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Riassunto su pirandello del libro i classici nostri contemporanei, Dispense di Italiano

Riassunto sulla vita, il pensiero e le opere di Pirandello

Tipologia: Dispense

2020/2021

Caricato il 09/11/2022

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Scarica Riassunto su pirandello del libro i classici nostri contemporanei e più Dispense in PDF di Italiano solo su Docsity! L stagion dell avanguardi Il termine “avanguardia” è un termine militare che indica la pattuglia di soldati che va in avanscoperta, precedendo il resto della truppa e affrontando così i maggiori pericoli. Nell’800 veniva utilizzato in senso politico per indicare i gruppi che si ponevano a capo di movimenti rivoluzionari. Nel 900 questo termine iniziò ad essere utilizzato per indicare alcune tendenze letterarie e artistiche,ovvero il Futurismo, il Dadaismo, il surrealismo ecct. Questi gruppi rifiutano radicalmente la tradizione culturale del passato e i canali della comunicazione artistica corrente, che rendevano le opere facilmente apprezzabili da un ampio pubblico. è una rivolta che vuole colpire al cuore le ideologie dominanti. Loro mirano a un rinnovamento totale della società, distruggendo tutto ciò che lega il presente al passato. Lo scrittore d’avanguardia contesta l’intero sistema del “mercato culturale”, accusandolo di aver trasformato il prodotto artistico in merce che , per essere venduta, si basa su stereotipi e luoghi comuni. L’avanguardia presente un carattere militante, assumendo un ruolo forte di intervento anche ideologico e politico. Nasce l’esigenza di costituirsi in gruppi e di formulare dei programmi. I turist Azione, velocità e antiromanticismo Nel Manifesto del Futurismo, pubblicato sul quotidiano parigino "Le Figaro" il 20 febbraio 1909, Filippo Tommaso Marinetti formula il suo programma di rivolta contro la cultura del passato e tutti gli istituti del sapere tradizionale, proponendo un azzeramento su cui elevare una concezione della vita integralmente rinnovata, I valori su cui intende fondarsi la visione del mondo futurista sono quelli della velocità, del dinamismo, dello sfrenato attivismo, considerati come distintivi della moderna realtà industriale, che ha il suo emblema nel mito della macchina. Il culto dell'azione violenta ed esasperata respinge ogni forma esistente di organizzazione politica e sindacale, così come rifiuta il parlamentarismo, il socialismo e il femminismo, nel nome di un individualismo assoluto e gratuito, in cui non è difficile notare una nuova incarnazione del mito del superuomo. I veristi aderiscono all’ideologia nazionalista e militarista, che celebra la guerra come “sola igiene del mondo”. Loro criticano la sensibilità romantica e decadente. Le innovazioni formali Il futurismo respinge ogni forma di casualità e di consequenzialità, sostituendola con una forma più sintetica e abbreviata, quella dell’analogia. I futuristi propongono un’analogia che sappia rappresentare "l'ossessione lirica della materia”, accostando e assimilando realtà diverse e lontanissime tra di loro, attraverso l’uso della sinestesia e dell’onomatopea. Con il rifiuto della logica tradizionale, si ha di conseguenza la distruzione della sintassi. Vengono anche aboliti i tradizionali elementi di interpunzione, con lo scopo di suggerire il fluire delle sensazioni. La teoria delle “parole in libertà”, la quale sostituisce la sintassi, consiste nel disporre i sostantivi a caso. La parola può produrre impressioni acustiche o tattili, infatti risulta essere adatta al messaggio pubblicitario. La poetica futurista è una fusione tra diversi linguaggi artistico-espressivi. lipp Tommas marinett La formazione e le prime opere Era un cosmopolita, a diretto contatto con le novità della cultura parigina, scrisse in francese le sue prime opere. Nel 1909 scelse un prestigioso giornale parigino, "Le Figaro” per lanciare il Manifesto del Futurismo, che costituisce l'atto ufficiale della fondazione del gruppo. Nel 1912 pubblicò il Manifesto tecnico della letteratura futurista in cui definiva i procedimenti della scrittura letteraria. Era capace di suscitare energie intellettuali e di favorirne il successo,utilizzando le tecniche moderne della réclame, della diffusione editoriale e della ricerca del consenso, ottenuto anche attraverso la provocazione e lo scandalo. Anche per merito di queste iniziative il Futurismo si diffuse in tutta la penisola, espandendosi poi in vari paesi europei, dove diede inizio ai movimenti d'avanguardia. Dopo aver esaltato l'impresa libica ed essere stato un acceso interventista, prese parte alla Prima guerra mondiale. Fu favorevole all'avvento del fascismo, in cui si illuse di vedere realizzate le sue idee rivoluzionarie. Finì invece per trasformarsi in un intellettuale di regime, tanto che venne nominato, nel 1929, accademico d'Italia. Manifest tecnic dell letteratur turist La letteratura futurista rifiuta la tradizione, tutto ciò che è vecchio, che è legato alla morte ed salta invece tutto ciò che è vita. Il testo di Tommaso Marinetti è pubblicato nel 1912 sulla rivista. L'autore definisce le nuove regole del testo letterario, affermando che: ● la sintassi impedisce la lingua ad esser diversa, impedisce la comunicazione; ● I sostantivi si devono mettere come capita; ● Si devono abolire gli aggettivi; ● I verbi devono essere all'infinito; ● Si deve abolire anche l'avverbio, infatti, gli avverbi sono quelli che danno informazioni aggiuntive; ● L'analogia è un paragone non legato ad una logica ben chiara, è molto più complessa di una metafora, mentre quest'ultima è facilmente comprensibile. Marinetti dice che bisogna abolire la punteggiatura perché imprigiona la comunicazione, perché crea delle soste, ne diminuisce la forza espressiva. Per accentuare la velocità e la direzione si usano, invece, i segni matematici e i segni musicali. Bisogna fare ricorso all'analogia con paragoni sempre più vasti; gli autori del passato paragonavano gli uomini agli animali. Le parole, le immagini non sono diverse, sono tutte sullo stesso piano quindi è l'intuizione che coglie l'elemento della vita e lo riproduce. Bisogna rifiutare tutto ciò che impedisce la vita, si va avanti per intuizione; bisogna andare avanti e non impedire la vita, e ciò bisogna farlo anche con la letteratura. I futuristi possono essere anche rivoluzionari ed un esempio lo è, la russa, Maria Foschi. Marinetti teorizza un uso dell'aggettivo che non è più tale, perché diventa sostantivo. Bisogna considerare gli aggettivi come segnali ferroviari o semaforici dello stile, che servono a regolare lo slancio, i rallentamenti e gli arresti della corsa delle analogie. Secondo Martinetti anche la forma come si presenta un testo è importante. Le provocazioni in quanto tali durano poco. Luig Pirandell Gli anni giovanili Luigi Pirandello nacque nel 1867 a Girgenti (ribattezzata poi Agrigento sotto il fascismo), da una famiglia di agiata condizione borghese (il padre dirigeva alcune miniere di zolfo prese in affitto). All’Università di Bonn si laureò in filologia romanza con una tesi su “Suoni e sviluppo di suoni nel dialetto di Girgenti”. Nel frattempo aveva iniziato già la produzione letteraria, scrivendo delle poesie e una tragedia. Dal 1892 si stabilì a Roma dove strinse legami con il mondo culturale romano, soprattutto grazie a Ug Flere e Luig Capuan. Nel 1893 scrisse il suo primo romanzo “L’esclusa” e l’anno successivo pubblicò una prima raccolta di racconti “Amori senza amore”. Nello stesso anno aveva sposato a Girgenti Maria Antonietta Portulano. Il dissesto economico Nel 1903 un allagamento della miniera di zolfo in cui il padre aveva investito tutto il suo patrimonio e la dote stessa della nuora provocò il dissesto economico della famiglia. Il fatto ebbe conseguenze drammatiche nella vita dello scrittore: alla notizia del disastro la moglie, il cui equilibrio psichico era già fragile, ebbe una crisi che la sprofondò nella follia. La convivenza con la donna, che era ossessionata da una patologica gelosia, costituì per Pirandello un tormento continuo, che può essere visto come il germe della sua concezione della famiglia come “trappola” che imprigiona e soffoca l’uomo. Così Pirandello fu costretto ad intensificare la sua produzione di novelle e romanzi. Anche l’esistenza di Pirandello quindi, fu segnata dall’esperienza della declassazione, del passaggio da una vita di agio borghese ad una condizione piccolo borghese. Questo gli fornì lo spunto per la rappresentazione del grigiore soffocante della vita piccolo borghese, ma soprattutto il rancore e l’insofferenza che ne derivavano accentuarono il suo rifiuto del meccanismo sociale alienante, sentito come trappola metafisica in cui l’uomo si dibatte invano. L’attività teatrale Nel 1910 Pirandello ebbe il primo contatto con il mondo teatrale, con la rappresentazione di 2 atti unici “Lumìe di Sicilia” e “La morsa”. Dal 1915 la sua produzione teatrale si intensificò: in quell’anno infatti venne messa in scena a Milano la prima commedia in 3 atti, “Se non così”, risalente al 1896. Da quel momento divenne soprattutto scrittore per il teatro, anche se non abbandonò mai la narrativa. Ma questi erano anche gli anni della guerra; Pirandello si era dichiarato interventista, dal momento che considerava l’intervento come una sorta di compimento del processo risorgimentale, ma in realtà la guerra incise dolorosamente sulla sua vita: il figlio Stefano, partito volontario, fu subito fatto prigioniero dagli Austriaci, e il padre si adoperò con ogni mezzo, ma invano, per la sua liberazione. In conseguenza del fatto la malattia mentale della moglie si aggravò, al punto tale che fu costretto a farla ricoverare in una casa di cura, dove restò fino alla morte. Dal 1920 poi il teatro di Pirandello cominciò a conoscere il successo di pubblico. Inoltre, abbandonò la vita sedentaria e piccolo borghese che svolgeva per dedicarsi interamente al teatro. Dal 1925 assunse la direzione del Teatro d’Arte a Roma. I rapporti con il fascismo Pirandello, nel 1924, subito dopo il delitto Matteotti, si era iscritto al partito fascista e questo gli servì per ottenere appoggi da parte del regime. Da un lato vedeva il fascismo come una garanzia di ordine; dall’altro, invece, il suo spirito antiborghese lo induceva a scoprire in esso l’affermazione di un’energia vitale genuina che spazzava via le forme fasulle e soffocanti della vita sociale dell’Italia postunitaria. Ben presto però dovette rendersi conto del carattere di vuota esteriorità del regime e, pur evitando ogni forma di rottura o anche solo di dissenso (nel 1929 infatti accettò ancora la nomina all’Accademia d’Italia), accentuò il suo distacco, che celava un sottile disprezzo. Nel 1934 gli venne assegnato il premio Nobel per la Letteratura (decise poi di donare la medaglia d’oro vinta per finanziare la guerra in Etiopia); Mentre assisteva,negli stabilimenti di Cinecittà a Roma, alle riprese di un film tratto dal suo romanzo” Il fu Mattia Pascal”, si ammalò di polmonite e morì nel 1936. In seguito, i figli trovarono un pezzo di carte sul quale Pirandello aveva scritto personalmente il suo testamento: voleva che la sua morte fosse celebrata in silenzio, senza che nessuno lo sapesse; desiderava che il suo corpo fosse avvolto nudo in un lenzuolo; non voleva né fiori né lumi accesi; un carro umile, non quello dei ricchi, con soli il cavallo e il cocchiere, nessun parente o amico; infine voleva essere cremato e la cosa che più desiderava era quella che la sua urna cineraria fosse portata a Girgenti. Infatti le sue ceneri rimasero a Roma per 11 anni e fu poi Alcide de Gasperi che procurò un aereo militare americano per il trasferimento delle ceneri da Roma ad Agrigento. Il vitalismo Alla base della visione del mondo pirandelliana vi è una concezione vitalistica: TUTTA LA REALTÀ È VITA, intesa come eterno divenire, incessante trasformazione da uno stato all’altro. Così avviene per l’identità personale dell’uomo: noi siamo parte indistinta dell’universo ma tendiamo a fissarci in una realtà che noi stessi ci diamo. Infatti, noi crediamo di essere “uno” per noi stessi e per gli altri, mentre siamo tanti individui diversi, a seconda di chi ci guarda. Ad esempio, un individuo può crearsi di se stesso l’immagine gratificante dell’onesto lavoratore, del buon padre di famiglia, mentre gli altri magari lo inquadrano nel ruolo dell’ambizioso senza scrupoli o dell’adultero. Dunque, ciascuna di queste forme è una costruzione fittizia, una “maschera” che noi stessi ci diamo e che ci impone il contesto sociale; sotto questa maschera non c’è nessuno. Pirandello fu influenzato dalle teorie dello psicologo francese Alfred Binet sulle alterazioni della personalità ed era convinto che nell’uomo coesistessero più persone, che possono emergere inaspettatamente; fece quindi una critica al concetto di identità personale di “io”. La critica dell’identità individuale Nella civiltà del 900 entra in crisi sia l’idea di una realtà oggettiva, sia di un soggetto forte, unitario, coerente. L’io si disgrega, si smarrisce, la sua consistenza si sfalda, nel naufragio di tutte le certezze. La crisi dell’idea di identità e di persona risente dei grandi processi in atto nella realtà contemporanea: l’instaurarsi del capitale monopolistico, che annulla l’iniziativa individuale; l’espandersi della grande industria e dell’uso delle macchine, che meccanizzano l’esistenza dell’uomo; la creazione di apparati burocratici; il formarsi delle grandi metropoli moderne, in cui l’uomo smarrisce il legame con gli altri e diviene una particella isolata e alienata nella folla anonima. In una prima fase, questi processi, inducono a rifiutare la realtà oggettiva e a chiudersi nella soggettività, ma progressivamente anche questa finisce per sfaldarsi: l’io si indebolisce, perde la sua identità, si frantuma in una serie di stati incoerenti. La presa di coscienza di questa inconsistenza dell’io suscita nei personaggi pirandelliani smarrimento e dolore: l’avvertire di non essere “nessuno” provoca angoscia e orrore, genera un senso di solitudine tremenda. economica”, a causa del suo lavoro che non gli concede mai un attimo di respiro, di tregua. La causa che ha scatenato la follia di Belluca è stata una sorta di “epifania”, la rivelazione improvvisa di un senso della realtà fino a quel momento rimasto ignoto; e l’epifania scatta in conseguenza di un fatto banale, il fischio di un treno nel silenzio della notte. Dopo il gesto liberatorio, Belluca ritornerà però entro i limiti del meccanismo, riprenderà il suo lavoro e la sua parte di padre di famiglia, ma potrà sopportare le trappole grazie alla fantasia, una valvola di sfogo. L’esclusa e Il turno A 26 anni, Pirandello, scrisse il suo primo romanzo Marta Ajala, pubblicato poi con il titolo “L’esclusa”. E’ un titolo più che lecito dal momento che è la storia, ambientata in Sicilia, di una donna che fu accusata di adulterio che però non aveva commesso e, per questo, fu esclusa da tutti, persino dalla famiglia. Si tratta però di un romanzo costruito sulla base del contrasto, dell’assurdo: la donna è stata allontanata quando innocente e reintegrata quando colpevole (infatti la donna fu riaccolta in famiglia quando, però, il peccato lo aveva commesso davvero). Un elemento del romanzo è la realtà sociale come gabbia, in cui se non si rispettano le regole, si viene puniti, mondo dal quale la protagonista ha bisogno di evadere; riscontriamo anche il bizzarro delle vicende umane. La vicenda è inoltre narrata in terza persona (elemento caratterizzante del Naturalismo, del quale però si prende gioco). Nel romanzo Il turno invece, il protagonista è un uomo che deve aspettare il suo turno per sposare la donna amata, dopo la morte di altri due mariti. Il tema è impostato a livello di minore responsabilità concettuale, come divertimento comico. Il fu Mattia Pascal Il fu Mattia Pascal fu pubblicato nel 1904 a puntate sulla rivista “La Nuova Antologia”. E’ la storia di Mattia Pascal, che vive a Miragno, in Liguria, e ha ereditato dal padre un ricco patrimonio che gli viene però sottratto da un amministratore disonesto, Batta Malagna. Per vendicarsi allora, Mattia seduce la nipote e la mette incinta: a questo punto si trova costretto a sposarla, ma il matrimonio si rivela per lui un inferno, sia a causa della moglie sia a causa della presenza soffocante della suocera (trappola familiare). Ma vive anche la trappola economica: infatti si deve adattare ad un impiego squallido e mortificante, quello di bibliotecario nella biblioteca del paese, situata in una vecchia chiesa sconsacrata e abbandonata. Non riuscendo più a sopportare la situazione, cerca la fuga. A questo punto possiamo dividere il testo in 4 fasi: ● la prima fase presenta il personaggio di Mattia Pascal che trova il suo culmine in una lite familiare a seguito della quale decide di salire su un treno e allontanarsi da casa; ● la seconda fase ha luogo a Montecarlo, dove si imbatte in un casinò e vince un’immensa fortuna, che gli apre un campo di infinite possibilità. Ma, mentre è in treno per tornare a casa, legge sul giornale che a Miragno è stato ritrovato il cadavere di un suicida e che è stato riconosciuto come quello di Mattia; ● la terza fase vede Mattia Pascal trasformarsi in Adriano Meis; dopo aver viaggiato tanto, decide di stabilirsi a Roma e alloggia in una stanza presso la famiglia di Anselmo Paleari. Adriano si innamora poi della figlia Adriana ma si ritrova ad essere senza documenti e non può sposarla e si rende conto che la finta identità non gli consente di soddisfare il suo bisogno di immergersi nella vita comune ed è per questo motivo che mette in scena un finto suicidio, lasciando un biglietto e il suo cappello vicino al Tevere e torna a vestire i panni di Mattia Pascal, decidendo di ritornare a Miragno; ● infine, la quarta fase, racconta l’ultimo colpo di scena: arrivato a Miragno, nessuno lo riconosce e la moglie si è risposata. Perciò si rintana, insieme con i suoi risparmi, nella stessa biblioteca in cui lavorava, dove vive come “forestiere della vita”. I temi riscontrati in questo romanzo sono: la trappola, la critica dell’identità individuale, l’estraniarsi dal meccanismo sociale da parte di chi ha “capito il giuoco”. E’ raccontato in prima persona: è dunque un narratore omodiegetico e autodiegetico, ovvero chi racconta è anche protagonista della vicenda; Pascal racconta le sue memorie tempo dopo che sono avvenute, dal momento che il lettore deve sempre distinguere tra Pascal narratore e Pascal personaggio. Ma è probabile che molte volte nemmeno lui sappia fare una distinzione, così come accade a noi nella nostra vita quotidiana, quando raccontiamo un evento passato ma non siamo sicuri se stiamo effettivamente recuperando ambienti dell’epoca o stiamo riferendoci invece a quanto proviamo nel presente. Ed è per questo motivo che le parole di Pascal non sono sempre del tutto fidate e in alcuni casi mente (ad esempio ad inizio romanzo quando parla dei genitori e dice di aver conosciuto il padre, ma poi dice che in realtà non lo ha conosciuto perché aveva solo 4 anni e mezzo quando è morto). Da qui capiamo che Pirandello colloca sin dall’inizio la menzogna, perché vuole che il lettore provi diffidenza nei confronti della voce narrante. La costruzione della nuova identità e la sua crisi. Questo brano è tratto dal romanzo “il fu mattia pascal”, precisamente dal capitolo 7 e il capitolo 9, che segnano un momento centrale dell’intreccio: l’ebbrezza della liberazione dalla “trappola” e la conseguente delusione. Mattia Pascal si costruisce una nuova identità, quella di Adriano Meis,inizialmente, si sente finalmente libero, si è liberato della trappola; difatti Mattia Pascal era vincolato dall'anagrafe, da un nome, che lo poneva in una precisa casella, dal luogo dove era nato. Poco dopo però il protagonista prende consapevolezza di non essere anch'egli libero; ha invece creato una gabbia peggiore della precedente: non può infatti sposarsi, non può comprare un cane, non può denunciare un furto avvenuto in casa sua. Decide così di inscenare nuovamente la propria morte per riprendersi la sua vecchia vita. Nella parte conclusiva del romanzo, Mattia Pascal con l'amico don Egidio cerca di individuare il frutto di ciò che ha fatto: il prete propone l'interpretazione più ovvia, ossia che fuori dalla legge, non siamo più noi e quindi non è più possibile vivere. Non è quindi possibile rinunciare alla nostra identità socialmente determinata. Lo “strappo nel cielo di carta” e la “lanterninosofia” Si tratta dei capitoli 12 e 13 tratti dal romanzo Il fu Mattia Pascal, dove Anselmo Paleari, il padrone di casa di Adriano Meis, è una sorta di filosofo che ama intrattenere il protagonista presentando le sue teorie bizzarre. Nei due capitoli viene toccato un punto centrale delle concezioni pirandelliane: la critica alla consistenza dell’io e all’oggettività della realtà ad esso esterna. La metafora delle marionette e del loro teatrino allude al fatto che, per Pirandello, la nostra personalità è una costruzione fittizia, una maschera che indossiamo, al di sotto della quale non c’è nulla, e che la realtà che ci circonda è anch’essa una costruzione nostra. Basta poco però per mettere in crisi tali costruzioni, come, appunto, lo strappo che si produce nel cielo di carta del teatrino. Quel cielo è falso, ma la marionetta è abituata a considerarlo vero; lo strappo che si produce denuncia all’improvviso la sua falsità, e la marionetta entra in crisi, è costretta a vedere se stessa e la realtà in modo nuovo, straniato, e tutte le sue certezze si dissolvono. Nel capitolo successivo invece, viene presentata la teoria della lanterninosofia. La lanterninosofia è una teoria filosofica, secondo la quale gli uomini hanno la possibilità di conoscere poco della realtà poiché sono dotati di un lanternino che genera poca luce e che quindi non permette loro di avere una conoscenza completa della realtà: il mondo così come appare è un’illusione, generata dalla luce del lanternino che tende a tramutare la natura di ciò che ci circonda. Ogni epoca proietta la propria luce: il lanternino di luce rossa è quello che ha generato la virtù pagana in accordo con la mentalità pagana secondo cui l’uomo vive una sola vita, quella del mondo sensibile, mentre il lanternino di luce viola è quello che ha generato la virtù cristiana, secondo cui la vera vita è quella dell’aldilà. Nell’epoca della modernità, secondo Mattia, il lume ha finito il suo olio sacro, sono cioè cadute tutte le certezze che aiutavano l’uomo a sopportare il peso dell’esistenza, come indica l’espressione strappo nel cielo di carta. Il fatto che il cielo sia bucato indica il crollo delle certezze metafisiche. L’uomo quindi non riesce a trovare dei punti di riferimento, prova disorientamento, non riesce ad indentificare delle certezze né nella realtà che lo circonda né dentro di sé, poiché tutto è in continuo divenire. Uno, nessuno e centomila Nonostante Pirandello si dedichi prevalentemente al teatro, inizia a lavorare ad un romanzo “Uno, nessuno e centomila” avviato sin dal 1909 ma portato a termine molto più tardi. Il romanzo si collega al “Fu Mattia Pascal”, riprendendo il tema centrale della visione pirandelliana, “la crisi dell’identità individuale”. Il protagonista del romanzo è Vitangelo Moscarda(detto Genge), il quale scopre casualmente che gli altri si fanno un’immagine diversa di lui da quella che si è creato. Lui scopre di non essere “uno” come aveva sempre pensato, ma di essere “centomila” nel riflesso delle prospettive degli altri, e quindi “nessuno”. Questa nuova consapevolezza causò una crisi sconvolgente in lui. Lui non accetta la visione che hanno gli altri di lui, e ha paura della solitudine in cui piomba nel scoprire di non essere “nessuno”. Gli altri lo vedevano come un usuraio, in quanto lo era suo padre, che gli aveva lasciato in eredità una banca. Lui voleva distruggere questa immagine, dunque decise di vendere la banca che gli assicurava l’agiatezza. In seguito venne ferito gravemente da un’amica della moglie, colta da un raptus di follia. Lui cederà tutti i suoi averi per fondare un ospizio per poveri, dove egli stesso si fa ricoverare. Lui in questo modo guarisce dalle sue ossessioni, rinuncia ad ogni forma di identità, identificandosi di volta in volta nelle cose che lo circondano. In questo romanzo emerge l’irrazionalismo dell’ultimo Pirandello, che prende il sopravvento sull’umorismo critico e negativo con cui era stato in tensione per tutto il corso dell’opera dello scrittore. In questo romanzo, a livello tecnico, si ha una narrazione retrospettiva da parte del protagonista. è presente un ininterrotto monologo,a volte ironico e beffardo, a volte affannato e convulso. L’interlocutore immaginario viene continuamente chiamato in causa, e ad un certo punto viene introdotto nella vicenda come personaggio in carne ed ossa. Il racconto è retrospettivo (cioè viene raccontato dopo che ha vissuto i fatti). La vicenda prende vita quando la moglie fa osservare a Moscarda che il naso gli pende un po’ da una parte. In questo modo lui scopre che l’immagine che si era creato di se stesso non corrisponde a quella che gli altri hanno di lui. Ciò fece scaturire una vera ossessione in lui e un orrore per la prigione delle “forme”, in cui gli altri lo costringono. Ma scopre anche di non essere “nessuno” per se stesso, e questo genera in lui un’altra forma di orrore, un senso angoscioso di solitudine. La pazzia sta alla base degli eroi pirandelliani, i quali la utilizzano per distruggere il meccanismo delle “forme”. Moscarda,a differenza di Pascal, non vuole creare una identità alternativa in quanto è consapevole di non essere “nessuno”. Moscarda per liberarsi delle identità impostegli commette una serie di pazzie: sfratta un povero squilibrato,Marco di Dio, dalla catapecchia che persino suo padre usuraio gli aveva concesso gratuitamente per pietà, poi all’improvviso rivela alla folla indignata, di aver donato a Di Dio, una casa migliore di questa. In seguito decide di liquidare la banca che gli aveva lasciato il padre e inizia a maltrattare la moglie Dida, che amava, inducendola a lasciarlo. Allora il suocero e la moglie decidono di farlo interdire, ma lui viene avvertito dall’amica della moglie, Anna Rosa, la quale è affascinata da lui,al punto tale che perde il suo equilibrio psichico e gli spara, ferendolo gravemente. Alla fine lui dona tutti i suoi averi per fondare un ospizio per poveri, dove egli stesso si ricovera. “Nessun nome” Questo testo è l’ultima pagina del romanzo “uno, nessuno, centomila”. La narrazione si apre in un'aula di tribunale, in cui Vitangelo Moscarda è invitato a deporre a favore di Anna Rosa. Si presenta lì, con abiti bizzarri e con un aspetto piuttosto trasandato,che a suo dire favorì l'assoluzione della donna. Dal momento in cui viene chiamato, inizia una lunga dissertazione sulla futilità del nome. Infatti lo stesso Vitangelo, nonostante tutti lo nominassero ancora "Moscarda"' giunge alla conclusione di non riconoscersi in tale cognome. Riconosce che gli uomini della sua civiltà hanno collegato al concetto di nome, l'essenza della cosa stessa,e ribatte che per lui non è così. Il protagonista è convinto che il nome si addice solo ai morti,in quanto sulle epigrafi funerarie compare solo il nome e la foto della persona a cui tale nome si attribuisce. Vitangelo non si sente morto, e da tale non riconosce alcun nome, oggi vuole nascere albero, domani libro o vento. (non si riconosce in nulla praticamente). Mentre nel Fu Mattia Pascal e nel resto dell'opera pirandelliana non c'era comunicazione tra l'uomo e la natura e questa restava un'entità estranea e indifferente, qui, in un recupero di posizioni romantico-decadenti, tra uomo e natura si crea un'identificazione profonda
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