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riassunto-storia-medievale-provero-vallerani, Dispense di Storia Medievale

Parte seconda del libro di storia medievale provero-vallerani

Tipologia: Dispense

2017/2018
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Caricato il 28/12/2018

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Scarica riassunto-storia-medievale-provero-vallerani e più Dispense in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! Parte seconda Capitolo 1 Nobili, chiese e re: ricchezze e poteri. Tra VI e VIII secolo la geografia politica dell’Europa occidentale appare molto più stabile: con l’eccezione della conquista longobarda dell’Italia, la mobilità dei popoli germanici rallentò decisamente e la fisionomia territoriale dei principali regni appare nel complesso definita. Tre sono le chiavi fondamentali attraverso le quali leggeremo i funzionamenti sociali di questi secoli: l’equilibrio politico tra le aristocrazie e i re; lo sfruttamento delle risorse agrarie; l’apertura di nuove reti di scambio. 1. Nobili e re I regni altomedievali sono un equilibrio tra la capacità regia di coordinamento e l’azione politica autonoma dell’aristocrazia. Eserciti e clientele Gli elementi comuni che connotano il rapporto tra aristocrazia e re, si possono individuare nei processi di redistribuzione clientelare​ e nel fondamentale carattere militare del potere regio. NB!​ Dobbiamo tenere presente che ​questi re erano sensibilmente più poveri​ degli imperatori romani, disponevano di una massa di risorse minore per attuare la redistribuzione e quindi accogliere attorno a se l’aristocrazia del regno. Tuttavia le famiglie aristocratiche furono sempre attente a raccogliersi attorno alla corte e a conservare un legame con il re. Era un circuito che offriva opportunità economiche e politiche. Nodo importante di questo circuito era il carattere militare del potere regio, che garantiva pace e giustizia. La forza dei re visigoti All’inizio del VII secolo il regno visigoto appare consolidato. In questi anni si completa la conquista della penisola iberica (​625​). Al col tempo la conversione cattolica della maggior parte della popolazione si era rapidamente completata. Il potere regio attuò un processo di centralizzazione del potere; la dimostrazione più evidente fu la redazione delle leggi​ ​Liber iudiciorum​ ​completata da re Recesvino nel ​654​ [​ ​un testo in cui sono dominanti le influenze del diritto romano, che viene integrato solo in parte con le tradizioni di origine germanica​]; l’emanazione di un testo del genere richiamava l’espressione di un ideale di regio alto, che richiamava le tradizioni imperiali. Il modello efficace era l’Impero cristiano, basato sulla cooperazione tra il sovrano e i vescovi, che nel caso visigoto trovò struttura nei concili di Toledo ​[​i concili erano sia assemblee ecclesiastiche che organi di governo​]; i vescovi costruivano un rapporto di vera simbiosi 1 Le lotte per il trono La centralizzazione del potere non comportò il controllo dell’aristocrazia. I tentativi di impadronirsi del resto e di sostituire il re dimostrano che i duchi erano interessati al controllo del potere centrale più che a creare poteri locali autonomi;​ ​il potere regio era una struttura fore. Il regno visigoto alla fine del VII era la struttura politica più forte e coese dell’Occidente europeo. Ma questo consolidamento si ruppe con l’avanzata islamica nella penisola iberica e fu rapida e brusca la fine della storia visigota. La frammentazione dell’irlanda Le isole britanniche nel VII secolo restano caratterizzate dall’alta frammentazione politica. In Irlanda la conversione al Cristianesimo lungo il VI secolo aveva posto i monasteri come guida ecclesiastica sia per l’apertura verso orizzonti europei [​san Colombano che diffuse modelli monastici irlandesi tramite nuove fondazioni nel regno franco e longobardo​]. Non cambio invece la struttura politica dell’isola, divisa in una moltitudine di regni. Britannia una gerarchia di regni La stessa pluralità si trova in britannia, ma con una chiara gerarchizzazione. Il VII è segnato dal completamento del processo di Cristianizzazione e dall’apertura di flussi provenienti dalla Gallia franca. Rimase debole l’urbanizzazione. I rapporti tra i diversi regni nella Britannia del VII secolo: ● esisteva una pluralità di regni con diversa importanza; ● alcuni appaiono più definiti e stabili [​Mercia e Northumbria​] ● tra VII e VIII secolo si affermò in modo discontinuo un’egemonia dei re di Mercia sui regni meridionali, una superiorità che però si consolidò alla fine del VIII secolo, sotto il re Offa; I Franchi Tra VII e VIII secolo si andarono a costruire le basi di un potere che alla fine del VIII secolo diverrà la dinastia più potente d’Europa, ovvero i Carolingi. Rispetto alla grande ampiezza territoriale nel VI secolo, il dominio franco nel periodo successivo subì una riduzione parziale, il dominio politico franco rimase l’attuale Francia e la parte più occidentale della Germania. Il controllo e la presenza dei re all’interno di questi territori erano molto diversificati: i ​Merovingi non avevano una capitale stabile​, furono sempre itineranti tra i diversi palazzi regi. 2 Le forme della produzione agraria La divisione tra campi e pascoli non era totalmente distinta​, ma piuttosto un’alternanza d’uso delle due stesse terre. Il modo più efficace per concimare la terra era quello di usarla periodicamente per il pascolo, per cui si adottava un sistema di ​rotazione biennale​: ad anni alterni, metà delle terre erano coltivate a cereali e metà lasciate incolte e destinate ai pascoli. Con questa tecnica ogni anno metà delle terre non era coltivabile, ma non per questo rimaneva improduttiva, grazie all’allevamento. L’importanza dell’incolto All’esterno dei campi e dei prati si trovavano grandi distese boschive e incolte. Nel bosco la società contadina faceva molte cose e da esso traeva molte risorse: si prendeva la legna, si raccoglievano frutti, si allevavano gli animali, si cacciava e si pescava. Erano beni comuni, diversamente dai campi e dagli orti ● nemus​: il bosco, uno spazio non coltivato ma curato e sfruttato dalle comunità contadine; ● silva​: la foresta, i boschi lontani e inaccessibili, usati dagli aristocratici e re per la caccia. I villaggi altomedievali​ non ​furono​ un ambito di opposizione tra mondo contadino e mondo pastorale, ma ​un contesto di integrazione di diversi sistemi produttivi e alimentari. Piccole e grandi proprietà In tutte le regioni d’Europa convivevano ​piccoli e grandi proprietari:​ ad esempio l’aristocrazia e le chiese della regione parigina erano dotate di proprietà ampie e compatte; viceversa l’Italia Longobarda - soprattutto in alcune sue zone - era connotata da proprietà aristocratiche meno sviluppate, con una maggiore diffusione della piccola proprietà contadina. Queste differenze avevano un impatto importante sul piano sociale: la grande proprietà era dominante, re, aristocratici e chiese disponevano di una maggiore​ capacità di condizionamento della società​ circostante, perché un gran un numero di contadini era costretto a coltivare le terre dei potenti, e quindi a dipendere dalle loro concessioni e dalle loro benevolenze. La curtis Tra VII e VIII secolo si andò elaborando una peculiare forma di gestione delle grandi proprietà fondiarie, la cosiddetta ​Curtis​, ​affermatasi prima di tutto in ambito franco. l’organizzazione curtense restò poi il modello prevalente della grandi aziende agrarie fino al secolo XI. NB! ​Grande proprietà non è sinonimo di latifondo​: le grandi ​curtes​ di questi secoli non erano distese compatte e uniformi di terre, tutte controllate dallo stesso proprietario; ​la ​curtis ​in genere era un insieme di campi, prati, case e diritti disperi in molti villaggi diversi, 5 inframezzati alle terre di altri grandi e piccoli proprietari.​ Dobbiamo pensare alla ​curtis ​come a un​’unità gestionale​, non come a un’unità fisica territoriale: facevano capo alla ​curtis ​e al suo centro gestionale centinaia di appezzamenti più o meno grandi, dispersi in molti villaggi diversi, spesso posti a parecchi chilometri dal centro. Questo sistema gestionale aveva alcune implicazioni importanti: ● in una singola ​curtis​ ​confluivano terre con caratteristiche e collocazioni diverse, garantendo al proprietario ​produzioni diversificate​; ● questa dispersione faceva sì che il proprietario avesse un ​ruolo importante in molti villaggi diversi​. Curtis ​e villaggio erano due strutture completamente diverse: ● curtis ​era una forma di gestione delle ​ricchezze fondiarie di una grande proprietario​; ● villaggio era una struttura insediativa, di ​cooperazione contadina​ e di organizzazione della spazio agrario. Gestione diretta e indiretta Dal punto di vista gestionale la ​curtis ​si articolava tra ​dominicum​ ​e ​massaricum​: ● il ​dominicum​ ​era la parte ​gestita direttamente dal proprietario​ ( o signore, ​dominus​), spesso tramite un proprio agente, con l’impiego di​ manodopera servile​; ● il ​massaricum​ ​era invece la parte suddivisa in ​terre date in concessione a contadini liberi, che ottenevano ognuno un ​manso​, ovvero un insieme di terre e prati sufficienti a mantenere la propria famiglia. In cambio di queste terre, il massaro aveva nei confronti del proprietario un​ insieme di obblighi​ che variava molto da luogo a luogo, ma che comprendeva: ○ talvolta un ​censo in denaro​; ○ spesso una ​quota di prodotti ○ sempre una serie di ​corvèes​ ​- ovvero di giornate di lavoro che il massaro doveva compiere sul ​dominicum​. NB! ​Proprio le ​corvèes,​ il lavoro dei massari sulle terre della parte signorile, è ciò che distingueva più chiaramente le ​curtes ​altomedievali da altre forme di gestione bipartite, come le ​villae ​tardoantiche: ​dominicum ​e ​massaricum ​ non erano due mondi separati. Questa divisione e questa integrazione tra le parti avevano una precisa logica: le ​corvèes consentivano al signore di ottenere​ manodopera abbondante nel ​dominicum ​in specifici momenti dell’anno​ in cui era necessaria. NB! ​In secoli in cui lo ​scambio monetario era debole​ il signore non poteva permettersi di pagare la manodopera, nè tanto meno poteva essere sicuro di ricevere i pagamenti dei censi. Nel sistema curtense i contadini usavano il​ ​proprio lavoro per pagare i censi​ e il signore usava ​la terra per pagare la manodopera​ stagionale sul ​dominicum. Efficacia e rigidità del sistema curtense 6 Il sistema aveva ovviamente dei limiti​, a partire dalla rigidità degli obblighi di lavoro dei massari, che non si adattavano agli andamenti dei raccolti. Ma ​gli obblighi dei massari erano definiti e stabili​, e i grandi proprietari non erano abbastanza potenti da obbligarli sistematicamente a ​corvèes ​non previste. Nel complesso la ​curtis ​era un sistema rigido​: ogni cambiamento del ​dominicum ​ comportava una serie di riassestamenti nella distribuzione della manodopera e negli obblighi contadini, cambiamenti non facile da attuare, perché avrebbero inciso sulle consuetudini locali e sui contratti che legavano il proprietario. Ma ciò nonostante la ​curtis ​era il modello adeguato al contesto economico complessivo, a debole circolazione monetaria. Il centro della ​curtis ​è il ​dominicm: ​qui si concentravano gli interessi del signore, attengo a garantirsi la produtttività su queste terre; Liberi e servi La distinzione tra ​dominicum ​e ​massaricium ​corrispondeva alla distinzione tra ​servi (impegnati stabilmente a lavorare sul primo) e ​liberi​ ( che ottenevano le terre del secondo) NB! ​Per l’età medievale si usa il termine servi, mentre schiavi è riservato all’antichità; schiavi antichi e servi medievali avevano molto in comune: ● donne e uomini non liberi; ● comprati e venduti; ● esclusi dal rapporto diretto con il potere regio; Il cambiamento terminologico corrisponde ad alcune differenze reali: ● nel medioevo, anche se non liberi, i servi erano considerati parte della comunità cristiana; ● diverso dalla visione romana che vedevano lo schiavo come ​utensile dotato di voce; ● i servi medievali potevano ottenere terre; NB! ​In molti casi si arrivò ad uno squilibrio tra un’abbondante manodopera servile e la disponibilità di terre del ​massaricum, ​per cui si scelse di affidare alcune terre a famiglie servili; ​questo non corrisponde a una sua liberazione! La società di villaggio A lungo termine, la conseguenza di questo mobilità degli uomini e della frammentazione delle ​curtes ​ anche all'interno di un villaggio ci si poteva trovare di fronte a ​condizione giuridiche molto diverse​: ● liberi proprietari che coltivavano la propria terra​; ● liberi che coltivavano un manso​; ● servi che coltivavano manso​, e che erano sottoposti a obblighi più pesanti dei propri vicini; 7 Nuovi spazi commerciali Le monete e la loro diffusione sono fondamentali per la costruzione di reti commerciali​, che in questi secoli arrivarono a coinvolgere in modo nuovo l’Europa settentrionale: proprio la comparsa di monete franche in Inghilterra e in Frisia, nell’VIII secolo, è un indizio prezioso sul coinvolgimento di queste regioni in una rete di scambio. Sistema di civiltà europeo che si stava sviluppando sotto l’egemonia franca​: in questo rientrano ● la piena ​conversione​ dell’Inghilterra al Cristianesimo; ● le ​missioni di Wynfrith​ verso l’attuale Germania; ● violenta ​sottomissione dei Sassoni​ sotto Carlo Magno; ● sviluppo commerciale​ che coinvolse le coste del mare del Nord. Il mare del Nord Il surplus derivante dall accresciuta pressione aristocratica permise un ​consolidamento demografico dei centri urbani della Neustria e dell’ Austrasia​, ma trovò uno sbocco anche verso il mare, in un ​interscambio commerciale con le coste settentrionali.​ Le sponde del mare del Nord rappresentavano zone economiche diverse: i Franchi potevano mettere in gioco ceramiche, cereali, vino, dal nord provenivano pellicce e schiavi. Gli ​emporia Questo scambio commerciale diede vita a una peculiare e nuovo sviluppo insediativo, con la nascita di quelli che gli storici chiamano ​emporia​, ​ovvero ​centri abitati con finalità specificamente commerciali, organizzati attorno ai porti e segnati da un rapido sviluppo demografico. Gli ​emporia ​furono alla base delle successive città (se in assenza di una tradizione urbanistica romana) Nel regno franco, in centri come Quentovic e Dorsestad, gli ​emporia ​si andarono a sovrapporre a una rete urbana preesistente, di cui costruirono uno sviluppo importante, con funzioni specificamente commerciali; in Inghilterra, ​Londra e York rappresentarono una fase di rinascita, dopo la rottura romana​; in Scandinavia,​ i centri di Ribe​ ( in Danimarca) e ​Birka (in Svezia) ​furono invece vere e proprie novità, in assenza di una precedente tradizione urbana. Gli ​emporia ​furono l’espressione fisica e concreta dello strutturarsi di un nuovo sistema di scambio​ nella vasta area della Manica al mar Baltico, direttamente connesso all’egemonia del mondo franco. Le fiere La vita commerciale trovò un punto di riferimento anche nelle fiere​ che si tenevano a cadenza regolare in luoghi di rilievo politico e spesso religioso: ● fiera di Saint-Denis ​(confluenza di mercati inglesi, frisoni, sassoni, longobardi); ● fiera di Piacenza​ (grande arteria del Po) 10 Capitolo 2 Nuovi quadri politici: il regno longobardo Il regno longobardo fu la prima nazione germanica in Italia a porsi in contrapposizione con l’Impero. I Longobardi rappresentarono una dominazione esclusivamente italiana, prima che la conquista franca unisse la penisola a un quadro politico molto più ampio. Si sono interessate diverse ​letture ideologiche​: rapporti tra i Romani e barbari, fra il ​rapporto Longobardi -Romani e quello Austriaci-Italiani​; ma il regno longobardo è stato visto come un momento di possibile ​unità italiana​; e infine si è riflettuto sul​ ruolo politico della chiesa. Le informazioni sul regno longobardo derivano da due grandi testi, ovvero da un lato la Storia dei Longobardi ​scritta da ​Paolo Diacono​ all’inizio del IX secolo, pochi anni dopo la caduto del regno sotto il controllo dei Franchi, e dall’altro lato la ​raccolta delle leggi promulgate dai re longobardi​, a partire dall’​editto di Rotari del 643. NB! ​Si tratta di leggere le fonti tenendo sempre presente che esse non sono nate per rappresentare o descrivere la realtà, ma per intervenire su di esse. Le leggi nacquero con l’obiettivo di consolidare il proprio potere; la narrazione di Paolo Diacono ha finalità meno evidenti, dato che non si sa per chi l’abbia scritto, forse alla corte carolingia italiana, in ogni caso non fu una libera narrazione, ma un racconto pesantemente condizionato dal contesto in cui nacque. 1.I Longobardi in Italia I regni del 2.Terre e nobili​ ​VI e VII secolo Nel V secolo i regni dei Vandali e degli Ostrogoti furono cancellati dall’espansione militare dell’Impero​; il regno dei ​Franchi consolidò il proprio dominio sulla Gallia​, prima respingendo i Visigoti a sud dei Pirenei, poi assimilando i Burgundi; gli stessi ​Visigoti rinsaldarono la propria presenza sulla penisola iberica​; nelle isole britanniche l’altissima frammentazione politica non fu ricompensata, con un’incerta superiorità di alcuni regni più importanti; ma nella penisola italiana si affermò un nuovo regno, quello Longobardo. Si può definire come un ​regno romano-germanico​, che si impose un secolo più tardi degli altri regni, si mosse in un contesto profondamente mutato, di egemonia franca su i larghi settori dell’Europa occidentale e di profonda ridefinizione dell’Impero orientale. Alla periferia dell’Impero Se molti popoli germanici avevano a lungo vissuto alla periferia del sistema politico romano, i ​Longobardi erano all’estrema periferia​. 11 Probabilmente un’​origine scandinava​ del popolo, protagonista poi di una serie di spostamenti e stanziamenti, prima nella ​Germania settentrionale, poi nella Pannonia​ (attuale Ungheria): qui i Longobardi si insediarono vincendo sui ​Gepidi​, ma questo non pose fine alla tensioni militari, soprattutto in seguito alle ​pressioni del Avàri;​ ​qui nacquero rapporti con l’Impero, con i Longobardi stipularono un ​foedus​ ​e per cui combatterono occasionalmente come mercenari. L’esercito che nel ​568​ si mosse alla conquista dell’Italia conosceva i romani, ma ​non si era mai romanizzato. Migrazione e conquista La migrazione nacque probabilmente sia da un accentuarsi delle tensioni militari con gli Avàri, sia dalle possibilità di bottino offerte dall’Italia, ma debole dal punto di vista politico e militare. I Longobardi erano sicuramente un ​popolo esercito​, si trattò di una conquista, di un’​azione militare molto violenta​, ma fu anche una​ migrazione​ perché, al seguito degli armati, scese in Italia l’intero popolo longobardo, donne e bambini, che abbandonarono la Pannonia e si trasferirono in Italia. Un etnogenesi accelerata Quando parliamo di Longobardi, dobbiamo intendere le persone che in un dato momento si riconoscevano come Longobardi​, che aderivano a quel nesso politico e identitario. ​Questo processo ha particolare rilievo nella fase della conquista-migrazione dalla Pannonia in Italia​: l’iniziativa dei longobardi e del loro re Alboino fu una grande opportunità di arricchimento. Perciò, nel momento in cui si avviò la spedizione ​si unirono all’esercito molti gruppi che nulla avevano a che fare con i Longobardi​, ma che volevano approfittare di questa occasione. Ma unirsi all’esercito significava divenire Longobardi. ​Si integrano al popolo longobardo altri gruppi​, dal punto di vista strettamente militare, Alboino riuscì ad attivare un circolo vizioso: il progetto di conquistare l’Italia offriva buone prospettive, questo attirò nuovi gruppi armati, che rafforzarono Alboino e la spedizione. La divisione dell’Italia Alboino e i Longobardi ​valicarono le Alpi nel 568. DIvise l’Italia in due parti, il regno longobardo e i domini imperiali. ​I Longobardi controllavano la pianura padana, la Tuscia e due regioni poste più a sud, i ducati di Spoleto e Benevento​; all​’Impero restarono​ la maggior parte delle coste, ma anche molte regioni nell’entroterra: Lazio, l’area di Ravenna, laguna veneta, le Marche, la Liguria, Puglia,Calabria e le grandi isole​; entrambe le dominazioni erano discontinue, e il confine tra Longobardi e Impero non era una linea netta e semplice, ma una trama fitta e complessa di territori e confini. Re, duchi e ​farae Abbiamo descritto l’invasione dell’Italia come una spedizione condotta dal re Alboino, ​non dobbiamo pensare che il re fosse l’unico potere alla guida dei Longobardi: anzi, si trattava di un potere molto limitato e condizionato. 12 Coesistenza di fedi e di religioni Un aspetto importante dell’identità collettiva longobarda è la religione. La religiosità longobarda al momento della discesa in Italia comprendeva: ​credenze pagane e Cristianesimo ariano. La fede ariana divenne un perno attorno a cui i Longobardi poterono consolidare una propria identità etnica distinta dai Roman​i: la presenza di vescovi e sacerdoti ariani, al fianco di quelli cattolici, contribuì a delineare due comunità affiancate, con riti e punti di riferimento religiosi distinti. La penetrazione del Cattolicesimo, re e vescovi La fluidità di queste identità longobardo-ariane emerge con particolare chiarezza nell’età di Teodolinda: essa infatti non solo era etnicamente estranea al mondo longobardo, ma era cattolica​. Al suo fianco, il re Agilulfo restò ariano, ma acconsentì al battesimo cattolico del figlio Adaloaldo. Questo non fu l’avvio di una conversione dei re o dell’intero popolo longobardo al cattolicesimo, non avvenne nulla di simile a quanto abbiamo visto per i Franchi. Vediamo invece una lunga convivenza nel popolo e nella corte, e al col tempo una conversione dei Longobardi al Cattolicesimo: fu una conversione lenta che prese piede in modo contrastato alla corte regia. Solo nei primi decenni del VIII secolo quello longobardo fu un regno pienamente cattolico. A differenza del regno franco, il connubio tra il regno e vescovi, che stabilizzarono le strutture dei regni franco e visigoto, dove i vescovi consolidarono la fedeltà dei sudditi al re, non avvenne nel regno longobardo. L’ostilità papale L’identità ariana e la lenta e contrastata conversione al cattolicesimo contribuirono anche all’​ostilità che oppose il regno al vescovo di Roma​. Questa ostilità ebbe origine da un punto di vista politico-territoriale. La componente religiosa intervenne delineando i re longobardi come ​eretici​. L’italia imperiale Le preoccupazione del vescovo di Roma derivano dal fatto che ​le regioni in mano imperiali avevano un controllo discontinuo nel tempo e nello spazio. L’Italia era periferica all’Impero, ma al suo interno alcuni luoghi avevano importanza speciale, come Roma, un fondamentale centro religioso, poi Ravenna, già capitale imperiale. Gregorio Magno 15 Seguendo le azioni di ​papa Gregorio Magno​ (590-604), di cui si conservano scritti e lettere, ci permettono di cogliere con particolare efficacia la sua figura e i suoi orizzonti politici. In una fase di consolidamento del potere Longobardo, ​Roma dovette prendere atto di quanto fosse illusorio conservare funzioni e simboli del governo imperiale​, quando la centralità delle Urbe era ormai tramontata, lasciando spazio a Costantinopoli e al regno Longobardo. In questi anni abbiamo le ultime attestazioni della carica di ​praefectus Urbis​ ​carica ricoperta dallo stesso Gregorio prima di divenire vescovo di Roma; e a questi anni risale l’ultima riunione del Senato romano. La debolezza dell’Impero in Italia era un’opportunità interessante, un vuoto di potere che permetteva di agire sui piani politici e amministrativi. Gregorio agì come tutore dell’intera comunità, riuscì a contrattare con i Longobardi, definire forme di equilibrio. Gregorio e i suoi successori si posero come i vertici politici dell’Italia centrale. Sicilia Oltre a Ravenna anche la Sicilia era un luogo di particolare rilievo. L’espansione araba sottrasse il controllo imperiale sia all’Egitto sia nell’attuale Tunisia, ovvero i due grandi granai dell’impero, così tale funzione fu attribuita poi alla Sicilia, che assunse un ruolo di grande rilievo fiscale ed economico. La crisi del potere Imperiale L’Impero, tra la metà del VII secolo, dovette affrontare le pressioni militari​ di Arabi, Bulgari e Avàri, causò una crisi militare con la perdita del Medio Oriente e del Nordafrica, fino all’assedio di Costantinopoli da parte degli Arabi nel 717 Una nuova crisi si delineò anche sul piano religioso, sulle forme di culto.​ Questa crisi di matrice religiosa fece orientare il papato verso i Franchi, visti come difensori della chiesa. 3.Crescita e fine del regno L’editto di Rotari Una delle principali fonti scritte per lo studio di questa età è​ rappresentata dalle leggi promulgate dai re longobardi a partire dall’​editto di Rotari, emanato nel ​643. Un ampio testo che ci permette di cogliere molti funzionamenti interni alla società longobarda, le sue stratificazioni, i funzionamenti politici e giudiziari, le condizioni personali e familiari; ma prima di tutto il fatto stesso di scrivere le leggi è un’azione di grande rilievo in sé e per sé. La redazione dell’editto va posta al contesto del regno di Rotari (636-652)​, da un lato estese i domini del regno verso la Liguria, parte del Veneto, e dall’altro avviò la trasformazione interna al regno, con l’indebolimento dei duchi. La scrittura delle leggi fu pienamente parte del processo di rafforzamento regio. La scrittura delle leggi è sempre la ripresa di un modello politico-romano​, del tutto assente nelle popolazioni germaniche prima del loro insediamento nei territori Imperiali. 16 Il potere legislativo regio Rotari pone subito al centro la sua figura, datando le leggi prima degli anni del suo regno e quelli della sua vita​; il testo peraltro è redatto nel centro fisico del potere regio, a Pavia. Dichiara di promulgare migliorata la presente legge, che rinnova ed emenda tutte le precedenti ed aggiunge ciò che manca e toglie ciò che è superfluo; si tratta di un’azione innovativa, di cui Rotari si proclama autore. ​Si introduce il tema della memoria​: sia i sedici re che lo hanno preceduto, sia i suoi antenati, per undici generazioni. L’editto pone in evidenza l’inviolabilità del re​, vede nell’attentato alla sua vita il primo e più grave delitto; nessuno può scagionare colui che il re ha condannato. Il re e i suoi sudditi Dobbiamo vedere nel prologo la rivendicazione da parte di Rotari di una più forte centralità regia, di un più ampio dominio sui suoi sudditi. La ​gens Langobardorum ​è più volte ricordata nel prologo e nell’editto​, la connotazione etnica non è scomparsa; ma è più importante la connotazione politica, l’identificazione del popolo come insieme di persone sottomesse allo stesso re. La società del VII secolo Rotari ricorda il passato ma vuole intervenire sul presente​, e proprio per questo le sue leggi sono una fonte particolarmente preziosa per leggere le condizioni dell’Italia longobarda a metà del VII secolo. ​Era una società impoverita, in larga parte rurale, in cui il principale e pressoché unico fondamento della ricchezza era costituito dalle terre. Era un mondo dominato dall’ élite militare, che articolava la propria capacità politica-militare grazie all’uso delle fedeltà personali: ​compaiono i cosiddetti ​gasindii​,​ persone al servizio dei duchi o di altri potenti. Su tutto ciò si impose il potere regio che rivendicava il proprio potere legislativo e nell’editto affermò la propria centralità giudiziaria, la capacità di regolare i conflitti. Da Rotari in poi, furono promulgate nuove leggi dai re Grimoaldo, Liutprando, Rarchis e Astolfo: i loro testi produssero interventi molto ridotti. NB!​ La serie di leggi costituisce l’espressione chiara del rafforzamento del potere regio. L’espansione del regno L’espansione territoriale avviata da Rotari fu proseguita da Grimoaldo​, che ampliò il dominio longobardo sul Veneto e si spinse fino alla Puglia. La declinante capacità dell’Impero lasciarono spazio a due figure importanti: il ​regno longobardo ​ e il ​papato. 17 Capitolo 3 Impero carolingio, ecclesia ​carolingia l’Impero carolingio​ non solo fu la realtà politica più ampia del medioevo occidentale, ma trasformò in profondità molti aspetti della vita associata: le reti di scambio, il ruolo delle chiese e del papato, i funzionamenti della giustizia. Impero carolingo ed ​ecclesia​ carolingia non sono una distinzione o di un’opposizione​, ma piuttosto della piena ​simbiosi​ tra due realtà che appaiono separate ai nostri occhi, ma non a quelli del IX secolo: ​l’​ecclesia​ era l’insieme dei fedeli cristiani che trovavano la propria guida nei vescovi e nell’imperatore​, la giustizia in terra e la salvezza oltre la morte. Impero ed ecclesia ​non erano stato e chiesa, ma due modi per leggere la stessa realtà 1.Dal regno all’impero I Pipinidi Nei decenni a cavallo tra VII e VIII secolo, i regni merovingi furono l’ambito di formazione di un nuovo gruppo parentale, i​ ​Pipinidi​, che seppero costruire un potere egemone sull’intero mondo franco, grazie a diverse azioni politiche: ● l’iniziativa militare​; ● la costruzione di una ​rete clientelare​ dell’aristocrazia d’Austrasia; ● l’occupazione della ​carica di maestro di palazzo nei diversi regni franchi​; ● la ​protezione offerta alla azioni missionarie del monaco Wynfrith. Una data chiava è il ​751​, quando ​Pipino III depose il re Childerico III e assunse il trono​, questo fu un punto di arrivo di un lungo processo di consolidamento del potere pipinide. L’incoronazione di Pipino III, il sostegno papale I passi che portarono all’incoronazione di Pipino III non sono facili da cogliere: il ruole del papato: gli ​Annali del regno dei Franchi​, pone ​l’intervento papale prima dell’incoronazione, per meglio legittimare Pipino​, ma nella deposizione di Childerico l’effettivo ruolo fu interno al mondo franco: fu la grande aristocrazia ad attuare attraverso l’intervento cerimoniale dei vescovi la sostituzione della dinastia regia. ​Il colpo di stato si 20 attuò rinchiudendo Childerico in monastero, tagliandoli la folta chioma e procedendo al rito dell’unzione del nuovo re, da parte del monaco Wynfrith. L’intervento del papa Zaccaria giunse dopo, ad approvare ciò che era avvenuto. Il nesso tra papato e pipinidi divenne rilevante pochi anni dopo, nel ​754​, quando papa Stefano II dovette prendere atto che la minaccia Longobarda non sarebbe stata fermata dall’impero Bizantino, troppo debole, e quindi si volse ai nuovi re Franchi, ​il papa superò le Alpi per incontrare Pipino a Saint-Denis, dove ripetè l’unzione anche ai figli Carlo e Carlomanno, legittimando l’insieme parentale di Pipino. La legittimazione del nuovo re Nel 754 si attuò un legame destinato a esiti importanti. Papa Stefano non cercava solo un alleato contro i Longobardi, ma un potere permanente di protezione verso la Chiesa di Roma -​ il papa attribuì il titolo di ​patricius​ ​a Pipino​. Pipino si ritrovò a legittimare il proprio potere, mise in gioco un sistema di legittimazioni, sul piano politico, cerimoniale e storico: ​l’unzione da parte di Wynfrith; il rinnovo dell’unzione da parte di Stefano II; l’alleanza stabile con Roma; la costruzione di un racconto dell’ascesa al trono orientato a legittimare la deposizione di Childerico Eginardo, il biografo di Carlo Magno, che introdusse la figura dei re fannulloni (Merovingi), sessant’anni dopo la prese del potere. La spedizione in Italia La più immediata conseguenza dell’incontro del 754 fu la ​spedizione di Pipino in Italia​, contro i Longobardi e il loro re Astolfo. La discesa in Italia di Pipino non fu una spedizione di conquista, ma piuttosto, coerentemente con le esigenze papali, un’azione tendente a frenare le ambizioni politico-territoriali longobarde e a bloccare la loro pressione nei confronti del papato e delle terre imperiali. ​Pipino scese in Italia, sconfisse Astolfo, lo costrinse a restituire al papato le terre conquistate (Ravenna) e poi ritornò in Gallia. Da Pipino a Carlo Questa spedizione non avviò un periodo di tensione e di conflittualità tra Franchi e Longobardi​, come si vede dopo la morte di Pipino, nel ​768​, quando la vedova Bertrada e i figli Carlo e Carlomanno avviarono una politica matrimoniale per creare una rete di legami tra Franchi, Longobardi e Bavari. Carlo o il fratello (o forse entrambi) si unirono in matrimonio con le figlie del re Desiderio. Fu una politica di equilibrio, che resse per pochi anni, fino alla morte di Carlomanno nel 771, Carlo si mosse in una più chiara prospettiva di espansione, rompendo i legami precedentemente creati. La tradizione franca prevedeva che il potere regio fosse considerato come parte del patrimonio del re e perciò fosse divisa tra tutti i suoi figli maschi. 21 Questo modello di trasmissione del potere, ripreso dalla dinastia Merovingia, non ebbe fine con i Pipinidi/Carolingi, ma ​per varie vicende i nuovi re poterono fruire di un lungo periodo in cui il potere rimase in un solo re​: prima ​Pipino​, il cui fratello Carlomanno aveva scelto la vita religiosa; poi​ Carlo​, che condivise il potere con il fratello Carlomanno dal 768 al 771, quando la morte di Carlomanno lo lasciò unico re; infine ​Ludovico il Pio​, che rimase unico erede dopo la morte dei fratelli. L’espansione territoriale Carlo rimasto l’unico re avviò una grandiosa campagna di espansione territoriale​, che gli meritò l'appellativo di Magno e che lo portò a costruire un dominio che comprendeva in larga parte l’europa occidentale (Francia, Belgio, Olanda, Germania, Svizzera, Austria e Italia centro settentrionale). La conquista più grande fu quella del regno Longobardo​:​ si trovò ad affrontare una struttura politica definita; la conquista permise di far fare al rapporto con il papato un salto di qualità. La conquista del regno Longobardo La conquista del regno longobardo non fu difficile, ma ​la conquista carolingia non andò a comprendere tutta l’Italia​: rimasero fuori i territori in mano bizantina e papali, ma anche la parte meridionale del dominio longobardo, il ducato di Benevento e Spoleto, rimasero autonome. Con questi limiti territoriali frastagliati, il dominio franco non cancellò l’identità politco-territoriale dell’Italia longobarda​, perchè lo stesso Carlo conservo alcuni elementi, si intitolò re dei Franchi e dei Longobardi; assimilò l’aristocrazia longobarda all’interno del proprio apparato di governo. La marca di Spagna e la Sassonia Brevi conflitti si succedettero dal ​778 al 813​, e portarono alla costruzione della cosiddetta marca Hispanica​, la fascia territoriale immediatamente a sud dei Pirenei. Fu invece di grande rilievo l’azione verso le terre​ poste a oriente, in particolare in ​Sassonia​. Sotto Carlo l’azione militare franca cambiò progressivamente natura, diventando il tentativo di incorporare la Sassonia nel regno e di assimilarne complessivamente la popolazione. Il conflitto prese anche una piega religiosa​, dato che ​i Sassoni erano pagani​ e nel 772, nella prima campagna militare, ​Carlo fece distruggere l’Irminsul​, un idolo di grande importanza per la religione sassone: ​lo scopo di Carlo era la sottomissione e l’assimilazione dei Sassoni​, e in questo contesto la dimensione religiosa era una delle componenti di una identità di popolo che si voleva cancellare. Quella contro i Sassoni fu una guerra lunga, che si protrasse dal 772 al 803​, con una serie di ribellioni, di massacri, di leggi emanate per porre sotto controllo questo popolo. La Baviera fu posta sotto un più diretto controllo​, limitando drasticamente le ambizioni autonomistiche del duca Tassilone, vassallo dei re carolingi; al col tempo venne costruita 22 Un territorio enorme pose grandi problemi di governo​; il re era itinerante, si muoveva in diverse aree dell’ Impero, ma non per questo poteva dare vita a una forma di governo diretto; era necessario un ​sistema di deleghe​; l’efficacia del potere carolingio si fondava sul coordinamento dell’aristocrazia laica e delle chiese. Conti e marchesi Per quanto riguarda l’aristocrazia laica, ​la funzione chiave era quella dei conti​, funzionari incaricati di governare a nome del re un territorio (​comitato​), al cui interno assolvevano di fatto tutte le funzioni spettanti al re: ​guida militare, giustizia, prelievo​. Alcune aree, poste ai confini o comunque militarmente delicate, erano organizzate in circoscrizioni più grandi, le marche​, e affidate ai marchesi: ​marche orientali​ (futura Austria) e per le​ marche spagnole​, ma la stessa cosa avvenne ad esempio in Friuli. ​Il potere dei marchesi non era diverso da quello dei conti. Conti e marchesi erano sempre esponenti di grandi gruppo parentali aristocratici​, ma la forza dell’Impero si espresse nella capacità di separare efficacemente la loro potenza personale da quella esercitata a nome dell’imperatore. ​Gli aristocratici assumevano funzioni di conte o marchese in aree lontane dalle proprie regioni di provenienza​. Era potente per il suo patrimonio personale, ed era potente perchè era un conte: ma le due basi di potere erano nettamente separate, e là dove assume le funzioni di conte, la sua potenza derivata dalla delega ricevuta, non dalla ricchezza personale. ​In questi decenni la carica di conte era temporanea​: si veniva trasferiti o sostituiti; ​a partire dagli ultimi decenni del IX secolo le funzioni comitali divennero via via più stabili​, fino a trasformarsi in concessione vitalizie ed ereditarie. Chi governava un territorio per decenni, consolidava nella stessa area anche la propria forza personale. Ma questa evoluzione ebbe inizio non prima della seconda metà del IX secolo. I ​missi ​regi I legami tra l’imperatore e le realtà locali erano garantiti anche da altri funzionari, i cosiddetti missi regis​, gli inviati del re. Le competenze sono meno chiaramente definibili: ​talvolta avevano un ambito territoriale specifico di riferimento, talvolta no; in alcuni casi si sovrapponevano all’ordinamento comitale​, in altri sembra fossero gli unici rappresentanti dell’imperatore. ​Possiamo definire i ​missi regi ​come gli occhi, le orecchie e la voce dell’imperatore. Funzioni e fedeltà L’apparato di governo non fosse fatto di sconosciuti reclutati per la loro competenza, ma di fedeltà del re, di aristocratici direttamente e strettamente a lui legati; Il vassallaggio 25 Il potenziamento dei Pipinidi all’interno del regno franco, tra VII e VIII secolo, si era attuato in misura rilevante grazie alla loro ​capacità di coordinare l’aristocrazia austrasiana in un sistema clientelare con chiare implicazioni militari​; un rapporto di fedeltà personale era anche quello che, nel regno longobardo, legava ai ​gasindii ​al sovrano. ​Queste forme di fedeltà assunsero una forma più definita negli ultimi decenni del secolo VIII, sotto Pipino III e Carlo Magno​, in quello che viene definito il rapporto vassallatico. Se il termine vassallo aveva ​in origine un’accezione che rimandava a una condizione sociale bassa​ e che poneva al centro l’idea di servizio, ​nella seconda metà del secolo VIII​ - ovvero durante il regno di Pipino III - ​si constata sia la sua diffusione, sia una nuova accezione del termine​: il vassallo era un uomo che giurava fedeltà militare a un potente, impegnandosi quindi a servirlo e in specifico a combattere per lui, ottenendo in cambio protezione e un sostegno economico (spesso nelle forme della concessione di una terra, detta in genere ​beneficium​) Il giuramento di Tassilone di Baviera La novità di questi decenni fu quindi la creazione di un rapporto più formalizzato​, con una più netta implicazione militare e il suo uso anche per definire rapporti politici ad alto livello. ​Una delle prime e più chiare attestazioni è infatti rappresentata dal legame che unì il duca di Baviera Tassilone a Pipino. Questa narrazione è una delle più antiche ed esplicite ​descrizioni del cerimoniale che portava alla formazione del legame vassallatico​ ed è importanti per diversi elementi specifici: i gesti che vengano compiuti, con il giuramento prestato sulle reliquie e la cosiddetta immixtio manuum​ ​(il momento in cui il vassallo poneva le sue mani tra quelle del signore, a esprimere la scelta di porsi sotto la sua protezione) Una rete di fedeltà armate Queste è il livello in cui i legami vassallatici erano più vistosi, ma la rete di fedeltà attraversava l’intera aristocrazia franca: vediamo ampie clientele vassallatiche dei re, ma anche dei maggiori aristocratici, la cui potenza era fatta in larga misura proprio di forza militare, cioè di creazione di controllo di un seguito armato, ovvero una rete di vassalli. ​La stessa forza dei re carolingi era costituita prima di tutto dalla capacità di coordinare al proprio seguito l’aristocrazia franca e di tradurre questo coordinamento in forza militare, ponendosi al vertice di una trama di rapporti vassallatici.​ Il vassallaggio divenne quindi un’integrazione del sistema politico franco, consolidando la solidarietà interna all’aristocrazia e ​polarizzandola attorno al potere regio​; è proprio attorno al potere e alla corte del re che l’aristocrazia trovava la propria coesione Conti e vassalli I vassalli regi furono l’ambito di normale reclutamento dei conti e dei marchesi​: non tutti i vassalli regi diventavano conti, ma i conti erano reclutati tra quelli di cui il re poteva fidarsi, ovvero prima di tutto i suoi vassalli. Questa prassi divenne una norma sotto Ludovico il Pio. I due piani non si confondevano, era chiaro a tutti che essere vassallo del re era cosa ben diversa da essere suo funzionario.​ Piuttosto i due piani so sostenenvano a vicenda: ​il legame tra il re e i suoi funzionari era rafforzato dal vincolo personale che li univa; e al 26 contempo la funzione come conti o marchesi era uno sviluppo del rapporto di solidarietà e aiuto reciproco che univa il vassallo al proprio signore.​ Le funzioni comitali avevano un carattere duplice: da un lato erano un ​servizio che il conte svolgeva a nome del re​ e quindi si collegava idealmente ai servizi del vassallo nei confronti del proprio signore; dall’altro lato erano un’​opportunità per questi aristocratici​, un’occasione per acquistare potere e per guadagnarsi la benevolenza del re. Il coordinamento dell’aristocrazia Per leggere i rapporti tra re e aristocrazia dobbiamo constatare che : ​gli imperatori si mossero in una prospettiva statale​, ovvero nell’ottica di costruire un apparato di governo con un sistema di deleghe e di responsabilità centrale e locali; dall’altro lato prendiamo atto che la sostanza di cui era fatto questo governo era il coordinamento della grande aristocrazia. La forza carolingia nasceva dalla capacità di coordinare l’autonoma potenza aristocratica, coinvolgendola in una rete di clientele e di funzioni, limitandone quindi il potere.​ Il re era potente perchè coordinava in modo efficace un’aristocrazia che disponeva a sua volta ricchezza e potere: ​era un equilibrio che si ruppe nella seconda metà del IX secolo​, quando si ridusse la capacità regia di distribuire agli agli aristocratici ricchezza e potere e si indebolì quindi il rapporto di fedeltà e servizio che aveva costituito il collante della società politica sotto Carlo Magno e i suoi successori. Il re e i liberi Nelle fasi di maggior forza il regno rivendicò la propria capacità di saltare la mediazione aristocratica e di conservare un rapporto diretto con i liberi. Lungo l’età carolingia vediamo in diverse occasioni gruppi di contadini che si presentavano davanti alla giustizia del conte o anche al palazzo regio per chiedere di essere difesi da un potente che tentava di sottometterli e asservirli. Questi contadini sono sistematicamente sconfitti, ma questo è dovuto a due elementi strutturali: da un lato la solidarietà che univa il re ai potenti e che orientava a loro favore le decisioni della giustizia regia; dall’altro il dato ovvio della conservazione documentaria, perchè sono le grandi chiese a conservare gli atti utili a provare i loro diritti, e quindi le sentenze a loro favorevoli. 3.Le chiese carolingie I rapporti di Pipino III e di Carlo Magno con il papato​ furono rilevanti non tanto dalla presa del potere da parte di Pipino, quanto piuttosto nel sollecitare gli interventi suoi e del figlio Carlo in Italia e poi nell’incoronazione imperiale di quest’ultimo. ​Dall’800 in poi si definì un intimo e stabile rapporto di cooperazione tra papato e Impero​, che di fatto entrò in crisi solo nel contesto della Riforma ecclesiastica dell’XI secolo. Re e vescovi I chierici non potevano giurare e non potevano combattere nè portare armi​: quindi il legame tra il re e i vescovi del suo regno non assunse mai le forme di vassallaggio. Né ​i vescovi 27 4.Dall’Impero ai regni L’equilibrio tra re e aristocrazia L’impero di Carlo Magno non fu una perfetta costruzione istituzionale​, ma piuttosto un efficace ​equilibrio tra la potenza aristocratica e il coordinamento regio​: bisogna valutare l’efficacia del potere regio nelle diverse fasi, senza dare un’importanza eccessiva nè alla morte di Carlo Magno nell’ 814, nè alla divisione tra i figli di Ludovico il Pio negli anni ‘40, che rappresentarono importanti momenti di transizione, ma non mutarono in profondità la natura e l’efficacia del potere regio. Il potere regio fondava la propria forza sul coordinamento efficace dell’aristocrazia e delle chiese. La continuità da Pipino II a Ludovico il Pio avesse assicurato la presenza di un solo re​ ( poi imperatore) dal 751 al 840 ma ​non avesse cancellato una cultura politica che vedeva nel potere un elemento del patrimonio regio​, destinato quindi a strasmettersi ereditariamente a tutti i figli maschi. Progetti di divisione Il problema si pose prima di tutto a Carlo​ nei primissimi anni del secolo, ​di fronte alle prospettive di una divisione tra i suoi tre figli​: ​Carlo​ (a cui destinò la parte centrale del dominio), ​Ludovico​ (insediato in Aquitania, la parte sud occidentale della Francia) e ​Pipino (a cui assegnò l’Italia, di cui era già stato incoronato re nel 781) La ​Divisio regni ​del ​806​ individuò diversi regni all’interno del dominio carolingio, ma insistette al contempo sul ​totum corpus regni​ ​(l’interno corpo del regno) e su un’idea di Impero come sovrastruttura istituzionale che trovava la sua origine nel nesso con Roma e consolidava l’identità unitaria di un sistema politico avviato verso la spartizione. Tuttavia la morte precoce di due figli fece si che alla morte di Carlo, nell’814, l’unico erede fosse Ludovico il Pio​, ma questo non evitò nessuna tensione interna al gruppo famigliare: oltre a gestire le ambizioni dei propri figli, c’erano anche quello di​ Bernardo, re d’Italia, figlio del fratello Pipino​. Ludovico affrontò la questione con la ​Ordinatio imperii​ ​dell​’817​, in cui affermò con maggiore forza l’idea di unità dell’Impero e di fatto ​ruppe con la tradizione franca di spartizione​: ​nominò quindi il primogenito Lotario coimperatore e suo unico erede​, attribuendo ai figli Pipino e Ludovico nuclei territoriali minori, rispettivamente Aquitania e in Baviera. 30 Ribellioni e solidarietà regionali Fu una scelta che creò tensioni​, ma soprattutto portò alla ​ribellione del nipote Bernardo​, che si vide escluso ogni prospettiva ereditaria e seppe raccogliere attorno a sè una quota consistente di aristocrazia italiana. ​La ribellione non ebbe successo, Bernardo fu imprigionato e accecato. NB! ​Questo è importante perchè si vede come l’aristocrazia clientelare attorno ai Carolingi non si traducesse solo in sostegno politico all’imperatore, ma potesse dar vita a forme di solidarietà anche regionali. Il radicamento italiano prima di Pipino, poi del figlio Bernardo, aveva dato vita a una rete clientelare specificamente italica, che si andò a contrapporre all’imperatore. NB!​ ​Non fu un’identità nazionale o patriottica, non era il mondo italico a contrapposti all’impero​, ma certo il sistema clientelare costruito da Bernardo aveva una connotazione territoriale. Nella seconda metà del secolo, dopo le partizioni che suddivissero l’Impero tra gli eredi di Ludovico il Pio: vedremo come in quel contesto il processo di redistribuzione delle risorse dai re alle loro clientele abbia subito una profonda frammentazione; se la ribellione di Bernardo fu rapidamento sconfitta, un ​ulteriore motivo di squilibrio fu la nascita di Carlo il Calvo​ ​nell’823​, figlio di Ludovico il Pio e sua moglie Judith. Judith orientò la politica di Ludovico in direzione diversa dall’ ​Ordinatio Imperii dell’817. Il regno di Ludovico fu segnato da ricorrenti tensioni all’interno della famiglia carolingia. Nell’833 Ludovico fu sconfitto a Colmar dai figli​ nati dal primo matrimonio - ​Lotario, Pipino e Ludovico ​- che si vedevano minacciati dal fratello Carlo e arrivarono a deporre il padre in un concilio in cui i vescovi franchi costrinsero l’imperatore a fare penitenza per i suoi peccati​, per poi dichiararlo indegno del titolo imperiale, che rimase nelle mani di Lotario. 31 NB! ​Le discordie tra i figli permisero a Ludovico di tornare sul trono già l’anno successivo. Il figlio di Ludovico il Pio Alla morte di Ludovico il Pio, nell’840, le tensioni tra i figli sfociarono in un conflitto aperto che oppose Lotario, Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo​ (mentre il fratello Pipino era già morto nel 838) Sono particolarmente importanti: ● la battaglia di Fontenoy​ dell’ ​841​, in cui Lotario fu sconfitto dai fratelli; ● i giuramenti di Strasburgo​, che nell’842 sancirono l’alleanza tra Ludovico e Carlo; ● la pace di Verdum​ dell’843, che pose fino al conflitto. A Fontenoy la battaglia si ridusse in un massacro, mostrando come la l’unita aristocratica attorno all’imperatore fosse finita. A Strasburgo Ludovico e Carlo si coalizzarono contro Lotario​, ma è significativo per le forme assunte dal ​doppio giuramento​: per farsi capire dai due eserciti, ​Carlo prestò giuramento in tedesco, Ludovico in lingua romanza, l’antenato del francese​. Questa presa d’atto ​si tradusse sul piano politico-territoriale​ l’anno dopo, a Verdum, quando i tre fratelli spartirono l’Impero: ​a Carlo andò il cosiddetto regno dei Franchi occidentali (l’attuale Francia), ​a Ludovico il Germanico quello dei Franchi orientali ​( la Germania), mentre ​Lotario ottenne​ una fascia intermedia, ​che dal Nord al Sud andava dall’Alsazia fino all’Italia.​ Fu Lotario a tenere il titolo di Imperatore: era il primogenito, l’erede designato ed colui che controllava l’Italia, colui che tutelava la Chiesa di Roma. NB!​ Si rinnovò e si rese operativa la tradizione franca di spartizione del regno, ma si rinunciò a un’idea di Impero come struttura operativa unitaria. L’impero carolingio non fu mai più un quadro politico-territoriale di concreto riferimento. Si costruirono invece forme di organizzazione politica regionale. Gli ultimi carolingi La seconda metà del secolo fu segnata dall’articolarsi della famiglia carolingia, con una progressiva ​centralità assunta da Carlo il Calvo​, che culminò nella sua ​incoronazione imperiale nell’ 875​, poco prima della morte nell’ 877. Nell’888 un figlio di Ludovico, Carlo il Grosso, che aveva formalmente unito il dominio carolingio, segnò con la sua morte la fine della dinastia​: non la fine biologica, ma la sua esclusione dai vertici del potere. Negli anni successivi i Carolingi tornarono a tratti sul trono di singoli regni, ma non furono più la dinastia dominante e soprattutto il loro potere non fu più un fattore unificante dei territori dell’impero. NB! 32 ● i kharigiti​, ritenevano che​ il califfo dovesse essere scelto unicamente per merito​, indipendentemente dalla sua appartenenza tribale o familiare. La rottura si realizzò nel 661 con l'uccisione di Alì, quarto califfo. Nella maggior parte del mondo islamico prevalse l’orientamento sunnita​ e la funzione califfale fu assunta dalla dinastia degli Omayyadi. In opposizione al potere Omayyadi, in alcuni settori del mondo islamico di conservò la tradizione culturale-religiosa che richiamava ad Alì. Qui ebbe origine l’opposizione tuttora viva tra Sunniti e Sciiti. I califfi omayyadi Gli Omayyadi posero fine al califfato elettivo e conservarono il potere fino al ​751​, con quattordici successivi califfi. Fu sotto i primi califfi che si completò l​’espansione territoriale dell’Islam​ e questo pose problemi con la convivenza tra gli Arabi e le popolazioni sottomesse.​ Il califfato aveva una doppia natura​: da un lato un ​carattere etnico​, come dominio degli Arabi su altre popolazioni; dall’altro un ​carattere religioso​. Queste due caratteristiche erano intrecciate, dato che l’Islam era concepito dall’èlite al potere come la religione degli Arabi, con un diretto legame tra identità etnica e identità religiosa. Gli Arabi e le altre popolazioni All’interno del dominio islamico, ​esistevano due disuguaglianze​:​ una regolata ed esplicita, tra islamici e non islamici​; l’altra, meno esplicita ma di grande incidenza, ​tra gli Arabi e gli islamici di origine non araba​. La prima distinzione - ovvero​ la contrapposizione di fede - non si tradusse in forme di persecuzione​, dato che fu ampia la tolleranza verso altre fedi, in particolare verso Cristianesimo e Ebraismo; i sudditi del califfo poterono praticare la propria fede, ma furono posti in ​una condizione giuridica inferiore​, con l’obbligo di pagare una tassa specifica. La divisione tra Arabi e non Arabi non era formalizzata in modo così chiaro,​ ma i nuovi fedeli potevano integrarsi solo legandosi come clienti a una tribù araba. Gli Omayyadi posero il proprio centro a Damasco​, in Siria, e questo portò a una marginalità politica della penisola arabica, riducendo la Mecca e Medina a centri di rilievo esclusivamente religioso. Fu anche la fase di sistemazione della fede islamica​:​ il Corano fu oggetto di una profonda opera di interpretazione e commento​, che costituì la base di riferimento per l’Islam dei secoli successivi. Quest’opera di riflessione si sviluppò in parallelo alla grande conquista e all’islamizzazione di nuovi territori, e la stessa riflessione fu via via influenzata dalle tradizioni delle popolazioni sottomesse. Il secolo Omayyade fu segnato dal lento processo di affermazione del carattere universale dell’Islam​ e di superamento della sovrapposizione del carattere universale dell’Islam e del superamento della sovrapposizione tra identità religiosa islamica e identità etnica araba. 35 Troverà compimento con l’ascesa al potere, nell’VIII secolo, degli Abbasidi e con lo spostamento del centro califfale a Baghdad. Una rottura economica L’affermazione islamica su larghi settori del Mediterraneo ebbe al contempo riflessi importanti sul piano economico. Il Mediterraneo del VII secolo da tempo non era più un’unità economica. Bisanzio traeva sostegno dalle province più produttive sul piano agrario: Egitto, Tunisia e la Sicilia; la perdita delle prime due costrinse Bisanzio a dare una nuova importanza alla Sicilia. Il mutamento economico fu probabilmente meno radicale per le popolazioni che passarono sotto il dominio islamico: ​dal punto di vista amministrativo e fiscale il califfato fu pienamente un erede delle strutture romane e conservò un sistema di di prelievo coerente con i precedenti modelli imperiali. 2.Bisanzio: crisi e riorganizzazione di un Impero La riduzione a orizzonti regionali Dalla metà del VII alla fine del VIII secolo, l’Impero romano d’Oriente subì i pesanti effetti dell’affermarsi di due nuove dominazioni​, che intaccarono profondamente l’Impero sul ​piano territoriale e su quello ideologico​; l’espansione dell’Islam sottrasse all’Impero ampi territori del Mediterraneo orientale e meridionale. Alla fine del secolo seguente, ​l’affermarsi in Europa dell’Impero carolingio intaccò in minima parte i territori imperiali​, ma si pose in diretta concorrenza sul piano ideologico, con l’attribuzione a Carlo Magno del titolo imperiale, richiamo alla tradizione romana, sia alla capacità di proteggere la Chiesa di Roma. Da questa fase possiamo parlare di Impero Bizantino: il richiamo alla romanità fu una dato costante di tutta la storia dell’Impero, fino alla sua caduta del 1453, ma i mutamenti tra VII e VII secolo tolsero all’Impero una prospettiva universale, trasformandolo in una dominazione regionale, polarizzata sull’Egeo e attorno alla capitale. La crisi di Giustiniano Per capire questi mutamenti dobbiamo risalire alla fine del Vi secolo, quando andò rapidamente ​declinando il progetto giustinianeo​: i progetti militari rinnovarono le pressioni sui confini di popolazioni ostili; al contempo il lungo impegno militare svuotò le casse dello stato, portando a irrequietezza nel settore militare che faticavano a ricevere lo stipendio; infine ​le tensioni religiosi avevano reso difficili i rapporti sia con la cristianità occidentale sia con le religioni ​che, ai confini con l’Impero persiano, avevano conservato posizioni monofisite condannate dai concili del V e VI secolo. 36 NB! ​ ​Monofisismo è il termine usato nella teologia cattolica e nella storiografia occidentale per indicare la forma di cristologia, elaborata nel V secolo dall'archimandrita greco Eutiche, secondo la quale la natura umana di Gesù era assorbita da quella divina e dunque in lui era presente solo la natura divina. L’ordinamento tematico Sul piano militare, una svolta significativa fu segnata dal regno di Eraclio​ (610-641), ​che si affermò sull’Impero persiano fino a eliminarne di fatto la minaccia per Bisanzio; ma quella vittoria fu la premessa per il dominio islamico. L’Impero bizantino, nei primi secoli di vita, aveva conservato alcune scelte fondamentali dell’età romana, e in particolare da un lato la netta separazione tra potere amministrativo e potere militare e dall’altro un esercito stipendiato grazie alle tasse prelevate soprattutto nelle grandi province cerealicole. Si abbandonò il complesso sistema provinciale organizzato da Costantino, in favore di un’organizzazione per temi​: ​la parola ​thema​, che in origine si riferiva a un corpo militare, passò a indicare una struttura istituzionale​, il complessivo inquadramento di una piccola regione. ​Al suo interno, la difesa fu affidata a militari di professione​, il cui mantenimento era garantito dalla concessione di terre e di esenzioni fiscali. Fu una trasformazione lenta e profonda, avviata da Eraclio, ma compiuta dai suoi successori, in conseguenza alla conquiste islamiche​. L’iconoclasmo Su un piano diverso, un nuovo momenti di rottura nella storia di bizantina fu rappresentato dal movimento​ iconoclastico​ e dalla sua affermazione alla corte imperiale. L’iconoclasmo fu un orientamento religioso che riteneva necessaria, per un culto più puro, la distribuzione delle immagini religiose: è possibile che all’origine di questo fenomeno ci sia l’influenza della religiose islamica. D’altronde le immagini sacre e il loro culto potevano certo indurre più di una perplessità, in quanto potenziali fonti di idolatria e quasi di politeismo; ​era facile contestare le immagini di Cristo, che poteva rappresentare la sua natura umana, ma certo non quella divina. A questa obiezione gli iconoclasti rispondevano ricordando che il ​concilio di Calcedonia aveva si affermato l’unione delle due nature in Cristo, ma aveva anche ribadito che entrambe le nature avevano pienamente conservato le proprie caratteristiche, e quindi era del tutto lecito rappresentare la natura umana di Cristo. Gli imperi iconoclasti L’editto con cui nel ​730​ l’imperatore ​Leone III​ vietò la venerazione delle immagini era necessariamente destinato a creare gravi conflitti, all’interno e all’esterno dell’impero​: all’interno, perchè il culto delle immagini aveva un ruolo di grande rilievo per la ​religiosità di monaci e laici​; e all’esterno, perchè questa scelta poneva Bisanzio in diretta contrapposizione alla Chiesa di Roma e in generale alla cristianità occidentale. 37 popolazione molto varia​ (aristocrazia araba; truppe berbere del Nordafrica; popolazioni locali convertite, cristiane o ebrei). Questa grande capacità di governo permise all’emirato di affermarsi come una delle maggiori potenze europee del secolo X​, ponendosi su un piano di parità rispetto al califfato di Baghdad, tanto che il califfato di al- Andalus ricevette il titolo califfale nel 929, in diretta concorrenza sia con gli Abbasidi di Baghdad, sia con i Fatimidi d’Egitto. Il dominio islamico, concentrato sulla florida città di Cordova​ rimase nel complesso unito nel X secolo, per poi articolarsi in dominazioni autonome che a partire dalla fine dell’XI secolo subirono la pressione militare dei regni cristiani, nel cosiddetto movimenti di ​Reconquista​. La conquista della Sicilia Lungo il IX secolo, si affermò con la ​conquista della Sicilia​, un secondo nucleo di dominazione islamica sul Mediterraneo. Dal​ 827​ gli Aghlabiti dell’Ifriqiya avviarono una vera e propria campagna di conquista, che si concluse solo alla fine del secolo. La presenza stabile in Sicilia si trasformò in un dominio organizzato e unitario, e divenne base anche per le incursioni nelle aree peninsulari. A partire dal 916-917 fu sottomessa alla potente dinastia dei Fatimidi​, ma lo spostamento verso l’Egitto dei loro interessi lasciò spazio a dinastie locali. L’isola fu conquistata dai Normanni e quindi riunita all’Italia peninsulare meridionale​. Gli imperatori basilidi Al dominio bizantino, nel ​867​, salì al trono ​Basilio I​, i cui discendenti conservarono il potere fino al ​1025​ e segnarono una fase di ​rafforzamento di Bisanzio​: la dinastia realizzò un ampliamento dell’Impero; ma al contempo gli imperatori basilidi ​costruirono una rete di fedeltà e legami politici e spirituali con le dominazioni confinanti​, un insieme di territori formalmente autonomi ma che rientravano pienamente nell’orbita di influenza dell’Impero, ne subivano l’egemonia e un efficace controllo indiretto. Le divisioni teologiche tra Roma e Costantinopoli Fu una divisione politica, ma fu anche una divisione tra le ​chiese di Roma e di Costantinopoli​; ma sul piano teologico le divisioni non furono mai sancite. ​Una questione chiave fu quella detta del​ ​Filioque​: il credo elaborato a ​Nicea nel 235​ aveva subito un’interpolazione nella sua versione latina, che ​recitava quindi che lo Spirito santo procede il dal Padre ​e dal Figlio​ (Filique​, in Latino), posizione ritenuta inaccettabile dal credo orientale, affermava invece che lo spirito santo procedesse unicamente dal Padre. Le dominazioni slave 40 La contrapposizione tra i patriarchi di Roma e Costantinopoli fu uno degli elementi che in questi secoli articolavano una più complessa opposizione tra gli ambiti di potere che facevano capo ai due imperi. Oggetto delle pressioni concorrenti dei due imperi furono in particolare gli ​Slavi​, un mondo variegato e frammentato, per cui la definizioni unitaria di Slavi è senza dubbio una semplificazione. Si trattava di un insieme complesso di popoli​, con alcuni caratteri culturali e linguistici comuni, che in alcune fasi trovarono forme di ampio coordinamento politico. ​Due sono le dominazioni ricordate i ​Bulgari​ e la cosiddetta ​Grande Moravia​. ​I Bulgari esercitarono una pressione militare sui confini imperiali lungo il VIII secolo per poi subire un processo di assimilazione religioso-culturale nella seconda metà dell’ IX secolo​; ma i decenni successivi furono segnati da una ripresa dell’azione militare contro l’Impero, che nei primi anni del X secolo culminò in una ​minaccia diretta alla capitale ​e in un trattato di pace largamente favorevole ai Bulgari, con un ​accordo matrimoniale​ tra la figlia del khan Simeone e l’imperatore minorenne Costantino VII. Il patto fu però cancellato con l’affermazione a Costantinopoli di un nuovo imperatore, Romano Lecapeno, e il potere dei Bulgari declinò. Tra IX e X secolo andò affermandosi la Grande Moravia, un dominio esteso tra i territori delle attuali Germania, Boemia e Ungheria, che arrivò a coordinare molte popolazioni slave, per poi dissolversi nel corso del X secolo. Costantino e Metodio Queste diverse dominazioni slave si orientarono verso il cristianesimo​ (che offriva un riferimento religioso; gerarchizzazione della società e una legittimazione del potere regio) I principi slavi cercavano la conservazione, ma t​emevano una sottomissione a uno dei due grandi imperi cristiani.​ Non è quindi casuale la scelta verso il patriarcato più lontano. La chiave del successo di Bisanzio fu la lingua​: negli anni centrali del IX secolo operarono nelle terre slave due fratelli missionari, ​Costantino e Metodio​, esperti conoscitori della lingua slava, che ​crearono una grafia apposita per rendere fedelmente i suoni di questa lingua. Con questa scrittura poterono tradurre i principali testi sacri e liturgici e di ​avviare un processo di assimilazione culturale delle popolazioni slave. La pressione bizantina sull’Italia Ebbe caratteri profondamente diversi la rinnovata pressione bizantina verso l’Italia. Area in cui: ● impero carolingio attirò sotto la sua orbita i territori bizantini del centro-nord; ● conquista islamica della Siclia; 41 Basilio I non potè intervenire in modo significativo nè nella Sicilia islamica, nè nelle terre in mano carolingia​; cercò invece di ​coordinarsi con i sovrani carolingi per cancellare le basi islamiche nelle aree peninsulari​, consolidando il proprio potere tra Puglia e Calabria. Dal punto di vista territoriale fu un’azione molto limitata​: oltre ai domini diretti carolingi, anche Venezia, Ravenna, Roma, il principato longobardo di Benevento e la Sicilia islamica restarono irrimediabilmente al di fuori dalla portata dei sovrani bizantini. Capitolo 5 Società e poteri nel X secolo I territori già compresi nell’Impero carolingio nel X secolo seguirono percorsi diversi ma coerenti: divergenti, perché i diversi regni svilupparono proprie dinamiche politiche specifiche; coerenti, perché le principali linee di tendenza furono comuni. 1.I mutamenti dei poteri comitali L’impero non crollò sotto il peso di massicce invasioni militari dall’esterno, ma mutò natura dall’interno​, in conseguenza della divisione in regni distinti e soprattutto per un cambiamento capillare dei comportamenti politici dell’aristocrazia e delle chiese. Sicuramente tra la fine del IX secolo e la metà del X secolo le terre dell’Impero furono ​colpite da nuove minacce militari​ (​Saraceni, di Ungari e Normanni​): ​le incursioni non furono la causa della crisi dell’Impero​, ma ne furono piuttosto la conseguenza, furono rese possibili dalla ridotta capacità militare carolingia. Un nuovo equilibrio tra re e aristocrazia A partire dalla metà del IX secolo ​le divisioni dell’Impero tra diversi esponenti della dinastia carolingia indussero una profonda trasformazione nei rapporti tra i re e la grande aristocrazia​. Questi rapporti avevano assunto sotto Carlo Magno una ​duplice veste​, con la convergenza attorno al re di rapporti vassallatici e incarichi funzionarili​, due sistemi concettualmente separati che si intrecciarono a dar vita a un rapporto di efficace 42 sul possesso fondiario. Tra queste dinastie, la famiglia comitale spiccava per rilevanza, per legittimità e spesso per ampiezza del patrimonio. Vescovi e città Nel corso del X secolo un ulteriore elemento di diversificazione del territorio fu la formazione dei poteri vescovili sulle città​: la convergenza delle comunità cittadine attorno ai vescovi, le concessioni regie in loro favore​, la difficoltà di controllare comunità complesse e socialmente stratificate, indussero o costrinsero in molti casi gli ufficiali regi ad allontanarsi dai centri urbani per concentrarsi sui propri possessi fondiari nelle campagne; è interessante mostrare il potere discontinuo dei conti, con aree di forza e di debolezza, e con un’assenza pressoché totale dei conti in alcuni settori del territorio. Ci fu un cambiamento strutturale sia nel legame tra il regno e le realtà locali, sia nel rapporto tra aristocrazia e territorio, e più in specifico tra i grandi funzionari regi e i distretti loro affidati. Tutte queste evoluzioni ci mostrano chiaramente un indebolimento del controllo del re sul territorio e sui propri funzionari, ma anche una discontinuità dello stesso controllo dei conti sui territori. 2.Minacce esterne: le incursioni di Saraceni, Ungari e Normanni Mobilità militare Il periodo compreso tra gli ultimi decenni del IX secolo e la metà del X secolo fu segnato da un’​intensa mobilità di gruppi armati che dall’esterno dell’Impero carolingio partirono per una serie di incursioni e saccheggi nelle ricche terre dell’Italia, della Francia e della German​ia. Queste bande, per quanto agissero in modo autonomo e disordinato, possono essere ricondotte a tre identità etniche:​ i Normanni, provenienti dalla Scandinavia; gli Ungari, insediati nell’attuale Ungheria; e i Saraceni, bande di pirati attivi in diversi punti del mediterraneo. Le minacce del mare i Saraceni I Saraceni rappresentano sicuramente il gruppo dai contorni più indefinti e sfuggenti​: se tradizionalmente erano identificati come pirati islamici proveniente dalle coste meridionali del Mediterraneo, negli anni questa identificazioni è stata messa in dubbio; ​ci troviamo davanti a gruppi etnici misti, impegnati in attività di saccheggio via mare​, con incursioni a partire dagli anni ‘60 del IX secolo; ma con il finire del secolo costituirono basi permanenti sulle coste settentrionali del Mediterraneo, ​nella baia di Saint-Tropez​, da cui partirono le spedizioni nell’entroterra e oltre le Alpi. Non fu mai un tentativo di espansione territoriale islamica, ma l’accentuarsi di una pirateria marittima, questi gruppi armati seppero muoversi tra le coste e l’entroterra dell’Europa meridionale. Gli Ungari tra Germania e Italia 45 Le incursioni Ungare si attestano tra la metà del IX secolo e la metà del X secolo​, si contano una trentina di pesanti incursioni di cavalieri ungari tra la Germania e l’Italia settentrionale. Gli Ungari attraversarono le grandi pianure dell’Europa centrale e le Alpi a cavallo, e sempre a cavallo combattevano con grande efficacia, saccheggiarono luoghi come Pavia e la Lorena. Questa efficacia militare li rese nemici pericolosi, ma anche preziosi alleati: nelle lotte politiche che segnarono il regno di Italia i diversi aspiranti si allearono con contingenti Ungari. La conflittualità tra Germania e Italia fu una grande opportunità per gli Ungari. Furono le evoluzioni interne al mondo post carolingio a segnare la fine delle incursioni ungare​: se ​gli aristocratici dell’Italia del nord e del Midi francese si allearono nel 972 per distruggere le base Saracene di ​Frazinetum​,​ vent’anni prima era stato il re Ottone I di Sassonia a guidare l’aristocrazia tedesca nella ​battaglia di Lechfeld (955)​, che segnò la sconfitta definitiva degli Ungari ​e avviò la trasformazione del loro regno. Negli anni successivi le scorreria si arrestarono e iniziò la​ conversione degli Ungari al Cristianesimo​ e ​l’Ungheria divenne un regno stabilmente alleato della Germania. Le incursioni del mare del Nord I Normanni​: ​lo sviluppo degli scambi nel mare del Nord aveva stimolato la mobilità dei popoli scandinavi​, in operazioni commerciali e di pirateria. Questa mobilità è evidente già tra VIII e IX secolo​, in direzione diverse: ​verso la Russia, verso l’Inghilterra e verso le coste settentrionali dell’Europa​, tra le Fiandre e la Francia. In queste diverse zone, popolazioni sostanzialmente affini furono identificate con nomi diversi: Vareghi​ a est, ​Vichinghi​ sulle isole britanniche, ​Normanni​ nel nord della Francia. A est prevalse la dimensione commerciale: un commercio legato ai Vareghi, che seppero trasformarlo in stanziamenti stabili, con la creazione di ​emporia​, insediamenti fortificati destinati a funzionare prima di tutto come luoghi di scambio. ​Assunsero progressivamente centralità politica e nel corso del X secolo diedero vita a costruzioni politico-territoriali autonome: in particolare il ​principato di Kiev​ divenne una delle maggiori dominazioni dell’Europa orientale. Dalle incursioni alla stabilità In Occidente, l’azione militare dei Normanni può essere scandita in tre fasi: ● piccole incursioni​ di rapina sulle coste dell’Inghilterra e della Frisia, ma anche sulle coste della Francia (lungo i primi decenni del IX secolo); ● nei decenni centrali del secolo le ​incursioni aumentarono​, andando a toccare città come Londra (851) e Parigi (885); ● alla fine del IX secolo​ le incursioni si trasformarono in insediamenti stabili​, in Inghilterra nella Mercia e nella Anglia; al nord del regno Franco, questo insediamento nel 911 fu riconosciuto dal re Carlo il Semplice, dando vita al ducato di Normandia. La formazione del ​ducato di Normandia​ fu un evento completamente diverso dalla vittoria di Ottone I sugli Ungari​: nel caso degli Ungari la sconfitta li costrinse fuori dall’Impero, ma diede anche inizio a un processo di avvicinamento politico, religioso e culturale al mondo 46 germanico; nel caso dei Normanni, ​Carlo il semplice era molto più debole di Ottone I, e potè ottenere una forma di pace con la ​concessione di un settore regio​.​ Ma anche in questo caso si avviò un ​processo di assimilazione​: i Normanni si convertirono e il ducato diventò analogo ai territori francesi. L’espansione normanna ebbe un esito importante su una scala territoriale più ampia, dato che ​tra X e XI secolo il mare del Nord divenne un mare normanno​, si creò una trama di parentele e alleanze tra ​Scandinavia, Danimarca, Norvegia e Inghilterra​, questa trama fu la base che riuscì ad unire, per i primi anni del secolo XI, i regni d’Inghilterra, Danimarca e di Norvegia. Conseguenze di lungo periodo I Normanni furono i soli a trasformare la propria azione militare in stanziamento permanente e di dominio politico​; ma non per questo le incursioni di Saraceni e Ungari furono senza conseguenze, lasciarono un segno sul piano culturale e dell’immaginario, e la paura delle incursioni divenne un dato dominante per molti decenni. La debolezza del controllo militare regio ad aprire le porte a forme di brigantaggio e saccheggio più o meno sistematico; e fu la reazione delle forze interne al mondo carolingio a consentire una pacificazione e un controllo di questa mobilità. L’esigenza di organizzare la difesa la si ritrova a livello locale, ​nei decenni iniziali del X secolo che assistiamo alla prima diffusione dei ​castelli. Non furono le incursioni a provocare la nascita dei castelli: ​le incursioni stimolarono l’azione militare locale e la costruzione dei primi castelli, ma queste costruzioni andarono ben oltre le incursioni​, dopo la fine delle incursioni signori e chiese continuarono a innalzare fortificazioni. 3.Il potere dei re In questa fase scomparve totalmente l’attività legislativa regia e nel X e XI secolo furono del tutto eccezionali i provvedimenti con valore generale.​ Questo non significa che i re non intervenissero nella vita politica, ma lo fecero con azioni e testi diversi, prima di tutto i diplomi, ovvero concessioni accordate a un singolo destinatario. Una constatazione attiva In molte aree i re dovevano limitarsi a quella che si può definire come una ​constatazione attiva​ dei nuovi poteri signorili​: i re non erano in grado di dare vita alle strutture locali del potere, dato il potere autonomo dei signori; ma è una constatazione attiva, perchè​ il regno era comunque in grado di legittimare, promuovere e indirizzare gli sviluppi politici locali. I diplomi politici favorirono quei poteri che conservavano un rapporto di fedeltà con il re, concedendo loro sia risorse materiali, sia risorse immateriali (legittimità). L’efficacia di questi diplomi di coglie dal fatto che gli stessi s​ignori si impegnavano per ottenerli​, anche solo quando si trattava di confermare il proprio patrimonio. 47 Le tensioni tra Ottone e il figlio si trasformarono in un vero e proprio conflitto​: se la discesa in Italia di Ottone sembrava la premessa per un pieno controllo del regno d’Italia e sulla corona imperiale, questo progetto non si potè mai attuare immediatamente perchè il re dovette impegnarsi a condurre lo scontro con il figlio in Germania. Il conflitto si risolse a suo favore nel 954, con un atto di sottomissione da parte di Liutdolfo. L’impero ottoniano Su queste premesse e fondandosi un regno di Germania pacificato, ​nel 961 Ottone potè scendere di nuovo in Italia e prendere direttamente possesso del regno, l’anno successivo ottenne a Roma la corona imperiale. Da questo momento in avanti si definì un quadro politico sostanzialmente stabile, con l’Impero costituito dall’unione dei regni di Germania e Italia; in questo quadro si collocarono i meccanismi di ascesa al trono: il re di Germania veniva eletto dai principi tedeschi, doveva poi scendere in Italia per prendere in Italia il posssesso di questo regno e infine recarsi a Roma per ottenere la corono imperiale. A partire da Ottone si affermò una vera e propria dinastia regia. Si ripropose una continuità familiare, come in età carolingia, dobbiamo notare differenze importanti: la successione al trono avveniva all’interno della famiglia, ma con il consenso dei grandi del regno; con più chiara un’idea di linea dinastica, a vantaggio esclusivo del primogenito. Il controllo dell’aristocrazia ducale Questa convergenza attorno agli Ottoni si comprende meglio se si considera com’era costituita l’aristocrazia ducale: ​la forza di Ottone I e del figlio si espresse nella sistematica occupazione delle diverse sedi ducali con membri del loro stesso gruppo parentale. Si delineò un sistema di potere solido, con occupazione dei ruoli di potere nel regno da parte di un unico gruppo parentale. Le cose cambiarono con Enrico II, che apparteneva ad un ramo collaterale della famiglia, che promosse l’ascesa ai nuovi duchi non appartenenti al gruppo parentale regio. La renovatio Imperii Ottone III pose al centro della propria ideologia la nozione di ​Renovatio Imperii Romanorum​: il linguaggio e il cerimoniale si arricchirono di elementi tratti sia dalla tradizione occidentale, sia da quella bizantina, al fine di esprimere un’identità imperiale alta, in riferimento a quella romana. Il riferimento a Roma non era solo un richiamo al passato, ma una volontà di intervenire sul presente​: nel 966 Giovanni XV morì, ​Ottone impose come papa un proprio cugino, ​Bruno di Worms​, che divenne ​Gregorio V​ e pochi mesi dopo incoronò Ottone imperatore. La nomina di Gregorio fu del tutto nuova; dopo il declino dell’Impero carolingio,​ l'aristocrazia romana nel X secolo aveva avuto il pieno controllo dell’elezione papale​; non a caso i romani si ​ribellarono​ all’elezione di Gregorio, ​tanto che dovette intervenire militarmente Ottone, nel 998. 50 L’anno successivo alla morte di Gregorio, Ottone impose come papa Gerbet d’Aurillac, che assunse il nome di Silvestro II. Questa prassi di nomina di papi non ebbe seguito. Enrico II e Arduino Nel ​1002 ​la morte precoce di Ottone III aprì una breve crisi dinastica​, che si risolse con l’ascesa al trono del cugino, ​Enrico II​. Enrico diede spazio a nuovi gruppi aristocratici. Dal punto di vista italiano la successione di Ottone III a Enrico II ebbe implicazioni​: ​un gruppo di grandi aristocratici​ dell’Italia settentrionale si radunò a Pavia per incoronare ​re d’Italia Arduino, marchese di Ivrea​. Arduino sul trono fu veloce: dopo una breve resistenza, fu​ sconfitto ​da Enrico nel ​1004​ lasciando il regno ad Enrico. Arduino non demorse, e solo una nuova discesa in Italia di Enrico, nel 1014, sconfisse Arduino che si ritirò in monastero e poco dopo morì. 3.3 Francia Oddone di Parigi e Carlo il Semplice Il declino della dinastia carolingia aprì il campo nella lotta per il regno, e una svolta fondamentale fu segnata dalla morte di Carlo il Grosso, nell’888: prese infatti il potere Oddone di Parigi​. Anche qui si trovarono a contendersi la corona le maggiori dinastie principesche del regno: alcuni settori dell’aristocrazia decisero di appoggiare ​Carlo il Semplice​, che fu incoronato nel 893 e si contrappose a Oddone, la cui morte nel 898 rese Carlo unico re di Francia. Fu un re debole​, frenò i Normanni concedendo a Rollone un ampio settore del regno; la sua debolezza divenne palese nel ​922, quando i grandi del regno lo deposero. Principi territoriali I grandi del regno sono un'evoluzione strutturale del regno francese: ​il cambiamento più profondo fu dal diversificarsi del territorio del regno, dalla sua suddivisione in principati regionali largamente autonomi​. Regioni come la ​Borgogna, la Champagne, l’Aquitania​ si organizzarono attorno ad altrettante ​dinastie di conti e duchi. Negli anni successivi l’aristocrazia francese pose sul trono prima ​Roberto di Neustria​, poi Rodolfo di Borgogna​; ​si scelsero i re all’interno del gruppo parentale di Oddone​, ma si evitò di attribuire la corono al figlio, Ugo il Grande. In questi decenni i grandi principi di Francia cercano di affermare il proprio potere di scegliere il nuovo re; ma nessuno poteva negare l'esistenza di una nuova dinastia che cercava di affermarsi,​ i Robertini. 51 L’affermazione dei Capetingi Nel 936, alla morte di Rodolfo di Borgogna: Ugo il Grande, nonostante la sua potenza, decise di non imporre la propria elezione a re​ e preferì far tornare dall’esilio il figlio di Carlo il Semplice, Ludovico IV, con cui i Carolingi ripresero il trono di Francia, che tennero fino al 987. La scelta di Ugo fu un segno di realismo: ​la forza dei Robertini era notevole. Le dinastie principesche rappresentavano i principali attori politici del regno e Ugo, rinunciando a rivendicare la corona non suscitò l’ostilità da parte dei principi. I Carolingi che salirono al trono lungo la seconda metà del X secolo non furono re-fantocci, ma il processo che segnò i meccanismi del regno di Francia fu la costruzione dell’​egemonia dei Robertini​, che ​culminò nel 987​ con l’ascesa al trono di ​Ugo Capeto​, nipote di Ugo il Grande, da cui prese il via la dinastia ​Capetingia​, che conservò la corona fino al ​1328​. Il 987 è considerata una data chiave, momento fondativo della monarchia nazionale, con l​a piena affermazione dei Capetingi. L’ascesa al trono di Ugo Capeto fu l’esito di un lungo processo di affermazione della dinastia ai vertici del regno, avviato con la massima evidenza un secolo prima, quando il conte Oddone di Parigi era stato incoronato re. 3.4 Ai margini del mondo carolingio Principati territoriali La tradizione politica inglese lungo l’alto medioevo vedeva un’alta frammentazione politica, che a fatica si era organizzata tra VII e VIII secolo, un un numero relativamente ridotto di regni e in discontinua e incerta egemonia del regno di Mercia. Il secolo IX​ può essere letto alla luce di due processi: da un lato la ​progressiva crescita delle incursioni normanne​; dall’altro lato una ​crescente egemonia del Wessex​, regno posto nella parte sud occidentale dell’inghilterra. ​Il regno di Alfredo il Grande, che sottomise la Mercia e arrivò a controllare tutti i regni inglese non compresi nella dominazione normanna. Alla morte di Alfredo salì al trono il figlio Edoardo, che dovette rifondare il proprio dominio e riaffermare nel 911 il controllo sulla Mercia. Alla morte di Edoardi i destini della Merica e del Wessex si separarono. Knut e l’unificazione dell’inghilterra Per tutto il X secolo non si può parlare di un regno inglese tutto unitario. Fu solo all’inizio del secolo XI che si costituì un regno unitario, ma per vie molto diverse: fu infatti il ​re norvegese Knut che nel 1016​, partendo dai domini normanni dell’Inghilterra orientale, ​arrivò ad affermare il proprio controllo sul Wessex e quindi su tutti i principali regni inglesi.​ Non solo: Knut controllava al contempo i regni di Danimarca e Norvegia, fu il potere egemone in quel grande mondo normanno che dominava le diverse sponde del mare del Nord. Questo immenso potere di Knut non ebbe seguito. 52 teoria altamente formalizzata, ma piuttosto su un sistema di pratiche cerimoniali, variamente rielaborate lungo il secolo XI, che ebbero sicuramente un fortissimo impatto sulla società a cui si rivolgevano, direttamente coinvolta nei riti e nei giuramenti destinati a fondare la pace​. La tripartizione era fondata sulla separazione dei ruoli e delle competenze​, con una chiara centralità dei vescovi, destinati a fungere sia da garanti della salvezza eterna, sia da guide intellettuali nel presente; le paci di Dio invece, si fondavano sulla convergenza di tutti i corpi sociali nello stesso rito e nello stesso giuramento. 5.Nuove chiese, nuovi poteri La trasformazione si avviò nel X secolo, su due piani: da un lato un profondo rinnovamento del monachesimo, prima con l’affermazione di Cluny, poi con la diffusione di nuove forme di vita religiosa. L’abbazia di Cluny Nel 909 o 910 il duca Guglielmo di d’Aquitania fondò l’​abbazia di Cluny​,​ nella diocesi di Macom, non lontana da Lione, e l’affido a l’abate Bernone. La prima peculiarità di questa fondazione fu la​ rinuncia del duca a esercitare qualsiasi forma di controllo sulla vita successiva di Cluny​: in genere, le fondazioni aristocratiche di monasteri implicavano un patronato della famiglia del fondatore, ovvero una complessiva opera di tutela e di controllo, e in specifico il diritto a nominare i successivi abati. Non fu così per i monaci di Cluny, che ottennero il pieno diritto di scegliere al proprio interno i nuovi abati. Preghiera e liturgia Cluny nacque sotto il segno della piena autonomia. I primi abati seppero dare vita a una forma di vita religiosa peculiare, che innalzò Cluny a grande fama a livello europeo. I Cluniacensi diedero un’interpretazione specifica, che pose al centro la dimensione della liturgia e della preghiera​: una liturgia via via più ricca e solenne, una preghiera che andò a occupare la massima parte del tempo dei monaci. La stessa Regola Di Benedetto aveva fatto della preghiera l'attività centrale e connotante della comunità.​ Il monachesimo di Cluny propose quindi da questo punto di vista un'accentuazione coerente con la tradizionale Impostazione Benedettina, con un ulteriore ampliamento del tempo dedicato alla preghiera, un'accresciuta solennità dei momenti liturgici e una specifica attenzione alle preghiere per l’anima dei defunti. Riforma monastica Cluny fu l’espressione di un monachesimo dalla disciplina e dalla spiritualità rigorose​; al contempo non fu un elemento politicamente destabilizzante: era un’abbazia ricca e potente, alleata dei principi della grande aristocrazia. ​Nel giro di pochi decenni i cluniacensi 55 acquistarono una grande fama sia all’interno che all’esterno della Francia​, il secondo abate Oddone, fu incaricato di riformare la vita monastica in abbazie antiche e prestigiose. La congregazione Gli interventi di Oddone incontrarono spesso delle resistenze nelle diverse comunità monastiche, attente a difendere le proprie autonomie; così molte abbazie riformate da Oddone non conservarono un legame con Cluny nei decenni successivi. Ma in questa capacità di Cluny di rinnovare la vita religiosa possiamo cogliere gli inizi di quello che diventerà il connotato più specifico e innovativo del monachesimo cluniacense, ovvero la costituzione di una rete di monasteri coordinati dall’abbazia borgognona​: ​non un ordine, ma piuttosto una ​congregazione​; ​un insieme di enti religiosi che riconoscevano tutti la propria guida nell’abate di Cluny​. La congregazione fu composta in parte da antiche abbazie che si sottoposero al controllo di Cluny; ma il modello prevalente fu diverso, fu la costituzione di nuovi enti monastici che non erano abbazie, ma ​priorati​. La differenza è importante, perchè nell’ordinamento benedettino il vertice di un monastero era l’abate, assistito dal priore: in questi nuovi enti monastici l’abate non c’era, perchè l’unico abate era quello di Cluny. Molti aristocratici del X secolo e soprattutto dell’XI secolo, quando vollero fondare un ente monastico, non scelsero di creare un’abbazia autonoma e sottoposta al patronato dei fondatori, ma di compiere una ​donazione a Cluny​ perchè ​venisse creato un priorato, sottoposto all’abate di Cluny​ e svincolato da qualunque controllo laico. La scelta era dettata proprio dalle esigenze spirituali di questi laici. Il trionfi di Cluny Le basi della congregazione furono poste nel X secolo, acquistando un grande prestigio. Soprattutto lungo il XI secolo che i priorati cluniacensi si diffusero in larghi settori d’Europa, dalla Spagna alla Germania, all’intera penisola italiana. Il punto di massimo trionfo di Cluny fu raggiunto negli ultimi anni del secolo XI: ​nel 1088, l’elezione al soglio pontificio di Oddone​, priore di Cluny, che assunse il nome di ​Urbano II​. Fu un papa importante, non solo per la storia di Cluny, ma anche per le evoluzioni della spiritualità e della cultura politica europea; ​a lui infatti si deve, nel 1095, la proclamazione della prima crociata​. Monaci ed eremiti Ma in parallelo alla crescita di Cluny e di altre congregazioni analoghe, il secolo XI fu segnato dall’emergere di altre spinte riformatrici del monachesimo, con una più netta ispirazione eremitica. Romualdo, attorno al 1023 fondò il monastero di Camaldoli, che manifestò subito una grande forza di attrazione. Vallombrosa, fondato nel 1035-1036 da Giovanni Gualberto, già monaco benedettino: la comunità era rigida e isolata dal mondo. 56 Queste esperienze monastiche non erano forme individuali di eremitismo, ma esperienze in cui la volontà eremitica si risolveva in una dimensione comunitaria, in gruppi che si speravano in modo netto dal mondo. Il grande successo di queste esperienze, il richiamo di figure come quelle di Romualdo e Giovanni Gualberto, ci segnala l’avvio di un lento cambiamento. I poteri dei vescovi Fin dall’età carolingia i vescovi erano elemento strutturale del sistema del potere regio​, sia a corte, sia nelle singole diocesi, come consiglieri e coadiutori del re. Con la fine dell’impero e la complessiva crisi della capacità regia di controllo, la natura del potere vescovile mutò, e si affermò il loro pieno controllo politico e sociale sulle città, fondati sui profondi legami tra vescovo e società cittadina, sul progressivo allontanamento dalle città dei funzionari regi, ma anche sulle ​specifiche concessioni regie​. I diplomi regi si parte:​ il diploma concesso da Ottone I al vescovo di Parma nel 962​; la concessione al vescovo Uberto è enorme: ​Ottone gli assegnò tutti i beni fiscali compresi nella città e nel comitato, le mura, ogni diritto di prelievo in città e per una fascia di tre miglia attorno, il potere giudiziario sugli abitanti della città.​ Il vescovo di Parma assunse i poteri già spettanti al conte, e con questo diploma l’imperatore, nel conflitto che opponeva vescovo e conte, prese decisamente posizione a favore del primo. ​Questo non significava che il vescovo assunse le funzioni di conte​: i poteri infatti non furono delegati, ma furono concessi in piena e completa proprietà alla sede vescovile. Il controllo regio sui vescovi La concessione a Uberto di Parma non fu un caso isolato: tra X e XI secolo, e soprattutto nell’età ottoniana, ​molti altri vescovi ricevettero diplomi simili. Non fu una politica sistematica, ma fu una scelta adottata in molti contesti diversi. Dal punto di vista regio il senso politico di queste operazioni si coglie considerando i meccanismi di trasmissione del potere comitale: i conti avevano dinastizzato la propria carica; il vincolo tra re e funzionari era indebolito, ​i re erano sicuramente in grado di intervenire nelle successioni vescovili, imponendo i propri candidati o almeno impedendo l’elezione di vescovi ostili. Perciò, un re forte come Ottone I poteva intervenire in caso di ostilità e conflitti locali, non cacciando il conte, ma riducendo l’autorità in favore del vescovo. Per quanto un vescovo decideva di ribellarsi al re non aveva eredi legittimi. Il potere del vescovo non era quello di funzionario, perchè i poteri gli erano concessi in piena proprietà. Vescovi e comunità cittadina I vescovi erano uno strumento di potere efficace prima di tutto grazie ai loro profondi legami con la città e i suoi ceti eminenti. L’efficacia del controllo vescovile sulla comunità cittadina è evidente. 57
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