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Riassunto storia moderna dalla guerra dei trent'anni al Congresso di Vienna, Schemi e mappe concettuali di Storia Moderna

riassunto dei temi principali affrontati dal libro : "Storia Moderna 1492-1848" di Carlo Capra

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2018/2019

Caricato il 08/01/2019

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lorenzo_puglielli 🇮🇹

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Scarica Riassunto storia moderna dalla guerra dei trent'anni al Congresso di Vienna e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! Nei primi anni del Seicento abbiamo un incremento demografico. A metà Seicento si inverte la tendenza all’aumento dei prezzi che aveva caratterizzato il Cinquecento. Per quanto riguarda l’industria e il commercio abbiamo la crisi delle manifatture tessili e la diminuzione del numero di navi che transitavano nel mare del Nord. La redistribuzione delle risorse era a vantaggio dei Paesi affacciati sull’Atlantico a danno dell’Europa mediterranea e dell’area germanica. PROSPERITA’ DELL’OLANDA Nel corso del XVII secolo l’Olanda, con la società delle Provincie Unite, era protagonista di uno sviluppo economico che ne fece la potenza marittima e commerciale più potente d’Europa. La flotta mercantile olandese superava, a metà Seicento, sia quella spagnola che quella inglese che quella francese così gli olandesi divennero i “carrettieri del mare”: padroni dei trasporti per via d’acqua. Approfittando dello stato di guerra con la monarchia spagnola essi si impadronirono di alcuni possedimenti in Asia e in Africa come: l’isola di Giava e delle Molucche, territori del Sud Africa. Protagoniste di questa espansione furono due compagnie: Compagnia delle Indie Orientali e la Compagnia delle Indie Occidentali. Nelle Provincie Unite ci fu un’importante libertà religiosa nonostante esse erano ufficialmente calviniste ospitavano forti minoranze di cattolici, anabattisti e di ebrei. LA MONARCHIA FRANCESE DA ENRICO IV A RICHELIEU LA SPAGNA DA FILIPPO III AL DUCA DI OLIVARES Con Filippo III, successore di Filippo II, si inaugura in Spagna l’era dei privados, favoriti onnipotenti a cui i sovrani delegano tutti i poteri di decisione e di comando. Il favorito di Filippo III era il duca di Lerma. Egli pose fine alle guerre in corso, stipulando la pace con l’Inghilterra e la tregua dei Dodici anni con le Provincie Unite. Ma nel 1609 decise di espellere dalla penisola i moriscos, sudditi di origine araba convertiti al cristianesimo che in varie regioni costituivano un’indispensabile manodopera specializzata per l’agricoltura e per l’industria. Questa manovra aggravò l’economia della monarchia. Con l’avvento del nuovo sovrano Filippo IV, si affermò l’onnipotenza del duca di Olivares. A differenza di Lerma era convinto che bisognava introdurre profondi mutamenti nelle strutture economiche e politiche della monarchia. Egli non era indifferente alla potenza e all’espansione dell’Olanda così da non rinnovare la pace dei Dodici anni con le Provincie Unite e appoggiò militarmente la controffensiva degli Asburgo di Vienna contro i boemi. Nel 1626 presentò al re un progetto noto come Union de las armas (unione delle armi), che assegnava ad ogni provincia un contingente di soldati da reclutare ed equipaggiare a proprie spese. Tra il 1627 e il 1628 la corona spagnola era occupata su diversi fronti militari contro Olanda, protestanti tedeschi e in Italia. La cattura da parte degli olandesi di una nave con a bordo argento americano portò ad un tracollo delle finanze spagnole, mentre l’Union de las armas incontrava forte opposizioni. Negli anni seguenti si avviò il declino della monarchia spagnola. LE PRIME FASI DELLA GUERRA DEI TRENT’ANNI 1618-1629 L’INGHILTERRA SOTTO LA DINASTIA STUART Giacomo I Stuart era già re di Scozia quando succedette al trono inglese alla regina Elisabetta; l’unione nella stessa persona delle due corone non comportò la fusione dei due Paesi sotto il profilo politico e amministrativo. Nel corso dei primi decenni del XVII secolo il puritanesimo si venne diffondendo sempre più tra la gentry e tra i ceti mercantili e artigiani delle città. Non pochi furono coloro che decisero di emigrare nell’America settentrionale: tra questi i cosiddetti padri pellegrini che il nel 1620 a bordo della nave Mayflowers attraversarono l’oceano e andarono a fondare la colonia del Massachusetts. I costi della guerra con Spagna avevano creato una difficile situazione finanziaria. Al centro del problema era l’insufficienza delle entrate a fronte di spese in continuo aumento anche per effetto della tendenza al rialzo dei prezzi. Tra il 1620 e il 1650 l’incremento demografico, che aveva caratterizzato gli anni precedenti, non fu più accompagnato da un parallelo sviluppo delle attività produttive: l’esportazione dei pannilani, pilastro del commercio inglese con l’estero, si dimezzò nel giro di pochi anni anche a causa dello scoppio della guerra dei trent’anni. I parlamenti convocati da Giacomo I si rifiutarono si soddisfare le richieste finanziarie avanzate dalla corona e denunciarono i fenomeni di corruzione e gli sprechi presenti nella corte e nel governo. Il problema finanziario diventa così un problema politico. Il circolo vizioso in cui esso si dibatteva consisteva nella mancanza degli strumenti necessari per imporre ai sudditi un aumento della pressione fiscale e mancanza di denaro. Il regno di Carlo I e lo scontro tra corona e Parlamento Il successore di Giacomo I, Carlo I, si vide negare dal Parlamento la tradizionale concessione vitalizia della facoltà di riscuotere i dazi doganali. Carlo per riprendere consensi e il sostegno dei puritani dichiarò guerra alla Spagna. Il disastroso fallimento di questa operazione militare convinse ancora di più il Parlamento a non fidarsi del Re e del suo preferito, il Duca di Buckingham. Nell’Agosto del 1628 il Duca venne assassinato e il Re decise di sciogliere il Parlamento. William Laud voleva riorganizzare la Chiesa di Inghilterra secondo linee gerarchiche e autoritarie. Erano rimesse in onore pratiche di devozione e forme liturgiche proprie della Chiesa Cattolica, erano perseguitati dai tribunali ecclesiastici i predicatori puritani. Alla fine degli anni Trenta poteva sembrare che anche l’Inghilterra degli Stuart così come la Francia di Richelieu e la Spagna di Olivares si avviasse verso un regime di tipo assolutistico. Proprio le novità religiose imposte da Laud suscitarono in Scozia una rivolta nel 1638. Falliti i tentativi di conciliazione, Carlo I si decise nell’Aprile del 1640 a convocare un nuovo Parlamento per ottenere i mezzi necessari a condurre la guerra contro gli scozzesi. Il Parlamento riunito nell’Aprile del 1640 fu detto “Breve Parlamento” perché Carlo I lo sciolse dopo poche settimane. L’esercito messo insieme dal monarca e dal Conte di Strattford fu messo in rotta dagli scozzesi. In questa situazione Carlo I convocò nuovamente la rappresentanza del Regno. Il Parlamento che si aprì a Westminster il 3 novembre 1640 è passato alla storia come il “Lungo Parlamento” perché rimase in carica fino al 1953. Nella Camera dei Comune erano in netta maggioranza gli avversari della politica assolutistica del sovrano. I Comuni seppero intimidire e trascinare la Camera dei Lord e procedettero in pochi mesi a smantellare tutti i capisaldi del potere regio: Strattford e Laud vennero accusati di tradimento e imprigionati. Furono soppressi i tribunali sottoposti all’influenza diretta del monarca. La Guerra Civile. Cromwell e la vittoria del Parlamento La guerra civile vera e propria ebbe inizio nell’estate del 1642 e sembrò in un primo tempo volgere a favore del re. Il protrarsi delle ostilità doveva far pendere la bilancia dalla parte del Parlamento oltreché sull’alleanza con gli scozzesi sancita nel 1643. Il primo successo venne ottenuto nel 1644 grazie al valore dei 6. Sviluppo della marina mercantile e da guerra e potenziamento delle infrastrutture atte ad agevolare la circolazione degli uomini e delle merci: strade, canali, porti, servizi postali. L’attività di Colbert non registrò nell’immediato apprezzabili successi a causa della precoce morte dello stesso controllore delle finanze. Va osservato che molte delle iniziative di Colbert avrebbero fruttato, a distanza di tempo, nel più favorevole clima politico ed economico del regno di Luigi XV. La direzione delle coscienze Il regno di Luigi XIV è caratterizzato in ogni campo dallo sforzo di dettare regole valide per tutti, di imporre l’ordine e l’uniformità. Luigi XIV, in ambito religioso, si trovò ad affrontare tre ordini di problemi: 1. La diffusione in alcuni ambienti della capitale della corrente giansenista 2. I contrasti con Roma 3. La questione ugonotta I giansenisti ponevano l’accento sull’interiorità della fede e svalutavano l’apparato delle devozioni esteriori tipico del cattolicesimo postridentino. Dal punto di vista dottrinale seguivano sant’Agostino e sostenevano l’importanza fondamentale della grazia, per la salvezza ultraterrena. Roccaforte del movimento era diventato il monastero di Port-Royal. La condanna definitiva di tale movimento da parte della Santa Sede fu pronunciata solo nel 1711 con la bolla Unigenitus. Nel frattempo, si era largamente diffuso trasformandosi in un movimento di opposizione al centralismo papale e di rivendicazione dell’autonomia e fonte di preoccupazione per lo stesso potere monarchico. La gloria militare: le guerre di Luigi XIV Ingenti somme furono spese dagli ambasciatori e dagli agenti del Re Sole per assicurarsi l’alleanza dei principi tedeschi, degli Stati baltici e dello stesso Re d’Inghilterra Carlo II. Più massicce furono le spese militari, accresciute fino a divorare i due terzi del bilancio statale. L’esercito fu sistematicamente riorganizzato; alle vecchie forme di reclutamento si aggiunse un embrione di coscrizione obbligatoria, la “milizia”, con compiti di difesa locale. I soldati di Luigi XIV non erano più degli straccioni dell’epoca della guerra dei Trent’anni e potevano contare su servizi logistici di una certa efficienza. Le linee direttrici della politica di espansione militare, nei decenni finali del XVII secolo, furono concentrate contro le Fiandre e l’Olanda e in direzione della Germania e dell’Italia del Nord. Guerra di Devoluzione La prima occasione per mettere alla prova questa macchina bellica venne offerta dalla guerra di Devoluzione contro la Spagna, così chiamata perché basata sulla rivendicazione di parte dell’eredità spagnola da parte di Luigi XIV in nome della moglie Maria Teresa. Occupazione delle Provincie Unite L’occupazione francese della parte meridionale dei Paesi Bassi preoccupò l’Olanda e l’Inghilterra che esercitarono forti pressioni su Luigi XIV perché interrompesse la sua avanzata. Con la pace di Aquisgrana (1668) furono riconosciuti al re di Francia i vantaggi territoriali fino allora acquisiti nelle Fiandre. Il risentimento del Re Sole nei confronti dell’Olanda portò da lì a poco alla riapertura delle ostilità. Nel marzo del 1672 la Francia e l’Inghilterra dichiararono guerra alle Provincie Unite. All’invasione del territorio, gli Stati generali olandesi opposero la decisione disperata di aprire le dighe che riparavano dalle acque le provincie di Utrecht e della Gheldria trasformando così l’Olanda in un’isola difficilmente accessibile. Il ruolo di guida assunto dal governatore Guglielmo III d’Orange era fautore dell’entrata in guerra di Spagna ed Impero contro la Francia, l’Inghilterra firmò una pace separata con l’Olanda e Luigi fu costretto a firmare la pace di Nimega (1678) e a farne le spese fu la Spagna che cedette la Francia Contea. Luigi XIV riprese subito la sua politica espansionistica, questa volta in direzione dell’Impero, occupando una serie di territori tra cui Strasburgo e Casale Monferrato. Lega di Augusta Di fronte alla politica di espansione di Luigi XIV si costituì una nuova coalizione europea. Nel 1686 venne stipulata ad Augusta una Lega difensiva tra Spagna, Impero, Svezia e Olanda. Il tramonto del Re Sole Al malessere generale determinato dalla miseria, dalla guerra, dalle tasse e dalle carestie fa riscontro un incupirsi della vita di corte a Versailles, dove il vecchio Re, morta nel 1683 la prima moglie Maria Teresa d’Asburgo si sposò con Francoise d’Aubignè de Maintenon. L’opposizione sorda contro l’assolutismo di Luigi XIV si manifestava in vari modi: nelle sommosse popolari spontanee, nella contestazione di una politica che sacrificava l’agricoltura al commercio e imprigionava ogni attività in una gabbia di regolamenti e di divieti, nella rivendicazione di maggiori poteri da parte di esponenti dell’alta aristocrazia come il Duca si Saint-Simon. Gli ultimi anni di Luigi XIV furono contristati da lutti familiari. Il 1° settembre 1715 a Parigi e nei dintorni si accesero fuochi di gioia alla notizia della morte del vecchio despota. IL successore era un bambino, Luigi d’Angiò. Nuovi equilibri europei tra Seicento e Settecento La monarchia Stuart era stata restaurata nel 1660 sulla base di un compromesso con il Parlamento. Carlo II Stuart poté godere di una certa libertà di manovra da un lato grazie all’incremento naturale delle entrate ordinarie e dall’altro per effetto del trattato stipulato del 1670 a Dover col Re di Francia, che, in cambio della promessa dello Stuart di prestargli man forte contro l’Olanda e di adoperarsi a favore di una restaurazione del cattolicesimo oltremanica, si impegnava a versargli un consistente sussidio annuo. Nascita degli schieramenti politici Di fronte ai problemi religiosi e dinastici si crearono due schieramenti politici: i tories in gran parte rappresentanti degli interessi agrari della gentry erano fautori della monarchia di diritto divino, del legittimismo dinastico, della Chiesa anglicana; i whigs, che si identificavano con gli interessi dei ceti commerciali e urbani, erano sostenitori del Parlamento e di un più vasto fronte protestante. I maggiori esponenti whig e tory si accordarono per rivolgere un appello al governatore d’Olanda Guglielmo III, che aveva sposato una figlia di Giacomo II, Maria Stuart. Guglielmo organizzò una spedizione militare e il 15 novembre 1688 sbarcò a Torbay, mentre Giacomo II non tentò neppure di resistere e fuggì in Francia, atto che fu equiparato dal Parlamento a una abdicazione e rinuncia al trono. Un Parlamento di convenzione convocato da Guglielmo dichiarò allora il trono vacante e offerse la corona congiuntamente a Guglielmo e Maria che si impegnarono a osservare una Dichiarazione dei diritti da esso votata. Alla Dichiarazione dei diritti fece seguito quello stesso anno (1689) un Atto di tolleranza che abrogò le pene comminate negli anni Sessanta al dissenso religioso. L’edificio costituzionale inglese verrà poi completato dal Triennial Act del 1694, che imponeva l’elezione di un Parlamento almeno ogni tre anni, dall’abolizione di fatto della censura sulla stampa e dall’Act of Settlement, che fissava l’ordine di successione al trono in modo da escluderne i cattolici. Benché la gloriosa rivoluzione del 1688-89 si presentasse come restaurazione della legalità violata dal re, si trattò in realtà di una svolta decisiva: una svolta che sbarrò per sempre la strada dell’assolutismo e aprì la via verso la monarchia costituzionale e, successivamente, a un governo di tipo parlamentare. Il mutamento al vertice della monarchia inglese ebbe come conseguenza immediata il suo ingresso nella coalizione europea che nel 1689 aprì le ostilità contro la Francia. I conflitti con la maggiore potenza continentale durarono fino al 1713. La guerra di Successione spagnola e i regni iberici Il 1° novembre 1700 si spegneva senza lasciare eredi l’ultimo Asburgo della linea spagnola Carlo II. Un accordo stipulato il 25 marzo 1700 fra le maggiori potenze, assegnava alla corona Spagnola, con i Paesi Bassi e le colonie americane, a Carlo, secondogenito dell’imperatore Leopoldo I mentre a Filippo d’Angiò, nipote di Luigi XIV, sarebbero andati i domini italiani. L’idea di una spartizione dell’eredità suscitava forti ostilità a Madrid e un mese prima di morire Carlo si lasciò convincere a redigere un testamento che proclamava erede universale il Duca d’Angiò, che assunse il titolo di Filippo V Re di Spagna, con la condizione di una sua rinuncia perpetua ai diritti di successione in Francia. Il comportamento di Luigi XIV fu però tale da far apparire illusoria la separazione tra le due corone di Francia e Spagna: guarnigioni francesi furono spedite a Milano e nei Paesi Bassi e alle compagnie francesi furono riservati i vantaggi del commercio col Nuovo Mondo. Guerra da parte della Grande Alleanza contro la Francia di Luigi XIV Leopoldo I, Inghilterra e Olanda stipularono una Grande Alleanza. La guerra venne dichiarata il 15 maggio 1702. Alla coalizione antifrancese aderirono la Danimarca e molti principi tedeschi. Con Luigi XIV e Filippo V erano in un primo tempo schierati il Duca di Savoia e il re del Portogallo: ma entrambi passarono nel campo avverso nel corso del 1703. Dopo alcuni successi iniziali della Francia, le operazioni condotte su vari fronti volsero a favore della Grande Alleanza. Nel 1708 gli anglo- olandesi penetrarono in territorio francese espugnando la città di Lilla e minacciando Parigi. In seguito ai due trattati di Utrecht e Rastatt, l’assetto politico europeo cambiò: Filippo d’Angiò rimase a Madrid col nome di Filippo V, Carlo d’Asburgo prese il nome di Carlo VI e prese i territori spagnoli dei Paesi Bassi e dell’Italia ad eccezione della Sicilia che passò a Vittorio Amedeo II; quest’ultimo ricevette Monferrato ed alcune provincie milanesi, l’Olanda prese alcune roccaforti lungo la frontiera tra i Paesi Bassi e la Francia, l’Inghilterra prese Minorca e Gibilterra e dalla Francia ottenne Terranova e la Nuova Scozia nel Nord America. L’ascesa della Russia di Pietro il Grande e il declino della Svezia La Russia di fine Seicento era un immenso territorio ma, scarsamente popolato. I Romanov ripresero con Michele la tradizione assolutistica già affermatasi con Ivan IV e portarono a compimento con Alessio una notevole espansione territoriale: consolidamento del dominio in Siberia e l’aggregazione dell’Ucraina. Nel 1689, dopo una lunga crisi dinastica, si impose come unico Zar Pietro, figlio di Alessio. Deciso a modernizzare il suo Paese sull’esempio dell’Occidente europeo, Pietro compì nel 1697-68 un lungo viaggio di istruzione in Olanda, Inghilterra e Germania, nel corso del quale si informò delle tecniche relative agli “leggi naturali”. Due sono i presupposti fondamentali della dottrina fisiocratica: 1. La convinzione che solo l’agricoltura sia produttrice di nuova ricchezza, mentre le manifatture e il commercio si limitano a trasformare quella esistente e a trasferire i prodotti 2. Il secondo presupposto è che il surplus derivato in queste condizioni dall’attività agricola, chiamato dai fisiocratici prodotto netto, costituisce la rendita fondiaria che i fittavoli devono ai proprietari del suolo a titolo di compenso delle anticipazioni fondiarie, cioè delle spese sostenute all’origine per rendere coltivabili le terre. Il più importante fattore di progresso economico è secondo Smith la divisione del lavoro: specializzandosi in un’unica operazione, l’operaio impara ad eseguirla rapidamente e perfettamente. Si riduce così il tempo totale dedicato alla manifattura e si abbassa il prezzo delle merci. In comune con i fisiocratici Smith ha invece la fede nell’esistenza di un ordine naturale benefico: ciascun operatore economico agisce per il proprio tornaconto, ma senza saperlo promuove l’interesse generale della società. E’ perciò necessario che i governi lascino agire liberamente i meccanismi della domanda e dell’offerta di beni e servizi, e non intralcino il gioco del mercato con dazi, vincoli o privilegi. Francia e Inghilterra nel Settecento: un duello secolare Alcuni storici hanno parlato di seconda guerra dei cento anni a proposito della serie di conflitti che opposero la monarchia francese e quella britannica tra il 1689 (inizio della guerra della Lega di Augusta) e il 1815. Alla morte di Luigi XIV, il 1° settembre 1715, si rese necessaria l’istituzione di una reggenza, giacché il pronipote Luigi XV aveva appena 5 anni. Il Parlamento di Parigi proclamò reggente unico il Duca Filippo d’Orleans che in compenso restituì ai Parlamenti la facoltà di avanzare rimostranze prima di registrare gli editti del Re. Il periodo di Reggenza fu contrassegnato da una relativa libertà di opinione e di critica. Voltaire fece il suo esordio letterario proprio negli della Reggenza che segnarono l’inizio dell’Illuminismo vero e proprio. Nel 1715 le entrate della corona francese risultavano già impegnate per diversi anni e il debito pubblico aveva raggiunto cifre da capogiro. Sistema Law In questa situazione, il reggente si affidò alle geniali intuizioni di John Law. Alla base del cosiddetto “sistema Law”, vi era l’idea che l’aumento della massa dei mezzi di pagamento, ottenuto con l’emissione di carta moneta, avrebbe stimolato la circolazione del denaro e quindi il commercio e l’industria. Tra il 1716 e il 1719 Law creò una banca e una compagnia di commercio, che assorbì tutte le compagnie privilegiate esistenti e assunse nel 1719 la denominazione di Compagnia delle Indie: le sue azioni raggiunsero quotazioni di mercato molto superiori al loro valore nominale grazie all’entusiasmo che quest’operazione seppe infondere negli investitori. I possessori delle azioni cominciarono a venderle e ben presto si scatenò un’ondata di panico tra gli investitori. Law fu costretto a sospendere i pagamenti e nel 1720 abbandonò il Paese. Terminata la Reggenza, Filippo d’Orelans assunse la carica di primo ministro, che mantenne fino alla sua morte improvvisa, quando il suo posto fu preso per alcuni anni da un altro principe di sangue, il Duca di Borbone. Nel 1726 Luigi XV accordò la sua fiducia al suo anziano precettore, André-Hercule de Fleury. Il governo Fleury assicurò alla Francia un lungo periodo di pace che fruttò anche l’annessione della Lorena. Il fallimento delle riforme in Francia La Francia, uscita umiliata dalla guerra dei Sette anni e in condizioni finanziarie disastrose, non poté sanare le ferite inferte all’orgoglio nazionale con la sola annessione della Lorena, né fu sufficiente l’annessione della Corsica, ceduta dalla Repubblica di Genova. Inoltre, l’opposizione del Parlamento alle politiche del governo assunse un carattere ironico a partire dagli anni Sessanta, polarizzandosi intorno alle questioni religiose e fiscali. In campo religioso i Parlamenti presero la testa della campagna contro i gesuiti ottenendo nel 1764 un editto di espulsione dell’ordine. Per quanto riguarda le finanze fu intransigente la loro ostilità a tutti i disegni di riforma elaborati nelle sfere di governo. Successione di Luigi XV Luigi XV, morto il 10 maggio 1774, succedette il nipote Luigi XVI, ben intenzionato ma timido e non di grande intelligenza. Per ingraziarsi l’opinione pubblica, il nuovo Re decise il richiamo dei vecchi Parlamenti, pregiudicando così l’opera di riordinamento delle finanze e dell’amministrazione intrapresa negli anni precedenti dalla monarchia. Il nuovo sovrano volle dimostrare la sua buona volontà nominando controllore delle finanze un esponente di spicco del movimento illuminista: Turgot. Quest’ultimo ristabilì la libertà di commercio dei grani, ma l’applicazione di questo editto coincise con un cattivo raccolto, i cui effetti sui prezzi vennero attribuiti all’iniziativa del governo e suscitarono agitazioni e sommosse in tutta la regione di Parigi. Ma la pressione degli interessi colpiti o minacciati dalle riforme indussero Luigi XVI a ritirare il suo appoggio al ministro, che il 10 maggio 1776 rassegnò le dimissioni. Le sconfitte militari subite dall’Inghilterra furono seguite da una fase di difficoltà economiche e di notevole conflittualità politica, preludio della crisi finale della monarchia assoluta e con essa dell’Antico Regime. NASCITA DI UNA NAZIONE: GLI STATI UNITI D’AMERICA Le colonie inglesi del Nord America non rappresentavano una realtà uniforme sia per condizioni geografiche e ambientali sia per caratteristiche sociali ed economiche. Le colonie del nord furono caratterizzate da un’iniziale immigrazione di minoranze puritane. La loro economia era fortemente legata ai circuiti commerciali atlantici e si basava su una produzione agricola non limitata solamente all’autoconsumo e su attività di tipo artigianale, navale e mercantile. Non solo inglesi o scozzesi ma anche irlandesi, olandesi, tedeschi si trasferivano oltreoceano, soprattutto nella nuova Inghilterra. In parte emigravano per motivi religiosi o per sottrarsi alla giustizia. Gli schiavi neri nel 1775 superavano il mezzo milione ed erano quasi tutti concentrati nelle colonie meridionali. Agli inizi del Settecento le colonie avevano istituzioni politico-giudiziarie abbastanza simili, in quasi tutte vi era un governatore. Esso nominava i giudici e aveva il diritto di veto sulle decisioni prese dal potere legislativo. Quest’ultimo era esercitato da un’assemblea eletta con suffragio in genere molto largo. Di gran lunga inferiore era la popolazione della Nuova Francia, parte dell’odierno Canada, dove nella prima metà del Seicento erano state fondate le città di Québec e Montréal. Contrasti tra le tredici colonie e la madrepatria Durante la guerra dei Sette anni gli abitanti delle tredici colonie britanniche parteciparono a fianco delle truppe inviate dall’Europa alle operazioni militari contro i francesi. I coloni ebbero modo di prendere coscienza della propria forza e, in molti casi, dell’arroganza e incapacità dei comandanti inviati dalla Gran Bretagna; d’altro lato la vittoria britannica, che portò all’eliminazione completa della presenza francese nel Nord America, era destinata a far loro apparire meno indispensabile il sostegno politico-militare della madrepatria, che proprio allora si accingeva a presentare alle colonie il conto delle spese sostenute per difenderle. Altri motivi di malcontento erano la pretesa del Parlamento inglese, in base agli atti di navigazione di vietare il commercio diretto tra le colonie e Paesi terzi, di imporre dazi molto elevati sull’importazione di alcuni prodotti, di proibire la produzione ed esportazione di manufatti che potessero entrare in concorrenza con quelli della Gran Bretagna. Le colonie acquisirono gradualmente la coscienza di sé stessi come popolo distinto, non tanto per la legge, la politica o per costituzione, ma per carattere e cultura. Nell’ottobre del 1763 un proclama regio trasformò i vasti territori al di là dei monti Appalachi in una riserva indiana, dove era proibito ai bianchi acquistare terre. Negli anni seguenti furono emanate norme più stringenti volte a impedire e reprimere il contrabbando. I coloni reagirono con sdegno crescente a queste imposizioni; i delegati di nove colonie, riuniti a New York, dichiararono incostituzionale la tassa di bollo, perché votata da un Parlamento in cui esse non erano rappresentate. Nel febbraio del 1766 il governo inglese ritirò la tassa di bollo, ma riaffermò il proprio diritto di tassare i coloni; e l’anno seguente introdusse nuovi dazi sull’importazione di tè e di altri generi. La tensione crebbe in seguito a incidenti come quello verificatosi a Boston nel 1770, dove i soldati inglesi aprirono il fuoco sulla folla uccidendo cinque persone. Finché il 16 dicembre 1773 un gruppo di patrioti travestiti da indiani salì a bordo di una nave della Compagnia delle Indie orientali in attesa di scaricare la sua merce nel porto di Boston e gettò in acqua tutto il carico di tè da essa trasportato. Con il Boston “tea party” si può dire che abbia inizio la fase delle ostilità aperte fra le tredici colonie e la madrepatria. La guerra di Indipendenza La durissima reazione del governo inglese provocò nelle colonie uno stato generale di insubordinazione: dovunque sorsero comitati e organismi, variamente denominati Congressi provinciali o Convenzioni, che esautorarono di fatto le autorità britanniche. Nel settembre 1774 si riunì a Filadelfia il “primo congresso continentale”, nel corso del quale fu deciso il boicottaggio delle merci inglesi e fu riaffermato il principio che gli americani riconoscevano valide solo le leggi e le imposte votate dalle loro assemblee e non quelle del Parlamento britannico. Il 4 luglio 1776, in un clima di esaltazione collettiva venne approvata la Dichiarazione di Indipendenza, che rivendicava il diritto degli americani di darsi un nuovo governo sulla base dell’uguaglianza naturale tra tutti gli uomini del diritto inalienabile di ognuno alla vita. Questi princìpi coniugavano felicemente i valori elaborati nel vivo dell’esperienza americana con le idee più avanzate dell’Illuminismo europeo e agirono come un potente stimolo a portare fino in fondo la lotta ormai ingaggiata dai coloni per la liberazione dal dominio inglese. Scontro militare Il comando delle forze armate fu affidato dal secondo Congresso continentale a George Washington. L’esercito inglese riportò alcuni successi iniziali, ma la tenacia degli insorti e il ricorso alla tattica della guerriglia, fatta di imboscate e di attacchi a sorpresa, finirono col logorare il morale delle truppe d’occupazione. Una svolta importante fu segnata dalla battaglia di Saratoga dove un contingente inglese si arrese ai reparti americani. Fu proprio questo episodio a convincere il governo francese ad appoggiare militarmente gli insorti, la cui causa già da tempo riscuoteva i favori dell’opinione pubblica, grazie anche alla propaganda svolta dal delegato del Congresso di Filadelfia a Versailles, Benjamin Franklin. L’intervento a fianco delle tredici colonie da parte della Francia e poi della Spagna valse soprattutto a contendere la flotta britannica il dominio dei mari e a impedire l’approvvigionamento dell’esercito d’occupazione. La guerra era praticamente finita. Col trattato di Versailles del 1783 la Gran Bretagna riconosceva l’indipendenza delle tredici colonie nordamericane e restituiva alla Francia alcuni territori occupati nei Caraibi e nel Senegal, e alla Spagna La Florida e Minorca. La costituzione degli Stati Uniti d’America Le conseguenze della guerra prolungata rappresentarono per il Congresso continentale problemi di difficile soluzione. Gli “Articoli di Confederazione” votati nel 1777 ed entrati in vigore solo nel 1781 lasciavano in pratica al governo di quelli che erano ormai gli Stati Uniti d’America solo la politica estera e la difesa, mentre tutti gli altri poteri, compreso quello di imporre tasse e di battere moneta, erano prerogativa dei caselli del dazio, simbolo dell’odiata Ferma generale delle imposte indirette. La mattina del 14 luglio una folla, composta per la maggior parte da artigiani e bottegai, si presentò di fronte alla cupa fortezza della Bastiglia, usata da tempo come prigione per rei dello Stato. Il governatore della fortezza fallito un tentativo di trattare con la folla minacciosa, ordinò ai suoi uomini di aprire il fuoco: un centinaio furono i morti e i feriti. Ma nel pomeriggio giunsero rinforzi e anche alcuni cannoni: il governatore si arrese e fu ucciso assieme ai suoi ufficiali. Luigi XVI ordinò la ritirata dei reggimenti stranieri e il 16 luglio richiamò Necker al governo. In tutta la Francia si costituirono spontaneamente nuovi organismi municipali fedeli alle direttive dell’Assemblea nazionale e si armarono milizie che presero il nome di “Guardia nazionale”. Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino A questa rivoluzione municipale vennero ad aggiungersi una serie di disordini nelle campagne. L’agitazione delle campagne assumeva dunque un chiaro significato anti-feudale. Nella notte del 4 agosto i deputati decisero la distruzione di quanto rimaneva del sistema feudale e l’abolizione di ogni privilegio che si opponeva all’eguaglianza dei diritti. L’Assemblea passò ad elaborare una “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” che fu approvata il 26 agosto 1789 e che è rimasta nel tempo come la più solenne e completa affermazione delle libertà fondamentali dell’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e degli altri princìpi costitutivi dei moderni ordinamenti liberali e democratici, quali la divisione dei poteri e la sovranità popolare. La ricostruzione dell’unità nazionale Il primo responsabile del fallimento del nuovo ordine monarchico-costituzionale fu indubbiamente il Re stesso. Luigi XVI teneva un comportamento ambiguo e sempre più confidava nell’intervento armato delle potenze straniere per ristabilire la propria autorità. Nell’Assemblea prevalse per tutto il 1790 l’influenza di nobili liberali e del cosiddetto “triumvirato” composto da Lameth, Duport e Barnave, a cui si deve per lo più l’imponente opera legislativa realizzata in breve volgere di tempo. Alla sinistra di questo schieramento si collocavano alcuni elementi più radicali e più sensibili alle rivendicazioni popolari, tra i quali un notevole prestigio si andò conquistando un avvocato di Arras, Maximilien Robespierre. I club: giacobini, cordiglieri e sanculotti Le questioni del giorno erano dibattute anche nei numerosi circoli sorti con la Rivoluzione. Tra gli altri si andò soffermando la Società degli amici della Costituzione che dal luogo dove si riuniva, un convento di domenicani (jacobins), prese poi il nome di “club dei giacobini”. Più popolare nel reclutamento e più radicale nelle opinioni era il club detto “dei cordiglieri” (convento di francescani); tra i cordiglieri si misero in luce un giornalista ed oratore di successo, Desmoulins e Danton. Un grande ruolo ebbe anche la stampa periodica: tra i giornali più accesi e virulenti si distinguevano il “Patriote français” di Brissot e il “Père Duchesne” di Hébert. Nel maggio del 1790 la capitale venne divisa in 48 sezioni, che costituirono da allora il quadro naturale per la formazione di club popolari, per lo scambio delle notizie e delle opinioni, l’adunata dei militari e la preparazione delle grandi manifestazioni. Prendeva così forma la figura del “sanculotto”: il popolano di Parigi, appartenente al mondo dell’artigianato e del piccolo commercio, ferocemente attaccato all’eguaglianza dei diritti e alla solidarietà tra i lavoratori, ostile ai nobili, ai ricchi, pronto all’insurrezione e alla violenza rivoluzionaria. La caduta della monarchia Da tempo la famiglia reale aveva preso contatti segreti con le corti straniere in vista di un espatrio. La notte fra il 20 e il 21 giugno 1791 Luigi XVI con i suoi familiari lascio le Tuileries per una porta segreta e si diresse verso la frontiera orientale. Bloccato a Varennes, la comitiva fu obbligata a tornare indietro sotto scorta. La fuga di Varennes introdusse un’ulteriore divisione tra le forze rivoluzionarie. Mentre Robespierre e Marat ed altri chiedevano la deposizione del Re, la maggioranza dell’Assemblea finse di credere a una versione addomesticata secondo cui il monarca non era fuggito, ma era stato rapito. Una grande manifestazione popolare organizzata il 27 luglio 1791 dai cordiglieri per chiedere la Repubblica fu dispersa al Campo di Marte. Nel frattempo, erano giunti a compimento i lavori dell’Assemblea nazionale per la redazione della Costituzione. La carta Costituzionale della nuova Francia fu votata il 4 settembre 1791. Prima di sciogliersi, l’Assemblea costituente votò una legge in base alla quale i suoi membri non potevano essere eletti a far parte dell’Assemblea legislativa. Ciò contribuì ad accrescere il peso e l’autorità dei circoli e delle società popolari. La sinistra riuscì gradualmente ad imporre la sua egemonia all’Assemblea poiché era meglio organizzata ed era spalleggiata all’esterno dal club dei giacobini di Robespierre. Nell’aprile del 1792 il Re propose all’Assemblea di dichiarare guerra al nuovo Re di Boemia e d’Ungheria, la proposta fu accolta quasi all’unanimità. Ma il fallimento dell’offensiva in direzione dei Paesi Bassi decisa dal ministro della Guerra non fece che accrescere i contrasti nell’Assemblea. La proclamazione della patria in pericolo nel luglio del 1792, l’arrivo di federati da tutta la Francia e infine un manifesto emanato il 25 luglio dal duca di Brunswick, comandante delle truppe nemiche, in cui si minacciava la distruzione di Parigi portano al colmo la tensione. La giornata del 10 agosto ebbe come momenti culminanti la creazione di una nuova municipalità (la Comune insurrezionale) e l’assalto al palazzo delle Tuileries. L’Assemblea legislativa votò la deposizione del monarca, il riconoscimento della Comune insurrezionale e la creazione di un Consiglio esecutivo provvisorio. Per la prima volta dal 1789, la rappresentanza nazionale si era vista soverchiata ed esautorata da una sollevazione popolare. La caduta della monarchia coincideva dunque con una fase nuova della Rivoluzione, caratterizzata dal confronto e dallo scontro tra il potere legale e il potere di fatto esercitato in prima persona dalle masse popolari. Dalla Repubblica giacobina al Direttorio La giornata del 10 agosto 1792 e le sue conseguenze segnano una svolta profonda nella storia della Rivoluzione francese. La pressione popolare e il panico suscitato dall’avanzata dell’esercito prussiano sono all’origine delle misure di rigore adottate dall’Assemblea legislativa e dalla Comune di Parigi nei giorni successivi al 10 agosto. Furono arrestati gli elementi “sospetti”, sequestrati beni degli emigrati e requisiti i grani per l’approvvigionamento delle città. Nei primi giorni di settembre si svolsero le elezioni dei deputati che avrebbero composto la nuova Convenzione nazionale, alla quale sarebbe stato affidato il compito di redigere una nuova Costituzione. Proprio mentre si svolgeva la prima sessione della Convenzione l’avanzata prussiana fu fermata a Valmy dall’artiglieria francese. Lo scontro restituì fiducia all’esercito rivoluzionario e nell’autunno del 1792 invase il Belgio e si impadronì di Nizza e della Savoia. Dal punto di vista politico la nuova rappresentanza era nettamente spostata a sinistra. Erano praticamente scomparsi i foglianti, su 700 membri 200 erano brissottini che poi cambiarono nome in girondini, un centinaio erano gli aderenti alla “montagna” sensibile alle rivendicazioni dei sanculotti. Il resto faceva parte della pianura o “palude” in quanto oscillante fra i due partiti contrapposti. La contrapposizione tra girondini e montagnardi si andò approfondendo a proposito dell’atteggiamento da assumere nei confronti del Re. Robespierre e Saint-Just sostenevano che il Re andava trattato come un nemico della nazione. Prevalse, tuttavia, la proposta di processarlo di fronte alla stessa Convezione. I girondini sostennero la tesi dell’appello al popolo; la condanna a morte del Re passò in stretta misura. All’alba del 21 gennaio 1793 la testa di Luigi XVI cadde sotto la lama della ghigliottina. L’esecuzione del Re e l’annessione dei territori conquistati dopo la battaglia di Valmy, portarono a un rapido allargamento della coalizione anti-francese. Il primo febbraio 1793 la Convenzione dichiarò guerra all’Inghilterra e all’Olanda, in marzo alla Spagna. La defezione di gran parte dei vecchi ufficiali e la disorganizzazione nelle file dell’esercito portarono a una serie di gravi sconfitte delle forze rivoluzionarie. Ai rovesci militari si aggiunse la ripresa dell’agitazione per il carovita e per la penuria dei generi coloniali, fomentata e organizzata dal gruppo degli “arrabbiati”, i quali proponevano la lotta senza quartiere contro gli speculatori e l’istituzione di un calmiere dei prezzi. Un altro e non meno grave motivo di preoccupazione era la rivolta esplosa nel dipartimento della Vandea. Gli insorti erano contadini mossi da un complesso di motivazioni tra le quali erano in primo piano la difesa della religione tradizionale, l’odio verso la città e verso i “patrioti”. La Convenzione reagì varando una serie di misure eccezionali: • fu istituito un tribunale rivoluzionario per il processo sommario ai sospetti; • fu votata la formazione di un Comitato di salute pubblica incaricato di vigilare sull’operato del Consiglio esecutivo. Lo scontro più aspro riguardò i provvedimenti economici. L’Assemblea era nel suo insieme ostile a ogni restrizione della libertà di commercio e di iniziativa, ma i montagnardi erano disposti a venire incontro alle richieste dei sanculotti per conquistarne l’appoggio. A maggio fu votato il calmiere dei grani e delle farine: il prezzo massimo sarebbe stato fissato dipartimento per dipartimento dalle amministrazioni locali. I girondini non avevano rinunciato alla lotta, forti del sostegno di cui godevano in molte provincie: a Marsiglia e a Lione, le municipalità giacobine furono rovesciate da movimenti ostili agli indirizzi prevalenti nella capitale. In questo clima di tensione i sanculotti di Parigi fecero nuovamente sentire il loro peso: raccoltisi intorno alla Convenzione, fecero votare sotto la minaccia delle armi una mozione che disponeva l’arresto domiciliare di alcuni deputati girondini e di due ministri. Il governo rivoluzionario e il Terrore Il territorio francese è invaso a nord dagli austriaci, a sud dai piemontesi, mentre la “Grande Armata cattolica e reale” degli insorti vandeani cinge d’assedio Nantes. Il 25 giugno 1793 venne approvata una nuova Costituzione che aggiungeva il diritto alla sussistenza, al lavoro, all’istruzione e all’insurrezione; tutti i poteri legislativi erano concentrati in un’unica assemblea, eletta a suffragio universale. All’interno del Comitato di salute pubblica cresceva l’ascendente di Robespierre, che meritò di essere nominato l’incorruttibile per la sua dedizione completa alla causa rivoluzionaria. A queste doti si univano in lui una grande capacità manovriera. Molto diversa la personalità del suo rivale in popolarità, Danton, uomo amante della vita e dei piaceri, ma capace di incarnare l’unità nazionale e la difesa della patria nei momenti del pericolo. Nei primi mesi del 1794 Robespierre si sentì abbastanza forte per lanciare un attacco in due differenti direzioni: contro la sinistra di Hébert e contro gli “indulgenti”. Il 13 marzo Hébert venne arrestato con alcuni soci, la stessa sorte toccò il 5 aprile a Danton. Questo taglio delle “ali” rafforzò il potere di Robespierre ma portò a un’erosione del consenso sia tra le masse popolari, sconcertate dall’eliminazione dei capi heberisti. Tra giugno e luglio si ebbe una drammatica intensificazione del Terrore. In un mese e mezzo salirono sul patibolo migliaia di uomini e donne che assieme alle esecuzioni capitali si arriva ad un totale di 50.000 vittime in tutta la Francia. L’opposizione di alcuni degli stessi membri del Comitato di salute pubblica sfociò tra l’8 e il 9 termidoro in un complotto contro Robespierre che coinvolse lo stesso presidente della Convenzione, Herbois. Robespierre venne arrestato assieme a Saint-Just e Couthon. Il 28 luglio Robespierre, ferito alla mascella da un colpo di pistola, fu trascinato con gli altri alla ghigliottina. Da termidoro a fruttidoro La caduta di Robespierre fu accolta da molti francesi come una liberazione. Le prigioni si svuotarono, si riempirono i teatri e i locali da ballo, ritornarono tra i ceti borghesi la gioia di vivere, il lusso e l’ostentazione della ricchezza. spese dello Stato. In cambio il pontefice si impegnava a ottenere le dimissioni dei vescovi in carica, a non rivendicare i beni ecclesiastici alienati e a consacrare i prelati nominati dal primo console. Dal consolato all’Impero. La terza e la quarta coalizione anti-francese I successi ottenuti da Bonaparte in politica estera e all’interno servirono a giustificare un’accentuazione degli aspetti autoritari del suo governo. Con il plebiscito del 2 agosto 1802 Napoleone fu dichiarato console a vita. Lo sbocco inevitabile di questa evoluzione fu la nomina di Napoleone a “imperatore dei francesi”, decretata dal Senato il 4 aprile 1804 e successivamente sottoposta a plebiscito. La trasformazione degli ordinamenti in senso monarchico era completata dal carattere ereditario della dignità imperiale e dalla creazione di una corte modellata su quella dei Borbone. Il 2 dicembre 1804, nel corso di una sfarzosa cerimonia nella cattedrale di Notre Dame, la corona imperiale fu offerta dal pontefice a Napoleone, che se ne cinse il capo con le proprie mani prima di giurare che avrebbe rispettato “l’eguaglianza dei diritti”. Un nuovo dispotismo illuminato era sorto, erede a un tempo delle tradizioni d’Antico Regime e dello spirito di modernizzatore della Rivoluzione. Quando venne proclamato l’Impero, già da un anno la Gran Bretagna aveva ripreso le ostilità contro la Francia. Nel corso del 1805 prese forma la terza coalizione, composta da Inghilterra, Austria, Russia, Svezia e Regno di Napoli. A fianco della Francia si schierò invece la Spagna. Il 21 ottobre 1805 la flotta franco-spagnola venne affrontata e distrutta a Trafalgar, presso Cadice, da quella Britannica al comando di Nelson. Ma sul fronte terrestre Napoleone riportò una decisiva vittoria sugli eserciti austriaco e russo ad Austerlitz. Priva ormai di difese, Vienna dovette chiedere la pace, che le fu concessa col trattato di Presburgo del 26 dicembre 1805: le dure condizioni imposte dal vincitore prevedevano la cessione al Regno d’Italia del Veneto, dell’Istria e della Dalmazia, l’aggregazione del Tirolo alla Baviera e il pagamento di un’ingente indennità di guerra. Nei primi mesi del 1806 un esercito francese discese nel Regno di Napoli e se ne impadronì quasi senza colpo ferire: sul trono napoletano fu posto, Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, mentre la corte borbonica si rifugiava a Palermo sotto la protezione della flotta inglese. Nel luglio del 1806 venne creata la Confederazione del Reno, un’associazione di Stati tedeschi alleati della Francia. Ciò intimorì il Re di Prussia Federico Guglielmo III, che si fece promotore della quarta coalizione. Ma sul fronte terrestre l’armata napoleonica appariva imbattibile. Alle vittorie contro l’esercito prussiano di Jena e Auerstadt fece seguito nel 1807 la campagna contro la Russia di Alessandro I, risoltasi nel giugno dello stesso anno con l’accordo di Tilsit. Era ancora la Prussia a farne le spese: i suoi possedimenti nella Germania occidentale andarono a formare il Regno di Vestfalia, mentre le provincie polacche occupate tra il 1772 e il 1795 furono erette in un Granducato di Varsavia sotto la sovranità del Re di Sassonia. Sia la Sassonia che la Vestfalia entrarono a far parte della Confederazione del Reno. Il blocco continentale la guerra di Spagna e la quinta coalizione Dopo la pace di TIlsit l’unica potenza ancora in guerra con l’Impero francese era la Gran Bretagna. Napoleone aveva deciso di piegarne la resistenza con l’arma economica. Nel novembre 1806 egli aveva infatti dichiarato l’Inghilterra in “stato di blocco”: ciò significava che era proibito ai sudditi dell’Impero ogni commercio con le isole britanniche. Al blocco aderirono successivamente la Russia, la Prussia, la Danimarca e la Spagna. Il blocco richiedeva il controllo di tutte le coste europee, un’impresa al di sopra del pur formidabile apparato militare napoleonico. Lo stesso Napoleone fu costretto a concedere licenze d’importazione per alcuni generi, come il cotone, indispensabile per l’industria francese. Infine, il blocco non poteva essere applicato al Nuovo Mondo e al continente asiatico. L’economia britannica resistette e poté di nuovo respirare quando la penisola iberica insorse contro la Francia e quando i porti russi si riaprirono alle sue esportazioni. Fallito tra il 1807 e il 1808 il tentativo di occupare il Portogallo, Napoleone riuscì a impadronirsi della Spagna, spodestando Carlo IV e proclamando re, nel maggio del 1808, il fratello Giuseppe. Nel gennaio del 1808 le truppe francesi si erano impadronite dello Stato Pontificio, che verrà annesso l’anno seguente all’Impero francese, mentre Pio VII, che aveva osato scomunicare Napoleone, verrà imprigionato a Savona. L’Austria era ansiosa di vendicare l’umiliazione subita col trattato di Presburgo e nell’aprile del 1809, annodata una nuova coalizione con l’Inghilterra, invase la Baviera, alleata della Francia. Napoleone passò immediatamente alla controffensiva e il 12 maggio entrò per la seconda volta a Vienna. Con la pace di Vienna, l’Austria perdeva la Galizia settentrionale e inoltre la Carinzia, la Carniola, Fiume e Trieste, che insieme all’Istria e alla Dalmazia, separate dal Regno d’Italia, entrarono a far parte dell’Impero francese col nome di Provincie Illiriche. Il nuovo cancelliere austriaco Lothar, offrì a Napoleone, che aveva deciso il divorzio dalla moglie, la mano di una figlia di Francesco I, Maria Luigia. Dal matrimonio celebrato il 1° aprile 1810, nacque il sospirato erede, Napoleone Francesco Carlo Giuseppe, che ebbe il titolo di “Re di Roma”. La società francese all’apogeo dell’Impero Con le annessioni del 1809 e del 1810 l’Impero francese raggiunse il suo massimo sviluppo. Il conferimento della nobiltà era strettamente legato al censo, cioè al possesso di una rendita graduata secondo il titolo. La proprietà fondiaria accanto alla funzione pubblica era il requisito fondamentale per l’appartenenza all’élite sociale. Napoleone continuò a esercitare personalmente il potere, dando prova di una prodigiosa capacità di lavoro e di un’attenzione per ogni dettaglio dell’amministrazione. Il Tribunato vene soppresso nel 1807 e il Corpo legislativo, così come il Senato, divenne una cassa di risonanza della volontà del padrone. All’organizzazione del consenso doveva servire l’istruzione riorganizzata con le leggi del 1802 e del 1806: furono creati i licei, venne istituita l’Università imperiale. Alla preparazione dei professori provvedeva la Scuola Normale. L’istruzione tecnica superiore era affidata alla Scuola politecnica e ad altre istituzioni create sotto il Direttorio. La religione doveva essere negli intendimenti di Napoleone un pilastro del regime. Nel 1806 venne imposto al clero un “catechismo imperiale” che inculcava il dovere della venerazione e della gratitudine nei confronti del sovrano. Ma l’annessione dello Stato pontificio, la deportazione del papa e il suo rifiuto di riconoscere e di consacrare i vescovi turbarono le coscienze dei cattolici e recarono non poco danno alla popolarità dell’imperatore. Questa popolarità venne poi compressa da una grava crisi economica tra il 1810 e il 1812. Anche le pubbliche finanze erano in una situazione critica, a causa del venir meno delle indennità di guerra a carico dei nemici sconfitti. La riorganizzazione politico-territoriale della penisola italiana In seguito alle conquiste di Napoleone, i Paesi Bassi, l’Italia, la Spagna, la Germania, la Polonia entrarono a far parte di un “sistema continentale” che al tempo della sua massima espansione presentava tre situazioni diverse: i territori direttamente annessi all’Impero francese; gli Stati separati dalla Francia, ma sottoposti a sovranità francese; gli Stati vassalli affidati a membri della sua famiglia. Gli strumenti della conquista furono l’imposizione dei codici e delle strutture amministrative centralizzate, la subordinazione politica estera e agli interessi economici della Francia, la coscrizione militare e i contributi finanziari. Nella penisola italiana, al Regno d’Italia si contrapponeva a sud il Regno di Napoli, mentre tutte le provincie non facenti parte di queste due formazioni erano state in momenti diversi aggregate all’Impero francese. Al di fuori del sistema napoleonico rimasero sempre la Sicilia e la Sardegna, rifugio la prima dei Borbone di Napoli, la seconda dei Savoia, sotto la protezione della flotta inglese. La Repubblica Cisalpina fu trasformata in Repubblica Italiana, con una nuova costituzione modellata su quella francese. La presidenza della Repubblica venne assunta dallo stesso Bonaparte, che nominò vice presidente un patrizio milanese, d’Eril. Nella Repubblica Italiana furono introdotti istituti e ordinamenti analoghi a quelli francesi: • l’accentramento del potere amministrativo mediante prefetti; • la coscrizione militare; • la riorganizzazione degli studi superiori; • il consolidamento del debito pubblico; • un concordato con la Santa Sede che ristabiliva il cattolicesimo come religione di Stato pur mantenendo la libertà dei culti. Nel marzo del 1805 la Repubblica Italiana venne trasformata in Regno d’Italia; Napoleone si fece rappresentare a Milano col titolo di viceré. Il Regno si distinse dalla Repubblica per una più decisa opera di ammodernamento e razionalizzazione nei vari settori: • Venne dato impulso all’istruzione elementare; • fu ristrutturato il sistema giudiziario e furono adottati il Codice Napoleone e gli altri Codici francesi; • vennero portati a compimento grandi lavori pubblici. Nel 1806 il Regno d’Italia venne ingrandito con l’aggregazione di tutto il Veneto, dell’Istria e della Dalmazia. Nel 1808 furono aggiunte le Marche e nel 1809 venne compensato col Trentino e l’Alto-Adige. Dalla campagna di Russia al crollo del “Grande Impero” Il giovane zar Alessandro I aveva dimostrato nei primi anni di regno tendenze riformatrici, che si erano espresse in un rafforzamento dei poteri di controllo sul Senato. L’espansionismo russo fu all’origine del raffreddamento di Napoleone nei confronti dello Zar che nel marzo del 1812 decise di firmare un trattato di alleanza con la Svezia. Di fronte al “tradimento” dello Zar, l’imperatore francese si risolse ancora alla guerra. Nella tarda primavera del 1812 si concentrò tra l’Oder e la Vistola il più grande esercito mai visto. Il 24 giugno Napoleone varcò il fiume Niemen. I generali russi si ritirarono ordinatamente senza dare battaglia, ma distruggendo o portando via i raccolti nelle loro retrovie. Questa tattica sfuggente misero in crisi la strategia di Napoleone, che aveva sperato in una rapida vittoria come preludio a una trattativa con lo Zar. Solo il 7 settembre i russi affrontarono la Grande Armata nel tentativo di sbarrare la strada di Mosca. I francesi ebbero la meglio e il 14 settembre si impadronirono della città. Qui Napoleone perse alcune settimane preziose nella vana attesa dei messaggeri di Alessandro I, mentre un incendio scoppiato all’indomani del suo ingresso al Cremlino rendeva più precaria la sopravvivenza dell’esercito.
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