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Riassunto "Stranieri Familiari. Musulmani in Europa (XVI-XVIII secolo)", Dispense di Storia Moderna

Riassunto sintetico ma completo di tutte le argomentazioni della monografia a scelta per il corso di Storia Moderna dell'anno 2023

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 28/06/2024

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Scarica Riassunto "Stranieri Familiari. Musulmani in Europa (XVI-XVIII secolo)" e più Dispense in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! Lucette Valensi Stranieri familiari Musulmani in Europa (XVI-XVIII secolo) Intro All'inizio del volume si specifica che il motivo della scrittura è legato non solo ad un'analisi dal passato, ma alle azioni di governo e all'opinione pubblica contemporanea (“la storia […] forse non è condannata a studiare soltanto giardini ben chiusi da muri. Altrimenti non verrebbe essa meno a uno dei suoi compiti presenti, di rispondere anche agli angosciosi problemi dell'ora?” Fernand Braudel). L'idea dell'immigrazione delle popolazioni islamiche in Europa è oggi legata a quella degli spostamenti di massa avvenuti durante il XX secolo per via della colonizzazione e dell'inizio dei rapporti tra popolazioni conquistate e gli imperi europei. Ovviamente la presenza islamica nel territorio europeo è molto anteriore all'epoca della colonizzazione (dal XVI al XVII secolo, come dice il titolo del libro), durante l'Ancienne Regime il clima ideologico e politico in Europa era molto sfavorevole e legato a una “cultura dell'antagonismo” (Poumerede), non solo nei confronti dell'Islam (la repressione dei protestanti in Francia fu davvero sanguinosa, notte di San Bartolomeo l'anno dopo Lepanto). Ad ogni modo il mondo islamico era stato innalzato a nemico della cristianità (flagello di Dio) ed era usato per corroborare il mito delle crociate, delle missioni per convertire gli infedeli. Anche nel mondo musulmano si alimentava l'antagonismo e la gihad (guerra santa), dividendo le terre tra dar al-islam (dimora dell'Islam) e dar al-harb (dimora della guerra) che indicava i territori confinanti a quelli musulmani che dovevano ancora essere conquistati. Col tempo era nata la categoria del dar al-suhl (dimora della tregua) per quei territori che pagavano un tributo al sultano senza essere ancora inglobati nel dar al-Islam. Ci sono vari termini con cui vengono indicati i popoli islamici: “maomettani” (nelle fonti antiche, con questo termine si indica il peccato di idolatrare la figura di Maometto); “turchi” era un termine polisemico che poteva indicare sia i musulmani in generale sia le élite politico-militari di Tunisi, Algeri e Tripoli (distinguendosi dai “mori” comuni cittadini di religione islamica e lingua araba e dagli “arabi” che erano invece gli abitanti delle campagne), ma erano “turchi” anche i cittadini della Turchia e dei Balcani che vivevano quindi sotto l'impero ottomano (a prescindere dalla loro religione, erano turchi “di nazionalità” anche gli ebrei, i greci e gli armeni); i “barbareschi” erano invece gli abitanti dell'Africa settentrionale (sopra il Maghreb) così definiti per il loro legame con la pirateria. In inglese, poi, con la parola moor si indicavano sia i musulmani che tutte le persone nere (blackmoor). I. “Pulizia etnica” nel XVI e XVII secolo: la Penisola iberica Spagna e Portogallo hanno per molto tempo fatto della lotta all'Islam una parte della propria identità storica. Il primo ad unificarsi fu il Portogallo (XIII secolo) e di conseguenza il primo a voler unificare la religione cacciando nel 1496-'97 Ebrei e Musulmani dal proprio territorio. La Spagna invece aveva già iniziato a obbligare gli Ebrei alla conversione nel 1391 e, dopo la caduta del Regno di Granada e l'unificazione dei propri territori nel 1492, portò a compimento anche la Reconquista contro i musulmani. Cominciò così una lunga storia di conversioni forzate, sorveglianza dei neo convertiti e persecuzioni dell'Inquisizione per scacciare definitivamente i musulmani dai territori iberici solo nel 1600. Si tratta del primo caso di pulizia etnica ante litteram. Gli storici del filone positivista hanno evitato di esprimere giudizi e commenti sulle azioni della Chiesa e del potere temporale del tempo, limitandosi a freddi calcoli relativi all'economia dei Paesi e alla possibilità che i moriscos (musulmani convertiti in Spagna) potessero effettivamente essere un pericoloso alleato dei poteri islamici. Dagli anni '70 del Novecento invece si è iniziato a prendere in considerazione anche il punto di vista delle popolazioni scacciate (senza escludere quello eurocentrico ed ecclesiastico), probabilmente anche a fronte degli allora recenti eventi storici di pulizia etnica. Questa visione polifonica della storiografia odierna è data da un lato dagli eventi fortemente testimoniati e dall'altra da un graduale processo di (auto)liberazione delle popolazione che nei secoli sono stati oppressi dalla supremazia bianca/occidentale, che trovano finalmente voce per esprimere i soprusi vissuti sulla propria pelle e su quella dei propri antenati. In Portogallo solo gli ebrei furono costretti a convertirsi, mentre i musulmani furono direttamente espulsi dal territorio. Tuttavia, fino al XV secolo, sopravvissero nel sud del Paese alcune comunità simili a quelle sorte in Spagna in cui i musulmani avevano un loro quartiere organizzato con bagni, moschee e istituzioni proprie. Inoltre in questo periodo ci fu un grande calo demografico e alcuni cristiani chiesero il permesso di comprare schiavi musulmani per poi liberarli e farli sposare con le proprie figlie. Il re Manuele I espulse anche coloro che avanzavano queste richieste insieme ad ebrei e musulmani nel 1496-'97. Ma non fu la fine della presenza islamica in Portogallo, infatti nei primi trent'anni del '500 molti musulmani arrivarono nel Paese come prigionieri delle azioni corsare o come fuggitivi di una grave carestia in Marocco, tutti apparentemente si convertirono al cristianesimo. La repressione definitiva avvenne quindi dopo il 1536, quando anche in Portogallo fu istituito il Tribunale dell'Inquisizione che perseguitò tutti questi neo cristiani che dimostravano di non avere abbastanza conoscenze della religione cristiana mentre avevano ancora comportamenti religiosi e sociali legati all'Islam. In Spagna la divisione religiosa accompagnava quella politica e culturale dei vari regni presenti che avevano nel corso del medioevo corroborato istituzioni e tradizioni indipendenti. L'unificazione della Spagna infatti si protrarrà per secoli e ancora nel XVII secolo non potrà dirsi conclusa. Nonostante queste divisioni nella penisola e il controllo di tutti gli altri territori annessi nel mediterraneo e oltre (isole Baleari, Sicilia, Sardegna, Regno di Napoli, Ducato di Milano, Franca Contea, Paesi Bassi, presidi nelle coste marocchine e reggenza di Algeri) la Spagna rimase tra il '500 e il '600 una delle potenze militari, economiche e artistiche più influenti. Era, inoltre, vista come fortezza della religione cristiana in quanto era il maggiore opponente per l'Impero ottomano: dopo la conquista delle reggenze di Tunisi e Algeri e la caduta del regno di Granada nel 1492, il re Ferdinando II si guadagnò il titolo di “Re Cattolico” in difesa dell'unità religiosa, linguistica e istituzionale. Anche i suoi successori (Carlo V, Filippo II e Filippo III) proseguirono l'opera di unificazione religiosa durante i loro regni. Il potere politico dell'Islam in Spagna va dall'VIII al XV secolo e la principale azione della Reconquista si svolse nel XII e XIII secolo, ma si concluse solo con la caduta del Regno di Granada; dopo questo ultimo evento, i musulmani rimasti sul territorio furono inglobati più o meno nella società maggioritaria formando comunità di mudéjares che mantennero le proprie istituzioni e tradizioni per un po'. Le comunità di mudéjares erano sparse in modo non omogeneo sul territorio, erano principalmente nei regni di Castiglia, Valencia e Granada. Molti musulmani emigrarono comunque e di quelli rimasti in Spagna molti si convertirono e integrarono alla società cattolica, mentre quelli che rimanevano più fedeli alle proprie origini e tradizioni si riunivano in queste comunità chiamate morerias (quartieri interi nelle grandi città con le proprie istituzioni giuridiche e religiose). In questo periodo i musulmani sono fortemente discriminati: devono pagare tasse aggiuntive, sono sorvegliati, è vietato loro di portare vestiti di lusso e di esercitare alcune professioni, avevano anche l'obbligo di portare un segno distintivo sui vestiti per distinguersi dagli altri cittadini. Inoltre era fortemente vietati i rapporti promiscui tra cristiani e musulmani. Alla fine del '400 la conversione, che fino a quel momento era stata volontaria, diventò forzata e sistematica e sfociò in una rivolta degli abitanti di Granada nel 1499 alla quale il re rispose con una sanguinosa repressione militare (compresa l'esplosione di una moschea che dava rifugio a donne e bambini). Tra il 1521 e '23 ci fu una seconda ondata di conversioni forzate in cui il Santo Uffizio ordinò ai musulmani di battezzare tutti i neonati, le moschee vennero trasformate in chiese e nel 1525 un editto di Carlo V sancì il divieto di fornire un educazione religiosa (dell'Islam) ai musulmani (furono colpiti non solo i capi religiosi ma anche le levatrici che si occupavano delle circoncisioni e i macellai che abbattevano il bestiame in modo rituale). Fu vietato l'uso della lingua araba e di capi di vestiario tradizionali (compreso il velo per le Il primo è Cem Sultan, detto anche Zizim. Secondogenito del sultano Mehmed II di Costantinopoli e fratello di Bayezid II, divenuto sultano dopo la morte del padre. Cem (22 anni) era governatore di Konya e aveva delle mire sul trono, tanto da arrivare ad autoproclamarsi sultano, proponendo al fratello di spartirsi l'Impero. Bayezid sconfisse le truppe del fratello nel 1481 e lo costrinse a rifugiarsi prima in Egitto presso il sultano Qaytbay, al quale Cem chiesa appoggio militare che non gli fu concesso. Senza nessun aiuto quindi, Cem decise comunque di sfidare nuovamente il fratello nel 1492, fallendo nuovamente e dovendosi rifugiare presso i cavalieri di Rodi. Da quel momento non tornò più in patria e passò il resto della sua vita a girare l'Europa (morì a Napoli a 35 anni). Le peregrinazioni di Cem lo portarono, passando per la Sicilia e Villafranca, a Nizza e poi in Savoia, dove fu accolto dal duca Carlo I. Fu 'ospitato' (sempre sotto stretta sorveglianza) in vari palazzi del Delfinato francese, compresa una reclusione di due anni in una torre a Bourganeuf che tutt'ora prende il nome da lui (torre Zizim). Molti sovrani europei cercarono di ottenere la custodia del principe (il re d'Ungheria e quello di Napoli, nonché il papa). Venezia, più attenta alle proprie alleanze commerciali, promise a Bayezid di non intervenire mai in favore del principe, mentre i cavalieri di Rodi si accordarono con il sultano di trattenere il prigioniero al pagamento di 40 000 ducati veneti. Sventato un tentativo di arrivare in Ungheria per riprendere i suoi piani contro il fratello, Cem fu tenuto in isolamento ed in seguito ad un accordo tra il re di Francia e il papa Innocenzo VIII, fu trasferito prima in Vaticano e poi a Castel Sant'Angelo nel 1489. Quando il pontificato passò ad Alessandro VI Borgia, Cem poté godere di molta più libertà e frequentare la Biblioteca Vaticana e persino i figli del papa, sui quali esercitò sicuramente una certa influenza, almeno in fatto di moda (sia il duca di Gandia che l'altro figlio, Giovanni, furono visti in abiti orientali). Grazie alle Memorie di Guillame Caoursin, vice cancelliere dell'Ordine di San Giovanni, abbiamo testimonianza scritta della pompa che si creò a Roma all'ingresso di Cem il 13 marzo 1489, con un corteo composto da ambasciatori di vari regni, cardinali, il figlio del papa (Francesco Cibo), senatori, cavalieri e cardinali francesi. La processione era aperta e chiusa inoltre dalla cavalleria pontificia. I racconti e le peregrinazioni del principe Cem ispirarono autori e artisti dell'epoca, tra cui il diario di Giovanni Bucardo o i ritratti del Pinturicchio nella Biblioteca Piccolomini a Siena e nell'affresco della Disputa di Santa Caterina negli appartamenti dei Borgia. La dinastia degli Hafsidi. Mulay Hassan e i figli Mulay Hamida e Mulay Hamed sono un altro esempio di esuli che hanno trovato rifugio nell'Europa cristiana. Mulay Hassan regnò sull'attuale Tunisia e su parte dell'Algeria orientale a partire dal 1526, mantenendo il proprio regno dopo l'uccisione o l'accecamento di molti suoi fratelli. Il suo regno fu sempre movimentato e in equilibrio precario, minacciato da vari usurpatori in diverse parti del territorio. Uno di questi usurpatori fu il fratello Rachid che, appoggiato dall'ammiraglio turco Khayr al-Din Barbarossa, gli contese il trono, se non che Barbarossa conquistò Tunisi e Rachid finì prigioniero a Istanbul. Mulay Hassan dovette quindi chiedere aiuto ai cristiani, in particolare a Carlo V che mandò una flotta capitanata da Andrea Doria al porto di La Goletta. Seguirono aiuti da Malta (i cavalieri di San Giovanni erano stati spostati lì da Rodi), dalla Sicilia, da Napoli, da Genova e dal papa. Tunisi venne presa e saccheggiata nel 1535, Mulay Hassan fu rimesso sul trono ma come sovrano impopolare (dati i massacri che i cristiani avevano portato alla popolazione) e come vassallo di Carlo V. Nel 1542 Mulay Hamida divenne sovrano dopo aver accecato il padre, che si ritrovò nuovamente a cercare asilo in Europa. Nel frattempo don Giovanni d'Austria, figlio di Carlo V, conquistò La Goletta e spodestò Mulay Hamida, mettendo sul trono il fratello di questo, Mulay Hamed, che era stato al servizio dei cristiani in Sicilia durante la caduta del padre. Ciò che preme sottolineare in questa situazione è che sia Hassan che i suoi figli preferirono allearsi e chiedere asilo ai “nemici della fede” ritenendola la strategia più sicura contro la minaccia ottomana. La presenza di Mulay Hassan in Europa fu assai sentita e commentata all'epoca, come per Cem, sia da autori che da artisti. In diversi quadri di Rubens, tra cui l'Adorazione dei magi al Louvre, ma anche nel racconto che ne fece Antoine de Pernin che metteva in risalto le particolarità dei costumi in contrasto con quelli europei (in particolare il mangiare per terra a piedi nudi e circondato dal proprio seguito). In molti casi questa diversità si metteva in risalto per far figurare una gerarchia tra le maniere occidentali e quelle orientali, ma è anche vero che in alcune occasioni le figure di spicco europee si adattarono ai costumi orientali per fare un passo in direzione dello straniero (come il figlio del papa che indossò abiti orientali per una passeggiata con il principe Cem o il conte de Tassis che si fece raffigurare con il suo ospite in abiti e armi orientali identici ai suoi (una forma precoce di cosmopolitismo)). La dinastia dei Sa'didi in Marocco. Alla morte del sultano 'Abd Allah al-Ghalib vi successe il figlio Muhammad al-Mutawakkil, anche se il trono sarebbe dovuto andare al fratello del sovrano deceduto, Mulay 'Abd al-Malik. Questo e i suoi sostenitori si rifugiarono ad Istanbul (dopo la presa di Barbarossa) e chiesero il sostegno dei turchi che gli permisero di tornare in Marocco e di riconquistare il trono, diventando sultano nel 1576. Al-Mutawakkil chiese allora aiuto alla corte spagnola, che rifiutò, e a quella portoghese di re Sebastiano che allestì nel '78 una spedizione per il Marocco finita in disfatta: la battaglia dei Tre Re (vi morirono infatti sia lo stesso Sebastiano, che al-Mutawakkil e al-Malik), il 4 agosto, chiuse l'ultima crociata della cristianità nel mediterraneo. Il Marocco rimase comunque in mano al sa'dide Ahmad al-Mansur, al sicuro sia dalle pretese ottomane che da quelle cristiane. Il fratello e il figlio di al-Mutawakkil si rifugiarono in Portogallo per dieci anni, protetti dal successore di Sebastiano, il cardinale Enrico; quando questi morì passarono sotto la protezione del re Filippo II di Spagna. Questi non furono neanche i primi marocchini a chiedere asilo in Spagna (già all'inizio del XVI secolo l'ultimo sultano della dinastia Wattasidi aveva chiesto aiuto a Carlo V in cambio di concessioni territoriali). Il principe druso Fakhr al-Din II, della dinastia Ma'an del Libano meridionale, regione detta dello Shuf, popolata a maggioranza da drusi (una frazione della dottrina sciita). Quando il sultano ottomano Selim I conquistò le province arabe del Medio Oriente, riconobbe l'autorità della famigliav Ma'an sul territorio e il principe druso ottenne da lui anche il controllo dei distretti di Sidone, Beirut e Safed in Galilea. Alleandosi però nel 1606 con l'usurpatore che aveva preso per se Aleppo, si mise contro l'esercito ottomano che fu però sconfitto grazie alla rete di alleanze che Fakhr al-Din II aveva costruito con armi e matrimoni di convenienza. Il granduca di Toscana, Ferdinando I, pensò di sfruttare questa potenza contro l'impero ottomano e quindi nel 1608 strinse alleanza con l'emiro concedendo aiuti militari all'occorrenza, in cambio di privilegi commerciali e concessioni territoriali sui Luoghi santi. Nel frattempo il sultano ottomano scagliò contro il principe druso il governatore di Damasco, quindi invece di ribellarsi lui lasciò il potere al figlio e al fratello rifugiandosi in Toscana e a Napoli. Quando il governatore fu strangolato per ordine dello stesso sultano e fu sostituito da uno più favorevole al suo governo, l'emiro rientrò in Libano nel 1618 e cominciò a riconquistare i territori perduti e a risollevare l'economia dei propri territori. Le mire di conquistarsi uno spazio in territorio ottomano non furono gradite dal sultano Murad IV che nel 1633 inviò il governatore di Damasco contro di lui, facendo sfilare la testa del figlio morto per le strade di Istanbul. Fakhr al-Din II si rifugiò dapprima sulle montagne, ma fu infine catturato nel 1635 e fu giustiziato a Istanbul insieme ai suoi nipoti. Ci rimane di lui la testimonianza delle sue impressioni sull'asilo in Italia, lasciateci dal suo biografo, sul “minareto pendente” di Pisa, sul soggiorno al Palazzo Vecchio e sul Duomo di Firenze. L'emiro portò inoltre in patria la tecnica della stampa e l'istituto del monte della pietà. Nel 1615 ricevette anche l'invitò del duca di Osuna, viceré di Sicilia, che lo ospitò a Messina. In Sicilia lasciò parte della sua famiglia quando ripartì verso la patria e tornò a riprenderli, rimanendo a Palermo per quasi un anno, dove osservò i resti dell'antico passaggio musulmano nella città. La storia di questi esuli del mondo musulmano presso le potenze cristiane si estende fino al XIX secolo (un esempio per tutti, il capo del governo di Algeri Husayn Dey, spodestato dai Francesi nel 1830 e rifugiatosi prima nel regno delle due Sicilie e poi presso il Granducato di Toscana), c'è allora da chiedersi come queste presenze importanti del mondo islamico abbiano influenzato la storia ma anche la cultura dei paesi occidentali che li hanno ospitato. III. Abiurare la propria fede A differenza dei casi raccontati nel capitolo precedente, qui si parla di altri personaggi dell'elite islamica che dopo esser giunti in Europa per chiedere asilo politico (termine anacronistico, introdotto solo con la Carta dei Diritti) si sono convertiti al cristianesimo in modo più o meno sincero. Sono comunque personaggi di una certa importanza sociale che convertendosi riescono a mantenere il proprio prestigio. Un esempio famoso è Mulay al-Shaykh, figlio di Muhammad al-Mutawakkil il sultano del Marocco morto nella battaglia dei Tre Re, che dopo la sconfitta del padre si rifugiò prima in Portogallo poi, dopo che il paese passò sotto la corona spagnola, in Spagna sotto Filippo II. Presto il principe marocchino si convertì al cristianesimo e si fece battezzare nella cappella reale dell'Escorial con Filippo come padrino. La storia dice che la conversione era avvenuta dopo aver partecipato ai festeggiamenti del pellegrinaggio alla Madonna di Cazeba. Dopo il battesimo prese il nome di principe Felipe d'Africa, non ignorando quindi la sua provenienza né il suo rango sociale e sempre con il progetto di riprendere il proprio trono. Anche lui, come i principi di cui si parlava sopra, ebbe una certa fama ed influenza in Europa e Lope de Vega scrisse persino uno spettacolo su di lui, Il battesimo del principe del Marocco. Un altro caso di conversione miracolosa è quello di Sidi Muhammad, uno degli ultimi discendenti della dinastia Sa'didi, che si convertì dopo un sogno. Fu battezzato a Malta con il nome di Baldassarre Loyola Mendez e conosciuto come “re di Fes e del Marocco” o anche “imperatore d'Africa e di tutta la nazione araba” per dare più lustro alla sua conversione. A Messina ricevette un'educazione religiosa prendendo gli ordini minori e a Roma si unì alla Compagnia del Gesù, divenendo poi prete nel 1663 iniziò a predicare a Genova e Torino. Divenne presto famoso per aver fatto convertire numerosi schiavi musulmani, i contemporanei lo chiamavano persino il “re dei gesuiti.” Un terzo caso particolare di triplice conversione è quello della delegazione che lo scià di Persia aveva inviato in Europa per cercare delle alleanze contro gli Ottomani. La spedizione ebbe scarsi risultati, anche perché l'avventuriero britannico Sherley che doveva aiutarli nei rapporti diplomatici lì derubò dei regali che avrebbero dovuto offrire ai sovrani europei e al papa. Durante questo viaggio sia Uruch Bec, che faceva parte della delegazione e che aveva sempre vissuto vicino alla corte dello scià, sia Ali Guli Bec, nipote dell'ambasciatore che guidava la delegazione, e anche un terzo membro Bunyad Bec, si convertirono al cristianesimo. Ali Guli Bec, battezzato in don Felipe di Persia, era da subito stato affascinato dalle cerimonie e dai costumi cattolici e riuscì facilmente a convincere anche Bunyad Bec divenuto don Diego, a convertirsi, mentre per Uruch Bec fu un miracolo ciò che lo spinse a rimanere in Europa con il nome di don Juan di Persia (una colomba era entrata nella stanza mentre don Felipe gli parlava della sua nuova religione). Queste notizie ci arrivano dal diario di Uruch Bec, tradotto dal persiano allo spagnolo da padre Alonso Remòn e forse in qualche modo abbellite ed edulcorate. Ci sono anche esempi di personaggi che sono rimasti in bilico tra islam e cristianesimo a seconda delle necessità. Tra questi era il principe tunisino Amed Ҫelebi, figlio del dey Ahmed Hoca che dopo svariate avventure era giunto in Europa e si era battezzato con il nome di don Filippo d'Africa nella Cattedrale di Palermo nel 1646. Alla notizia della sua conversione il padre aveva reagito con terribili rappresaglie contro i cristiani e chiunque lo avesse aiutato a fuggire, ma quando questi morì Filippo tornò in Tunisia, dopo aver sperperato il proprio denaro, e dichiarò pentimento per la propria conversione. La sua ambiguità religiosa non era mal vista in Tunisia perché si era venuto a creare un clima di tolleranza religiosa, anche grazie ai nuovi regnanti Murad e Muhammad al-Hafsi erano figli di Hammuda Bey che era stato educato da un rinnegato provenzale. I due sovrani erano esempio di convivenza di credenze diverse: secondo la testimonianza meravigliate del cavaliere d'Arvieux, Murad non beveva vino e non lo serviva agli ospiti durante i banchetti, ma il fratello beveva e quindi accanto alla sala da pranzo si trovava una stanza apposita per le bottiglie di vino e liquore. Per quanto riguarda Filippo d'Africa, dopo aver partecipato ad una congiura contro i A Malta si era creata la distinzione tra 'schiavi di mare', che rifornivano la flotta corsara, e 'schiavi di terra' che furono impiegati principalmente nella fortificazione della capitale, La Valletta. C'erano poi gli schiavi privati, non solo di uomini potenti e istituzione ma anche di comuni cristiani, che fornivano manodopera in casa, nelle taverna, nell'edilizia e nelle attività commerciali in generale. Non abbiamo molte testimonianze dirette delle vite di queste persone e quelle indirette sono probabilmente edulcorate perché provengono dai registri dell'Inquisizione. L'unica autobiografia di uno schiavo, Osman Aga, del periodo a cavallo tra il Seicento e il Settecento è quella del soldato ottomano catturato nel 1688 e vissuto per undici anni in schiavitù dopo essere stato catturato dall'esercito austriaco. Ingannato e torturato mentre lavorava presso l'esercito, riuscì a raggiungere una posizione di domestico presso dei nobili austriaci e svolse poi i lavori più disparati dal maggiordomo al pasticcere, ma senza mai rinunciare alla propria fede e al proposito di tornare in patria. La storia di Osman non testimonia solo le sofferenze e i soprusi delle persone ma anche il mondo eterogeneo costituito da questi prigionieri che potevano vivere vite diametralmente opposte tra loro, pur appartenendo allo stesso popolo. V. Sfuggire dalla schiavitù Erano davvero poche le persone che riuscivano ad affrancarsi dalla schiavitù ed era quasi impossibile per gli schiavi delle isole atlantiche di Spagna e Portogallo e per gli schiavi neri dell'Africa subsahariana. Per gli schiavi che circolavano nel Mediterraneo c'era la possibilità del pagamento di un riscatto che però non necessariamente le famiglie potevano permettersi; in alcuni casi esso veniva pagato collettivamente (nel caso dei musulmani) o da ordini religiosi appositi (per i cristiani). Spesso accadeva che si barattassero i prigionieri delle diverse confessioni o che, nel caso di guerre tra due paesi europei, uno dei due liberasse gli schiavi in possesso dell'altro (soprattutto per gli schiavi delle galee). Neanche la conversione al cristianesimo garantiva la libertà, ma poteva favorire, nel caso di schiavi privati, una vita meno dura e a volte l'affrancamento. Mantenere la propria fede in condizioni del genere e sempre a stretto contatto con persone che non solo hanno perso la fede ma anche l'umanità poteva essere dura, ma in alcuni casi gli schiavi musulmani riuscivano a riunirsi per pregare in delle case e a mantenere la propria cultura grazie alla rete sociale che questa vasta diffusione della schiavitù aveva inevitabilmente portato (le persone dell'alto clero e della nobiltà avevano molte persone in loro possesso, ma anche le persone comuni avevano spesso uno o due schiavi a disposizione). Per quanto riguarda le conversioni non abbiamo notizie dirette (se non qualche eccezione) e quelle indirette ci arrivano dagli interrogatori dell'Inquisizione che anche dopo la conversione continuava a controllare se questa fosse sentita o solo un fattore di comodo. In ogni caso è indubbio che se da un lato la conversione degli infedeli era motivo di vanto per la Chiesa che affermava così il potere della “vera fede” dall'altro continuava a tener d'occhio queste persone che rimanevano comunque malviste dal resto della popolazione del paese in cui abitavano. Oltre all'Inquisizione che faceva da organo di controllo, l'altro grande caposaldo del proselitismo cristiano era sicuramente quello che forniva l'educazione per i neo convertiti. In particolare, nel 1543, papa Paolo III fondò la prima Casa dei catecumeni che doveva ospitare i neo convertiti e garantire che venissero educati ai dogmi cattolici prima del battesimo. Queste Case si diffusero presto in tutta la penisola e ne nacquero alcune che erano specifiche per i convertiti che dovevano prendere gli ordini sacerdotali (Collegio dei catecumeni, istituito da Gregorio XIII) e altre dedicate alle donne. Per quanto riguarda le donne che entravano nelle Case dei catecumeni non abbiamo molte notizie, poiché una volta uscite finivano probabilmente al servizio di privati o nei monasteri. Un caso di cui siamo particolarmente informati, per via dei ripetuti interrogatori dell'Inquisizione, è quello di una donna di Tripoli, Mabruka, che fu catturata durante un viaggio in mare con la famiglia e fu possesso prima di un certo Laurenzi a Malta e poi venduta a Carlo Giorgi a Roma. La donna racconta di aver ricevuto pressioni da parte di entrambi i padroni a convertirsi per salvare la propria anima, ma che si era convertita a seguito di alcune visioni, una della Vergine e un'altra di San Luigi Gonzaga, che l'Inquisizione verificò facendo riconoscere alla donna la statua del santo. Di questa donna sappiamo poi che fu battezzata a Roma nella chiesa di Sant'Ignazio e che prese il nome di Marianna Luisa, entrando poi nella casa dei catecumeni per perfezionare la propria conoscenza della religione. Per quanto riguardava gli uomini, invece, erano più numerose le testimonianze per coloro che rimanevano a lavorare presso la chiesa e in alcuni casi contribuivano all'opera di diffusione culturale. Due casi per tutti sono l'ex imam egiziano che diventò dopo il battesimo in Italia Clemente Caraccioli e il famoso Leone L'Africano. Il primo lavorò presso la Biblioteca Vaticana e chiese al papa di prenderlo come amanuense in lingua araba perché sapeva scrivere solo in quella, il papa acconsentì e lui si dedicò alla stesura di un dizionario bibliografico e ad altre opere non religiose. Leone l'Africano è invece autore di una Cosmographia e geographia de Africa redatta in italiano ma divenuta presto così famosa da essere tradotta in francese, inglese, latino e olandese, con varie riedizioni e anche copie non autorizzate. Oltre alle Case dei catecumeni, una grande forza dell'educazione cattolica era costituita dai gesuiti. Un caso particolare fu quello delle conversioni all'interno dell'esercito veneziano, che aveva assoldato soldati turchi per combattere contro Austria e Spagna. Le conversioni degli infedeli venivano sempre festeggiate con grande fasto, non solo per i nobili ma anche per le persone comuni che decidevano di battezzarsi. Queste feste barocche erano un mezzo di propaganda e di sfoggio del potere della Chiesa. L'Inquisizione comunque continuava i suoi controlli su queste persone che molte volte, rendendosi conto che la conversione non aveva fruttato loro l'affrancamento (spesso promesso dai loro padroni) si ritiravano nuovamente nell'Islam. VI. Turchi di ogni sorta Oltre alle categorie descritte prima, molti altri 'turchi' vissero in Europa tre il XVI e il XVIII secolo che provenivano dalle delegazioni dei sovrani musulmani o che si avventurarono in Europa nonostante il clima ostile o più probabilmente persone del luogo che sfuggirono alle persecuzioni dell'Inquisizione e riuscirono a rimanere nel proprio paese. Quest'ultimo caso riguardava molteplici comunità di moriscos che si erano assimilati perfettamente ai vecchi cristiani al momento delle conversioni forzate e i loro discendenti al momento delle deportazioni avevano del tutto abbandonato la religione e i costumi dell'islam e non parlavano neanche più l'arabo. Una di queste comunità fu Villarubia de los Ojos, un borgo nell'attuale provincia di Ciudad Real, studiata da Trevor Dadson come esempio di una perfetta assimilazione della comunità di mudejares che dopo essersi convertiti senza opposizione nel 1502 si stabilì in quel luogo. Con il passare degli anni e delle generazioni anche i vecchi cristiani non li considerarono più una parte distinta della loro comunità, per loro non erano più neanche moriscos ma semplicemente “quelli del nuovo barrio” per indicare la zona in cui abitavano (quella nata come moreria). Dopo la conversione queste persone si integrarono in quella che era una società fluida e che permise loro di arrivare a praticare mestieri intellettuali e a sposarsi con membri delle famiglie dei vecchi cristiani. Quando nel 1611 la minaccia delle deportazioni arrivò fino a loro, il signore della zona, il conte di Salinas, si prodigò presso il re per difendere i suoi vassalli che vivevano ormai da tempo come buoni cristiani. Non ci fu però nulla da fare contro il fanatismo del conte di Salazar e il duca di Lerma che gli si misero contro e nello stesso 1611 ci furono le prime deportazioni verso la Francia. Molti però riuscirono a scappare, rischiando di tutto pur di tornare a casa propria. Come a Villarubia, così anche in molti altri villaggi i cittadini riuscirono a tornare a casa e a riappropriarsi dei propri possedimenti. Dopo l'ultima ondata di deportazioni nel 1614, i moriscos scacciati tornarono in massa e in molti casi riuscirono a riottenere i beni che avevano perduto. Anche in altri paesi europei i musulmani e in particolare i moriscos espatriati dalla Spagna riuscirono a mescolarsi con la popolazione locale, più o meno bene. In Francia ad esempio i moriscos si avvicinarono ai protestanti, la cui dottrina era più vicina alla loro rispetto al cattolicesimo. A Livorno i mercanti musulmani ed ebrei erano ben accolti in quanto contribuivano allo sviluppo del porto. In Olanda poi c'era molta tolleranza e i musulmani erano numerosi e riuscirono anche ad avere un luogo di culto ad Amsterdam. A proposito di mercanti, erano molti quelli di passaggio tra i porti europei che commerciavano da privati o a seguito di accordi commerciali. Il porto di Ancona ad esempio era luogo per questi commerci privati con i mercanti dei Balcani, per lo più Ebrei ma anche musulmani, che all'inizio venivano tollerati dal papa ma si spostarono presto per il clima di intolleranza. Da questo spostamento beneficiò Venezia, che era da tempo aperta ai commerci con l'oriente tanto che i mercanti beneficiavano del diritto di residenza. I Turchi erano comunque visti come una minaccia, per questo risiedevano tutti in un unico posto (al Fondaco de' Turchi prima a Rialto e poi sul Canal Grande) e separati dai mercanti persiani, il cui paese era spesso in guerra con gli ottomani. Solitamente i turchi arrivavano in primavera e rimanevano fino all'autunno e dal XVIII secolo iniziarono ad uscire la sera e vestirsi all'italiana fino a confondersi con gli altri cittadini. Gli scambi commerciali con gli orientali avvenivano a Rialto, tramite dei mediatori che ricevevano una percentuale dallo scambio. Più avanti gli scambi si portavano a termine anche a Spalato (Dalmazia) dove si venne a creare una specie di colonia ben organizzata per rispettare sia le esigenze cristiane che quelle musulmane. Oltre al commercio tra professionisti aveva luogo anche quello occasionale (persone in missione diplomatica in quelle zone che acquistavano per sé libri, gioielli e manifatture) e quello “amministrato” (cioè controllato dal sovrano tramite mercanti o diplomatici inviati per comprare un prodotto specifico). Spesso quest'ultimo tipo di commercio era legato alla compravendita di armi che era ufficialmente illegale ma che veniva aggirata sfruttando soprattutto le inimicizie che c'erano tra gli stessi paesi cristiani (per l'Inghilterra e le Province Unite non c'era problema a vendere delle armi che sarebbero state usate contro la Spagna). Non ci furono mai dei veri 'mercati' fissi turchi in Europa, erano per lo più i cristiani che rivendevano le merci nei loro luoghi mentre per i mercanti orientali o del Maghreb erano poche minoranze che non riuscivano a riunirdi in vere comunità. Inoltre di questi la maggior parte erano Ebrei e Armeni poiché i musulmani erano troppo malvisti. Anche a Marsiglia, uno dei porti commerciali più movimentato del mediterraneo non si vedevano turchi, se non come scaricatori e uomini di fatica. Nell'ultimo paragrafo del capitolo si parla degli elettroni liberi della storiografia, cioè di quei personaggi che non appartengono alle varie categorie in cui si erano divise in precedenza le presenza musulmane in Europa. Sono casi singolari di persone che hanno vissuto e viaggiato in Europa, a volte avviando addirittura delle attività familiari. In alcuni casi sono racconti che ci arrivano dal diretto interessato e per ciò un po' romanzati e non verificabili con altre fonti, come nel caso di Mirza Abu Talib Khan, proveniente dal Bengala e parte della classe dirigente indiana visse tra l'Irlanda e l'Inghilterra e scrisse un libro sulle cose che trovava bizzarre di quei posti (come il fatto che gli inglesi usassero i bagni caldi solo a scopo terapeutico e che in inverno non si lavassero mentre in estate facevano il bagno a mare o il fatto che mangiassero tre pasti al giorno ma che alle volte ne aggiungevano altri fermandosi in pasticceria o mangiando ancora dopo cena) ma tutto sommato fu ben trattato in Europa e venne descritto come il “principe persiano”. Fu semmai visto come un'attrazione esotica che gli guadagnò molta popolarità tra le donne e non solo. VII. Gli ambasciatori dei sovrani musulmani La presenza di diplomatici provenienti dall'Oriente e dai paesi del Maghreb fu sorprendentemente frequente in Europa, fin dal XII secolo, ma a differenza dei cristiani che avevano in questi territori delle ambasciate fisse, gli ambasciatori musulmani viaggiavano di continuo e per motivi vari (sia per degli accordi e tregue, che per l'annuncio di un evento dinastico o di guerra). La durata della permanenza in Europa non era solitamente lunga, andava dai 30 giorni ai tre mesi, con ovviamente
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