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Riassunto Storia Moderna, Dispense di Storia Moderna

Manuale Cattaneo, dalla scoperta dell'America alla Rivoluzione inglese

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 12/03/2019

Utente sconosciuto
Utente sconosciuto 🇮🇹

4.4

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Scarica Riassunto Storia Moderna e più Dispense in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! LE ESPLORAZIONI NEI SECOLI XV E XVI La storia moderna è per convenzione fatta iniziare con la scoperta dell’America, che avvenne nel 1492 ad opera di Cristoforo Colombo, e i processi di espansione e di colonizzazione di alcuni stati europei. Questo evento è però il culmine, ma anche nuovo punto di partenza, di un processo iniziato nel 1409, quando l’umanista Jacopo Angelo da Scarperia conclude e pubblica la traduzione de la “Geografia” di Claudio Tolomeo. L’opera, inizialmente giunta in frammenti e ritenuta persa, suscitò subito notevole interesse e si diffuse ampiamente grazie anche all’invenzione stampa avvenuta a metà XV sec. per opera di Gutenberg. Dall’opera scaturirono diverse innovazioni: • Nuove mappe del mondo conosciuto, più precise e dettagliate delle precedenti; • La riscoperta del planisfero; • L’uso delle coordinate, con longitudine e latitudine Ma da Tolomeo vennero ereditati anche diversi errori. Innanzitutto si diffuse la teoria che vedeva Africa e Asia unirsi a sud, successivamente anche quella che le terre australi fossero ostili per l’uomo. Oltre a queste motivazioni culturali, a spingere gli europei a esplorare il mondo, ci furono anche cause strettamente economiche, che si intrecciano in questo caso anche a motivazioni politiche e religiose. Gli arabi controllavano le rotte e le vie commerciali un tempo solcate dai veneziani e dagli altri mercanti europei. Se inizialmente il problema era stato aggirato con l’individuazione di nuove vie terrestri, si dovette poi, a cause delle incursioni dei popoli erranti asiatici, abbandonarle progressivamente. L’unica via rimasta era quella di trattare con queste popolazioni, finendo però per fare arricchire i nemici dell’Europa cristiana. Per affrontare nuovi viaggi, più lunghi, rischiosi e pericolosi, gli europei inventarono la caravella, poi perfezionata negli anni dai portoghesi e spagnoli. La caravella era dotata generalmente di tre alberi, una grande stiva e un equipaggio di 20/25 uomini. Dalla semplice caravella nei secoli successivi nasceranno i galeoni. In mare aperto i punti di riferimento erano pochi, furono quindi perfezionati la bussa e l’astrolabio. L’ESPANSIONE PORTOGHESE Il Regno di Portogallo fu il primo paese ad iniziare la ricerca di una nuova via. La dinastia degli Avis aveva sostenuto viaggi di esplorazione che puntavano alla circumnavigazione dell’Africa, allo scopo di aprire una rotta commerciale con le coste dell’Asia. Una spedizione raggiunse il golfo di Guinea, dove i portoghesi trovarono rifornimenti di oro, spezie, schiavi. Sempre più interessati ai traffici e al controllo dei territori africani, gli Avis ottennero da papa Sisto IV la bolla Aeterna Regis che preludeva al riconoscimento da parte papale dei possessi africani. La vera svolta arrivò quando Bartolomeo Dias raggiunse la costa sud dell’Africa, doppiando la punta del continente, Capo di Buona Speranza aveva così circumnavigato tutto il continente africano. Ad arrivare in India, a Calicut precisamente, fu però Vasco de Gama. Al comando di Pedro Cabral invece, avvistò il nuovo continente e prendendo possesso di un territorio a cui fu dato il nome di Brasile. 28 L’ESPANSIONE SPAGNOLA Altro discorso invece per la rotta occidentale. Le terre conosciute terminavano con le Azzorre. Oltrepassate quelle non si sapeva nulla: né dei venti, né delle correnti e né tantomeno di eventuali terre emerse. Nel 1451 però, a Genova, nacque Cristoforo Colombo. L’italiano, studiando le poche fonti disponibili, concluse che la distanza che separava le Canarie dal Giappone era di soli 4500 km. I calcoli su cui si era basato, elaborati dal fiorentino Toscanelli, erano però sbagliati. Colombo si convinse così dell’attuabilità della rotta occidentale. Nel 1484 si offrì di guidare una spedizione portoghese, ma Giovanni II (dopo aver fatto analizzare le teorie dell’italiano), rifiutò. Alla stessa conclusione arrivarono anche Isabella e Ferdinando, regnanti di Spagna, che però a sorpresa decisero di finanziare Colombo. Gli affidarono così tre caravelle, i titoli di ammiraglio, vice-re e governatore delle eventuali terre scoperte, pattuendo anche che un decimo delle ricchezze scoperte sarebbe andato nelle tasche del genovese. Il 3 agosto del 1492 Colombo parte da Palos con tre caravelle: la Santa Maria, la Nina e la Pinta. Il 6 ottobre però, dopo giorni di malumore, l’equipaggio basco tentò, non riuscendo, l’ammutinamento. Qualche giorno dopo però Colombo si trovo minacciato da tutto l’equipaggio. Alla fine ottenne ancora di poter navigare per tre giorni, poi si sarebbe invertita la rotta. L’11 ottobre però dalla Pinta fu avvistata la terraferma: lo sbarco ebbe luogo il 12 ottobre. Colombo rivendicò quelle terre sotto la corona spagnola. Nei giorni successivi esplorò le Grandi Antille, scambiando Cuba con il Giappone. Prima di natale però, la Santa Maria naufragò. Colombo così, lasciando parte dell’equipaggio ad Haiti, fece ritorno in Spagna. Compì altri tre viaggi, poi però cadette in disgrazia, finendo in carcere. Morì nel 1506. Colombo, da governatore delle terre scoperte, aveva interdetto agli altri navigatori di percorrere la rotta occidentale. Caduto in disgrazia però, centinaia di avventurieri si imbarcarono verso le “Indie” senza la licenza dell’italiano. Tutti però si accorsero presto che le terre non avevano passaggi verso ovest e nessuno trovava tra quella lunga striscia né il Giappone, né l’India e né la Cina. Tra loro c’era Amerigo Vespucci, un navigatore fiorentino amico dello stesso Cristoforo Colombo. Vespucci giunse alla conclusione che quelle scoperte dal genovese erano terre del tutto ignote, anche agli antichi stessi. Martin Waldseemüller nel 1507 indica le nuove terre con il nome di Americhe in onore non di Colombo, ma di Vespucci. LA SCOPERTA DELL’ALTRO All’arrivo di colombo le Americhe erano già popolate. Chiamati dagli spagnoli “indios”, i nativi erano però divisi in molteplici civiltà diverse tra loro. Attualmente si pensa che fossero circa 30.ooo.ooo in totale. Le civiltà più avanzate nacquero nelle zone centrali. Avevano organizzazioni sociali, culturali e politiche che possiamo parlare già di stato (maya) o perfino di impero (Atzechi e Inca). Gli europei li considerarono subito tecnologicamente e culturalmente inferiori. Tuttavia questo si è dimostrato falso. Le popolazioni amerindie conoscevano già matematica e astronomia. Il calendario maya al tempo era più preciso di quello gregoriano, usato in Europa. Ad inorridire gli europei furono i sacrifici umani, che servivano a placare l’ira divina, e gli atti di cannibalismo rituali. In queste civiltà la fine del mondo era ciclica. Credevano nelle profezie, e questo fu uno dei fattori che contribuì al loro sterminio 28 Carlo V poté in un primo momento contare sull’appoggio del papa Adriano VI, che era stato anche suo precettore. La prematura morte del pontefice però comportò l’elezione di Clemente VII, il quale in cambio di favori territoriali si alleò con Francesco I. Il monarca francese però viene sconfitto e fatto prigioniero dagli spagnoli a Pavia. Nel 1526 Francesco firmò tutte le clausole del Trattato di Madrid, il quale prevedeva la rinuncia di ogni pretesa francese sull’Italia e la cessione a Carlo V di parte della Borgogna. Clemente VII, temendo che Carlo V (possessore del nord e del sud Italia) potesse decidere di sopprimere lo stato pontificio per unificare la penisola, scioglie Francesco I dal giuramento del patto di Madrid. Nello stesso 1526 nasce la Lega di Cognac contro Carlo V: Francia, il Papa e i principali stati italiani. Carlo V non la prese bene, soprattutto visto che si era proclamato come paladino della fede cattolica contro i nascenti protestanti. In un primo momento affrontò il papa avallando momentaneamente alcune richieste protestanti. A questo grave affronto rovesciò su Roma dei mercenari germanici, i lanzichenecchi. Arrivati nel maggio del 1527, misero la città santa a ferro e a fuoco per mesi: il sacco di Roma. Clemente VII fu costretto a rifugiarsi a Castel Sant’Angelo. Fu soltanto dopo un’umiliante richiesta di pace che tutto si concluse. Francesco I, per difendere il papa, tentò di attaccare Napoli via mare. Decimati dalla peste, e con i genovesi che negarono il supporto, i francesi non riuscirono nell’impresa. Successivamente capitolarono ad Aversa. La pace giunse perché ne aveva bisogno anche Carlo V. La Pace di Cambrai pose fine alla seconda fase del conflitto. I negoziati furono condotti da Margherita d’Austria, zia di Carlo e Luisa di Savoia, madre di Francesco. Firmato nel 1529, Francesco rinunciava ad ogni pretesa italica e riconosceva la piena sovranità di Carlo sulle Fiandre. A suggellare il dominio spagnolo sull’Italia è nel 1530 lo stesso Clemente VII che incoronò Carlo V. Fu l’ultima incoronazione fatta da un Papa. Tuttavia ancora una volta, Francesco I invase il Ducato di Savoia e puntò a Milano. Carlo rispose, dopo aver proposto (a scopi propagandistici) un duello a singolar tenzone, attaccando dalla Provenza e dalle Fiandre. I conflitti però rimasero senza vincitori e vinti. Dopo un attacco francese alle Fiandre, intervenne papa Paolo III che mediò tra i due sovrani, ottenendo una tregua a Nizza (1538), concludendo la terza fase delle lotte tra Carlo e Francesco. Carlo V decise di sancire nel 1540 il dominio italiano investendo suo figlio Filippo del Ducato di Milano. Francesco I si alleò con i turchi pur di sconfiggere l’imperatore tedesco. Allo scoppiare di nuovi conflitti, e del tentativo da parte di Francesco I di penetrare in Italia, Carlo V, ottenuti i fondi dopo lunghi accordi con i suoi principi, si alleò con Enrico VIII d’Inghilterra contro la stessa Francia. Carlo completò la conquista dei Paesi Bassi e con l’aiuto del re inglese si apprestò a marciare su Parigi. Messo alle strette, Francesco I firmò la Pace di Crépy nel 1544, con la quale rinunciava definitivamente alle pretese italiane, pur mantenendo alcuni territori. Francesco I morì nel 1547, a lui succedette Enrico II, il quale continuò le lotte del padre. Tornò ad allearsi con i turchi, spingendoli ad attaccare via mare nel mediterraneo, e tentò di mettere in crisi il sistema di Carlo V sollevandogli contro Lucca, Siena, Genova e altre città italiane. Fiaccato da oltre trenta anni di guerre e spostamenti, Carlo V decide di abdicare: è il 1556, il suo impero viene diviso così: Spagna, Italia, Fiandre e colonie al figlio Filippo II. I domini austriaci e la futura corona imperiale invece al fratello Ferdinando. 28 Filippo II mette fine ai conflitti con la Francia nel 1557, sbaragliandoli a San Quintino. Ne consegue la Pace di Cateau-Cambresis nel 1559 che sancirà la definitiva occupazione spagnola della penisola italiana. LA RIFORMA PROTESTANTE All’inizio della storia moderna, tra Quattrocento e Cinquecento, in Europa erano presenti tre religioni principali. Da una parte l’Islam, che si stava ampiamente diffondendo con le conquiste turche, da un’altra l’Ebraismo ed infine il Cristianesimo, la religione dominante. Quest’ultima era però già da secoli divisa tra gli orientali ortodossi e i Cattolici ad Occidente. La Chiesa aveva sviluppato nei secoli un suo stato, al quale aggiungeva mano a mano enormi ricchezze sparse per tutto il continente. I laici, stanchi della loro passività fondarono varie confraternite e si diffuse ampiamente il culto della Madonna. In quegli anni era in corso un rinnovamento spirituale. La gente ambiva ad ottenere la salvezza eterna e non a caso Bonifacio VIII istituì il Giubileo, anno in cui veniva, dopo un percorso di pellegrinaggio a Roma, concesso il perdono. Si sviluppò anche un forte miracolo delle reliquie. La Chiesa, per pagare i propri consumi, ad un certo punto si mise a vendere la salvezza sotto forma di indulgenza. Per i dottori della Chiesa del tempo il presupposto che le “validava” era contenuto nella stessa Bibbia, dove gli uomini diventavano meritevoli agli occhi di Dio grazie alle loro opere. Il passo da acquisire eredità e donazioni a quello di vendere le indulgenze fu breve. Erasmo da Rotterdam si fece capofila di un movimento che si batteva contro questi abusi, e chiedeva un profondo rinnovamento delle cerchie ecclesiastiche. L’impulso di cambiamento arrivò da un frate tedesco, Martin Lutero. Era nato nel 1483 a Eisleben e fu avviato agli studi di legge dal padre, si laureò nel 1505. Tuttavia nello stesso anno si ritirò in convento, dove nel 1507 si fece frate, venne accusato dal padre di voler diventare un fannullone. I borghesi tedeschi a momenti disprezzavano gli ecclesiastici. La religiosità in Germania era un miscuglio di sacro e profano, la gente cercava sempre la protezione divina (lo stesso Lutero si fece frate per rispettare una promessa fatta in un momento di paura durante un temporale). Questo si riversava anche nella politica, il SRI era uno stato sacrale dove spesso i vescovi governavano interi principati. La vendita di indulgenze attecchì bene, nonostante le severe critiche che i tedeschi riservavano a Roma. E nella città pontificia fu inviato lo stesso Lutero nel 1510, ebbe modo di ammirare le belle arti, di cui rimase ammaliato, e la condotta del clero. Negli stessi anni, il vescovo Alberto di Brandeburgo bramava di aggiungere una terza diocesi, Magonza, alle sue competenze e diventare così Primate di Germania. Il papa acconsentì e in cambio volle un’alta cifra di denari, che Alberto pagò grazie a die banchieri. Per risanare il bilancio venne indetta, affidandola al domenicano Tetzel,una massiccia e quasi scandalosa vendita di indulgenze, che riscosse un enorme successo tra il volgo. Tutto questo, unito al fatto che i vescovi tenessero più al potere politico che alla cura della loro chiesa, suscitò estreme critiche da parte di sempre più uomini. 28 Nel 1512, Lutero si era intanto laureato in teologia. Studiando le parole di Agostino, elaborò una dottrina personale, in contrasto con quella ufficiale della Chiesa: Dio non è un giudice severo, ma un padre misericordioso, che concedeva la salvezza non grazie alle opere ma attraverso la semplice fede “il giusto vivrà per fede”. Ciò rendeva un abuso, e inutili, donazioni e vendite di indulgenze. Da professore di teologia quale era, scrisse privatamente ad alcuni colleghi le “95 tesi”, dove in latino indicava le sue posizioni. Questi però le tradussero in tedesco e le diffusero. Complice l’invenzione della stampa arrivarono e furono accolte positivamente a sempre più persone in Germania e non. Il vescovo Alberto, insieme ad altri monaci, informò prontamente Roma di quello che stava accadendo. Ma il papa si limitò ad una semplice, e senza ritorsioni, condanna di quella che ai suoi occhi doveva sembrare una semplice disputa tra frati. Lutero approfittò della situazione e scrisse nuovamente, questa volta accusando lo stesso papa di ritenersi superiore alle stesse Scritture. La risposta di Leone X arrivò nel 1520 con la bolla “Exurge Domini”, nella quale invitata Lutero a sottomettersi. Il frate però continuò per la sua strada chiedendo un ritorno alle origini della Chiesa: • Ridusse i sacramenti ai soli Battesimo ed Eucarestia, gli unici istituti da Cristo nelle scritture; • Si scagliò contro la gerarchia ecclesiastica. Sostenne il sacerdozio universale. • Ideò, contraddicendosi però, delle figure simili ai sacerdoti che avevano lo scopo di guidare i fedeli: i pastori. Con l’elezione di Carlo V, a cui la Chiesa era inizialmente contraria, il papa si sentì libero di scomunicare Lutero, che era suddito di Federico (uno dei rivali di Carlo). Era il 1521. Carlo V, invece di arrestare l’eretico Lutero, come da richiesta papale, lo convocò per ascoltarlo. Nell’aprile del 1521 Lutero si presentò a Worms, dove era stata indetta una dieta, e per due giorni si difese, talmente bene che a molti apparì come un eroe tedesco, alle accuse del rappresentante pontificio. Tuttavia il tutto si concluse con la condanna ad eretico di Lutero, che però fu protetto e nascosto dal suo principe, Federico di Sassonia. A Wartburg, nei due anni di “isolamento”, Lutero si dedicò alla traduzione della Bibbia dal latino al tedesco. La sparizione di Lutero non causò un declino delle relative idee. I suoi scritti continuarono a circolare, Filippo Melantone, amico di Lutero, fissò i principi dogmatici riformati. Andrea Carlostadio iniziò a celebrare messa senza i paramenti liturgici e in tedesco; invitò i laici a fare la comunione con il pane e il vino; sollecitò i preti e le monache a sposarsi. I principi tedeschi in conflitto con Carlo V colsero la palla al balzo, appoggiando i protestanti potevano non solo assumere più autonomie rispetto all’imperatore, ma anche confiscare ed appropriarsi degli ingenti beni ecclesiastici sparsi nei loro territori. Lo stravolgimento religioso ebbe ritorsioni anche sulla società politica, in Germania i due mondi erano strettamente collegati, le autorità ne uscirono indebolite (anche grazie alle feroci prediche di Lutero). Quindi in questa ribellione religiosa, molti videro il momento favorevole per far valere le proprie ragioni ed ottenere un riscatto sociale. 28 • I pastori: si occupavano della liturgia e delle prediche; • I dottori: si occupavano di verificare le norme delle fede comparandole alle scritture; • gli anziani: nominati dai consigli cittadini, vegliavano e controllavano lo stato della fede e la moralità dei concittadini. Calvino, nonostante inizialmente fosse contrario, creò un modello di riforma dove religione e stato si sovrapponevano. Era compito dello stato “tenere in riga” i propri cittadini, lottando contro la bestemmia, il gioco d’azzardo, l’ubriachezza e i vari eccessi. Solo creando una società di perfetti e di santi si poteva render gloria a Dio. Celebre fu la vicenda dello spagnolo Michele Serveto, che sosteneva una dottrina contraria alla trinità. Fu lo stesso Calvino che lo mise al rogo per eresia. LA RIFORMA NEI REGNI EUROPEI In Spagna c’è l’esempio di Juan di Valdes, che insieme a molti altri, accostarono le idee di Lutero a quelle di Erasmo e quelle mistiche, ai limiti dell’eresia. In Spagna ogni tentativo riformatore fu represso nel sangue, dato lo stretto legame tra fede cattolica e stato. Anche in Francia spesso gli umanisti abbracciarono il riformismo, Francesco I fu inizialmente tollerante. Ma con la Pace di Noyon (1516), voluta da Leone X, Francesco I divenne protettore e capo della chiesa cattolica francese. Attaccare il cattolicesimo significava dunque attaccare il re. La dura repressione fu una delle premesse alle guerre di religione. L’ANGLICANESIMO Anche in Inghilterra inizialmente Enrico VIII si era dimostrato ostile alle nuove idee, scrisse addirittura un opera di difesa verso il cattolicesimo che gli valse il titolo di “difensore della fede”. Enrico VIII si era sposato con la figlia di Ferdinando d’Aragona, re di Spagna, Caterina. Il matrimonio produsse però solo una femmina, Maria, ed Enrico stanco di non ricevere l’agognato erede maschio chiese a Clemente VII di annullare il matrimonio. Nonostante le lunghe trattative, il papa rifiutò. Stanco, Enrico VIII nel 1534 ripudiò la moglie con l’accusa, e la condanna a morte, di adulterio e sposò Anna Bolena, dal matrimonio nacque la futura Elisabetta II. Questa vicenda constò nello stesso 1534 la scomunica al re inglese, che rispose con l’Atto di supremazia, con la quale veniva fondata la Chiesa anglicana a cui capo si era messo Enrico stesso. Differiva dal cattolicesimo solo per l’obbedienza al sovrano inglese invece che al papa e al disconoscimento degli ordini religiosi, i cui monasteri furono letteralmente derubati. LA RIFORMA IN ITALIA Intenti riformatori giunsero anche in Italia negli inizi del Cinquecento. Le proposte di riforma furono molteplici, non emerse mai un pensatore unico come era stato nel caso di Lutero. Nessuna delle correnti formulò un progetto compiuto e concreto, e non nacque nessuna chiesa riformata né a livello cittadino, né 28 tantomeno a quello regionale o nazionale. Unica eccezione fu la medievale Chiesa valdese che però nel 1532 aderì alla riforma svizzera. Il motivo del fallimento non è solo causa di queste premesse, ma soprattutto della vicinanza con Roma, che poteva esercitare una più opportuna repressione e un controllo delle idee. Mancò anche il sostegno politico, anche se ci sono alcuni casi in cui città e signori provarono ad usare la riforma per ottenere vantaggi propri. Venezia, data la sua natura multietnica si prestava ad essere la porta d’ingresso della riforma in Italia. Tra gli anni Trenta e Quaranta del secolo iniziarono a circolare idee e libri nella laguna. Anche se inizialmente si oppose, alla fine la Serenissima accettò, pur limitandone il potere, una sede dell’inquisizione. Da quel 1547 non si ebbe nessun tentativo di imporre una chiesa riformata, e la repressione fu breve. Più importante fu il caso di Juan dé Valdés, che si rifugiò a Napoli per sfuggire all’inquisizione spagnola. Qui creò un circolo con un’intensa attività religiosa. Aderirono intellettuali, gentildonne, nobili e persino prelati. Valedés e i suoi erano comunque cattolici, e questo inizialmente li salvò da eventuali ritorsioni. Vennero però accusati di aderire al cattolicesimo solo da facciata (l’esempio di Nicodemo che frequentava Cristo solo di notte). Legato a quello di Valdés fu anche il circolo del cardinale inglese Reginald Poe, fuggito dall’Inghilterra anglicana. Anche loro spingevano per un rinnovamento interno della Chiesa Cattolica. Le posizioni di questi circoli sono brillantemente raccolte nel “Trattato utilissimo del Beneficio di Cristo”, il punto massimo della riforma italiana. Rifletteva il pensiero della corrente religiosa degli Spirituali, la quale sosteneva che fosse necessaria una riforma nella Chiesa cattolica traendo ispirazione dalla Riforma protestante. Altro esempio può essere la vicenda fiorentina sotto il Savonarola. LA CONTRORIFORMA Ancora prima di Lutero, le accuse verso gli abusi del papato diventavano sempre di più. Esse provenivano però dalla stessa Chiesa, i cui, sempre più, membri chiedevano un concilio per riformarla. Ed è sotto queste pressioni che nel 1512 Giulio II aveva indetto il Concilio Lateranense V, ma il suo lo scopo era quello di controllarlo. Il frate Egidio da Viterbo arrivò a dire che lo scopo della religione fosse quella di cambiare gli uomini e non viceversa. Il concilio si chiuse nel 1517 con un nulla di fatto. A seguito dei successi Luterani si capì di dover agire sulla curia romana, nella quale si verificavano i principali scandali e abusi. Gaspare Contarini e altri accusarono la curia di essere diventata troppo burocratica e legata al potere senza occuparsi dei doveri religiosi. Anche vescovi e parroci si erano macchiati di abusi e scandali trascurando i rispettivi fedeli. Molti monaci iniziarono a ripristinare le originali regole e i laici si impegnavano negli oratori, dove seguivano una vita profondamente religiosa. Oltre alla vita religiosa ci furono tentativi di rinnovamento dottrinali. Lo stesso Contarini, seguito da una commissione, iniziò a dialogare con i protestanti. Dopo vari “colloqui di religione” con 28 Melantone, Lutero e altri protestanti si giunse al Colloquio di Ratisbona nel 1541. L'accordo, e la riunificazione dell'occidente cristiano, era a portata di mano. Ma il dover accettare compromessi e ritrattare su questioni teologiche dando ragione a Lutero e viceversa, portarono le ali più radicali (sia cattoliche che protestanti) a far saltare tutto. A seguito del fallimento, i partecipanti e sostenitori della tentata riappacificazione, tra cui lo stesso Contarini, furono emarginati e ridotti al silenzio con l'accusa di eresia. Stessa sorte accadde alle correnti cattoliche che chiedevano un rinnovamento dottrinale e tentavano di fa re ciò che a Contarini era fallito. IL CONCILIO DI TRENTO Con la bolla “Laetare Jerusalem”, nel 1545 fu indetto il Concilio di Trento da papa Paolo III. La scelta di Trento come città non era casuale: se pur retta da un vescovo, era a metà strada tra la Germania e Roma e parte dell'impero di Carlo V. Se sulla carta quindi la dualità papale e imperiale poteva sembrare paritaria, nella realtà propendeva per il papa. Le posizioni erano le seguenti: - Il papato era tendenzialmente contrario, temeva per la propria supremazia e del risorgere delle tesi conciliariste. - L'Impero era a favore, cercava infatti la pace tra cattolici e protestanti; - La Francia era contraria, temendo che la pace tra cattolici e protestanti potesse dare più forze all'Impero - I Protestanti erano indifferenti, non pensavano più di poter accordarsi col papa. - Cattolici riformatori era invece favorevoli, potevano perseguire i propri scopi. Al concilio gli spagnoli furono quasi assenti, i francesi pochi e i vescovi tedeschi (presi dalle lotte interne) inizialmente assenti. L'assenza totale era invece degli esponenti delle chiese evangeliche e degli inglesi. Nonostante le alte aspettative di Carlo V, già da subito fu chiara la direzione che avrebbe preso il concilio, totalmente opposto al dialogo con Lutero e i suoi. Per il papato le vie erano due: la prima quella di una restaurazione morale, la seconda quella di una serata lotta ai protestanti. Subito vennero prese decisioni che miravano a tagliare i pochi ponti di dialogo rimasti con Lutero, lo stesso Paolo III per rimarcare questa via cercò di spostare la sede da Trento a Bologna nel 1547. Carlo V sperava ancora di poter sconfiggere la Lega di Smalcada e una volta ottenuta la vittoria di costringere i protestanti a trattare. Aveva bisogno però che nella prima parte del concilio si parlasse solo di questioni morali. Quando però durante la seconda fase del Concilio, nel 1551 nuovamente a Trento come voluto da Carlo, arrivarono i protestanti le decisioni dottrinali erano già state prese. Carlo fu quindi costretto a trattare “privatamente” sottoscrivendo la Pace di Augusta. Tra il 1562 e il 1563 si svolse la terza e ultima fase del Concilio di Trento, che era ormai sotto il controllo totale di Roma. Con la bolla Benedictus Deus del 1564, Pio IV sancì che le decisioni prese a Trento erano leggi della Chiesa. Da allora si avrà una totale supremazia papale sul mondo cattolico. 28 donne furono processate dall’Inquisizione per aver finto o perché sospettate di essere possedute dal diavolo. LE GUERRE DI RELIGIONE Le guerre che sconvolsero la Germania tra gli anni 30 e 50 del Cinquecento si risolsero non con la forza ma con la Pace di Augusta. Ciò lanciò un segnale molto forte in tutto il continente: la convivenza di più confessioni diverse all’interno di uno stato era impossibile. Per l’unità dello stato era necessaria l’uniformità religiosa, perseguita dalle forze politiche. Tra il XVI e il XVII secolo, le varie confessioni religiose operarono una sorta di disciplinamento appoggiato dagli stessi rispettivi stati. Nei paesi cattolici la società fu quindi modellata sulle norme del Concilio di Trento, imponendo una visione in cui l’autorità religiosa era autonoma rispetto allo stato. Nei paesi calvinisti erano imposti i valori del lavoro, l’impegno e la predilezione divina: una società basata sulle norme bibliche. I Luterani facevano dell’obbedienza politica un grande valore. Questo valore era condiviso come valore massimo da tutte le confessioni. Ogni società era dotata di strumenti di controllo e repressione, anche se in molti chiedevano il dialogo. Queste intolleranze reciproche, tranne le vicende di Carlo V, non avevano prodotto nulla di che, limitandosi alla repressione di chi non si allineava. Dalla metà del secolo, spinti dal Concilio di Trento e dall’espansione calvinista, iniziarono a scoppiare rivolte, che si tramutarono presto in guerre. La dove gli stati non erano stati in grado di imporre un’unica religione, i cittadini si schieravano in base alla propria credenza religiosa. La Francia fu il palco delle guerre di religione più cruente e sanguinose. Ai violenti esiti si arrivò seguendo ragioni politiche. In Francia, rispetto alla Germania, non esistevano stati in cui “ripartire” i vari credi, il calvinismo si espandeva. La Francia aveva impedito all’inquisizione, e a Roma in generale, di attuare nel proprio territorio azioni repressive simili a quelle italo- spagnole. Fu la stessa azione regia a limitare la diffusione dei protestanti. Il programma politico dei re di Francia era riassumibile in:“un solo re, una sola legge, una sola fede”. Francesco I era quindi riuscito ad arginare sia l’intervento della chiesa, sia il diffondersi dei protestanti. Tuttavia, alla morte di Enrico II scoppiò una cristi dinastica. L’età degli eredi aveva posto Caterina de Medici a reggere la Francia, la monarchia ne era uscita sconfitta e i nobili se ne approfittarono per trarne poteri e benefici. L’estinzione della dinastia di Valois, sempre più vicina, fu campo fertile per un conflitto tra i pretendenti al trono. In questo momento il calvinismo penetrò facilmente in Francia, arrivando anche al 20% della popolazione. La religione divenne quindi carta per ottenere il potere. La religione calvinista era vista dai cattolici come pericolosa, in quanto comportava la disobbedienza, se non il tirannicidio, nel caso in cui il sovrano non avesse agito bene. Si formò quindi la fazione politica degli ugonotti (dal tedesco “congiurato”), a cui si oppose una fazione maggioritaria cattolica estremista guidata dallo zio di Francesco II, Enrico di Guisa, interessato a manipolare il giovane re. Gli ugonotti si fecero seguaci in un primo momento 28 dell’ammiraglio Coligny, poi però si identificarono con Enrico di Borbone, re di Navarra. Imparentato con la dinastia reale, aspirava alla corona. Caterina de Medici, che alla morte di Francesco II era diventata reggente del secondogenito Carlo IX, non provava molta simpatia per Enrico. Intorno alla regina reggente si formò una fazione, i politici, di cattolici moderati aperti al dialogo. Anche Caterina spingeva per un’intesa tra le fazioni, promosse un incontro a Poissy (1561) che però fallì. Nel 1562 emanò l’editto di Saint Germain, con il quale concedeva la libertà di coscienza e, seppur limitata agli spazi fuori dalle grandi città, di culto agli ugonotti. Ciò scatenò l’ira dei Guisa, la famiglia di Enrico, che nello stesso anno aggredì a Wassy un gruppo ugonotto. Questo eccidio è l’inizio delle guerre di religione. Momenti di battaglie, di tregue e di terribili violenze scossero la Francia fino al 1598. Partiti dai “rispettivi territori” le due fazioni si scontravano in una guerra sempre più aperta: gli ugonotti erano appoggiati dai tedeschi, ginevrini e inglesi, mentre i cattolici da Spagna e papato. Con l’editto di Amboise, nel 1563 si concesse una certa libertà agli ugonotti, ma la guerra continuò generando terribili eventi. Tra essi ricordiamo la notte di San Bartolomeo. Caterina, spaventata dalle posizioni sempre più radicali e filo-spagnoli del partito dei Guisa, concesse in matrimonio la propria figlia Margherita ad uno dei due capi ugonotti, Enrico di Borbone. Il matrimonio tra cattolica e protestante suscitò polemiche, scandalo ma anche la speranza di rappacificazione. Per questo evento erano confluiti a Parigi molti ugonotti. Tra la notte del 24 e il 25 agosto del 1572, Enrico di Guisa assassinò l’altro capo ugonotto, Coligny, il suo cadavere fu gettato dalla finestra e partì un eccidio generale. Nella strage furono fatti fuori molti nobili ugonotti, tra gli storici, in molti concordano che quello avvenuto nella notte di San Bartolomeo sia uno dei più sanguinosi massacri religiosi della storia. La mente dell’operazione è tutt’ora ignota, non si esclude la possibilità che dietro a tutto ci siano stati il re Carlo IX e sua madre Caterina con l’intento di far fuori un’importante capo ugonotto. Nonostante il grave affronto ricevuto, gli ugonotti si rialzarono e continuarono la guerra. Nel 1574, a due anni dal massacro, morì Carlo IX a cui successe il terzogenito di Caterina, Enrico III. Quest’ultimo tentò di rafforzare il potere regio rispetto alle due fazioni politiche . Ciò scatenò l’ultima fase del conflitto, la guerra dei tre Enrichi. Con la morte di un altro figlio di Caterina, l’estinzione della dinastia dei Valois si fece più concreta, il conflitto si inasprì. Il prossimo nella scala di successione era Enrico di Borbone. Temendo un sovrano calvinista, i cattolici di Enrico di Guisa fondarono la lega Santa. Supportati dagli spagnoli cacciarono Enrico III. Ma con il tracollo dell’Invincibile armata mancò il supporto spagnolo a Enrico di Guisa, che indebolito fu fatto assassinare da Enrico III nel 1558. Un anno dopo, lo stesso Enrico III subì la stessa sorte, ad assassinarlo fu un frate domenicano che lo accusò di eresia in quanto alleato di Enrico di Borbone. La dinastia dei Valois era così estinta. L’unica sopravvissuta era Margherita, moglie del re di Navarra. La nazione cadde in preda al caos per l’eventualità di un re ugonotto. Colpo di scena avvenne quando nel 1594, secondo la tradizione, pronunciando la frase “Parigi ben vale una messa”, Enrico di Borbone si convertì al cattolicesimo e venne 28 incoronato come Enrico IV re di Francia. Si dedicò quindi a risanare il paese, cacciò le truppe di Filippo II, con cui firmò la pace di Vervins con la quale la Francia recuperò la sua integrità territoriale. Straordinario fu l’editto di Nantes, nel 1598 concesse ai calvinisti di poter praticare la loro fede nei territori dove già presenti, concedendogli anche delle difese. Più che atto di tolleranza fu fatto di pacificazione per ragione di Stato. Fu inoltre garantito l’accesso a istruzione, sanità e cariche pubbliche solo dimostrando la fedeltà al sovrano e non in base a credi religiosi. LA RIVOLUZIONE DEI PREZZI Il periodo che va dalla metà del XV alla metà del XVII secolo è stato definito da molti storici “lungo cinquecento”. Un periodo in cui emergeranno le principali caratteristiche della fase moderna della storia, in cui si assiste ad una sorta di prima “globalizzazione”. Protagonista di questo periodo è l’Europa atlantica, ma anche la sempre meno rilevante Europa mediterranea e dell’est.Questa centralità deriva anche dalla ormai consolidata esperienza dei viaggi, le rotte praticate avevano permesso agli europei di abbozzare l’integrazione politico-economica globale, scopo che interessa solo le potenze europee e non quelle asiatiche. Questa prima fase coloniale vede quattro tipologie di colonizzazione: la prima è quella portoghese, che prevedeva il controllo dello scambio locale e del commercio. Quella olandese, praticata inizialmente anche da francesi e inglesi, era simile alla precedente ma basata più sui singoli mercanti. Più evoluta è quella spagnola, che oltre agli scambi commerciali si occupava anche di conquistare e amministrare le terre coloniali. Evoluzione di questa terza modalità è quella inglese e francese matura che prevedeva l’insediamento di una popolazione della madre patria. Se le prime tre riguardavano soprattutto America meridionale, Africa o Asia, questa quarta riguardava la parte settentrionale dell’America, nella quale non a caso si formeranno le società e nazioni più forti del continente. La colonizzazione favorì l’ascesa dell’economia-mondo, un modello che divideva il globo in quattro parti: • AREA CENTRALE: Corrispondeva all’Europa nord-occidentale. I suoi abitanti godono di grandi ricchezze e libertà. Trasforma le materie prime e le commercia; • AREA SEMI-PERIFERICA: Corrispondeva all’Europa dell’est. I suoi abitanti godono di libertà e ricchezze “accettabili”. È in stretti rapporti commerciali e politici con il Centro; • AREA PERIFERICA: Corrispondeva all’America, Africa e Asia coloniali. I suoi abitanti sono spesso asserviti e non godono di molte ricchezze e libertà. Forniscono le materie prime al Centro; • AREA ESTERNA: Corrispondeva all’Asia. Nessun contatto con l’Europa. La suddivisione avvenne quindi anche nella stessa Europa che vide i propri equilibri spostarsi verso la parte atlantica. L’imposizione del cristianesimo in America è la manifestazione più grande del tentativo di uniformazione culturale europea. Si verificò però anche l’integrazione ecologica, che vide l’Europa essere oggetto di colonizzazione. Si portarono dal nuovo mondo 28 • Consigli territoriali: erano sei e si occupavano a provvedere degli affari territoriali di Castiglia, Aragona, Portogallo, Indie, Italia e Fiandre. La maggior parte dei membri era di origine castigliana, le loro decisioni erano attuate da governatori e viceré. Al vertice di tutto c’era Filippo II che controllava e correggeva il loro operato, spesso sedendo nei vari consigli. Il sistema accentrato doveva però confrontarsi con gli ordinamenti tradizionali dei singoli territori che Filippo mantenne. Cortes e parlamenti locali venivano quindi a trattare con il re che chiedeva costantemente finanziamenti. Se le cortes di Castiglia, nonostante furono quelle più “tartassate”, accontentarono sempre il re, molte altre non sempre lo fecero. L’Aragona nel 1590 arrivò a ribellarsi, Filippo II riuscì a domare il tutto con un azione militare. Con esiti diversi si concluse invece la ribellione dei Paesi Bassi. Nonostante ciò Filippo II controllò e orchestrò tutto alla perfezione. Tuttavia finanziariamente la Spagna non versava in buone acque: nonostante l’afflusso delle grandi ricchezze dalle Americhe, la produzione e lavorazione tessile, il sistema economico spagnolo non pose le basi per uno sviluppo duraturo. Ciò fu colpa di una struttura sociale arcaica e obsoleta, due aggettivi che possono descrivere anche lo stato dell’agricoltura. Il mantenimento di grandi eserciti, il finanziamento dei cattolici ribelli nei paesi protestanti e in generale l’ambiziosa visione politica di Filippo era decisamente dispendiosa. Per ovviare alla mancanza di fondi il re chiese vari prestiti dalle banche europee, indebolendo ancora di più l’economia del proprio paese. Filippo II sarà costretto, per sfuggire a ulteriori complicazioni, a dichiarare bancarotta per ben tre volte (1557, 1575 e 1596). Obbiettivo primario della politica religiosa di Filippo II fu la lotta contro l’avanzata turca in Europa. Quest’ultimi avevano conquistato Cipro, strappata a Venezia, ed erano arrivati in Africa settentrionale. Altra problematica fu quella delle incursioni dei pirati saraceni, che avevano tolto tranquillità ai mercanti e porti mediterranei. Dopo alcune azioni degli spagnoli e portoghesi, quando il pericolo fu percepito più grande, Pio V creò, con l’appoggio di Venezia e Filippo II la Lega santa. La flotta della Lega, guidata dal fratellastro del re di Spagna Giovanni d’Austria, sbaragliò i turchi nella Battaglia di Lepanto (1571). Sul fronte politico, Lepanto mise fine al mito dell’imbattibilità turca e fermò momentaneamente l’avanzata turca. Nonostante tutto però Venezia vanificò molto tornando a commerciare con i turchi subito dopo. Sul fronte religioso Pio V non si fece problemi a proclamare Lepanto come trionfo cattolico e quindi segno del favore divino sulla Chiesa di Roma. Rimarcò il tutto attribuendo la vittoria all’intercessione della Madonna, rafforzando le posizioni teologiche prese a Trento. Il re del Portogallo Sebastiano, morì senza eredi nel 1578 in Marocco durante una spedizione africana contro i musulmani. Non lasciando eredi diretti, Filippo II era, essendo figlio e marito di due principesse portoghesi, il pretendente più prossimo al trono del defunto Sebastiano. Nonostante delle rivolte portoghesi, sedate con azioni militare, alla fine prevalse la linea favorevole all’unificazione delle corone iberiche. Nel 1581, dopo aver sbaragliato i portoghesi avversi, Filippo II viene incoronato re di Portogallo dalle rispettive cortes. In cambio Filippo mantenne le autonomie locali e riconobbe un viceré. Favorevoli e decisivi alla sua ascesa 28 furono i mercanti che videro diventare propri i privilegi e le opportunità dei rispettivi colleghi spagnoli. Ben diversa era la situazione nei Paesi Bassi. Idealmente potevano essere divisi in due zone: una settentrionale dove si parlava il fiammingo, la religione era a maggioranza calvinista e dedite al commercio, mentre quella meridionale era francofona, a maggioranza cattolica ed erano controllate dalla diffusa e potente nobiltà terriera. a metà del Cinquecento erano 17 le province a formare i Paesi Bassi. Filippo considerava molto importanti queste province era intenzionato a ottenere risorse per i propri progetti e l’unità religiosa. La reggenza andò alla sorellastra del re, Margherita di Parma. Presto però tra gli Stati generali, e la Corona crebbero tensioni, causate dalle sempre più alte tasse di Filippo. Inoltre, dalla metà del XVI sec il Calvinismo era penetrato nel paese, creando anche forti tensioni religiose. Per contrastare le prime rivolte, Filippo mise a governare il duca d’Alba, era il 1567 e con una forte repressione mise fine alle proteste. Ma questa sua sanguinosa scelta, spinse i nobili del Sud ad unirsi a quelli del Nord, nel 1576 nasceva l’Unione di Gand, che unì protestanti e cattolici contro la Spagna. A capo fu messo lo statolder Guglielmo I d’Orange, il quale fu abile a sollecitare a suo aiuto gli anti-spagnoli e i protestanti di tutta Europa, trasformando così quella che sembrava una semplice rivolta in un fatto politico internazionale. Filippo II quindi sostituti il duca d’Alba con con Giovanni d’Austria, il grande vincitore di Lepanto. Quest’ultimo sconfisse nel 1578 Guglielmo, ma morì lo stesso anno. Fu il governatore successivo, Alessandro Farnese duca di Parma a completare l’opera. Il sud, vedendosi riconosciuti i vari privilegi decise di tornare dalla parte della Spagna (Unione di Arras), mentre il nord si avviò verso l’indipendenza ottenuta nel 1648 (Unione di Utrecht). Le Province Unite si diedero un governo centrale, guidato dallo statolder della dinastia d’Orange, che favoriva e si conciliava con gli interessi mercantili. L’Olanda divenne così una potenza mercantile. ELISABETTA I Tra i nemici di Filippo II, dopo aver sconfitto la Francia nel 1557 a San Quintino, rimaneva sono l’Inghilterra. Anzi, inizialmente l’Inghilterra era un alleato contro il comune nemico che rappresentava la Francia. A suggello di ciò Filippo aveva preso in moglie Maria Tudor, cattolica, con la quale sperava di poter riportare l’isola al cattolicesimo. Quando Maria morì, Filippo propose il matrimonio alla nuova regina, Elisabetta. Quest’ultima rifiutò e una catena di eventi (la debolezza francese, l’aiuto inglese ai protestanti olandesi), portò i rapporti tra i due paesi ad incrinarsi. Dallo scisma anglicano, Enrico VIII aveva ottenuto, con il sequestro, le ingenti ricchezze vaticane collocate in Inghilterra, tanto da non dover chiedere più finanziamenti al parlamento. Dalla sua scelerata politica matrimoniale erano nati solo tre figli, in ordine dinastico erano: Edoardo, Maria ed Elisabetta. Edoardo salì al potere a dieci anni, e per tutto il suo regno (durato fino al 1553), guidato da diversi tutori inasprì la lotta contro i cattolici favorendo il radicamento dell’Anglicanesimo. Quando morì, al suo posto salì la sorella Maria che era 28 invece una fervente cattolica. La regina, moglie di Filippo II, venne accusata di essere sotto le dipendenze della Spagna. La sua azione repressiva contro i protestanti, nel tentativo di favorire la restaurazione cattolica, gli valse il titolo di “Maria la Sanguinaria”. Nel 1558, Maria morì e la corona passò alla sorella, che aveva fatto imprigionare nella Torre di Londra, Elisabetta I. Nei primi anni del suo regno dovette districarsi tra le pretese dinastiche della cugina scozzese Maria Stuart e le svariate proposte di matrimonio. Elisabetta, sapendo che col matrimonio avrebbe perso potere, si decise a non prendere mai marito e governò per tutta la vita da sola, ciò gli valse il soprannome di “regina vergine”. Presto fece tesoro della sua esperienza politica, si circondò di saggi consiglieri e mantenne un buon atteggiamento verso il Parlamento. La regina si fece forte controllando la società inglese. Alla cosiddetta “gentry”, la classe media, affidò le province, mentre ai grandi lord le contee. A guidare le città ed amministrare la giustizia erano i giudici di pace, mentre l’alta giustizia era affidata alla Camera stellata. L’epoca elisabettiana non fu solo caratterizzata dal rafforzamento politico interno, ma anche dell’avvio della grande ascesa economica inglese: da una parte l’allevamento, favorito dalla sottrazione ai villaggi rurali delle terre comuni mediante le enclosures (recinzioni) e la relativa industria tessile, dall’altro il sempre più propizio commercio mercantile. A dimostrazione di ciò, nel 1584 arrivò la prima colonia inglese: la Virginia. Ad Elisabetta si dovette anche il consolidamento della chiesa anglicana, con l’obiettivo di restaurare la giurisdizione della Corona sulla chiesa. Nel 1559 con l’Atto di uniformità e il Giuramento di Supremazia, Elisabetta aveva riconosciuto le decisioni paterne. con i “Trentanove articoli della religione”, fissava la teologia anglicana, successivamente riformò preghiere e liturgia, allentandosi dalle influenze calviniste. Inizialmente tollerante, cambiò idea quando nel 1570 Pio V la scomunicò. Istituì la Corte di alta commissione che con l’azione repressiva contro l’eresia, sradicò i cattolici e disciplinò al nuovo culto la società. Per lo splendore trovato dall’Inghilterra sotto la regina, si può parlare di Età Elisabettiana. Anche culturalmente si ebbe una rinascita della filosofia, della scienza ma soprattutto si sviluppò enormemente il teatro: sono gli anni in cui scriverà i suoi capolavori William Shakespeare. L’ascesa dell’Inghilterra la rese l’avversaria “ideale” della Spagna: i reciproci interessi erano opposti e erano ostacolo l’uni degli altri. A spingere Filippo II definitivamente contro l’Inghilterra fu però l’intervento di quest’ultima nella questione olandese, giudicato pienamente ingerente. Gli inglesi in un primo momento avevano ostacolato l’arrivo marittimo di supporti e rifornimenti della Spagna verso il duca d’Alba, Filippo II rispose sostenendo i cattolici inglesi. Si avvicinò a Maria Stuart. Una volta regina di Scozia, era ora prigioniera-ospite della cugina Elisabetta . La Scozia, protestante era in mano al figlio Giacomo VI. Il timore che Maria avesse potuto usurparla grazie all’aiuto di spagnoli e del papa, spinse Elisabetta I a condannare a morte la cugina. La decapitazione di Maria Stuart avvenne 1587, ebbe risonanza europea e spinse Filippo II definitivamente contro l’Inghilterra. Altra motivazione che spinse la Spagna 28 a considerare più probabile l’ipotesi di condivisione del potere tra Corona e istituzioni locali. I sovrani italiani, potevano usufruire dei soldati e ottenere titoli, feudi o ricompense degli e dagli spagnoli. Ciò rese solidali i principi italiani con la Corona spagnola, la nostra aristocrazia arrivò anche ad imitarne i modelli. Se questa collaborazione al nord fu talmente forte da permettere il controllo sociale, non lo fu invece in Italia meridionale. L’alta pressione fiscale spinse, nel 1647, la città di Napoli a rivoltarsi. Tutto iniziò quando gli spagnoli introdussero una gabella sull’importazione della frutta. Guidata da un pescatore, Tommaso Aniello, conosciuto come Masianiello, la rivolta si allargò fino a diventare generale. Nello stesso anno Masianello fu ucciso, ma seguendo le aspirazioni civili e il malcontento dei contadini, Gennaro Annese guidò la rivolta contro l’oppressione dei feudatari. Fu così indetta la repubblica, che chiese aiuto alla Francia. Nel 1648 però, i baroni locali e la Corona spagnola fecero fronte unico soffocando al rivolta. Anche a Palermo ci furono rivolte, anch’esse però soffocate nel sangue. Il Seicento si chiuse quindi con il rafforzamento del potere feudale, che bloccò il processo di crescita che porterà il meridione ad essere tutt’ora arretrato. Lo Stato Pontificio e il Ducato di Savoia nel Seicento si rafforzarono assorbendo altre piccole realtà. Quest’ultimo passò definitivamente in zona italiana, Torino divenne capitale. I Medici, nonostante i rapporti con la Spagna, riuscirono ad imparentarsi con le principali famiglie europee. Conquistarono Siena e portarono Firenze a diventare Granducato. Venezia seppe mantenere una certa vivacità economica, per difendere la propria autonomia si scontrò più volte con la Chiesa. Quest’ultima lanciò un interdetto (scomunica colletiva di uno stato), poi revocato contro la Serenissima per aver processato dei prelati. LA GUERRA DEI TRENT’ANNI Nell’Impero, la Pace di Augusta aveva garantito mezzo secolo di pace. Tuttavia le tre fedi principali avevano, in questi anni, consolidato le proprie teologie e dottrine. Cattolicesimo e Calvinismo tendevano ad espandersi e la conflittualità riprese. Con la Lettera di Maestà, Rodolfo II aveva concesso libertà religiosa in Boemia e libertà di culto a nobili e città della Corona. Essendo in lotta contro i turchi, aveva bisogno di unità. Questo generò il malcontento dei principi cattolici, che vedendo l’avanzare del credo protestante si spaventarono. Il duca di Baviera, Massimiliano I, favorì la riconquista cattolica con le armi. Se da una parte i principi cattolici erano indignati per il non rispetto del Trattato di Augusta, i principi protestanti erano avversi a queste azioni militari, tanto da unirsi militarmente nell’Unione evangelica (1608), guidata da Federico V del Palatinato. Lo stesso Massimiliano di Baviera promosse e si mise a capo della Lega cattolica nel 1609. Mattia, fratello dell’Imperatore, nel 1609 stipulò la pace con i turchi. Nel 1611 divenne re di Boemia, e quando nel 1612 morì Rodolfo II, divenne a sua volta Imperatore. Subito favorì la ricattolicizzazione, soprattutto nella stessa Boemia. Nel 1618 a Praga si incontrarono dei funzionari imperiali con dei nobili locali. Tra le due parti si accese un enorme contrasto, che porto ad una ritorsione verso gli inviati imperiali, i quali vennero gettati dalle finestre del Castello praghese: è la famosa defenestrazione di Praga. 28 Federico V si vide offerta la corona di Boemia. L’imperatore, sostenuto dalla lega cattolica, si mosse a guerra. Ne conseguì così un lungo periodo di guerra che coinvolse la Germania dal 1618 al 1648: la guerra dei Trent’anni, tredici guerre e altrettanti trattati in tutta Europa. Divenne una lotta per l’egemonia continentale. Sull’asse cattolico si allearono gli Asburgo di entrambi i rami e la Lega cattolica, su quello protestante invece i principi protestanti tedeschi, Svezia, Danimarca e Paesi Bassi. Ognuno di questi paesi sfruttava il conflitto per perseguire dei propri interessi: i Paesi Bassi cercavano di liberarsi definitivamente degli spagnoli, Danimarca e Svezia volevano indebolire l’Impero per ricevere meno pressioni ai confini, l’ultima mirava anche a conquistare l’egemonia sul Baltico che però con l’Impero in piene forze non poteva essere raggiunta. Anche la stessa Baviera, temendo per la propria autonomia, ebbe voci anti-asburgiche. La Francia che era pienamente cattolica, nonostante una minoranza calvinista, entrò in guerra con i protestanti per odio verso gli Asburgo. Mettendo ordine, possiamo individuare quattro fasi del conflitto: 1. Fase Boemo-palatina (1618-1625): Impero e Spagna fronteggiarono la Boemia e il Palatinato di Federico V. I cattolici sconfissero i protestanti nella Battaglia della Montagna Bianca del 1520. Il tutto si concluse con il Trattato di Magonza, con il quale l’Imperatore Ferdinando II riprendeva la corona boema, il Palatinato venne smembrato. 2. Fase Danese (1625-1629), Impero e Spagna fronteggiano la Danimarca, i Paesi Bassi, l’Inghilterra, i principi protestanti e la Francia. La Danimarca viene sconfitta e invasa dagli imperiali. Con la Pace di Lubecca la Danimarca riottiene i territori invasi ma esce dalla guerra. Con l’Editto di restituzione i principi protestanti restituiscono alla Chiesa tutti i beni sottratti dal 1552. 3. Fase Svedese (1629-1635), Impero e Spagna contro Svezia, principi protestanti, Paesi Bassi e Francia. Gli svedesi conquistano Monaco e arrivano a minacciare Vienna. Il generale cattolico Tilly viene sconfitto e muore. Nella battaglia di Lutzen, Gustavo II di Svezia vince ma muore. Il nuovo re, Adolfo, nonostante l’assassinio di Wallenstein (altro grande generale cattolico), perde contro i cattolici a Nordingen. Con la Pace di Praga, i principi tedeschi sono obbligati a rompere le alleanza con gli svedesi. In Germania viene attenuato l’Editto di Restituzione, e con esso anche la guerra tra principi protestanti e cattolici. 4. Fase Francese (1635-1648), Impero e Spagna contro la Francia, la Svezia e i Paesi Bassi. Gli svedesi vincono a Breitenfeld (1642), i francesi a Rocroi l’anno successivo. La quarta fase si concluse con la pace di Westfalia. La Francia ottenne parti di Lorena e Alsazia. Gli svedesi ottennero l’egemonia sul Baltico. Paesi Bassi e Svizzera ottennero l’indipendenza da Spagna e Impero. Con Westfalia cadde definitivamente l’idea di una ricattolicizzazione dell’Europa. Nell’Impero, cattolici, protestanti e calvinisti ottennero gli stessi diritti. Dalla guerra l’Impero ne uscì quasi a pezzi. La popolazione diminuì fino al 50% in alcune zone, causa epidemie e carestie. Inoltre una crisi economica bloccò la produzione e ci fu un crollo del commercio. 28 Territorialmente però la Germania non perse molto. Lo stesso re di Svezia, avendo ora possedimenti in suolo tedesco, divenne a tutti gli effetti un feudatario dell’imperatore. Le conseguenze più importanti della guerra furono di natura istituzionale. L’Impero non si proponeva più come lo Stato universale cristiano per eccellenza. Ora i singoli principati avevano anche il potere di tessere alleanze autonome, purché non fossero contro la figura imperiale. Ciò, nonostante dei tentativi di assolutismo, rallentò la formazione di un vero e proprio stato nazione in Germania. Da questa disfatta politica emersero alcuni Stati che si avviarono verso una vita politica autonoma. ne erano usciti rafforzati i domini asburgici, tanto da diventare lo stato più potente dell’Impero. La sua base statale era più accentrata e moderna, tanto che l’Austria riuscirà a respingere i turchi ed a espandersi verso l’Adriatico. Altro stato in ascesa fu quello retto da Federico Guglielmo I, uno stato composito (Prussia + Brandeburgo) con caratteristiche simili alla futura Austria. La struttura solida di governo permise a Federico Guglielmo di dare unità a questo regno, nel quale rese stabile anche l’esercito. LA FRANCIA FRA ASSOLUTISMO E RIVOLTE La Francia, uscita dalle guerre di religione, si riprese economicamente in poco tempo. Ciò fu grazie alla struttura sociale ma anche alle politiche degli ultimi anni di Enrico IV, il quale aveva nominato il duca di Sully ministro delle finanze. Quest’ultimo avallò il mercantilismo, una politica economica basata sul concetto che la potenza di una nazione sia accresciuta dalla prevalenza delle esportazioni sulle importazioni (surplus commerciale). Fondamenti della ripresa economica furono il settore tessile e quello agrario. Il bilancio interno, straziato dalle guerre, fu risanato grazie alla compravendita di cariche pubbliche, le paulette. Nacque così la nobiltà di toga, formata da ricchi e borghesi, alla quale fu affiancata la sorveglianza di alcuni commissari. Quattro segretari di stato furono posti alla guida di questa macchina amministrativa. I Borbone riuscirono quindi a rafforzare il potere regio, nonostante Enrico IV fu ucciso da un frate nel 1610, con il suo successore, il figlio Luigi XIII, questo processo continuò e anzi si apri la via verso l’assolutismo. Salito al trono a soli nove anni, toccò alla madre Maria de’ Medici a tenere saldo il regno del figlio. I nobili di sangue volevano l’abolizione della paulette, chiesero la convocazione degli Stati generali ma il tutto si concluse col rafforzamento dell’autorità regia, che grazie alla precitata norma e ai prelievi fiscali si rese indipendente dai ricatti di palazzo. Da quel 1614 gli Stati generali verranno riconvocati solo al 1789, vigilia della Rivoluzione francese. Nel 1624 Luigi XIII si liberò della tutela materna e nominò il cardinale Richelieu primo ministro. Quest’ultimo si adoperò a consolidare la Chiesa cattolica in Francia e a rafforzare il potere del re: Cacciò la regina madre in esilio, limitò i diritti agli ugonotti, fece condannare a morte gli aristocratici contrari alla politica regia, sottrasse parte del controllo della Chiesa al papa in favore del re. Al governo delle province mise dei funzionari borghesi e fedeli al re, gli intendenti. Richelieu morì nel 1642, a lui succedette un altro cardinale: l’italiano Mazzarino, il quale continuò l’opera del predecessore al servizio del futuro re sole. 28
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