Scarica Riassunto storia moderna e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! tenere aperte le osterie fuori le mura. L'assistenza ai poveri fu una priorità, ma permase un
nervosismo diffuso tra la popolazione. Il Tribunale del Real Patrimonio intervenne con pesanti
misure, suscitando polemiche e critiche da parte del Senato, che cercò di presentare una città sotto
controllo. La polemica sfociò a Vienna ma si concluse con la cancellazione di dispacci ritenuti
offesivi e la riabilitazione del principe di Resuttana per il suo coraggio durante la crisi. Dopo il
terremoto a Palermo, la concezione provvidenzialistica prevaleva, interpretando l'evento come un
segno divino di punizione per i peccati. l'arcivescovo Giuseppe Gasch organizzò funzioni religiose e
riti di penitenza, cercando di placare l'ira divina. La popolazione partecipò a processioni e atti di
costrizione pubblica, cercando clemenza e perdono. Si intensificarono le attività religiose, con
l'arcivescovo che emanò un editto disciplinare in risposta alle abitudini ritenute immorali. Vennero
vietati spettacoli teatrali, commedie e feste carnevalesche, suscitando proteste tra gli attori.
l'arcivescovo stabilì norme sulla convivenza pre-matrimoniale, istruzione cristiana, lavoro nei giorni
festivi e altri aspetti della vita quotidiana. Queste disposizioni furono considerata necessarie per
superare un'altra emergenza che tanto stava a cuore alla chiesa.
intrappolati in abitazioni di scarsa qualità, i danni maggiori si concentrarono soprattutto su
strutture più elevate o con volte e cupole, richiedendo un intervento immediato per garantire la
sicurezza degli edifici danneggiati. l'impressione delle fonti suggerisce che, nonostante alcune
polemiche sui ritardi, la Municipalità cittadina guidata dal Senato e dal Pretore abbia reagito
adeguatamente all'emergenza scaturita dal terremoto. Squadre con mastri manuali e personale
esperto furono organizzate sin dalla notte del terremoto per preparare il necessario. Il Senato
adoperò anche aiuti militari tedeschi, fornite dal comandante generale delle truppe della città
Barone di Zunghembergh, ma ciò scatenò polemiche sull'insufficienza di truppe. Salvataggio di vite,
assistenza ai feriti e rimozione rapida di cadaveri furono priorità immediate, ma si generò una
disputa tra il Senato e il Tribunale del Real Patrimonio sulla gestione delle sepolture e del soccorso.
Il tribunale accusò il Senato di scarsa reattività, ma la risposta del Senato sottolineò le azioni
intraprese e giustificò l'uso di risorse finanziarie comunali, evidenziando il sostegno concesso dal
Tribunale stesso. La polemica rifletteva anche tensioni pregresse e accuse di gestione scorretta,
soprattutto riguardo l'acquisto di grano. Nonostante le critiche, il Senato riuscì a garantire
l'approvvigionamento di pane durante l'emergenza, grazie ai magazzini ben forniti di grano.
L'eccesso di grano e la mancata esportazione avevano reso la coltivazione antieconomica. Nel
1726, il raccolto abbondante provocò un crollo dei diritti di esportazione, suscitando tensioni tra il
Real Patrimonio e i produttori nobili. La situazione finanziaria del regno sembrava critica, esaurita
da mancanza di fondi, complicando la risposta all'emergenza terremoto. Le questioni finanziarie e
le accusa reciproche potrebbero aver influenzato, la catena di comando e la risposta alle esigenze
immediate della città. La presenza del viceré, che non aveva intenzione di far ritorno in città,
nonostante i continui inviti che furono deliberatamente ignorati, era richiesta per affrontare
l'urgenza. Le rappresentazioni cartografiche fornirono un approccio scientifico alla mappatura dei
danni causati dal terremoto. Le relazioni di Mario Antonuccio e Pietro Vitale evidenziano difficoltà
e disguidi nella gestione dell'aiuto militare, con ritardi nelle operazioni di soccorso, risolti solo
successivamente con l'arrivo di un contingente di 200 soldati. La situazione finanziaria precaria
sembra aver influito sulle decisioni e sulle azioni intraprese durante i primi giorni post-terremoto.
Dopo il terremoto, il Senato di Palermo intraprese una serie di azioni per affrontare la crisi. Si
ordinò la demolizione di edifici pericolanti e la puntellatura di quelli recuperabili, con minacce di
espropriazione per garantire interventi rapidi. Le direttive cercavano di limitare i danni e orientare î
crolli. Un importante cambiamento fu nell'uso di mensole in ferro e di lastre dii ardesia per la
ricostruzione dei balconi invece che del materiale lapideo. Figure chiave come Giuseppe Furceri (o
Forceri) e Paolo Di Giovanni guidarono i lavori, mentre ingegneri come Giacomo Amato furono
coinvolti; essenziale fu l'aiuto da parte di operari provenienti da ogni parte del regno. Il Sennato
stabilì tariffe per evitare speculazioni nelle riparazioni, con particolare attenzione a determinate
caso di ricostruzione. La Tavola di
figure professionali. Si esonerarono i proprietari da oneri edili
Palermo consentì prelievi e depositi, mentre la regia zecca convertì in argento moneta per fornire
liquidità, sebbene con scarso successo. La maggior parte delle spese fu per demolizioni, riparazioni
ed aiuti d'emergenza. Il sostegno alle persone bisognose e le spese per processioni e feste furono
voci rilevanti nei costi affrontati dal Senato. Le autorità di Palermo si impegnarono per garantire la
sicurezza in città. Le autorità guidate dal maggiore tutore il capitano di giustizia della corte
capitaniale di Palermo, il principe di Niscemi, si adoperarono per garantire la sicurezza. Si
verificarono tensioni sulla custodia delle carceri e sul controllo delle porte della città. La vigilanza fu
estesa alle porte della città per prevenire disordini, mentre ronde furono organizzate per evitare i
furti. Si controllavano i prezzi del pane e si fornirono approvvigionamenti, con raccomandazioni per
LA BATTAGLIA 1676
Il 28 aprile 1675, il Senato messinese giurò fedeltà a Luigi XIV e ai suoi eredi attraverso il duca di
Vivonne, comandate supremo dell'armata francese in Sicilia, che venne nominato viceré e
luogotenente generale nell'isola, in cambio del rispetto dei privilegi e della libertà della città.
Questo avvenne in seguito alla rivolta di Messina contro il governo spagnolo nel luglio 1674. La
rottura con la Spagna, l'appoggio francese e l'occupazione militare di Messina da parte delle
truppe francesi, trasformarono la rivolta in un evento di portata internazionale. La Francia di Luigi
XIV aveva dichiarato guerra alla Spagna di Carlo Il già nel settembre del 1673; da questi
avvenimenti la Francia ottenne grandi vantaggi. La rivolta, inizialmente locale, assunse una
dimensione sovrannazionale con gravi conseguenze sull'isola. Palermo, la capitale del regno, reagì
alle minacce esterne, la guida della città si trovava nelle mani dell'arcivescovo Giovanni Lozano,
subentrato al comando a causa dell'assenza del viceré Federico Toledo y Osorio che preferì
stanziarsi a Milazzo, piazza d'armi dell'esercito spagnolo, dove dirigeva le operazioni politiche e
militari. La guerra in corso e le decisioni delle autorità influenzarono profondamente la città. Nel
1675, Milazzo e Palermo erano gli obbiettivi principali per i francesi in Sicilia. La conquista di
Palermo avrebbe significato il controllo occidentale dell'isola, dando loro un vantaggio nella guerra.
Il 15 luglio, mentre a Palermo si celebravano riti in onore della patrona, Santa Rosalia, arrivò la
notizia di un'imminente flotta francese ad Ustica che portò preoccupazioni e richieste di difesa.
Francesco Branciforte, duca di santa Lucia, e il Senato chiesero all'arcivescovo di Palermo e al
sergente maggiore José Bustos, di utilizzare l'artiglieria, ma ciò gli fu negato, probabilmente per
paura di una ribellione popolare; Branciforte nonostante la negazione distribuì armi alla
popolazione. L'armata francese non attaccò la città e dopo quattro giorni si ritirarono. | consoli
delle maestranze scissero più volte al viceré chiedendo di non abbandonare la città di Palermo, ma
in realtà la città non fu lasciata sola, vennero infatti inviati da Napoli diversi soldati spagnoli, ma
evidentemente di fronte al pericolo, l'aiuto esterno non sembrò sufficiente ad affrontare tale
minacce. La situazione evidenziò la necessità di una difesa efficace e il divario tra le autorità e la
popolazione. La tensione a Palermo nel 1675 aumentò per via della presenza in città di molti
messinesi, suscitando timori di possibili intrighi interni. Il Senato, distribuendo armi alle
maestranze, sembrava più preoccupato di scongiurare minacce dall'interno, rappresentate dai
messinesi, che dalla prospettiva di un attacco francese via mare. Manifestazioni di tensione si
verificarono con simulati combattimenti tra i giovani, e in seguito cinque messinesi furono
scambiati per cospiratori, vennero arrestati e il popolo gridava a gran voce di volere la loro
esecuzione. Furono liberati dal pretore che cercava di evitare ulteriori tumultuose reazioni. II
pretore cercò anche di normalizzare la situazione, ordinando di evitare allarmismi e segnalare la
presenza delle armate francesi solo con segnali di sicurezza. Tuttavia, queste azioni provocarono
disapprovazione da parte del viceré, che mise in discussione l'operato del pretore Francesco
Branciforte. Nel 1676 Palermo fu effettivamente minacciata da una cruenta battaglia navale tra le
armate alleate spagnole e olandesi e quella francese guidata dal duca di Vivonne. Prima della
battaglia, il pretore di Palermo aveva cercato i organizzare una difesa coordinata con le armate
alleate, ma ci fu iniziale esitazione dell'arcivescovo Giovanni Lozano. Durante la battaglia la
popolazione palermitana fu terrorizzata dall'impeto dei cannoni, dal fumo, dalle fiamme e
dall'esplosione della polvere da sparo. Nonostante il rifiuto iniziale da parte dell'arcivescovo di
difendere i baluardi con l'artiglieria, la situazione precipitò quando si diffuse la falsa notizia
dell'ingresso dei francesi in città. Solo allora l'arcivescovo ordinò la distribuzione dell'artiglieria alle
sull'Oreto tramite un collettore, ma l'opera rispondeva più a interessi edilizi che a quelli di sicurezza
del territorio. Nel tempo la zona vicino al Palazzo Reale fu lottizzata, portando a una speculazione
edilizia sfrenata. Nonostante l'alluvione del 1666, i piani di urbanizzazione continuarono,
evidenziando la complessità della gestione delle risorse idriche nella storia della città. Dopo la
tragedia del 1557, Palermo affrontò una grande opportunità di riassetto urbano. Gli interventi
urbanistici ispirati al rinascimento, guidati dal viceré Juan de la Cerda duca di Medinaceli,
portarono alla creazione di nuove strade, piazze e architetture, dando alla città un aspetto
moderno. L'Albargheria, particolarmente colpita dall'alluvione, fu oggetto di importanti lavori di
urbanizzazione. Furono realizzate nuove strade, come la Strada de’ Tedeschi poi rinominata via
Porta di Castro; si progettò una rinascita all'area attorno al Palazzo Reale, con l'obiettivo di
collegare importanti poli come la sede del viceré e la chiesa dei gesuiti, Casa Professa. Negli anni
avvenire il viceré Marco Antonio Calonna contribuì alla creazione di una nuova strada costiera e di
un ponte sul fiume Oreto, completato nel 1586. Decenni dopo si diede vita alla via Maqueda a
tagliare perpendicolarmente il Cassaro con la costruzione nel XVII secolo della piazza Vigliena (i
Quattro Canti) nel punto di incrocio tra i due assi. Nel complesso, la città vide una trasformazione
radicale nel suo aspetto, assumendo un carattere monumentale. Tuttavia, le critiche strutturali
persistevano a causa delle caratteristiche idrologiche del territorio, rendendo Palermo vulnerabile
alle inondazioni. Malgrado la deviazione dei fiumi e le bonifiche, le piogge abbondanti portavano
ancora problemi, come dimostrato dalle alluvioni del 1557 e del 1666. Nonostante i tentativi di
ricostruzione e di adozione di misure precauzionali, la città non riuscì a trovare una soluzione
definitiva al problema delle inondazioni. Le nuove strade e i progetti di rinascita urbana
probabilmente contribuirono a mitigare gli effetti delle inondazioni, facilitando il deflusso delle
acque. Tuttavia, le problematiche ambientali persistevano, con la necessità di mantenere pulite le
strade e i corsi d'acqua. Nel 1666, venne emanato un regolamento i mastri di mundizza,
sovrintendenti alle pulizie dei quartieri, indicando un'alta consapevolezza delle autorità sulla
gestione delle risorse idriche e sull'importanza di mantenere le strade libere da rifiuti. Vennero
concepite dal senato “/e fossate del Maltempo”, che servivano per proteggere la cinta urbana, si
rivelarono strategici in caso di piene. Agendo come argini, durante le esondazioni del Fiumetto nel
1689 e nel 1692, svolsero un ruolo fondamentale nel limitare i danni. La loro posizione vicino alla
Porta di Castro e alla Strada de' Tedeschi, zone particolarmente vulnerabili, dimostrò la loro
efficacia. Tuttavia, la zona attorno alla Porta d'Ossuna e quelle limitrofe alla porta di Termini,
colpite nel 1772, dimostrano che l'accumulo di rifiuti poteva compromettere il sistema di
drenaggio. Le fossate oltre a svolgere una funzione di protezione idrologica, erano anche
considerate elementi di difesa militare. La consapevolezza della loro utilità era diffusa, ma l'incuria
e l'accumulo di detriti all'interno ne limitarono l'efficacia. La gestione dei fossati richiedeva
attenzione costante per garantire il loro corretto funzionamento, e l'articolo regolamentare del
1666 evidenziò la necessità di mantenere pulite le strade e i corsi d'acqua per evitare ostruzioni.
Malgrado gli sforzi delle autorità nell'emanare regolamenti e imporre sanzioni, le difficoltà nella
gestione del territorio persistevano. Nonostante questi sforzi, nel corso dei secoli successivi,
problemi legati all'accumulo di detriti continuarono a verificarsi, dimostrando che la gestione delle
acque e la pulizia urbana rimanevano sfide crucciali per la città.
partecipano un elevato numero di persone e inoltre vennero impianti dei lazzaretti all'interno della
città, tutto il contrario di ciò che accadde nel 1575. Doria intensificò le processioni, si sollevarono
altari in onore di Santa Rosalia, venne imprigionato e giustiziato un medico Demetrio Sabatiano.
L'epidemia venne gestita in modo spirituale più che sanitario, un ruolo chiave lo svolsero il
soprannaturale, i santi e i miracoli; al contrario di Ingrassia che aveva fornito un modello
organizzativo per la prevenzione e il controllo dell'epidemia, come gli riconobbe Louis de Jaucourt
due secoli dopo.
L'ALLUVIONE 1666
Nel mese di novembre del 1666 una devastante pioggia colpì la Sicilia, provocando inondazioni
nella città di Palermo e Sortino. Circa 500 persone persero la vita, molte delle quali a Sortino, dove
una mantagna cedette sotto il peso dell'acqua. La Gazzette di Parigi riportò l'evento
evidenziandone la gravità. A Palermo l'acqua aveva raggiunto il secondo piano delle case e
parecchie persone erano annegate, soprattutto tra i prigionieri della Vicaria che non erano riusciti a
mettersi in salvo. Il racconto dell'alluvione è conosciuto soprattutto grazie alle memorie di
Vincenzo Auria, testimone oculare degli eventi. Un fulmine colpì l'oratorio di Sant'Alberto
incenerendo qualche fregio, mentre la pioggia intensa formò un torrente da Monreale, causando
inondazioni che allagarono la fossa della Garofala; la furia dell'acqua proseguì attraverso varie
strade, abbattendo Porta di Castro e danneggiando la chiesa di santa Maria della Misericordia.
Palermo fu completamente allagata, con il fiume Oreto che straripò. La notte fu segnata da boati
spaventosi e grida mentre la gente cercava disperatamente di salvarsi. Solo il giorno successivo,
con l'incessante pioggia che rendeva le strade navigabili, molte persone furono evacuate con
piccole barche verso luoghi sicuri. Nella zona intorno alla porta di Castro, la furia dell'acqua creò un
passaggio miracoloso, abbattendo una grossa trave e rompendo il catenaccio di ferro. Questo
evento consentì il deflusso delle acque verso il piano dei Tedeschi e il vicolo degli Zingari, evitando
l'inondazione delle case. Il guardiano della porta, Scipione Valdera che viveva con la famiglia in una
casa li vicino, fu svegliato dal suono della campana della chiesa di Santa Maria dell'Itria già allagata,
si era così alzato per prestare aiuto al cappellano e al suo rientro la sua casa eta sommersa
dall'acqua per quasi 1.30 m. e il livello continuava ad alzarsi. Il maestro di campo inviò dei soldati
per prestare soccorso, ma ogni passaggio era bloccato dalla piena. Solo la crepa nella porta di
Castro, causata dalle forti scosse d'acqua, consentì loro di sfuggire all'inondazione. La conclusione
felice fu attribuita all'intervento miracoloso di Santa Rosalia, il cui simulacro, secondo il racconto di
Vincenzo Auria, galleggiò sopra le acque come segno della sua intercessione per salvare la famiglia
Valdera e prevenire ulteriori danni. L'inondazione del novembre del 1666 non fu un caso isolato
per Palermo, un evento simile si era verificato nel 1557, quando una massa d'acqua tracimò,
causando migliaia di morti. La tragedia fu attribuita alla rottura di una struttura chiamata muro-
diga, costruita nel 1554 per bloccare le acque che scendevano da Monreale. Nel 1666, nonostante i
dispositivi di difesa, la città fu nuovamente colpita, con vittime meno numerose ma con la
crescente consapevolezza dell’inefficienza delle misure adottate. Palermo era attraversata da due
fiumi, il Kemonia e il Papireto, che avevano influenzato lo sviluppo urbano e l'economia della città.
Tuttavia, entrambi avevano causato problemi ambientali, soprattutto il Papireto, che si era
trasformato in un acquitrino malsano. Nel 1557 durante l'alluvione si diffuse anche un'epidemia di
febbre malarica. Il medico Giovanni Filippo Ingrassia suggerì la bonifica delle paludi e la rimozione
delle acque stagnanti per purificare l'aria. Durante il XVI secolo, il pericolo rappresentato dai fiumi
era evidente, con gravi condizioni igieniche e varie inondazioni. Nel 1554, il Fiumetto fu deviato
infetta è considerata fondamentale, con un'attenzione particolare alle tonnare che potevano
contaminare il mare a la terra. Si evidenzia anche l'importanza di preservare le attività economiche
durante l'epidemia e di mantenere uno stile di vita sano a livello individuale e collettivo. Ingrassia si
impegna sia nella cura del presente che nella segnalazione di strategie per preservare il futuro,
sottolineando che la medicina va oltre la cura, rappresentando anche l'arte del benessere e della
conservazione della salute. Con l'aumento dei morti vennero introdotti maggiori provvedimenti. Ai
mendicanti fu concesso un breve periodo al mattino per chiedere l'elemosina, mentre alle
meretrici fu vietato di uscire di casa e di ricevere uomini. Il barraggiamento divenne una pratica
diffusa, con la chiusura sistematica di luoghi come i conventi di San Domenico e San Francesco
d'Assisi, dove si erano verificati casi di peste. Le case con infetti dovevano essere rivelate, chiunque
violasse quest'ordine andava incontro a gravi conseguenze; mentre Ingrassia raccomandava che le
denunce dei casi di infetti venissero ricompensate e indennizzate. Si procedeva al sequestro e alla
sorveglianza delle case barreggiate, inoltre venivano bruciati sia i vestiti che la “roba” degli infetti.
Le disposizioni riguardavano anche la gestione dei cortili, dove ogni casa infetta comportava il
barraggiamento dell'intero spazio. Ingrassia, sebbene ispirato dalle idee di Nicolò Massa, impose
norme più severe, limitando le eccezioni ai ricchi che potevano garantire condizioni igieniche
adeguate. Vennero anche istituiti i Lazzaretti, aree chiuse per segregare gli infetti e separare i
sospetti sani, delineando una geometria rigorosa per contenere la diffusione della peste. Vennero
creati inoltre ospedali speciali, in ritardo rispetto ad altre città; venne individuato un luogo idoneo
fuori dalla città, il lazzaretto della Cuba che venne trasformato in ospedale. Si trattava di un
ospedale laico, diversamente da quelli precedenti, indicando un cambio nella gestione
dell'epidemia. In questo ospedale furono trasferiti i malati accertati e i nuovo infetti, con
l'obbiettivo di separarli dai sani. A differenza di Milano, dove il carattere religioso e caritatevole
continuava a dominare la gestione dei lazzaretti, a Palermo l'amministrazione civile assunse un
ruolo più dominante. Si evidenzia come Ingrassia nella sua opera descrive gli ampliamenti disposti
dal Duca di terranova, presidente del Regno di Sicilia, per rendere più capiente e funzionale il
lazzaretto della Cuba. Abbiamo una particolare attenzione agli aspetti pratici come la disposizione
degli spazi, l'organizzazione dei mezzi di trasporto, l'isolamento dei malati e le procedure per
gestire gli infetti. Ingrassia ideò la separazione di malati da convalescenti, implementando due
padiglioni distinti per uomini e donne in fase di guarigione, con attenzione particolare all'igiene e
alla pulizia. Altrove in Italia tale distinzione non sempre era praticata e i lazzaretti ospitavano e
curavano al loro interno spesso indifferentemente malati e convalescenti, anche se venivano
collocati in reparti diversi: a Milano, l'ospedale di San Gregorio serviva come modello per molti
lazzaretti successivi, con tre settori distinti per gli infetti, i sospetti e risanati in quarantena. Durante
l'epidemia del 1576/1577 a Milano, vennero costruite capanne all'esterno della città per affrontare
la carenza di posti. A Genova, il lazzaretto della Foce, costruito nel 1522, svolgeva funzioni di
ricovero e quarantena; a Venezia, oltre al lazzaretto Vecchio, fu costruito un lazzaretto Galleggiante
Provvisorio con case di legno per affrontare l'aumento dei malati durante la peste del 1575-1577.
A Palermo inoltre a settembre vennero impiantati altri due ospedali, uno per le donne e uno per gli
uomini, nel quartiere Sant'Anna. La gestione delle finanze in tempo di epidemia spettava a tre
rettori scelti dal duca di Terranova: Emilio Imperatore, Pietro Antonio del Campo e Francesco
Lanza, ai quali spettava il compito di occuparsi di tutto il necessario. A Palermo vennero istituiti
nove lazzaretti, l'ultimo fuori dalla porta di San Giorgio, il borgo di Santa Lucia, che aveva ospitato
fino a quel momento i militari spagnoli di stanza in città. Qui venivano purificati coloro che erano
sospetti di contagio in quanto in casa avevano avuto qualche infetto o un morto e per tanto erano
inevitabile, e durante le confessioni emersero delazioni che portarono alla cattura dei capi ribelli;
l'esecuzione delle sentenze cominciò già all'inizio di ottobre 1560. Contro Tarsino fu emesso un
bando di cattura con una ricompensa in denaro, sia vivo che morto, inoltre gli venne distrutta la
casa e gli furono confiscati tutti i beni. Il Tarsino si tecò a Madrid per chiedere la grazia al sovrano
ma senza successo, tant'è che tornò in Sicilia dove fu imprigionato per tre anni per poi essere
giustiziato a Messina nel 1566. Il 20 gennaio 1561 il viceré perdonò tutti i rivoltosi tranne Tarsino e
Turchio, permettendo la possibilità di indennizzo per coloro i cui beni erano stati confiscati. Le
autorità cercarono di normalizzare la situazione con l'indulto generale, dimostrando gli sfotzi per
riportare l'ordine e clamare la cittadinanza dopo gli eventi tumultuosi della rivolta.
LA PESTE 1575
La peste aveva già compito diverse volte la città di Palermo ma ci focalizzeremo in particolare
sull'epidemia di peste del 1575, dove il protagonista indiscusso è il protomedico Giovanni Filippo
Ingrassia. Il capitolo si interroga su come la città si inserisce nel contesto italiano del XVI secolo e
sul contribuito di Ingrassia sulle teorie e sulle strategie adottate dal sistema istituzionale per il
controllo della peste. Quando la peste arrivò a Palermo non si capì immediatamente, anche perché
i medici erano privi di esperienza al riguardo, inoltre non era ancora ben chiaro alla scienza cosa
fosse questa malattia. Si pensava inizialmente che si trasmettesse tramite l'aria, cioè tramite le
impurità dell'aria respirata; si fece strada anche l'idea di un possibile contagio tramite il contatto
diretto con una persona infetta. Viene come già detto, evidenziata l'influenza di Filippo Ingrassia, il
suo trattato “il pestifero et contagioso morbo”, pubblicato nel 1576, divenne un codice sanitario
fondamentale, consultato anche durante l'epidemia a Genova nel 1579. Ingrassia, con esperienza a
Napoli e formazione a Padova e Bologna, contribuì notevolmente al riordino delle pratiche
mediche in Sicilia. Il capitolo sottolinea la sua importanza istituzionale, il suo ruolo nella definizione
di protocolli di emergenza e la connessione tra conoscenza del male e pratiche di prevenzione.
Ingrassia promosse un approccio preventivo, individuando rischi per la salute pubblica e lavorando
alla promozione di un ambiente più sano, oltre a gestire l'emergenza in corso. La sua lezione
centrale è che la prevenzione in tempo di pace è la chiave per affrontare efficacemente
l'emergenza e la guerra sanitaria. Per rallentare il contagio, venne istituita la Deputazione di Sanità
di Palermo, composta da figure di spicco, come il pretore Giovanni Villaraut, il capitano giustiziere
Ludovico Spatafora e lo stesso Ingrassia. La Deputazione si occupava di vigilare sulla cura della
sanità pubblica. Carlo d'Aragona pur non facendone ufficialmente parte, influenzava notevolmente
le decisioni. A differenza di Milano, dove l'arcivescovo Borromeo giocò un ruolo chiave, a Palermo
la gestione dell'emergenza coinvolgeva attivamente la Deputazione, che si riuniva
quotidianamente, anche più volte al giorno, per discutere delle misure da adottare. Il Duca di
terranova, pur trascorrendo la maggior parte del tempo a Termini, dove il contagio non era
arrivato, si assunse importanti responsabilità, mantenendo coinvolte le autorità cittadine.
Contrariamente a Milano dove i medici si ritirarono per paura, a Palermo Ingrassia e altri medici
furono cruciali nelle decisioni, e le loro opinioni furono tenute in grande considerazione sia dalla
Deputazione, che da Carlo d'Aragona. La Deputazione assunse diverse misure preventive sotto
consiglio dello stesso Ingrassia, bisognava innanzitutto controllare le terre sospette di contagio,
controllare maniacalmente chi entrava e chi usciva dalla città, inoltre venne imposto l'obbligo di
segni di riconoscimento per coloro che provenivano da luoghi a rischio, Ingrassia pose molta
attenzione sulla pulizia urbana, sulla corretta gestione delle acque reflue, inoltre promosse la
creazione di una rete fognaria coperta collegata alle singole abitazioni. La prevenzione dell'aria
Lombardo avesse inizialmente tramato con Tarsino, tradendolo successivamente per schierarsi
contro di lui. La sua posizione privilegiata nelle finanze e il suo coinvolgimento con il Banco Degli
Eredi Cenamini potrebbe essere un elemento chiave per riuscire ad interpretare il suo ruolo nella
rivolta. Lombardo fu colpito dal fallimento del banco nl 1561 e nel 1567 fu condannato all'esilio, al
pagamento di una somma di denaro e alla privazione di tutti i suoi poteri. Tuttavia nel 1572
partecipò ad un'asta, tentando il salto nella nobiltà titolata, indicando che aveva ancora diverse
risorse finanziarie e diversi rapporti di amicizia.
Cataldo Tarsino emerge come una figura chiave nella rivolta del 1560, circondato da un'aura quasi
mistica. Cavalcava sempre a cavallo, con la spada sguainata, inseguendo o convincendo gli artigiani
a chiudere i loro negozi. Spietato con il secreto di Palermo tanto da distruggergli la casa, ma
compassionevole verso altri. Torsino appare attivo nella rivolta dopo il 23 settembre, nuovi nomi
emergono durante la rivolta, segnando l'evoluzione rapida degli eventi. Torsino, un notaio
ambizioso, si mise a capo di una sollevazione popolare, coinvolgendo molte persone e dando voc al
malcontento. Nei consigli civici proponeva di tassare anche i cittadini non residenti e i baroni.
Tuttavia, il suo intervento attivo sembra essere successivo all'inizio della rivolta. Le ragioni che lo
spingono a far parte di questa rivolta restano molto ambigue; l'ipotesi suggerisce che Torsino
cercasse uno spazio sociale e politico non disponibile nel suo ambiente di appartenenza. Il
panorama politico e internazionale, la sconfitta della Francia e la crescente connessione tra la
Sicilia e la Spagna, influenzano l'esito della rivolta. Torsino, sperando di spaccare il blocco di potere,
fallisce nella sua strategia. La rivolta segna la sua fine , con la perdita dell'attività professionale e
della vita, diventando uno dei pochi a pagarne il prezzo. La rivolta di Tarsino sembra essere stata
sedata dall'inquisizione, come afferma Carlo Alberto Garufi. Testimonianze parlano dell'opera
meritoria dell'inquisitore Oroczo, che accolse a casa sua la città di Palermo, con l'aiuto e il
permesso dei nobili titolati. l'inquisitore Aedo informò Filippo Il che durante la ribellione il popolo
di Palermo mise in pericolo la città. Tuttavia il cronista Vincenzo di Giovanni riporta che Minico
Morello, coinvolto nella rivola fu salvato da Don Alfonso Bizzerra, fratello dell'inquisitore, sotto
pretesto di appartenere all'inquisizione. Mentre l'inquisizione sedava la rivolta, salvava uno dei
capi ribelli, evidenziando il ruolo ambiguo di quest'ultima. l'accento posto dall'Inquisizione
sull'importanza dei nobili nella rivolta sembra funzionale a difendere l'istituzione e gli abusi
commessi dalla nobiltà sotto la sua ombra. L'azione dell'inquisizione in generale sembra essere
stata utilizzata per difendere l'alleanza tra l'inquisizione e il baronaggio. Questa alleanza nel
contesto delle relazioni tra i viceré di Sicilia e gli inquisitori, cercava di influire sugli avvenimenti a
favore dell'inquisizione. L'analisi dei rapporti tra l'inquisizione e il potere politico dell'epoca
fornisce un quadro più ampio della dinamica sociale e politica del periodo.
La sequenza esatta degli eventi durante la rivolta di Tarsino risulta difficile da determinare con
precisione, poiché le fonti presentano dettagli contraddittori. Mentre la fonte di Madrid offre una
chiara descrizione degli avvenimenti del 23 e del 26 settembre, molte altre fasi, come il periodo tra
queste date e l'inizio della repressione, sono avvolte nel mistero. Di Giovanni menziona che la
rivolta durò otto giorni, durante i quali la folla cercò persino di aprire le carceri e saccheggiare il
tesoro della città. l'ordine pubblico doveva affrontare gravi difficoltà, poiché la città era priva di
truppe a causa dell'assenza del viceré. La repressione iniziò immediatamente, con la cattura di
Giovanni Marrone nella notte del 23 settembre, per ordine del maestro giustiziere Licodia
Ambrogio Santapau. Le autorità cercarono di dialogare con la folla nella speranza di evitare
conflitti armati, riflettendo la complessità della situazione. Tuttavia, la resa dei conti divenne