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Riassunto storia moderna: la guerra dei 30 anni, Schemi e mappe concettuali di Storia

Riassunto storia moderna: la guerra dei trenta anni

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2018/2019

Caricato il 04/10/2023

saraloffredi
saraloffredi 🇮🇹

4.1

(7)

53 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto storia moderna: la guerra dei 30 anni e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia solo su Docsity! LA GUERRA DEI 30 ANNI Gran parte della prima metà del Seicento fu sconvolta da un vastissimo conflitto armato che ebbe origine nei territori del Sacro Romano Impero e che vide l’intervento, in fasi successive, delle maggiori potenze europee del tempo. La Guerra dei Trent’anni (1618-1648) fu un interminabile e devastante conflitto continentale, una guerra civile tedesca nonché l’ultima delle grandi guerre di religione provocate dalla rottura dell’unità cristiana ad opera di Martin Lutero nel 1517. Fu infatti dalle contraddizioni politiche, religiose e sociali dell’Impero che lo scontro trasse origine e si sviluppò; per tutte queste ragioni si può senz’altro affermare che la pace di Westfalia, che pose termine alla guerra nel 1648, segnò l’inizio di una nuova era negli equilibri tra gli Stati europei e negli stessi princìpi su cui si sarebbero da quel momento basati i rapporti tra le potenze del continente. I fattori e le cause della guerra Da dove bisogna partire per capire a pieno il significato della Guerra dei Trent’anni? E quali questioni politiche e religiose furono alla base del suo scoppio e della sua prosecuzione? I fenomeni e gli eventi remoti da cui partire sono senz’altro quelli legati alla Riforma protestante del primo Cinquecento e ai conflitti da quest’ultima scatenati nei territori dell’Impero, che videro come protagonisti i principi luterani tedeschi, riuniti nella Lega di Smalcalda, contrapposti ai principi cattolici e all’imperatore Carlo V, desideroso di ripristinare l’unità religiosa nei suoi territori, pietra angolare del suo progetto politico e religioso. La Pace di Augusta del 1555 fu l’amaro compromesso a cui l’imperatore dovette addivenire una volta constatata l’impossibilità militare di aver ragione dei protestanti: Carlo d’Asburgo fu costretto a piegarsi e a riconoscere ufficialmente l’esistenza della confessione luterana all’interno dei propri territori. Durante la Dieta di Augusta Carlo V recepì la Confessio Augustana, la prima esposizione ufficiale della dottrina luterana, e fu stabilito il principio in base al quale le due confessioni religiose avrebbero potuto convivere nell’Impero: non la libertà di coscienza, bensì l’imposizione da parte del principe della propria confessione all’insieme dei sudditi, principio riassunto dalla formula latina del cuius regio, eius religio (in latino: “di chi [è] la regione, di lui [sia] la religione”). In questo modo i principi territoriali imponevano l’uniformità religiosa all’interno dei propri territori; per i dissenzienti era prevista la possibilità di usufruire del beneficium emigrandi (la possibilità di emigrare in un altro territorio). Tale principio costituì la base del processo di confessionalizzazione. Da quel momento in poi, almeno teoricamente, per tutti - cattolici e protestanti - l’appartenenza politica avrebbe dovuto coincidere con l’appartenenza confessionale. La pacificazione di Augusta era un compromesso fragile e soprattutto incompleto, in quanto non teneva conto dell’esistenza di altre confessioni religiose oltre alla cattolica e alla luterana; sarebbe stata proprio la rapida diffusione del calvinismo nell’Europa centrale a partire dalla metà del Cinquecento a provocare, come vedremo, l’inizio della guerra. Anche il conflitto religioso che investì la Francia a partire dagli inizi degli anni Sessanta del XVI secolo, e che si concluse con il riconoscimento di una pur limitata tolleranza religiosa attraverso l’Editto di Nantes del 1598, avrebbe del resto aperto una clamorosa breccia nell’applicazione rigida del principio della confessionalizzazione. Altri fattori che è necessario prendere in considerazione sono da una parte la struttura e il destino del Sacro Romano Impero e il significato stesso della dignità imperiale in un’Europa ormai segnata dal rafforzamento delle moderne entità statuali e dall’avvento dell’Assolutismo monarchico. D’altra parte occorre considerare anche la rivalità tra la monarchia francese - prima dei Valois e poi dei Borbone - e la casata asburgica, che dopo l’abdicazione di Carlo V si era divisa nei due rami degli Asburgo di Spagna e degli Asburgo d’Austria. La scena politica internazionale Agli inizi del Seicento la Francia era appena uscita da una sanguinosa guerra civile, scatenata anch’essa da motivazioni religiose. Il conflitto si era concluso con la definitiva presa del potere da parte di Enrico IV di Borbone, ufficialmente sovrano dal 1589 ma consacrato solo nel 1594 con l’abiura e la presa di Parigi. L’ugonotto Enrico, già re di Navarra, uscito vincitore dalla “guerra dei tre Enrichi” (1585-1589), si convertì al cattolicesimo pur di diventare re di tutta la Francia 1. Fu grazie a lui che l’editto di Nantes del 1598, atto conclusivo di quasi quattro decenni di guerra civile, poté essere siglato. aveva occupato nel tentativo di conquistare un accesso al mare che eludesse il pagamento dei dazi che la Danimarca imponeva ai traffici tra il Baltico e il Mare del Nord. Al termine del conflitto armato con la Russia (1617) la Svezia si vide inoltre riconosciuto il possesso dell’Ingria e della Carelia orientale, fondamentali per il dominio completo sul Golfo di Finlandia. Nel 1621 invase inoltre la Livonia e si impadronì del porto di Riga, in Lettonia. Verso la guerra Ma qual era la situazione nel centro focale del conflitto, l’Impero tedesco? Sin dal XV secolo gli Asburgo d’Austria avevano inaugurato una politica di guerre di conquista ma anche, se non soprattutto, di alleanze matrimoniali che li portarono a dominare sull’insieme dei territori dell’Impero 5. Nel XVI secolo l’abile politica matrimoniale continuò senza sosta, tanto da diffondersi un’immagine dell’Europa rappresentata come una fanciulla dalle fattezze appartenenti alla sposa di Carlo V, Isabella del Portogallo, la cui testa era posizionata nella penisola iberica, il cuore in Germania e il braccio nella penisola italiana. L’Impero tedesco era ciò che rimaneva del Sacro Romano Impero, erede a sua volta dell’Impero romano. Nei fatti il potere dell’imperatore nei confronti dei sovrani di altri stati era però pressoché nullo: contava solo nei territori dove egli era sovrano, ossia nei possedimenti ereditari degli Asburgo (Austria, Ungheria, Boemia, le Fiandre fino all’abdicazione di Carlo V). Tra le istituzioni politiche dell’Impero la più importante era senza dubbio la Dieta (Reichstag), assemblea dei rappresentanti dei vari ordini o ceti (Stände), di cui facevano parte i principi territoriali, i principi elettori laici ed ecclesiastici e le “città libere”. La Dieta si occupava essenzialmente di politica internazionale, di tasse e di spese militari; le votazioni avvenivano per ordine e non per testa. I conflitti religiosi del Cinquecento avevano avuto in realtà una posta in gioco di natura politica di importanza enorme. La Pace di Augusta segnò infatti la sconfitta dell’Impero e la vittoria inequivocabile dei principi protestanti, i quali poterono trarre enormi benefici dalla divisione religiosa dell’Impero e dall’incameramento dei beni ecclesiastici. I principi guadagnavano non solo la possibilità di scegliere il personale ecclesiastico ma anche quella di radicare nelle coscienze, insieme alla fedeltà ad una Chiesa, l’obbedienza al sovrano. Un potere enorme nell’Europa del XVI secolo. Come già accennato, il calvinismo aveva conosciuto una rapida diffusione nei territori tedeschi e boemi e non essendo tale confessione contemplata dalla Pace di Augusta non si sapeva esattamente come risolvere le innumerevoli controversie che quotidianamente sorgevano 6. La situazione era potenzialmente esplosiva, tanto che vennero man mano formandosi due leghe: una “Lega Evangelica”, che riuniva i principi protestanti, formalizzata nel 1608 e guidata dall’elettore del Palatinato Federico V e, nel 1609, una “Lega Santa”, cattolica, guidata dal duca di Baviera Massimiliano I. Ormai era chiaro a tutti che l’inizio della guerra sarebbe stato solo una questione di tempo. Già nel 1609 si aprì una crisi di successione nel ducato di Jülich-Kleve-Berg, in quanto alla morte senza eredi del duca Giovanni Guglielmo si fecero avanti due candidati, uno cattolico sostenuto dalla Lega Santa e dalla Spagna, l’altro sostenuto dalla Lega Evangelica, spalleggiata dall’Inghilterra, dall’Olanda e dalla Francia di Enrico IV. La morte del sovrano francese l’anno successivo non fece che ritardare di qualche anno il conflitto generale. Contrariamente a quanto accadde nella Spagna di Filippo II e di Filippo III, almeno fino al 1612, e cioè fino all’elezione imperiale di Mattia, il ramo austriaco degli Asburgo si dimostrò piuttosto tollerante nei confronti delle altre confessioni religiose. Ferdinando I e, soprattutto, Rodolfo II (1576-1612) non ritennero di dover inaugurare una politica di intransigenza religiosa come quella portata avanti nella penisola iberica e nelle Fiandre. Rodolfo, in particolare, creò nella sua reggia imperiale di Praga un ambiente di grande apertura intellettuale verso il quale confluirono personaggi - artisti, filosofi, esoteristi, maghi - tutt’altro che ortodossi. Il clima cambiò radicalmente con l’elezione al trono imperiale del fratello Mattia, già sovrano nei domini ereditari di Austria e Ungheria che lasciò al fratello Ferdinando, personaggio di tutt’altra formazione culturale e inclinazioni spirituali: educato dai gesuiti alla stretta osservanza dell’ortodossia romana, Ferdinando mise in atto in quella stessa Boemia abituata alla tolleranza rudolfina un sistematico progetto di annientamento delle confessioni non cattoliche. Si arrivò all’emanazione dell’ordine di distruggere gli edifici di culto delle confessioni non cattoliche se costruiti su terreni soggetti ad autorità di obbedienza romana. Il 23 maggio del 1618 il conte di Thurn, a capo di una delegazione di aristocratici riformati boemi, entrò a forza nel castello di Praga per protestare e ottenere la revoca dell’ordine. Il sovrano non era lì in quel momento, ma la folla che lo seguiva catturò due consiglieri imperiali con il loro segretario, gettandoli dalla finestra. La cosiddetta “defenestrazione di Praga” accese la miccia della rivolta boema, e anche quella della guerra generale. La fase boemo-palatina (1618-1625) Gli insorti praghesi nominarono subito un governo provvisorio, cercarono di reclutare un esercito e chiesero l’aiuto internazionale in vista dell’inevitabile guerra contro le truppe degli Asburgo. L’aiuto arrivò dall’elettore palatino Federico V, calvinista, a cui nel 1619, a seguito della morte dell’imperatore Mattia, fu offerta la corona di Boemia al posto del neo-eletto Ferdinando II nella speranza che intorno a lui potesse agglomerarsi una coalizione di principi protestanti pronti a battersi contro le potenze cattoliche. La richiesta di aiuto non fu però ascoltata da tutti: l’elettore di Sassonia, ad esempio, luterano e ostile al calvinismo, appoggiò l’imperatore. Quest’ultimo chiese a quel punto aiuto alla Spagna e alla Lega Santa; nella primavera-estate del 1620 l’esercito imperiale e quello bavarese penetrarono in Boemia e sbaragliarono le forze dei ribelli nella battaglia della Montagna Bianca (8 novembre). Il Palatinato venne invaso e smembrato. Ne seguì una dura repressione, che vide i capi della ribellione giustiziati e i pastori luterani e calvinisti espulsi, mentre ritornavano trionfanti i gesuiti. Il trattato di Magonza del 1625 sancì definitivamente la sconfitta della Lega Evangelica. La Boemia veniva inglobata nei possedimenti asburgici, sparendo in tal modo dalla carta geografica europea. Vi sarebbe tornata da entità indipendente solo nel XX secolo, a seguito dei trattati di Versailles, che posero fine alla Prima guerra mondiale nel 1919. Il successo delle armi cattoliche sembrava a quel punto totale e inarrestabile. La fase danese (1625-1629) Nel 1621, terminata la Tregua dei Dodici Anni, si erano riaperte le ostilità tra la monarchia spagnola e le Province Unite. Le operazioni belliche stagnarono per un po’, ma il cambiamento di attitudine della politica francese e l’interessamento alla guerra in atto nell’Impero da parte di La fase francese (1635-1648) La Francia si trovava in quel momento nelle condizioni economiche, finanziarie e militari di sostenere un impegno del genere. Obiettivi dell’intervento erano il rafforzamento dei confini nazionali e la conquista di territori come il Rossiglione, i passi alpini, l’Alsazia, parte delle Fiandre. Le cose non andarono però subito come sperato da Luigi XIII e dall’onnipotente primo ministro Richelieu: il primo attacco alla Spagna non fu affatto risolutivo e non provocò la prevista ribellione nei territori sottoposti al dominio spagnolo, specialmente nelle Fiandre. Anzi, fu l’attacco asburgico a mettere in crisi l’esercito francese, visto che a nord le truppe imperiali arrivarono a poche decine di miglia da Parigi. Ma il trionfo asburgico era impedito da vari fattori: da una parte la tenacia della Svezia di Oxenstierna nell’osteggiare la Germania, dall’altro lo stato di costante e rovinosa guerra civile all’interno dell’Impero, ormai intollerabile per gran parte della popolazione, che aveva dovuto subire violenze e ruberie di ogni genere. C’era bisogno di pace e questo spinse il nuovo imperatore Ferdinando III (1637-1657) a riunire una Dieta a Ratisbona nel settembre del 1640, tra l’altro sotto la minaccia costante delle truppe svedesi. La decisione più importante che fu presa riguardava l’Editto di Restituzione (promulgato nel 1629 da Ferdinando II e che stabiliva la restituzione alla Chiesa di Roma dei beni ecclesiastici secolarizzati dopo il 1552): nonostante le pressioni del nunzio papale la Dieta decise di far cadere l’editto stabilendo che chi aveva incamerato beni ecclesiastici fino al 1627 poteva definitivamente tenerseli. Nel 1641 l’elettore del Brandeburgo raggiunse una pace separata con la Svezia. Intanto l’esercito svedese, ancora alleato della Francia, continuava la sua vittoriosa avanzata in territorio imperiale. Sul fronte spagnolo nel 1640 la doppia rivolta della Catalogna e del Portogallo (unito alla Corona dal 1580) costrinse Filippo IV a ritirare le truppe da altri fronti per impiegarle all’interno, mentre Olivares cadeva definitivamente in disgrazia. Furono dunque eventi interni ai vari paesi - come ribellioni e rivolte, la morte di Luigi XIII e Richelieu, la guerra civile in Inghilterra - nonché l’impossibilità per nessuna delle forze in campo di ottenere la vittoria decisiva sullo schieramento avversario, a convincere le parti che l’unica strada era quella di giungere ad una pace generale. La pace di Westfalia e l’equilibrio degli stati europei Le potenze in campo arrivarono alla pace stanche e sfibrate da una guerra devastante e da una congiuntura politica molto difficile per tutti. Gli stati tedeschi avevano perso una fetta consistente della popolazione (si stima tra il 20% e il 30%), mentre i sopravvissuti avevano conosciuto la miseria, le deportazioni, lo svuotamento di villaggi, le epidemie, le brutalità delle soldatesche. La flotta spagnola era stata distrutta dagli olandesi nella Battaglia delle Dune (1639), mentre le truppe francesi erano riuscite a battere l’esercito asburgico a Rocroi (1643). I negoziati erano stati avviati sin dal 1641; nel 1648 si arrivò ad una serie di trattati firmati nelle città di Münster e Osnabrück (rispettivamente tra Olanda e Spagna, Francia e Impero, Svezia e Impero) noti collettivamente come Pace di Westfalia. Venne innanzitutto riconosciuta definitivamente l’indipendenza dei Paesi Bassi dalla Spagna, ora liberi anche di proseguire nelle loro penetrazioni commerciali in Asia e in Brasile. La Francia si vedeva riconosciuto il possesso dei vescovadi di Metz, Toul e Verdun, di gran parte dell’Alsazia, di altre piazzeforti sul Reno e in Piemonte. La Svezia, che negli anni 1643-1645 aveva combattuto contro la Danimarca, si vedeva riconosciuto il controllo della Pomerania occidentale e della provincia di Haland, raggiungendo in tal modo un indiscusso predominio sul Baltico. All’elettore del Brandeburgo, Federico Guglielmo, vennero dati la Pomerania orientale, i vescovadi di Magdeburgo, Minden e Halberstadt, ponendo così le basi per la successiva ascesa del regno di Prussia. Rimase in piedi il conflitto tra Francia e Spagna, definito solo con la Pace dei Pirenei del 1659. Dal punto di vista religioso il calvinismo fu finalmente riconosciuto come confessione, accanto a cattolicesimo e luteranesimo, mentre fu spostato al 1624 l’annus normalis, l’anno a partire dal quale i beni ecclesiastici secolarizzati avrebbero dovuto essere restituiti alla Chiesa di Roma. Il delegato papale si rifiutò di sedersi al tavolo dei negoziati accanto ai rappresentanti delle potenze protestanti e il papa Innocenzo X non riconobbe mai le deliberazioni prese a Westfalia. Ma quale fu il destino dell’Impero? Il suo potere politico concreto era ormai ridotto a nulla, visto che non aveva alcuna possibilità di intervenire negli affari degli stati tedeschi, nemmeno nelle questioni di politica estera. Da questo momento in poi gli Asburgo d’Austria avrebbero cominciato a interessarsi più dei propri possedimenti ereditari (Austria, Ungheria e Boemia) che degli stati tedeschi. Gli imperatori riuscirono tuttavia a mantenere alto il loro prestigio, soprattutto sganciandosi definitivamente dalla politica confessionale portata avanti dal ramo spagnolo della casata, anche a causa della minaccia costituita dalla aggressiva politica estera di Luigi XIV di Francia, il Re Sole, e dai continui attacchi dell’Impero Ottomano, che in Germania fecero sentire distintamente il bisogno di un legame comune e di una comune guida. La Francia ne usciva sanzionata come prima potenza continentale a discapito di una non doma Spagna, che volle nonostante tutto proseguire la guerra ma che alla fine dovette finalmente cedere il Rossiglione e l’Artois. La Pace di Westfalia riveste un’importanza storica straordinaria. Rappresentò la conclusione definitiva del periodo delle guerre di religione e l’inizio di un processo di secolarizzazione delle relazioni internazionali, che si sarebbero da ora in poi basate sugli interessi degli Stati e non su interessi confessionali. La metà del Seicento segna la nascita del sistema degli Stati europei, il cui principio cardine è costituito dall’equilibrio: bisognava evitare che qualche potenza acquisisse una forza tale da coltivare progetti di egemonia continentale. Fu per tale ragione che l’aggressiva politica di Luigi XIV destò più di una preoccupazione nei sovrani europei della seconda metà del Seicento.
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