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Riassunto Storie di vita - Fabio Veglia, Sintesi del corso di Psicologia Clinica

Riassunto completo e dettagliato del libro del docente per il corso di Psicologia clinica. Ottimo sostituto del libro, o utile per un ripasso.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 04/05/2021

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Scarica Riassunto Storie di vita - Fabio Veglia e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Clinica solo su Docsity! Storie di vita C A P I T O L O 1 L’organizzazione della conoscenza hic et nunc è resa possibile dal continuo confronto di percezioni e stati mentali attuali con sistemi di valori e significati almeno in parte già definiti dal codice genetico, dall'esperienza individuale, dalla cultura di appartenenza e dalle scelte precedenti. I nostri pazienti, ossia i nostri clienti che patiscono, devono trovare in terapia modi, tempi e strategie per utilizzare la loro storia tanto efficaci quanto le leggende e tanto rivelatori quanto le parabole. La storia come significato non sta nei fatti, siano essi completamente determinati dalle condizioni precedenti, o invece parzialmente determinati, o frutto di libero arbitrio, ma nella ricostruzione che fa la mente umana dopo un’accurata selezione dei dati disponibili. Questa cernita basata sulla necessità di conservare la coerenza con i costrutti precedenti e con i sistemi di valori possibili, di fare previsioni sensate sul futuro. La possibilità di tradurre la conoscenza in racconto rende particolarmente efficace, flessibile e creativa la mente umana, e quindi adatta ad affrontare la complessità crescente della sua organizzazione interna e dei problemi continuamente generati dalla realtà esterna. Sovente gli esseri umani sentono il bisogno di spiegazioni sulla natura degli eventi e sul senso del divenire individuale più convincenti di quelle prodotte dalla logica, dalla fisica o dalla statistica inferenziale. La ricerca di significato per la storia, sia essa personale, familiare o universale, sconfina presto nella ricerca della verità, altra fonte di pena e di passione per il genere umano. Tutti gli psicologi e gli psicoterapeuti affermano, in qualche modo, che è necessario comprendere la genesi di un disturbo per poterlo almeno in parte spiegare o che è necessario conoscere la storia degli eventi, dei legami e dei significati a essi attribuiti per poter modificare i meccanismi che regolano il comportamento attuale del paziente. La psicoterapia, infatti, è un forma di conversazione, caratterizzata da finalità e regole un po’ particolari, attraverso la quale entriamo in relazione con il paziente scambiando parecchie parole e assai più numerosi segnali non linguistici. Una storia evolutiva, un percorso quindi, orientato verso qualche meta è quasi certamente previsto per ogni essere umano ed è scritto, come vincolo o possibilità, nel suo codice genetico. Resta il fatto che, per costruire percorsi diversi, abbiamo a disposizione un codice genetico, appunto, che non abbiamo scelto, così come non abbiamo scelto le figure di attaccamento, la cultura, il modello educativo, occasioni ed eventi. In questo modo la nostra strada che sia bella, brutta, felice, infelice etc non sembra dipendere da noi. Eppure resta il desiderio che debba esistere qualche aspetto della nostra storia evolutiva all’interno del quale siamo noi personalmente e liberamente protagonisti. Secondo una posizione ontologica, definita come realismo critico, esiste una realtà esterna, avente una struttura definita, ma la possibilità di conoscere tale realtà è limitata, almeno nel senso della completezza, se non della veridicità. Anche secondo Piaget nessuna conoscenza, sia pure percettiva, costituisce una semplice copia del reale, poiché essa comporta sempre un processo di assimilazione a strutture preesistenti. Sembra comunque dimostrato quanto un atto come vedere, che potrebbe sembrare lineare e oggettivo e in tutto e per tutto determinato dalla realtà esterna, sia invece frutto di un complesso intervento della mente umana su una realtà presunta. Ebbene, l’atto soggettivo del trasformare la realtà per conoscerla, ancor più se posto in una sequenza coerente di atti simili, è in nuce, ciò che abbiamo qui definito «fare storia». Se poniamo in relazione la grande complessità organizzativa del mondo fisico, interpersonale e mentale con questa necessità di costruire personalmente la natura stessa dell’esperienza immediata e poi di trovarne il senso, complici il linguaggio e la coscienza, possiamo scorgere notevoli spazi di autodeterminazione del sistema mente-cervello-corpo e quindi di libera, o almeno socialmente negoziabile, attribuzione di significati. Bruner: “il genoma umano indica in modo preciso il disegno globale del cervello ma in qualsiasi istante della vita di un individuo adulto, buona parte dei circuiti del suo cervello è personale ed unica giacché riflette la storia e le vicende di quel particolare organismo.” Grazie alla possibilità di fare storia e di raccontarla, dunque, un parte del progetto porterà la nostra firma. La questione del libero arbitrio e quindi della possibilità di incidere deliberatamente sulla propria storia evolutiva è di fondamentale importanza per la psicoterapia se, come crediamo, essa non è soltanto un percorso di conoscenza, ma anche un’occasione di cambiamento. Se tale cambiamento fosse completamente determinato dagli antecedenti storici stratificati nella vita del paziente o invece dalle pressioni ambientali si porrebbero due gravissimi problemi etici. Nel primo caso perché, se fosse vero che la conoscenza acquisita non può modificare il corso della storia del paziente, la psicoterapia sarebbe una truffa. Nel secondo caso perché l’arbitrio relativo al cambiamento starebbe tutto nella persona del terapeuta e la psicoterapia richiederebbe di essere un plagio ai danni di una persona debole e sofferente. Pensiamo invece che qualsiasi atto di conoscenza modifichi irrimediabilmente lo stato iniziale del sistema conoscente e, nell’ambito delle relazioni con sé e con gli altri, anche lo stato dell’oggetto conosciuto. La parola sviluppo potrebbe essere utilizzata per descrivere un percorso già scritto in forma sintetica che deve svolgermi e realizzarsi secondo passaggi necessari e regole precise, e con finalità predefinite. La parola evolutivo potrebbe essere usata per descrivere un percorso orientato al cambiamento secondo piani in parte stabiliti, ma con regole più generali e modalità di realizzazione non completamente definite in partenza, anzi giocate sulla ricombinazione, sulla flessibilità e sulle differenze intese come risorsa. Nella persona umana, evoluzione e sviluppo sono così strettamente embricati l’un l’altro nel fare storia, così incorporati nel fare cultura e così fortemente compromessi, nel loro procedere verso la meta, dalle pressioni ambientali, che risulta sempre molto difficile separarli per analizzarli. Può essere comunque utile distinguerli dal punto di vista linguistico per dichiarare con più trasparenza a se stessi e al paziente quali sono le intenzioni che ci muovono nella conversazione: – storie di sviluppo individuale su base biologica – storia evolutiva individuale nell’organizzazione sinaptica – storia evolutiva e di sviluppo individuale su base ambientale, interpersonale e culturale – storia evolutiva individuale su base soggettiva, intenzionale, arbitraria. Se la storia è organizzazione di sequenze, se è attribuzione di significati, se è tentativo di trasformazione evolutiva dei rapporti tra sé e il mondo, se è previsione del possibile o del futuro, allora la storia è sostanzialmente un processo di conoscenza. E come tale può essere tacita o dichiarativa, consapevole o inconscia. E così sono le nostre storie: alcune, o certe loro parti, già costruite in forma di racconto e quindi immediatamente narrabili, altre organizzare in sequenze cinematografiche o in percorsi guidati da icone e quindi in una parte traducibili, altre ancora, vivide e presenti, ma principalmente sentite, incarnate e quindi alla fine intraducibili, e altre provvisoriamente inenarrabili, come l’indecente, il rimosso. l’intervento clinico più complesso, ma necessario, riguarda proprio le storie intraducibili e inenarrabili. Il linguaggio, con la forza delle metafore e con la flessibilità delle sue componenti linguistiche, integrate con quelle più squisitamente somatiche, permette, se usato con maestria, questi giochi estremi nella conversazione. Ma, addirittura, consente di avvicinare l’intraducibile, partecipando a costruire l’esperienza della condivisione anche quando il contenuto è completamente incarnato. C A P I T O L O 2 Ogni persona, nel suo divenire, costruisce, incarna e racconta una storia. Come i loro personaggi, anche le nostre storie sono molteplici, uniche e irripetibili. Non si può dunque eludere la storia del paziente, né la nostra, né quella dei nostri vecchie e delle nostre, così diverse, culture. Oltre al resto, saremo comunque sempre costretti a parlare di due storie in una: quella che il paziente racconta di sé a se stesso e quella che il terapeuta si racconta del paziente. È indispensabile interrogarsi sui riferimenti teorici, sul metodo, sull’atteggiamento persona e, eventualmente, sulle tecniche che ognuno di noi utilizza per condurre un intervento sulla storia personale del paziente. Ed è necessario collocare tali riflessioni all’interno di una cornice epistemologica che ne conservi e restituisca i possibili significati. Da questa idea è nato il libro. Non siamo ancora in condizione di presentare una teoria stabile e integrata dell’intervento clinico sulle storie di vita, almeno per quanto riguarda l’ambito cognitivista. In questo capitolo esponiamo le riflessioni e le suggestioni del nostro gruppo di ricerca sulle aree di connessione tra lo studio delle storie personali e alcuni aspetti della vita umana indagati dalla psicoterapia. Dare il nome significa, in molte culture, partecipare alla creazione, dare realtà e identità alle cose, portarle alla storia. I genitori, che per primi nominano il proprio figlio, danno inizio e consistenza al suo racconto, ed entrano, con quel nome, nel labirinto della sua storia. Accettiamo facilmente di non sapere ciò che i nostri pazienti non sanno, ma infastidisce fare tanta fatica per conoscerli e scoprire che sono loro stessi a cancellare le tracce o a negarci l’accesso alle loro cose. Non è raro che dopo i primi 5 minuti di colloquio ci si sente già in grado di descrivere al paziente il disturbo di cui ancora non ci ha parlato e buona parte della storia della sua vita. È un gioco appassionante, ordinato ma sostanzialmente descrittivo e in realtà non spiega nulla, non permette di costruire storie, ma referti, non avvicina a significati, piuttosto confeziona etichette. Riteniamo pertanto che il terapeuta debba consapevolmente rallentare la costruzione interna di sequenze, lasciando che nuovi dati possano invalidare i numerosi, probabili falsi storici che, soprattutto se esperto, rischia di generare, e che debba conservare il maggior numero di ipotesi in attesa, prima di trasformarle in teorie sul paziente o in spiegazioni dei suoi meccanismi mentali. La ricerca degli eventi storici significativi è sicuramente una delle imprese più ardue e complesse della psicoterapia. Quali serie o singoli eventi cercare, come trovarli, come sceglierli e ordinarli? Conviene intanto accordarsi sul significato di evento nella storia individuale e qui intenderemo qualsiasi esperienza soggettiva, costruita selezionando e organizzando uno o più segnali tra quelli percepibili in un periodo dato, discreta, significativa, posta in sequenza con altri eventi, collocata con soluzione di continuità nel fluire del tempo soggettivo. Gli eventi storici individuali sono tali solo perché esiste una persona disposta a riconoscerli, a costruirli nella propria mente e ad attribuire loro un significato. Potremmo considerare questi valori biologici come il fondamento, determinato dall’evoluzione, delle strategie che consentono all’organismo di stabilire il miglior controllo possibile sull’ambiente attraverso le relazioni interpersonali. Ma per fare tutto ciò non erano strettamente necessari il linguaggio e la coscienza di ordine superiore; questo ulteriore passaggio evolutivo sembra essere veramente il salto indispensabile per entrare nella storia in modo consapevole e per modificarne intenzionalmente la traccia. Le motivazioni neocorticali potrebbero essere orientate a dare ordine e coesione a tutte le informazioni o conoscenze legate all’operare dei sistemi motivazioni evolutivamente più antichi. Ma potrebbero anche parallelamente generare la disposizione a cercare e scoprire alcuni modi di attribuire significato alla realtà interna ed esterna caratteristici di un essere umano unico e irripetibile. Proprio la pratica clinica, importante sorgente di ipotesi sperimentali, consente di intuire come, pur variando copioni, esista un canovaccio comune per la rappresentazione di tutte le storie umane, crediamo anche trasversalmente alle diverse culture. Poniamo però l'accento sul fatto che, nella nostra accezione, il tema di vita non è tanto un modo specifico per raccontarsi, quanto un argomento, un vincolo e quindi un’occasione, per la conoscenza di sé e del mondo. Alcuni temi comuni, evolutivamente significativi e caratterizzanti, ma sviluppati da ogni persona con una partitura diversa, sono l’occasione per sentirsi uguali a tutti gli esseri umani e, al tempo stesso, unici al mondo. Sovente la terapia agisce proprio in questo senso. Confermare, condividere, riformulare racconti, così come trovare un nuovo ordine o maggior logica nelle sequenze narrative, nuove prospettive, nuovi possibili significati per le storie di vita del paziente, può consentire uno svolgimento più flessibile, consapevole ricco e armonico dei suoi temi di vita. Individuare i temi di vita è però sicuramente un’operazione arbitraria, rischiosa e suscettibile di errori. Ci è sembrato conveniente distinguere 2 ampie aree tematiche, il controllo/potere e la semantica/condivisione, che prevedono lo sviluppo narrativo di più temi diversi a partire dalle teorie che nel corso della vita si vanno formulando su se stessi, sugli altri e sul mondo. Ognuna delle numerose linee di sviluppo di ogni singolo tema, intrinseche e opzionali, potranno costituire in infiniti modi diversi un occasione narrativa e quindi storica per ciascun essere umano. Gli elenchi sono orientativi, non esaustivi, ma propongono, tra i possibili temi di vita, quelli che più spesso abbiamo modo di incontrare nella pratica clinica. La prima è la tematica del controllo/potere: • controllo di sé • controllo degli altri • controllo degli eventi • ordine • regole, norme • autonomia • rischio-fiducia • sicurezza • dipendenza, indipendenza, interdipendenza La seconda è la tematica della semantica/condivisione: • amore • valore, stima • dovere, sacrificio • definizione di sé • immagine corporea • crisi, crescita • errore, colpa, responsabilità • giustizia, solidarietà • senso complessivo dell’esistenza • armonia I temi che abbiamo collocato nella tematica della semantica e della condivisone, a differenza dei primi, prevedono uno svolgimento meno preciso e assai più personalizzato. Controllo e semantica, potere e condivisone, non devono essere visti come aspetti tematici antinomici né polarizzati, ma al contrario come interagenti nel continuo farsi e disfarsi degli intrecci della nostra storia personale. Le posizioni che assumiamo rispetto al controllare/essere controllati in qualsiasi tipo di interazione con il mondo, partecipano in modo significativo alla definizione di noi stessi e diventano le tracce narrative di numerose nostre storia. Una storia individuale non può esistere se non nella relazione interpersonale cosciente. Le relazioni significative insieme alle nostre predisposizioni genetiche ci differenziano nel bene e nel male orientando lo sviluppo dei temi, alcuni dei quali, sovente, si trasformano in temi critici. Allo stesso modo vogliamo porre l’accento sulla necessità di una relazione significativa perché l’attribuzione di significato sia ricca e fondante. Da soli, non solo non è possibile avere coscienza della propria storia, ma nemmeno dare senso alla vita. l’amore è l’attribuzione condivisa e incarnata di significati attraverso il corpo, i suoi segni, le emozioni ma anche attraverso la parola. Per vivere nel mondo e con gli altri è necessario, anche se non sufficiente, svolgere tutti i temi qui ricordati. La storia dei fallimenti tematici, dei compromessi, degli autoinganni, dei significati mancanti, delle semantiche imposte, partecipa, insieme alla storia delle esperienze positive, all’organizzarsi della personalità e corrisponde all’evolversi della sofferenza mentale, allo strutturarsi della nevrosi. Siamo convinti che la natura profonda della sofferenza umana si manifesti sovente attraverso modalità ricorrenti quali i sintomi, gli scompensi, l’irrigidirsi di stili cognitivi e relazioni, ma che si sveli pienamente soltanto nell’unicità narrativa e nei contenuti irripetibili delle sequenze storiche individuali. C A P I T O L O 4 l ’ i m p o s s i b i l i t à d e l l a t e c n i c a - b a r a Io non possiedo una modalità precisa di raccolta della storia clinica, a che se certamente tendo a interagire con il paziente in modo tale da avere una precisa nozione della sua storia di vita. In sintesi: se provo a formulare una regola, scopro immediatamente che non la seguo in modo affidabile; la seguo cioè ogni volta che non ho buone ragioni per non seguirla. Il dramma è che queste buone ragioni mi si presentano in oltre la metà dei casi. Il mio discorso sarà articolato così: inizierò ricordando che mentre di teoria è possibile scrivere, dato che di conoscenza dichiarativa si tratta, la tecnica è inesprimibile a parole. In quel caso non di tecnica tout court, ma di teoria della tecnica si può parlare. 1. La teoria della psicoterapia si esprime attraverso conoscenze dichiarative, ben verbalizzabile e quindi facilmente riportabile in un protocollo. 2. La tecnica della psicoterapia si esprime attraverso conoscenza procedurale, agita e osservabile, ma difficilmente riportabile in un protocollo. Alle buone teorie si chiede di essere sistematiche ed esaustive: i casi clinici non lo sono, né possono esserlo. Sono però illuminanti rispetto a come si procede correttamente in psicoterapia. 3. Quelle che vengono denominate tecniche (al plurale) sono normalmente un insieme di banalità, che diventano di moda con la stessa rapidità con cui tramontano (paragona un libro di tecniche psicoterapeutiche a uno sulle tecniche di seduzione). 4. Un libro di tecnica è un’impossibilità pratica. I protocolli che vengono auspicati sono inesorabilmente destinati a diventare una sorta di teoria della tecnica, cioè un tentativo di descrivere verbalmente non ciò che si fa davvero, ma ciò che si pensa di fare in psicoterapia. Nella tecnica l’autore mostra come si fa qualcosa: il che è impossibile per via linguistica. 5. La tecnica vera e propria temo continui a sfuggire ai tentativi di immobilizzarla, e abbiamo invece ogni volta una nuova soggettiva narrazione. Una tale teoria della tecnica, più narrata che teorizzata, potrà anche essere un passo interessante, ma non è affatto lo strumento pratico, contrapposto a quelli teorici, di identificazione clinica che alcuni colleghi sembrano cercare. 6. In conclusione, chi desidera imparare la teoria deve leggere buoni libri, chi vuole imparare la tecnica deve rivolgersi a buoni maestri, o essere iscritto a una valida Scuola dove vedere all’opera molti buoni maestri. De3ve inoltre il maestro essere disponibile a dare se stesso, e non solo articoli da lui scritti, e deve l’allievo essere in grado di mettersi in gioco senza timori eccessivi. C A P I T O L O 5 S t e f a n i a B o r g o 1. Storia e divenire individuale: un punto di vista sulla dimensione storico-evolutiva dell esperienza umana’ La raccolta della storia personale ed evolutiva, è nell’ambito medico una pratica di routine, in quando permette di valutare il disturbo non solo nella sua forma attuale, ma anche nel suo decorso, nonché di avere un quadro globale della persona e dell’ambiente in cui è vissuta e vive. Tuttavia essa presenta una notevole complessità e pone problemi che potremmo riferire a ciascuno dei tre termini utilizzati (storia, personale, evolutiva) e al significato implicito che essi veicolano. 1. la parola storia viene usata in tre diverse accezioni. Essa indica: gli eventi, il concatenamento degli eventi, il racconto. Questi tre aspetti sono altrettanto importanti e interrelati. I fatti così come vengono esposti non sono indipendenti da chi li osserva e li riunisce logicamente in un insieme, sullo sfondo di una visione generale. 2. l’elemento personale: fino a che punto l’identità è una realtà e non una finzione o una convenzione. La tendenza a dare un senso unitario all’esperienza è sicuramente una capacità umana, ma la cultura gioca un ruolo importante. 3. Il termine evolutivo, come sviluppo di qualcosa, implica la nozione di un progetto. 2. Storia, sofferenza, malattia: il significato psicopatologico della storia personale Nei vissuti la successione del tempo è spesso non direzionale, come invece accade per il tempo esterno. Se questo rende problematica la raccolta oggettiva della storia, è invece a mio parere, un aspetto favorevole sul piano della conoscenza. Un evento non è solo un frammento di realtà, ma contiene anche informazioni generali che permettono, a partire da una quantità minima di elementi del paziente, di formular un quadro complessivo, utilizzando modalità di interpolazione diverse. Comprendere il disturbo significa inserirlo nella sua naturale evoluzione; conoscere la persona che manifesta il disturbo implica una prospettiva più vasta: non solo la malattia, la sofferenza, ma anche le risorse, le possibilità nonché aspetti generali come l’immagine di sé, l’attribuzione, le prospettive di cambiamento possibile. 3. La ricerca storica: scegliere i dati significativi e individuale le linee di sviluppo La conoscenza della persona è a mio parere l’obiettivo della ricerca. Una conoscenza più vasta rispetto a quella del sintomo o della malattia permette la scelta di strategie più adatte al paziente ed evita di imboccare un percorso contrastante con altre motivazioni personali. Spesso si cerca di comprendere puntigliosamente che cosa avviene in terapia come se tutto accadesse lì, nel breve arco di tempo dell’incontro, mentre talvolta il luogo del cambiamento è decisamente altrove. 4. Raccogliere la storia: strategie, tecniche e strumenti Coerentemente, nello studio degli avvenimenti viene raccolto materiale, possibilmente documentario, del passato e del presente, in modo da poter comparare le diverse fonti e avere informazioni sugli eventi, sul modo con cui vengono interrelati e sul vissuto che li accompagna. Brevemente, vengono analizzate le principali aree (comportamento alimentare, sessuale, nell’uso di droghe, sociale, esplorativo, ritmo sonno- veglia, legame di attaccamento) tramite interviste mirate e resoconti narrativi. Le osservazioni dirette vengono interrelate con il corrispondere narrativo e confrontate con il materiale documentario. un’analisi a parte viene effettuata per le principali emozioni con una metodologia leggermente diversa. Le interviste mirate vengono integrate non con il resoconto narrativo ma con autosservazioni attuate in momenti emozionali. Un discorso a parte richiedono le immagini mentali, collegate a un’elaborazione sintetica: esse spesso danno informazioni diverse rispetto a quelle ottenibili da rappresentazioni verbali. È anche possibile fare una storia dei contenuti onirici registrando la modificazione nella rappresentazione di un tema lungo l’arco della terapia. In genere il procedimento non viene attuato integralmente, ma adattato caso per caso. 5. La storia in psicoterapia: costruire la strategia terapeutica in relazione alla storia di sviluppo L’impostazione di una psicoterapia è sicuramente legata all’orientamento terapeutico, al genere del terapeuta, al contesto in cui si svolge, alle variabili personali del paziente, ma anche all’incontro peculiare tra due individui, come avviene in ogni rapporto umano. Se la storia del psicoterapeuta non è solo legata alla storia del paziente e se la strategia terapeutica non è decisa soltanto dal terapeuta, sorge il problema di differenziale le due voci per farle esprimere compiutamente. E soprattutto non attribuire la voce dell’uno all’altro. In una relazione sul caso clinico vi è in genere un resoconto asettico delle caratteristiche, perlopiù morbose, del paziente. I casi in corso presentano spesso numerosi dubbi e ipotesi contrastanti, mentre i casi conclusi sono molto più lineari. Nei casi interrotti sembra proprio non essersi formata una trama logica. È probabile che nel corso della terapia avvenga una sorta di negoziazione che porta a un accordo, su quanto è accaduto, tra paziente e terapeuta. E che questo abbia un effetto terapeutico. 6. Una storia narrata: come condividere l emergere della storia di sviluppo nella relazione terapeutica’ Nello studio dei casi clinici abbiamo osservato un’atmosfera di familiarità che si esprime nell’utilizzazione, da parte del terapeuta, di termini colloquiali come “mamma” e “papà” in luogo dei formali “madre” e “padre”. Spesso viene usato il pronome “Noi”, che il paziente prontamente riprende e comincia ad adottare autonomamente, alludendo a qualcosa che si fa insieme, che unisce in un obiettivo comune. Un contatto emotivo sembra essenziale per la relazione terapeutica, anche se è difficile dire quale sia il livello di coinvolgimento ottimale che comunica al paziente interesse e partecipazione pur mantenendo l’opportuno distacco. Se il terapeuta conosce i suoi vissuti è in grado di differenziali da quelli indotti dal paziente e di introdurli correttamente nel contesto terapeutico. 7. Comprendere la storia: paziente e terapeuta a confronto nella rilettura di eventi, significati e vissuti La funzione del terapeuta è simile a quella di una guida: dà sicurezza, fornisce un metodo, aiuta ad affrontare gli ostacoli, che talora sono molto grandi e impediscono il lavoro di ricostruzione. Quando finisce l’indagine? Quando possiamo dire di aver compreso la storia? Teoricamente mai. In effetti la durata della terapia, a seconda degli orientamenti, è estremamente variabile. 8. Storia e cambiamento: l uso terapeutico di una storia rintracciata, narrata, condivisa, compresa’ Molte persone arrivano in terapia con l’idea che le vicende dolorose di cui sono stati protagonisti hanno lasciato un segno indelebile. Eppure la storia, in senso generale, può cambiare radicalmente a seconda di chi la scrive. Come= riassumendo quanto detto in precedenza è possibile fare numerose operazioni: scoprire nuovi eventi, ricordarli diversamente, viverli in altro modo, raccontarli in un altro modo, considerarli veri, considerarli conclusi, cambiare la visione del mondo, cambiare la visione di sé. Queste operazioni, che modificano più o meno radicalmente la storia, modificano anche la persona. Il lavoro sulla storia di un paziente talora può non essere utile. Può addirittura essere controindicato? In alcuni casi si: mi è capitato, a volte, di trovare un’enorme riluttanza a ritornare nel passato, come se fosse un capitolo da non riaprire. Questa tendenza viene in genere rispettata, costatando puntualmente che il paziente ha fatto una scelta saggia. Ma è un’eventualità, nella mia esperienza, molto rara. 9. La storia di Edoardo C A P I T O L O 7 L o r e n z o C i o n i n i 1. Storia e divenire individuale: un punto di vista sulla dimensione storico-evolutiva dell esperienza umana, ’ Ogni essere umano è il prodotto di tutte le esperienze fatte e rappresentate. Ogni esperienza è resa possibile e vincolata dalla struttura del soggetto conoscente, che può modificarsi in funzione dell’esperienza stessa mediante processi ciclici o ricorsivi. Lo sviluppo consiste in un aumento della complessità del sistema conoscitivo che si attua attraverso i processi interagenti della differenziazione, integrazione e organizzazione gerarchica delle strutture di conoscenza. L’aumento di complessità comporta una maggiore potenzialità euristica ovvero una maggiore capacità del sistema di costruire anticipazioni percorribili di sé e del mondo. Nel momento in cui una persona giunge alla decisione di prendere in considerazione un aiuto psicoterapeutico, essa segnala che questo processo non è svolto in modo soggettivamente soddisfacente. Questo segnale può essere rappresentato dal ciò che comunemente viene definito sintomo psicopatologico, ma anche dalla sensazione di un’insoddisfazione. In quest’ottica l’obiettivo della psicoterapia diviene quello di comprendere il significato del sintomo, di leggere le informazioni adattive che esso veicola. La ricostruzione della storia di vita consente di cogliere il senso del divenire individuale e di comprendere di conseguenza la funzione del sintomo ai fini del mantenimento dell’equilibrio e della coerenza sistemica. A partire dalla relazione di attaccamento e da altre predisposizioni innate, il bambino comincia a costruire schemi e regole che rappresentano le basi del suo sistema e attraverso i quali definisce ciò che è possibile attendersi dal mondo e da se stessi. La modalità con cui tutte le esperienze successive vengono costruite determina l’insieme delle caratteristiche che giungono alla nostra osservazione nel momento della richiesta di aiuto. 2. Storia, sofferenza, malattia: il significato psicopatologico della storia personale personalmente uso la storia di vita in funzione di due obiettivi: nell’assessment, per costruire un primo modello ipotetico delle caratteristiche del sistema conoscitivo del paziente che permetta di comprendere il suo disagio e costruire un’ipotetica spiegazione; durante tutto il corso della terapia, per aiutare il paziente a dare un significato unitario al suo divenire , integrando i diversi tipi di conoscenze relative a sé e alla sua storia. I primo colloquio è finalizzato alla comprensione della domanda e del problema presentati; da accordo, le tre sedute successive non si parlerà del problema, ma verrà richiesta una narrazione guidata della storia di vita. Questo per: comprendere le modalità di funzionamento attuale del sistema conoscitivo del paziente; comprendere le tappe e i momenti critici che hanno orientato il percorso di sviluppo fino all’esito attuale; comprendere i processi di equilibrazione del sistema; comprendere in quale modo i sintomi siano funzionali al paziente e al mantenimento della sua coerenza sistemica. 3. La ricerca storica: scegliere i dati significativi e individuale le linee di sviluppo Nelle sedute di assesstment la prima domanda è finalizzata a raccogliere i ricordi episodici o iconici più antichi che il paziente ha della propria infanzia, secondo un criterio di tipo associativo. Successivamente le domande si fanno più dettagliate e specifiche: tipo di relazione di attaccamento, il tipo di relazione fra i genitori, rapporti con i coetanei, espressione delle emozioni etc. Per il periodo scolare i temi rilevanti sono l’inizio della scuola, i rapporti con i vari personaggi, l’attenzione dei genitori per queste. Rispetto all’adolescenza, le modificazioni fisiche, la scelta della scuola, le relazioni affettive, la percezione di sé. I temi relativi alla vita adulta sono più numerosi e il paziente è in genere più consapevole di quali siano gli eventi più rilevanti: esperienze di distacco, principali relazioni di coppia, eventuali figli, esperienze lavorative e sociali. Ciò a cui viene dato rilievo, è il modo in cui il paziente ricostruisce la sua esperienza e struttura il racconto. Durante l’ascolto il terapeuta è come se cercasse di ricostruire un fenomeno a lui sconosciuto, possono essere utili in tal senso i modelli organizzativi di conoscenza, come guida per la produzione di ipotesi plausibili. Scopo di tale raccolta, è giungere a enucleate una serie di elementi analitici che permettono di costruire un modello individuale e peculiare dell’organizzazione cognitiva del paziente. La lettura della trascrizione viene effettuata utilizzando due criteri di analisi: del contenuto e della strutturale formale. dall’analisi del contenuto è possibile identificare: gli schemi di attaccamento , gli schemi prevalenti, le caratteristiche strutturali del sistema all’interno delle dimensioni flessibilità, lassità, rigidità, gli schemi e i processi di compenso/scompenso. l’analisi della struttura del discorso permette di: identificare il pattern attuale di attaccamento, valutare quali sistemi di conoscenza vengano utilizzati in maniera privilegiata e quindi quale tipo di informazione tende a essere utilizzata in maniera prevalente. 4. Raccogliere la storia: strategie, tecniche e strumenti Più che di tecniche e strumenti specifici, è possibile parlare di criteri utilizzati nella conduzione di un colloquio, per guidare il paziente nel suo racconto. Un primo aspetto riguarda la formulazione delle domande, poiché diversi stili formazione possiamo attivare diversi sistemi di conoscenza. è possibile distinguere quattro tipi di domande: quelle che presumibilmente attirano la conoscenza semantica dichiarativa del paziente, quelle che presumibilmente attivano la conoscenza effettiva immaginativa, quelle che attivano la conoscenza episodica, quelle infine che presumibilmente attivano processi integrativi per diversi tipi di conoscenza e che possono essere utili per verificare il livello di coerenza esistente fra essi. In relazione ai diversi argomenti trattati opportuno che vengano utilizzate tutte e quattro le domande per poter valutare quali sistemi di conoscenza il paziente tende ad attivare più frequentemente e con quale livello di coerenza interna i medesimi eventi di vita vengono costruiti mediante diversi sistemi di conoscenza. i presupposti teorici alla base di questa procedura di raccolta prevedono che: le memorie affettive immaginative risentono essenzialmente dell'esperienza immediata, in età prescolare le conoscenze dichiarative siano significativamente influenzate dalle codifiche genitoriali, nella memoria episodica vengono memorizzati prevalentemente gli eventi affettivamente significativi. in generale il terapeuta si pone in posizione di ascolto intervenendo il meno possibile, soltanto lo stretto necessario per indirizzare il racconto nella direzione desiderata. 5. La storia in psicoterapia: costruire la strategia terapeutica in relazione alla storia di sviluppo A conclusione nell'assessment, i dati raccolti e le ipotesi costruite vengono ordinati in quella che io definisco sintesi cioè un elaborato scritto ad uso esclusivo del terapeuta, che rappresenta definizione della teoria che questi ha cominciato a costruirsi del sistema paziente. la sintesi viene strutturata in 3 aree: definizione del problema, caratteristiche del sistema conoscitivo del paziente, obiettivi e strategie, obiettivi strategici di cambiamento. 6. Una storia narrata: come condividere l emergere della storia di sviluppo nella relazione terapeutica’ Il lavoro sulla storia non rappresenta, nel mio modo di condurre la terapia, una fase temporalmente identificabile del processo terapeutico, ma un evento più o meno frequente innescato quanto sta accadendo nel setting. Un'occasione per spostare il lavoro terapeutico dal presente al passato è offerta spesso dell'analisi delle modalità con cui il paziente tende a porsi in relazione terapeutica. talvolta il paziente stesso ad effettuare in modo automatico collegamenti fra ciò che sta vivendo ed eventi della propria storia; in altri casi la ricostruzione di significati indotti in terapia può portare a un automatico e immediato emergere di ricordi spontanee relativi a eventi particolarmente significativi della propria vita. In tutti i casi gli obiettivi principali sono definibili nei termini di un’integrazione nella conoscenza del paziente di informazioni memorizzate mediante codici diversi e una ricostruzione del significato ha la propria storia con conseguente contestualizzazione, indebolendo così il processo automatico di generalizzazione. 7. Comprendere la storia: paziente e terapeuta a confronto nella rilettura di eventi, significati e vissuti Durante la terapia e ricorso alla storia si verifica in maniera sporadica in rapporto gli argomenti sui quali di volta in volta si sta lavorando. Quando si lavora su uno specifico episodio di particolare significatività, è opportuno che ricordo venga ricostruito nella maniera più dettagliata possibile, non so relativamente ai fatti, ma anche al significato a loro attribuito e alle emozioni provate all'epoca. In altri casi, e più frequentemente, la ricostruzione storica non si riferisce ai bisogni specifici ma all'identificazione di regolarità nella storia stessa che aiutano a comprendere modalità di essere di reagire nel presente. la scelta nel momento opportuno per proporre analogia tra eventi storici accadimenti del presente, dipende da numerosi variabili ed è difficilmente definibile in termini di criteri generali. Gli obiettivi di questa rilettura storica possono essere sinteticamente definiti in alcuni punti: riuscire a costruire un possibile significato fra le proprie conoscenze generali e il ricordo degli eventi della propria vita passata; cogliere le implicazioni che tali eventi, e i significati attribuiti, hanno avuto rispetto all'immagine di sé e al modo di rapportarsi con le altre persone; ricostruire narrazioni alternative della propria storia capaci di offrire una spiegazione internamente più coerente e comprensibile su fatti e persone coinvolte. 8. Storia e cambiamento: l uso terapeutico di una storia rintracciata, narrata, condivisa, compresa’ La valenza dell'uso terapeutico della storia ai fini del cambiamento: in primo luogo si tratta di attivare un processo di comprensione tramite reinterpretazione di alcuni eventi di vita che più di altri ne hanno influenzato la ristrutturazione dell’identità personale. una diversa ricostruzione di tali eventi e situazioni può consentire sia una migliore rappresentazione delle proprie caratteristiche personali, sia una diversa comprensione degli altri. Inoltre dare un senso alla propria storia consente di relativizzare gli schemi e le aspettative alle sue specifiche circostanze e alle specifiche caratteristiche dei suoi personaggi. La comprensione e l'integrazione della propria storia di vita dovrebbe condurre la capacità di integrare in sé e diversi sistema di conoscenza, mettendoli in grado di costruire e discriminare le differenze e ridefinire le proprie anticipazioni e reazioni in funzione di esse. 9. La storia di luca 10. Sulle tracce della storia: lineamenti per una critica alla ricerca storica in psicoterapia I miei colleghi criticano la raccolta sistematica della storia di vita che conduco in fase di assessment, poiché ciò che conta è la costruzione e la ricostruzione che il paziente fa di se stesso durante la terapia. Condivido l'assunto generale, ma non la critica. In primo luogo io propongo nella prima seduta i ruoli reciproci nella relazione definendo il paziente l'esperto del contenuto e il terapeuta l'esperto del metodo. Infine ritengo che le caratteristiche essenziali di un buon terapeuta dipendano non tanto dall'utilizzazione o meno di alcune specifiche procedure, quanto dalla capacità di costruire ipotesi sufficientemente definite e dalla flessibilità e disponibilità a invalidarle. C A P I T O L O 8 V i t t o r i o G u i d a n o 1. Storia e divenire individuale: un punto di vista sulla dimensione storico-evolutiva dell esperienza umana, ’ Da un punto di vista epistemologico un sistema biologico è un sistema storico in cui la dimensione temporale è parte integrante del suo stesso auto organizzarsi: lo scorrere della dimensione temporale determina la vita il sistema e la qualità dell'esperienza stessa. l'individuo resta incomprensibile se non si fa riferimento alla sua storia. In riferimento alla storia del paziente differenziamo gli aspetti riferibili alla sua storia di vita. già quando ci si occupa in psicoterapia di quella che si chiama dimensione di vita attuale ci occupiamo di una dimensione storica perché dimensione di vita attuale comincia da quando è sorto lo scompenso. Un altro aspetto rilevante è quello che chiamiamo ricostruzione dello stile affettivo della persona, che è la ricostruzione della carriera sentimentale. L’interesse qui è focalizzato sull'andamento, nel corso del tempo, delle modalità con cui il paziente è stato in grado di formare, mantenere e rompere legami affettivi. Un altro aspetto indagato in un momento più avanzato della terapia, è quello che noi chiamiamo storia di sviluppo e che fa riferimento a quella parte di vita che corrisponde alla prima infanzia, agli anni prescolari, e tocca la pubertà fino a ricongiungersi con la storia affettiva. La storia di sviluppo è l'indagine del passato remoto. il terapeuta, dall'immagine che il paziente gli offre, dovrà insieme a lui ricostruire il possibile ambiente familiare è impossibile stile di attaccamento che ha prodotto quell'immagine. È la difficoltà che si trova ad affrontare chi svolge questo mestiere. 2. Storia, sofferenza, malattia: il significato psicopatologico della storia personale É importante ricostruire la storia di vita attuale a partire da quando il paziente ha lo scompenso, ma è bene sottolineare come sia altrettanto importante ricostruire la storia del paziente anche prima poiché gli eventi non agiscono di per sé, ma acquistano un significato piuttosto che un altro in funzione della storia personale del paziente. 3. La ricerca storica: scegliere i dati significativi e individuale le linee di sviluppo Ciò che è significativo dipende dal modello epistemologico-metodologico assunto. Usando il gergo tecnico possiamo dire che il significato e l'esperienza si costruiscono insieme. Quindi per noi è fondamentale riuscire a ricostruire come prende forma quel tipo di coerenza di significato e come prende forma il modo in cui il paziente ha mantenuto nel tempo quella coerenza: è su questo sfondo che poi gli eventi acquistano un valore. 4. Raccogliere la storia: strategie, tecniche e strumenti La tecnica per la raccolta della storia è essenzialmente unica, e consiste nel ricostruire la storia non limitandosi esclusivamente alle spiegazioni che dà il paziente; questi infatti non ricostruisce la storia, quanto piuttosto fornisce le sue opinioni, le sue spiegazioni e le sue conclusioni su di essa. Talvolta in questa operazione può essere utile servirsi di fotografie, soprattutto quando si lavora sulla storia di sviluppo, dal momento che qui i dati sono molto scarsi rispetto alle altre fasi di vita. Il problema nella ricostruzione della storia attuale è opposto a quello della storia di sviluppo: qui occorre sfrondare un’enorme matassa di dati irrilevanti. 5. La storia in psicoterapia: costruire la strategia terapeutica in relazione alla storia di sviluppo 5. La storia in psicoterapia: costruire la strategia terapeutica in relazione alla storia di sviluppo Comprendere quali problemi interpersonali il paziente abbia tentato di risolvere al prezzo della costruzione di convinzioni e rappresentazioni disfunzionali, assiste il terapeuta nell’elaborare la strategia di trattamento in almeno tre modi. 1) innanzitutto aiuta a identificare le condizioni conoscitive che devono essere previamente raggiunte perché sia possibile al paziente abbandonare o almeno sottoporre a esame critico le proprie convinzioni disfunzionali; 2)in secondo luogo la sconoscenza della storia personale connessa allo sviluppo di una particolare credenza patogena aiuta il terapeuta a comprendere e sfruttare le occasioni offerte dalla relazione terapeutica al fine di facilitare nel paziente un’esperienza correttiva; 3) infine permette di cogliere numerosi aspetti, non sempre evidenti all’autosservazione del paziente, dell’influenza di tale convinzione patologica all’interno delle operazioni mentali attuali. 6. Una storia narrata: come condividere l emergere della storia di sviluppo nella relazione terapeutica’ Può accadere, che il paziente trovi utile e interessante soffermarsi a lungo su aspetti diversi dalla propria storia. Se ciò accade, il terapeuta si trova di fronte al dilemma se sostenere il paziente in tale esplorazione sistematica dei propri ricordi. La relazione terapeutica è, o dovrebbe essere, una relazione di cooperazione in vista di un obiettivo congiunto rappresentato dal migliore equilibrio emotivo e dalla maggiore libertà di comunicazione e di esperienza da parte del paziente. Un altro e ben diverso aspetto del rapporto che intercorre fra relazione terapeutica e rievocazione di alcuni aspetti della storia del paziente è rappresentato da quanto a volte accade nelle occasioni in cui l’atteggiamento del terapeuta esercita tacitamente un’influenza correttiva su alcune importanti convinzioni patogene del paziente. Potrà allora accadere che il paziente rievochi spontaneamente alcune antiche esperienze interpersonali su non aveva mai fino ad allora riflettuto, e la colleghi a una struttura di significato in via di revisione. 7. Comprendere la storia: paziente e terapeuta a confronto nella rilettura di eventi, significati e vissuti Il modello cognitivo-evoluzionista attribuisce fondamentale importanza ai molteplici sistemi innati di regolazione del comportamento interpersonale: attaccamento, accudimento, agonismo, cooperazione, sessualità. In questo modo, ogni episodio della storia narrata del paziente viene utilizzato come una sorta di scena modello che illustra le diverse motivazioni alla relazione interpersonale e le tipiche emozioni connesse a ciascuna di esse. Uno degli scopi del terapeuta è di rendere evidente la natura contestuale di ogni esperienza interpersonale, limitando la tendenza alla generalizzazione tipica della conoscenza semantica. Un secondo scopo del terapeuta è l’identificazione della funzione delle emozioni. Rispetto a queste, l‘apparato cognitivo può non riconoscerne o invalidarne il significato, e ciò accade spesso nella genesi di quelle emozioni esasperate che caratterizzano la psicopatologia. Le scene modello ricostituite a partire da episodi della storia personale costituiscono un’occasione utile per apprezzare la funzione delle emozioni; e a volte per rilevare con grande chiarezza la distanza tra le informazioni di prima mano circa il significato di tale episodio, e il significato che allo stesso episodio è fornito da altri autorevoli. 8. Storia e cambiamento: l uso terapeutico di una storia rintracciata, narrata, condivisa, compresa’ La storia che il paziente narra è dunque prima una storia ascoltata con empatia, e poi una storia compresa in un nuovo modo grazie al lavoro sulle scene modello. Non è stato ancora affrontato un caso particolare: il caos in cui la stessa richiesta di psicoterapia è almeno in apparenza, totalmente rivolta la ricostruzione di un aspetto importante della propria storia personale. Intendo soffermarmi sulla tesi che, anche in questi casi, in cui l’intera terapia sembrerebbe consistere nella ricostruzione della memoria autobiografica lesa dal trauma, la rievocazione e la nuova comprensione della storia personale, non costituiscono condizione sufficiente per il cambiamento terapeutico. 9. La storia di Marisa 10. Sulle tracce della storia: lineamenti per una critica alla ricerca storica in psicoterapia Secondo il modello cognitivo evoluzionista, ogni essere umano, per quanto gravi siano state le esperienze avverse che ha incontrato, continua a essere predisposto a perseguire tutti i valori innati che l’evoluzione ha selezionato nella nostra specie, inclusi quei valori che non è riuscito a conseguire efficacemente nel corso della sua storia. Credo che ogni paziente arrivi a ogni seduta della sua psicoterapia con l’intenzione più o meno consapevole di discutere ciò che oggi gli procura apprensione, dolore, curiosità etc. piuttosto il terapeuta, pur meritoriamente curioso di conoscere la storia di sviluppo del suo paziente, per cominciare a raccogliere qualche notizia sui suoi trascorsi dovrà accontentarsi di trarre spunto dai frammenti di ricordo che spontaneamente riaffiorano nel discorso, o al più indagare su possibili somiglianze sul modo attuale di esperire relazioni significative e le esperienze relazionali passate. C A P I T O L O 1 0 M a r i o r e d a 1. Storia e divenire individuale: un punto di vista sulla dimensione storico-evolutiva dell esperienza umana, ’ Occupandoci della storia di una persona, ci troviamo di fronte a un organismo biologico che ha un suo sviluppo, una sua evoluzione ed è da considerare un sistema chiudo. Secondo l’epistemologica della complessità l’evoluzione del sistema avviene in modo autopoietico e autoreferenziale e si caratterizza per cambiamenti che gradualmente fanno evolvere quella che è la caratteristica fondamentale dei sistemi biologici, la conoscenza. Pertanto un organismo in via di sviluppo è improntato a un obiettivo preciso, quello di conoscere. Lo sviluppo dei sistemi complessi autopoietici non può prescindere dall’interazione dei sistemi con l’ambiente, e specificamente all’interazione reciproca con le figure di riferimento. Pur essendo un sistema chiuso, l’incontro con l’ambiente fa si che trovi lo stimolo a continuare la crescita, influenzandone il percorso di sviluppo. 2. Storia, sofferenza, malattia: il significato psicopatologico della storia personale Conoscere la storia del paziente serve a comprendere meglio il suo disturbo. Il motivo risiede nel fatto che per comprendere davvero un disturbo psicopatologico bisogna cogliere il momento in cui il paziente è passato da una situazione di mantenimento e relativa stabilità emozionale allo scompenso. Questo è un lavoro indispensabile perché una psicoterapia possa chiamarsi tale: vedere il paziente solo dopo lo scompenso e pretendere di eliminare la patologia senza parlare delle modalità di mantenimento precedenti allo scompenso, vuol dire non fare un lavoro di reale comprensione del disturbo. 3. La ricerca storica: scegliere i dati significativi e individuale le linee di sviluppo La ricerca storica che conduco nel mio fare psicoterapia è orientata verso al comprensione delle modalità di interazione che il paziente mette in atto con le sue figure significative, il che corrisponde a comprendere quale sia il suo stile interattivo e quali le sue modalità emozionali nello stabilire i rapporti interpersonali. Questo vuol dire che nella ricerca storica i dati più significativi non sono tanto gli accadimenti effettivi che il paziente ha esperito, quanto piuttosto il modo in cui il paziente è stato portato successivamente a spiegarsi questi accadimenti in funzione del tipo di interazione verbale con le figure di riferimento. 4. Raccogliere la storia: strategie, tecniche e strumenti Personalmente non utilizzo strumenti per raccogliere la storia di un paziente, se non a livello di ricerca. Esiste comunque una modalità tecnica per raccogliere i dati che con Guidano abbiamo costruito negli anni e in cui vengono indicate quali sono a livello tecnico le tappe della storia di sviluppo che è necessario tenere presenti e sulle quali soffermarsi durante la raccolta della storia. Queste sono l’infanzia, la fanciullezza, la pubertà e l’adolescenza e sono solo però un punto di partenza che il terapeuta utilizza per cominciare a comprendere la qualità degli scambi interpersonali con le figure di riferimento. 5. La storia in psicoterapia: costruire la strategia terapeutica in relazione alla storia di sviluppo Conoscere il paziente e la sua storia personale permette di costruire una strategia terapeutica, che tende a far riprendere al paziente quelle modalità di vivere che lo hanno sempre caratterizzato e che vengono in qualche modo arricchite dal riuscire a superare il momento di scompenso, che rispetti e tenga conto delle modalità personali di vita del paziente, modalità che vengono conosciute attraverso la ricostruzione della sua storia personale. 6. Una storia narrata: come condividere l emergere della storia di sviluppo nella relazione terapeutica’ Il mio modo do fare terapia non prevede l’uso diretto della relazione per sapere se il paziente prova nei miei confronti delle emozioni di transfert. Pertanto faccio una interpretazione traendo indicazioni dal suo atteggiamento nei miei confronti e da quelle che sono state le interazioni con le figure significative. l’emergere dei contenuti storici può modificare la relazione del terapeuta con il paziente, nel senso che può aumentare il livello di vicinanza e di comprensione che il terapeuta ha del paziente. 7. Comprendere la storia: paziente e terapeuta a confronto nella rilettura di eventi, significati e vissuti Secondo il mio modo di fare psicoterapia, una volta emersi i contenuti della ricerca storica, quello che è necessario fare è sempre ricentrare sul paziente l’esperienza accaduta nel passato. La storia del passato va utilizzata con la massima delicatezza e attenzione, anche perché se si riesce a compiere in maniera adeguata questa operazione si riesce a favorire la consapevolezza e l’individualizzazione nel paziente, e si acquisisce una grande importanza nell’interazione con lui. 8. Storia e cambiamento: l uso terapeutico di una storia rintracciata, narrata, condivisa, compresa’ In sintesi, il cambiamento terapeutico consiste nel far ritrovare al paziente, in alcuni settori della sua vita, la sua individualità, sulla quale non si era prima soffermato o perché le cose procedevano in modo molto naturale prima dello scompenso, o perché non c’era mai stata da parte dell’ambiente circostante una richiesta chiara di mettere alla prova e farla venire fuori. 9. La storia di Giulia e Paola 10. Sulle tracce della storia: lineamenti per una critica alla ricerca storica in psicoterapia Un errore da evitare nel fare ricerca storica in psicoterapia è partire dalla storia evolutiva, pretendere cioè di conoscere un paziente dalla sua storia passata. La linea da seguire a parer mio, è quella di lavorare sempre di più sulla storia dello scompenso e sulle modalità precedenti e di avere come obiettivo il processo di individualizzazione, se possibile ripercorrendo a ritroso la storia, e arrivare all’infanzia anziché partire da essa. Il lavoro terapeutico si basa sul riordinare la propria esperienza in riferimento ai propri vissuti. C A P I T O L O 1 1 A n t o n i o S e m e r a r i e G i a n c a r l o D i m a g g i o 1. Storia e divenire individuale: un punto di vista sulla dimensione storico-evolutiva dell esperienza umana, ’ Bruner, Spence, Sarbin hanno riportato all’attenzione degli psicologici l’importanza del racconto come organizzatore della realtà e l’esistenza di una dimensione narrativa della mente. Markus e Nurius hanno proposto un modello nel quale il sé è visto come una molteplicità di narrazioni possibili, alcune attuali, altre desiderate, temute, fantasticate. Borges squaderna molte volte la tesi che il sé è costituito da ruoli interiori molteplici, intrecciati, e solo il caso porta l’individuo a occuparne uno. Liotti sottolinea come l’integrazione tra le narrazioni multiple che fondano il sé avvenga grazie a una costante fatica di integrazione, un processo incessante di sintesi psichica. 2. Storia, sofferenza, malattia: il significato psicopatologico della storia personale Non il solo contenuto è importante nel mantenere una malattia, ma il modo in cui esso è suddiviso, monitorato, tradotto in azione, collocato nei giusti ambiti psicologici. Il concetto fondamentale è quello di metacognizione, e la psicopatologia a cui noi pensiamo è quella dei deficit funzionali dei vari aspetti di questa funzione. Per metacognizione si intende la capacità dell’individuo di compere operazioni cognitive euristiche sulle proprie e altrui condotte psicologiche. Nonché la capacità di utilizzare tali conoscenze a fini strategici per la soluzione di compiti e per padroneggiare specifici stati mentali fonte di sofferenza soggettiva. È possibile una volta che si siano categorizzate queste funzioni mentali, osservare nella clinica i loro deficit. In questa sede evidenziamo i deficit metacognitivi dell’organizzazione narrativa. Si tratta di disfunzioni che appartengono al macrolivello narrativo, non si stratta di errori cognitivi o disfunzionalità degli schemi interpersonali, ma di come le storie nel loro insieme sono poste in relazione, utilizzate come mappa di sé nel mondo, monitorate. 1) deficit di produzione delle narrazioni: i pazienti affetti da disturbo schizoide di personalità o psicosi, hanno un set di storie che raccontano la loro azione in un mondo limitato, insufficiente a fornire loro modello per costruire e affrontare la complessità del mondo. 2) iperproduzione delle narrazioni e deficit di gerarchizzazione: è frequente nella patologia isterico dissociativa associata ai disturbi di personalità del dramatic cluster. l’azione del paziente è spesso paralizzata se sis tratta di portare avanti scopi a lungo termine, ed è favorita l’azione impulsiva, non pianificata, guidata dalla tendenza dell’emozione dominante. 3) Deficit di distinzione tra vero e verosimile: per Bruner il vero è l’obiettivo del ragionamento proposizionale e il verosimile è l’obiettivo del raccontare storie: ovviamente va precisato che le nostre parole possono descrivere con cura i fatti accaduti, a volte possono essere imprecise, altre volte sono esplicitamente mendaci, inventate intenzionalmente. 4) Deficit di integrazione delle narrazioni: avendo presente l’evento patologico più eclatante che è il disturbo di personalità multipla, si visualizza subito il quadro della non integrazione della narrazione. 5) Deficit di attribuzione alla corretta funzione mentale: si tratta di quei pazienti affetti sia da gravi sintomi dissociativi che da psicosi, che sono incapaci di dire se ciò che raccontano è un sogno, realtà o un fantasticare a occhi aperti. Quadro 1. Note sul quadro psicopatologico e sulla strategia terapeutica: propone una visione complessiva della psicoterapia e permette di aggiornarla in itinere. Quadro 2. Coordinate della seduta: permette di collocare la seduta in una posizione nota nella sequenza storica. Le fasi sono puramente indicative, così come la loro sequenza. Quadro 3. Note sul paziente e sui contenuti portati in seduta: permette di annotare in modo sintetico episodi, significati, emozioni e comportamenti interpersonali portati dal paziente. l’obiettivo è individuare le chiavi di accesso rapido ai contenuti più rilevanti. Quadro 4. Note sul terapeuta e sull’intervento terapeutico: richiede un attento monitoraggio di ciò che accade in sé stessi durante la seduta, sia sul piano cognitivo che sul piano emozionale e somatico. Quadro 5. Eventi significativi accaduti durante la seduta: può essere inteso come una sorta di sintesi complessiva ed è indicativo del significato e del valore relativo che il terapeuta ha assegnato per quella seduta al contenuto degli altri quadri. Quadro 6. Riformulazione della strategia terapeutica: viene compilato, come anche quello sopra, solo occasionalmente, quando in seduta si sono verificati eventi critici o evolutivi. Quadro 7. Ipotesi di intervento per le sedute successive: permette di collegare una seduta all’altra e di usare la scheda anche come semplice promemoria. Quadro 8. Note conclusive: restituisce l’iniziativa al terapeuta. C A P I T O L O 1 4 A d u l t A t t a c h m e n t I n t e r v i e w La teoria dell’attaccamento di Bowlby rappresenta da circa vent’anni per il cognitivismo clinico la principale trama concettuale di riferimento per l’organizzazione dei dati riguardanti lo sviluppo del sé e gli itinerari di sviluppo delle organizzazioni di significato personale. Fino ai 16-18 mesi i modelli operativi interni si presentano essenzialmente sotto forma di configurazioni di schemi senso-motori già dotate di una loro precisa organizzazione: pattern corporei. Con l’avvento del pensiero preoperatorio e di nuove competenze sociali, si differenziano e si arricchiscono integrando forme nuove di conoscenza dichiarativa, nelle sue componenti semantiche e episodiche. Il sistema motivazionale dell’attaccamento pur essendo massimamente attivo nell’infanzia, continua a operare lungo tutto il ciclo di vita ogni qualvolta l’individuo si trovi a sperimentare situazioni di particolari di sofferenza, dolore. Parker, Tupling e Brown idearono un questionario, il Parental Bonding Instrument per valutare nell’adulto il legame interattenuto con entrambi i genitori nel corso dei primi sedici anni di vita. Lorenzini, Manicni e Sassaroli hanno elaborato un Questionario sull’attaccamento attuale che riprende e utilizza lo strumento di cui sopra. Hazan e Shaver hanno invece proposto una procedura id autovalutazione, lo Adult Attachment Questionnaire, in cui il soggetto deve scegliere, tra le affermazioni, quella che sente maggiormente corrispondente alle sue disposizioni affettive attuali. Più recentemente, lo Attachment Style Questionnaire che definisce quattro possibili dimensioni di attaccamento nell’adulto. L’intervista AAI si compone di una serie di domande aperte e standardizzate inerenti il rapporto sostenuto con le proprie figure di attaccamento, sia attraverso descrizioni generalizzate sul piano semantico del rapporto stesso, sia attraverso la richiesta di rievocare episodi specifici e concreti a supporto di tali descrizioni. Altre domande sono indirizzate in maniera più diretta all’esplorazione di situazioni infantili elicitanti l’attivazione del sistema di attaccamento. L’intervista viene audio registrata. La sua durata può essere dai 45 minuti a un’ora e mezza. È importante che l’intervistatore non spinga i suoi interventi oltre a semplici richieste di chiarimento, evitando di sollecitare il soggetto a risolvere eventuali incongruenze che sono l’oggetto stesso della valutazione. George, kaplan e Main hanno proposto quattro categorie fondamentali entro cui classificare lo state of mind riguardo all’attaccamento così come emerge all’AAI. 1. Autonomo o libero (F) → spiccata autonomia ed equilibrio, esplorazione libera e ampia dei propri pensieri e sentimenti, integrazione tra semantico ed episodico 2. Distanziante (Ds) → indifferenti riguardo alle relazioni di attaccamento, minimizzano esplicitamente il loro ruolo, unione come debolezza 3. Preoccupato o invischiato (E) → enfasi eccessiva sui sentimenti e legami, narrazione confusa 4. Irrisolto (U) → chi non ha risolto un trauma, disorganizzazione e disorientamento cognitivo-analisi L’AAI ha ampliato il campo di indagine della teoria di attaccamento rendendolo un sistema teorico globalmente interessato all’organizzazione conoscitiva dell’adulto e al suo modo di ordinare l’esperienza cognitiva e affettiva, sia in ambito normotipico che psicopatologico. Fonagy ha messo a punto una scala per AAI volta a valutare dettagliatamente la capacità di chiarezza dei soggetti nel rappresentarsi e nel comprendere i propri e gli altrui stati mentali, oltre che la loro prontezza a riflettere su questi in modo coerente. Crittenden ha proposto alcuni approfondimenti rispetto alla valutazione dell’attaccamento nell’adulto. Il suo sistema si distingue per almeno due aspetti: in primo luogo, un’espansione dello schema di classificazione. Si assume che le competenze cognitive, emotive e sociali caratteristiche di ogni età contribuiscano a modulare ogni pattern in forme sempre più differenti e funzionali. Propone poi di espandere il metodo stesso di classificazione dell’AAI introducendo nuove scale nella lettura degli eventi vitali e articolare l’analisi dei processi di elaborazione dell’informazione caratteristici dei diversi pattern relazionali. Ha anche proposto una versione modificata dell’intervista, aggiungendo domande volte a indagare le immagini mentali e l’uso che il soggetto è in grado di farne. Conclusioni Le sue implicazioni cliniche più importanti sono connesse al forte potere esplicativo che rende possibile un giudizio sul funzionamento preferenziale del paziente entro i diversi sistemi di memoria e sulle sue capacità o limiti integrativi. Ci aiuta a comprendere la qualità di tali eventuali deficit integrativi, e ci invita a un loro prudente rispetto, evidenziandoli non già come spiacevoli incidenti evolutivi, ma come modalità funzionali al mantenimento di uno stato minimo di relazione con l'altro significativo e alla protezione del Sé. Ci guida nella formulazione di coerenti strategie di intervento, volte al graduale e delicato ripristino dei processi integrativi e di una più armonica comunicazione tra i vari sistemi rappresentativi interni. C A P I T O L O 1 5 l o s c r i t t o a u t o b i o g r a fi c o i n p s i c o t e r a p i a c o g n i t i v a Il lavoro terapeutico in psicoterapia procede lungo due direttrici. Una si rivolge alla condizione attuale di vita del paziente, mentre l’altra si indirizza verso la ricostruzione dello stile affettivo e della storia personale di sviluppo del paziente ed è tesa a costruire nuove attribuzioni di significato più funzionali. Le modalità con cui è possibile ricostruire nel presente la storia di sviluppo sono molteplici. La più utilizzata, ovviamente, è la forma orale. Vi è però anche la possibilità di far scrivere al paziente la propria autobiografia che costituisce in terapia un itinerario narrativo complesso che costruisce una trama di descrizioni di eventi, stati emozionali e progetti che la persona ritiene importanti. L’autobiografia scritta rientra a pieno titolo nei “compiti a casa” concordati con il paziente. La richiesta viene fatta generalmente al termine delle prime sedute. L’unica richiesta del terapeuta è di lasciare abbastanza spazio per una descrizione di sé in modo abbastanza formale, tenendo presente che il terapeuta non lo conosce ancora a fondo. Poiché il paziente è in interazione con l'ambiente, la sua autobiografia sarà costruita in senso relazionale, tenuto conto di sé , del terapeuta, della sofferenza , delle motivazioni e delle aspettative che porta con sé l'avvio di una terapia. Si deve anche rassicurare il paziente che bastano due o tre pagine, del fatto che non esista un metodo giusto o sbagliato nello scrivere la propria autobiografia e che anzi può scegliere lo stile che preferisce ,schema narrazione etc. L’incontro successivo è dedicato ad analizzare il compito del paziente: se ha effettuato il compito, si discutono le problematiche e le difficoltà incontrate, e si deve chiedere al paziente se è stato omesso qualcosa di importante che il paziente preferisce riferire a voce. Gli approfondimenti in seguito potranno essere relativi al contenuto o all'aspetto formale. Quest'analisi è utile per fare sorgere gli elementi processuali derivanti dagli aspetti relazionali nella costruzione del significato personale. Il modo in cui il paziente svolge il compito è di notevole interesse, a volte anche maggiore del contenuto. Ci sono pazienti che svolgono il compito in modo parziale, altri che non lo svolgono per motivi di scuse e altri che confessano le difficoltà rilevate. Alcuni pazienti fanno lunghe autobiografie o consegnano direttamente i diari scritti. L’autobiografia per il paziente ha lo scopo di essere una rilettura della propria storia personale, la quale rilettura avviene in un contesto e con modalità differenti da quelle utilizzate normalmente, è uno sguardo complessivo. E’ inoltre una rilettura mirata al cambiamento, in cui per la prima volta il paziente si pone come osservatore della sua storia, supportato dal terapeuta. I terapeuti si possono distribuire lungo un continuum: da un lato, vi sono terapisti che decidono di accettare il paziente solo dopo aver svolto una lunga e accurata anamnesi preliminare, mentre nel lato opposto troviamo terapisti che si concentrano maggiormente sul problema e decidono di accettare il paziente quasi subito. L’autobiografia sembra interessare maggiormente i terapeuti del secondo polo. E’ anche possibile richiedere al soggetto delle autobiografie settoriali, mirate ad approfondire degli argomenti specifici. A chi è in terapia per disturbo del comportamento alimentare, si chiede tutto ciò che è legato al disturbo: peso , prime diete , emozioni a riguardo etc. In questo modo, oltre a fornire informazioni al terapeuta, il paziente inizierà ad avere una visione complessiva del suo disturbo. La rilettura della rilettura si fa in casi molto particolari, per tutti gli altri basta la memoria a far tornare su alcuni passi. A volte può servire a evidenziare il senso del percorso terapeutico. Parlarne però può essere doloroso, anche più del momento in cui se ne è raggiunta ala consapevolezza. Ovviamente, l’autobiografia non può essere richiesta a tutti i pazienti: quelli con crisi acuta e fasi depressive non sarebbero in grado di svolgerla. Anche l’età gioca un ruolo importante: non ha senso chiederla a persone avanti con l’età. E' meglio non chiederla anche a pazienti che vengono da lunghe terapie con analisti, che sviscerano allo sfinimento il passato; a questi si può chiedere di annotare punti della terapia pregressa che vorrebbero rivedere. Invece è utile chiederla a pazienti che mostrano disturbi della personalità oche posseggono un'identità fluttuante incapaci di autodefinirsi, o con disturbi alimentari. C A P I T O L O 1 6 s t o r i a d i c o p p i a : e l e m e n t i d i p s i c o t e r a p i a c o g n i t i v o - a t t a c c a m e n t a l e i n t e g r a t a Diversi sono stati gli approcci cognitivisti alla terapia di coppia nel tempo: Ellis possiamo riconoscerlo come iniziatore originale, ma per affrontare tutta la problematica cognitivista dobbiamo aspettare il 1985 Lazarus, il vero successo arriva con Beck che nel 1988 pubblica “Love is never enough” che ha dato immediata popolarità all’approccio cognitivista di coppia. La differenza tra l’approccio americano e italiano sta nella teoria dell’attaccamento che nell’approccio italiano ha come elemento unificatore e di comprensione dei significati che si giocano dietro il livello cognitivo e comportamentale. Prima di descrivere il modo con il quale si raccoglie e utilizza la storia in una coppia, può essere opportuno descrivere due questioni fondamentali. La prima è lo stile di attaccamento romantico nell’adulto: 1. sicuro : modello di sé e dell’altro positivo, a proprio agio con intimità e autonomia 2. respingente : modello di sé positivo, altro negativo, agio con autonomia non con intimità 3. preoccupato : modello di sé negativo, altro positivo, agio con intimità non con autonomia 4. impaurito : modello di sé e dell’altro negativo, disagio con intimità e autonomia Il secondo criterio di analisi delle modalità cognitivo-relazionale, delle persone può essere offerto dalle modalità di pensiero e linguaggio: wishful, chi privilegia spontaneità e creatività e chiede in maniera indiretta e allusiva, pensa in modo fortemente governato dal desiderio; logical, chi privilegia la chiarezza e la precisione in una coppia e chiede esattamente quello che vuole. Per cui, il primo complesso di criteri da prendere in considerazione è costituito dalle seguenti coordinate: lo stile di attaccamento adulto che è possibile identificare in ciascun membro e che si stabilizza idiopaticamente in ciascuna coppia la modalità prevalente di pensiero e linguaggio di ciascuno (logica/desiderante) con esemplificazioni e situazioni di role playing l’organizzazione dello spazio e del tempo nella vita di coppia, con il confronto con i differenti modelli organizzativi di coppia e familiari precedenti l’analisi dei meccanismi legati ai Sistemi Motivazionali Interpersonali, attivati o inibiti dentro la relazione romantica attuale e confrontati con le precedenti, particolarmente utile valutare la ipertrofia o ipotrofia di alcuni di essi Quindi, che si lavori in psicoterapia con una singola persona accoppiata, o con i due partner, i primi e indispensabili passi possono essere: 1) una modalità di assessment della qualità della relazione e della storia evolutiva stessa : valutata con un test di Rorscharch, con una valutazione di ansia e ossessione amorosa, verifica di coppia con modello di Beck 2) una contestualizzazione della storia attuale rispetto alla fase del ciclo di vita in cui i due soggetti si trovano (come individui, come coppia, come famiglia, come gruppo di amici) 3) una disamina dei problemi più comuni e ricorrenti eventualmente attraverso situazioni di psico- teatro delle emozioni per favorire l’emergere delle emozioni non riconosciute 4) l’identificazione delle manovre terapeutiche specifiche utili a ottenere una possibilmente rapida riduzione delle tensioni immediate. Un altro punto cardine può essere riassunto dal concetto di iperdemocraticismo formale che rappresenta la tendenza di alcune coppie a fare sempre le cose esattamente in coppia. “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni” da questa famosa frase possono essere ristrutturati anche i rapporti di coppia che appaiono più difficili. Le terapie sessuali sono essenzialmente terapie di coppia, sia se il partner è presente in terapia sia se non lo è. Quindi, oltre a raccogliere la storia di vita del paziente, è utile raccogliere anche la storia di vita della coppia. E' importante stabilire il significato della coppia per i componenti e comprendere fino a che punto è un sentire comune. Vi sono livelli di utilizzazione della storia del sistema coppia: 1. La delimitazione del campo degli obiettivi; 2. I contenuti della storia, e le specifiche attribuzioni di significato; 3. La conoscenza tra i due partner e il livello della relazione, in modo da contestualizzare la crisi; 4. La conoscenza tra la coppia e la famiglia d’origine. Anche la possibilità di procreazione può essere motivo di crisi, a volte l'inserimento nel nucleo di un figlio o di un parente può costituire un freno all'instaurazione dell'intimità e creare ansia e allarme nella coppia. Per quanto riguarda la storia individuale, l’'attenzione deve essere rivolta essenzialmente a questi punti : • Modalità di accudimento in relazione al contatto fisico; • sviluppo e significato del contatto fisico in famiglia; • processi di definizione dei confini e dello spazio personale; • criteri di inibizione o facilitazione del comportamento esplorativa; • ricostruzione dello stile della ricerca del piacere; • caratterizzazione e sviluppo dei ruoli di mascolinità o femminilità; • stile familiare nei confronti della sessualità; • processo di sviluppo fisico e attenzione genitoriale; • miti e storie familiari intorno alla sessualità; • storia personale della ricerca del piacere; • costruzione di criteri di scelta dei partner La terapia mansionale integrata (TMI) (Masters & Johnson) si caratterizza per aver messo in evidenza il sintomo come comportamento valutato inadeguato, portatore di sofferenze e tendente ad automantenersi. Pertanto, il sintomo discende direttamente dalla costruzione della realtà soggettiva da parte del paziente e si esprime sia sul piano comportamentale sia sul piano cognitivo- emotivo. In questo tipo di terapia si richiedono al paziente dei “compiti a casa”, che altro non sono che le mansioni sessuali di volta in volta accompagnate da discussioni sulla storia che avvengono sia in seduta ,sia a casa. La psicoterapia sessuale si configura come una psicoterapia cognitiva accompagnata da aspetti mansionali orientati prevalentemente all'esplorazione. La raccolta della storia della coppia diventa l'asse portante della terapia, con una costante rielaborazione dei significati della coppia. Generalmente vengono sentiti entrambi i partner, a volte separatamente: il diverso racconto della storia della coppia di entrambi i partner consente un mutamento nell’identità della coppia e specificamente nella sua identità sessuata. Il trattamento della parafilie è oggi tema di grande dibattito. Una proposta interessante nasce da alcune considerazioni che si possono fare utilizzando la teoria dei sistemi motivazioni. Seguendo questa considerazione, si può ipotizzare l’importanza della storia di sviluppo e il suo possibile utilizzo in terapia. La raccolta della storia individuale nei disturbi di identità di genere, comprende spesso la necessità di un riscontro oggettivo con la visione degli album di foto della famiglia. È necessario ricostruire questa storia di sviluppo e aprire alla conoscenza quel corpo che si chiedere di abbandonare. È così necessario una nuova lettura della storia personale che aiuti a stabilizzare la nuova immagine di sé in un nuovo contesto sociale, mantenendo la continuità al di là dei cambiamenti somatici e legali. La raccolta e l’utilizzo della storia personale ha come caratteristica l’attenzione alla storia del corpo e al suo entrare in contatto con l’altro e con il mondo. C A P I T O L O 1 8 r a c c o g l i e r e l a s t o r i a d e l p a z i e n t e a n z i a n o C'è sicuramente stata molta riluttanza a orientare la psicoterapia agli anziani, forse per la lentezza e ripetitività dei loro racconti, o anche perché Freud riteneva non più educabili e soggetti al cambiamento le persone oltre i 50 anni. Oggi il parere è un po' diverso ma ci chiediamo se gli strumenti e i metodi che abbiamo sviluppato funzionino nel modo corretto anche con pazienti più avanti negli anni. Dobbiamo tenere ben presenti i processi psicologici di quest'età: il processo di individuazione, il rallentamento delle funzioni di elaborazione dell'informazione con conseguente autosvalutazione, l'attuazione di strategie volte a favorire l'adattamento. E' necessaria quindi la conoscenza dei modelli pscicogerontologici e l'esplorazione delle cognizioni che paziente e terapeuta hanno della vecchiaia e dell'insegnamento. Spesso è difficile raccogliere le storie di vita dei pazienti anziani perché si pensa siano più difficili i recuperi in memoria. La memoria autobiografica può essere definita come l'insieme delle storie che ci si racconta sulla nostra vita, una traduzione dei residui dell'esperienza di viti, che persiste attraverso il tempo , integrata alle caratteristiche di chi siamo, di quello che abbiamo fatto e di come ci siamo adattati. Quindi, non solo si può affermare che le modificazioni della memoria non sembrano incidere sull’opportunità di rintracciare la storia del paziente, ma anche questa strategia adattiva spontaneamente utilizzata dall’anziano, appare essenziale al lavoro terapeutico. L'anziano è un eccellente storyteller, sa apprezzare l’idea di raccogliere e raccontare la propria storia, ma occorre saper organizzare questa esplorazione. Terapeuti non preparati rischiano di non sapere strutturare la storia restituendo al paziente una storia fallimentare. Occorre essere pronti a una retrospettiva strumentale e integrativa. La distinzione in base all'età negli anni ‘70 era la seguente: 65-74 per giovani vecchi; da 75 in poi per i vecchi vecchi. Alla fine degli anni ‘90 è stata rivista: 65-84 giovani vecchi, da 85 in poi vecchi vecchi. Il discorso sta nel relativizzare l'età alla luce delle storie personali, della malattia, dello sviluppo sociale ed economico. Con i più anziani è ovvio che si dovrà aver un rapporto terapeutico diverso rispetto a quello con i meno anziani. Come raccogliere la storia con l'anziano? 1. favorire il processo di ricordare, e dove non si arriva con la traccia mnestica favorire il ricordo emozionale; 2. distinguere tra i giovani vecchi che pongono più attenzione al piano dell'investimento interpersonale e dell'attività e i vecchi vecchi che incentreranno il racconto sugli anni tra i 15 e i 25 e sull'affermazione dei valori; 3. scegliere l'obiettivo terapeutico: retrospettiva strumentale per i giovani vecchi, raccontando i momenti salienti della vita e mettendo in risalto le strategie applicate in quei momenti; retrospettiva integrativa per i vecchi vecchi, cercando di dare coerenza al percorso di vita rivalutandolo; Riunire l’implicito con l’esplicito della memoria autobiografica e ricostruire la narrazione del percorso di vita sono contenuti essenziali della psicoterapia con l’anziano, vista la sua abilitò nell’attivare il processo di reminiscenza. Lo psicoterapeuta che lavora con persone di più di 85 anni è al contempo catalizzatore del viaggio interiore e testimone della retrospettiva della vita, processi ambedue indispensabili all’integrazione riuscita del sé. Lo psicoterapeuta deve possedere la capacità e l’esperienza lavorativa per far comprendere al paziente anziano l’idea di eredità che si trasmette: “l’eredità da un senso di continuità, dando alla persona anziana il sentimento di poter partecipare, anche dopo la morte” (Butler, Lewis) C A P I T O L O 1 9 r a c c o g l i e r e l a s t o r i a d e l p a z i e n t e a ff e t t o d a d i s t u r b o d i s s o c i a t i v o d e l l a c o s c i e n z a Raccogliere una storia vuol dire interpretare nel presente quello che si può raccogliere nel passato per infine proiettarlo nel futuro. In un pazienta DDC ogni tempo è confuso, indistinto, frammentato. Ed è appunto questa l'esortazione “colligite fragmenta”, raccogliete i frammenti , dispersi completamente. Il paziente DDC non è in grado di raccontare anche perché ciò presupporrebbe un'interazione con l'altro, ma questo paziente caratterizzato da discontinuità della memoria , della coscienza , dell'identità, manca il concetto di Sè e di un altro a cui raccontarsi. Ed è proprio nella mancanza di questa transazione la maggiore difficoltà dell'improntare una strategia terapeutica. In questo panorama fortemente sconfortante possiamo però far conto su due variabili: 1. la dissociazione di un paziente che riesce ad arrivare in terapia fortunatamente non è completa .Il terapeuta può valutare il grado di dissociazione proprio sulla base del tentativo di costruzione di una relazione terapeutica. All'inizio è sufficiente una cauta vicinanza e contenimento , durante il quale si possono anche fare progetti terapeutici. 2. disponiamo di maggiori conoscenze dei funzionamenti psichici rispetto ad una volta, il che permette di scegliere se e quando un intervento è praticabile. In questo senso un contributo insostituibile è venuto dall’approccio cognitivo evoluzionista della teoria dell’attaccamento e nella concezione dello sviluppo del sé e le sue strutture portanti: oggi il terapeuta ha la sensazione di sapere cosa sta accadendo mentre sta accadendo, perché c’è una teoria che può spiegarlo. Per costruire la storia del paziente, il terapeuta deve essere rapido e sintetico nel seguire la traccia giusta, e analitico, metodico per attuare l’integrazione della sua coscienza. Prima però queste qualità devono essere utilizzate nella costruzione dell’alleanza terapeutica. La storia del paziente con DDC può essere scritta solo se paziente e terapeuta hanno costruito un contesto di condivisione. C A P I T O L O 2 0 r a c c o g l i e r e l a s t o r i a d e l p a z i e n t e s c h i z o f r e n i c o Nella storia della psicoterapia, l’approccio ai disturbi schizofrenici rappresenta una difficile sfida alla dimensione più complessa della sofferenza psicologica. I primi tentativi furono fatti negli anni ’50;si sono trovati punti di incontro nell'ammettere l'uso della terapia cognitiva affiancata a quella sociale, familiare e farmacologica. Ancora oggi, però, si discute l’utilità del contributo psicoterapeutico al trattamento della schizofrenia, soprattutto alla luce dell'individuazione dei fattori biologici responsabili di questo disturbo. I trattamenti psicologici individuali possono essere utili per correggere certi comportamenti o convinzioni deliranti, mentre sono addirittura dannose quelle strategie volte ad un coinvolgimento emozionale troppo forte. Generalmente, i terapeuti, con questi pazienti, riservano meno spazio e cura nel raccogliere la loro storia familiare e la loro storia di vita basandosi quasi esclusivamente sul problema in atto. La storia di vita appare occasionalmente e frammentata. Il trattamento di pazienti schizofrenici dipende sì dalle capacità narrative e dal punto in cui si trovano i processi di pensiero e linguaggio,ma anche dalle attitudini e dal setting terapeutico. Contrastanti sono i pareri degli studiosi sull'uso o meno della raccolta della storia di vita. Kingdon e Turkington suggeriscono che la terapia si basi prevalentemente sul qui e ora, limitando la raccolta della storia di vita al momento appena prima dell'insorgenza del sintomo ( in modo da rassicurare anche il paziente sulla comprensibilità dei sintomi e sulla loro genesi), inoltre la storia personale può svolgere il ruolo di setaccio sia per il paziente che per il terapeuta . Perris ritiene che con pazienti gravemente disturbati non si possa fare a meno di considerare i ricordi del passato, e che la conoscenza di sé che si vuol dare al paziente sarebbe incompleta senza una conoscenza della storia. Entrambi i punti di vista però non danno alla raccolta della storia di vita una valenza terapeutica. Il pensiero e le capacità narrative dei pazienti sono spesso disturbati in modo tale da rendere i loro racconti difficilmente comprensibili. Le difficoltà dei pazienti (pensiero concreto,perdita di nessi associativi e di sequenza temporale,fenomeni di deragliamento,di circostanzialità e tangenzialità, e, nei casi più estremi , disorganizzazione dell'eloquio cioè insalata di parole) vengono classicamente definiti come disturbi formali dell'ideazione. Tuttavia, sia che i fatti narrati non abbiano un nesso logico, o che invece siano raccontati con monotonia, è fondamentale che nel corso della terapia il terapeuta dovrà approfondire il tema della storia personale. A differenza dei pazienti psicologici in genere che attribuiscono alle vicende di vita la causa del loro sentirsi nel mondo, i pazienti schizofrenici tendono all'attribuzione di causalità, facendo ritenere responsabili della loro condizione elementi estranei collocati fuori da sé e anche dalla propria dinamica di vita. E' il problema del “locus di controllo” collocato all'esterno. Quando l'alleanza si instaura il paziente può cominciare a raccontare il suo passato , ma sempre trovando anche nella ricostruzione entità che nel passato hanno influenzato gli eventi. Quindi è bene evitare commenti troppo prematuri, è importante il fatto stesso che il paziente racconti, non cosa racconta. Il terapeuta deve limitarsi ad ascoltare, eventualmente sollecitando con cautela, memorizzando i punti interessanti, che saranno ripresi più avanti nella terapia, quando si ritenga pronto il paziente a farne un'elaborazione cognitiva. Il paziente sarà contento che il terapeuta ricordi dando la sensazione di essere stato ascoltato. Questa fase della terapia Perris la definisce l'aggancio. Bisogna però sempre essere disponibili e pronti a cedere il passo ad eventi attuali urgenti, accantonando la storia di sviluppo per non mettere a rischio l'alleanza terapeutica. Il lavoro sulla ricostruzione della storia personale si sviluppa su vari livelli di intervento, e richiede di avere in mente lo stato mentale in cui si trova il paziente. Gli aspetti di cui occorre tenere conto sono: • Capacità di comunicazione verbale • Relazione terapeutica • Contenuti della narrazione A seconda dell'orientamento si privilegia un aspetto piuttosto che l'altro. Recentemente la psicologia clinica e la psichiatria si stanno dotando di strumenti concettuali per guardare in modo integrato ai diversi aspetti. Fra le linee teoriche che più favoriscono un approccio unitario ai differenti aspetti dei disturbi schizofrenici è la prospettiva aperta dai ricercatori della “teoria della mente”, intesa come una funzione cognitiva superiore ; è la capacità di rappresentare sé stessi e gli altri come individui dotati di stati mentali, comprendendo così le motivazioni e intenzioni di sé e degli altri. Nei disturbi degli schizofrenici vi è una profonda disorganizzazione delle abilità relazionali, caratterizzata quindi da un mal funzionamento della teoria della mente. Tuttavia questo deficit è parziale e non costante: i pazienti schizofrenici sarebbero quindi in grado di sviluppare delle rappresentazioni degli stati mentali, che avrebbero comunque particolari caratteristiche e disfunzioni. L'incapacità di leggere i propri contenuti mentali e le intenzioni altrui favorirebbero la produzione di idee deliranti e di colpe da attribuire a entità esterne o alla malevolenza altrui. Inoltre sarebbe penalizzata anche la produzione verbale, data l'incapacità di capire come vengono recepiti i messaggi dagli altri.
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