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Riassunto "Storia moderna" - Criscuolo, Sintesi del corso di Storia Moderna

Riassunto del manuale "Storia moderna" di Vittorio Criscuolo

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Caricato il 09/11/2021

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Scarica Riassunto "Storia moderna" - Criscuolo e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! CAP. 1 ECLISSI DELLA MODERNITÀ 11 LLIMITI DELL'ETÀ MODERNA Le Goff si interroga sull'utilità e sulla legittimità delle periodizzazioni soffermandosi sulla frattura fra Medioevo e Rinascimento dalla quale convenzionalmente si fa cominciare l'età moderna. La parola periodizzazione indica una suddivisione del processo storico in epoche che si ritiene di poter distinguere per le loro caratteristiche, sulla base di una concezione generale della storia o rispetto alle trasformazioni che hanno prodotto in un ambito specifico. Nessuna periodizzazione è mai neutra, ognuna predispone sempre un'interpretazione, un punto di vista particolare che coglie alcuni aspetti dello svolgimento storico ma ne trascura altri. L'inizio della storia moderna viene fatto risalire convenzionalmente al 1942, anno della scoperta dell'America. Però più che a una data specifica il punto di partenza dell'età moderna (terminus a quo) deve essere ricondotto a un periodo tra metà Quattrocento e i primi del Cinquecento. Il problema del punto di arrivo (terminus ad quem) si è posto quando dal tronco della storia moderna si è staccata la storia contemporanea; al di là delle varie posizioni il passaggio dalla storia moderna alla storia contemporanea può essere posto fra la seconda metà del Settecento e i primi decenni dell'Ottocento. Bisogna considerare anche che lo stesso concetto di moderno ha subito una trasformazione che rendono più complicati i riferimenti a quella categoria; bisogna quindi porre un focus sul termine moderno. 1.2MODERNO Il termine modernus comparve fra fine del V e inizio del VI secolo come derivazione del verbo modo, che significa “recentemente, or ora”. Quando comparve erano passati pochi decenni dal 476 d.C. e si era fatta strada la consapevolezza che il mondo antico era tramontato e nasceva l'esigenza di un termine per indicare l'attualità. Nella concezione cristiana poteva esserci un solo momento periodizzante, ossia la nascita di Cristo; da questa parte ancora oggi nella maggior parte dei paesi occidentali la misurazione del tempo. Furono gli umanisti che nel XV secolo manifestarono la convinzione della nascita di una nuova età, con la ripresa dei modelli dell'antichità (greto-romani), dopo un'età di mezzo che ne aveva deformato i valori. Nasce così la divisione tra storia antica, storia medievale e storia moderna. Il programma dell'umanesimo presupponeva un'idea di progresso ciclico, come rinascita della grandezza dell'epoca antica. Quindi il termine moderno aveva una connotazione positiva. “antico” ha ancora una connotazione positiva, a differenza di “vecchio”. Va sottolineata anche la differenza tra “moderno” e “nuovo”, quest'ultimo identifica un qualcosa che prima non c'era, di appena nato. Un ulteriore passo si fece nella disputa avvenuta tra fine Seicento e inizio Settecento tra antichi e moderni; il dibattito sancì l'affermazione della superiorità dei moderni. Nello stesso periodo si pongono le basi per una separazione definitiva tra storia sacra e storia profana. Era la premessa per l'affermazione dell'idea di progresso che dall'illuminismo assume un carattere lineare: fiducia nell'avanzamento illimitato della civiltà. In questa prospettiva il termine moderno assumeva una connotazione positiva in virtù del fatto che esso incarnava il nuovo rispetto al passato. 1.3IL MITO DEL RINASCIMENTO Concetto di Rinascimento come alba della civiltà moderna (Burckhardt). Alla base di questa prospettiva c'era una fiducia nel progresso di una borghesia europea trionfante. Il progresso di cui era fiera la civiltà ottocentesca poteva anche essere respinto in nome della tradizione. Questa era la posizione di Pio IX. Si affermò anche, sempre nel corso dell'Ottocento, la parola “modernizzazione” come estensione, imposizione del modello europeo al resto del mondo. Il concetto di età moderna era l'espressione di un punto di vista laico incentrato sull’affermazione dell'individuo, che aveva rivendicato la capacità di costruirsi il proprio destino e conquistato la propria libertà contro il dogmatismo che lo aveva limitato. La borghesia europea trovava le proprie radici in questa svolta perché si era avviato il processo di formazione degli stati nazionali. L'idea di una nuova visione del mondo destinata a superare la mentalità medievale si espresse nella cultura dell'umanesimo. 14L'INIZIO DELL'ETÀ CONTEMPORANEA Riguardo la Rivoluzione francese il “revisionismo storiografico” ha negato che essa abbia rappresentato la fine del sistema feudale e aperto la strada all'avvento della società borghese insistendo sugli elementi di continuità tra l'antico regime e la Francia rivoluzionaria e napoleonica. Non si può però negare la capacità periodizzante della rivoluzione francese che aprì a una nuova fase distruggendo le fasi della società tradizionale. Riguardo la rivoluzione industriale venne osservato che si estese agli altri paesi europei in ritardo senza provocare cambiamenti repentini. È anche vero che la struttura economico-sociale dell'Inghilterra ha conosciuto a partire dalla metà del Settecento dei mutamenti irreversibili. 1.5 NUOVI ORIENTAMENTI DELLA STORIOGRAFIA La periodizzazione tradizionale è sembrata sempre più inadeguata quando l'interesse della storiografia si è spostato dalle èlite culturali verso le classi subalterne e si è rivolto allo studio della società e dei comportamenti individuali. Punto di riferimento di questa direttrice è la rivista “Annales” fondata nel 1929 da Bloch e Febvre che si propone di studiare quei condizionamenti che permangono immutati per lungo tempo. Si è affermata la categoria della longue durèe, che ha focalizzato l'attenzione dello storico sui fenomeni che conoscono un'evoluzione lentissima rispetto alla quale sono poco significative le periodizzazioni che riguardano svolte o rotture. Ha agito nello stesso senso la storiografia d'ispirazione marxista che ha considerato l'avvento del modo di produzione capitalistico per effetto della rivoluzione industriale come il vero momento periodizzante nel corso della storia dopo il trapasso dall'economia schiavistica del mondo antico al sistema feudale del Medioevo. Effettivamente non è possibile individuare alcun significativo mutamento nell'arco di tempo che si considera come l'alba della civiltà moderna. Un altro motivo per voler superare la periodizzazione attuale è la prospettiva eurocentrica. Di fatto la periodizzazione è fortemente incentrata sulla cultura europea che ha creduto di lo incarnare lo sviluppo della civiltà. Oggi appare superato il pregiudizio e di qui l'aspirazione a una storia globale (world history). Questo ampliamento è la naturale conseguenza della crisi del concetto stesso di modernizzazione, per il quale il modello del mondo occidentale avrebbe dovuto essere adottato necessariamente dai paesi “in via di sviluppo”. Oggi questa prospettiva viene rifiutata in nome di identità etniche, religiose e culturali che non si omologano alla civiltà d'Occidente. È stata importante anche la crisi dello stato nazionale che era stato uno dei cardini dell’affermazione della modernità nella storiografia ottocentesca. Soprattutto lo stato nazionale è stato considerato principale responsabile delle tragedie provocate dai totalitarismi del XX secolo. 1.6POSTMODERNO Il movimento del modernismo in architettura ha privilegiato un modello di costruzione razionale e funzionale. A partire dagli anni sessanta del Novecento, la vena produttiva di questa stagione è parsa prossima a esaurirsi e si è affermata l'idea del postmodernismo, che nasce dalla constatazione del fallimento del tentativo modernista di dominare con scelte razionali il rapporto tra uomo e ambiente. Il concetto è stato definito da un libro di Lyotard del 1978. Elementi centrali della postmodernità sono il rifiuto delle concezioni generali del mondo e della storia e la sfiducia nella possibilità di un'interpretazione razionale e unitaria di una realtà Osservando l'evoluzione della popolazione mondiale appare evidente che in corrispondenza del periodo indicato come l’inizio dell'età moderna non si notano rotture o discontinuità significative. Però si possono individuare due punti di svolta: 1. Sviluppo dell’agricoltura in età neolitica> a partire dal 10000 a.C. in alcune zone del pianeta l’uomo superò gradualmente l'economia fondata sulla caccia, pesca e raccolta dei prodotti spontanei e iniziò a lavorare la terra. Agricoltura e allevamento permisero all'uomo di ottenere con regolarità alimenti facilmente conservabili e favorirono una crescita della popolazione che giunse a circa 250 milioni all'inizio dell'età cristiana. 2. Dopo la popolazione mondiale è aumentata a un ritmo costante ma lento fino al 1750 quando prese avvio una fase di crescita, tuttora in atto. Mentre all'inizio dell'era cristiana fino al 1750 la popolazione è aumentata mediamente del 0,6% all'anno, dalla metà del XVIII secolo alla metà del XX secolo si registra un incremento del 5,9% fino al 18% tra il 1950 al 2000. Il fenomeno è stato definito “transizione demografica” in quanto modificando la mentalità, le tendenze e i comportamenti caratteristici della società preindustriale ha segnato la rottura dello statico sistema delle società di antico regime e aperto una fase nuova. 2.4. IL SISTEMA DEMOGRAFICO DELLE SOCIETÀ PREINDUSTRIALI La crescita lenta della popolazione mondiale nel periodo compreso tra metà del Trecento e metà del Settecento fu garantita da una lieve prevalenza del tasso di natalità su quello di mortalità ; il sistema demografico di antico regime era caratterizzato da un andamento per cicli e conosceva ricorrenti crisi per effetto delle quali la mortalità poteva arrivare addirittura al 100%, fino al 300% 400%. | principali fattori di queste impennate di mortalità erano epidemie, guerra e carestia. 2.4.1 le epidemie Non sempre è facile distinguere le varie malattie sulla base delle testimonianze. A partire dal Cinquecento regredì la lebbra, mentre faceva la sua comparsa alla fine del Quattrocento la sifilide. Incisero sulla mortalità il tifo, il vaiolo, ma nessuna di queste malattie fu mortale quanto la peste. La malattia nota nel mondo antico riapparve a metà del XIV secolo rimanendovi fino a inizio Settecento. Il bacillo della peste arriva dalle pulci dei topi. La forma più diffusa è la peste bubbonica che ha una mortalità del 70% circa. Se però l'infezione si manifesta attraverso le vie respiratorie, peste polmonare, la mortalità è del 100%. La storia demografica dell'Europa moderna è stata condizionata dalla peste nera che fra il 1347 e il 1352 colpì l’intero continente provocando la morte di 25 milioni di persone. La peste giunse in Europa quando i tatari, che assediavano la colonia genovese di Caffa sul mar Nero, lanciarono all'interno delle mura i corpi di alcuni appestati, il bacillo fu portato da marinai genovesi nei porti della Sicilia e di lì si diffuse nel continente. La peste fece la sua ultima comparsa a Marsiglia nel 1721 e a Messina nel 1743, dopodiché sparì dall'Europa occidentale ma continuò a colpire in Europa orientale e negli altri continenti. Le cause di questa sparizione sono ignote, fra le ipotesi c'è la diffusione di una nuova specie di ratti che avrebbe sostituito il ratto nero. 2.4.2 le guerre Gli effetti della guerra sull'andamento demografico furono indiretti: saccheggi e violenze ai danni della popolazione civile, sfruttamento e distruzione delle risorse, con conseguente carestia, diffusione di malattie. Un esempio è la Germania dove durante la guerra dei trent'anni scomparve fra il 20 e il 30% della popolazione 2.4.3 la carestia Lo spettro della carestia si presentò periodicamente nel corso dell'età moderna. La causa principale era l'eccessiva dipendenza dell'alimentazione della maggioranza della popolazione dal consumo dei cereali che dominavano l'agricoltura e fornivano i 2/3 delle calorie alla dieta delle classi inferiori. Nel Settecento si tentò di variare questa alimentazione introducendo ad esempio la patata e il mais, entrambi alimenti americani, e il riso. Ma questi alimenti solo più tardi si affermarono definitivamente mentre nel Settecento rimasero complementari rispetto al consumo di cereali. Quando una congiuntura metereologica sfavorevole provava cattivi raccolti si innescava la crisi: i contadini una volta finite le scorte andavano incontro a una grave penuria di alimenti mentre l'aumento dei prezzi colpiva anche i consumi delle classi lavoratrici della città, le cui difficoltà influivano su tutta l'economia. In realtà l'incidenza delle carestie sulla mortalità si spiega con il regime alimentare carente e fragile della maggior parte della popolazione che portava alla diffusione di malattie. 2.4.4 mortalità infantile e natalità Un’incidenza altissima aveva la mortalità infantile causata principalmente da malattie endemiche che provocavano nel complesso più danni delle epidemie. L'indice di natalità si attestata tra il 33/40%, più alto di quello odierno che è circa del 20%. Dell'11% nei paesi sviluppati. Esso avrebbe potuto essere maggiore dato che l'unica forma di limitazione delle nascite era il coitus interruptus, oltretutto condannato dalla Chiesa. L'uso dei primi profilattici risale alla Francia del Settecento e comunque era diffuso solo nei ceti alti. Quindi i demografi si sono chiesti quali fossero i fattori che concorrevano all'apbassamento della natalità: si è risaliti a dati che attestano che ci si sposava tardi, di media le donne si sposavano a 25 anni, questo vuol dire che dell'età feconda delle donne, che va dai 15 ai 45 anni, non si sfruttavano 10 anni. Inoltre molte unioni non avevano lunga durata a causa della scomparsa di uno dei due coniugi. In più in coincidenza con i periodi di crisi l'intervallo intergenesico si allungava inspiegabilmente, si è ipotizzato che ciò fosse dovuto al prolungamento dell’allattamento fino a 2/3 anni, pratica che provocava sterilità. In conclusione qualcuno dei freni morali suggeriti da Malthus funzionava. 2.5. LA POPOLAZIONE NELL'ETÀ MODERNA Nel periodo l'andamento della popolazione dall'inizio dell'era cristiana alla metà del Settecento viene rappresentato da una retta in lieve e costante ascesa. Questa retta però è caratterizzata da un ciclico alternarsi di momenti di crescita e di crisi. Lo sviluppo fu fortemente condizionato dalla crisi del 1347-1352. Il recupero dei vuoti lasciati da questa crisi fu lento per cui i livelli della popolazione di inizio Trecento furono raggiunti agli inizi del Cinquecento, quando iniziò una nuova fase di crescita che durò fino al secolo successivo. Il Seicento invece fu caratterizzato da una stagnazione, va segnalata però l'eccezione dell'Olanda, che conobbe una crescita sostenuta per tutto il Seicento. Le difficoltà del XVII secolo potrebbero essere ricondotte in parte a un abbassamento delle temperature. A partire dalla metà del Settecento iniziò il processo di “transazione demografica”. Si è molto dibattuto sulle cause di questo processo, vi fu un concorso di fattori diversi che fecero abbassare la mortalità e alzare la natalità. Non si può stabilire un rapporto diretto con la rivoluzione industriale in quanto l'aumento demografico si manifestò prima. Il processo di industrializzazione solo nel corso dell'Ottocento avrebbe rappresentato un potente acceleratore della crescita. Sulla diminuzione della mortalità pesarono la scomparsa della peste e la minore frequenza delle carestie. L'ultima grande carestia è stata nel 1816-1817 ma ebbe effetti meno devastanti. Un effetto positivo ebbe anche l'aquartieramento degli eserciti in caserme. Difficile parlare di miglioramenti delle condizioni igienico-sanitarie; sicuramente fece grandi passi nel corso dell'Ottocento la medicina. Il dibattito storiografico sulle cause che misero in modo alla metà del Settecento la transizione demografica ha riproposto un problema che ha caratterizzato le valutazioni della demografia storica: l'intreccio fra movimenti della popolazione e trasformazioni economico-sociali. Si tratta di comprendere se è stata la pressione provocata da una crescita della popolazione a stimolare uno sviluppo delle tecniche o se è stato lo sviluppo economico che ha favorito un aumento della natalità. Si tratta di fattori che interagiscono tra loro, per cui per ogni singolo caso esaminato lo storico dovrà selezionare quelli che appaiono rilevanti. 2.6 LA DEMOGRAFIA URBANA L'urbanizzazione è un processo di concentrazione della popolazione che può avvenire attraverso la crescita delle città esistenti o tramite la formazione di nuovi centri di aggregazione. Si pone la necessità di definire come si debba intendere con città> nell'Europa occidentale dell'età moderna una città è un agglomerato di più di 5000 individui, ma in zone con bassa densità abitativa bisogna considerare anche i villaggi con più di 2000 abitanti. Il contesto urbano presenta caratteri e problematiche particolari, bisogna considerare che è maggiore il numero di individui non sposati sia per la media più alta di ecclesiastici nei paesi cattolici, sia per la presenza di immigrazione di donne impiegate come domestiche che spesso rimanevano nubili. La struttura economica rendeva più diffusa la famiglia nucleare. Inoltre la mortalità era mediamente più elevata in città che in campagna. Una parte rilevante della popolazione urbana viveva in condizioni precarie e formava una massa di marginali che assume dimensioni più ampie in età moderna. Utile è il calcolo della popolazione urbana, è importante il rapporto con la popolazione complessiva: si può parlare di un processo di urbanizzazione se la popolazione che vive in città cresce in relazione al complesso della popolazione. La dinamica della popolazione urbana ha seguito in Europa un percorso diverso rispetto ad altri continenti. In Occidente le invasioni barbariche e il crollo dell'Impero romano determinarono una profonda crisi della città. Una forte crescita si ebbe nei secoli XI-XIII nell'Europa occidentale, ma questo sviluppo era già rallentato quando intervenne la catastrofe della peste a metà del Trecento. Questa crescita delle città si realizzò nel quadro di un generale incremento demografico, quindi non si incrementò il processo di urbanizzazione. All’inizio dell'età moderna la mappa delle città rifletteva quella dopo l'anno Mille. Particolarmente intenso appariva lo sviluppo degli spazi urbani nella penisola italiana. Se si esamina lo sviluppo successivo delle città maggiori nel corso dell'età moderna appaiono evidenti alcune trasformazioni che riflettono i mutamenti intervenuti in questo periodo nella realtà politico-istituzionali ed economico-sociale. L'Europa mediterranea in particolare l'Italia, nel corso dell'età moderna mantenne le sue posizioni, ma non le incrementò. Il baricentro della mappa si spostò verso l'Europa centrosettentrionale. L'altro fenomeno caratteristico dell'età moderna è la comparsa di grandi città capitali, questa era la conseguenza della formazione di uno Stato diverso rispetto a quello medievale. L'emergere delle nuove città capitali avvenne in virtù della loro funzione di centro politico-istituzionale e amministrativo dello Stato. Di conseguenza si imposero come componenti essenziali del loro tessuto sociale cortigiani, funzionari, militari, addetti ai servizi. È un segno caratteristico della modernità che anticipava le successive trasformazioni dello spazio urbano nell'età contemporanea, la quale ha visto anche negli ultimi decenni una crescita straordinaria del tasso di urbanizzazione. CAP. 3 LA SOCIETÀ PREINDUSTRIALE: AGRICOLTURA 3.1 UNA SOCIETÀ RURALE La società di antico regime era fondata su un'economia prevalentemente agricola. A questo proposito va segnalato che un indice della modernizzazione è la riduzione del numero degli impiegati in agricoltura rispetto al totale degli occupati: quando l'agricoltura riesce ad accrescere la sua produttività si creano le condizioni per lo spostamento di uomini e risorse. Processo che si manifestò precocemente in Inghilterra e ha interessato solo più tardi tutti i paesi più avanzati. Solo con molta lentezza si avviò un processo di superamento dell'agricoltura tradizionale che creò le premesse per una modernizzazione delle tecniche di coltivazione. Quindi anche per la questione economica la periodizzazione moderna non ha alcun senso in quanto non si individuano fra il XV e il XVI secolo elementi di novità tali da determinare una rottura con l'epoca precedente. Quindi ci si è chiesti quanto peso reale avesse il sistema signorile sui redditi dei contadini. È possibile giungere a conclusioni generali, in quanto la realtà era molto diversificata: i residui del sistema feudale, cancellati nel XV secolo dall’affermazione dei comuni in Italia settentrionale e nelle Fiandre, aboliti in Inghilterra nel corso del XVII secolo, erano ancora presenti in Irlanda e Italia meridionale, e avevano un'alta incidenza in Francia settentrionale, Spagna... Bisogna poi considerare che la proprietà contadina era parcellizzata, quindi insufficiente ai bisogni della popolazione, la situazione si aggravò con la crescita demografica, aumentando la pressione sui terreni coltivabili e riducendo le dimensioni delle unità. La struttura della famiglia contadina era condizionata dalla disponibilità di terra. Quando la peste del 1348 ridusse la popolazione, la terra a disposizione divenne abbondante quindi si manifestò la tendenza alla formazione di famiglie nucleari. Poi con l'incremento demografico era più difficile per le coppie rendersi autonome quindi si manifestò la formazione di famiglie più ampie in cui convivevano più generazioni. Però in generale la situazione era variegata. 3.4. UN'AGRICOLTURA DI SUSSISTENZA Il modello dell'economia contadina fu sempre quello dell'agricoltura di sussistenza, che mirava a produrre gli alimenti e gli altri prodotti di cui aveva bisogno la famiglia per sopravvivere, il ricorso al mercato era quindi marginale. Tutto ciò che era necessario alla produzione era prodotto all'interno della stessa famiglia. Tuttavia la famiglia non viveva isolata ma era integrata in una comunità, che ne condizionava ogni aspetto. Nelle zone dove vigevano contratti agrari il paesaggio era caratterizzato dalla presenza di case coloniche sparse nelle campagne. In Inghilterra e in gran parte dell'Europa le case contadine si trovavano riunite nei villaggi, coincidenti con la parrocchia, non superiori ai mille abitanti, e le unità di coltivazione erano disperse nei campi aperti. Le parcelle dei contadini erano disperse e diverse fra loro, e non erano separate da muretti o fossati. Si trattava quindi di un'agricoltura comunitaria in quanto per la frammentazione e dispersione delle proprietà individuali ciascuno era vincolato alle pratiche adottate dal villaggio. Predomina la coltivazione dei cereali che rappresentavano la componente fondamentale dell'alimentazione della popolazione. Caratteristica era la rotazione delle colture al fine di garantire al terreno riposo: seguiva un ritmo triennale, ognuna delle tre parti in cui era diviso il territorio veniva coltivata il primo anno con i cereali a semina invernale, il secondo con orzo e avena con semina a Marzo e il terzo anno stava a riposo. Era un avvicendamento al quale dovevano sottostare tutti coloro che avevano proprietà nel territorio. Dopo il raccolto i campi erano soggetti a usi collettivi dei quali tutti potevano usufruire, come la spigolatura e il pascolo. Poi al momento della semina si ristabiliva la divisione. Importanti erano i campi comuni di proprietà collettiva, sui quali i contadini potevano far pascolare, raccogliere legna; inoltre i più poveri spesso costruivano capanne per ripararsi e ne coltivavano piccoli appezzamenti. Nel mondo contadino vi erano molte posizioni diverse. Uno degli elementi di differenziazione era la proprietà di animali da lavoro: in Francia al vertice della gerarchia vi erano i laboureurs che avevano proprietà più estese e disponevano di animali, al contrario dei manouvriers che non avevano terra. Non mancavano artigiani che però avevano comunque una porzione di terra da coltivare. Vigeva comunque uno spirito comunitario che garantiva la sopravvivenza di tutti. Ricostruendo il bilancio di un'ipotetica famiglia contadina, nonostante le differenze tra i vari territori si giunge alla conclusione che si trattava di un mondo contadino che viveva al limite della sussistenza e che era costantemente esposto al pericolo della carestia. 3.5. UNI’AGRICOLTURA STATICA Se si considera la situazione rurale nell'età moderna si ha l'impressione di un'agricoltura incapace di superare pratiche tradizionali. Le più importanti innovazioni si erano diffuse dall'XI secolo, mentre nell'età moderna non vi furono novità significative, infatti per far fronte all'aumento della popolazione nel Cinquecento si seguì la strada già percorsa nell'XI secolo: una risposta estensiva>Ampliamento del terreno coltivato attraverso dissodamenti e bonifiche, o l'eliminazione di pascoli e prati. Si ebbe così un'intensificazione della presenza di cereali e una diminuzione dell'allevamento. Questo portava all'utilizzo di terre di minore qualità che davano rese inferiori, inoltre con la riduzione dei pascoli si aveva meno concime. Vi era quindi un conflitto tra agricoltura e allevamento che porta a chiedersi come sia possibile che i sistemi tradizionali resistettero così a lungo e quale fosse la difficoltà nel promuovere innovazioni. Innanzitutto questo tipo di agricoltura era caratteristico dell'Europa ma non era praticato negli altri continenti. Sull'agricoltura europea gravava il vincolo del maggese, che rendeva inutilizzabile un terzo della terra all'anno. In alcune zone vi erano esempi di un'agricoltura più moderna, che grazie alla presenza di fiumi e canalizzazione delle acqua si era emancipata dal maggese e otteneva rese migliori. Ma in generale la struttura economica del villaggio opponeva un ostacolo all'estensione di questo modello che fu superato solo a partire dal XVII secolo. Un primo passo verso l'eliminazione del maggese fu l'introduzione di leguminose, e fu decisiva la sostituzione del maggese con piante foraggere che non impoveriscono il terreno e forniscono nutrimento al bestiame. Veniva così superato il conflitto tra agricoltura e allevamento. Questo porta a una più ampia produzione di latte, burro, formaggi e a una quantità crescente di concime. Nasceva così l'agricoltura mista. Condizione importante per l'avvio di queste innovazioni era la disgregazione dell'economia del villaggio con lo sviluppo dell'individualismo agrario. + in Inghilterra con le encolusures che attraverso un processo di ricomposizione delle proprietà poneva fine al frazionamento delle varie parcelle con la formazione di unità di coltivazione compatte. Era un procedimento complesso con il quale si dividevano i campi comuni fra i proprietari quindi si raggruppavano le terre di cui questi erano titolari negli open fields, dopo di ché ogni proprietario provvedeva a recintare il terreno assegnatogli e introdurre miglioramenti. Per realizzare questa procedura era necessaria una trattativa fra i vari proprietari. Questi processi subirono una forte accelerazione nel corso del Settecento perché il Parlamento intervenne con appositi decreti per favorire il processo. Gli enclosures act passarono da 156 nel 1751-1760 a 906 nel 1801-1810. Questi mutamenti avvantaggiarono i proprietari più ricchi in quanto i piccoli proprietari non potevano accollarsi le spese della recinzione, quindi erano costretti a vendere il terreno. Il processo fu lento e chi dovette vendere trovò l'opportunità d'impiego in un'agricoltura che conobbe un forte slancio produttivo. Però il mondo del villaggio oppose resistenza a queste innovazioni che privatizzavano le terre comuni e ponevano fine ai diritti collettivi sugli open fields, necessari per la sopravvivenza della fascia più povera. Il superamento dell'agricoltura di sussistenza avvenne con modalità e tempi differenti nell'Europa occidentale. Nel Settecento si affermò un'agricoltura di tipo intensivo> la maggese si eliminava e si introducevano leguminose, inoltre la rotazione era articolata in diversi anni. Inoltre importante è l'introduzione di nuove colture come tabacco e gelso. In generale l'innovazione si afferma quando maturano le condizioni perché essa sia redditizia. È importante anche la disponibilità di risorse necessarie per la crescita. CAP. 4 LA SOCIETÀ PREINDUSTRIALE: MANIFATTURE, COMMERCIO E MONETA 4.1 LE INNOVAZIONI E L'ENERGIA Nell'età moderna fino alla rivoluzione industriale vi furono numerosi progressi nella tecnologia ma non tali da determinare una svolta nella vita economica. Le innovazioni più importanti si erano verificate nel Basso Medioevo. Agli inizi dell'età moderna sono importanti due innovazioni: la stampa e la polvere da sparo. Non cambiano molto le tecniche nel settore tessile che rimase centrale nell'economia delle società preindustriali. Sono importanti lo sviluppo della lavorazione del cotone e della seta. Ci furono novità importanti nel settore minerario e nella siderurgia. A partire dal Quattrocento grazie alle ruote idrauliche si poterono scavare pozzi fino a 300 metri che portò a una crescita della produzione di argento e rame. Riguardo al ferro il problema era raggiungere il punto di fusione, la soluzione fu trovata con la costruzione di altiforni in muratura nei quali enormi mantici mossi dall'energia idraulica tenevano vivo il fuoco. Riguardo l'energia le sole fonti disponibili erano l'acqua, il vento e il legname, che era impiegato in numerose attività manifatturiere, le società preindustriali, infatti erano fondate sul legno. Questo portò all’inizio del XVII secolo a una sorta di crisi energetica ante litteram. Il prezzo del legno raddoppiò in pochi anni e anche il prezzo del carbone da legna aumentò. Questo portò allo sfruttamento del carbon fossile, che fino a quel momento era stato impiegato marginalmente. In Inghilterra dal XVI secolo furono aperte numerose miniere per l'estrazione del carbone che fu impiegato in sostituzione alla legna da ardere negli usi domestici e in attività manifatturiere. In Olanda, invece, nel XVII secolo il combustibile più utilizzato è stato la torba. Questo sviluppo nella storia dell'energia creava le premesse per l'avvento della rivoluzione industriale in Inghilterra, si passava da fonti rinnovabili a una fonte non rinnovabile. Nell'Ottocento si sarebbe poi affermato il petrolio, fondamentale fino ad oggi. 4.2. IL SETTORE MANIFATTURIERO Per il settore secondario di questo periodo invece che usare il termine industria è preferibile adottare il termine manifattura> attività, eseguite a mano o a macchina, per trasformare una materia prima in oggetto di consumo, quindi in un manufatto, e l'edificio dove tale operazione ha luogo. Soprattutto nelle campagne la famiglia tendeva a produrre da sé ciò di cui aveva bisogno per la sopravvivenza, quindi il produttore è allo stesso tempo il consumatore. Solo occasionalmente si ricorreva all'acquisto di oggetti in città o alle fiere. Nel corso degli anni la produzione domestica è andata scemando, ma ha resistito a lungo. La domanda dei prodotti d'artigianato era alimentata soprattutto dalle classi agiate. Nel corso dell'età moderna la domanda di prodotti di lusso si ampliò per le richieste dei gruppi sociali aristocratici. Ma in questo periodo incise molto la domanda proveniente dallo stato per le esigenze legate all'armamento e all'approvvigionamento delle flotte. Non mancavano manifatture nelle quali erano concentrati lavoratori dipendenti salariati. Accadeva ad esempio nei cantieri edili per la costruzione di edifici importanti. Era comunque una realtà ancora lontana dall'industria moderna, non solo per il limitato uso delle macchine. Spesso si trattava di artigiani proprietari dei loro strumenti di lavoro che lavoravano uno accanto all'altro, anche se il coordinamento di queste attività realizzava una vera catena operativa. La necessità di concentrare il lavoro, quando non era legata a fattori oggettivi, era dovuta all'elevato valore delle materie prime o alla necessità di un controllo diretto sul lavoro. Anche se la maggior parte della produzione manifatturiera era localizzata nelle città ed era organizzata su base individuale o familiare, nella forma dell'artigianato. A partire dalla ripresa dell'XI secolo i settori artigianali erano organizzati in corporazioni, nate da patti associativi analoghi a quelli che avevano dato origine ai comuni > fenomeno urbano. Membro della corporazione era il maestro della bottega che aveva presso di sé uno o due apprendisti non pagati, che anzi pagavano per poter praticare dai lui e dei lavoranti salariati. Le funzioni principali della corporazione erano la difesa del monopolio della produzione e la regolamentazione della concorrenza fra i membri in modo da avere stabilità interna. Gli Illuministi nel Settecento svilupparono una polemica nei confronti delle corporazioni ritenute responsabili di ostacolare la libertà del lavoro, in quanto impedivano ai forestieri di esercitare in città. Sicuramente a un certo punto le corporazioni sono diventate un freno allo sviluppo dell'economia, tanto che si formarono nuove forme di organizzazione. Tuttavia le resistenze ai tentativi di eliminazione prima della loro abolizione mostra quanto fossero radicate nel tessuto sociale. Inoltre il legame fra i membri andava al di là dell'aspetto economico, essa si collocava con una sua precisa identità all'interno dell'universo urbano. 4.3. PROTOINDUSTRIA L'artigiano lavorava su commissione, il sarto confezionava un abito su ordinazione del cliente, che gli forniva a volte anche il tessuto. Tuttavia spesso la commessa veniva da un Con la scoperta di ricche miniere di metalli cominciarono ad arrivare a Siviglia riserve di oro e argento. Nel corso del Seicento al declino di Spagna e Portogallo corrispondono l'affermazione dell'Olanda e della Francia e dell'Inghilterra come principali protagoniste dell'espansione europea. È sempre più accentuato lo spostamento del baricentro economica dell'Europa dal Sud mediterraneo ai paesi del Nord. 4.6 LA MONETA METALLICA Le origini del sistema monetario in vigore nell'età moderna risalgono alla riforma realizzata sul finire dell'VIII secolo da Carlo Magno che istituì un sistema di monometallismo fondato su un'unica moneta d'argento: il denaro. Per comodità ci si abituò a utilizzare dei multipli del denaro, ovvero delle monete ideali di conto che non erano effettivamente coniate: la lira e il soldo> 240 denari=20 soldi=1 lira. La lira non fu mai coniata e restò una moneta immaginaria. L'incremento degli scambi per effetto della crescita economica iniziata nell'XI secolo rese sempre più inadeguato sistema basato su una sola moneta. Quindi dapprima si provvide alla coniazione di multipli del denaro e poi nella seconda metà del XIII secolo all'emissione di monete d'oro. In questo modo si passò dal monometallismo a un sistema di bimetallismo nel quale il valore delle monete era legato al valore dell'argento e dell'oro, sistema impiegato fino alla fine del XVIII secolo. | due metalli utilizzati per la coniazione erano impiegati anche per altri scopi e avevano un prezzo determinato dalla domanda e dall'offerta> il rapporto tra questi prezzi si definisce “rapporto commerciale” o di mercato. In un sistema di bimetallismo bisogna stabilire il valore legale del rapporto del valore commerciale dei due metalli. Occorre quindi che vi sia libertà di importazione ed esportazione dei due metalli e che inoltre sia riconosciuto il diritto di coniazione e fusione. Queste due condizioni consentono un automatico adeguamento del valore di scambio delle monete di oro e argento alle variazioni del rapporto commerciale fra i due metalli. L'Europa non conobbe quindi la carta moneta, utilizzata invece fin dal XIII secolo in Cina. 4.7. LA MONETA BANCARIA Nell'’Europa medievale si affermò la moneta bancaria le cui origini risalgono all'Italia del XII secolo. | banchieri, oltre che a fare da cambiavalute o da intermediari tra i privati e la zecca, accettavano depositi di moneta metallica e rilasciavano una ricevuta > era necessario tenere in cassa solo una frazione del totale dei depositi per far fronte alle richieste di ritiro o per pagare in moneta coloro che non intendevano accettare una ricevuta di accredito sui libri contabili. Essi potevano erogare per la maggior parte delle somme ricevute in deposito in operazioni di prestito. Diedero così vita alla prima forma di biglietto di banca, ovvero la moneta bancaria. Fu importante anche la diffusione della lettera di cambio comparsa alla seconda metà del XII secolo> un atto notarile con il quale un datore dava una somma di denaro a un prenditore il quale gli consegnava una lettera di cambio nella quale si impegnava a restituire la somma ricevuta in un’altra località a un agente del datore. La restituzione avveniva in una moneta diversa e implicava la corresponsione di un interesse. Si otteneva così un trasferimento di denaro da una piazza all'altra senza rischiare connessi al trasporto delle monete. 4.8. LA RIVOLUZIONE DEI PREZZI L'età medievale fu caratterizzata da una scarsità di metalli preziosi rispetto alle esigenze della circolazione monetaria. Sul finire del XV secolo la situazione migliorò soprattutto grazie all'afflusso di metalli preziosi dalle colonie spagnole nel continente americano a determinare del XVI secolo un incremento della massa monetaria. Lo studioso Hamilton ponendo in correlazione l'andamento dell'inflazione e gli arrivi di argento in Spagna, ha ritenuto di poter individuare nell'Europa del XVI secolo una “rivoluzione dei prezzi”. Secondo la teoria monetaria di Fisher se c'è poca moneta rispetto alle merci il livello dei prezzi sarà basso, se invece c'è tanta moneta rispetto alle merci il prezzo salirà. Nel XVI secolo la massa monetaria aumentò la massa monetaria crebbe notevolmente per l'aumentata disponibilità di metalli e anche la velocità di circolazione fu incrementata dalla diffusione della moneta bancaria, di contro la produzione rimase complessivamente stazionaria; la formula sembrerebbe quindi spiegare scientificamente la rivoluzione dei prezzi. In società votate all'autosufficienza, però, gli scambi monetari erano comunque limitati per cui non si può attribuire alla moneta lo stesso peso che ha nella realtà nell'età contemporanea. Inoltre l'incremento dei prezzi fu modesto. Inoltre solo una parte dell'argento rimase in Europa. Se si considera la curva degli arrivi di metalli dal nuovo mondo si osserva anche che c'è corrispondenza rispetto all'andamento dei prezzi. Si può affermare che all'origine del fenomeno vi fu fin dagli inizi del XVI secolo l'incremento demografico al quale l'agricoltura faceva fatica a far fronte. Su questa situazione si innestò l'aumento della massa che sicuramente contribuì a sostenere la Spinta inflazionistica. Oltretutto si comprende così il motivo per cui l'aumento dei prezzi non interessò in maniera omogenea tutti i prodotti, ma si concentrò su quelli di più largo consumo. 4.9 IL SISTEMA MONETARIO DELL'ETÀ MEDIEVALE E MODERNA Quando circolavano le monete che contenevano metalli preziosi era forte la tentazione di ricavare una certa quantità di polvere di argento o oro, così che il peso della moneta non corrispondeva più a quello previsto dalla zecca. Per evitare il fenomeno iniziarono a coniare le monete con orlo zigrinato. Ma spesso erano i principi stessi che realizzavano una frode ai danni dei sudditi. In tal caso bastava gettare nella lega del metallo di poco prezzo, così ogni quattro monete restituite dalla zecca al privato il principe ne incassava una per pagare i debiti. Aumentava così la moneta in circolazione, l'inflazione. Entra in gioco qui la “legge di Gresham” secondo cui se circolano due monete nello stesso paese aventi lo stesso valore legale ma diverso contenuto di metallo prezioso, quella a minor valore intrinseco tende a sostituire la circolazione dell'altra. L'equilibrio doveva ristabilirsi attraverso un mutamento dei valori di cambio fra moneta svalutata e le altre. Le svalutazioni operate nel Medioevo e nella prima età moderna furono condannate in quanto provocavano disordine monetario e danni economici. In realtà le svalutazioni non furono solo delle frodi consumate dai principi e non ebbero solo l'effetto di accrescere il disordine monetario, ma svolsero anche la funzione di far fronte alla scarsità di metalli accrescendo la quantità di denaro circolante. Le svalutazioni furono un rimedio alla scarsità cronica di metalli monetabili. 4.10 MONETA GROSSA E MONETA PICCOLA Fin da quando nel XVI secolo furono coniate monete d'oro si determinò una differenza tra le monete grosse (queste), impiegate in scambi internazionali, e le monete piccole, impiegate per usi quotidiani. La svalutazione interessò queste ultime che arrivarono ad essere coniate in biglione e poi solo in rame. Nell'età moderna si usavano monete con un valore nominale molto superiore rispetto al loro valore intrinseco, per cui vi era convenienza a fonderla + moneta spicciola. Mentre la moneta grossa, che ebbe una sempre maggiore stabilità del loro contenuto intrinseco, non recavano alcuna indicazione di valore in quanto dipendeva dal valore di mercato dei metalli. In origine lira e soldo erano multipli di una moneta reale. Questo sistema fu modificato dalla tendenza delle altre monete equivalenti alla svalutazione per effetto della quale essi contennero una quantità sempre minore di metallo nobile. Per effetto di questo processo la relazione fra le monete circolanti e le monete di conto si spezzò in quanto cadde ogni relazione fra i due pesi, si ha così una distinzione fra i due sistemi monetari: le monete di conto con le quali si fissavano i prezzi e si teneva la contabilità, e le monete realmente coniate. Questo processo era necessario per dare uniformità a un sistema monetario complesso. Effettivamente le monete di nuovo conio non sostituivano quelle precedenti per cui c'erano una serie di unità monetarie tutte diverse per il tipo di metallo, per il peso e il valore intrinseco. Poi gli stati non avevano la totale sovranità monetaria per cui non circolavano sul territorio solo le monete coniate dall'autorità politica ma anche le monete forestiere. Le monete di conto rappresentavano quindi un’unità di misura stabile nella quale tradurre e uniformare i valori delle diverse monete correnti. Le autorità monetarie non riuscirono a mantenere stabile la relazione fra monete grosse e piccole a causa dello svilimento di queste ultime. Poiché le transazioni erano espresse nelle monete di conto, la svalutazione in termini di argento determinava anche un aumento dei prezzi. 4.11 LE MUTAZIONI DEL CAMBIO Il cambio è il prezzo al quale una moneta viene cambiata con un'altra. Il problema del cambio nell'età moderna si poneva quotidianamente a causa dell'esistenza anche all'interno dello stato di due diverse unità monetarie: quando le monete in oro o argento acquistano in valore nominale si determina una corrispondente svalutazione della moneta di conto; viceversa se le monete in oro e argento perdono il valore nominale si ha una rivalutazione della moneta di conto. È evidente il vantaggio che potrebbe avere da una svalutazione della moneta di conto un principe per pagare i propri debiti. Per tutelarsi i banchieri stabilivano che il prestito sarebbe stato restituito con monete dello stesso valore. Allo stesso modo gli storici dell'economia calcolano i prezzi facendo riferimento non al corso delle monete in lire di conto ma al loro intrinseco. 4.12 SVILUPPI SUCCESSIVI DEL SISTEMA MONETARIO Anche nella storia monetaria la rivoluzione francese ha rappresentato una svolta. Nel 1795 la Convenzione stabilì che l’unità monetaria sarebbe stata il franco d’argento diviso in prerogativa fu usata dai sovrani come uno strumento per ricavare denaro o come un’espediente per affiancare all'antica nobiltà nuovi nobili. 5.4. IL PATRIZIATO Lo sviluppo delle città in Italia, nelle Fiandre, in Svizzera e nelle zone occidentali e meridionali dell’area tedesca determinò l'affermazione di un ceto aristocratico di origine urbana non legato alla funzione militare. L'instabilità delle istituzioni comunali dalla metà del XIII secolo la tendenza alla formazione di governi più forti e duraturi, in grado di disciplinare i conflitti politici e sociali; questa esigenza si realizzò con l'emergere di una classe dirigente che assunse il controllo delle magistrature cittadine emarginando gli strati popolari. Fu questo uno degli aspetti della crisi delle libertà comunali. Alla guida della città si insediarono dei patriziati che si riservarono il monopolio delle principali cariche trovando la radice di una distinzione di status rispetto alla restante popolazione. In Germania i patriziati che governavano non espressero un modello alternativo alla nobiltà feudale; diverse erano le cose in Italia centro- settentrionale dove il patriziato si impose come unica classe di governo del territorio assorbendo la vecchia nobiltà. Le famiglie più potenti manifestarono spesso la tendenza ad imitare stili, modelli di vita e ideologie della nobiltà di spada. 5.5 LACITTÀ AI di là dei conflitti sociali legati al dinamismo della sua vita economica, la città rimase legata alla tradizionale frammentazione in ceti, corpi, comunità e associazioni. Erano importanti le corporazioni, anche fra i lavoranti e garzoni furono attivi i compagnonnages, società di mutuo soccorso che garantivano una rete di solidarietà clandestina che si estendeva a più città. Decisiva fu anche la funzione delle confraternite, associazioni di laici a scopo religioso che promuovevano opere di carità e assistenza e si legavano alle articolazioni economiche del tessuto urbano. In questo frammentato mosaico la città trovava un elemento di coesione nell'esigenza di controllare il territorio circostante allo scopo di garantire: - la difesa da possibili attacchi dai nemici; - regolare approvvigionamento. Importante era la difesa del monopolio delle corporazioni artigiane. La subordinazione delle campagne si esprimeva anche nella fusione della proprietaria fondiaria dei cittadini. Anche il regime fiscale rappresentava un aspetto del dominio esercitato sulla campagna. 5.6 GLI EBREI Poiché non esiste una razza ebraica, l'identità di questi gruppi si fonda sulla fedeltà ai riti della religione tradizionale e sulla pratica dei costumi ereditati. Dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. ad opera di Tito, gli ebrei si dispersero nei paesi del Mediterraneo, nel vicino Oriente e in varie zone dell'Europa. Periodo della diaspora> rimasero fedeli alla Bibbia ebraica, nella quale è fondamentale il Pentateuco (Torah scritta), importante è anche la Torah orale, che consiste nelle interpretazioni della dottrina giudaica post-biblica. Figura centrale delle comunità era il rabbino. Nell’età medievale consistente fu la presenza degli ebrei nella penisola iberica, al cui sviluppo economico-culturale essi diedero un contributo rilevante. Chiamati sefarditi da Sefarad sotto la dominazione araba poterono vivere in condizioni accettabili. L'Islam non aveva motivi di contrasto con l'ebraismo e condivideva abitudini. La situazione degli ebrei peggiorava quando i territori in cui vivevano passavano sotto il controllo dei regni cristiani > nel 1205 papa Innocenzo Ill affermò che la presenza degli ebrei in terra cristiana poteva essere tollerata in quanto erano testimoni della verità della fede di Cristo, ma a patto che fossero tenuti in una condizione di schiavitù. Il clima di esaltazione che caratterizzò la prima crescita del 1096 fu occasione di violenze e uccisioni nei confronti degli ebrei che vivevano in Germania. Nel 1215 il IV concilio lateranense impose l'obbligo di portare un segno distintivo. Seguirono il grande rogo pubblico dei libri del Talmud di Parigi nel giugno del 1242, nel 1290 l'espulsione dall'Inghilterra e nel XIV secolo dalla Francia. In questo periodo cominciarono anche a circolare leggende che avrebbero alimentato l'antisemitismo. Fra i molti episodi di persecuzione si ricorda nel 1475 il processo svoltosi a Trento per il presunto omicidio del piccolo Simonino; furono condannati a morte 15 ebrei; il culto del beato Simonino è stato abolito dalla Chiesa di Roma solo nel 1965. Nel basso Medioevo si determinò una progressiva evoluzione dell'identità delle comunità ebraiche dal punto di vista economico-sociale. In precedenza gli ebrei si erano inseriti nel tessuto economico-sociale tramite una serie di attività, che con il peggioramento del loro status giuridico non poterono più esercitare molte di queste attività, più una serie di altre limitazioni. Dopo il concilio lateranense del 1179 gli ebrei si specializzarono nell'attività di cambiavalute e nel prestito su pegno e si dedicarono al commercio, che fu una delle radici socio-economiche dell’antisemitismo. Proprio la predicazione antiebraica dei francescani portò all'istituzione dei monti di pietà che avrebbero dovuto togliere agli ebrei il monopolio del prestito su pegno. All'alba dell'età moderna l'espulsione dalla Spagna nel 1492 poi dal Portogallo nel 1497 segnò la svolta decisiva nella storia delle minoranze ebraiche in quanti colpì la comunità europea più antica e numerosa. Già alla fine del XIV secolo si era avuto in Spagna un massacro degli ebrei, accompagnato da conversioni forzate, ma anche l'accettazione del battesimo non poneva fine alle discriminazioni. Nacque nel 1478 l'inquisizione spagnola. Agli ebrei furono concesse nel 1492 poche settimane per abbandonare le proprie case e lasciare la Spagna. Negli stessi anni le espulsioni dalle città tedesche provocarono un esodo verso l'Europa orientale. Rispetto al basso Medioevo quindi la risultò modificata la distribuzione geografica in quanto la maggior parte delle comunità viveva in Europa orientale. Nell'Impero ottomano gli ebrei che pagavano la tassa prevista dal Corano potevano esercitare diverse professioni, ma in Europa andarono incontro ad un aggravamento della loro condizione. Nella crisi religiosa del Cinquecento prevalse una considerazione negativa della presenza ebraica. Lutero pubblicò nel 1543 un libello nel quale incitò a incendiare le sinagoghe e le case degli ebrei; queste posizioni furono condivise dalla Chiesa di Roma: nel 1553 in Campo dei fiori a Roma si celebrò un rogo di tutte le copie del Talmud. Gli ebrei furono scacciati in tutti i territori italiani soggetti al dominio spagnolo mentre rimasero nei ducati di Ferrara e Mantova, nello stato della Chiesa, nel granducato di Toscana e nella repubblica di Venezia> in quest'ultima si istituzionalizzò una forma di segregazione: il ghetto> nella primavera del 1516 Venezia impose agli ebrei l'obbligo di risiedere in un'area separata. Il nome si diffuse in tutta Europa. Il provvedimento veneziano era un compromesso: la segregazione era la condizione posta per consentire la residenza dei prestatori ebrei, in precedenza non ammessi. Nel 1555 papa Paolo IV Carafa dichiarò in una bolla che gli ebrei dovevano vivere in quartieri distinti; alla linea fissata da Roma si adeguarono molti stati italiani a eccezione per Livorno. L'istituzione del ghetto obbligò le comunità ebraiche a vivere in spazi ristretti e carenti dal punto di vista igienico-sanitario a causa del sovraffollamento. Per le comunità ebraiche avevano enorme importanza i riti e le tradizioni sui quali si fondava la loro identità religiosa e culturale. La popolazione del ghetto trovava speranza nell'attesa del Messia, che l'avrebbe riscattata da quella condizione. Quanto maggiore era l'isolamento maggiore era la coesione sociale. E per questo gli ambienti più tradizionalisti guardarono con sospetto la diffusione nel XVII secolo dello chassidismo, corrente che riteneva possibile avvicinarsi a Dio oltre che con lo studio anche con il contatto con la natura o canto e danza. Secondo gli ortodossi la corrente indeboliva l'autorità dei rabbini. Le comunità polacche si stabilirono nei villaggi dove esercitavano commercio e artigianato e utilizzavano lo yiddish lingua nata unendo il tedesco a termini ebraici e slavi. Quando nel 1648 i cosacchi del Don diedero vita a una rivolta contro la Polonia, i contadini ucraini ortodossi individuarono negli ebrei i principali artefici dell'oppressione esercitata su di loro dalla nobiltà polacca cattolica, ne derivò un massacro. Non mancarono ebrei che ascesero a condizioni di grande prosperità e prestigio attraverso il finanziamento degli stati coinvolti nelle guerre e la gestione delle forniture militari. Nel Settecento il clima culturale e politico si modificò grazie all'influenza del pensiero illuministico e nell'ebraismo si fece strada una corrente di pensiero, Haskalah, che mirava a conciliare la tradizione con il Mondo moderno. Non tutti gli illuministi però erano a favore dell'emancipazione degli ebrei e così andò formandosi un nuovo antisemitismo, non più legato a motivazioni religiose. Agli inizi degli anni '80 l’imperatore d'Austria Giuseppe Il adottò i primi provvedimenti favorevoli agli ebrei, ma si trattava di misure limitate; fu la rivoluzione francese a decretare la completa emancipazione proclamando gli ebrei cittadini francesi a pieno titolo. Napoleone mantenne il principio affermato con la rivoluzione. Nel periodo della Rivoluzione il clima cambiò. L'emancipazione si affermò nel corso del XIX secolo si aprì nella storia dell'ebraismo una fase nuova che ripropose in termini diversi il problema della loro presenza nella società. La prospettiva dell'integrazione inquietava le coscienza di molti, e non solo negli ambienti più tradizionalisti. Paradossalmente il ghetto aveva la funzione di proteggere dal mondo esterno il loro patrimonio religioso e culturale che ora rischiava di andare disperso. Di qui il senso di straniamento di molti gruppi quando si trovarono in una condizione radicalmente mutata. Nacque così nel XIX secolo il movimento sionista animato dall'idea di un ritorno nella terra degli avi. 5.7 _POVERI, MARGINALI, VAGABONDI Nel periodo del passaggio dall’età medievale all’età moderna mutarono le caratteristiche del pauperismo, e cambiò l'atteggiamento di fronte al fenomeno. La società medievale tendeva a considerare la povertà come un'immagine vivente del disprezzo per le cose del mondo predicate da Cristo e l'elemosina era vista come occasione per meritare la salvezza eterna. Già nei secoli del basso Medioevo su questo tradizionale modo di confrontarsi con la povertà si innestò un'attenzione delle autorità pubbliche nei confronti di un problema decisivo per il mantenimento dell'ordine pubblico: occorre distinguere tra povero come individuo e povertà come fenomeno collettivo e si affermò una divisione tra poveri “buoni” che sono ad esempio persone di buona condizione sociale cadute in disgrazia o coloro la cui povertà era data da motivi strutturali i quali erano tollerati; e i poveri “cattivi” che era quella fascia di popolazione che diventò povera in conseguenza di un fenomeno di massa endemico alla base del quale vi fu la crescita demografica che portò a un aumento di disoccupazione e un allargamento a forbice tra prezzi e salari. Nei confronti dei poveri “cattivi” le classi abbienti provavano diffidenza. Di conseguenza sulle attività esistenziali gestite dalle autorità ecclesiastiche si innestarono iniziative sempre più frequenti delle autorità laiche volte a contrastare i pericoli legati alle nuove forme che andava assumendo il fenomeno del pauperismo+ caso di Lione che fra il 1529 e il 1530 fu colpita da una carestia e poi dalla peste, fu invasa nel 1531 da migliaia di poveri. Questa emergenza indusse le autorità cittadine ad organizzare un piano di pubblici aiuti; nel 1534 questa Elemosina generale fu trasformata in istituzione permanente. In Inghilterra nel 1572 fu introdotta a livello locale una tassa obbligatoria che avrebbe dovuto fornire alle parrocchie le risorse necessarie per provvedere ai bisognosi, ogni comunità doveva soccorrere i propri poveri mentre si cercò di evitare lo spostamento di questi ultimi in città. Nel XVI secolo la lotta al pauperismo si concretizzò nella “grande reclusione” dei poveri, l'obbiettivo era una sorta di igiene sociale: nel 1656 fu istituito a Parigi l'Ospedale del ruolo di queste assemblee che costituivano un grave limite per l'esercizio della sua autorità. Era decisiva la periodicità delle riunioni, che questi organismi a ogni occasione propizia tentarono di ottenere. Dove le monarchie riuscirono a liberarsi del controllo di queste assemblee poterono avviarsi alla costruzione di uno Stato più forte. 6.6 LA CORTE Nell’età moderna si affermò la tendenza dei sovrani a stabilire la propria dimora in un luogo che si poneva anche come centro della vita politica dello Stato: la corte, dove il sovrano abitualmente viveva circondato da funzionari, cortigiani... Nell'Italia fra il XV e il XVI secolo le corti si affermarono come centri di cultura, punti della straordinaria fioritura artistica che caratterizzò l'età rinascimentale. Nelle grandi monarchie la corte era anche l'emblema del primato della dinastia regnante rispetto all'alta aristocrazia. Una rigida etichetta regolava i momenti principali della giornata. In questo modo si annodavano anche intrighi e sotterranee lotte di fazione per orientare le decisioni del sovrano. Ma la corte era il centro simbolico del potere, non il luogo nel quale esso si esercitava. In origine sia la cancelleria, il grande ufficio nel quale si redigevano gli atti ufficiali e si teneva la corrispondenza, sia i supremi tribunali che amministravano la giustizia nacquero per distacco dalla corte fra l'XI e il XIV secolo. 6.7 GLI ORGANI DI GOVERNO Il processo di unificazione del potere nella persona del sovrano si realizzò riservando gli affari politici più importanti, e in particolare la direzione della politica estera, a organismi collegiali ristretti. Spesso al loro interno si formò un più ristretto consiglio di gabinetto, in esso il re prendeva con poche persone le decisioni più importanti. La composizione di questi organi tendeva a escludere degli affari di Stato gli esponenti delle grandi casate aristocratiche che miravano a mantenere o acquisire spazi di influenza politica a corte e negli organi di governo. Le monarchie che perseguirono un modello assolutistico le riservarono cariche onorifiche, chiamando a far parte di questi consigli uomini nuovi, fedeli consiglieri ed esecutori delle decisioni politiche. Nell'età moderna un posto centrale nella vita politica ebbero i segretari di Stato, le cui segreterie erano il vertice di una macchina burocratica sempre più complessa. Decisivo era il controllo del territorio sul quale agivano poteri legali depositari di autonomie e privilegi. Le monarchie si servirono di commissari nominati e dipendenti dal governo centrale. Tuttavia la struttura burocratica venutasi a creare non annullò la realtà preesistente ma si sovrappose a essa. L'antico regime era il regno del molteplice anche perché nulla scompariva mai per davvero. 6.8. LA BUROCRAZIA: IL SISTEMA DELLA VENALITÀ DELLE CARICHE La tradizionale concezione patrimoniale del potere condizionò il processo di formazione di un apparato amministrativo efficiente e funzionale dando vita alla pratica della venalità delle cariche. Le origini del fenomeno risalgono al tempo in cui il demanio reale non era che una signoria analoga a quella dei feudatari, e l'ufficio rappresentava che la gestione di una parte del demanio affidata dal re e la conseguente necessità di un esercizio più efficace della sua autorità determinarono una trasformazione dell’ufficio, che divenne una delega di una funzione pubblica. Questi cominciarono ad essere considerati dai loro titolari come un bene patrimoniale, che poteva essere venduto o trasmesso in eredità. Per tutto il XVI secolo venne condannata una pratica che sembrava realizzare una vera e propria simonia. Ma le denunce non sortirono effetti. Fin dall'inizio c'era la tendenza ad assimilare l'ufficio al beneficio ecclesiastico e al feudo. L'ufficio comportava il riferimento di una funzione, con la dignità a essa legata, e l'attribuzione di un reddito. Ma soprattutto operò il permanere della mentalità feudale. Se è chiaro che la monarchia fu spinta alla vendita degli uffici per motivi finanziari, coloro che spendevano ingenti somme per acquistarli miravano a lasciare la condizione di plebei per accedere alla classe privilegiata. Si insediò così alla testa dell’amministrazione una casta di ufficiali inamovibili perché proprietari della loro carica che formarono una nobiltà di toga. La venalità delle cariche fu un elemento importante di mobilità sociale che aprì al vertice del terzo stato le porte del mondo del privilegio aristocratico. 6.9 LA GIUSTIZIA La funzione di sommo giustiziere rappresentò la prerogativa centrale del potere monarchico, che si esercitava attraverso la legislazione e la giurisdizione civile e penale. Nell'età moderna l’attività legislativa non ebbe mai il carattere continuativo e sistematico che ha nelle società attuali. Il emetteva ordinanze, editti decreti e lettere patenti spesso su argomenti specifici, ma per lo più non poteva stabilire norme dotate di validità generale perché trovava un limite nella pluralità di ordini giuridici particolari, garantiti dalla consuetudine e sanciti da statuti che regolavano la vita della società di antico regime. Il diritto era un coacervo di norme provenienti dall'accumulo secolare di fonti diverse. In questa situazione il giudice di volta in volta doveva creare la norma da applicare nel caso specifico. In Inghilterra la legislazione regia aveva un limite oggettivo in quanto la giustizia veniva amministrata da giudici in base al common law fondata sulle consuetudini giuridiche. La pluralità di ordinamenti giuridici determinava l'esistenza di una pluralità di giurisdizioni che limitavano le prerogative del potere sovrano. La giustizia era esercitata da autorità e poteri periferici autonomi rispetto al potere centrale: giustizia signorile, magistrature cittadine e associazioni e corporazioni particolari. C'era poi la giustizia ecclesiastica che aveva la competenza esclusiva nelle cause concernenti i componenti del clero e rivendicava la propria autorità in materia di eresia e per delitti attinenti alla sera religiosa. Il potere di questi tribunali particolari fu limitato nel corso dell’età moderna: tutte le sentenze dovevano essere pronunciate in nome del re e per i processi più importanti furono previsti l'appello o l'avvocazione davanti ai tribunali regi. Quindi l'autorità regia si sovrapponeva alle giurisdizioni inferiori, che regolava e controllava, ma non sopprimeva 6.10 I RAPPORTI CON LA CHIESA La sacralità del potere monarchico si rifletteva sui rapporti con l'autorità ecclesiastica e in particolare nella volontà di accreditarsi come protettore della Chiesa e come baluardo della fede. Il problema dei rapporti fra il potere politico e l'istruzione ecclesiastica si pose in termini diversi che aderivano alla Riforma protestante. Per quanto riguarda i paesi cattolici, rimase il tradizionale dualismo dei due poteri separati, Chiesa e Stato, le cui relazioni costituivano un aspetto centrale degli equilibri politico-sociali e istituzionali. Lo Stato tendeva ad affermare le prerogative spettanti al sovrano in materia di religione, rivendicando non solo il compito di proteggere l'istituzione ecclesiastica, ma anche il diritto di controllarla e di intervenire per riformare gli abusi. L'esigenza di limitare e controllare il potere della Chiesa, nei suoi aspetti giuridici, istituzionali ed economici, fu una componente imprescindibile del processo di rafforzamento del potere monarchico e della struttura statale. Decisivi erano il diritto di nomina delle cariche ecclesiastiche e la possibilità di ricavare dalle proprietà della Chiesa un contributo alle finanze. 6.11 LE FINANZE Il problema finanziario rappresentò il nodo centrale dei tentativi di dare maggiore solidità e coerenza alla struttura dello Stato. Le imposte erano concepite come contributi straordinari, legati al una situazione contingente. Per una serie di esigenze occorre stabilire un prelievo fiscale sistematico e continuativo: fu l'obbiettivo principale degli stati di antico regime, e fu proprio questo il terreno di scontro fra il monarca e le assemblee cetuali. A sostegno delle richieste del sovrano giocarono le esigenze di difesa del territorio dai nemici esterni e la conseguente necessità di ottenere fondi adeguati per le spese militari, cresciute a causa dei progressi della tecnica. Anche per questo aspetto gli sforzi degli stati di antico regime non furono in grado di superare vincoli ereditati dalla tradizione, che impedirono lo stabilimento di un sistema finanziario coerente. Tutti gli stati furono assillati dalla difficoltà di far fronte alle crescenti esigenze finanziarie. Non vi era bilancio attendibile delle spese e elle entrate in quanto i flussi erano gestiti da molte casse e enti particolari, e non si arrivò mai a una effettiva centralizzazione amministrativa, si procedeva a far fronte alle esigenze del momento imponendo contribuzioni occasionali o prestiti forzosi. Il sistema fiscale non aveva uniformità perché erano in vigore diversi regimi e pesavano esenzioni e privilegi. Anche rispetto a una stessa imposta si registravano situazioni differenziate. Per lo più le imposte dirette rimasero fondate su basi approssimative in quanto riscosse per testa o per fuoco o famiglia. Pesò il persistere di una concezione patrimoniale della finanza, che indusse molti stati a dare in appalto la riscossione a finanzieri privati, che anticipavano le somme necessarie al tesoro pubblico e poi provvedevano in proprio all'esalazione. Nel Settecento si ebbero i primi tentativi di razionalizzare il sistema. Si provvide allora a richiamare nelle mani dell'amministrazione la riscossione e si tentò di realizzare un'imposizione diretta e reale. Tuttavia solo con la rivoluzione francese si posero le basi per un apparato finanziario uniforme, efficiente e razionale. 6.12 LA POLITICA ESTERA Nell’età medievale le relazioni fra gli stati erano affidate ad ambascerie occasionali, che aveva l'obbiettivo di comporre contrasti o potenziali conflitti, di negoziare alleanze o di trattare su specifiche questioni. Nell'Europa medievale il papa svolgeva una naturale mediazione e di guida spirituale. Furono gli stati italiani dell'età umanistico-rinascimentale a porre le basi della diplomazia moderna, prevedendo l'invio di un rappresentante permanente presso i governi stranieri; la repubblica di Venezia diede vita ad un corpo di ambasciatori. Questo precoce sviluppo delle relazioni diplomatico fu reso necessario dal sistema di equilibrio instauratosi fra i principali stati della penisola dopo la pace di Lodi del 1454. Agli inizi del Cinquecento questo esempio fu seguito da tutti i principali paesi europei. In questo periodo si posero le basi del cerimoniale e delle norme che dovevano regolare l'attività diplomatica, e fu stabilito l'ordine in cui i rappresentanti dei vari stati dovevano essere ricevuti o dovevano firmare un trattato o sedersi a un ricevimento. Non mancarono incidenti con scontri armati e sfide a duello. | due trattati (pace di Vestfalia) che chiusero nel 1648 la guerra dei Trent'anni, posero le premesse per il riconoscimento di una comunità internazionale di stati considerati eguali per dignità e prerogative. La frattura dell'unità cristiana per opera della Riforma protestante modificò in modo significativo la dinamica delle relazioni internazionali in quanto i conflitti religiosi assunsero un peso crescente nella formazione dei sistemi di alleanze. 6.13 GLI SVIULUPPI DELLA TECNICA MILITARE. | progressi nella tecnica militare furono da un lato l'espressione delle trasformazioni sociali che caratterizzarono la transizione dal Medioevo all'età moderna e il declino della nobiltà feudale, dall'altro furono il principale motivo che rese necessario un rafforzamento nell'amministrazione statale. Un aspetto centrale in questa evoluzione della tecnica fu l'uso della polvere da sparo arrivata in Occidente agli inizi del XIV secolo. Tuttavia il perfezionamento delle armi da fuoco fu lento per cui gli effetti di questa scoperta si fecero sentire abbastanza tardi. Il primo elemento di novità fu la formazione di eserciti interarmi, nei quali accanto alla cavalleria pesante era prevista la presenza di balestrieri e arcieri e di importanti nuclei di fanteria. La cavalleria pesante era stata l'arma tipica dell'età medievale e alla fine del XVII secolo si poneva ancora come nucleo centrale degli eserciti. Già allora cominciavano ad apparire i primi superamenti del soldato tradizionale dei tempi. La formazione di questi eserciti interarmi fu il primo segnale di cambiamento. Soprattutto fu decisivo l'avvento delle fanterie, che fu imposto dai trionfi conseguiti sul campo di battaglia dall'ordine svizzero. La centralità della fanteria nella struttura degli eserciti impose una nuova forma di reclutamento: il re poteva assicurarsi il monopolio assoldando delle fanterie e predisponendo un parco di artiglieria. Era necessario disporre di entrate finanziarie regolari e cospicue, un obbiettivo che si poteva conseguire solo attraverso un'imposizione fiscale stabile. Le fanterie svizzere furono a lungo considerate invincibili per cui molti sovrani e principi europei fecero a gara per assoldarle. Non mancarono tentativi di imitare l'esempio dell'ordine svizzero. Il predominio delle fanterie svizzere durò solo fino ai primi anni del XV secolo, in quanto la crescente importanza delle armi da fuoco determinò la necessità di un'ulteriore evoluzione della tecnica militare. Per contrastare i quadrati di picchieri era necessario fermare la loro avanzata prima che essi arrivassero e per quello risultarono decisivi i progressi tecnici che amministrazione finanziaria, ma a livello imperiale dovette scontrarsi con le resistenze dei principi territoriali riluttanti a rinunciare alle proprie prerogative. Negli organi federali il Consiglio imperiale e il Tribunale camerale dell'Impero, la legislazione e l'amministrazione della giustizia restarono prerogative condivise fra l'imperatore e i ceti. Nella Dieta del 1495 Massimiliano ottenne solo l'istituzione di una tassa che la Dieta avrebbe dovuto approvare ogni anno. Questo impegno però venne disatteso: Massimiliano dovette continuare a vivere di espedienti e a trattare di volta in volta con i principi territoriali. All'inizio del suo regno ottenne dal re di Francia Carlo VIII l’Artois e la Franca contea, ma non riuscì a ripristinare l'autorità imperiale in Italia e dovette rinunciare al tentativo di riportare all'obbedienza la confederazione elvetica. | maggiori successi vennero nella sua politica matrimoniale: il suo matrimonio con Maria di Borgogna gli consentì l'acquisizione dei Paesi Bassi; da questo sarebbe derivata l'eredità del nipote Carlo. Nel 1515 Massimiliano organizzò anche il matrimonio dell'altro nipote Ferdinando con una sorella di Luigi Jagellone, re di Boemia e Ungheria, che poi saranno acquisiti dagli Asburgo. 7.5 IL REGNO DI FRANCIA La monarchia francese all'alba dell'età moderna presentava un carattere feudale. Il re era al vertice di una gerarchia di vassalli legati a lui dai vincoli della fede e dell'omaggio. Un primo passo verso l'unificazione del regno fu la vittoria sui re inglesi, i quali nel 1453 persero tutti i loro possedimenti sul suolo francese conservando solo Calais. Poi, con la morte di Carlo il temerario, la grave minaccia che costituiva lo Stato borgognone cessò, quindi la monarchia poté stabilire la sua autorità sulla Provenza e l'Anjou. Quanto alla Bretagna la figlia dell'ultimo duca fu obbligata a sposare l'erede del trono francese, che sarebbe diventato re Carlo VIII, e alla sua morte il successore Luigi XII. Il legame fra Bretagna e Francia fu rinnovato con il matrimonio fra Claudia (figlia di Anna e Luigi XII) e Francesco di Valois-Angouleme che salì al trono nel 1515 e così anche il territorio bretone fu annesso al regno. Ponendosi come garante dell'integrità del paese contro lo straniero, la monarchia poté realizzare un rafforzamento del potere. Carlo VII per poter creare il primo nucleo di un esercito permanente impose nel 1439 la taglia; egli poi la rinnovò annualmente senza chiedere l'autorizzazione degli Stati generali. Nel contempo accrebbe l'autorità del Consiglio del re e si consolidò l'apparato ‘amministrativo. La monarchia francese poté liberarsi della necessità di ricorrere agli Stati generali che, dopo il 1484, non furono convocati fino al 1560 e anche successivamente furono una presenza marginale. Nel 1515, quando salì al trono Francesco I, il regno era lo Stato più popoloso, solido e coeso dell'Europa, pronto a ingaggiare il lungo conflitto con gli Asburgo per la supremazia in Italia e Europa. Il nuovo sovrano conseguì un nuovo successo assicurandosi il controllo della compagnia ecclesiastica con il concordato di Bologna del 1516, poté così nominare tutte le principali cariche della Chiesa. Nel 1522 Francesco sancì il sistema della venalità delle cariche istituendo un ufficio per gestire le entrate provenienti dalle vendite. Per effetto di questa pratica l'amministrazione finanziaria e giudiziaria sfuggì al diretto controllo del re. AI vertice dell'amministrazione giudiziaria si poneva il parlamento di Parigi che aveva il compito di registrare gli editti del re e per questa sua prerogativa assunse un ruolo politico ponendosi come il principale ostacolo all'assolutismo monarchico. In generale bisogna considerare che la volontà della monarchia di dare un indirizzo unitario all'azione di governo trovava un limite oggettivo nella pluralità di privilegi, distinzioni e immunità che costituivano la trama della società di antico regime. La struttura burocratica e l'amministrazione finanziaria non cancellarono i corpi, le magistrature e i poteri territoriali, ma si sovrapposero a essi nel tentativo di controllarli e regolarli. Nel 1542 Francesco stabilì delle circoscrizioni fiscali per la riscossione della taglia, ma nelle province di recente annessione era costretto a contrattare annualmente l'ammontare dell'imposta con i tre ordini riuniti negli stati provinciali che provvedevano alla ripartizione e riscossione. Le ordinanze emanate dal Consiglio del re non potevano dare un codice uniforme al paese in quanto nel Mezzogiorno era in vigore il diritto romano e nella parte settentrionale vigeva il diritto consuetudinario. In realtà il regno era pur sempre un mosaico di città e province ciascuna delle quali manteneva le proprie prerogative. 7.6 LA SPAGNA Alla fine del XV secolo nella penisola iberica la presenza musulmana a fronte dei quattro regni cristiani (Aragona, Castiglia, Navarra e Portogallo) era circoscritta al regno di Granada. La nascita della Spagna moderna prese avvio con il matrimonio nel 1496 fra Isabella (1474-1504) e Ferdinando (1479-1516) eredi di Castiglia e Aragona. La successione di Isabella sul trono castigliano del 1474 fu contestata e provocò una guerra civile che terminò nel 1479 con l'effettiva unificazione dei due regni. Si trattò di un'unione personale, in quanto i due regni mantennero le proprie leggi e istituzioni. Il regno aragonese, composto di tre province, Aragona, Catalogna e Valencia possedeva la Sicilia e la Sardegna e aveva installato un ramo della dinastia a Napoli. La Catalogna vantava una tradizione commerciale e marinara, ma era in fase di declino. Maggiore era il peso demografico e ed economico della Castiglia. La supremazia castigliana si manifestò da subito nella decisione di Ferdinando di risiedere nel regno della moglie e di delegare l'amministrazione dei suoi domini ereditari e dei viceré. La decisione dei due sovrani realizzò un rafforzamento dell'autorità della monarchia in Castiglia, dove si poneva il problema di combattere la prepotenza nobiliare e la diffusa violenza. A tal fine la monarchia riorganizzò le milizie urbane creando la Santa Hermandad che represse le aggressioni e le violenze private. Anche in Castiglia la monarchia mirò a sottomettere al suo servizio le grandi casate aristocratiche escludendole dalle cariche politiche e chiamando nel Consiglio reale giuristi non nobili. IMportante fu il controllo dei tre ordini religioso-militari di Santiago, Alcantara e Calatrava che erano egemonizzati dalla nobiltà e con il loro patrimonio fondiario rappresentavano una sorta di Stato nello Stato. Ferdinando si fece nominare gran maestro da tutti gli ordini che pose sotto l'autorità della monarchia. Ferdinando e Isabella si preoccuparono anche di limitare il potere delle città nominando dei funzionari che avevano funzioni amministrative e giudiziarie ed esercitavano un controllo sulle comunità. Riguardo la Chiesa i sovrani sul finire del XV secolo si garantirono che il papa nominasse le principali cariche ecclesiastiche le persone designate da loro, inoltre le ricchezze della Chiesa contribuivano alle finanze. Sul piano finanziario accrebbero le loro entrate grazie a un imposta indiretta che colpiva tutte le transazioni e riuscirono per lunghi periodi a non dover convocare i ceti riuniti nelle Cortes del regno castigliano. Il potere di queste ultime fu poi ridimensionato quando alle loro sessioni non parteciparono più clero e nobiltà. Diversa fu la situazione nel regno di Aragona dove le Cortes non persero le proprie prerogative e rappresentarono un freno alla politica della monarchia. Nel 1492 Ferdinando e Isabella portarono a compimento la reconquista occupando Granada. Così alla cacciata degli ebrei dopo la conquista di Granada seguì un inasprimento della politica nei confronti dei musulmani che furono obbligati a conversioni forzate e battesimi di massa. Per controllare la veridicità delle conversioni venne istituito il tribunale dell'Inquisizione dal 1478, esteso poi all'Aragona, alla Sicilia e alla Sardegna. Essa fu l’unica istituzione comune ai vari domini della monarchia, l’unità religiosa era il fondamento su cui poggiava la nuova Spagna. La morte della regina Isabella nel 1504 pose un problema di successione, che mise in pericolo l'unione tra i regni. La corona di Castiglia sarebbe spettata alla figlia Giovanna che aveva sposato il figlio di Massimiliano, Filippo il bello. La morte di Filippo nel 1506 e la pazzia di Giovanna permisero a Ferdinando di mantenere il governo anche del regno castigliano. Nel 1512 con l'occupazione della Navarra venne completata l'unificazione della Spagna. 7.7 L'INGHILTERRA Uscito vincitore dalla guerra delle due rose (York contro Lancaster) Enrico VII Tudor (1485-1509) si occupò di restaurare l'autorità della monarchia contro le congiure e le violenze della nobiltà feudale, uscita indebolita dal conflitto, e si guadagnò il consenso degli abitanti della città e della piccola media nobiltà. Egli governò nel Consiglio privato e si servì per rafforzare la propria autorità della corte della Camera stellata che si occupava di reati di natura politica. Si trattava di un tribunale straordinario in quanto vigeva la common law. Enrico VII accrebbe anche il proprio patrimonio fondiario con le terre confiscate ai nobili ribelli e incrementò le entrate finanziarie. Ciò gli consentì di convocare solo una volta il Parlamento composto da Camera dei Lord e Camera dei comuni, A Enrico VII successe Enrico VIII (1509-1547) che si impegnò senza molto successo nelle guerre continentali e lasciò la guida del governo al cardinale Thoma Wolsey. Il distacco della Chiesa inglese da Roma nel 1534 rappresentò una svolta decisiva anche negli equilibri istituzionali del regno, ponendo le basi per l'affermazione del ruolo centrale del Parlamento. 7.8. GLI STATI DELL'EUROPA SETTENTRIONALE E ORIENTALE Nel 1386 il regno di Polonia fu unito per matrimonio al granducato di Lituania del quale era titolare la famiglia degli Jagelloni. La Lituania era uno Stato esteso che comprendeva la Bielorussia e l'Ucraina giungendo fino al Mar Nero. La federazione polacco-lituana rappresentava il più vasto Stato dell'Europa orientale. Sotto la guida degli Jagelloni la Polonia sconfisse nel 1410 a Tannenberg l'ordine dei cavalieri teutonici e acquisì nel 1466 la Prussia occidentale, ottenendo con Danzica e la Pomerania uno sbocco al mare; la Prussia orientale rimase all'Ordine, che però dovette riconoscersi vassallo della Polonia. La Polonia restava uno stato fragile perché era dominata da una potente classe aristocratica. Il re era condizionato dalla Dieta formata da un Senato e da una Camera dei deputati. Nel 1505 la Dieta impose al re Alessandro Jagellone una convenzione per cui senza il suo consenso non avrebbe potuto stabilire niente di nuovo nello Stato. Gli Jagelloni alla fine del XV secolo estesero la loro influenza sistemando Ladislao Jagellone sul trono di Boemia e Ungheria rimasti vacanti dal 1476 al 1490. Anche in questi stati si determinò un indebolimento della monarchia perché Ladislao fu obbligato dai nobili a riconoscere i loro privilegi. Quanto ai regni di Danimarca, Svezia e Norvegia dall'unione di Kalmar del 1397 erano uniti in un regime di legame personale sotto l'egemonia dei re danesi. 7.9 LA RUSSIA Fra i molti stati d'Oriente della Lituania che erano soggetti alla dominazione tatara dell’Orda d'oro cominciò a emergere agli inizi del Trecento il ducato di Moscovia, che ampliò i propri confini e sfruttò la posizione come nodo delle correnti commerciali fra il Baltico, il Caspio e il mar Nero. Il fondatore fu Ivan Ill il grande (1462-1505) che occupò la repubblica di Novgorod e il vasto territorio, assumendo il titolo di sovrano di tutta la Russia. All'interno limitò il potere dell'aristocrazia ai quali contrappose un ceto di nuovi nobili legati al servizio della monarchia attraverso la concessione di terre che potevano essere revocate ad arbitrio del sovrano. Egli importò dall'Occidente le armi da fuoco e adottò le nuove tecnologie militari per la costruzione delle fortezze, per cui accrebbe la pressione fiscale. Molto importante fu il trasferimento del metropolita ortodosso da Kiev a Mosca, in quanto la Chiesa contribuì al rafforzamento dell'autorità monarchica e insieme sviluppò i primi elementi di un'identità non solo religiosa ma anche culturale dello Stato russo. Ivan sposò una nipote dell'ultimo imperatore di Costantinopoli e si pose come erede Spirituale della corona bizantina. Ivan usò sporadicamente il titolo di “zar” che esprimeva insieme il principio autocratico e la sacralità del difensore della fede. Mosca si poneva come la terza Roma. Lo stato russo era investito del compito di garantire la vittoria del cristianesimo ortodosso sul paganesimo e sul cattolicesimo. L'opera di Ivan Ill fu proseguita dal figlio Basilio III (1505-1533) e poi da suo figlio Ivan IV il terribile (1533-1584) che nel 1547 assunse formalmente il titolo di zar. Più incisiva divenne l'azione della monarchia per limitare i poteri della grande nobiltà; egli contrappose alla Duma un'assemblea composta di esponenti dei ceti. Sancì con alcuni decreti il processo di asservimento del mondo contadino e formò il primo nucleo di un esercito di professione con un soldo regolare. Ivan IV proseguì anche la politica espansionistica sottoponendo al suo dominio tutto il corso del Volga fino al mar Caspio. Nel 1560 la morte della moglie aprì una seconda fase del suo regno nella quale colpì con crudeltà tutti i suoi sospetti nemici. Sul finire del suo regno Ivan attaccò la Livonia nel tentativo di dare alla Russia uno sbocco al Baltico, ma fu sconfitto dalla Polonia e dalla L'economia cinese si fondava su un'agricoltura che presentava caratteristiche diverso a quella europea. Fra le colture predominava il riso che rendeva molto di più del frumento. Per la risicoltura era necessario un sistema di irrigazione che richiedeva un costante impegno di un'enorme massa di manodopera. Era necessaria quindi l'energia muscolare dell'uomo e quindi la nascita di un bambino era una risorsa. La densità della popolazione era molto alta. Rispetto all'agricoltura europea si utilizzavano pochi strumenti agricoli e scarsi erano anche gli animali. Prevalse fino al XX secolo la famiglia allargata che tendeva a produrre tutto ciò che era necessario alla vita. Tuttavia nel periodo Ming vi du un notevole sviluppo nelle manifatture. L'andamento demografico è simile a quello europeo in quanto la Cina fu anch'essa colpita dalla peste nella seconda metà del XIV secolo e conobbe una rapida ripresa della popolazione. Ebbe un forte incremento nel Settecento ma nell'Ottocento, a differenza dell'Europa non superò lo stato di arretratezza e patì carestie che arrestarono la crescita. Il periodo Ming coincise con un rafforzamento del potere centrale. Hongwu eliminò la carica di primo ministro. Egli riportò in auge il confucianesimo il quale non era una religione ma un insieme di dottrine, risalenti a Confucio che rielaboravano principi e credenze dell'antica civiltà cinese e ponevano una serie di regole per il buon funzionamento della comunità. Hong-wu ripristinò il sistema burocratico-amministrativo che attribuiva le cariche pubbliche solo a coloro che avessero superato degli esami. Il problema della salvezza dell'uomo era centrale nel taoismo corrente filosofico-religioso radicata nella cultura cinese, era importante anche nel buddhismo diffusosi in Cina a partire dal III secolo d.C. La storia religiosa della Cina è legata ai reciproci contatti e influssi fra queste tre correnti. Va sottolineata anche l'influenza, nonostante limitata, del cristianesimo, introdotto a opera dei gesuiti. Nella seconda metà del XVI secolo il regime fu indebolito da lotte di fazione e dal prevalere a corte degli eunuchi, usati come una sorta di segretari personali. A partire dal 1620 scoppiarono numerose rivolte contadine provocate dal malcontento per il prelievo fiscale e da una serie di carestie e inondazioni. Nel frattempo i manciù, tribù stabilite in Manciuria, occuparono una parte del territorio cinese. Quando nel 1644 il capo di una delle rivolte contadine entrò a Pechino l’ultimo imperatore si impiccò. In seguito i manciù si insediarono nella capitale e diedero vita alla dinastia Q'ing destinata a regnare fino al 1912. Il controllo della Cina non fu facile per i manciù in primis perché nessuno conosceva davvero il cinese. Quindi furono costretti a servirsi della classe dirigente cinese e a mantenere la precedente struttura burocratica. | manciù volevano comunque mantenere la propria tradizione: i cinesi maschi erano obbligati a portare la pettinatura manciù. Ma era pochi rispetto all’etnia Han che costituiva la maggior parte della popolazione, per cui essi andarono incontro a un processo di assimilazione. Importante fu il regno di K'ang-tsi che incentivò la cultura e rafforzò la struttura statale. L'impero raggiunse la massima espansione con l'annessione di Qianlong, del Tibet e del Turkestan cinese. Allora la domanda è: perché un popolo che aveva acquisito molto prima dell'Occidente risorse e conoscenze tecniche fondamentali non intraprese la via della modernizzazione? In realtà agirono diversi fattori, sicuramente la disponibilità della manodopera a basso costo non incentivava le innovazioni tecnologiche, ma pesarono soprattutto la rigida struttura gerarchica della società e il tradizionalismo della cultura. 8.3 IL GIAPPONE La politica giapponese è caratterizzata da un dualismo istituzionale: il primo nucleo si formò a partire dal VII secolo a Heian Kyo intorno alla corte dell'imperatore; l'altro polo, lo shonugato, si affermò nel 1192 a Edo; la carica di shogun divenne ereditaria e assunse il governo effettivo del paese, mentre l'imperatore era al di fuori delle contese politiche come supremo depositario della legittimità. Già nel XIII secolo lo shogunato perse buona parte della sua autorità in quanto i grandi proprietari delle province si trasformarono in signori feudatari autonomi (daimyo) che disponevano di guerrieri di professione (samurai) legati da vincoli di fedeltà. Ne derivò un periodo di guerre civili che portarono alla frammentazione del Giappone. Nella seconda metà del XVI secolo si imposero due capi militari che posero le basi per una riunificazione del paese: Oda Nobunaga (1534-1582) e Toyotomi Hideyoshi (1536-1598). Infine Tokugava Jeyasu (1543-1616) nel 1603 si fece nominare dall'imperatore shogun e diede avvio all'era Edo che tenne questa carica fino al 1867. Sul piano istituzionale l'era Tokugawa fu caratterizzata da un equilibrio fra tre centri di potere: a Kyoto la corte imperiale, a Edo lo shogun e più di 250 signori feudali. Gli shogun non erano che daimyo più forti degli altri, ma imposero un accentramento burocratico che permise loro di assumere la direzione politica del paese. Per garantirsi la fedeltà dei daimyo fu imposto loro di trascorrere ogni anno un periodo nella capitale e di lasciare alla loro partenza moglie e figli in ostaggio. Quanto ai samurai, la formazione di eserciti permanente nelle città fortificate li allontanò dalla campagna. La religione nazionale era lo shintoismo che considera tutti i fenomeni naturali espressione di forze divine; visto che non si poneva il problema dell'anima la partecipazione ai suoi riti non preclude la possibilità di aderire ad altre religioni. Esso ha fortemente subito l'influsso del buddhismo e anche di alcuni aspetti del confucianesimo. Lo shintoismo ha avuto una funzione importante in chiave nazionale perché ha fornito la legittimazione del potere imperiale di natura divina . Quanto al cristianesimo era stato introdotto a partire dalla metà del Cinquecento, ma già sul finire del secolo si sviluppò una violenta persecuzione. Questa svolta si inseriva nella politica del “paese chiuso" adottata dal regime Tokugawa nei primi decenni del XVII secolo. Nel 1635 fu vietato ai giapponesi di uscire dallo Stato e fu imposto ai residenti all'estero di tornare e l'unico commercio arrivava dagli olandesi a cui era permesso di restare nell'isolotto di Deshima collegato per un ponte a Nagasaki. | Tokugawa favorivano la diffusione del confucianesimo che favoriva il regime giustificando le gerarchie. La società era divisa in quattro classi: guerrieri, agricoltori, artigiani e mercanti e. ciascuno era vincolato alla propria condizione. Non mancò però un notevole sviluppo economico, che modificò questa rigida struttura. Si creò un mercato nazionale interno e quindi i mercanti videro crescere le loro attività. Molte terre furono bonificate e fu intensificata la produzione del riso e furono incrementate le produzioni non volte alla sussistenza. Così si frantumò l'omogeneità del villaggio rurale; dalla massa del mondo contadino si staccò un ceto di ricchi proprietari terrieri, che introdussero nella coltivazione nuovi metodi. L'incremento delle attività manifatturiere creò le premesse per l'avvio del processo di industrializzazione. Crebbe anche l'alfabetizzazione. Prova di questo aumento furono l'aumento della popolazione e lo sviluppo delle città. Il Giappone non conobbe il forte incremento demografico della Cina del XVIII secolo. La politica del “paese chiuso” favorì lo sviluppo dell'economia e pose le premesse per il processo di industrializzazione che si sarebbe realizzato nella seconda metà dell'Ottocento con l'abolizione della struttura feudale e l'apertura delle tecnologie straniere. In tal senso si è parlato di una via giapponese alla modernità, diversa dalla rivoluzione dell'Occidente. 8.4. L'IMPERO SAFAWIDE DI PERSIA Nel 1478, alla morte di Uzun Hasan, turcomanno che dal 1466 aveva regnato su Armenia, Mesopotamia e Persia, si aprì un periodo di anarchia del quale approfittò Ismail | (1501- 1524). Riuscì a sottoporre al suo dominio gran parte del territorio persiano fino al golfo Persico e nel 1501 si proclamò primo shah dell'Iran, fondando la dinastia dei Safawidi che regnò dino al 1722. Nel 1514 la sconfitta da parte dell'esercito ottomano a Cialdiran lo costrinse ad abbandonare l’Anatolia orientale, l'Armenia e il Kurdistan al sultano Selim |. Fin dall'inizio lo Stato persiano ebbe come suo principale nemico l'impero ottomano, con il quale fu in lotta per il possesso dell'Iraq e per il controllo dei numerosi principati musulmani e cristiani lungo la catena del Caucaso. Si aggiunse anche una contrapposizione di natura religiosa: mentre l'impero ottomano si poneva come erede dell'islam sunnita, i Safawidi imposero come religione l'Islam sciita, che riconosceva come successore legittimo solo Maometto il quarto e negava il carattere ereditario del califfato. Questa posizione religiosa era anche il fondamento della legittimità dei Safawidi. Un contributo decisivo al rafforzamento della dinastia venne dallo shah Abbas | il grande (1587-1629) il quale ottenne importanti vittorie sugli ottomani riconquistando il Daghestan, la Georgia e l'Arzebaigian fino a Baghdad. Data la natura montuosa del terreno, in molte regioni l'agricoltura era possibile solo grazie a un complesso sistema di irrigazione. La terra era per lo più nelle mani di grandi proprietari. Abbas si impegnò a sviluppare l'agricoltura, ma la popolazione era per lo più formata da gruppi nomadi dediti all'allevamento. Abbas si sforzò anche di incentivare il commercio fondato nel 1623 sul golfo Persico un porto che prese il nome di Bandare Abbas. Egli spostò la capitale a Isfahan. Con Abbas l'impero raggiunse il suo massimo splendore. Dopo la sua morte si avviò un lento declino, segnato dalla lotta con l'impero ottomano per il possesso della Mesopotamia, che fu occupata dai sultani di Istanbul. Nel 1722 l'impero fu travolto da un'invasione degli afghani che occuparono Isfahan. Si mise in luce Nadir Quli (1736- 1747), che sconfisse gli afghani e nel 1736 assunse il potere e il titolo di shah. In seguito egli occupò tutto il territorio afghano e invase l'India occupando Delhi (1739) e ponendo fine all'impero Moghul. Alla morte di Nadir shah la Persia piombò in un periodo di anarchia. A partire dal 1786 la capitale fu spostata a Tehran. 8.5 L'IMPERO MOGHUL Nel XIII secolo nella parte settentrionale del subcontinente indiano si era stabilito uno Stato musulmano, il sultanato di Delhi, che si estendeva dal Nord fino a Punjab e comprendeva il corso superiore del Gange. Dopo l'invasione e il saccheggio della capitale da parte di Timur Lang nel 1398 il sultanato era caduto in una condizione di anarchia. Nell'India meridionale, la penisola del Dekkan, vi erano vari principati induisti e soprattutto il regno induista chiamato Vijayanagar. Il processo di riunificazione di questi territori fu avviato da Zahir ad-Din Muhammad, chiamato Badur, discendente di Tamerlano, che fra il 1526 e il 1530 conquistò Delhi creando nell'India nord-occidentale un ampio dominio a rappresentare il primo nucleo dell'impero Moghul. Lo stato creato da Babur rimase precario anche a causa dell’ostilità dei Rajput. Il consolidamento dell'impero fu opera di Akbar il grande (1556-1605) che impose il suo controllo a tutta l'India settentrionale e arrivò a Nord fino a Kandahar in Afghanistan e verso Sud al Gujarat, al Dekkan settentrionale e al Bengala. Una delle cause della fragilità dell'impero era la sua eterogeneità. Il fattore principale di divisione era la religione. La maggioranza della popolazione era legata all'insieme di credenze risalenti in origine all'antica letteratura dei Veda: induismo. La religione induista è un modo di concepire la vita secondo l'ordine del cosmo e i principi universali che lo animano. Parte essenziale è la divisione in quattro classi: i sacerdoti, i guerrieri o governanti, gli artigiani e mercanti, gli addetti ai lavori servili. Poi all'ultimo posto ci sono gli intoccabili. Circa un quarto della popolazione aderiva all'Islam che fina dal IX secolo si era diffuso attraverso la dominazione turca. Inoltre si formò una corrente religiosa, lo sikh, che condivideva motivi della tradizione induista che però rifiutava il sistema delle caste e voleva unire la tradizione indù e musulmana. Infine con l'arrivo degli europei iniziò anche una penetrazione del cristianesimo. Akbar cercò di superare queste divisioni promuovendo una riforma religiosa che sancisse la parificazione di musulmani e indù. Abolì la tassa prescritta per in non musulmani e praticò una larga tolleranza. Infine volle stabilire un nuovo culto che cercava di fondere le due religioni principali. L'impero Moghul costruì nel tempo una struttura amministrativa solida, che consentì ai sovrani un controllo delle varie religioni dello Stato. Era centrale la figura del faujdar insieme comandante e capo amministrativo della circoscrizione a lui affidata. Egli aveva competenza in sede locale sulle questioni militari e sulla vita economica del territorio. L'economia dell'impero si fondava su un'agricoltura di sussistenza fondata sulle comunità di villaggio che vendevano le merci che producevano ma non ne acquistavano. Non mancarono però nelle terre dei grandi proprietari terrieri tentativi di nnovazione e promozione di nuove colture. L'amministrazione ebbe un ruolo importante nel migliorare i trasporti e favorire il commercio interno. L'impero Moghul fu caratterizzato da un alto livello di civiltà e fioritura artistica. Con Aurangzeb raggiunse la sua massima estensione giungendo a comprendere quasi tutto il Dekkan. Ma la sua scomparsa segnò l’inizio della crisi dovuta alla crescente potenza dei maratti. Nel frattempo si accentuarono le spinte centrifughe dell’aristocrazia indiana. Nel 1739 Nadir Shah invase l'india e occupò Delhi. Finì così l'impero Moghul. manoscritti greci e fu recuperato quasi tutto il corpo della letteratura greca che oggi conosciamo. In generale la rinascita della cultura classica promossa dall'umanesimo favorì un allargamento della circolazione dei testi latini e greci, dapprima attraverso le copie manoscritte e poi in misura più grande grazie alla rapida diffusione della stampa. Dalla Cina era giunta in Europa nel XIV secolo la tecnica della xilografia. Risultati nettamente superiore dava la tecnica della stampa a caratteri mobili. Con questa tecnica fu realizzata fra il 1454 e il 1455 la Bibbia latina a due colonne detta delle 42 linee o anche Mazzarina. Le tipografie si diffusero velocemente in tutta Europa dando un contributo decisivo all'allargamento della vita culturale fu questa l'età in cui si formarono splendide biblioteche la prima delle quali fu quella di Petrarca. 9.3 CONTINUITÀ O ROTTURA? L'idea che la riscoperta dell'antichità classica abbia fatto segnare una rottura, o comunque un salto di qualità rispetto all’età precedente, è stata contestata dai medievisti i quali hanno messo in discussione il punto sul quale si è fondata la periodizzazione dell'età moderna. Il Medioevo certamente ammirò e amò il mondo antico. Le opere portate alla luce dagli umanisti erano in grado di modificare il quadro d'insieme della letteratura latina, anche per quanto riguarda la cultura greca era stata presente nell'epoca medievale. A segnare la differenza rispetto alla cultura medievale fu la filologia cioè l'analisi critica e storica del testo. Questo metodo implicava il ripristino della versione originaria, ripulita dagli errori e deformazioni dei copisti. Risulta quindi difficile sottovalutare l'importanza della possibilità di studiare direttamente le grandi opere del pensiero greco. Cambiò anche l'atteggiamento di fronte al pensiero classico. Nell'età medievale i grandi autori erano visti come depositari di verità assolute fuori dal contesto. Il Medioevo si era preoccupato di conciliare lo studio dei classici pagani con i principi del cristianesimo. Il pensiero umanistico seppe invece collocare le opere antiche nel contesto storico e culturale nel quale erano sorte e alla luce del quale potevano essere intese nel loro vero significato. L'abisso esistente fra la nuova cultura e quella medievale nel rapportarsi all'eredità classica si può misurare sul piano linguistico: gli umanisti considerarono con disprezzo il barbaro latino dei chierici e imposero come norma del parlare e dello scrivere l'imitazione della lingua latina dell'età classica, del modello ciceroniano. È poi importante anche la sostituzione del carattere gotico con la scrittura del corsivo italico. AI centro della prospettiva umanistica c'era la rivalutazione della parola, del discorso tanto che la tipica forma delle opere era quella del dialogo platonico. Connaturata alla cultura umanistica fu una vocazione pedagogica che intese rinnovare criteri e metodi dell'insegnamento nell'intento di arrivare alla formazione di un uomo integrale. Questo è il canone al quale si ispira ciò che resta della scuola umanistica. 9.4. L'ARTE La capacità di lanciare uno sguardo sulle cose e sulla stessa interiorità dell’uomo si manifestò dapprima nel mondo dell’arte, lungo un itinerario, ricostruito da Vasari, che parte da Giotto, si snoda attraverso Masaccio, Piero Della Francesca e Brunelleschi per giungere fino agli artisti rinascimentali. Nell'età precedente avevano prevalso preoccupazioni di carattere religioso per cui tutti i momenti dell'esistenza, anche la produzione artistica, dovevano essere rivolti al conseguimento della salvezza dell'anima. Quando si fece strada una nuova sensibilità si iniziò a considerare la natura e l'uomo nel loro autentico significato e valore, a prescindere dal loro coinvolgimento in un disegno divino. Ora invece l'artista si proponeva di ricostruire lo spazio secondo precise regole matematiche, in modo da creare sulla superficie bidimensionale del foglio o della tela l'effetto tridimensionale attraverso il senso della profondità: nasce così la tecnica della prospettiva. Il termine indica il tentativo di rappresentare il mondo così come lo vede l'occhio umano. Si comprende quindi perché Alberti riteneva che uno dei requisiti essenziali della formazione del pittore fosse la conoscenza della geometria. Anche questa svolta nell'arte fu sentita e presentata come una rinascita della cultura classica. La riscoperta della dimensione terrena dell’uomo fu alla base anche della moderna concezione del ritratto, che si impose come forma artistica autonoma proprio in Italia a partire dal XV secolo. Mutava anche la figura dell'architetto: Leon Battista Alberti pensava che l'architettura avesse il compito di creare edifici e città ispirati a un ideale di razionalità e armonia. 9.5. LA NUOVA CONCEZIONE DELL'UOMO La nuova concezione dell'individuo espressa dalle opere d'arte fu sviluppata sul piano letterario dagli umanisti rivalutando tutti quegli aspetti della vita terrena dell'uomo che l'ascetismo medievale aveva sempre ridimensionato e condannato. Spicca l'orazione De dignitate hominis composta nel 1486 da Pico Della Mirandola nella quale l'uomo era chiamato a scegliersi da solo con il suo libero arbitrio la propria forma, tema che rappresentava il fondamento di tutta la civiltà rinascimentale. Dalla rivalutazione della dimensione dell’uomo derivava l'aspirazione a una società armonica e razionale, motivo che fu svolto da molti architetti e che ebbe largo spazio anche nelle composizioni letterarie. L'opera pubblicata nel 1516 da Thomas More Utopia che descrive la felice situazione sociale dell'isola di Utopia nella quale si vive un'esistenza armoniosa e fondata sulla ragione naturale. L'opera è ispirata allo Stato perfetto descritto da Platone nella Repubblica e infatti ha dato il nome a tutta la corrente di pensiero che attraversò l'età moderna e fino ai giorni nostri ha presentato modelli ideali di società. 9.6 LA NUOVA CONCEZIONE DELLA NATURA Si è molto discusso del rapporto fra il pensiero umanistico e lo sviluppo di una nuova concezione scientifica del mondo fisico e naturale. Molti hanno ritenuto che il germe della modernità vada individuato nella rivoluzione scientifica che segnò l'affermazione del metodo sperimentale, quindi il vero momento di discontinuità rispetto all'età medievale andrebbe posto fra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento. Lo sviluppo della scienza moderna non si realizzò secondo un percorso lineare. La rinascita della cultura antica a opera degli umanisti riportò in auge un sapere magico che partecipò a quel processo di riscoperta e valorizzazione della natura che viene individuato come momento decisivo dell'avvento della modernità. Fortuna ebbe la versione latina del Corpus hermeticum una raccolta di scritti filosofici e teologici, risalenti al II secolo d.C. attribuiti a Ermete Trismegisto. Le dottrine ermetiche ebbero un posto in primo piano nella cultura rinascimentale, ma richiami a questo mondo si hanno in tutto il corso del pensiero scientifico moderno. Assai diffusa era all'epoca l'astrologia, né erano ancora ben definiti i confini tra la chimica e l'alchimia. Anche lo studio della matematica si accompagnò alla convinzione del valore simbolico e magico dei numeri. Bisogna giungere ai Philosophiae naturalis principia mathematica di Newton del 1687, per una definitiva frattura fra scienza moderna e le teorie e le pratiche di matrice magico-alchimistica che ne avevano accompagnato lo sviluppo. Gli umanisti riportarono alla luce le opere scientifiche dei principali autori greci rimettendo in circolazione idee e problemi che rappresentarono uno stimolo fondamentale per la discussione critica delle teorie dominanti nelle scuole e nelle università. Fin dal 1440 Niccolò Cusano affermò l’idea di un universo infinito nel quale non esiste un centro. Questa teoria metteva in discussione l'immagine del cosmo fondata sulla fisica aristotelica. Divenuta nel XIII secolo per opera di Tommaso d'Aquino la posizione ufficiale della Chiesa, questa teoria fu superata solo gradualmente. Copernico abbatté il fondamento di tutta la fisica aristotelica. Cadeva la convinzione che il mondo celeste e quello terrestre o sublunare fossero costituiti di materie diverse. Il contributo dell'umanesimo a questo processo di affermazione del metodo scientifico va individuato nell’esplicito rifiuto del principio di autorità. Un esempio di questo atteggiamento è dato dalle annotazioni di Leonardo da Vinci negava il valore scientifico delle dottrine fondate esclusivamente sull’autorità degli antichi maestri, e rivendicava l'esigenza di verificare ogni teoria sulla base dell'esperienza. Nella stessa direzione di mosse Machiavelli. 9.7 IL PREZZO DELLA MODERNITÀ Il trapasso dal mondo medievale all’età moderna fu ricco di contraddizioni e chiaroscuri. La conquista di una nuova dimensione consegnava l’uomo a un’insicurezza che l'età precedente non aveva conosciuto. La mentalità medievale assegnava a ogni uomo nella società un posto e una funzione stabiliti, ora l’uomo rivendicava la propria dignità e la propria libertà di scelta nella vita terrena, ma questo lo caricava di una responsabilità prima sconosciuta. La stessa concezione astronomica prospettata da Copernico apriva considerazione del pensiero umano una dimensione per molti versi sconvolgente. Si crearono così le premesse per il superamento di alcuni principi indiscussi del pensiero medievale e si affermava un modo nuovo di considerare i rapporti fra il mondo celeste e quello terreno, fra l'uomo e la natura, una prospettiva inesplorata che apriva spazi inediti di inquietudine destinati a diventare una componente essenziale del pensiero moderno. In molti scritti del periodo alle celebrazioni della virtù si contrappone la fortuna. Il tema fu poi ripreso da Machiavelli nella parte conclusiva del suo trattato dove, nel delineare la figura del principe nuovo, lo esortò a tentare di liberare l’Italia dal dominio dello straniero giacché se una metà delle azioni umane è determinata dalla fortuna, l'altra però dipende dalla virtù dell'uomo politico. L'età umanistico-rinascimentale fu attraversata da una crisi religiosa che pose l'individuo solo di fronte al mistero della salvezza e l'infinita maestà di Dio. CAP. 10 LE SCOPERTE GEOGRAFICHE E GLI IMPERI PORTOGHESE E SPAGNOLO 10.1 UNO SGUARDO NUOVO SUL MONDO Alla radice delle grandi scoperte geografiche vi furono esigenze di carattere economico, il desiderio di trovare una nuova via per raggiungere le Indie e mettere le mani sul commercio delle spezie. Tuttavia si deve far riferimento anche al clima affermatosi in Europa grazie alla fioritura della cultura umanistica e della civiltà rinascimentale. Importante fu il ritorno in circolazione dei testi classici che concorsero a radicare negli uomini colti dell'Europa la convinzione della sfericità della Terra e stimolarono la riflessione sulle grandi questioni geografiche e astronomiche, ponendo le basi per il superamento del pensiero medievale. 10.2 L'ESPLORAZIONE DELL'AFRICA Fu il Portogallo a dare avvio, nel XV secolo, ai viaggi di esplorazione con una ricognizione della costa occidentale dell’Africa iniziata nel 1415 con l'occupazione della città di Ceuta. Negli anni successivi occuparono l'isola di Madera e le Azzorre e doppiarono il capo Bojador (1434) raggiungendo poi la foce del fiume Senegal, la Sierra Leone e il golfo di Guinea. Il veneziano Caldamosto risalì con il genovese Usodimare il fiume Gambia fino a Cantor. Fin dall'inizio un ruolo notevole in queste spedizioni ebbe la dinastia Aviz, che regnava dal 1385: i sovrani si appoggiarono sui ceti mercantili favorendo le attività commerciali e le costruzioni navali. Decisivo fu il contributo del principe Enrico “il navigatore” che fondò a Sagres un centro di studi per favorire il perfezionamento delle tecniche di navigazione dei marinai portoghesi e per organizzare le loro spedizioni. | portoghesi in questa fase miravano solo a controllare i terminali del commercio transahariano. Qui il portoghesi stabilirono una serie di scali commerciali che trasformarono in basi fortificate, a protezione dei loro traffici. La ricerca dell'oro era importante per il Portogallo che aveva gravi difficoltà nella monetazione; una svolta in tal senso si ebbe a partire dal 1471, quando i portoghesi arrivarono sulla costa dell’attuale Ghana che chiamarono Costa d'oro. | papi Noccolò V e Callisto Ill con tre bolle (1451, 1455, 1456) legittimarono queste spedizioni in quanto diffondevano il cristianesimo e concessero quindi il diritto di sottomettere musulmani e pagani vietando alle altre potenze di interferire nelle loro attività commerciali. 10.3 UNA NUOVA VIA PER LE INDIE Negli anni seguenti, per impulso del re Giovanni II, la natura di questi viaggi mutò. Maturò la convinzione che fosse possibile circrumnavigare l'Africa allo scopo di raggiungere le Indie via mare e acquistare le spezie senza intermediari. Questa prospettiva era allettante anche Un'ulteriore prova che si trattava di un nuovo continente, ora si trattava di costeggiare le nuove terre alla ricerca di un passaggio che consentisse di raggiungere le Indie. L'idea di aggirare il continente americano da Sud fu concepita da Ferdinando Magellano. Egli si rivolse alla Spagna che aveva interesse a cercare una via alternativa a quella aperta da Vasco da Gama. Magellano convinse Carlo V a finanziare la sua impresa promettendogli di rivendicare alla sovranità spagnola le Molucche, già raggiunte dai portoghesi. La Spedizione partì da Siviglia nel settembre 1519, raggiunse poi nel marzo 1520 la Patagonia dove dovette fermarsi a passare l'inverno. Ripreso il viaggio, Magellano nell'ottobre del 1520 trovò lo stretto che da lui prese il nome e passò nell'oceano Pacifico. Nel marzo 1521 raggiunse un gruppo di isole che chiamò Filippine. Qui Magellano rimase ucciso in uno scontro con gli indigeni. Nel novembre 1521 la spedizione raggiunse le Molucche dove lasciò una piccola guarnigione. Dopo un lungo viaggio attraverso l'oceano Indiano e intorno all'Africa tornò in patria nel settembre 1522 una sola nave con meno di venti uomini. Antonio Pigafetti ha lasciato un importante diario del viaggio, nel quale notò per la prima volta nella storia che facendo il giro del mondo verso Ovest si perde un giorno mentre lo si guadagna viaggiando verso Est. | successivi tentativi spagnoli di raggiungere le Molucche fallirono e la guarnigione fallirono per cui nel 1529 Carlo V decise di rinunciare a ogni pretesa sulle isole che rimasero sotto il controllo del Portogallo. Lo stretto di Magellano non poté essere utilizzato come un normale passaggio dall’Atlantico al Pacifico. 10.9 LA CONQUISTA Con il viaggio di Magellano l'era delle grandi esplorazioni era di fatto conclusa. Cominciò allora l'epoca della conquista e della colonizzazione delle terre che erano state scoperte. Già nel 1495 un decreto dei sovrani spagnoli concesse a tutti i loro sudditi che volevano cercare fortuna nelle nuove terre il permesso di partire con l'obbligo di riservare alla corona il 10% dei beni riportati in patria e dei profitti negli scambi commerciali. La conquista fu quindi fin dall'inizio affidata a iniziative individuali. Gli spagnoli che arrivavano dall'Europa si insediarono nelle isole caraibiche dove incontrarono popolazioni primitive, che furono da loro impiegate nella ricerca dell'oro nelle sabbie dei fiumi. Nel contempo fu avviata l'esplorazione della terraferma. A partire dal 1513, nello Yucatan, gli spagnoli vennero per la prima volta a contatto con i maya, un popolo evoluto e antico e ebbero notizie di un impero vastissimo a Nord. Iniziò l'epopea dei conquistadores avventurieri senza scrupoli che fra il 1519 e il 1550 distrussero le civiltà precolombiane. Il primo fu Cortés, che ricevette dal governatore di Cuba l'incarico di verificare la veridicità delle voci sull'impero azteco e nel febbraio 1519 partì dall'isola. Dopo aver costeggiato lo Yucatan sbarcò sulla costa messicana e fondò la città di Vera Cruz e iniziò la marcia verso l'interno. Egli mutò quindi arbitrariamente la natura della sua missione e assunse la carica di capitano generale della nuova colonia facendo riferimento direttamente al re di Spagna e scavalcando l'autorità del governatore di Cuba. Non incontrò resistenza, bensì fu visto come un liberatore dei popoli sottomessi dagli aztechi e poté giungere alla capitale dove fu ben ricevuto dal sovrano Moctezuma Il. Con un inganno Cortés imprigionò Moctezuma e lo tenne in ostaggio costringendolo a pagare un riscatto in oro. Egli si servì del prestigio personale di Moctezuma per imporre la propria autorità. Tuttavia di fronte alla brutalità degli spagnoli crebbe l'ostilità della popolazione indigena che esplose in una rivolta guidata dal fratello del sovrano. Quando Moctezuma cerca di sedare la ribellione fu osteggiato dal suo popolo per la sua arrendevolezza, morì pochi giorni dopo. Il 30 giugno 1520 la rivolta degli aztechi costrinse gli spagnoli a fuggire. Cortés si rifugiò nella città di Tlaxoco con la quale strinse alleanze, e dopo alcuni mesi ritornò nella capitale che cinse d'assedio. La resistenza degli aztechi fu piegata anche da un'epidemia di vaiolo. Tenochtitlan capitolò il 13 agosto del 1521. Negli anni seguenti tutti i territori dell'impero furono sottomessi. Ciò che restava della capitale fu distrutto e poi fu edificata Città del Messico. Cortés nel 1522 fu nominato da Carlo V capitano generale e governatore dei territori conquistati, ma quando nel 1529 fu creato il vicereame della Nuova Spagna i suoi titoli non vennero rinnovati. Straordinaria fu anche la caduta dell'impero inca. Le prime notizie sulla civiltà sviluppatasi nelle Ande furono raccolte dagli spagnoli nel 1522. Francesco Pizarro sentì queste voci e ottenne nel 1529 da Carlo V la nomina a governatore e capitano generale della provincia e tornato in America partì nel gennaio 1531 da Panama alla conquista dell'impero inca. Pizarro incontrò il 15 novembre 1532 Atahualpa, che nel frattempo aveva vinto il conflitto contro il fratello e riuscì con un tranello a catturarlo. Egli tenne l'imperatore prigioniero per diversi mesi e nel frattempo giunsero da Panama rinforzi guidati da Diego de Almagro. Gli inca tentarono di liberare Atahualpa pagando un riscatto ma Pizarro lo fece strangolare in agosto 1533. Nel novembre la presa di Cuzco segnò la fine dell'impero. Nel 1535 Pizarro fece costruire la Ciudad de los reyes (Lima) destinata a diventare capitale del vicereame del Perù istituito nel 1542. In seguito scoppiò un conflitto tra i due conquistadores per l'attribuzione dei territori: Almagro fu sconfitto da Pizarro che lo fece giustiziare nel 1538. Anche Pizarro fu agevolato dalle divisioni interne alla nobiltà inca; nel 1533 egli riconobbe come legittimo sovrano Manco Capac un fratellastro di Atahualpa che apparteneva a una fazione a lui ostile. Questi nel 1536 fu indotto dalle violenze degli spagnoli a mettersi a capo di una rivolta che cercò di liberare la capitale. Fallito questo tentativo si rifugiò sulle Ande. L'ultimo imperatore inca, suo figlio, fu decapitato a Cuzco nel 1572. 10.10LA DISTRUZIONE DELLE CIVILTÀ PRECOLOMBIANE La storiografia si è interrogata sulle cause che consentirono a pochi uomini di sottomettere popolazioni numerosissime e inquadrate in organismi politico-sociali evoluti. In una prima fase un impatto notevole ebbe il terrore provocato dalle armature e dalle armi da fuoco. Gli spagnoli sfruttarono l'ostilità verso gli aztechi dei popoli da loro sottomessi e gli strascichi del conflitto dinastico che aveva diviso gli inca. Inoltre va considerata l'elevata mortalità provocata dalle malattie portate dagli europei. Si è discusso anche dell'atteggiamento conciliante tenuto da Moctezuma nei confronti di Cortés. Alcuni studi hanno ipotizzato che abbia avuto un ruolo decisivo in tal senso un'antica leggenda: Moctezuma avrebbe interpretato l'arrivo degli spagnoli come il compimento di una profezia. Operò soprattutto la concezione fatalista propria degli aztechi. Probabilmente si spiega alla luce di questa mentalità il comportamento di Moctezuma il quale alla notizia dell'arrivo degli spagnoli inviò loro dei messi per tentare di convincerli a non raggiungere la capitale. Allo stesso tempo è anche difficile rendere conto della inazione di decine di migliaia di soldati inca che non opposero alcuna resistenza all'arresto di Atahualpa da parte di Pizarro. A questo proposito bisogna considerare la sacralità della figura dell'imperatore, ritenuto figlio del sole. 10.11L'IMPERO SPAGNOLO Fino alla metà del XVI secolo una schiera di conquistadores, partiti alla ricerca del mitico el Dorado, assoggettò alla corona spagnola un territorio che andava dalla California e dalla Florida fino al Cile, a eccezione della parte meridionale cilena abitata dagli araucani; a Est il limite era segnato dalla foresta amazzonica e dalle pianure fra le Ande e l'Atlantico. Formalmente non si trattava di una colonia, ma di un regno con lo stesso status degli altri sottoposti alla sovranità della corona. Il sovrano fu affiancato a partire dal 1524 da un Consiglio delle Indie. Il regno dipendeva amministrativamente dalla corona di Castiglia. Alle dipendenze del Consiglio fu posta la Casa de contratacion di Siviglia dal 1503 controllava i flussi di merci e persone fra la madrepatria e il nuovo mondo. La struttura amministrativa fu ricalcata sulle istituzioni spagnole: furono creati i vicereami della Nuova Spagna e del Perù. L'amministrazione della giustizia fu affidata alle audiencias. La colonizzazione si realizzò attraverso la fondazione di città, strumenti di controllo modellate sullo stile della madrepatria. L'altra istituzione fondamentale dell'America spagnola fu l'encomienda, che esportò al di là dell'Atlantico un modello di derivazione feudale. Per indurre la nobiltà spagnola a impegnarsi nella guerra contro i mori i sovrani permettevano loro lo sfruttamento dei territori che avrebbero occupato. In America le terre e i popoli conquistati erano proprietà della corona, ma il re li concedeva in usufrutto a un encomendero il quale poteva esigere dagli indios dei servizi personali, prestazioni di lavoro o tributi; in cambio era tenuto a proteggerli e a istruirli al cattolicesimo. La corona spagnola fu sempre attenta a evitare la nascita di una nobiltà feudale, per questo l'’encomendero risiedeva in città. Alla morte del titolare si aveva la trasmissione dell'encomienda ai suoi eredi, ma rimase il principio della proprietà della corona. Gli spagnoli emigrati in America furono nel XVI secolo furono circa 250.000; il limitato numero di donne impediva la crescita demografica rapida e non fu molto alto il numero dei creoli. Vi erano anche molti schiavi africani. La composizione della popolazione fu determinata dagli incroci. Nel 1514 la corona spagnola autorizzò i matrimoni misti. Ne risultò un alto numero di meticci, cospicua fu la presenza di mulatti, europei e africani, e di zambos, africani e indios. 10.12L'ECONOMIA Colombo nel suo viaggio portò semi di piante ed esemplari di animali da introdurre nelle terre scoperte. La formazione e la mentalità di coloro che intrapresero il viaggio per il nuovo mondo non li resero inclini ad assumere le vesti di coloni e ad aspirare alla proprietà della terra. Fondamentale era il dominio sugli uomini. Dopo che si fu esaurita la caccia all'oro dei primi anni, l'economia fu caratterizzata dallo sviluppo dell'allevamento. Minore importanza ebbe l'agricoltura. È noto che dal continente americano furono portati in Europa prodotti agricoli divenuti poi essenziali nell’alimentazione. Arrivò anche il tabacco e va ricordata la coca. Mentre le spedizioni portoghesi avevano raggiunto l'obbiettivo preposto, la Spagna non raggiunse le Indie e dalla scoperta dell'America non ricavò all’inizio le grandi ricchezze promesse. La situazione mutò quando, scoperte miniere d'oro e d'argento, i metalli preziosi divennero la risorsa più importante del nuovo mondo. Le quantità ricavate crebbero anche grazie a una nuova tecnica del 1555. Per lo sfruttamento delle miniere fu ripresa l'istituzione della mita. Le norme stabilite per regolamentare l'impiego della manodopera indigena furono disattese. Il trasporto in Europa delle quantità d'oro e argento fu organizzato attraverso una serie di convogli scortati da galeoni. Le navi spagnole furono esposte agli attacchi dei pirati inglese, francesi e olandesi. Si è parlato già della diminuzione demografica in seguito alle malattie portate dagli europei. È impossibile avere dati attendibili della popolazione degli imperi precolombiani, in ogni caso non vi sono dubbi sul fatto che si sia avuta una vera catastrofe demografica. Per contro dall'America giunse in Europa la sifilide. 10.13L'EVANGELIZZAZIONE Fin dall'inizio le spedizioni marittime dei portoghesi furono animate dalla volontà di diffondere la religione cristiana, obbiettivo che faceva tutt'uno con la volontà di impadronirsi delle vie di commercio; è emblematica la politica seguita nei confronti dei re del Congo che avevano accettato di farsi battezzare. L'espansione portoghese assunse il carattere di una crociata contro l'Islam. Anche nella colonizzazione del continente americano si riscontra un legame fra motivazioni economiche e religiose. Sennonché i due stati iberici improntarono la loro missione religiosa ai principi e ai metodi che avevano caratterizzato la reconquista, quindi propagarono un cristianesimo animato dallo spirito di crociata. Il papato legittimò il diritto di conquista del Portogallo e della Spagna in virtù del loro impegno a diffondere la religione di Cristo e per questo concesse ai rispettivi sovrani il controllo delle istituzioni ecclesiastiche nei territori occupati. Il re portoghese ottenne il padronado real su tutta l’attività missionaria svolta dagli ordini religiosi in Asia, Africa e Brasile. L'Inquisizione istituita nel 1531 in Portogallo sul modello di quella spagnola, fu estesa nel 1560 ai domini asiatici. Anche alla Spagna fu riconosciuto dal papa il patronato universale sulla Chiesa stabilita al di là dell'Atlantico. Il re nominava i titolari delle 22 diocesi e incamerava la decima. Furono riprodotte nel reame delle Indie le forme di intolleranza già manifestatesi nella Spagna della reconquista. La Casa de contratacion di Siviglia aveva il compito di impedire la partenza per il nuovo mondo anche agli ebrei e ai sospetti eretici. Quanto all'evangelizzazione fu spesso una giustificazione dello sfruttamento degli indios. Si ricorse a battesimi di massa e quindi accadeva che i vecchi culti sopravvivessero clandestinamente. Anche in America l'Inquisizione fu stabilita per verificare la sincerità delle conversioni 10.14L'IMPATTO DELLA SCOPERTA Gli straordinari progressi nella conoscenza del pianeta posero le basi per un queste opere rifiutava l'autorità del papa e poneva nella Sacra scrittura la sola guida della Chiesa di Cristo. La parola di Dio era la sola fonte di consolazione e di speranza per il cristiano, che a essa era libero di abbreviarsi senza sottostare al magistero di alcuna Chiesa. Lutero stabiliva un rapporto diretto fra l'individuo e la divinità, e abbatteva l'intermediazione della Chiesa sia nella via della salvezza che nell'interpretazione della Bibbia. Crollavano così tutto l'apparato istituzionale costruito dalla Chiesa nel Medioevo e tutta la costruzione teologica della Scolastica. Furono aboliti il monachesimo e il celibato dei preti, inoltre Lutero riconobbe solo due sacramenti, battesimo ed eucarestia. Egli negò la transustanziazione ma ritenne che Cristo entrasse attraverso il sacramento in comunione con i suoi fedeli. In base al principio del sacerdozio universale dei credenti cadde l'idea di un clero dotato di uno status diverso rispetto ai laici. Spariva il Purgatorio, la cui invenzione risaliva al XII secolo. La reazione di Roma giunse nel luglio 1520 con la bolla Exsurge Domine in cui Lutero era minacciato di scomunica, la sua reazione fu quella di bruciare la bolla e il codice di diritto canonico in pubblico. Nel frattempo in Germania, dove nel 1519 era stato eletto un giovane Carlo V, la situazione era esplosiva. Su pressione del duca Federico il saggio di Sassonia, Carlo V acconsentì ad ascoltare il riformatore della dieta di Worms il 17 aprile 1521. Nella sua risposta Lutero riassunse i fondamenti della riforma: il richiamo all'autorità della Bibbia e la libertà della coscienza individuale animata dalla fede, che impone al cristiano di conformarsi alla parola di Dio. A questo punto si profilava per Lutero la stessa sorte toccata a Jan Hus. Fu il suo principe Federico il saggio a salvarlo facendolo rapire e condurre al castello di Wartburg dove rimase nascosto un anno e tradusse la Bibbia in tedesco. 11.5 IL RIVOLGIMENTI IN GERMANIA Poco dopo esplosero nella società tedesca le tensioni occasionate dal diffondersi della nuova dottrina. Per i cavalieri era giunto il momento di mettere le mani sulle proprietà ecclesiastiche, nel 1522 uno di loro, Franz von Sickingen, tentò di conquistare di sorpresa il principato ecclesiastico di Treviri ma fu sconfitto dai principi di vicini. Più importanti furono gli sconvolgimenti provocati dalla guerra dei contadini che fra il 1524 e il 1525 infiammò larga parte della Germania. Le rivendicazioni degli insorti sono sintetizzate con efficacia nei dodici articoli dei contadini di Svevia elaborati nel febbraio del 1525. Era il mondo della comunità di villaggio che provava a ripristinare la sua tradizionale autonomia e le sue consuetudini. La protesta voleva essere pacifica ma non mancarono violenze contro chiese, monasteri e castelli. Fra i predicatori importante è la figura di Thomas Muntzer, un discepolo di Lutero, che aveva collegato la riforma religiosa a un profondo rivolgimento sociale che, anche attraverso l'uso della forza, stabilisse il regno della giustizia e della pace. Muntzer riteneva che la voce di Dio risuona direttamente nel cuore degli eletti, egli predicava l'imminente avvento in terra del regno di Cristo e la comunione dei beni affinché la povera gente potesse vivere nella Chiesa Spirituale. Alla rivolta pose fine nel 1525 la sconfitta di Frankenhausen e Muntzer fu condannato. Lutero prese subito le distanze dalle rivendicazioni dei contadini. Questa reazione era la conseguenza delle sue convinzioni: il cristiano deve obbedienza al potere politico, poiché e stabilito da Dio per mantenere l'ordine. A queste posizioni si ispirò l'organizzazione delle comunità luterane. Rimase sempre in Lutero la distinzione tra Chiesa invisibile e Chiesa visibile. Della prima nessuno poteva esser certo di farne parte; quanto alla seconda Lutero non le diede grande importanza, dal momento che è impossibile distinguere i veri cristiani dai falsi. La Chiesa luterana divenne una Chiesa di Stato, amministrata dalle commissioni composte di ecclesiastici e laici che rispondevano al principe territoriale o al governo cittadino. 11.6 LA POLEMICA CON ERASMO Nella crisi che spaccava la cristianità occidentale gli sguardi di tutti erano puntati su Erasmo il quale nel settembre 1524 si schierò contro Lutero con il De libero arbitrio, al quale il riformatore rispose con il De servo arbitrio. Erasmo attaccò Lutero nel punto in cui l'umanesimo e la riforma differivano di più: la concezione dell’uomo >al pessimismo luterano Erasmo contrappose la convinzione che la libertà di scelta dell'uomo non è stata distrutta. Egli riteneva che se anche fosse vero che l'uomo nella propria nella propria salvezza è passivo, questo non dovrebbe giungere alle orecchie del popolo. Allo stesso modo egli giudicava utile la confessione in quanto tratteneva molti dal commettere il male. Lutero oppose la natura popolare della Riforma: la parola di Dio è per tutti, non si deve tacere la verità al popolo nel timore che possa abusarne. Per quanto riguarda la confessione astenersi dal male per il timore di doversi confessare o per paura dell'inferno non ha alcun valore. La prudenza e la moderazione di Erasmo erano il riflesso del suo disagio di fronte a una realtà nella quale egli non si riconosceva più. Tramontato la stagione della fioritura umanistica Erasmo s ritraeva da un mondo lacerato da conflitti che stavano spaccando la cristianità. Per Lutero gli sconvolgimenti dimostravano invece che era rinato lo spirito di Cristo crocifisso, destinato a creare scandalo ogni volta che fosse ripreso nella sua autentica sostanza. Nell'ultima replica a Lutero del 1526, Erasmo affermò i motivi che lo avevano indotto a non schierarsi con la Riforma. Questa ostinata volontà di non rompere con Roma non ebbe un esito felice: da un lato fu accusato dai protestanti di non aver saputo trarre le conseguenze dal suo cristianesimo evangelico; dall'altro rimase per Roma un cripto-eretico. Tuttavia il suo ostinato richiamo della necessità di preservare l’unità della Chiesa avrebbero lasciato nella crisi religiosa del Cinquecento una traccia profonda, che molti si sforzarono di sviluppare. 11.7 LA RIFORMA NELLA SVIZZERA TEDESCA: ZWIGLI All'influsso dell'umanesimo erasmiano fu legata la formazione di Ulrich Zwigli, cappellano della cattedrale di Zurigo aveva già maturato l'aspirazione a un ripristino della semplicità evangelica quando, nel 1519, l'esempio di Lutero lo spinse a mettersi sulla via della Riforma, che assunse caratteri originali rispetto a quelli di Lutero. Diverso era il contesto nel quale egli operò: Zurigo era una città ricca, con una colta borghesia impegnata in attività mercantili e finanziarie, ed era governata da un'oligarchia patrizia che controllava il Consiglio civico e fu proprio con l'appoggio di quest'ultimo che Zwigli poté smantellare l'edificio della Chiesa cattolica e stabilire in città il culto riformato. A Zurigo la Riforma fu opera del Consiglio cittadino che esautorò il vescovo attribuendosi il governo della Chiesa. Tutti i principali aspetti della sua azione riformatrice si ricollegavano all'umanesimo di impronta erasmiana, all’antitesi tra carne e spirito, fra visibile e invisibile. Egli abolì le immagine sacre e la musica: il tempio zwingliano era austero e disadorno. Il razionalismo umanistico lo portò a negare ogni presenza reale dell'eucarestia. Da Zurigo, la Riforma si diffuse in molte città della Svizzera e comportò un conflitto con i cantoni rimasti cattolici. Ulteriore motivo di contrasto fu l'ostilità di Zwigli verso il servizio militare all’estero. Egli concepì una lega europea e tentò anche di stabilire un accordo con i luterani, che però si rivelò impossibile nel colloquio di Marburgo a causa della questione della presenza reale nell'eucarestia. Alla fine i cantoni protestanti dovettero combattere da soli contro quelli cattolici, e furono sconfitti nella battaglia di Kappel (11 ottobre 1531). L'espansione della Riforma protestante nella Svizzera tedesca si arrestò. Il successore di Zwigli, Bullinger stipulò nel 1549 con la Chiesa calvinista di Ginevra un accordo che sancì l'unione delle due confessioni riformate elvetiche. 11.8 CALVINO Jean Cauvin nacque a Noyon in Francia nel 1509. Il padre lo destinò alla carriera ecclesiastica e poi lo avviò agli studi giuridici. Il giovane ebbe una solida formazione umanistica e avrebbe continuato gli studi se non fosse intervenuta l'adesione alla Riforma. Nel 1534 fu costretto a lasciare la Francia per sfuggire alle persecuzioni contro gli eretici da Francesco I. A Basilea Calvino pubblicò nel 1536 un’opera che esponeva già la sua dottrina. Lasciata Basilea si recò in Italia e poi si trovò a Ginevra e decise di stabilirsi e aiutare il suo amico Farel nel tentativo di consolidare la recente adesione della città alla Riforma. Attraverso questa scelta Ginevra mirava a sottrarsi al controllo del vescovo che tendeva a imporre la propria autorità sulle magistrature comunali. Fin dall'inizio l'azione di Calvino dovette confrontarsi con questi delicati problemi politici e si scontrò con gli orientamenti del governo cittadino, che nel 1538 lo esiliò. Calvino si recò a Basilea e poi a Strasburgo ma già nel 1541 fu richiamato a Ginevra, dove l'oligarchia patrizia si era resa conto che era indispensabile ricorrere alle sua guida spirituale e alla sua capacità di organizzazione. Da questo momento e fino alla morte nel 1564 l'azione riformatrice di Calvino si identificò con la città, che egli intese trasformare in una nuova Gerusalemme. Legata da un patto con Dio. 11.9 LA DOTTRINA DI CALVINO Il pensiero di Calvino è incentrato sul pìrincipio dell’onnipotenza di Dio. Dalle premesse deriva la dottrina della doppia predestinazione>Dio crea solo pochi preordinati alla salvezza mentre destina la maggior parte dell'umanità alla perdizione eterna. | decreti divini sono sottratti alla capacità di comprensione dell’uomo, e sono indiscutibili. L'elezione è un atto di misericordia, per il quale i prescelti non possono vantare alcun merito; mentre i dannati non hanno alcun diritto di lamentarsi della loro sorte. Questa concezione dura diventava per il calvinista una fonte di energia positiva purché egli avesse la forza di lasciarsi alle spalle il pensiero della propria salvezza individuale per sottomettersi al volere divino. La grazia divina non è per Calvino una consolazione della coscienza afflitta, ma obbliga il cristiano a vivere nella fiducia che Dio lo abbia scelta. Anche per Calvino la Chiesa invisibile degli eletti è celata nella mente divina e inconoscibile all'uomo. Vi sono però dei segni presuntivi che possono far pensare che Dio ci abbia arruolato nell'esercito dei suoi santi: 1. Adesione alla Chiesa> era fondamentale il ruolo dei sacramenti, in particolare dell'eucarestia; 2. Attuazione della vocazione che Dio che ha assegnato nel mondo> Dio ha stabilito per ciascuno il dovere da compiere sicché il cristiano che adempie nella sua vita i disegni divini trova consolazione e conferisce a ogni atto un valore religioso. Era questa la matrice dell'attivismo tipico delle comunità calviniste. Calvino, a differenza di Lutero, riteneva che il corso della storia fosse governato dalla Provvidenza divina. Dopo che il popolo di Israele aveva tradito il suo patto con Dio, questi si era servito per guidare il corso degli eventi della Chiesa cristiana, la quale però era andata incontro alla corruzione. Di qui la nascita di una nuova Chiesa calvinista che si poneva come una Chiesa militante, impegnata ad agire nel quadro della storia, come un nuovo Israele, per la realizzazione dei disegni divini. 11.10L'ETICA PROTESTANTE E LO SPIRITO DEL CAPITALISMO In due saggi pubblicati agli inizi del Novecento e ristampati in volume nel 1920 Max Weber affermò che il concetto di vocazione, inducendo il calvinista a interpretare i profitti conseguiti nella sua attività come prova del favore divino, avrebbe contribuito al sorgere della mentalità capitalistica. Calvino effettivamente considerò lecito l'interesse sul prestito di produzione o d'investimento. Anche il tempo assunse un valore diverso nella Ginevra calvinista. Tuttavia non ci sono negli scritti di Calvino indizi significativi per poter interpretare in chiave economica il suo concetto di vocazione. L'attivismo del calvinista si esplicava sul terreno religioso. Però è difficile stabilire un parallelo fra l'evoluzione nel tempo e nello spazio del capitalismo e la diffusione del calvinismo. La tesi di Weber deve essere considerata sul piano sociologico, non su quello storico: egli individuò un modello tipico di mercante che considerava il suo guadagno una benedizione divina e lo utilizzava o per reinvestirlo o a soccorso dei poveri. 11.11GINEVRA CITTÀ SENZA DIO Nel 1541 Calvino gettò le basi per la struttura della sua Chiesa. Secondo il modello del Nuovo Testamento egli istituì quattro ordini: 1. | sacerdoti riuniti nella Venerabile compagnia dei pastori; 2. | dottori, educatori e difensori ortodossia; 3. I diaconi che assistevano i malati; 4. Dodici anziani laici (presbiteri) che vigilavano sulla vita dei dodici distretti in cui era divisa la città. Gli anziani e i pastori erano riuniti nel Concistoro, che esercitava un controllo penetrante su ogni aspetto della vita morale e questo episodio e poi fu riorganizzato da Simons, i cui seguaci furono i mennoniti. Essi vissero nell'attesa del regno di Cristo ma non ritennero leciti i tentativi di promuoverlo nell'immediato. L'anabattismo si diffuse rapidamente. Razionalismo e spiritualismo Ulteriori difficoltà nella comprensione di alcune posizioni dottrinali derivano dalla pratica del nicodemismo, comportamento di coloro che aderivano nei paesi cattolici alla Chiesa ufficiale dissimulando la loro fede ormai ispirata ai principi della Riforma. Come gli anabattisti, tutto il mondo della Riforma radicale risentì dell'influenza dell'umanesimo erasmiano: spiritualismo e razionalismo, spesso congiunti insieme in una prospettiva critica che finiva col dissolvere l'identità dogmatica che si erano date le nuove chiese uscite dalla Riforma. Si sviluppò una certa indifferenza per le questioni dottrinali, che portava a restringere il più possibile le verità essenziali per la salvezza. Queste forme di indifferentismo dogmatico evolvevano in molti casi in un assoluto soggettivismo aprendo la strada al superamento del concetto stesso di Chiesa in favore di una religiosità vissuta e rivolta nella coscienza individuale. Notabili sono anche le posizioni che tentarono di rivalutare la libera volontà dell’uomo, riprendendo il tema della misericordia di Dio e della portata universale del sacrificio di Cristo. Il razionalismo di derivazione umanistica indusse molti a mettere in discussione lo stesso dogma della trinità. Un altro filone di antitrinitarismo oltre a quello di Serveto è quello di Socini il quale si trasferì a Zurigo e visse poi a Cracovia. Riuscì a dare una base comune sul piano dottrinale e istituzionale ai vari gruppi di orientamento antitrinitario e radicale presenti in Polonia, imponendosi come principale esponente della Chiesa unitaria, detta sociniana. Quando ebbe inizio il processo di ricattolicizzazione della Polonia scapparono in Olanda, Inghilterra e Stati Uniti ed ebbe origine il socinianesimo che tenne in vita i principi fondamentali del suo credo. CAP. 12 LE “HORRIBILI" GUERRE D'ITALIA (1494-1530) 12.1 LA PENISOLA ITALIANA NEL XV SECOLO Dopo la pace di Lodi del 1454 il quadro politico della penisola italiana rimase incentrato per un cinquantennio sull'equilibrio stabilitosi fra i cinque maggiori stati. 12.1.1 Il regno di Napoli Il regno di Napoli, che il papato considerava un suo feudo, era passato nel 1458 a Ferdinando | di Aragona (1458- 1494) esponente di un ramo illegittimo della famiglia che reggeva lo Stato aragonese di Spagna. | tentativi di Ferdinando di rafforzare l'apparato amministrativo e finanziario si scontrarono con l'opposizione della feudalità. Nel 1485 i baroni organizzarono una congiura che fu duramente repressa. 12.1.2 Lo Stato della Chiesa AI centro della penisola c'era lo Stato della Chiesa che possedeva le due esclaves di Benevento e, dal 1463, di Pontecorvo ne regno napoletano e in Francia, Avignone e il Contado. Rientrati a Roma nel 1420, dopo la fine dello scisma d'Occidente, i papi s'impegnarono a ripristinare il proprio dominio temporale sia nella capitale, dove il potere era limitato dalle famiglie dell'aristocrazia romana, sia nel territorio dello Stato dove alcune città erano di fatto autonome. Obbiettivo della politica pontificia fu mantenere un equilibrio politico fra gli stati italiani più forti e poi, nella lotta fra le potenze europee per la supremazia in Europa, si impegnò per scongiurare il prevalere di una o dell'altra. Questa strategia si intrecciò con la tendenza dei pontefici a favorire con ogni mezzo la propria famiglia di appartenenza. Poiché il pontificato era elettivo, molti papi si sforzavano di dare continuità al potere familiare nominando cardinale un proprio nipote come erede e inserendo nel collegio cardinalizio uomini di loro fiducia. A questo “piccolo nepotismo” si sovrappose il “grande nepotismo”, cioè il tentativo di alcuni papi di creare uno Stato autonomo da affidare a qualcuno dei membri della propria casata. Nel 1492 divenne papa Alessandro VI lo spagnolo Rodrigo Borgia accusato dal suo avversario Giuliano della Rovere di avere comprato i voti necessari per la sua elezione. Alessandro VI si impegnò a utilizzare il suo potere in favore dei figli, e in particolare di erigere uno Stato per Cesare Borgia. 12.1.3 Sviluppi della civiltà comunale La situazione politica dell’Italia centro-settentrionale all’inizio dell'età moderna era il risultato del processo di superamento degli ordinamenti comunali che si erano affermati fra la fine dell'XI e la prima metà del XII secolo. Il primo passo verso questo superamento fu l'esclusione delle classi popolari dalla partecipazione alla vita politica a favore di oligarchie. Dal XIII secolo in poi in molte città il controllo effettivo del governo venne assunto da un signore che fondava una dinastia. La signoria si trasformava così in principato con la concessione da parte dell’imperatore o del papa di un titolo. Nel contempo si manifestò anche la tendenza al superamento della frantumazione territoriale prodotta dalla civiltà comunale con la formazione di organismi politici più ampi. Agli inizi del Quattrocento solo poche città conservarono ancora i loro ordinamenti repubblicani. Mentre i principati sorti dal declino dell'esperienza comunale erano sedi di splendide corti, protagoniste della fioritura della cultura rinascimentale, ma deboli come molti degli altri staterelli e delle piccole signorie cittadine. Altri stati avevano invece origini feudali: è il caso dei domini della famiglia Savoia che ottenne nel 1416 il titolo ducale. Si trattava di uno stato per lingua, cultura e orientamenti politici. 12.1.4 Il ducato di Milano Dall'evoluzione dell'esperienza comunale era nato anche lo Stato di Milano che comprendeva nove province. Passato a metà del XV secolo dai Visconti, che avevano ricevuto il titolo di duchi dall'imperatore a Francesco Sforza, lo Stato milanese, nodo strategico per il controllo dei paesi alpini, fu la chiave della supremazia in Europa. 12.1.5 La repubblica di Firenze Anche a Firenze si era manifestata dalla fine del XIV secolo un'evoluzione delle istituzioni comunali verso un regime oligarchico caratterizzato dal predominio di un ristretto gruppo di famiglie. Firenze portò a compimento la sua espansione in Toscana occupando Pisa (1406) e acquistando Livorno che le diede uno sbocco sul mare (1421). Dal 1434 si affermò l'egemonia dei Medici che acquisì una sorta di signoria grazie all'opera di Cosimo il vecchio, il quale si garantì il controllo delle magistrature repubblicane escludendone gli avversari a vantaggio dei suoi alleati. Fu succeduto da Lorenzo il Magnifico, protagonista della cultura umanistico-rinascimentale e garante dell'equilibrio politico fra gli stati italiani. Alla sua morte nel 1492 la signoria della famiglia era lontana dall'essere consolidata in quanto permanevano nostalgie per il regime repubblicano ed era ancora viva l'ostilità nei confronti del predominio dei Medici. 12.1.6 La repubblica di Venezia Venezia conservala le forme repubblicane, la quale si era data una solida struttura costituzionale attraverso la riforma realizzata fra la fine del XIII e l'inizio del XV secolo con la “serrata del maggior consiglio”. Il Maggior consiglio secondo questi provvedimenti doveva essere composto dai maschi adulti delle famiglie che ne facevano parte in quel momento o ne avevano fatto parte. Queste famiglie diedero vita a un patriziato che si riservava in modo esclusivo la partecipazione alla vita politica. Il Maggior consiglio, organo sovrano composto eleggeva fra i suoi membri tutte le principali erano delegate a organi più ristretti; fra questi vi era il Senato, nel quale si discutevano i grandi problemi politici e si prendevano le decisioni più importanti. Tutte le magistrature erano collegiali e temporanee, una carica vitalizia era quella del Doge. Venezia conquistò nel Quattrocento un ampio dominio di terraferma, occupando tutto il Veneto, il Friuli, Brescia, Bergamo e Crema. A questi territori si aggiungeva lo Stato “da mar”. Alla fine del Quattrocento la Serenissima era al massimo livello di prosperità commerciale ed economica, di solidità politica e di espansione territoriale e rappresentava lo Stato più forte della penisola. 12.2 L'AVVENTURA DI CARLO VIII L'equilibrio politico della penisola fu rotto dalla decisione del re di Francia Carlo VIII di far valere i diritti sul regno di Napoli della casa di Angiò. Animato da ideali che lo portavano a sognare una crociata per liberare Costantinopoli dal dominio ottomano, Carlo VIII preparò l'impresa garantendosi la neutralità della Spagna e di Massimiliano cedendo alcuni territori. Il suo tentativo fu incoraggiato da varie componenti della società italiana, che volevano approfittare del suo intervento per conseguire i propri obbiettivi politici. Ludovico il Moro, che reggeva lo Stato di Milano come tutore del nipote Gian Galeazzo il quale aveva sposato una principessa aragonese, per cui la dinastia al potere a Napoli era il principale ostacolo che impediva a Ludovico di usurpare il potere al nipote. Carlo VIII scese in Italia con un forte esercito e impressionò tutti per la sua potenza: a Milano fu accolto amichevolmente da Ludovico il Moro e poté proseguire verso Firenze dove l’inetto Piero dei Medici, in cambio dell'incolumità della città, gli consegnò le chiavi delle piazzeforti dello Stato. Questa decisione suscitò un'opposizione che costrinse Piero a fuggire. Fu così ristabilito il regime repubblicano. Un ruolo decisivo ebbe Girolamo Savonarola il quale aveva un grande ascendente con le sue prediche apocalittiche nelle quali denunciava la corruzione della Chiesa attaccando papa Alessandro VI. Quando, con Carlo VIII alle porte di Firenze sembrò materializzarsi la punizione divina annunciata da Savonarola, la popolazione fiorentina vide in lui un punto di riferimento. Così il frate esercitò una grande influenza sulla politica della repubblica: fu allargata la base della popolazione con l'istituzione di un Consiglio grande di 3000 cittadini il cui potere era limitato da un organismo oligarchico, il Consiglio degli ottanta. AI contempo Savonarola esortava la popolazione a una riforma dei costumi in vista di una rinnovamento della Chiesa. La vita politica cittadina era però agitata da lotte fra fazioni: i piagnoni fautori del frate; gli arrabbiati favorevoli all'oligarchia e i _bigi o palleschi partigiani dei Medici. Scomunicato dal papa e abbandonato da una parte della popolazione, Savonarola fu condannato al rogo e giustiziato in piazza della Signoria il 23 maggio 1498. Questa prima repubblica fiorentina sopravvisse alla sua morte ma si trovò in una situazione precaria in quanto dipendeva dal sostegno della Francia, inoltre dovette far fronte alla ribellione di Pisa che solo nel 1509 sarebbe stata sottomessa. Carlo VIII a Roma si accordò con il papa e quindi poté conquistare Napoli praticamente senza combattere. Il re di Napoli Alfonso di Aragona abdicò in favore del figlio Ferdinando Il (Ferrandino) che fuggì a Ischia mentre Carlo VIII entrava a Napoli ricevuto dai baroni ostili alla dinastia aragonese (22 febbraio 1495). Gli stati italiani e lo stesso Ludovico il Moro che, morto Gian Galeazzo, aveva raggiunto il suo scopo, compresero che l'insediamento della Francia a Napoli era pericoloso. Si formò rapidamente una lega che comprendeva Venezia, Milano, il papa e anche Ferdinando il cattolico e l'imperatore Massimiliano. Colto di sorpresa Carlo VIII dovette abbandonare Napoli e risalire la penisola. Si scontrò con le forze della lega a Fornovo sul Taro (6 luglio 1495) ma riuscì ad aprirsi il passo per tornare in Francia. Con l’aiuto delle truppe spagnole Ferrandino riuscì a tornare sul trono di Napoli ma dovette cedere a Venezia Brindisi e alcuni porti sull'Adriatico. L'avventura di Carlo VIII si era conclusa in poco tempo ma aveva dimostrato la debolezza del sistema politico italiano. 12.3 IL DUCATO DI MILANO AL CENTRO DELLA CONTESA Morto nel 1498 Carlo VIII gli successe il cugino Luigi XII (1498-1515), del ramo Valois- Orleans che riprese i progetti di intervento in Italia puntando a Milano sul quale poteva accampare diritti in quanto discendente di Valentina Visconti sposata nel 1387 a un Orleans. Egli si accordò con Venezia alla quale promise il possesso di Cremona e della riva sinistra dell'Adda, con la Confederazione elvetica e con papa Alessandro VI, che ottenne in cambio per il figlio Cesare l'investitura del ducato di Valentinois in Francia e il matrimonio con l'erede della famiglia d'Albret, dinastia al potere del regno di Navarra. Trovatosi isolato, Ludovico il Moro fu costretto a rifugiarsi presso Massimiliano d'Asburgo, che aveva sposato il nipote di Bianca Maria Sforza. In seguito tentò di riconquistare il suo stato ma fu sconfitto a Novara (10 aprile 1550) e finì la sua vita prigioniero in Francia. Gli svizzeri occuparono la contea di Bellinzona. Quindi Luigi XII volse le sue mire al regno di Napoli. E ritenne necessario accordarsi con il re di Spagna che, possedendo la Sicilia non poteva consentire che la Francia acquisisse tutto il Meridione d'Italia. L'accordo fu stipulato con il trattato segreto di Granada (11 novembre 1500) che prevedeva la spartizione del regno fra Francia e Spagna. Il re di Napoli Federico Il fu colto di sorpresa perché pensava che le truppe Spagnole fossero sue alleate, quando comprese la verità cedette i suoi diritti a Luigi XII senza combattere. Al re di Francia era dato il possesso di Campania e Abruzzo e il titolo di re di Napoli mentre alla Spagna sarebbero toccate Calabria e Puglia. Presto scoppiò fra i defezione del conestabile dell'esercito francese Carlo di Borbone che passò al servizio dell'impero. Il re di Francia riuscì a mettere insieme un nuovo esercito con il quale scese in Italia e nell'ottobre 1524 s'impadronì di Milano. Pose quindi l'assedio a Pavia, nodo strategico per le comunicazioni con Genova e Francia e si preparò a una spedizione verso il regno di Napoli. L'assedio si protrasse per quattro mesi e questo consentì l'arrivo dalla Germania di rinforzi che attaccarono alle spalle l'esercito francese. Fu per Francesco | una disfatta totale (24 febbraio 1525), fu preso prigioniero e costretto a firmare a Madrid un trattato (14 gennaio 1526) con il quale rinunciava alle pretese sull'Italia e nelle Fiandre si impegnava a cedere la Borgogna lasciando in ostaggio i suoi figli. Ottenuta la libertà però non rispettò i patti e organizzò la lega di Cognac con tutti gli stati intimoriti dallo strapotere asburgico: il re d'Inghilterra, papa Clemente VII Medici (1523-1534), Firenze, la repubblica di Venezia e il duca di Milano Francesco Il Sforza. Ora Carlo V era in una situazione difficile, non poteva fare affidamento sull'aiuto del fratello Ferdinando, impegnato a fronteggiare l'offensiva turca nei Balcani. 12.10IL SACCO DI ROMA A favore di Carlo V giocarono le divisioni all’interno della lega di Cognac e che impedirono un'efficace risposta all'offensiva delle truppe imperiali. Queste occuparono Milano costringendo Francesco Il Sforza alla resa. Carlo V lanciò un'offensiva contro le forze della lega inviando 12.000 lanzichenecchi ai quali non vene opposta resistenza: solo Giovanni dalle Bande nere (dei Medici) si scontrò con i tedeschi e rimase ucciso. | lanzichenecchi giunsero fino alle mura di Roma, mentre Clemente VII e i cardinali si rifugiavano in tutta fretta dentro Castello S. Angelo. Quando il conestabile di Borbone fu ucciso le truppe rimaste senza guida entrarono in città apbandonandosi a un terribile saccheggio. L'evento suscitò un'emozione straordinaria fra i contemporanei, il sacco fu interpretato da molti come un segno divino per la corruzione della Chiesa. Quando la notizia giunse a Firenze l’oligarchia scacciò i Medici e instaurò la seconda repubblica fiorentina (1527-1530). 12.11ANDREA DORIA E LA REPUBBLICA DI GENOVA L'anno seguente Francesco | l'offensiva inviando un esercito che, occupata Genova, proseguì verso Sud nell’intentp do scacciare gli spagnoli da Napoli. La capitale fu cinta d'assedio mentre nel mare era bloccata dalla flotta dell'ammiraglio genovese Andrea Doria. L'impresa fallì in quanto l'ammiraglio decise di togliere improvvisamente il blocco navale di Napoli, così il corpo francese dovette ritirarsi. Andrea Doria era un imprenditore della guerra, proprietario di una flotta che poneva al servizio del miglio offerente. La scelta di lasciare il servizio di Francesco | in favore di Carlo V fu dovuta anche a considerazioni di interesse personale, ma mirò a realizzare un cambiamento della situazione politica della città. Genova era coinvolta direttamente nella contesa franco-imperiale per il possesso di Milano e si trovava alla mercé del vincitore. Il 12 settembre 1528 Andrea Doria sbarcò a Genova e se ne impadronì. Da quel momento Genova rimase vincolata all'alleanza della Spagna. Nel contempo Doria ispirò una riforma che diede vita a una repubblica sul modello veneziano. La svolta operata da Andrea Doria ebbe un esito decisivo sul conflitto perché diede a Carlo V una potenza navale alla quale quella francese non poteva opporsi. 12.12LA PACE DELLE DUE DAME La guerra proseguì ancora ma alla fine si giunse alla pace di Cambrai nel 1529, detta anche delle due dame perché negoziata dalla madre di Francesco I, Luisa di Savoia, e dalla zia di Carlo V, Margherita d'Austria. La Francia rinunciava a ogni pretesa sulla penisola, ma conservava la Borgogna, a Francesco | furono restituiti i figli presi in ostaggio. In precedenza Carlo V aveva raggiunto un accordo con papa clemente VII, al quale diede l'investitura del regno di Napoli, concesse il libero transito delle sue truppe nei territori pontifici e acconsentì a un'incorporazione di Milano nei domini asburgici nel 1535. In cambio Carlo V si impegnò a restaurare il dominio dei Medici a Firenze. Le clausole della pace delle due dame furono confermate nel congresso di Bologna che riorganizzò il quadro politico della penisola; poi si stabilì il passaggio ai Savoia della contea di Asti. Durante il congressi Clemente VII nella basilica di San Pietro incontrò Carlo V imperatore e re d'Italia (24 febbraio 1530). Firenze dovette arrendersi nell'agosto 1530; il potere fu dato ad Alessandro dei Medici che ebbe da Carlo Vil titolo di duca (1532). Così si realizzò anche a Firenze la transizione da repubblica a principato. CAP. 13 IL SOGNO IMPERIALE DI CARLO V 13.1 L'IMPERATORE COME SIGNORE DEL MONDO Principale consigliere di Carlo V fu Mercurio Arborio da Gattinara, gran cancelliere dal 1518 al 1530. Subito dopo l'elezione imperiale del 1519 egli scrisse a Carlo che gli si apriva la prospettiva della monarchia universale e della riunione della cristianità sotto un solo pastore. Gattinara riprese l'idea di impero come governo universale e elaborò una concezione di dare coerenza e unità alla direzione politica dei tanti domini di Carlo V. 13.2 LA SVOLTA DEL 1530 La scomparsa di Gattinara nel 1530 fu emblematica della chiusura di una fase dello scontro per la supremazie in Europa. Carlo V non si occupò più direttamente dei problemi Specifici relativi al governo dei vari suoi domini e concentrò la sua attenzione sulla strategia complessiva del suo disegno politico. Nel 1531 egli fece eleggere re dei romani il fratello Ferdinando, al quale aveva già affidato il governo dei domini ereditari, e conferì la reggenza dei paesi bassi alla sorella Maria, vedova di Luigi Il Jagellone; per altri suoi domini delegò il governo a dei viceré. Dopo Gattinara non ebbe più un cancelliere e fu circondato da comandanti e consiglieri; anche i due più importanti non furono che degli esecutori delle sue direttive; egli divenne il cancelliere di se stesso. Con la pace delle due dame e con il congresso di Bologna, il conflitto franco-asburgico raggiunse un punto di equilibrio che non poté più essere modificato se non per aspetti marginali. Si stabilì il predominio spagnolo nella penisola che poi sarebbe stato sancito nella pace di Cateau- Cambresis del 1559; venne a cadere quindi la centralità del problema italiano nella politica di Carlo V, che andò assumendo una dimensione veramente universale. In tal senso agì l'aggravarsi della minaccia dell'impero ottomano sulla frontiera dei domini americani, che si compì interamente durante il suo regno giacché nel 1519 la Spagna occupava solo alcune zone delle Antille; i due vicereami delle Indie conferirono al suo impero una dimensione planetaria. Infine l'incancrenirsi della questione religiosa in Germania accentuò l'aspirazione di Carlo V a porsi come arbitro dei conflitti religiosi. 13.3 GLI OTTOMANI ALLE PORTE DI VIENNA Fin dal 1520 gli Asburgo avevano dovuto fronteggiare sul confine orientale la minaccia che l'impero ottomano faceva gravare sul regno cristiano di Ungheria, Stato che separava i due imperi. Nell'estate del 1526 il sultano Solimano il Magnifico passò il Danubio e sconfisse l'esercito ungherese nella battaglia di Mohacs (29 agosto 1526) nella quale morì lo stesso re Luigi Il Jagellone anche re di Boemia. Solimano il Magnifico occupò gran parte del territorio ungherese ed entrò in Buda. Ferdinando che aveva sposato la sorella di Luigi Il rivendicò i regni del cognato ma in Ungheria, al contrari che in Boemia, la sua successione fu contestata da un partito nazionale magiaro ostile agli Asburgo. La vedova di Luigi Il riuscì a far eleggere Ferdinando ma a lui si contrappose Giovanni Szapolyai, sostenuto da Solimano che intendeva fare dell'Ungheria uno stato vassallo dell'impero ottomano. Negli anni seguenti l’esercito turco proseguì la sua offensiva e nel 1529 si Spinse fin sotto le mura di Vienna. Alla fine le difficoltà logistiche dell'impresa indussero Solimano a desistere e a firmare la pace (1533), quindi fu mantenuto sul trono di Buda Szapolyai e a Ferdinando fu riconosciuto il possesso dell'Ungheria imperiale. Quando, alla morte di Szapolyai nel 1540, il conflitto si riaprì, il sultano occupò la maggior parte del territorio ungherese e la annetté direttamente all'impero ottomano come provincia di Buda (1541). La Transilvania fu data a Giovanni Sigismondo, figlio dello Szapolyai, come stato vassallo dei turchi. Questa situazione non fu modificata dai ripetuti scontri degli anni seguenti e confermata dal trattato stipulato da Ferdinando e Solimano nel 1562. Fino alla fine del Seicento i domini asburgici si trovarono a diretto contatto con l'impero ottomano lungo una linea di confine vicina a Vienna. L'impero asburgico divenne l'avamposto della cristianità di fronte alla minaccia islamica. 13.4 LA LOTTA CONTRO | TURCHI BEL MEDITERRANEO Il problema turco si poneva anche nel Mediterraneo, dove gli stati barbareschi dell’Africa settentrionale, soggetti all'autorità del sultano, rappresentavano la base per scorrerie sulle coste spagnole e italiane e per atti di pirateria contro le navi cristiane. Proseguendo la lotta contro i musulmani, Ferdinando il cattolico aveva acquisito il controllo di località sulle coste africane, fra le quali Orano, e stabilì un protettorato ad Algeri. Quest'ultima era stata conquistata nel 1529 dai corsari barbareschi che trovarono in Khair-ad-Din detto il Barbarossa un capo che Solimano decise di nominare ammiraglio della flotta turca. Nel 1535 Francesco I, animato dal desiderio di riaprire la partita in Italia, strinse un patto di alleanza con il sultano. Carlo V decise di preparare una spedizione verso le coste africane e occuparono la fortezza di La Goletta, che difendeva Tunisi e ottennero la città, grazie anche alla rivolta degli schiavi cristiani, stabilendovi un principe soggetto al protettorato spagnolo, ma Khair-ad-Din riuscì a fuggire ad Algeri. Era difficile ottenere un successo decisivo sul fronte mediterraneo a causa delle divisioni sul fronte cristiano: Venezia non voleva uno scontro frontale ed era disposta a contribuire militarmente solo per difendere le sue linee di commercio e i suoi possedimenti in Oriente, mentre a Carlo V interessava il Mediterraneo occidentale. Nel 1538 si riuscì a organizzare una flotta cristiana di navi spagnole e veneziane, che si scontrò con quella di Khair-ad-Din presso Prevesa (27 settembre), fu un grave insuccesso. Un ultimo tentativo di contrastare la potenza ottomana sul mare fu fatto nel 1541: fissata ad ottobre per evitare la flotta turca, partì dalle Baleari con l'obbiettivo di conquistare Algeri. Ma una tempesta distrusse la metà della flotta (25 ottobre 1541) e costrinse il resto a tornare in Spagna. Fino alla battaglia di Lepanto (1571) le potenze cristiane non furono in grado di contrastare la lotta ottomana. 13.5 LA RIPRESA DELLA GUERRA FRANCO-IMPERIALE Il segnale per la ripresa della guerra fu la decisione di Carlo V di occupare lo stato di Milano nel 1535 alla morte di Francesco Il Sforza. Francesco | penetrò nella Savovia e nel 1536 occupò Torino; Carlo V rispose attaccando in Provenza e nei Paesi bassi. Ma il conflitto si trascinò fino alla tregue di dieci anni firmata a Nizza nel 1538. L'ostilità riprese nel 1542 quando i francesi, sostenuti dalla flotta del Barbarossa, non riuscirono a occupare Nizza. Fu Carlo a ottenere importanti successi ampliando i suoi domini nei Pesi bassi. Si giunse quindi alla pace di Crepy 1544 che ribadiva lo status quo e si prospettò una combinazione matrimoniale tra il duca di Orleans, terzo figlio di Franceso | e una delle due principesse asburgiche che avrebbero dovuto portare in dote o i Paesi bassi o Milano. In questi mesi si pose a Carlo la scelta fra queste due opzioni che si risolse con la morte del giovane principe nel 1545. 13.6 OPPOSIZIONI AL PREDOMINIO SPAGNOLO NELLA PENISOLA La situazione italiana non era priva di inquietudini per Carlo V, non mancava ostilità nei confronti del predominio spagnolo. A Firenze nel 1537 il duca Alessandro fu assassinato da suo cugino Lorenzino, gli successe il figlio di Giovanni dalle Bande nere, Cosimo I, che avviò lo Stato verso il principato ricevendo da Carlo V l'investitura come duca di Firenze e poi nel 1569 dal papa il titolo di granduca di Toscana. Carlo V dovette fare i conti con la politica di papa Paolo III Farnese, che tese a limitare l'egemonia spagnola cercando di mantenere una posizione di neutralità sostenendo Carlo V solo nella lotta ai protestanti e all'impero ottomano. La politica presentò sempre un’ambiguità in quanto egli mercanteggiò il suo sostegno per ottenere l'assenso dell’imperatore alla creazione di uno Stato per la propria famiglia. Egli giocò sul fatto che Carlo V aveva bisogno della sua alleanza e contava sulla convocazione di un concilio per arrivare a un accordo con i protestanti. Paolo Ill appena eletto nominò cardinali i nipoti e nel 1545 staccò dal territorio pontificio Parma e Piacenza erigendole in ducato che affidò al figlio Pier Luigi Farnese. La politica indipendente dei Farnese che sembravano disposti a offrire un appoggio Il termine “Controriforma” entrò in uso alla fine del XVIII secolo per designare il processo attraverso il quale un territorio passato alla fede protestante era ricondotto con la forza all'obbedienza nei confronti di Roma. Poi il concetto si ampliò e indicò anche l'opera di rinnovamento della Chiesa cattolica culminata con il Concilio di Trento. Restava comunque l'idea che si fosse trattato di una risposta alla rivolta innescata da Lutero. Questa tradizionale concezione viene criticata dallo storico Hubert Jedin il quale ha mostrato come nell'ambito del cattolicesimo fossero vive, prima della rivolta luterana, aspirazioni a un rinnovamento interno. In tal senso bisognerebbe parlare di Riforme e non di Riforma. La ricerca storica di questi ultimi anni ha studiato in tutti i suoi aspetti i processi di trasformazione della Chiesa fra Cinquecento e Seicento e ha messo in luce il conflitto fra coloro che volevano riformare la Chiesa nella speranza di portare nel suo seno i protestanti e coloro che perseguivano una dura repressione dell'eresia. Furono questi ultimi a prevalere. Per questo motivo sembra preferibile continuare a parlare di Controriforma. 14.2 LA NOZIONE DI ERESIA La parola eresia significa “scelta” e ha una connotazione negativa in quanto se ci si affida alla ragione per questioni divine si cade nell'errore. In seguito la parola al plurale indicò non solo le dottrine erronee ma anche i gruppi o le sette che le adottavano. L'eretico deve essere battezzato e continuare a professarsi cristiano, deve essere ostinato nel confermare le sue convinzioni; poi gli era offerta la possibilità di abiurare. Eretico era colui che veniva dichiarato tale in un dato momento storico da un'autorità ecclesiastica. La validità della condanna dipende dai rapporti di forza fra l'istituzione e i fautori delle dottrine ritenute eretiche. Lutero riteneva che era stata la Chiesa di Roma a tradire lo spirito del messaggio di Cristo. Dall'eresia si distinguono lo scisma e l'apostasia. 14.3 ASPIRAZIONI DI RIFORMA Molte voci si erano levate, prima della riforma luterana, a chiedere un riforma della Chiesa che la mettesse in grado di svolgere la sua missione pastorale: il profetismo di Savonarola, la grande influenza esercitata dall'umanesimo cristiano di Erasmo. Ma anche nella massa dei fedeli furono vive l'aspirazione a una religiosità vicina allo spirito evangelico, e l'insoddisfazione per l'incapacità dell'apparato ecclesiastico di dare risposta a questo bisogno di consolazione delle coscienze. Nel concilio lateranense V (1511-1516) il generale degli agostiniani, Egidio da Viterbo, affermò la necessità di una riforma della Chiesa che avrebbe dovuto interessare gli uomini, la formazione e la qualità morale degli ecclesiastici. Su questa linea si collocò il Libellus ad Leonem decimum (1513), indirizzato al nuovo papa Medici Leone X da due patrizi veneziani, Vincenzo Querini e Tommaso Giustiniani. In questo scritto proponevano la traduzione della Bibbia in volgare perché tutto il popolo potesse accostarsi alla parola di Dio. 14.4 IL NUOVI ORDINI RELIGIOSI Quanto fosse sentito il bisogno di rinnovamento della Chiesa è dimostrato dalla nascita di nuovi ordini religiosi, sorti da iniziative spontanee e poi approvate dall'autorità ecclesiastica. Alla immediata e semplice religiosità popolare risposero gli oratori del divino amore, confraternite sorte in diverse città tra il XV e il XVI secolo. Dal tronco dei francescani nacquero nel 1528 i cappuccini. Ci sono poi i teatini, istituiti da Gaetano da Thiene e da Gran Pietro Carafa, futuro Paolo IV; i barbaniti affiancati dalle angeliche, e i somaschi; fra gli ordini femminili le orsoline istituite nel 1535. 14.5 L GESUITI L'ordine più importante sorto nella prima metà del Cinquecento fu la Compagnia di Gesù, fondata nel 1534 a Parigi dallo spagnolo ignazio di Loyola che mise la sua forte volontà al servizio della fede cristiana. Ai tre voti tipici della scelta monastica povertà, carità, castità aggiunsero la fedeltà al papa. La loro regola fu approvata da Paolo III nel 1540. Il capo dell'ordine dipendeva direttamente dal pontefice; nel 1541 fu eletto alla carica Loyola. Il gesuita entrava nella Compagnia dopo un lungo noviziato, nel quale imparava a annichilire la propria volontà e la propria personalità, preparandosi a obbedire ai propri superiori. | metodi per vincere la propria volontà furono esposti da Loyola negli Esercizi spirituali, che prevedevano un controllo quotidiano attraverso un esame di coscienza dei progressi fatti nel superamento dei difetti e nella correzione dei peccati. | gesuiti furono attivi innanzitutto nell'istruzione: nei loro collegi si formarono i rampolli delle casate aristocratiche e delle famiglie più ricche; l'ordinamento degli studi elaborato nel 1599 forniva un'educazione severa e di alto livello, imperniata sullo studio del latino e della retorica, sulla dottrina cattolica e su un forte spirito di competizione. | gesuiti ebbero anche un peso politico in quanto furono spesso i confessori e consiglieri di sovrani e principi. Infine essi si impegnarono nell'attività missionaria per la diffusione del cristianesimo. 14.6 LA LOTTA PER IL CONCILIO Si è detto dei ripetuti tentativi di Carlo V di indurre i papi a convocare un concilio dal quale egli sperava una composizione dei conflitti religiosi che dilaniavano l'Europa, in particolare la Germania. Anche Lutero aveva dichiarato di essere pronto a discutere le sue tesi solo in un concilio a patto che non fosse condizionato dal papa. L'attesa del concilio era viva in tutto il corpo della cristianità, ma esso si riunì solo dopo 28 anni dalla protesta di Lutero. Questo ritardo fu dovuto dalla riluttanza dei papi che affermavano la superiorità dei vescovi sull'autorità pontificia. Nessuna iniziativa di riforma ci si poteva aspettare da un papa politico come Clemente VII. Il clima cominciò a cambiare con il papato di Paolo Ill Farnese che nominò una commissione di cardinale e altri prelati per elaborare un progetto di riforma della Chiesa. La commissione emise un parere che denunciava i mali che impedivano alla Chiesa un corretto esercizio della sua funzione pastorale. Paolo chiamò anche al cardinalato uomini colti e animati da grande zelo religioso. Ma i non facili rapporti con Carlo V allontanarono la convocazione del concilio. 14.7 LA DIFFUSIONE DELLA RIFORMA IN ITALIA Nel frattempo le opere di Lutero e degli altri riformatori si diffondevano in Italia, trovarono simpatie in molte città. Si diffusero in tutti gli strati della società; un forte radicamento popolare ebbero le comunità anabattiste che si diffusero in particolare a Venezia. Aderirono alla Riforma nel 1532 anche le comunità seguaci dell'eresia valdese formatesi nel XII secolo e sopravvissute alla persecuzione nelle valli a Ovest di Pinerolo. In un primo tempo la rottura non fu percepita come insanabile e molti speravano che si potessero ricomporre i dissensi sulla base di un rinnovamento della Chiesa che venisse incontro almeno ad alcune delle proposte avanzate dai riformatori. Si diffusero perciò posizioni non ben definite e si manifestò la tendenza alla formazione di gruppi clandestini, inclini alla pratica del nicodemismo. Importante fu l'opera di Valdes che si stabilì a Napoli dove fino all'anno della sua morte, il 1541, animò un cenacolo di formazione spirituale che influenzò molti dei protagonisti della Riforma italiana. Legato agli ambienti degli alumbrados, Valdes riteneva decisiva nella vita religiosa la diretta illuminazione divina, che trasforma la coscienza individuale liberandola da ogni norma o pratica esteriore. Nel 1543 fu pubblicato il trattato Del beneficio di Cristo crocifisso, opera intrisa di richiami alle dottrine calviniste che divulgò la sensibilità religiosa di questi gruppi. Influenzati dall'umanesimo erasmiano, i circoli “spirituali” giudicavano del tutto indifferente la partecipazione ai riti e alle funzioni delle chiese stabilite poiché ciò che importa è la fede nella coscienza e giungevano a dissolvere il concetto di Chiesa per ridurre l'esperienza religiosa e una spiritualità interiore. 14.8 LA CONGREGAZIONE DEL SANT'UFFIZIO Nel 1541 il cardinale Contarini cercò al colloquio di religione di Ratisbona di negoziare con Melantone una forma comune sul piano teologico. Con il fallimento di questo tentativo si chiuse il periodo transitorio nel quale la rottura della cristianità non sembrava definitiva. L'anno seguente Paolo Ill promosse la stretta repressiva reclamata dal cardinale Carafa, futuro Paolo IV. Nacque così nel 1542 la congregazione cardinalizia del sant'Uffizio o dell'Iinquisizione con il compito di riorganizzare la rete dei tribunali inquisitoriali istituiti nel Medioevo. Questa decisione segnò una vera svolta: fu sempre più difficile assumere posizioni intermedie e anche gli spazi per la dissimulazione si restrinsero. Emblematico è il caso di Bernardino Ochino, generale dei cappuccini, chiamato a giustificarsi a Roma nell'estete del 1542, egli preferì lasciare l'abito monacale e fuggire a Ginevra, dove fu accolto da Calvino. Si intensificò il fenomeno delle fughe dall'Italia dei seguaci delle dottrine protestanti per sottrarsi alla persecuzione inquisitoriale. 14.9 IL CONCILIO DI TRENTO Nel dicembre 1545 si aprì a Trento il concilio indetto da Paolo Ill fin dal 1542 ma ritardato a causa della guerra. Avevano diritto di voto, oltre ai vescovi, anche i generali degli ordini mendicanti, mentre non votavano i consulenti. Carlo V suggerì di non trattare per prime le questioni teologiche ma di promuovere innovazioni sul piano morale e disciplinare, nella speranza di un compromesso con le chiese protestanti. Questa linea era condivisa da alcuni vescovi sensibili a un ripristino dello spirito evangelico, essi non erano insensibili a tematiche della Riforma. Ma queste posizioni furono sconfitte: già nella prima fase si discussero questioni teologiche e, condannando il principio della giustificazione per sola fede chiuse la forza a ogni dialogo. La decisione di sportare il concilio a Bologna (1547) a causa di un'epidemia, fu un nuovo motivo di conflitto fra il papa e Carlo V, che si aggiunse alla questione di Parma e Piacenza. Di conseguenza i lavori, a cui non parteciparono più i vescovi spagnoli, proseguirono senza risultati fino alla morte del pontefice nel 1549. Il concilio si riaprì a Trento nel 1551 sotto il nuovo papa Giulio III Del Monte ma fu nuovamente sospeso nel 1552 per la ripresa della guerra. Nel 1555 il quadrò mutò con l'elezione di Gian Pietro Carafa, Paolo IV. Egli diede alla politica del papato un orientamento antispagnolo; egli era favorevole a una dura repressione dell'eresia, per questo non riconvocò il concilio e proseguì una politica di accentramento e di rafforzamento del primato del papa, fondato sulla centralità dell’Inquisizione. Egli utilizzò il tribunale per avviare una resa dei conti con i prelati di orientamento riformatore. Paolo IV promulgò nel 1559 anche il primo Indice dei libri proibiti, nel quale fu compresa l'opera di Erasmo. La morte di Paolo IV fu accolta con gioia dalla popolazione romana, che assaltò le carceri del Sant'Uffizio e liberò i prigionieri. Il nuovo papato di Pio IV Medici fece segnare una svolta: sotto il suo pontificato poté svolgersi fra il 1562 e il 1563 l’ultima fase del concilio, che fu anche la più intensa sia per la maggiore presenza di vescovi, anche francesi e spagnoli, sia per le decisioni prese. Già nella prima fase i decreti tridentini condannarono come eretiche le dottrine delle chiese protestanti e riaffermarono il valore delle opere ai fini della salvezza e l'importanza della Scrittura come fonte di verità, riguardo la Bibbia il testo di Girolamo viene confermata come edizione ufficiale e i fedeli dovettero attenersi all'interpretazione della Chiesa; venne ribadita la dottrina sul numero, sulla natura e sulla validità dei sacramenti, riguardo l'eucarestia ammisero la transustanziazione; contro il principio del sacerdozio universale dei credenti, agli ecclesiastici fu mantenuto uno status differente, fu ribadita la teoria delle indulgenze e furono ribaditi l'esistenza del Purgatorio e della Madonna. Inoltre il concilio provvide anche a un rinnovamento morale della compagine ecclesiastica. Furono istituiti seminari per la formazione del clero furono obbligati a registrare matrimoni e battesimi per controllare l'adempimento dei precetti religiosi. Nella restaurazione della Chiesa un ruolo fondamentale fu riconosciuto ai vescovi. 14.10L'AFFERMAZIONE DELL'ASSOLUTISMO PAPALE La scelta di Trento, principato vescovile in terra italiana sotto io dominio dell'impero, volle essere un compromesso rispetto alle richieste di un concilio non sottoposto all'autorità romana. Il papa mantenne uno stretto controllo sullo svolgimento dei lavori. Uno degli ultimi decreti stabilì che tutte le decisioni prese dal concilio riguardo forma, costumi e disciplina ecclesiastica dovevano essere interpretate in modo che fosse sempre “salva la autorità della sede Apostolica” e fu creata in seguito la Congregazione del concilio> si riservò ogni decisione riguardante l’interpretazione e l'attuazione dei decreti conciliari. Alla fine del secolo il gesuita Roberto Bellarmino esprimeva con l'assetto della Chiesa. Il concilio di Trento, nonostante la storia tormentata e la sconfitta delle posizioni più aperte al rinnovamento, fu l'ultimo grande concilio della storia della Chiesa prima del Vaticano secondo (1962-1965). Il mondo cattolico ne fu profondamente segnato, tanto che si può parlare di una Chiesa post-tridentina nettamente distinta dall'età precedente. Proprio all'età del concilio tridentino si ricollegano molti dei temi che sono oggi al centro della fase di trasformazione della Chiesa di Roma apertasi nel 2013 con le dimissioni di papa Ratzinger Benedetto XVI. CAP. 15 L'ETÀ DI FILIPPO Il 15.1 CONSEGUENZE POLITICHE DELLA CONTRORIFORMA L'affermazione del primato del papa quale capo assoluto della Chiesa di Roma pose agli Stati cattolici il problema di difendere l'autonomia della Chiese nazionali e quindi le loro prerogative nell'amministrazione della vita religiosa. Per questo motivo l'accettazione dei decreti conciliari andò incontro a notevoli difficoltà. Gli stati italiani, il Portogallo, la Polonia e l'Austria pubblicarono la bolla papale che riassumeva le decisioni del concilio, ma nella Spagna la pubblicazione fu accompagnata dalla formale riserva che essa non poteva limitare il potere statale. La Francia non accettò formalmente la bolla. Ancora più eclatante fu la mancata ricezione dei decreti conciliari da parte del sacro romano impero, dove la pace di Augusta aveva privato l'imperatore di ogni potere in campo religioso. 15.2 ESPANSIONE DELLA RIFORMA PROTESTANTE Quando fu firmata la pace di Augusta, che legittimò la presenza del luteranesimo sul suolo tedesco, esso aveva già da tempo arrestato la sua espansione. L'ala marciante della Riforma divenne il calvinismo. In Germania i calvinisti si diffusero soprattutto nel Palatinato renano e nel Wurttemberg. Una notevole penetrazione del calvinismo si ebbe in Ungheria, in Polonia e il Boemia. In Scozia i seguaci di John Knox riuscirono con l'aiuto dell'Inghilterra a imporre il calvinismo, organizzato in Chiesa presbiteriana. La regina cattolica Mary Stuart, salita al trono nel 1561, fu costretta a fuggire dall'Inghilterra. 15.3 LA CHIESA ANGLICANA ASSUME UN'IMPRONTA PROTESTANTE Il distacco dell'Inghilterra dalla Chiesa di Roma era stato originato da cause politiche. Il re Enrico VIII (1509-1547) desiderava avere un erede maschio che non era in grado di dargli la moglie Caterina di Aragona; nel contempo aveva rotto l'alleanza con la Spagna aderendo nel 1528 alla lega di Cognac contro Carlo V. A questi motivi si aggiungeva la sua passione per una dama di corte, Anna Bolena. Alla sua richiesta di annullamento di matrimonio a Clemente VII che non poteva rispondere positivamente per non urtare Carlo V, cugino di Caterina. Allora Enrico VIII fece votare dal Parlamento provvedimenti che ruppero tutti i rapporti con Roma e nel 1534 l'Atto di supremazia, che lo dichiarava capo supremo in terra della Chiesa inglese. Enrico ottenne quindi da un tribunale l'annullamento del matrimonio e così poté sposarsi con Anna Bolena. Fra coloro che non accettarono l'Atto di supremazia, tra questi c'era Thomas More, mandato al patibolo nel 1535. Il distacco della Chiesa inglese da Roma fu uno scisma senza eresia; sul piano dottrinale e liturgico nulla cambiò, tanto che Enrico VIII continuò a perseguitare i protestanti. | vescovi, con a capo il primate d'Inghilterra l'arcivescovo di Canterbury, riconobbero come capo della Chiesa il re e non più il papa. Il principale cambiamento fu la soppressione dei monasteri; Enrico VIII ebbe così a disposizione un notevole patrimonio che dilapidò con partecipazioni alle guerre europee e non diedero alcun risultato. Il fatto che il re fosse anche il capo della Chiesa espose quest'ultima a cambiamenti repentini a ogni avvicendamento sul trono. A Erico successe il figlio Edoardo VI, un fanciulli di dieci anni; i protettori che governarono in suo nome aprirono la Chiea anglicana all'influenze delle dottrine protestanti. Le cose cambiarono con l'avvento al trono di Maria Tudor, la figlia di Enrico VIII e Caterina d'Aragona. Maria, che sposò nel 1554 il figlio di Carlo V, Filippo, allora principe ereditario e poi re di Spagna, si impegnò in un tentativo di restaurazione cattolica e mandò sul rogo molti di coloro che sotto il regno di Edoardo avevano appoggiato l'introduzione della Riforma, tanto da essere chiamata Maria la sanguinaria. Nel 1558 salì al trono la figlia di Enrico VIII e Anna Bolena, Elisabetta, sotto il suo regno la Chiesa anglicana trovò un assetto stabile e si legò al mondo protestante. 15.4 LA FINE DELLA LOTTA PER LA SUPREMAZIA IN EUROPA Toccò agli eredi di Francesco | e Carlo V portare a compimento la guerra per la supremazia in Europa interrotta nel 1556 dalla tregua di Vaucelles. Fu il re francese Enrico Il a prendere l'iniziativa per sostenere in Italia la svolta antispagnola impressa nella politica pontificia da Paolo IV Carafa. Ma la penisola non era più il centro del conflitto, che si risolse nei Paesi bassi dove l'esercito spagnolo, comandato da Emanuele Filiberto di Savoia, ottenne il 10 agosto 1557 a San Quintino la vittoria. Filippo Il anche con l'appoggio dell'Inghilterra non fu in grado di sfruttare il successo a causa delle difficoltà finanziarie. Anche Enrico II, che riuscì a conquistare Calais, doveva fronteggiare una situazione finanziaria pesante. La morte della moglie Maria Tudor nel novembre 1558 privò Filippo Il dell'appoggio inglese e favorì la pace di Cateau Cambresis il 3 aprile 1559. Filippo Il aveva così il pieno controllo della penisola italiana dove tutti gli Stati, tranne Venezia, erano legati alla potenza spagnola a filo doppio. A conferma dell'avvenuta separazione fra i due rami degli Asburgo, il fratello di Carlo V, Ferdinando | imperatore e re di Boemia e di Ungheria non partecipò alle trattative. A garanzia della pace vennero uniti in patrimonio Filippo Il e Isabella di Valois, figlia di Enrico Il. Il trattato di Cateau Cabresis resse a lungo perché dopo la morte di Enrico Il si aprì in Francia una profonda crisi politica e religiosa. 15.5 IL RE PRUDENTE Filippo Il era diverso dal padre. Egli aveva un senso altissimo della sua autorità e i modi austeri dell'aristocrazia castigliana. Formatosi in Spagna fece il suo apprendistato all'ombra del padre, che gli affidò precocemente responsabilità politiche. Caratteristica principale della sua personalità fu una religiosità tanto sentita quanto chiusa e intollerante. Tornato in Spagna nel 1559, decise di spostare la corte a Madrid e fece costruire nei pressi della città un imponente edificio, insieme monastero che divenne la sua residenza preferita. Da allora Filippo non si spostò più. Egli governò dal suo gabinetto di lavoro, dove esaminava le pratiche che gli passavano i suoi segretari, una mole di lavoro immensa alla quale faceva fatica a far fronte. Bisogna considerare inoltre che gli ordini giungevano a destinazione con grave ritardo quando le condizioni erano mutate. Le sue scelte politiche furono tormentate, anche a causa di scrupoli religiosi: convinto di dover rendere conto a Dio dei suoi atti, quando i problemi implicavano un caso di coscienza si consultava con i suoi confessori o con i teologi di corte. Ha pesato sulla sua figura la morte del primo figlio Carlos, che fece arrestare a causa dei vizi e dei difetti del suo carattere: il principe morì in carcere ma non fu avvelenato per volere del padre. Filippo ebbe quattro mogli e dall'ultima, la nipote Anna d'Austria, ebbe l'erede, il futuro Filippo III. 15.6 L'ACQUISIZIONE DELLA CORONA PORTOGHESE La morte del giovane re del Portogallo Sebastiano |, nel 1578, nel tentativo di portare la crociata in Africa contro i musulmani in Marocco, aprì la strada a Filippo Il per ottenere la corona portoghese. A Sebastiano successe il fratello, il vecchio cardinale Enrico. Alla sua morte nel 1580, Filippo intervenne in armi e si fece riconoscere come erede della corona degli Aviz. Così la Spagna acquisì anche il controllo dell'impero coloniale portoghese. Il Portogallo conservò la sua struttura istituzionale e le sue leggi. 15.7 LA SPAGNA IMPERIALE Benché la corona del sacro romano impero fosse passata al ramo austriaco della famiglia, la vocazione imperiale rimase in eredità a Filippo Il e ne segnò il destino, ma non fu più legata in modo universalistico dell'unità e della pace della cristianità, ma alla difesa della fede contro gli eretici e gli infedeli. Si parla di sistema imperiale spagnolo. Tuttavia Filippo, se si erse a paladino della Controriforma, mirò ad accrescere la potenza della Spagna e non esitò a scontrarsi con il pontefice per difendere le prerogative dello Stato. | territori sottoposti alla sovranità di Filippo Il conservarono le proprie distinte identità giuridiche e istituzionali. Ciò che li univa era la fedeltà alla dinastia regnante. La struttura di governo era imperniata sul sistema dei consigli. Si trattava di organi collegiali, composizione variabile, con funzioni consultive, che preparavano delle consulte in base alle quali il re prendeva le sue decisioni. Il più importante era il Consiglio di Stato, competente per la politica estera e per gli affari di maggior rilevanza. Gli altri erano competenti per materia o per territorio. Di questi organi facevano parte i letrados, funzionari di origine non nobile che avevano studiato diritto. Nei consigli competenti per territori erano presenti esponenti delle classi dirigenti locali, che avevano il compito di rappresentarne presso il governo centrale le richieste di difenderne le prerogative. Da un certo momento comunque Filippo Il affrontò molte questioni specifiche in organismi informali, le giunte, con pochi collaboratori finali. 15.8 LE FINANZE La Spagna poteva contare grazie alle miniere americane su un costante flusso di metalli preziosi, che però non coprirono più del 25% delle entrate. Per la parte restante le entrate provenivano dalle imposte dirette, dai contributi della Chiesa e da imposte su transazioni commerciali. La lentezza della riscossione rendeva indispensabile il ricorso ad anticipazioni di banchieri e finanzieri nella forma di asientos, prestiti a breve termine ad alto tasso d'interesse. Dal momento in cui salì al trono Filippo Il tutte le fonti di reddito erano già impegnate fino al 1561. Venne dichiarata la bancarotta nel 1557 che consisteva nella riconversione dei prestiti a breve in prestiti a lungo termine, gli juros, che davano un interesse minore ed erano perpetui. Le bancarotte divennero una costante della storia spagnola: 1575, 1596, 1607, 1627 e ben quattro volte fra il 1647 e il 1662. | principali finanziatori divennero i banchieri genovesi. 15.9 L'UNITÀ DELLA FEDE Era essenziale l’unità religiosa per dare coesione e solidità al sistema e insieme per legittimare la missione della dinastia che lo reggeva. Di qui il ruolo centrale che assunse nel regno di Filippo Il l'Inquisizione, unica istituzione comune a tutti i domini, che controllava anche la stampa. La scoperta nel regno di comunità protestanti a Valladolid e Siviglia diede occasione a diversi auto da fé, cerimonie pubbliche nelle quali si consegnavano gli eretici all'Inquisizione. La persecuzione si abbatté poi sui moriscos, musulmani che erano stati obbligati a convertirsi. Inizialmente furono obbligati a rinunciare alla propria lingua e costumi, poi da misure vessatorie che peggiorarono la loro condizione economica. Nel 1568 esplose una rivolta: i moriscos si rifugiarono sui monti delle Alpujarras combattendo con imboscate e attacchi ai villaggi. Infine nel 1609 tutti i moriscos furono espulsi. Non meno intransigente fu l'atteggiamento nei confronti degli ebrei convertiti, i marrani o conversi. L'Inquisizione cercò ogni indizio che potesse far sospettare una falsa conversione. Prevalse il principio per cui non contava la fede religiosa ma il sangue; misure discriminatorie colpirono chiunque non potesse dimostrare la limpieza de sangre. 15.10LEPANTO In linea con lo spirito di crociata della reconquista si poneva anche il conflitto nel Mediterraneo con la potenza ottomana. Il sultano Selim Il nel 1570 assaltò Cipro, possedimento di Venezia; nel contempo il bey di Algeri riconquistò Tunisi. Si formò allora una lega santa alla quale aderirono Venezia, il papa, l'ordine dei cavalieri di Malta, il duca di Savoia, Genova e Filippo II. Le esitazioni di quest'ultimo ritardarono la risposta cristiana, per cui nel frattempo Cipro fu presa dagli ottomani. La flotta cristiana, comandata da don Giovanni di Austria, figlio di Carlo V, il 7 ottobre 1571 riuscì a infliggere alla flotta turca una grave sconfitta a Lepanto, all'ingresso del golfo di Corinto. | suoi esiti furono inferiori alle attese perché emersero ancora una volta le divergenze fra Venezia e Filippo II. Questi mirava a combattere le azioni di pirateria nel Mediterraneo occidentale ma non intendeva impegnarsi in favore di Venezia , la quale nel 1573 firmò con gli ottomani una pace separata con la quale rinunciò a Cipro e si garantì la ripresa dei commerci con l'Oriente. Nel 1578 anche la Spagna stipulò una tregua con l'impero ottomano. 15.11LA RIVOLTA DEI PAESI BASSI Delle diciassette province dei Paesi bassi alcune appartenevano all'eredità borgognona, altre erano state acquisite da Carlo V, solo nel 1548 erano state formalmente unite, ma di fatto erano autonome: ogni provincia aveva un proprio governatore e inviava non si rassegnò e solo nel 1648 riconobbe l'indipendenza delle Province unite. Per questo la lunga lotta di queste ultime per sottrarsi al dominio spagnolo è chiamata anche la guerra degli Ottanta anni. 15.15LA FINE DELLE GUERRE DI RELIGIONE IN FRANCIA Nel 1575, morto Carlo IX, salì al trono il fratello Enrico III, ritornato dalla Polonia dove era Stato eletto re. La svolta si ebbe nel 1584 quando morì il duca d'Alencon, figlio di Enrico Il e Caterina, l'erede al trono diventava Enrico di Borbone, il capo del partito calvinista. Ebbe inizio così l'ultima fase delle guerre civili, la guerra dei tre Enrichi: Enrico III, Enrico di Guisa e Enrico di Borbone. Enrico Ill decise di liberarsi dallo strapotere della lega e attirò in un tranello il duca di Guisa facendolo assassinare (1588); quindi si alleò con Enrico di Borbone con il quale nel luglio 1589 pose l'assedio a Parigi. Il primo agosto fu però assassinato da un frate dominicano, Jacques Clement. Prima di morire indicò come successore Enrico di Borbone, che divenne re di Francia con il nome di Enrico IV. La presenza di un calvinista sul trono di Clodoveo era una novità che contrapponeva l'obbedienza al re e la fedeltà alla Chiesa. Enrico pose nuovamente l'assedio alla capitale, mentre Filippo Il interveniva alla frontiera pirenaica e in Bretagna. Ma ormai l’intransigenza della capitale non era più seguita dal paese, per cui acquisiva sempre più credito la posizione dei politiques. Enrico si poneva non come il capo di una fazione ma come il difensore di un'unità del regno contro la Spagna. La decisione di convertirsi al cattolicesimo e la successiva cerimonia della consacrazione avvenuta a Chartres nel febbraio 1594, crearono le condizioni per la fine delle guerre civili. Il 22 marzo 1594 Enrico IV entrò a Parigi e nei mesi seguenti tutte le province lo riconobbero come sovrano. L'anno seguente fu assolto e riconosciuto anche dal papa. Enrico poté respingere l'intervento militare spagnolo e stipulare nel 1598 la pace di Vervins che ribadiva le clausole del trattato di Chateau- Cambresis. Nello stesso anno il re emanò l'editto di Nantes, che pose fine alle guerre di religione; il cattolicesimo fu riconfermato religione di Stato ma i calvinisti ottennero libertà di coscienza, di culto in tutta la Francia (no Parigi) e i diritti civili; a garanzia di queste concessioni gli ugonotti si videro riconosciuto il possesso di un centinaio di piazzeforti, il che li caratterizzò come uno stato nello Stato. Tuttavia rimaneva ancora ben salda la convinzione che l'unità della fede fosse indispensabile per l'unità politica. 15.16L'INVINCIBILE ARMATA Il sostegno dato da Elisabetta ai ribelli olandesi e agli ugonotti in Francia determinò una crescente tensione con Filippo Il che le propose di rinnovare attraverso un loro matrimonio il legame fra i rispettivi regni. Elisabetta rifiutò tutti i pretendenti e si impegnò con il consolidamento interno dell'Inghilterra. Un altro motivo di contrasto con la Spagna era il tacito sostegno dato da Elisabetta alla guerra di corsa contro le navi spagnole. Nel 1587 Elisabetta decise di condannare a morte Mary Stuart. Fu questo un ulteriore motivo che indusse Filippo Il a promuovere l'attacco decisivo contro l'Inghilterra al quale da tempo pensava. Il piano prevedeva che una flotta prendesse il controllo del canale della Manica, per poi sbarcare in Inghilterra un corpo di spedizione che si stava preparando nelle Fiandre sotto la guida di Alessandro Farnese. La flotta fu dispersa da una tempesta e attaccata dalle navi inglesi, più piccole e veloci dei pesanti galeoni spagnoli. L'appunto con le truppe di Alessandro Farnese fallì e le navi spagnole furono costrette a circumnavigare le isole britanniche, andando incontro a ulteriori tempeste. 15.17IL DECLINO DELLA SPAGNA: CRISI FINANZIARIE E DIFFICOLTÀ DELL'ECONOMIA L'indipendenza delle Province unite, l'affermazione della monarchia di Enrico IV in Francia e il fallimento dei tentativi di sconfiggere l'Inghilterra resero evidente il mancato raggiungimento dei principali obbiettivi della politica estera di Filippo Il. Anche all'interno permaneva il problema del separatismo dei regni di Aragona e di Catalogna, che si facevano per opporsi alle ingenze del centralismo castigliano. Nel 1591 Filippo Il dovette usare la forza per reprimere in Aragona una rivolta guidata dalla nobiltà. Grave era anche la situazione finanziaria, come dimostra l'ennesima bancarotta del 1596. Ma soprattutto pesavano negativamente le condizioni dell'economia. L'agricoltura non era in grado di assicurare il fabbisogno di cereali, che era necessario acquistare all’estero. L'industria tessile dei pannilani e della seta conobbe un irreversibile declino. Pesavano negativamente in tal senso l'imposizione fiscale e soprattutto il debito pubblico. Negli ultimi anni del suo regno una serie di carestie e pestilenze concorse a delineare un quadro molto negativo delle condizioni della Spagna. Quando Filippo Il morì, nel settembre 1598, pochi mesi dopo aver firmato la pace di Vervins con Enrico IV, in molti ambienti castigliani appariva chiaro che la stagione della Spagna imperiale era tramontata e che occorreva cambiare rotta per preservare ciò che restava della grande potenza spagnola. CAP. 16 LA GUERRA DEI TRENT'ANNI 16.1 LE PREMESSE La pace di Augusta e l'editto di Nantes erano concepiti dalle due parti contrapposte come tregue, non come soluzioni definitive. Si era preso atto della necessità di tenere distinti gli assetti politici dalle divisioni religiose, ma restava la convinzione che non fosse possibile l'unità politica senza l’unità religiosa. Le forze cattoliche erano animate dalla volontà di riconquistare gli spazi perduti. Furono queste le premesse della guerra dei Trent'anni. 16.2 LA FRANCIA DA ENRICO IV AL CARDINALE RICHELIEU Pacificata la Francia, Enrico IV si accinse alla ricostruzione, coadiuvato dal ministro calvinista Maximilien de Béthume. Egli riordinò le finanze, riducendo la pressione fiscale e rafforzò la struttura amministrativa servendosi di commissari straordinari per limitare i poteri dei governatori; inoltre incentivò l'agricoltura e lo sviluppo delle manifatture. Enrico IV regolò definitivamente la questione della venalità delle cariche: con un editto nel 1604 gli officiers ebbero riconosciuta l’ereditarietà degli uffici che avevano acquistato con il versamento di una tassa annuale, la paulette, e il pagamento al momento della cessione o della trasmissione agli eredi di un ottavo del valore dell'ufficio. Il provvedimento diede la sanzione formale alla formazione di una nobiltà di roba o di toga. In politica estera Enrico IV intendeva riprendere la tradizionale politica di alleanze in funzione antiasburgica ma la sua opera fu interrotta da Francois Ravaillac, che lo assassinò il 14 maggio 1610. Poiché il figlio, Luigi XIII, aveva solo nove anni, la reggenza fu affidata a Maria dei Medici. La grande nobiltà si mosse per rivendicare il suo ruolo nel governo dello Stato. Furono i nobili a imporre alla reggente la convocazione degli Stati generali che si riunirono nel 1614-1615. Nel corso dei lavori il Terzo Stato si pronunciò per un rafforzamento dell'istituzione monarchica colpita dall'assassinio degli ultimi due sovrani: propose di proclamare come legge fondamentale il principio per cui il re riceve il suo potere direttamente da Dio. però la richiesta non fu approvata. Maria, che nel 1616 affidò il potere a un favorito, Concino Concini, il quale diede alla politica estera un indirizzo filospagnolo. Questa scelta era sostenuta dal partito dei devoti, esponenti del moto di vigorosa rinascita della spiritualità cattolica. A questa linea si opponevano coloro che ritenevano indispensabile proseguire la politica antiasburgica abbozzata da Enrico IV prima di morire. Quando Luigi XIII fu dichiarato maggiorenne nel 1614, decise di prendere le redini del potere sottraendosi alla condizione di isolamento e di emarginazione nella quale lo avevano tenuto la madre e il suo favorito: nel 1617 fece assassinare il Concini e confinò Maria nel castello di Blois. Si impose intanto sulla scena politica un giovane vescovo il duca di Richelieu che si era distinto durante i lavori degli Stati generali come rappresentante del clero. Egli seppe staccarsi da Maria e assunse il ruolo di mediatore nel dissidio fra il re e sua madre, guadagnandosi la fiducia del primo. Nel 1622 ebbe il cappello cardinalizio e due anni dopo entrò nel Consiglio di Stato, divenendo il principale responsabile della politica francese. Quanto a Maria nel 1630 fuggì nei Paesi bassi spagnoli e morì in esilio a Colonia nel 1642. Richelieu pose fine all'opposizione della nobiltà feudale con diverse condanne a morte e si guadagnò il sostegno delle città e dei ceti produttivi incentivando il commercio e avviando l'espansione coloniale della Francia. Egli fondò nel 1635 l'Académie francaise, che ebbe il compito di regolamentare l’uso della lingua nazionale. Richelieu proseguì l'opera di rafforzamento della monarchia già avviata da Enrico IV; si servì quindi di commissari che avevano l'incarico temporaneo di eseguire nelle province le direttive del governo centrale su specifiche questioni. Infine affrontò il problema degli ugonotti i quali sottraevano all'autorità regia, che ne risultava indebolita. Contro di loro egli promosse una nuova campagna militare che culminò nel 1628 nella presa della fortezza di La Rochelle. Luigi XIII confermò nel 1629 gli articoli dell’editto che concedevano la libertà del culto ai calvinisti, ma senza le piazzeforti erano ormai privi di una forza militare e politica di prima. A partire dal 1630 Richelieu si impegnò nel conflitto europeo per contrastare l'egemonia degli Asburgo. Per sostenere i costi di questa politica estera aggressiva fu necessario aumentare la pressione fiscale. Questo provocò una serie di rivolte che coinvolsero sia i lavoratori delle città sia il mondo rurale. Fra le rivolte contadine ricordiamo quella dei croquants che nel 1636-1637 si estese nella Francia sud-occidentale, e quella dei nu- pieds che si sollevarono in Normandia. Fu necessario inviare truppe e ingaggiare battaglie per riportare l'ordine. 16.3 LA SPAGNA DI FILIPPO III E FILIPPO IV Filippo III non fu all'altezza del padre Filippo II; con lui ebbe inizio la tendenza ad affidare l'esercizio del potere a un favorito scelto fra i membri dell'aristocrazia. Dal 1598 svolse questo ruolo il duca di Lerma. In questo contesto l'alta nobiltà riprese un ruolo centrale nell'esercizio del potere. Era necessario alla Spagna assicurarsi un periodo di pace per restaurare le finanze e superare la recessione: furono stipulate la pace con l'Inghilterra nel 1604 e una tregua di dodici anni con le Province unite nel 1609, ma il governo non seppe attuare riforme efficaci. Si decise di farla finita con i moriscos che furono espulsi nel 1609; con la loro assenza ci fu un calo demografico e questo rappresentò un ulteriore colpo all'economia spagnola. A Filippo III successe il figlio Filippo IV il quale delegò l'esercizio del potere al conte Olivares e poi duca di Sanlucar, detto il conte duca. L'Olivares si impegnò a realizzare alcune misure finanziarie ed economiche suggerite dagli arbitras. Questa politica avrebbe richiesto un periodo di pace, ma l'Olivares era anche deciso a ripristinare il ruolo imperiale della Spagna. Per affrontare questo progetto egli riteneva che fosse necessario rafforzare dal punto di vista politico-istituzionale l'unità fra i vari domini della monarchia, legando più strettamente alla Castiglia i regni di Catalogna e Aragona. Il primo passo in questa direzione fu il progetto della Union de las armas proposto a Filippo IV nel 1626: si trattava di creare una forza militare di 140.000 uomini alla quale dovevano contribuire uomini alla quale dovevano contribuire tutti gli stati della monarchia. Il progetto incontrò l'opposizione delle cortes di Aragona e Catalogna che vedevano in esso un attentato alla loro autonomia; anche il Portogallo non si mostrò inclini a concessioni verso il centralismo castigliano. 16.4 | PAESI BASSI MERIDIONALI Dopo l'assassinio di Guglielmo il taciturno nel 1548, le sette province settentrionali dei Paesi bassi, che avevano proclamato l'indipendenza nel 1581, trovarono in suo figlio Maurizio di Nassau un capo militare di grande valore. L'orgoglio spagnolo si rifiutò di riconoscere la sconfitta per cui nel 1609 fu concordata una tregua di dodici anni. Si determinò così la definitiva separazione fra i due tronconi dei Paesi bassi, che seguirono strade divergenti sul piano economico, religioso e culturale. Alle province meridionali rimaste fedeli alla Spagna, fu concessa da Madrid una certa autonomia: esse furono rette dal 1591 al 1621 dall'arciduca di Austria Alberto e da sua moglie Isabella, figlia di Filippo Il. Ma la Spagna esercitò, di fatto, su questi territori una totale egemonia. Dopo l'emigrazione delle minoranze calviniste le province meridionali si ritrovarono unite nella fede cattolica e divennero baluardo della Controriforma grazie ai gesuiti. Sul piano economico il blocco delle foci della Schelda da parte degli olandesi nel 1588 chiuse la via verso il mare al porto di Anversa, colpita dal saccheggio del 1576. Anversa, Bruges e Gand persero l'antico splendore. 16.5 LE PROVINCE UNITE Al declino delle province meridionali, coinvolte nelle guerre fra gli Asburgo e la Francia, corrisponde la rapida ascesa politica ed economica delle Province settentrionali. Esse autoconvocarono per esprimere la loro protesta, ma i loro rappresentanti non furono ricevuti da Ferdinando a Vienna. Una loro delegazione invase il 23 maggio 1618 il castello di Praga e gettò dalla finestra due dei legati imperiali con il segretario che però riuscirono a fuggire incolumi. La defenestrazione di Praga fu l'atto di inizio della guerra dei Trent'anni. La rivolta fu sostenuta dai ceti delle altre province del regno di Boemia e da quelli dell'alta e bassa Austria. Morto Mattia, il 28 agosto 1619 la Dieta elesse imperatore Ferdinando II. Pochi giorni prima gli stati di Boemia, volendo difendere la loro autonomia, avevano dichiarato decaduto Ferdinando e offerto la corona a Federico V, elettore del palatinato e capo della Unione evangelica. Divenne così inevitabile lo scontro con Ferdinando II. Dall'esito del conflitto dipendeva la composizione della Dieta elettorale: ai tre elettori cattolici si contrapponevano i tre principi protestanti di Sassonia, Brandeburgo e Palatinato; se quest'ultimo avesse avuto anche la corona boema i cattolici sarebbero stati in minoranza. Federico aveva sposato una figlia del re d'Inghilterra Giacomo | ed era imparentato con il re di Svezia. La risposta cattolica fu pronta: mentre un esercito spagnolo invadeva il Palatinato, l'esercito imperiale e quello del duca di Baviera sottomisero i territori austriaci e sconfissero gli insorti nella battaglia della Montagna bianca, presso Praga. Federico V fu costretto a fuggire nei Paesi bassi e nel 1623 fu privato del suo stato di principe elettore. Le province ribelli furono sottoposte a un processo di ricattolicizzazione. Infine nel 1627 Ferdinando cancellò l'autonomia del regno di Boemia: la corona fu resa ereditaria e le prerogative degli stati furono ridimensionate. 16.10UN'APPENDICE ITALIANA: LE GUERRE DI VALTELLINA E MONFERRATO Nel 1621 con la salita al trono di Filippo IV la Spagna scelse di schierarsi al fianco dell'Austria nell'offensiva contro i protestanti. Lo stesso anno il conte duca di Olivares decise di non rinnovare la tregua dei dodici anni con le Province unite e riprese la guerra per imporre la sovranità spagnola su quelle regioni. Assunse un atteggiamento aggressivo anche in Italia. L'occasione fu offerta dalla situazione dei cattolici della Valtellina, sottoposti alla lega dei Grigioni protestante. Con l'aiuto del governatore spagnolo di Milano i cattolici si ribellarono e, nel luglio 1620, fecero una strage dei protestanti. Quindi le truppe spagnole occuparono la valle che aveva un'importanza strategica. Si formò allora una coalizione antispagnola fra Venezia, Francia e il duca di Savoia. Alla fine il trattato di Moncon (1626) lasciò il corridoio aperto e smilitarizzato e garantì la libertà dei cattolici, ma solo nel 1639 la Spagna restituì la Valtellina ai Grigioni. Poco dopo si riaprì un altro focolaio di conflitto per la successione del Monferrato posseduto dai Gonzaga di Mantova. Già nel 1612, alla morte del duca Francesco IV di Mantova, il duca di Savoia aveva dovuto restituire il territorio ai Gonzaga. Il problema si ripropose nel 1627 quando morì Vincenzo Il Gonzaga che nominò suo successore un membro del ramo francese della famiglia, Charles Gonzaga Nervers. Poiché Mantova era dipendente dall'impero, gli Asburgo contestarono la successione, che apriva la Francia l'opportunità di rimettere un piede in Italia. AI loro lato si schierò il duca di Savoia, deciso ad ottenere il Monferrato. Le truppe francesi occuparono Susa in Piemonte mentre quelle mantovane attaccarono lo Stato di Milano. La discesa in Italia di un esercito imperiale ribaltò la situazione. Insieme alle forze imperiali, gli spagnoli occuparono Mantova, che fu costretta alla resa nel 1630 e fu saccheggiata. Nella fortezza di Casale Monferrato i francesi resistettero all'assedio degli spagnoli. La situazione di stallo sul piano militare e l'epidemia di peste indussero i contendenti a stipulare il trattato di Cherasco (1631) che pose fine alla seconda guerra del Monferrato: il duca di Gonzaga Nevers conservò Mantova e il Monferrato ma riconobbe l'alta sovranità imperiale mentre il duca di Savoia ottenne Alba e una parte del territorio monferrino ma cedette alla Francia la fortezza di Pinerolo. 16.11LA SECONDA FASE (DANESE) Con la destituzione dell'elettore palatino i rapporti nella Dieta elettorale erano sbilanciati a favore dei cattolici. Inoltre il 1625 Ferdinando Il decise di attribuire al dica di Baviera la dignità elettorale del Palatinato. La Sassonia decise quindi di chiedere aiuto al re di Danimarca Cristiano IV, luterano, che aveva il titolo di intervenire in quanto possedeva il ducato di Holstein ed era parente del re di inverno Federico V. nel 1625 egli passò il fiume Elba ma fu sconfitto dalla lega cattolica. Fu decisivo il contributo di Albrech von Wallestein, nobile boemo che si era convertito al cattolicesimo e si era posto al servizio degli Asburgo. Aveva ottenuto estesi territori confiscati ai protestanti dopo la vittoria della Montagna Bianca e aveva costituito nella Boemia settentrionale un proprio dominio, del quale fu investito come feudo ereditario dall'imperatore nel 1624 con il titolo di duca di Friedland. Wallenstein fu il più famoso di una schiera di appaltatori privati che stipulavano contratti con i sovrani. Sconfitto da Wallenstein, Cristiano vide i suoi territori invasi anche dalle truppe bavaresi quindi firmò la pace di Lubecca (7 giugno 1629). Poiché Ferdinando Il aveva impegnato parte delle sue truppe nella guerra del Monferrato, Cristiano dovette rinunciare a ogni intervento in ambito imperiale ma recuperò i territori occupati. Anche la seconda fase della guerra si concluse con una vittoria cattolica. Ferdinando Il nel 1627 sulla base della pace di Augusta, impose la restituzione dei beni secolarizzati con il passaggio alla Riforma nel 1552 e obbligò i protestanti in territorio cattolico a convertirsi. 16.12LA TERZA FASE (SVEDESE) A difesa dei protestanti e per perseguire il suo disegno egemonico su Baltico intervenne nel 1630 Gustavo Il Adolfo. Egli ottenne l'alleanza della Sassonia e dell'elettore del Brandeburgo, e fu sostenuto finanziariamente dalla Francia. Nel campo cattolico era uscito di scena Wallenstein: le proteste degli stati che dovevano subire le estorsioni delle sue truppe e il timore per la potenza del duca di Friedland avevano indotto l’imperatore a togliergli il comando dell'esercito imperiale. Gustavo Adolfo, penetrato in Pomerania, ottenne una serie di successi. Mentre un esercito sassone occupava la Boemia, egli sconfisse a Breitenfeld (17 settembre 1631) le forze imperiali e si aprì la strada verso la Germania meridionale. La Spagna inviò truppe a sostegno dell'esercito imperiale ma così si espose all'offensiva delle Province unite che ottennero importanti successi e posero sotto assedio Maastricht. Ferdinando Il fu obbligato a richiamare Wellenstein, che nominò comandante supremo con pieni poteri. Egli scacciò dalla Boemia e affrontò Gustavo Il Adolfo. Lo scontro avvenne il 17 novembre 1632 a Lutzen, presso Lipsia, e vinse la Svezia. Nella battaglia morì Gustavo Adolfo. La condotta della guerra passò nelle mani del cancelliere Alex Oxenstierna, reggente in nome della figlia di Gustavo Il Adolfo, Cristina. Il cancelliere si pose a capo di una coalizione di principi tedeschi decisi a difendere la religione protestante e la libertà della Germania. Intanto a Vienna si acuiva la diffidenza nei confronti di Wallenstein accusato di svolgere una politica ispirata da interessi privati. Ferdinando Il emise un ordine di cattura contro di lui per tradimento; Wallenstein fu assassinato il 25 febbraio 1634. Nel frattempo la guerra volse in favore degli eserciti imperiale e spagnolo, che il 6 settembre 1634 sconfissero a Nordlingen gli svedesi. La Sassonia e Brandeburgo uscirono dal conflitto con l'editto di Praga (1635) in cambio della sospensione dell'editto di restituzione. Restavano in armi sul suolo tedesco solo le truppe svedesi. Oxenstierna si accingeva anch'egli ad avviare le trattative di pace quando la Francia decise di entrare nel conflitto (maggio 1635). 16.13LA QUARTA FASE (FRANCESE) L'intervento francese mutò la natura del conflitto: non si trattava più di una guerra civile tedesca per motivi di religione, ma di una ripresa dello scontro fra Asburgo e Francia, decisa a impedire il rafforzamento della corona imperiale. Perciò Richelieu non esitò ad appoggiare i principi protestanti. AI suo fianco combatterono la Svezia e le Province unite, impegnate contro la Spagna, la quale dovette affrontare alcune crisi interne. 16.14LA RIVOLTA DELLA CATALOGNA E LA SECCESSIONE DEL PORTOGALLO La Spagna, fallito il progetto della Union de las armas, doveva fronteggiare difficoltà finanziarie, di conseguenza dovette inasprire ulteriormente la pressione fiscale. Nel 1640 il tentativo dell'Olivares di approfittare della presenza di un esercito in Catalogna per imporre alle Cortes maggiore collaborazione alla guerra provocò la rivolta dei catalani, i quali si consideravano una nazione distinta rispetto alla Castiglia e non intendevano rinunciare all'autonomia. Nel 1641 la Catalogna si pose sotto la protezione della Francia: questo aveva effetti gravi perché il regno catalano era in prima linea nella guerra con la Francia che si svolgeva nei Pirenei. Negli stessi mesi anche la nobiltà portoghese insorse e proclamò l'indipendenza del Portogallo affidando la corona al duca di Braganza con il nome di Giovanni IV. Preso atto del fallimento del progetto politico di Olivares, Filippo IV lo licenziò il 17 gennaio 1643. In seguito il governo di Madrid dovette dichiarare bancarotta nel 1647 e fronteggiare anche le rivolte di Napoli e Palermo. Solo nel 1652 le truppe Spagnole poterono rientrare a Barcellona, approfittando dei timori della nobiltà per i risvolti sociali che la rivolta stava assumendo. Quanto al Portogallo, la Spagna tentò di recuperarlo ma nel 1668 ne riconobbe l'indipendenza. polveri, ordita dai cattolici per far saltare il palazzo di Westmister durante una seduta alla quale doveva partecipare anche il re, portò a un inasprimento della legislazione contro i papisti, nonostante Giacomo fosse figlio di genitori cattolici. Però non voleva esaudire le richieste del movimento puritano, che reclamava l'abolizione dei vescovi e una riforma della Chiesa anglicana sul modello calvinista. L'ostilità del re indusse molti esponenti del dissenso religioso a lasciare l'Inghilterra. Il contrasto fra il re e il movimento puritano nasceva da considerazioni politiche più che religiose: Giacomo aveva dovuto confrontarsi con la Chiesa presbiteriana scozzese e non intendeva riprodurre la stessa situazione in Inghilterra, anzi avrebbe trapiantato il modello anglicano anche in Scozia. La trasformazione della Chiesa anglicana in Chiesa calvinista avrebbe sottratto alla monarchia una leva potente per controllare la società attraverso la gerarchia ecclesiastica, incentrata sui vescovi e attraverso la predicazione dei ministri: il controllo della Chiesa era uno dei pilastri sui quali intendeva costruire la sua politica assolutistica. Nel corso del suo regno Giacomo fu costretto a ricorrere a vari espedienti per raggirare la riluttanza del Parlamento a concedergli sussidi finanziari: ricorse a presiti forzosi, utilizzò il suo diritto di nominare nuovi Lord accrescendone il numero e nel 1611 creò il titolo di baronetto per ricavare denaro dalla sua vendita. Furono molte le proteste del Parlamento per gli sprechi e la corruzione della corte. Anche le scelte politiche non piacquero al Parlamento: Giacomo non sostenne nella prima fase della guerra dei Trent'anni il partito protestante come il Parlamento avrebbe voluto; inoltre non fu accolto favorevolmente il matrimonio dell'erede Carlo con una principessa cattolica, Enrichetta Maria, sorella del re francese Luigi XIII. 17.7 CARLOI Oltre alla corona, Carlo | ereditò dal padre l’'impopolarità e il duca di Buckingham. Carlo cercò di dissipare i sospetti circa una sua inclinazione verso il cattolicesimo dichiarando guerra alla Spagna e inviando un corpo di spedizione a sostegno degli ugonotti assediati nella fortezza di La Rochelle. Il Parlamento, convocato nel 1628, prima di votare i sussidi richiesti dal re per finanziare la guerra, approvò una petition of right nella quale ribadì che nessuna tassa poteva essere riscossa senza il suo consenso e protestò contro i prestiti forzosi, gli arresti illegali e gli alloggiamenti forzati dei soldati presso case di privati. Carlo fu costretto ad accettare la petizione. Intanto nell'ottobre La Rochelle si arrendeva all'assedio francese. Questo fallimento indebolì la posizione di Carlo, il quale, chiusa la sessione parlamentare del 1629 diede inizio a un periodo di governo in cui non riconvocò più il Parlamento. Morto nell'agosto 1628 il duca di Buckingham Carlo ebbe come suoi consiglieri il duca di Strafford e l'arcivescovo di Canterbury. Carlo si impegnò a realizzare il programma assolutistico del padre; non volendo ricorrere al Parlamento, cercò di superare le difficoltà finanziarie promuovendo una riforma dell'amministrazione, riducendo le spese e procurandosi nuove entrate. Nel contempo Carlo proseguì il disegno di realizzare l'uniformità religiosa nei suoi domini. Così l'arcivescovo di Canterbury adottò come dottrina della Chiesa l'arminianesimo ed emarginò i puritani che non si adeguarono. Si intensificò l'esodo dei puritani nel nuovo mondo che volevano la libertà religiosa e di terre da colonizzare. Poiché l'arminianesimo dava importanza alla solennità delle cerimonie religiose si diffuse il sospetto che Laud volesse restaurare il cattolicesimo. Si determinò la saldatura fra il malumore provocato dall'indirizzo dottrinale imposto e l'organizzazione della Chiesa anglicana. Gli scozzesi nel 1638 insorsero in difesa della loro Chiesa presbiteriana per cui Carlo fu costretto a riconvocare il Parlamento per chiedere le risorse finanziarie per sedare la rivolta. Riunitosi il 3 aprile 1640 il Parlamento fu sciolto dopo un mese (Short Parliament). Non avendo ottenuto prestiti dalla City di Londra, Carlo affrontò i ribelli scozzesi con forze inadeguate subì una grave sconfitta. Dovette riconvocare il Parlamento nel novembre 1640 che si sarebbe sciolto solo nel 1653 (Long Parliament). La camera dei Comuni a questo punto poté dettare, anche alla Camera dei Lord, le proprie condizioni e varò una serie di misure per sbarrare la strada al tentativo assolutistico di Carlo. L'opera del Parlamento fu sostenuta da una vasta mobilitazione popolare diretta dai capi dell'opposizione che a tal fine paventarono il pericolo di una restaurazione cattolica. Quando nel 1641 la cattolica Irlanda si ribellò, si pose il problema della guida dell'esercito che avrebbe dovuto ristabilire l'ordine. | Comuni non si fidavano de re per cui erano inclini a togliergli il comando delle forze armate. Fu questa l'occasione per lo scoppio della guerra civile. Carlo si decise a compiere un atto di forza e si recò in Parlamento con un drappello di soldati per arrestare i capi dell'opposizione accusati di tradimento, ma questi si erano rifugiati nella City che si rifiutò di consegnarli al re. Questi allora lasciò Londra, mentre i capi dell'opposizione ritornavano in Parlamento. Era l'inizio della rivoluzione. 17.8 GLI OSTACOLI AL TENTATIVO ASSOLUTISTICO DEGLI STUART Il tentativo degli Stuart di dar vita a un regime assolutistico analogo a quelli di Francia e Spagna era votato al fallimento in ragione delle caratteristiche della società inglese. Mancavano i pilastri sui quali l'assolutismo si basava: non c'era un esercito permanente, che era il principale motivo addotto dalle monarchie continentali per introdurre una tassazione stabile; il re non disponeva di un solido apparato burocratico che gli consentisse il controllo del governo locale che era gestito attraverso i giudici di pace dalla gentry; il potere legislativo del re era limitato poi dal fatto che vigeva in Inghilterra la common law; la monarchia infine non disponeva di un solido apparato finanziario. Su questo si incentrò la lotta dei Comuni, che bloccarono il tentativo assolutistico degli Stuart facendo valere il principio per cui non si riscuoteva alcuna imposta senza il loro consenso. Attraverso questo conflitto istituzionale il Parlamento venne ad assumere un ruolo nuovo fino a diventare il centro della vita politica. Ridimensionata l’importanza dei Lord, i Comuni in quanto rappresentanti del popolo si ponevano come l'espressione della volontà del Paese in contrapposizione alle politiche liberticide della corte e quindi reclamarono il diritto di esprimere l'indirizzo politico che il governo avrebbe dovuto attuare. Significativa in tal senso è la Grand Remonstrance approvata il 22 novembre 1641, nella quale i Comuni chiedevano al re di rispettare nella nomina e nella revoca dei ministri la volontà del Parlamento. 17.9 LA PRIMA FASE DELLA RIVOLUZIONE All'inizio della guerra civile il paese rimane in gran parte neutrale, in attesa di conoscere gli sviluppi degli avvenimenti. Carlo, grazie alla cavalleria formata dai gentiluomini rimasti fedeli alla corona, ottenne qualche successo sulle forza parlamentari e nel 1643 controllava tre quarti del paese. Il Parlamento poteva contare sull'aiuto finanziario della City, disponeva della flotta e nel 1643 strinse alleanza con gli scozzesi, che inviarono un'armata per sostenere la sua lotta. Il 1 luglio 1644 loesercito parlamentare ottenne a Marston Moor una prima vittoria. Si distinse nella battaglia Oliver Cromwell, un esponente della gentry di fede calvinista, comandante della cavalleria degli ironsides. | fautori del Parlamento furono chiamati roundheads a differenza dei sostenitori del re, chiamati cavalieri. Nel 1645 Cromwell organizzò l'esercito del nuovo modello che decise la guerra in favore del Parlamento riportando una grande vittoria a Naseby. Questo esercito era caratterizzato da una ferrea disciplina e da un forte spirito egualitario, per cui la selezione anche dei gradi più alti era basata sul merito. Ma risultò decisiva la fede calvinista che animava i soldati, che si sentivano “chiamati da Dio" a combattere come strumenti per il trionfo dei suoi disegni. A Carlo non rimase che prendere atto della sconfitta. Egli nel maggio 1646 decise di arrendersi agli scozzesi, che l'anno seguente consegnarono lo al Parlamento. Si chiuse così la prima fase della guerra civile. 17.10LA SPACCATURA DEL FRONTE RIVOLUZIONARIO A questo punto, poiché nessuno pensava si potesse fare a meno la monarchia, si poneva il problema di un accordo con il re che stabilisse le prerogative della corona e del Parlamento. Questo compromesso risultò impossibile per la resistenza opposta da Carlo | e a causa delle divisioni sul fronte rivoluzionario. Emersero le profonde differenze esistenti nel movimento puritano. La maggioranza in Parlamento era detenuta dai presbiteriani, calvinisti intransigenti che intendevano porre una Chiesa di Stato, alla quale tutti avrebbero dovuto conformarsi, strutturata sul modello scozzese, con la formazione di sinodi composti dai ministri del culto e da anziani laici. L'altra ala del movimento puritano, gli indipendenti o congrezionalisti, rivendicava l'autonomia delle congregazioni religiose ed era favorevole a un regime di tolleranza per le varie confessioni, salvo che per i cattolici. Queste posizioni dovevano confrontarsi con le aspirazioni a un rinnovamento religioso e politico che si erano diffuse nella popolazione durante la guerra civile. Proliferarono sette e congregazioni che si ricollegavano alle posizioni della Riforma radicale. Inoltre a partire dal 1646 un vero partito politico con una sua organizzazione, i Levelllers, radicati nelle classi lavoratrici delle città. essi non intendevano mettere in discussione la proprietà privata, e reclamavano solo misure per alleviare la miseria della popolazione. Essi perseguirono un programma politico di impronta democratica, fondato sull’affermazione della sovranità popolare come fonte di ogni diritto. Essi chiedevano una riforma elettorale che concedesse il diritto di voto a tutti i maschi adulti liberi. Sul piano religioso erano favorevoli a una completa libertà di coscienza. Chiesero anche l'abolizione della Camera dei Lord ed erano di orientamento repubblicano. Questo programma trovò consenso tra i soldati dell'esercito, tra i lavoratori delle città e tra i piccoli contadini. Si aprì così la seconda fase della rivoluzione, che vide contrapposti il Parlamento, controllato dai presbiteriani di orientamento moderato e ostili alle sette religiose; e l'esercito, nel quale trovarono seguito sia il non conformismo religioso sia il radicalismo politico dei livellatori. La maggioranza presbiteriana pensava di liquidare l'esercito non pagando le tasse arretrate o inviandolo a combattere contro i ribelli irlandesi. | soldati reagirono eleggendo degli agitatori, delegati incaricati di presentare le loro richieste ai capi militari. Inoltre l'esercito occupò Londra e si impadronì della persona del re. Cromwell si mosse con molta prudenza. Egli si rendeva conto che molti presbiteriani inclinavano ad accordarsi con il re, spaventati dal dilagare delle posizioni più radicali. Non condivideva però l'estremismo delle sette e dei livellatori, ma accettò il confronto con gli agitatori per evitare che gli sfuggisse il controllo dell'esercito. La distanza rispetto ai livellatori emerse nella riunione del Consiglio generale dell'esercito tenutasi nell'ottobre 1647 a Putney. Le posizioni democratiche dei livellatori furono esposte dal colonnello Thomas Rainborough. L'opposizione dei Grandi e di Cromwell fu espressa dal genero di questi, Henry Ireton, il quale ribadì che i diritti civili spettavano a tutti ma che solo u proprietari potevano avere il diritto di voto. Proprio mentre si chiudevano i dibattiti di Putney, Carlo riuscì a fuggire. Rifugiatosi nell'isola di Wright, si accordò con gli scozzesi, accettando il presbiterianesimo in cambio del loro sostegno. Cromwell, resosi conto che accordarsi col re era impossibile, sconfisse realisti e scozzesi nella battaglia di Preston (agosto 1648). Poiché era impossibile un accordo generale, la spaccatura tra esercito e Parlamento poteva essere risolta solo con un colpo di Stato. Il 6 dicembre 1648 il colonnello Pride arrestò 45 parlamentari e impedì l'accesso a Westminster. Ciò che restava della Camera dei Comuni dopo il Rumo Parlamient, istituì un'alta corte di giustizia che processò e condannò a morte Carlo I, che fu decapitato il 30 gennaio 1649. Poi il Parlamento abolì la Camera dei Lord e il 19 maggio proclamò la repubblica di Inghilterra, Scozia e Irlanda. 17.11LA LIQUIDAZIONE DEL MOVIMENTO LIVELLATORE La situazione politica dopo la condanna del re era tutt'altro che stabilizzata. Una parte della popolazione era fedele al re. Inoltre il figlio di Carlo | fu riconosciuto da scozzesi e irlandesi come re col nome di Carlo II. Occorreva far fronte alle radicali richieste dei settari e dei livellatori. Proprio in quei mesi alcuni gruppi di contadini occuparono alcune terre comuni e iniziarono ad ararle: i diggers o true levellers. Il loro leader, Gerard Winstanley considerava contraria ai principi del cristianesimo la proprietà privata e vagheggiava una sorta di comunismo agrario. Era un movimento pacifico, che esprimeva la speranza che il nuovo regime venisse incontro ai poveri e ai diseredati. La reazione dei proprietari stroncò sul nascere queste iniziative. Tuttavia Cromwell era consapevole della necessità di chiudere la fase rivoluzionaria e di ripristinare l'ordine per dare solide basi al regime repubblicano. Egli aveva realizzato due dei tre punti del programma livellatore: aveva abolito la monarchia e la camera dei Lord, ma non voleva promuovere la riforma elettorale. Il parlamento stabilì che in attesa di nuove elezioni il potere sarebbe stato gestito dal Consiglio di Stato controllato dai capi dell'esercito. | livellatori ripresero la loro agitazioni. Quando il loro leader, John Lilburne, denunciò le nuove catene imposte dal popolo e Cromwell lo fece arrestare. Quindi represse a Burford l'ammutinamento di alcuni reparti. John Liburne fu poi assolto dalle accuse. Le istanze democratiche ed egualitarie rifluirono nel mondo del non conformismo religioso. Si diffuse allora la setta degli uomini circa la loro inferiorità e vulnerabilità alle passioni, ma era dovuta anche alla mentalità sessuofobica. Di fronte alle confessioni di alcuni imputati di stregoneria ci si è interrogati sulla vera natura del fenomeno: molte furono estorte con la tortura, ma vi fu anche un certo numero di persone che erano convinte di possedere poteri o che sfruttavano a fini di lucro queste presunte capacità. Si determinò, però, un fenomeno di sovrapposizione fra il concetto di magia elaborato dalle classi colte e un universo di pratiche e di superstizioni radicato nel mondo popolare. La maggior parte dei processi si concentrò in un'area comprendente Francia, Svizzera e Germania, ma interessò tutta l'Europa e le colonie americane. Naturalmente è difficile avere stime attendibili dell'entità del fenomeno: all'incirca il numero di condanne fu fra 100.000 e 200.000. In generale le autorità laiche furono più propense a cedere alle pressioni delle comunità locali che collegavano a presunte attività stregonesche le calamità individuali o collettive; al contrario sia l'Inquisizione spagnola sia quella romana adottarono un atteggiamento di cautela nei confronti del fenomeno. La distinzione fra magia e superstizione era molto difficile. La Chiesa non mirava a colpire queste realtà con una dura repressione e perseguì una ricognizione dei fenomeni allo scopo di isolarli e assorbirli attraverso un'opera di disciplinamento e rieducazione. La caccia alle streghe andò esaurendosi a partire dalla fine del XVII secolo. 18.4 IL PENSIERO POLITICO Il XVII secolo fu caratterizzato sul piano politico dall'affermazione dell'assolutismo. A livello teorico questa tendenza fu espressa da Filmer, il quale ritenne il potere assoluto del monarca conforme alla natura in quanto simile all'autorità del padre sui figli, e da Bousset, i quale espose la teoria dell'origine divina della monarchia. Il contributo più importante del pensiero seicentesco è l'affermazione della scuola del diritto naturale che avrebbe dominato la riflessione politica fino agli inizi del XIX secolo. Il giusnaturalismo afferma che esiste un diritto naturale anteriore e superiore al diritto positivo. L'olandese Grozio pose le basi del diritto internazionale proprio nel diritto naturale, il quale esprime norme riconosciute valide da tutti, in quanto ciascuno può ricavarle interrogando la propria ragione. Il teorico del giusnaturalismo moderno è stato Hobbes: la sua riflessione parte dalla condizione degli uomini nello stato di natura nel quale vige la guerra di tutti contro tutti. Per questo motivo gli uomini rinunciarono alla loro indipendenza e cedono i loro diritti a un monarca assoluto che stabilisce le leggi a garanzia della sicurezza di tutti e punisce coloro che le infrangono. Lo Stato non è una società naturale come la famiglia, secondo Filmer, ma nasce da un calcolo utilitaristico degli uomini. Il passaggio dallo stato di natura alla società presuppone un accordo formato da un doppio patto: pactum societatis e pactum subjectionis. Hobbes ritenne che l'assolutismo fosse la sola forma di governo in grado di garantire la sopravvivenza: il monarca ha un potere enorme e per questo viene rappresentato come il Leviatano. Il suo assolutismo però non si fonda sulla tradizione o sull’investitura divina. Nel pensiero di Hobbes è caduto ogni presupposto teologico o astrattamente razionalistico del diritto naturale. L'inglese Locke ritenne invece che gli uomini nel contratto sociale non cedono tutti i loro diritti, ma la minore porzione possibile. A differenza di Hobbes, in Locke nello stato di natura esistono nei diritti naturali e, nel passaggio alla società, il patto sociale prevede che lo Stato debba garantire questi diritti, in caso contrario i sudditi hanno il diritto di abbatterlo. Dal giusnaturalismo lockiano deriva non un potere assoluto, ma uno Stato liberale. La sfera dei diritti individuali nella quale lo Stato non deve interferire è lo spazio nel quale si svolge l’attività economica, quindi nascono le diseguaglianze che formano la gerarchia sociale. 18.5 IL MERCANTILISMO Il termine “mercantilismo” è entrato in uso alla fine del XIX secolo per indicare l'indirizzo della politica adottata dagli stati nell'età moderna. Il nome riflette una realtà nella quale il capitale commerciale dominava la vita economica e controllava anche la produzione manifatturiera. Non è una corrente di pensiero economico perché all'epoca non si era ancora affermata una distinzione tra problemi di politica economica e problemi di ordine teorico. Caratteristica principale è la subordinazione dell'economia alla politica. Lo Stato deve intervenire nella vita economica perché lo sviluppo della ricchezza nazionale determina maggiori introiti per le finanze attraverso le imposte e una crescita delle riserve di metalli preziosi. La prosperità nazionale non era considerata tanto un fine in sé quanto un presupposto della forza politica dello Stato. La politica mercantilista si basa sulla convinzione che la moneta metallica sia la principale forma di ricchezza per una nazione. Per uno stato che non disponeva delle ricche miniere americane, la possibilità per accrescere le proprie riserve di metalli preziosi era offerta dal commercio internazionale. Per questo la politica mercantilista mirava a ostacolare l'importazione di prodotti stranieri imponendo su di essi dazi doganali, per sviluppare all'interno manifatture ancora non presenti o per sostenere quelle svantaggiate rispetto alla produzione straniera lo Stato concedeva privilegi, esenzioni fiscali e monopoli in modo che quei settori potessero svilupparsi al riparo dalla concorrenza. Erano favorite le importazioni di materie prime ma era più vantaggioso ricavarle dai propri possedimenti, per questo tutti i maggiori Stati europei si lanciarono alla conquista di territori coloniali che rappresentavano anche un mercato sicuro per la produzione nazionale. Vigeva infatti il principio dell'esclusiva, per cui il commercio delle colonie doveva avvenire solo con la madrepatria e in linea di principio su navi nazionali. Il mercantilismo si fondava su una concezione conflittuale dei rapporti economici. In un secolo come il XVII di stasi demografica ed economica si riteneva che la ricchezza fosse una quantità data; era inevitabile perciò che sviluppasse fra gli Stati una lotta con ogni mezzi per accaparrarsene una fetta maggiore. Le politiche mercantilistiche, ritenendo che la popolazione fosse una risorsa, favorivano l'incremento demografico. Esse si sforzarono anche di rimuovere gli ostacoli al libero commercio entro i confini nazionali e, promuovendo il miglioramento della rete stradale e la costruzione di canali e lo sviluppo dei porti. 18.6 L'ESPANSIONE EUROPEA Nel Seicento l'Europa pose le premesse del predominio che avrebbe conquistato a livello mondiale nei secoli successivi. Questa espansione vide protagoniste Francia e Inghilterra, desiderose di scalzare Portogallo e Spagna dalla posizione di vantaggio acquisita. Fu innanzitutto cercata una via per le Indie alternative alla circumnavigazione dell'Africa. Gli inglesi nel 1533 fondarono la Compagnia dei mercanti di Londra, o Compagnia di Moscovia, con l'intento di trovare il passaggio verso l'Asia a Nord-Est, al di là della Scandinavia e del Mar Bianco. Alla fine del XVI secolo l'impresa fu tentata anche dall'olandese Barents. Furono fatti molti tentativi da inglesi e francesi, quando fu chiaro che i ghiacci rendevano impraticabili queste rotte, le spedizioni ripiegarono su obbiettivi più limitati: da un lato l'apertura di una via commerciale con il porto di Arcangelo, dall'altro la colonizzazione dell'America settentrionale. 18.7 IL COLONIALISMO OLANDESE Le Province unite tentarono di inserirsi nel commercio delle spezie cercando di rompere il monopolio che voleva il Portogallo. Le prime Compagnie gestirono i commerci in Oriente riunendo mercanti che operavano indipendentemente o si associavano per una singola Spedizione. Si pose l'esigenza di coordinare queste imprese: nacque così nel 1602, la Compagnia delle Indie orientali. Questa Compagnia ricevette il monopolio dei commerci al di là del capo di Buona Speranza, con il potere di fare guerra e contrarre alleanze, di fondare colonie e costruire piazzeforti. Essa divenne una società per azioni, il cui capitale sociale era diviso in quote che ognuno poteva acquistare partecipando poi agli utili in produzione al denaro investito. La Compagnia olandese promosse azioni militari contro i possedimenti del Portogallo, anche dopo il 1640 quando questo si rese indipendente dalla Spagna, però non colonizzarono i territori, salvo per Capo di Buona Speranza, fondata nel 1652. Alla fine del XVII secolo il Portogallo conservava solo Macao, nei pressi di Canton in Cina. Il centro amministrativo e commerciale della Compagnia fu stabilito in una città fondata nell'isola di Giava nel 1619, chiamata Batavia. Furono i navigatori olandesi che toccarono per la prima volta l'Australia nel 1606 e scoprirono la Nuova Zelanda nel 1642. Poiché non diffondevano la fede cristiana gli olandesi riuscirono anche a sostituire i portoghesi nelle relazioni commerciali con il Giappone. Nel 1621, allo scadere della tregua dei 12 anni, le Province unite crearono la Compagnia delle indie occidentali con l'obbiettivo di fare guerra all'impero spagnolo. Essa ricevette il monopolio commerciale nello spazio compreso fra la costa occidentale africana e la Nuova Guinea, ma non poteva promuovere azioni militari senza l'approvazione degli Stati generali. Ai territori dell'impero spagnolo conquistati nella prima metà del XVI secolo si aggiunsero le Filippine , costituite in colonia nel 1583 con capitale Manila, che divennero una base commerciale grazie alla posizione strategica sulla rotta tra America spagnola e Asia. L'impero spagnolo riuscì a resistere agli attacchi dimostrando di avere un impianto solido grazie a: -lo sviluppo di una popolazione meticcia; -ispanizzazione degli indigeni in virtù della loro conversione al cristianesimo. Però il commercio di contrabbando e la guerra di corsa inflissero danni. Era. Nel 1580 anche l'impero coloniale fu attaccato dagli olandesi, i quali occuparono la capitale dell'Angola e la fortezza di Sao Jorge da Mina, centro del traffico degli schiavi. La colonizzazione del Brasile era stata più lenta per la mancanza di ricchezze; i portoghesi la promossero per prevenire stanziamenti da parte delle potenze rivali e svilupparono piantagioni di canna da zucchero e tabacco. Gli olandesi si proposero la conquista del Brasile e a partire dal 1630 riuscirono a occupare la regione a Nord del rio delle Amazzoni. Il Portogallo riuscì, dopo l'indipendenza dalla Spagna, a riprendersi i possedimenti e a scacciare nel 1654 gli olandesi. L'importanza di questo possedimento si accrebbe quando alla fine del XVII secolo i portoghesi scoprirono giacimenti di diamanti e oro. Gli olandesi parteciparono anche all'espansione nell'America settentrionale dove crearono lungo la valle del fiume Hudson la colonia della Nuova Olanda e fondarono la citta di Nieuw Amesterdam. L'insediamento fu attaccato dagli inglesi che nel 1664 ribattezzarono la città New York in onore del fratello di re Carlo II, Giacomo duca di York. Restavano agli olandesi solo la Guyana e l'isola di Curacao nelle Antille. Gli scarsi risultati e la cattiva organizzazione portarono allo scioglimento della Compagnia delle Indie occidentali nel 1674. 18.8 IL COLONIALISMO INGLESE La Compagnia inglese delle Indie orientali sorse nel 1600 sotto il regno di Elisabetta. Anche gli inglesi si posero l'obbiettivo di strappare al Portogallo una parte dei commerci delle spezie, ma dovettero scontrarsi con gli olandesi: in un'isola delle Molucche nel 1623 il governatore olandese fece decapitare un agente della compagnia inglese. Gli inglesi allora si impegnarono a stabilire relazioni commerciali con l'impero persiano e Moghul. Importante fu l'azione congiunta dei persiani che nel 1622 con l'isola di Hormuz aprirono la possibilità di espandere i commerci verso il Mar Rosso e il golfo Persico. La Compagnia, divenuta nel 1657 una società per azioni permanente, stabilì anche alcune basi in India, così riuscì a diversificare il suo commercio dando spazio a prodotti destinati ad avere spazio nei mercati europei e a ridimensionare l'importanza delle spezie del ruolo del Portogallo. Gli inglesi tentarono anche di dar vita a un commercio interasiatico ma ancora nel XVIII secolo dovevano pagare Spagna praticando il contrabbando e la guerra di corsa. La vera e propria colonizzazione si rivolse verso l'America settentrionale. Nel 1584 Walter Raleigh, il favorito di Elisabetta, risalì la costa della Florida fino alla Carolina del Nord chiamando questa regione Virginia, in onore della regina. | primi insediamenti stabili si ebbero sotto i regni di Giacomo | e Carlo I. Queste colonie ebbero origini molto diverse. Fin dall'inizio della colonizzazione inglese si differenziò da quella spagnola: i coloni aspiravano al possesso della terra, crearono infatti in Virginia grandi piantagioni di tabacco, lavorando da schiavi dell'Africa; essi non si mischiavano con la popolazione, infatti il fenomeno del meticciato fu trascurabile; l'emigrazione fu favorita dai contratti di servitù che garantivano il viaggio in cambio dell'impegno a lavorare per alcuni anni. 18.9 IL COLONIALISMO FRANCESE | primi insediamenti permanenti in America settentrionale, nell'attuale Canada, si ebbero sotto il regno di Enrico IV, con la fondazione di Québec (1608). Nel 1627 Richelieu sostenne la nascita della Compagnia dei Cento Associati o della Nuova Francia che aveva il monopolio del commercio delle pellicce. La colonizzazione si sviluppò lentamente anche per i difficili rapporti con alcune popolazioni indigene. Nei territori della Nuova Francia, Richelieu impose che tutti i coloni dovessero essere cattolici, per cui i protestanti dovettero convertirsi o partire; inoltre promosse l'occupazione nel 1635 delle isole dei Caraibi Guadalupa e Martinica e nel 1637 della Guyana francese. Importante è Giovanni dalle Bande nere. Lascio in vita i Consigli dei Duecento e del Quarantotto, nei quali sedevano le famiglie dell'oligarchia fiorentina, creati in sostituzione delle magistrature dell'età comunale, ma sovrapponendo a essi un apparato burocratico aperto a funzionari che dipendevano direttamente da lui. Dal 1547 mise in funzione la Pratica segreta, un Consiglio privato in cui si riunivano i principali ministri; egli si riservò il potere di fare le leggi e le decisioni più importanti. Cosimo riuscì ad annettere nel 1557 la repubblica di Siena. La sua opera fu proseguita dai figli Francesco | e Ferdinando I, che promosse la nascita e lo sviluppo del porto di Livorno. L'economia fu caratterizzata dalla crisi delle manifatture cittadine e dall'immobilismo dell'agricoltura; nelle campagne infatti prevaleva il contratto della mezzadria che non incentivava i miglioramenti nelle colture. Il tradizionale legame con la Santa sede guidò la politica dei successori di Ferdinando 1, che diedero un'impronta sempre più chiusa e conservatrice alla vita del granducato. Nel caso toscano si vedono i limiti dello Stato cittadino di derivazione comunale: non si arrivò alla formazione di un territorio sottoposto in modo uniforme alla sovranità del principe in quanto lo “Stato vecchio” (Firenze) rimase distinto dallo “Stato nuovo" (Siena), che conservò le sue leggi e le sue istituzioni. 19.7 LA REPUBBLICA DI GENOVA La repubblica di Genova dopo il passaggio di campo di Andrea Doria nel 1528 era sotto il protettorato della Spagna sia per la funzione centrale che aveva il porto sia perché i banchieri genovesi erano diventati i principali finanziatori della monarchia spagnola. L'assetto istituzionale dato alla repubblica nel 1528 non riuscì a comporre la conflittualità tra i nobili vecchi e nobili nuovi, che esplose in una guerra civile nel 1575 in una guerra civile, superata grazie all'intervento dei rappresentanti della Spagna e del papa che favorirono un nuovo accordo istituzionale. Le leges novae del 1576 modificarono le regole attraverso le quali si selezionavano le principali cariche della repubblica: si diede minore Spazio all'estrazione a sorte e si favorì la cooptazione, che consentiva alle famiglie più influenti di avere il controllo delle nomine. Nel corso del Cinquecento, con la crisi delle attività manifatturiere, la ricchezza mobiliare divenne la principale componente dei patrimoni del patriziato e dell'economia cittadina. | prestiti a breve termine e ad alto interesse, le speculazioni sulle operazioni di cambio e la gestione del debito pubblico consentirono alla finanza genovese di dominare il mercato del credito e di accumulare grandi fortune. È importante il ruolo del Banco di San Giorgio: la repubblica affidava al Banco la gestione del debito pubblico, cedendogli come garanzia le entrate delle principali gabelle e perfino l'amministrazione di alcuni possedimenti territoriali. Basandosi su questo patrimonio, il Banco emetteva quote del debito pubblico, che davano un interesse. Esso solo formalmente era un istituto privato separato dalla repubblica, in quanto era amministrato dalle stesse famiglie che avevano il controllo delle istituzioni cittadine. Erano due facce di un unico sistema di potere, infatti il Banco finanziava la repubblica quanto questa ne faceva richiesta. Il patriziato genovese privatizzò le entrate pubbliche mettendole in una cassaforte, il Banco, al riparo dalle vicende politiche. Le bancarotte della Spagna imposero nel corso del XVII secolo una riconversione della politica finanziaria, e indussero molte famiglie a privilegiare gli investimenti fondiari. Luigi XIV, deciso a rompere il legame tra Genova e la Spagna, nel maggio 1684 inviò una flotta bombardò la città. il doge e 4 senatori furono costretti a recarsi a Versailles per scusarsi con il re di Francia. Da questo momento Genova mantenne la neutralità. 19.8 LO STATO DELLA CHIESA La crisi religiosa del Cinquecento ha portato a un rafforzamento del centralismo romano, per cui il papa si affermò come il monarca assoluto del mondo cattolico. | papi erano anche sovrani di uno Stato temporale, quindi si impegnarono nella costituzione di un apparato burocratico centralizzato. Questo processo assunse caratteristiche particolari a causa del duplice ruolo del papato, per il quale si creava una costante commistione fra gli aspetti politici e spirituali. Tutta l'amministrazione era guidata da ecclesiastici, che fornirono anche i quadri della diplomazia. Il Concistoro fu privato dei suoi poteri e suddiviso in una serie di congregazioni che furono la riorganizzazione di Sisto V nel 1587, quindici. Nelle congregazioni i cardinali istituivano le pratiche relative all'amministrazione dello Stato temporale o al governo della Chiesa come comunità internazionale dei fedeli. A cardinali “legati” fu affidato anche il governo della legazioni di Bologna e di Ferrara, che rimasero separate amministrativamente dal resto dello Stato. Dopo la creazione del ducato di Parma e Piacenza da parte di Paolo III per il figlio Luigi non vi furono altri casi di grande nepotismo. Però continuavano a verificarsi casi di piccolo nepotismo, il quale caratterizzò a lungo la storia dello Stato nell'età moderna fino a quando si affermò la prassi di nominare un cardinale segretario di Stato. Nel Seicento Roma subì una trasformazione urbanistica che ne fece la splendida capitale della cattolicità, meta di visite e pellegrinaggi. Grande scalpore suscitò la conversione al cattolicesimo della regina Cristina di Svezia, la figlia di Gustavo Il Adolfo, che lasciò la corona per traferirsi a Roma dove animò un circolo culturale. 19.9 L'OPERA MISSIONARIA DELLA CHIESA CATTOLICA L'inizio dell'opera missionaria della Chiesa cattolica si può ricondurre al 1523 quando 12 francescani spagnoli furono inviati a evangelizzare i popoli dei territori conquistati da Cortés. Ben presto si prese coscienza delle enormi difficoltà poste dalle relazioni con gli indios. La croce si presentò insieme alla spada dei conquistadores, quindi essa veniva associata dalle violenze. Inoltre i battesimi collettivi erano conversioni di facciata, dietro le quali persistevano gli antichi culti, infatti di questo problema dovette occuparsi l'Inquisizione. Si comprese quindi che per conquistare il cuore dei nuovi cristiani occorrevano studio, preparazione e continuità nel tempo. Protagonisti di questa svolta furono i gesuiti, i quali si impegnarono a portare il Vangelo presso i popoli più lontani, mostrando una grande capacità di entrare in mondo culturali nuovi e sconosciuti. Nacque allora il moderno concetto di missione, che portò nella seconda metà del Cinquecento alla nascita a Roma di collegi e università per la formazione dei missionari nello studio delle lingue e delle civiltà dei popoli non europei. Questo portò all'istituzione nel 1622 della Congregazione cardinalizia De propaganda fide, che aveva il compito di dirigere dal centro l'attività missionaria dei vari ordini religiosi. 19.10LA VITA RELIGIOSA L'iniziativa missionaria della Chiesa si rivolse anche alle classi popolari, nei cui confronti fu messa in atto un'attività di insegnamento e acculturazione per omologare credenze e comportamenti ai principi tridentini. Furono organizzate nelle zone rurali delle vere missioni popolari che regolarono e assorbirono quelle superstizioni e antichi riti pagani che improntavano la religiosità delle masse. Si trattò di un indottrinamento di intere comunità, che fece leva sugli effetti di processioni e riti collettivi per coinvolgere emotivamente i fedeli. Il divieto dei volgarizzamenti della Bibbia impedì alla popolazione italiana una conoscenza diretta della parola di Dio; la devozione popolare si espresse nella ripetizione di preghiere e formule in una lingua sconosciuta. 19.11LA REPUBBLICA DI VENEZIA La crisi seguita alla sconfitta di Agnadello (1509) e la perdita di Cipro (1571) avevano indotto la repubblica di Venezia a un atteggiamento di difesa dei suoi possedimenti in Terraferma e nello “Stato de mar”, che la portò a rimanere neutrale nei conflitti internazionali. Nel corso del Cinquecento fra le magistrature veneziane si accrebbe il potere del Consiglio dei Dieci, che si impose ai danni del Senato come il vero responsabile della guida politica dello Stato; a questa corrisponde un restringersi del potere effettivo in un gruppo di famiglie ricche: si fermò un’oligarchia nell'oligarchia, che dal 1539 dispose, con la creazione della magistratura dei tre Inquisitori di Stato, di uno strumento di controllo del patriziato e della vita cittadina. Questa tendenza fu osteggiata nel Maggior Consiglio dal gruppo dei “giovani”, quei patrizi che si batterono per un ritorno alle caratteristiche originarie della costituzione, quindi per un ripristino dei poteri del Senato e necessitavano di una politica estera più risoluta nei confronti della Spagna e di Roma. Ai “giovani” si opponevano i “vecchi”, convinti che fosse inevitabile mantenere un atteggiamento prudente, in quanto la repubblica non aveva più la forza politica e finanziaria di prima. La prima occasione per mettere in atto il programma dei “giovani” fu il conflitto con la Santa sede in seguito all'arresto nel 1605 di due preti colpevoli di reati comuni. Roma chiese che fossero giudicati nel foro ecclesiastico, quando la repubblica rifiutò il papa Paolo V Borghese lanciò contro lo Stato veneziano l’interdetto. Venezia respinse l'interdetto ed espulse i gesuiti. La crisi dell'interdetto si aggiungeva a un contenzioso fra la repubblica e Roma, che contestava la legislazione veneziana sulla proprietà ecclesiastica. Lo scontro diede vita a una polemica che divampò per mesi con la pubblicazione di numerosi scritti a sostegno delle due posizioni. La polemica ebbe anche un ampio risalto europeo. Alla fine la vertenza fu risolta da una mediazione congiunta della Francia e della Spagna: l'interdetto fu cancellato e i due preti trasportati a Roma, inoltre gli ordini religiosi che avevano abbandonato la repubblica poterono a rientrare a eccezione dei gesuiti. Venezia si impegnò poco dopo nella guerra di Gradisca (1615- 1617)con la quale obbligò gli Asburgo a non sostenere più gli uscocchi, pirati slavi. Però era ormai evidente che il rilancio della politica dei “giovani” era impossibile. Nei patrimoni dei patrizi la parte investita nella marina e nel commercio ormai era diminuita a favore delle proprietà fondiarie in Terraferma. Nel Seicento parte delle forza finanziarie e militari di Venezia furono impegnate nella difesa dei suoi possedimenti in Oriente. Fra il 1645 e il 1669 la repubblica dovette affrontare una guerra con l'impero ottomano a difesa dell'isola di Candia. In questa occasione le porte del patriziato furono aperte a più di cento famiglie della Terraferma che, in cambio di un sostegno finanziario, furono ascritte nel libro d'oro della nobiltà. Però alla fine la repubblica dovette abbandonare Candia. 19.121 DOMINI DIRETTI DELLA SPAGNA La Spagna governò con moderazione, rispettando le tradizioni e gli assetti istituzionali dei vari territori e, una volta garantita l’autorità politica e giurisdizionale del monarca e il suo diritto di prelevare le imposte, cercò una mediazione fra i propri interessi e le élite locali, associate alla gestione del potere. Il sovrano era coadiuvato a Madrid dal Consiglio d'Italia, istituito nel 1555. | rappresentanti del sovrano, il governatore di Milano e i viceré nei tre regni dovevano tenere conto del parere degli organi che erano espressione delle classi dirigenti italiane. Nel ducato di Milano questo ruolo fu esercitato dal Senato, supremo tribunale civile e penale, che aveva anche la funzione di registrare gli atti del governatore e del re. La maggior parte dei suoi Membri erano laureati in giurisprudenza appartenenti al patriziato. L'amministrazione spagnola lasciò ai patrizi il controllo delle istituzioni locali, ma intervenne a limitare il predominio delle città sui contadi favorendo una distribuzione del carico fiscale più equa, che veniva ripartito e riscosso tutelando i contadini. Nel regno di Napoli il gruppo sociale più importante era la nobiltà: -la nobiltà feudale dominava nelle province, dove la maggior parte delle città era sottoposta alla sua autorità. Essa esercitava sui suoi feudi la giurisdizione civile e criminale e disponeva di potere economico e sociale sui contadini; inoltre controllava il Parlamento, organo che approvava i sussidi richiesti dal sovrano. -la nobiltà di seggio o maggiore, che controllava l'amministrazione di Napoli, formata da sei sedili, dei quali cinque erano espressione delle famiglie nobili e il sesto del popolo. La sproporzione tra la capitale e le province determinava un'anomala distribuzione delle risorse. Napoli aveva una tale importanza da condizionare tutte le scelte del governo Spagnolo: la città era esentata da buona parte dell'imposizione diretta e si oppose a tutti i tentativi della Spagna di modificare privilegi e consuetudini di cui godeva. Un rivolta della capitale del 1547 impedì che si stabilisse l'Inquisizione. L'altro potere forte del Meridione era la Chiesa, le cui proprietà erano superiori dell’aristocrazia. Una componente caratteristica della società napoletana era il ceto dei “togati”: laureati in giurisprudenza di estrazione non aristocratica provenienti dalla professione forense. A Napoli essi furono i principali collaboratori spagnoli: controllavano le più importanti magistrature e sedevano nel Consiglio collaterale. Il governo spagnolo riuscì a spezzare il potere politico della nobiltà, ponendo fine al suo spirito di ribellione nei confronti del potere regio, ma in cambio alla fedeltà alla corona spagnola finì col riconoscere si baroni il predominio all’interno dei loro feudi. Anche in Sicilia e Sardegna esistevano dei Parlamenti divisi in tre bracci che votavano i donativi richiesti dal sovrano ed erano egemonizzati dall'aristocrazia. Geloso della sua autonomia e dei suoi privilegi era il forte baronaggio siciliano, che considerava la Sicilia legata alla Spagna da un legame di tipo contrattuale.
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