regia nel territorio. Innanzitutto, Guglielmo, che restava duca di Normandia, nominò un suo rappresentante in Inghilterra chiamato “giustiziere”, dotato di pieni poteri in assenza del sovrano. Guglielmo poi eliminò i conti e nominò gli sceriffi, ufficiali pubblici incaricati di amministrare la giustizia. Tutti i liberi furono poi dichiarati sudditi del re e tutta la terra data in mano ai baroni fu sottoposta a obblighi di fedeltà militare nei suoi confronti. → Inizio del feudalesimo inglese. Non tutte le forme di possesso erano comunque di matrice feudale: rimaneva ben presente il possesso per eredità, che indeboliva molto la disponibilità e i diritti sul terreno da parte di colui che lo concedeva. In ogni caso, ricorrere al sistema feudale da parte del re poteva essere di aiuto nel creare un nuovo ordine politico, volto a qualificare i grandi possessi come concessioni regie che richiedevano un assolvimento di obblighi militari. Ciò spinse Guglielmo a ordinare una inchiesta di tutte le contee inglesi → Domesday book, il più completo censimento medievale su terre e uomini che permetteva un controllo fiscale e politico dei sudditi e dei baroni. Enrico I (110-1135), figlio di Guglielmo, ricercò assiduamente un rapporto con il popolo inglese come freno all'arroganza dei baroni. → “Carta delle libertà” come promessa di un ritorno alle antiche consuetudini contro le prepotenze dei normanni. → Rafforzamento della giustizia nelle singole località come antidoto a queste prepotenze. Alla morte di Enrico si aprì una guerra di successione che vide scontrarsi il nipote Stefano di Blois e la figlia Matilde, e che innescò un processo di rafforzamento del potere dei baroni. Successivamente salì al trono Enrico II nel 1154, che attraverso il matrimonio con Eleonora d'Aquitania unì la Normandia, l'Inghilterra e l'Aquitania in una grande dominazione internazionale e rese più definite le istituzioni del regno inglese. Egli elaborò un sistema fisso di controllo, incentrato sul giustiziere, vero primo ministro del re, e sulla cura regia che doveva esprimere il consenso sulle decisioni del re. A questi si aggiungeva lo “scacchiere”, il responsabile delle finanze pubbliche. Il secondo sistema era invece mobile e prevedeva un collegio di giudici itineranti che amministravano l'alta giustizia per conto del re nelle singole contee. Enrico poì costituì il sistema delle giurie dei dodici uomini saggi nelle comunità, incaricati di giudicare i colpevoli e tenerli in custodia fino all'arrivo dei giudici regi. Enrico dispose poi che i sudditi dovessero partecipare all'esercito con un armamento proporzionale al loro reddito. → Dipendenza diretta dal re. Nel 1166 egli fece redigere un elenco di feudi militari e dei feudatari che non avevano prestato un giuramento ligio nei suoi confronti. → Inchiesta come forma di conoscenza collettiva della situazione del regno. Distinguere i baroni fedeli da quelli infedeli. Alla morte di Enrico si aprì una nuova crisi dinastica, culminata nella guerra fra i figli Riccardo e Giovanni Senzaterra. Sotto il regno di quest'ultimo i rapporti con i baroni si deteriorarono rapidamente, a causa della resistenza di questi di partecipare all'esercito. Dopo la sconfitta a Bouvines per mano di Filippo Augusto nel 1214, Giovanni fu apertamente contestato e fu costretto a firmare un documento di concessioni assai ampie al popolo, la Magna Carta (1215). → Limitazione delle prerogative regie in materia fiscale e feudale in favore dei baroni. Il re non poteva porre tasse senza il consenso dei baroni. 3. La Francia: da Luigi VI a Filippo Augusto In Francia il re godeva ormai solo di qualche debole privilegio nominale sui principati vicini. Gli sfuggiva invece completamente l'intera regione del sud della Francia. Luigi VI (1108-1137) provò a concentrarsi su alcuni punti, in particolare la disciplinazione dei castellani ribelli all'interno del suo dominio e il confronto con l'espansione del re inglese Enrico I, duca di Normandia. Il re francese si lanciò dunque in una serie di battaglie punitive contro i potenti signori locali interni ed esterni al suo dominio. Il consigliere Sugerio fornì un inquadramento ideologico forte all'azione del re contro i ribelli e definì Enrico come un “vassallo del re”. Luigi sottomise poi il potente duca d'Aquitania e i duchi d'Alvernia. In particolare, la sua azione era volta a proteggere le chiese quando i duchi le minacciavano e turbavano la pace pubblica. Uno dei grandi meriti di Sugerio fu proprio trasmettere al re il dovere di imporre una pace che derivasse dal suo stesso potere, e non da Dio. Salito al trono il figlio Luigi VII nel 1137, Sugerio ottenne la carica di reggente e guidò il regno quando il re 30 In Sicilia Federico operò per recuperare i beni usurpati dai nobili durante il periodo della reggenza materna ed emanò a Melfi il “Liber constitutionum”, un atto in cui l'ideologia regia riceveva una sistemazione di grande spessore culturale. E tuttavia il regno d'Italia continuava a sfuggirli. Capitolo 6 – Nuove strutture politiche nell'Italia medievale 1. Nascita del comune consolare: una rappresentazione autonoma delle forze cittadine Le città italiane si presentavano come una collettività senza capo. Il conte, imposto dai carolingi, era ormai un ricordo lontano. In questo contesto sicuramente il vescovo era la figura di maggiore rilievo, e tuttavia non prese mai il posto del conte come funzionario pubblico inserito nella gerarchia del regno. Egli rappresentava l'unità politica e spirituale della città, ma era al contempo un grande signore feudale, con interessi economici da tutelare. In questo senso sorgevano conflitti interni fra le varie aristocrazie che desideravano unirsi attraverso un rapporto feudale al vescovo. La parte alta della cittadinanza era composta da alcune categorie di professionisti come i giudici, gli avvocati, i notai e i grandi mercanti, impegnati nell'amministrazione cittadina. Al di sotto si trovavano tutti gli abitanti senza particolari qualifiche, soggetti al potere del vescovo, ma capaci di farsi sentire attraverso le “assemblee collettive”. Era il vescovo dunque il punto di raccordo fra i diversi interessi presenti nella città. → La struttura politica della città prendeva pian piano forma. Fra il 1090 e il 1120 circa compaiono nelle città italiane dei magistrati chiamati “consoli”. Essi provenivano solitamente da famiglie di vassalli del vescovo e ciò condizionò a lungo le scelte del governo. Essi non erano nominati da una istituzione superiore, ma erano eletti da un organo collettivo della città. Si creò successivamente un consiglio cittadino, formato da un centinaio di persone, in grado di affiancare i consoli nelle scelte più importanti. → Politica di tipo “parlamentare”. Era questo il fondamento della libertà delle città italiane: l'autonomia di scelta dei propri governanti e le decisioni politiche legittimate dalla maggioranza di un'assemblea cittadina eletta dagli stessi cives. → Giuramento dei consoli verso la civitas e dei cives verso i consoli. → Prima carte giurate. Ne decenni finali del secolo XII comparve anche la parola “comune”, inteso come forma di governo della città, a cui si può affiancare il linguaggio della “res pubblica” come esigenza di autonomia e di indipendenza. 2. Le funzioni di governo: giustizia, economia e controllo del territorio Fra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo i comuni italiani dovettero affrontare sfide importanti, prima fra tutte l'aumento demografico. Era necessario inserire socialmente i nuovi arrivati e dunque ampliare i centri urbani. La crescita economica e politica fece sorgere numerosi conflitti, che furono sanati dall'intervento dei consoli. → Giustizia come forma proprietaria della nuova magistratura e nascita dei tribunali cittadini a cui ognuno poteva appellarsi per denunciare un sopruso. Il comune e le città avevano inoltre bisogno di un continuo finanziamento e di entrate garantite dall'afflusso di denaro da parte dei cives. Bisognava dunque convincere i cittadini a pagare le tasse senza dar loro l'impressione di essere soggetti ad un potere dispotico. Essere cives era anche un dovere e ciò comportava un aiuto economico per il mantenimento della città. → chi non pagava perdeva la qualifica di cives. Lo stretto legame delle città con il territorio circostante fu poi una delle principali conseguenze dell'affermazione del sistema comunale. → I comuni progettarono di estendere il loro potere sull'intero territorio diocesano come naturale conseguenza della superiorità politica della città. Si cercò dunque di ottenere un potere di coordinamento sul territorio circostante al centro urbano, soprattutto sul piano militare ed economico. → Possibilità di imporre tasse ai comitativi. Molti signori rurali si inurbarono, diventando cittadini e iniziando una carriera politica come esponenti del comune. Numerosi privilegi furono invece concessi alle comunità di villaggio che si sottraevano al dominio del signore e si sottomettevano alla città. Spesso il comune comprava direttamente i castelli situati in posizione favorevole, sottraendoli al controllo di famiglie signorili impoverite. L'Italia si presentava dunque non come un compatto mosaico di città, ma piuttosto come una composizione di città e territori comunali punteggiati da isole signorili autonome. In ogni caso si notò la rilevanza politica di alcune città, conosciute come “repubbliche marinare”, quali Genova, Venezia e Pisa, che costruirono un ampio dominio commerciale sul mediterraneo. Per quanto riguarda l'Italia continentale, notevole rilevanza assunse invece Milano, città con una indiscussa supremazia territoriale e politica nella regione padana. 31 Bologna fu invece il centro della prima università italiana. Nel corso del XII secolo tutte le città dell’Italia centro-settentrionale divennero “comuni”, sperimentando le stesse forme di governo. 3. Lo scontro con Federico Barbarossa Il giovane imperatore capì subito che l'Italia sarebbe stata una spina nel fianco, lontana dai costumi tedeschi e dotata di ampie autonomie territoriali. Nel 1153 egli si vide arrivare due ambasciatori di Lodi che denunciarono le violenze che i milanesi avevano inferto alla loro città. L'imperatore allora impose ai milanesi di presentarsi da lui e riparare l'offesa commessa contro la dignità imperiale. Essi cercarono invece di comprare con il denaro il permesso dell'imperatore di controllare la città di Lodi, ma Federico rifiutò e dichiarò guerra. Nel 1155 conquistò Asti e distrusse Tortona, attaccando poi Brescia nel 1158 e saccheggiando Milano. Nella dieta di Roncaglia dello stesso anno, Federico proclamò il principio che ogni potere discendeva dall'imperatore e richiese la restituzione di tutti i diritti regi usurpati. Dopo la distruzione di Milano egli impose alle città ribelli dei rettori di nomina imperiali, i cosiddetti “podestà imperiali”. → Governo violento e dispotico che la città non era disposta ad accettare. Così nel 1162 Federico attaccò nuovamente Milano, radendola al suolo. Le altre città italiane si misero dunque in allerta e crearono una lega che partì dal veneto e nel 1168 si allargò a tutta la Lombardia → “Lega lombarda”. Anche le città nemiche di Milano, come Como e Lodi, si unirono alla causa, preoccupate di perdere la propria autonomia politica. La lega si alleò poi con il papa Alessandro III, rafforzandone la natura ideologica. Federico invece aveva risorse sempre più limitate e ad ogni spedizione doveva convincere i principi a supportarlo economicamente. Nel 1176, a Legnano, l'esercito della Lega riuscì perciò a sconfiggere l'esercito imperiale. Fu una vittoria modesta sul piano militare, tanto che il papa nel 1177 dovette strappare all'imperatore una tregua di cinque anni, al termine della quale, nel 1183 si raggiunse una concordia definitiva a Costanza. Federico interpretò questa pace come un atto di grazia imperiale concesso alle città, mentre le città stesse ne fecero la loro carta costituzionale, una sorta di riconoscimento di fatto delle istituzioni consolari come forma di autogoverno. L'imperatore a questo punto si dedicò a guerre più gloriose, come la crociata e la liberazione di Gerusalemme, nella quale tuttavia trovò la morte nel 1188. La fine del pericolo imperiale delle città fece comunque emergere nuovi conflitti sociale e politici fra i comuni stessi, aggravati dall'inadeguatezza ormai palese del governo consolare. 4. L’affermazione del comune aperto: podestà, consigli e governi di Popolo Nei primi anni del Duecento in quasi tutte le città scoppiarono disordini violenti dovuti alla ristrettezza del ceto dirigente che prendeva decisioni per tutti. Fu pertanto subito chiaro ai cittadini che se non si fosse entrato di prepotenza nel consiglio della città, non si sarebbero potute cambiare le regole del gioco. Si organizzarono così nuovi raggruppamenti politici che univano i cittadini non nobili, le societates. Vennero poi create le società delle armi e le corporazioni delle Arti. Col tempo queste società si diedero una struttura politica comune, istituendo il “Popolo”, una assemblea che si affiancava al comune nelle decisioni della città. Davanti alle richieste del Popolo, il sistema consolare si rivelò incapace di superare le divisioni interne. Una soluzione fu quella di sostituire i consoli con una magistratura di emergenza che tentasse di riportare la pace in città. Questo magistrato fu chiamato podestà, un rettore unico eletto annualmente. I primi governi podestarili si rivelarono infelici, così si decise di chiamare come podestà una personalità esterna al comune, dando così maggiori garanzie di imparzialità. Nel giro di qualche decennio, dal 1190 al 1220 tutte le città passarono dal regime dei consoli a quello del podestà. La legge veniva in questo caso creata dagli stessi cives, nei consigli, che sotto il regime podestarile acquistarono una notevole importanza. Il podestà proponeva gli argomenti da discutere, i membri del consiglio discutevano e alla fine decidevano se accettare o respingere una certa proposta attraverso un sistema di maggioranza “una testa, un voto”. → Il ruolo di comando del singolo fu equilibrato dal “potere dei molti”. L'aumento demografico comportò l'arrivo di nuovi abitanti immigrati dal territorio circostante: la società urbana fu scossa da questo flusso di immigrazione e fu necessario trovare nuove forme di integrazione nelle strutture. Molti si iscrivevano alle corporazioni e di conseguenza il peso delle arti aumento notevolmente nella seconda metà del Duecento. 32 5. Il governo delle corporazioni nel Duecento Le arti iniziarono dunque a candidarsi al governo delle città, in nome di una nuova idea di comunità fondata sul lavoro. Venne inoltre affiancato al podestà un rappresentante del Popolo, sempre forestiero, chiamato Capitano del Popolo. Una volta che il Popolo giunse al potere ci fu subito un'alleanza a più livelli fra i grandi commercianti e i banchieri che tendevano a limitare la partecipazione al governo dei gruppi artigianali minori, come avvenne a Firenze. Erano soprattutto i notai a influenzare in modo diretto l'indirizzo politico del governo. Vennero eseguite delle censioni, con elenchi di cittadini divisi per parrocchie o cappelle e fu applicata una fiscalità proporzionale al reddito nella raccolta delle imposte pubbliche, che di fatto però non fu facile da gestire. La giustizia divenne poi sempre più severa: essa si adeguò a questo uso più sofisticato di controllo e si formarono elenchi di appartenenti alla parte riconosciuta come nemica e sottoposta al bando. Vennero presi provvedimenti contro la speculazione economica dei grandi proprietari e si pose un limite al prezzo di affitto delle case. Negli ultimi anni del Duecento le pretese delle città comunali aumentarono: divisero il territorio per zone amministrative corrispondenti grosso modo a prolungamenti dei quartieri cittadini. Si impose alla comunità del contado una serie di doveri fiscali e annonari che scaricavano sui comitativi una parte rilevante del mantenimento della città. Nonostante le tensioni con il contado, il comune del Popolo ottenne una legittimità più alta del regime podestarile. I governi erano infatti relativamente più aperti, più legalistici e più partecipati dei regimi precedenti e successivi. Ciononostante, durante le guerre contro l'impero si erano formate fazioni in lotta fra loro e le città si contrapposero in guelfi, ovvero alleati del papa, e ghibellini, alleati dell'imperatore. In molte città queste Parti divennero una propria istituzione, con propri consigli e podestà. Alle tensioni di classe si aggiunse quindi la lotta fra fazioni e per questo il Popolo cercò di combattere l'eccesiva violenza facendosi garante della pace. Essa era a suo modo un atto di forza, andava imposta e difesa contro le angherie dei potenti e forniva la motivazione ideologica per prendere provvedimenti di emergenza. Proprio in questi anni di forte tensione interna si affermò la teoria del “bene comune” come fine ultimo della politica (Aristotele) e il Popolo si presentò come l'unica forma di governo in grado di raggiungere tale obiettivo. Esso comunque fu difficile da raggiungere senza l'uso della violenza. → In molte città l'esperimento del Popolo finì rapidamente e il potere fu assunto da personalità di prestigio. Fu un periodo incerto: le città sperimentavano momenti di governo autocratico e ritorni improvvisi a governi comunali, ma il governo del Popolo fu comunque destinato a fallire. PARTE QUARTA Capitolo 1 – Il papato, gli ordini mendicanti e la crisi della Chiesa Nel concilio Lateranense del 1215, Innocenzo III sistematizzò l'intera costruzione dottrinale e pastorale elaborata dalla Chiesa negli anni passati e rinnovò la figura del papa come guida politica e spirituale dell'intera cristianità. → Veniva preparato il terreno per la teoria della potestà assoluta del papa e della sua infallibilità. In parallelo si stavano inoltre sviluppando due ordini mendicanti, i domenicani e i francescani, che rappresentarono senz'altro una delle maggiori novità nella vita religiosa delle società europee. L'eresia divenne poi un campo di tensioni fortissime nel mondo politico religioso del tardo medioevo, che culminò nello scontro fra Bonifacio VIII e il re di Francia e con la conseguente cattività avignonese. 1. La Chiesa del papa: apogeo e crisi del papato Sotto la guida autoritaria di Innocenzo III fu approvata e resa ordinaria la procedura inquisitoria contro i chierici, sottomettendo tutti i gradi della gerarchia ecclesiastica al potere di inchiesta del papa. Fu inoltre stabilito l'obbligo per i fedeli di partecipare ai sacramenti e il rifiuto era considerato come una esclusione dal mondo cristiano. Tutte le posizioni eterodosse furono condannate con la scomunica, ovvero l'espulsione dalla comunità e il sequestro dei beni. Verso la metà del Duecento le correnti di pensiero a favore del pontefice si concentrarono sulla natura giuridica di questo potere, formalizzando la concezione di “potestà assoluta” del papa (“Vicario di Cristo”). Il papa aveva dunque qualità superiori in virtù della carica che rivestiva, qualità che lo portavano a prendere sempre la decisione migliore per il bene della Chiesa. Il potere del papa era un potere discrezionale, che gli 35 “Unam Sanctam” → Superiorità del potere spirituale su quello temporale. Filippo usò invece lo scontro per affermare una reale indipendenza del re di Francia da poteri superiori. Egli inviò in Italia il suo cancelliere che fece prigioniero Bonifacio e lo costrinse a non pubblicare la bolla di scomunica. Bonifacio morì nel 1303 e si aprì una delle più importanti crisi del pontificato medievale. Venne istituito un processo contro Bonifacio, ripreso poi nel 1308 e nel 1311. Il papa venne accusato di ogni sorta di nefandezze e di eresia ma la curia rimaneva prudente sul condannare il pontefice. Così, dopo un altro processo intentato da Filippo contro i templari, la curia pontifica fu esiliata nel 1309 ad Avignone. L'accusa contro i templari riguardava il fatto che gli stessi cavalieri non volevano concedere prestiti in denaro al re. Filippo allora fece arrestare tutti i generali dell'ordine e tutti i templari del regno. Anche essi vennero accusati di eresia, di patti con il diavolo, di matrimoni omosessuali e fu sostenuto che minacciavano l'ordine del mondo. In pochi anni questi capi di imputazione, assieme alla stregoneria, divennero dei moduli di accusa molto usati. Tra il 1315 e il 1320 furono lanciati dei processi da Giovanni XXII, segni evidenti di un papato sotto attacco e che aveva difficoltà a gestire un regno così vasto da lontano. Eppure, il settantennio avignonese rappresentò per la Chiesa un momento di forte sviluppo delle pratiche amministrative e di gestione dei beni e degli affari. E tuttavia il confronto fra il potere spirituale e quello temporale aveva dimostrato negli ultimi anni una netta prevalenza del secondo. Nemmeno il ritorno del papato a Roma nel 1378 riuscì a pacificare la Chiesa: l'elezione del papa italiano Urbano VI fu contestata dai cardinali francesi, che invece elessero Clemente VII, insediato ad Avignone. Ciò divise l’Europa: una parte sosteneva il papa romano, una parte quello francese. In questo contesto maturò una corrente conciliarista che vedeva nel concilio l'unico organo superiore della chiesa. Questo movimento tuttavia decadde quando il papa Martino V, tornato a Roma, riuscì a imporre la conferma della supremazia papale. Capitolo 2 – La costruzione dello spazio politico dei regni europei Francia La Francia bassomedievale partiva avvantaggiata nella costruzione di un regno nazionale. Essa poteva giovare dell'eredità di due grandi sovrani: Luigi IX e Filippo il Bello. Sotto Luigi IX il regno di Francia si era esteso fino a comprendere le regioni meridionali della Linguadorica e il re riprese a legiferare ufficialmente, emanando numerose ordinanze. → Egli si dispose al di sopra del suo apparato amministrativo. Sotto Luigi l'apparato centrale si fece ancora più pesante e pervasivo: le finanze furono rinnovate aumentando il carico fiscale dei sudditi, la giustizia rimase nelle mani del re che la estese anche sulla Chiesa. → Sovrano come difensore della fede e dell'ordine naturale del mondo. I limiti delle pretese regie furono tuttavia evidenti sotto il successore, Luigi X. Nel 1315, una rivolta dei baroni costrinse il re a concedere un'ampia autonomia ai paesi ribelli. Con l'esaurirsi poi della dinastia capetingia nel 1328 e il passaggio alla linea di Valois, si riaccese il contenzioso con l'Inghilterra, che avanzava pretese dinastiche sul trono francese in virtù della parentela di Edoardo III con i Capetingi. → Guerra dei cento anni. Molte regioni atlantiche vennero assorbite dal regno inglese, mentre quelle meridionali dal regno di Castiglia. La Francia si riscoprì così piccola e accerchiata. L'esercito francese fu sconfitto a Crecy nel 1346, a Poitiers nel 1356 e ad Anzicourt nel 1415, dove fu annientato. Inoltre, il regno era sottoposto ad una guerra civile dal 1392, quando due membri della corte avevano tentato di influenzare sul tema della tassazione pubblica Carlo VI, un re impazzito, ovvero Giovanni senza Paura, duca di Borgogna, e Luigi d'Orleans. Presero forma due partiti, gli Armagnacchi, fedeli a Luigi, e i Borgognoni, seguaci di Giovanni, che riuscirono a prendere il controllo di Parigi e della Francia settentrionale. Il partito dei borgognoni era favorevole ad un assetto politico più decentrato, basato su una autonomia territoriale e meno esoso sul piano fiscale. In seguito alla tregua con gli inglesi, firmata a Troyes, il re d'Inghilterra Enrico V sposò Caterina, figlia di Carlo VI. Alla morte dei due re, il figlio Enrico VI pretese legittimamente di essere eletto re di Francia. I borgognoni si allearono con Enrico stesso, mentre gli Armagnacchi sostennero Carlo VII, altro figlio di Carlo VI. Fu in questi anni, fra il 1428 e il 1431, che si svolse la parabola di Giovanna d'Arco. Autorizzata dal re a portare le armi, Giovanna fu protagonista di miracolosi scontri armati e di riconquiste di città inglesi. Essa fu subito messa al servizio della propaganda regia, anche dopo il processo e la condanna a morte per stregoneria del 1431 ad opera dei Borgognoni. Tuttavia, una serie di vittoriose campagne permise a Carlo VII di riconquistare gran parte dei territori francesi fra il 1449 e il 1453. Anche il figlio Luigi XI dovette combattere per legittimare il suo potere: egli mise in atto una spietata 36 repressione giudiziaria contro il fratello Carlo e altri duchi. In ogni caso il crescente monopolio esercitato dal re sulle nobilitazioni portò verso un oggettivo rafforzamento dello stato e verso una compattezza territoriale. Inghilterra Dopo il regno di Edoardo I, i successori al trono inglese misero in evidenza la debolezza strutturale della monarchia. La monarchia inglese, nel corso del XIV secolo, fu segnata da una rapida successione di re deposti, dimessi o uccisi e vi furono di momenti di veri vuoti di potere. Nel Trecento fu il parlamento inglese ad assumere un vero ruolo di controllo e di indirizzo della politica regia, ma non risolse il problema della stabilità politica. I baroni infatti continuarono a influenzare le decisioni parlamentari, avvallati dai potenti signori locali. Nel 1453 l'ostilità fra le varie fazioni inglesi si polarizzò attorno al conflitto fra la casa dei Lancaster, che aveva a lungo dominato il Parlamento, e quella degli York, dando vita alla Guerra delle due Rose, che terminerà con l'ascesa al trono della dinastia dei Tudor. Sul piano territoriale, i re scozzesi riuscirono a mantenere un regno separato da quello inglese, il dominio sul Galles era anch'esso indebolito e i territori francesi furono persi dopo il 1453. → La guerra aveva messo a dura prova il sistema istituzionale monarchico. Spagna In Castiglia la successione dinastica fu sempre un problema. Contestata quella di Alfonso X, contestatissima quella di Alfonso XI, che fu attaccato dai figli e dai loro discendenti appartenenti alla casata dei Trastamara, che si succedettero poi sul trono castigliano dal 1329 al 1516. Un esponente del ramo cadetto dei Trastamara divenne re di Aragona nel 1412, con il nome di Ferdinando I di Aragona. Il figlio, Alfonso V il Magnanimo, acquisì il regno di Napoli nel 1442 dopo una lotta con i francesi. La galassia catalano-aragonese abbracciava tutta l’Italia meridionale e insulare, controllando l'intero bacino del Mediterraneo occidentale. In tutti i regni erano presenti delle assemblee, le “cortes” e i “letrados”, gli intellettuali della città, che in Castiglia assunsero un ruolo di spicco nella difesa della monarchia assoluta del re. I re di Aragona e Navarra erano invece costretti a chiedere consiglio e consenso alle Cortes quasi per ogni cosa e in più queste ultime crearono delle istituzioni, le Deputazioni, che avevano poteri di controllo e funzioni politiche. Un matrimonio e una successione contestata portarono all'unificazione delle corone di Castiglia e Aragona. Nel 1469 Isabella di Castiglia sposò l'erede al regno di Aragona, Ferdinando, che divenne re di entrambi i regni. Essi inoltre completarono l'unificazione spagnola conquistando l'ultima enclave musulmana di Granada e assorbendo il regno di Navarra. 2. L'impero e i regni dell'est Fra il Duecento e il Quattrocento l'Impero perse uno dei suoi pezzi fondamentali, l'unione dei regni d'Italia, di Borgogna e di Germania. Gli imperatori si concentrarono sulla Germania e sui regni dell'est, che trovarono un assetto stabile solo alla fine del Quattrocento, sotto la dinastia degli Asburgo. L'impero rimaneva ancora debole e sottoposto al comando dei principi elettori. In fondo l'imperatore era uno di loro e la famosa Bolla d'oro del 1356 concessa da Carlo IV ai principi elettori concedeva loro una piena autonomia nei loro territori. Il Collegio degli elettori era dunque convinto di essere una entità assolutamente superiore all'imperatore. Nel 1439 Alberto d'Asburgo, figlio di Rodolfo duca d'Austria, fu eletto imperatore e tramise la carica al cugino Federico II e questi a suo figlio Massimiliano I. Il nuovo impero rimaneva comunque ancora diviso fra imperatore e principi, come ricordava anche il simbolo dell'aquila a due teste. La consapevolezza però di essere un regno che era stato un impero servì a lungo tempo a legittimare le pretese di espansione dei re germanici. → Espansione verso est, difesa dagli slavi e dai turchi divennero i compiti della nuova configurazione regio-imperiale del Sacro Romano impero di nazione germanica. Il regno di Boemia era strettamente legato all'impero, dato che il suo re era uno dei principi elettori, così come lo erano quello di Ungheria e la Polonia. → Regni di frontiera difensori della cristianità. In periodi diversi inoltre i regni si unirono a due o a tre: Ungheria e Boemia vennero prima unite sotto i figli di Carlo IV e poi sotto il re ungherese Mattia Corvino. Tutti e tre gli stati furono poi sottoposti ad un unico re sotto la dinastia polacca degli Jagelloni. LA Boemia, in seguito alle predicazioni di Jan Hus, fu divisa in due: la Dieta (istituzione rappresentativa) e 37 Praga si schierarono in difesa della riforma hussita, mentre a Moravia vi si oppose. Solo nel 1436, dopo che la Moravia riconobbe la chiesa hussita, si riconobbe l'unità del paese. Vi fu un altro pericolo per l'impero, ovvero l'espansione ottomana, inarrestabile dalla metà del Trecento in avanti. Nel 1453 essi conquistarono Bisanzio e decretarono la caduta dell'impero bizantino. La dominazione ottomana si insinuava in profondità nei regni europei e rappresentò per secoli un nemico e una minaccia che ideologie religiose del regno dell'est e dell'Impero, intesi come baluardi religiosi contro l'Islam. 3. Il caso italiano: gli Stati regionali dal XIV secolo alla fine del XV secolo La pluralità di dominazioni regionali italiane non aveva alcun coordinamento centrale superiore. In questo contesto gli Stati regionali principeschi erano il ducato di Savoia, lo stato dei Visconti, lo stato Estense e lo Stato della Chiesa. Le repubbliche erano Venezia, Firenze e Genova, mentre la Sicilia era sotto la dominazione spagnola, così come Napoli. Questi dominati ebbero peraltro un'origine molto variegata, differente da una città all'altra. Le prime signorie cittadine erano comunque dominazioni personali, ancora bisognose di una legittimazione del basso come il prolungamento del mandato di una carica istituzionale, come il podestà o il capitano. Spesso la volontà del dominatore era superiore a quella dei concili, eppure nessuno di questi signori poteva fare a meno di costruirsi una sorta di mandato. Neanche i Visconti di Milano, la più forte ed estesa dominazione regionale, riuscì a sottrarsi a questo processo. Essi si presentarono come i restauratori dell'ordine, i salvatori della città dilaniata da guerre civili. Il fine della politica diventava l'esaltazione del buono stato: i signori potevano fare leggi a prescindere dallo statuto. Le loro pretese tuttavia erano poco fondate e i loro atti di potere spesso fuori dai sistemi riconosciuti di derivazione del potere. Essi si appropriarono indebitamente di alcuni attributi della sovranità imperiale e ciò dimostra quanto in realtà fossero deboli e quanto avessero bisogno di sostegni legali. Il ducato sabaudo fu quello che forse più di tutti conservò la struttura originaria dei territori che nel corso di un secolo ne formarono l'ossatura. La formazione dello Stato della Chiesa fu invece incerta, perché le pretese del papato sui vasti territori umbri, marchigiani e romagnoli rimasero a lungo disconosciute dai signori. In particolare, l'assenza del papa dal 1309 al 1378 ebbe chiaramente un peso notevole nel fermare questa espansione. Più compatta era la formazione del ducato veneto, che estendeva la dominazione veneziana sulla terraferma e decise di rispettare la precedente struttura comunale delle città. → Ordine locale affidato alle aristocrazie cittadine. Diversamente, lo stato fiorentino fu improntato a una severa ridefinizione dei contadi, staccati dalla città madre e retti da un governatore inviato da Firenze. Ci fu comunque un generale progresso nella costruzione di una burocrazia centrale. La chiave di volta degli stati signorili rimase proprio la capacità del signore di assicurare un rapporto diretto fra il centro e le singole comunità rurali e urbane del dominio. Il grado di autonomia delle città rimase molto elevato quasi ovunque il Lombardia, in Veneto, nel Piemonte e nello Stato della Chiesa. Sorsero invece conflitti fra le città e il loro territorio, specialmente in Lombardia. Alcuni contadi chiesero infatti agli Sforza di essere riconosciuti come entità separate, in quanto oppresse dal potere delle città. Sfrondati gli eccessi di questi signorotti locali, i Visconti soprattutto, ma anche i Savoia, gli Sforza e i pontefici furono generosi nel riconoscere e inserire nello Stato le signorie locali con una formale investitura feudale che rendeva palese la nuova gerarchia pur lasciando intatto il prestigio dei signori. La debolezza delle signorie tuttavia derivava da una incapacità di concepire la successione come un elemento ordinario dello stato, di mantenere unito il dominio, di pensare lo stato come separato dalle vicende familiari. → Alla morte dei signori si scatenavano sempre lotte. Per quanto riguarda il meridione, le strade fra la Sicilia e Napoli si erano separate quando nel 1282 la Sicilia era passata sotto il re d'Aragone dopo una rivolta della popolazione di Palermo contro gli angioini. I re aragonesi aumentarono i poteri baronali concedendo loro beni demaniali per aumentare le entrate e una fase di instabilità dinastica e politica portò a un governo condiviso da quattro vicari. Una crisi simile fu attraversata dal regno di Napoli sotto la dominazione Angioina dopo la morte della regina Giovanna. Vi fu una lunga lotta fra due rami della famiglia angioina, che ebbe termine solo quando nel 1442 Alfondo d'Aragona unì il regno di Napoli alla corona spagnola. Egli concesse ai feudatari l'alta giustizia civile e penale e un grande numero di privilegi. → Esempio del regno di Taranto che ottenne prima una forma di indipendenza e poi venne completamente distrutto dal re Ferrante. La forza del regno aragonese risiedeva comunque in questa con partecipazione dei baroni e delle élite urbane negli affari del regno. 40 colpendo una popolazione in crescita ma sottoposta a fortissime pressioni. Si trattò di un cambiamento radicale delle condizioni di lavoro, dei doveri del contadino e delle pretese dei proprietari fondiari. Lungo i secoli centrali del medioevo, le terre venivano concesse in affitto ai contadini, che dopo un lungo periodo potevano rivendicare dei diritti sulla terra, pur non essendone proprietari. → Le cose si univano materialmente a chi le usava. In questo senso fu difficile sfrattare il contadino dalla sua terra. Nel corso del Duecento iniziarono a cambiare e misero in luce una nuova intraprendenza dei signori, minando le fondamenta dei rapporti di lavoro. In particolare, vi fu un passaggio dal canone in natura, vale a dire la consegna al proprietario di una parte dei prodotti. Nel corso del secolo poi, nei paesi a più alta densità urbana, come l'Italia, una quota consistente della proprietà terriera passò di mano e fu acquisita da quel ceto di speculatori attivi sul mercato, come mercanti, banchieri e artigiani. In particolare, i possedimenti più vasti erano nelle mani dei grandi proprietari cittadini e non più dei signori del contado. Il quasi-monopolio dell'affitto a lungo termine andò poi frantumandosi e iniziarono a fiorire contratti di lavoro sperimentali. La novità più eclatante fu la brevità dei termini di concessione. In questo modo si liberava il contadino dalla terra, favorendo una maggiore mobilità delle persone, ma si provocava anche una maggiore precarietà dei rapporti di lavoro. In Italia iniziò a diffondersi la mezzadria, ovvero un affitto a breve termine con la divisione dei prodotti tra proprietario e il contadino. Con l'affermarsi poi dei poderi, la mezzadria si avviò ad acquisire i caratteri stabili che conservò poi per tutta l'età moderna e buona parte di quella contemporanea. Tuttavia, la mezzadria comportò anche un processo di indebitamento crescente dei contadini poveri e una pesante ingerenza degli stessi nella vita familiare del mezzadro. → Da qui nacquero una serie di legami extracontrattuali che facevano ricadere il contadino in una dipendenza personale non prevista dal contratto. Nel resto dell'Europa ci fu un abbandono quasi totale del servaggio, troppo oneroso per i padroni, a favore di contratti di affitto parziari, che prevedevano una spartizione dei prodotti. → Emerse uno strato di contadini più elevato. Ci fu inoltre la decisione di puntare sull'allevamento delle pecore per favorire l'industria della lana, e ciò porto a una riconversione a pascolo di estese parti del territorio. → Ciò favorì una migrazione dei contadini verso le città. 2. La trasformazione del mondo del lavoro in ambito urbano: i salariati La residenza in città comportò nuove possibilità di lavoro e un diverso stile di vita. Vi fu dunque un passaggio dalla coltivazione all'artigianato, esplicitamente richiamato dagli aspiranti cittadini per affermare il loro nuovo statuto sociale. Essi non furono tuttavia sempre ben accolte: furono emanate leggi restrittive dettate dalla paura e dalla volontà di conservare una condizione privilegiata, talvolta giungendo persino a caciare i nuovi arrivati. Circa la metà della popolazione di una città bassomedievale era occupata in lavori artigianali. Si crearono due canali di reclutamento e di formazione dei lavoratori: da un lato i giovani apprendisti, futuri maestri e figli di maestri e dall'altro giovani inservienti che avevano accesso ad una formazione limitata. Erano questi i “salariati”, che mettevano in luce la loro condizione vicina a quella di dipendenza servile, spesso maltrattati dagli stessi proprietari di bottega. Fu severamente disciplinato l'ingresso nelle corporazioni e divenne di fatto riservato a pochissimi maestri. Nel corso del Trecento l'abbassamento delle condizioni lavorative coinvolse anche gli strati intermedi dei lavoratori artigianali. Non erano rari i casi in cui anche i maestri tornavano a fare gli apprendisti o di apprendisti che non erano in grado di aprire una bottega. → Declassamento del ceto operaio. Inoltre, nel pensiero dottrinale del due-trecento sembra riemergere l'antica diffidenza per le arti manuali. Vendere il proprio lavoro abbassava la qualità della persona, la sua libertà personale e quindi la sua affidabilità. Tommaso d'Aquino → artigiani come cittadini imperfetti. Ciò impedì alla media società anche di entrare nel consiglio cittadino, rendendo necessario possedere un reddito minimo relativamente alto. Dopo la peste del 1348 tuttavia i vuoti della popolazione urbana crearono una situazione paradossalmente favorevole ai lavoratori. → La scarsità di manodopera fece crescere in generale il livello delle retribuzioni. L'aumento dei salari fu una conseguenza dell'avidità delle classi lavoratrici che si approfittavano della scarsità di manodopera per imporre salari più alti. Ci furono in ogni caso tentativi dai poteri superiori per normativizzare i salari e bloccare le richieste economiche dei lavoratori. Fu ad esempio disposto che tutte le persone che non avevano già una occupazione o una terra da coltivare dovessero accettare qualsiasi proposta di lavoro. Nello stesso momento furono puniti con la prigione anche i lavoratori che abbandonavano una occupazione prima del termine e i padroni che accettavano di pagare un salario più 41 alto del consueto. → Leggi che ebbero un effetto limitato. Ci furono anzi rivolte e ribellioni dei lavoratori che portarono anche all'instaurazione di governi provvisori composti da piccoli artigiani. → Esempio del governo di Etienne Marcel in Francia durante la Guerra dei Cento Anni. Nelle campagne parigine l'insicurezza militare e la crisi dei prezzi colpirono lo strato alto dei contadini che si rivoltarono contro i loro signori nel 1358. I rivoltanti si ribellarono contro i piccoli padroni, attaccandone le proprietà e bruciando i castelli. Lo stesso Marcel fu ucciso e il suo successore iniziò una politica di pacificazione. La rivolta inglese del 1381 ebbe un esito simile. Il re fu concesso a trattare con i ribelli, concedendo l'abolizione della servitù ed altri privilegi. In Italia la rivolta dei Ciompi seguì un percorso più complesso. Essi, lavoratori salariati, chiesero l'istituzione di nuove Arti minori e uno spazio nel governo di Firenze. I ciompi riuscirono a formare un governo nel 1378 ma la città, spaventata, si rivoltò contro gli stessi artigiani. → Ogni loro partecipazione politica era destinata al fallimento. Tutte queste rivolte presero il via da un enorme spostamento del flusso di denaro dal basso verso l'alto. L'aristocrazia aveva ottenuto importanti esenzioni fiscali e dunque tutto il peso delle tasse gravava sui lavoratori. Essi erano inoltre sottoposti ad una continua incertezza economica, spesso infatti i loro salari non bastavano a mantenere una famiglia e la loro condizione era continuamente nel rischio di cadere nella povertà. 3. Povertà e assistenza: nuovi modelli di solidarietà e la promozione di élite sociali Per fronteggiare il problema della povertà, le società urbane tardomedievali elaborarono un complesso sistema di aiuti caritatevoli e di assistenza organizzata. I rapporti sociali indirizzati verso l'altro dovevano essere guidati da un amore assolutamente gratuito nei confronti del prossimo e non dalla speranza di guadagno: solo in base a un rapporto di amicizia il favore poteva essere ricompensato con un altro favore. → Etica domenicana e francescana. La povertà ben vista dagli ordini mendicanti era tuttavia soprattutto la povertà volontaria, mentre quella involontaria, degli indigenti, non era molto considerata. Il peccato di cui i poveri immeritevoli (in particolare i mendicanti oziosi) si macchiavano era quello di appropriarsi di risorse destinate agli altri, sottraendo dunque elemosine utili. Erano perciò gli ordini ecclesiastici a dover definire chi fosse meritevole di carità e chi no. In ogni caso il panorama delle città europee fu profondamente influenzato dallo sviluppo di numerosi istituti assistenziali fra tre e quattrocento. → Ospedali per malati e ospizi. I primi mantennero sempre un'attività di assistenza ai poveri, sia con la distribuzione diretta di elemosine, sia con l'assistenza domiciliare. La maggioranza dei soggetti assistiti che ricevevano l'elemosina erano le donne, soprattutto quelle sposate. → Salvare le giovani della città dalla decadenza e dal peccato, spesso offrendo anche del denaro al marito per mantenerle. La redistribuzione della ricchezza fra i poveri doveva anche servire affinché essi compensassero il beneficio ricevuto con una attività lavorativa. Gli oziosi non meritavano aiuto. Spesso gli stessi ricchi erano invitati a mettere in comune il loro denaro, insistendo sul carattere vizioso e peccaminoso dell'accumulazione delle ricchezze. “Monti” furono chiamati gli istituti pubblici fondati su capitali comuni con scopi morali e ispirati ai valori cristiani. L'intento dichiarato del monte di pietà era quello di sostituire il prestito ebraico giudicato usuraio e anticristiano con un prestito cristiano a interesse modico e giusto. Era dunque ormai compiuta la saldatura fra la carica istituzionalizzata e la promozione di uno strato aristocratico che si faceva carico del governo della povertà. → In molte città l'élite economiche divenne anche un'élite politica, che monopolizzava le cariche e governava la città. I consigli, i senati e le assemblee sceglievano con cura i cittadini “onorati” che potessero partecipare al governo e tali erano i magistrati, i tesorieri, gli ufficiai. Nel resto dell'Europa i processi furono simili: la grande nobiltà fu riassorbita lentamente nei ranghi dello stato attraverso nuovi incarichi militari che assicuravano anche nuovi privilegi, come l'esenzione dalle tasse.
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